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3.

"Morte bella parea nel suo bel viso": connessioni macrotestuali

Il termine macrotesto può avere diverse accezioni: può «indicare l'intera opera di
un'autore (...) o opportuni raggruppamenti di opere nell'arco della sua produzione»1 oppure
«un singolo libro di poesie, caratterizzato (...) da ridondanza tematica ed equilibrio
strutturale»2; nel corso della mia analisi si darà al concetto di macrotesto quest'ultimo
significato, con la precisazione che i Triumphi, più che un "libro di poesie", sono un libro
di poesia: poema i cui capitoli, sorretti e congiunti da un'impalcatura narrativa e diacronica
(ma il tempo dei Triumphi è un tempo progressivo e circolare insieme), acquistano senso e
significato dall'essere parte della macrostruttura che creano.
Quella che affronterò sarà un'analisi dei Triumphi di tipo strutturale, cioè uno «studio
delle relazioni che intercorrono tra il tutto e le parti»3, le quali «ne peuvent se comprendre
que par leur rapport à l'ensemble»4.
Tali relazioni saranno ricercate nei termini di connessioni macrotestuali individuabili
sulla superficie del testo: ripetizioni lessicali, ricorrenze di immagini, somiglianze di
locuzioni e giaciture ritmiche, simmetrie o opposizioni che creino una sorta di reticolato
visibile, riconoscibile; la quantità di queste connessioni definirà il grado di organicità del
macrotesto.

Con una tale analisi intendo dimostrare, in prima istanza, che il poeta ha attuato delle
strategie per aumentare la coesione tra i capitoli e che i Triumphi possono dirsi,
legittimamente, un poema. In seconda istanza mi propongo di assodare la compattezza del

1 E. Testa, Il libro di poesia: tipologie e analisi macrotestuali, Genova, il Melangolo, 1983, p. 20 n. 4.


2 Ibidem.
3 Ivi, p. 11.
4 J. M. Lotman, Sur la dèlimitation linguistique et littèraire de la notion de structure, «Linguistics», 6,
1964, p.68; il richiamo è in E. Testa, Il libro di poesia: tipologie e analisi macrotestuali, cit., p. 20 n. 3.

25
cosiddetto "poema di Laura" (cfr. pagg. 19-23) e se esistono connessioni macrotestuali tra
quest'ultimo e il dittico finale costituito dal Triumphus Temporis e dal Triumphus Mortis.

3.1. Triumphus Cupidinis

Il Triumphus Cupidinis è il trionfo più articolato, dispiegandosi per ben quattro


capitoli.
Non sono molte o, comunque, non di particolare rilievo le connessioni macrotestuali
che esibiscono tra loro i capitoli del Triumphus Cupidinis.

I versi TC I, 19-20 e TC II, 7 hanno in comune l'espressione abito leggiadro:

l'abito in vista sì leggiadro e novo Mossemi 'l lor leggiadro abito e strano
mirai (...)
(TC I, 19-20) (TC II, 7)

Nel primo caso l'abito leggiadro è di Cupido, sommo duce (TC I, 13), nel secondo
caso di Massinissa e Micipsa, i duo amanti (TC II, 74) e, sebbene i due sintagmi sembrino
sovrapporsi completamente - tenendo conto dell'iperbato che in TC I incorpora in vista
«ripetizione equivoca del v. 16»5 e che entrambi sono coordinati a un diverso aggettivo
(strano / novo) - il loro senso è, nei due contesti, assai diverso: l'abito di Cupido ha il
significato etimologico di aspetto, forma6, invece l'abito degli amanti africani è il vestito,
ciò che indossano (significato del termine oggi più comune). C'è da dire che qui la
somiglianza di situazione (il protagonista è attratto da uno o più personaggi per il loro
aspetto esteriore) e di espressione potrebbe innescare nel lettore un interessante
meccanismo mentale di associazione.

Tra TC II e TC III non sono presenti connettori, ma è assai notevole l'analoga


situazione dei rispettivi esordi, come se i due capitoli si ponessero sullo stesso piano e

5 PACCA, p. 55, n. 19.


6 Ibidem.

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corressero in parallelo senza far progredire l'azione:

Stanco già di mirar, non sazio ancora, Era sì pieno il cor di meraviglie
or quinci or quindi mi volgea, guardando, ch'i' stava come l'uom che non pò dire,
cose ch'a ricontale è breve l'ora. e tace, e guarda pur ch'altri 'l consiglie,
Giva il cor di pensier in pensier quando quando l'amico mio - Che fai? Che mire?
tutto a sé il trasser due (...)
(TC II, 1-5) (TC III, 1-4)

Il poeta è, in entrambi i momenti, così sovrastato da quello che ha visto e vede


("stanco già di mirar, non sazio ancora / sì pieno il cor di meraviglie") che non riesce ad
esprimersi ("cose ch'a ricontarle è breve l'ora"), è pensieroso ("giva il cor di pensier in
pensier / i' stava come l'uom che non pò dire"; al v. 5 di TC III la Guida lo interprella
chiedendogli "che pensi?") finchè una temporale introdotta da quando interrompe la pausa
narrativa: in TC II l'attenzione del poeta è sviata dai duo amanti, in TC III è la Guida a
spezzare la corrente dei pensieri con un'esortazione (vv. 5-6) a continuare l'opra (v. 9)
intrapresa:

che pensi? - disse - non sai tu ben ch'io


son de la turba? e' mi conven seguire -

Sia l'«espediente diegetico» dell'esortazione7 sia l'accenno all'opra ricordano da


vicino TC II 70-72, quando Massinissa redarguisce il poeta a fare economia del tempo
rimasto:

Ma cerca omai se trovi in questa danza


notabil cosa, perché 'l tempo è leve
e più de l'opra che del giorno avanza.

In TC II, 133-135 autore di un'esortazione simile è proprio la Guida:

7 C. Giunta, Memoria di Dante nei Trionfi, cit., pp. 441-52, alla p. 413.

27
in fin che mi fu detto: -Troppo stai
in un penser a le cose diverse,
e 'l tempo ch'è brevissimo ben sai. -

La risposta del poeta in TC III, che mette in campo "l'amor del saper" (vv. 7-8: "e tu
sai l'esser mio / e l'amor del saper che m'ha sì acceso") riecheggia TC II, 92-93 ("ancor
m'aggrada / saver quanto ciascun e 'n qual foco arda").
Detto ciò si può solo concludere che TC II e TC III fanno uso degli stessi moduli
narrativi (l'esortazione esterna e la curiosità intellettuale sono i motori dell'azione); questo
fatto non li pone in connessione e, semmai, conferma l'impressione di una sostanziale
assenza di connessioni macrotestuali nei primi capitoli dei Triumphi.

Stessa assenza di connessioni tra TC III e TC IV: si può però constatare che entrambi
i capitoli fanno uso di immagini comuni come quella di «Amore come (...) ferita»8 per cui,
ad esempio, un verso come "a questi le mie piaghe tutte apersi" (TC IV, 75) si arricchisce
nel confronto con il precedente "e ne le vene vive occulta piaga" (TC III, 182).
D'altro canto, TC IV mostra proprio in esordio la sua dipendenza dal precedente
capitolo (vv. 1-5):

Poscia che mia fortuna in forza altrui


m'ebbe sospinto, e tutti incisi i nervi
di libertate ov'alcun tempo fui,
io, ch'era più salvatico che i cervi,
ratto domesticato fui con tutti

Questi versi fanno riferimento a quanto narrato in TC III (vv. 89 e ss.):

quando una giovinetta ebbi dallato,


pura assai più che candida colomba:

8 PACCA, p. 175, n. 181-82; l'immagine è attinta dai classici (Ovidio, Virgilio), presente nei contemporanei
(Dante) e nei RVF (195,8).

28
ella mi prese; et io, ch'avrei giurato
difendermi d'un uom coverto d'arme
con parole e con cenni fui legato.
(TC III, 89-93)

All'essere "sospinto in forza altrui" equivale "ella mi prese", mentre al "domesticato


fui" corrisponde il "fui legato". Bisogna però aggiungere che le due descrizioni fanno
riferimento a due differenti aree semantiche: TC III, 89-93 a quella bellica ("uom coverto
d'arme"), TC IV 1-5 a quella venatoria ("io, ch'era più salvatico che i cervi").

Una circolarità del Triumphus Cupidinis, infine, sembrerebbe essere suggerita dai vv.
130-136 di TC IV che riprendono e ampliano l'or e il quivi del v.112 ("Or quivi triumfò il
signor gentile"):

Era ne la stagion che l'equinozio


fa vincitore il giorno, e Progne riede
con la sorella al suo dolce negozio.
O di nostre fortune instabil fede!
In quel loco e 'n quel tempo et in quell'ora
che più largo tributo a gli occhi chiede,
triumfar volse que' che 'l vulgo adora.

Il trionfo di "que' che 'l vulgo adora", cioè Cupido, avviene "in quel loco e 'n quel
tempo et in quell'ora / che più largo tributo agli occhi chiede". La perifrasi è assai ambigua9
e di certo si può solo affermare, sulla scorta dei vv. 130-132, che 'l tempo è «in prossimità
dell'equinozio di primavera»10; quanto al giorno e all'ora, verrebbe naturale pensare che qui
Petrarca si stia riferendo proprio al «mattino del 6 aprile (...) del primo incontro con

9 Si è interpretato "tributo a gli occhi" come pianto e, sulla base di RVF 33, 7-8 e RVF 101, 8, si è inferito
che il tempo sia la primavera e l'ora l'alba, quando «gli innamorati piangono perché costretti a separarsi»
(PACCA, p. 213, n. 134-35).
10 PACCA, pp. 211-212, n.130-31.

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Laura»11, il cui ricordo provocherebbe «il pianto del narratore»12, lo stesso 6 aprile che
"rinova i sospiri" (TC I, 1): con tale ipotesi, però, rimane inspiegato il loco «che designa
Cipro, non Avignone»13, l' "isoletta dilicata e molle" (v. 101) " che cotanto piacque / a
Venere, e 'n quel tempo a lei fu sagra / che 'l ver nascoso e sconosciuto giacque" (vv. 106-
108).
Faccio però due osservazioni: la prima è che nei Triumphi «è sempre il 6 di aprile»14,
lo è all'inizio del Triumphus Cupidinis e lo è nel Triumphus Mortis I15 «secondo la
mitologia simmetrica fissata nel Canzoniere»16, e sarebbe strano che proprio qui, nel
momento del trionfo d'Amore, Petrarca abbia deciso di discostarsi dall'usuale simmetria
cronologica, se non altro perché l'allestimento di un tale apparato di allusioni e perifrasi
suggerisce il contrario; in secondo luogo, è possibile che la relativa "che più largo tributo
agli occhi chiede" si riferisca soltanto al tempo e all'ora, non al loco.
Se si confrontano TC IV, 130-136 e TC I, 1-9 si nota anche un'interessante
concentrazione di ricorrenze lessicali:

Era ne la stagion che l'equinozio Al tempo che rinova i mie' sospiri


fa vincitore il giorno, e Progne riede per la dolce memoria di quel giorno
con la sorella al suo dolce negozio. che fu principio a sì lunghi martiri,
O di nostre fortune instabil fede! già il Sole al Toro l'uno e l'altro corno
In quel loco e 'n quel tempo et in quell'ora scaldava, e la fanciulla di Titone
che più largo tributo a gli occhi chiede, correa gelata al suo usato soggiorno.
triumfar volse que' che 'l vulgo adora. Amor, gli sdegni, e 'l pianto e la stagione
ricondotto m'aveano al chiuso loco
ov'ogni fascio il cor lasso ripone.
(TC IV, 130 - 136) (TC I, 1-9)

11 PACCA, p. 213, n.134-35.


12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 R. Longhi, Vincitori e vinti: la macchina dei Trionfi, cit., pp. 35-47, alla p. 45.
15 "L'ora prima era, il dì sesto d'aprile / che già mi strinse, et or, lasso, mi sciolse" (TM I, 133-134).
16 S. Longhi, Vincitori e vinti: la macchina dei Trionfi, cit., pp. 35-47, alla p. 45.

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È dato acquisito della filologia che sulla collocazione nell'opera del secondo capitolo
del Triumphus Cupidinis il poeta dovette rimanere incerto a lungo. Pacca ne discute
ampiamente nell'edizione commentata dei Triumphi (pp. 93-96): da una parte due postille,
una collocata all'inizio di TC II in H, C, P e I che lo indica come terzo o come secondo
capitolo ("3 capitulum 3 vel 2") e una all'inizio di TC III - di cui non è dato sapere se
anteriore o posteriore - che lo indica come secondo capitolo, dall'altra «una parte
consistente della tradizione manoscritta» in cui «i primi capitoli dei Triumphi seguono
l'ordine (...) TM II, TF Ia e TC II, gruppo che precede TC I e poi gli altri capitoli nel loro
ordine naturale»17.
Esistono dunque connessioni macrotestuali di TC II ad altri capitoli del Triumphus
Cupidinis, che provino l'esistenza di una di una sua diversa posizione in origine? In effetti
sì. È Pacca stesso a notare un collegamento tra «la conclusione alternativa del quarto
trionfo»18, redazione precedente più lunga dei vv. 157-64 testimoniata dal ms. Palat. 19519,
e i primi versi di TC II, considerandolo «un tentativo abbandonato di creare una giuntura
fra i due capitoli»20; in particolare Pacca segnala «alcuni contatti verbali» tra TC IV, 165-66
(gran cose e memorabili mirando / volgea la vista vaga in ciascun lato) e TC II, 1-2
("stanco già di mirar, non sazio ancora, / or quinci or quindi mi volgea, guardando"): nella
versione breve poi definitiva il collegamento si perde, sopravvivendo in TC IV come
contatto lessicale il solo mirando, cui viene aggiunto il prefisso iterativo ri- (rimirando, v.
163).
Si possono però individuare all'interno di TC IV anche altre connessioni con TC II.

I versi 1-2 di TC IV,

Poscia che mia fortuna in forza altrui


m'ebbe sospinto (...)

17 PACCA, p. 305.
18 Ivi, p. 96.
19 ARIANI, p. 194.
20 PACCA, p. 96.

31
ricordano TC II, 58-60:

Così questa mia cara a morte venne


chè, vedendosi giunta in forza altrui,
morir in prima che servir sostenne.

Massinissa sta parlando dei romani, non di Laura come in TC IV, ma il sintagma
identico "in forza altrui" mette in rilievo la non divergenza delle due situazioni21, l'una
concernente la violenza sottesa alla conquista politica e territoriale, l'altra la condizione di
oppressione in cui versa l'innamorato: come a seguito della guerra il regno cartaginese è
conquistato dai romani (artefice principale quello Scipione che fu sommo uom (TC II, 31),
alleato di Massinissa) così anche il personaggio di Petrarca è ridotto in schiavitù da Amore
essendo "tutti incisi i nervi / di libertate" (TC IV, vv. 2-3).
Difficile credere che la presenza della stessa clausola sia casuale o frutto di
disattenzione del poeta: in questo modo egli non solo dà alla propria vicenda individuale-
sentimentale valore storico-esemplare, ma opera anche una «sovrapposizione (...) delle
figure di Laura e Scipione»22, che è del resto costante nell'opera.23
Proseguendo nella lettura di TC IV ci si imbatte poi, ai vv. 67-69, nei personaggi di
Socrate e Lelio24, il cui riconoscimento è descritto dal poeta con tono dolcemente
affettuoso:

Poco era fuor de la comune strada,

21 Il sintagma identico è rilevato anche da Pacca (p.108, n.59).


22 SANTAGATA, p. XXVI.
23 Scipione come Laura è dotato di virtus e paragonato al sole (TC II, 51); inoltre si unirà al corteo di Laura
e delle compagne elette (TM I, 13) diretto ai templi di Sulpizia e Pudicizia (cfr. TP, 169-177).
24 «Socrate è il soprannome che P. diede al musicista fiammingo Ludwing van Kempen (1304-61) (...) Lelio
designa invece Angelo (o Lello) di Pietro Stefano Tosetti (morto nel 1363)» (PACCA, p.200, n. 67-69). Il
soprannome di Lelio deriva dal personaggio storico di Caio Lelio, figlio omonimo del Lelio amico
nonché compagno d'armi di Scipione Africano citato in TC II, 31-32 ("avend'io in quel sommo uom tutto
'l cor messo, / tanto ch'a Lelio ne do vanto a pena") e protagonista del dialogo ciceroniano De amicitia;
entrambi sono paradigmi di amicizia.

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quando Socrate e Lelio vidi in prima:
con lor più lunga via conven ch'io vada.

Nella terzina al senso letterale si sovrappone un senso metaforico25: Petrarca è "fuor


de la comune strada", cioè si è spostato di poco dal corteo degli schiavi d'Amore (che
anche Lelio e Socrate ne facciano parte è suggerito, più avanti, dal v.74 "andando tutti e tre
sempre ad un giogo"26) e ritiene di potersi intrattenere con gli amici più tempo (più lunga
via); ma il poeta allude qui anche alla propria condizione speciale di innamorato-letterato 27
e al suo avere trascorso molto tempo della propria vita in loro compagnia (molto più che
con il bon Thomasso citato al v. 59).
Una situazione simile si era già configurata in TC II, 94-96 quando il poeta aveva
incontrato Seleuco I, re di Siria:

I' vidi ir a man manca un fuor di strada,


a guisa di chi brami o trovi cosa
onde poi vergognoso e lieto vada.

Anche qui l'essere "fuor di strada" indica una speciale condizione (Seleuco ha infatti
donato al figlio "la sua diletta sposa" TC II, 97) anche se connotata negativamente, come
suggerisce la collocazione a sinistra.28 L'analogia situazionale è sottolineata dall'identica
clausola ("fuor di strada") che è, tra l'altro, di derivazione dantesca (Paradiso, VIII, 148).

3.2. Triumphus Pudicitie

25 PACCA, p.199, n. 67-69 dice che la «terzina può essere spiegata in due modi, secondo che la si riferisca
alla biografia del P. reale o al comportamento del P. personaggio» e aggiunge che «la seconda spiegazione
può implicare metaforicamente la prima».
26 Discuto di questo verso a p. 38.
27 Non è importante determinare se il poeta è "fuor de la comune strada" perché si è innalzato con «gli studi
e le opere belle» (PACCA, p. 199, n. 67-69) o perché innamorato di Laura, in quanto le due esperienze
sono concomitanti (cfr. TM II, 13-14 e TC IV, 79-81).
28 PACCA, p.115, n. 94-96.

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Se non è possibile individuare una capillare rete di connessioni testuali nei primi
capitoli dell'opera, più decisive e importanti saranno invece le connessioni stabilite tra il
Triumphus Cupidinis e i trionfi immediatamente successivi: Petrarca sembra realmente
preoccupato di mettere in risalto la macrostruttura dei superamenti e viene così emergendo
il "cuore profondo" dei Triumphi costituito dalla triade TC, TP e TM I.

Il Triumphus Pudicitie instaura collegamenti con tutti i capitoli del Triumphus


Cupidinis (specialmente I e IV, i due estremi, ma non il II) e con il Triumphus Mortis I.
Zone del testo strategicamente connesse sono l'incipit e l'explicit, rispettivamente a TC e a
TM I.
L'incipit è il seguente (vv. 1-10):

Quando ad un giogo et in un tempo quivi


domita l'alterezza de gli dei
e de gli uomini vidi al mondo divi,
i' presi essempio de' lor stati rei,
facendo mio profetto l'altrui male
in consolar i casi e i dolor mei;
ch'è s'io veggio d'un arco e d'uno strale
Febo percosso e 'l giovene d'Abido,
l'un detto deo, l'altro uom puro mortale,
e veggio ad un lacciuol Giunone e Dido

È contenuto proprio in questi primi versi l'aggancio lessicale al Triumphus Cupidinis,


consistente nel verbo consolar; infatti lo stesso, anche se variato nella forma (coniugato
cioè al passato remoto) compare, in posizione simmetricamente opposta, negli ultimi versi
di TC IV (a distanza di 4 vv. dall'ultimo):

l'alma, che 'l gran disio fea pronta e leve,


consolai col veder le cose andate.

(TC IV, 161-62)

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La ricorrenza verbale è tanto più significativa se si considera che nella redazione
precedente di questi versi (quella appunto testimoniata dal ms. Palat. 195 e con la probabile
funzione di connettere TC IV a TC II) non compare consolai ma, al suo posto, il meno
suggestivo e più prosaico "e solo un rimedio ebbi".

La stessa strategia è adottata anche nell'explicit del Triumphus Pudicitie; infatti, ai vv.
187-192 si legge:

e 'l giovene toscan che non ascose


le belle piaghe che 'l fer non sospetto,
del comune nemico in guardia pose
con parecchi altri (e fummi il nome detto
d'alcun di lor, come mia scorta seppe)
ch'avean fatto ad Amor chiaro disdetto

Naturalmente il giovene toscan citato in coda al corteo di Laura è il «bellissimo


giovinetto etrusco Spurinna»29 e il comune nemico di cui è guardiano è Amore (nominato
espressamente al v. 192); ebbene, il riferimento ad Amore quale «nemico dell'umanità»30
(questo il senso dell'aggettivo comune) è ripreso all'inizio del Triumphus Mortis I (vv. 1-6)
in posizione speculare e anzi ampliato in una perifrasi di più ampio respiro, quasi una
chiosa:

Quella leggiadra e gloriosa donna


ch'è oggi ignudo spirto e poca terra
e fu già di valore alta colonna,
tornava con onor da la sua guerra,
allegra, avendo vinto il gran nemico

29 ARIANI, p.222, n. 187; Spurinna «vagheggiato da numerose donne per la sua bellezza, si sfregiò
volontariamente il viso per non dare a mariti e genitori motivo di sospettare di lui» (PACCA, p.264, n.
187-90).
30 Così parafrasa PACCA, p.264, n. 187-90.

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