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Precisazioni iniziali:
Con la lezione di oggi concludiamo il primo semestre di lezioni.
Entro il mese di gennaio avremo il materiale didattico caricato su Teams di precisazione di alcuni
istituti, soprattutto una casistica giurisprudenziale per comprendere meglio alcune cose che a prof
ha volutamente solo accennato, come ad esempio il concetto della mutuatio libelli e il sistema
delle previsioni soprattutto in materia istruttoria.
Oggi studieremo la FASE DECISORIA DEL PROCESSO DI COGNIZIONE: costituisce la TERZA FASE in
cui è scandito l'ordinario processo di cognizione.
- Abbiamo studiato la fase introduttiva, che ha inizio con la notifica dell'atto di citazione, prevede
poi la costituzione delle parti, l'iscrizione al ruolo della causa, la formazione del fascicolo d'ufficio e
la designazione del giudice istruttore.
-Segue la fase della trattazione e istruzione che abbiamo studiato la scorsa volta, essenzialmente
gli articoli 133 e 134 cpc.
-E ora arriviamo alla fase decisoria.
Ancora una precisazione di carattere generale. Noi dobbiamo sapere che sin da quando è entrato
in vigore il nostro codice, vale a dire nel 1942 (il codice è stato varato nel '40, e poi è entrato in
vigore nel '92), costituisce sin dall'inizio, quindi sin dal 1942, competenza esclusiva del giudice
istruttore, rimettere la causa in decisione. Cioè è lo stesso giudice che decide se disporre o meno, e
quando disporre o meno, che la controversia, ovvero, come vedremo, una questione preliminare o
pregiudiziale, approdi alla fase decisoria. Sotto l'abrogato codice, il codice Pisanelli, del 1965, erano
le parti a decidere quando la causa doveva approdare alla fase decisoria. Le parti dovevano
rispettare alcune formalità, funzionali al rispetto del contraddittorio, e ad un certo punto erano
loro a dire “basta, il giudice deve decidere”. Il nostro codice, invece, attribuisce in via esclusiva al
giudice questo potere. Quindi è competenza esclusiva del giudice istruttore, sia esso giudice unico,
sia il giudice istruttore come componente del collegio, rimettere la causa in decisione, e a questo
fine, il giudice istruttore invita previamente le parti a precisare le conclusioni, che intendono
sottoporre all'organo decidente, cioè sia egli stesso in funzione di giudice unico, sia il collegio nelle
ipotesi di cui all'articolo 50 bis. Quindi le invita a precisare le conclusioni in un'apposita udienza,
che si chiama “udienza di precisazione delle conclusioni”, che segna il confine tra la fase di
istruzione della causa e la fase decisoria. Con questa, quindi, ha inizio la fase decisoria del
processo. Però, prima di esaminare lo svolgimento di questa fase, che è uno svolgimento in parte
diverso a seconda che la controversia debba essere decisa da un giudice unico ovvero dal collegio,
dobbiamo chiarire in quali ipotesi il nostro giudice può rimettere la causa in decisione.
Questo è il primo punto che dobbiamo chiarire. Una volta che la causa è stata introdotta, e che è
stata istruita, in quali ipotesi il giudice (perchè spetta in esclusiva a lui), può rimettere la causa in
decisione?
Quindi stabilire che la causa, ovvero una questione preliminare o pregiudiziale, debba trasmigrare
alla fase decisoria, così avviandosi verso la conclusione del processo.
Per renderci il lavoro più agevole, la prof ci individua subito queste ipotesi, ricavabili dal combinato
disposto degli art 187, 188, 189 del cpc. Norme che leggeremo e che commenteremo, e che, come
sempre, non parlano di remissione della causa in decisione, ma parlano di rimessione della causa
al collegio. E noi sappiamo che questa dicitura è tecnicamente corretta solo nelle ipotesi residuale
di cui all'art 50 bis, va intesa in modo più ampio come rimessione in decisione, perchè nella
stragrande maggioranza dei casi il tribunale decide in composizione monocratica.
Proviamo a tracciare uno schema ordinato delle ipotesi di rimessione della causa in decisione:
Secondo il combinato disposto di questi tre articoli, la rimessione della causa in decisione avviene
in queste ipotesi:
1) la prima ipotesi prevista dall'art 187.1: “il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura
per la decisione di merito, senza bisogno di assumere mezzi di prova, rimette le parti davanti al
collegio”
(vale a dire rimette la causa in decisione)
Questa ipotesi viene sinteticamente denominata come rimessione IMMEDIATA, al termine della
trattazione. Quando si conclude? Quando il giudice ritiene che la causa possa essere decisa senza
che ci sia bisogno di assumere mezzi di prova, quindi senza che ci sia bisogno della fase istruttoria.
E questo può avvenire in una serie di casi. Pensiamo alle cause prettamente documentali. Il giudice
ritiene di potere decidere alla stregua delle prove costituite che sono state prodotte dalle parti,
senza necessità di assumere mezzi di prova; oppure pensiamo al caso di fatti allegati dalle parti che
risultano pacifici, perchè non contestati in modo specifico, e allora occorre discutere solo di una
questione di diritto; oppure ancora ipotesi in cui le parti abbiano chiesto l'ammissione di prove
costituende e il giudice, con apposita ordinanza istruttoria le abbia rigettate, ritenendole
inammissibili o irrilevanti.
Queste ipotesi, anche diverse, hanno in comune il fatto che il giudice ritiene che non vi sia bisogno
di procedere alla fase istruttoria (come quella che abbiamo esaminato e che essenzialmente
riguarda l'assunzione della prova costituenda ammessa), quindi o perchè reputa sufficienti le prove
documentali prodotte dalle parti, o perchè rigetta le istanze istruttorie di prove costituende
formulate dalle parti, può darsi che terminata la fase di trattazione, spesso con l'appendice scritta
di cui all'art 133.6, il giudice si convinca che la causa può essere decisa, senza bisogno di assumere
mezzi di prova.
2)La seconda ipotesi è esattamente speculare a quella che ci ha descritto adesso. È previsa
dall'articolo 188. Il giudice rimette la causa in decisione quando dopo avere assunto le prove
ammesse, ritiene esaurita l'istruzione della causa.
L'ipotesi è speculare perchè il giudice, questa volta, ha ammesso le prove richieste dalle parti, ha
svolto l'istruttoria e, esaurita la fase istruttoria, rimette la causa in decisione.
Queste due prime ipotesi non dovrebbero destare particolari problemi.
Quindi, Il giudice quando rimette la causa in decisione?
-o perchè la ritiene matura per essere decisa senza bisogno di assumere mezzi di prova (art 187.1);
-o perchè ha assunto mezzi di prova ammessi e una volta esaurita l'istruttoria la causa può essere
decisa (art 188).
Le altre ipotesi di rimessione in decisione sono previste dall'articolo 187 secondo e terzo comma.
3) la terza ipotesi: art 187.2: Può rimettere le parti al collegio, affinché sia decisa separatamente
una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire
il giudizio.
L'ipotesi è questa. E' sorta una questione preliminare di merito. Significa che È stata sollevata
un'eccezione o anche rilevata d'ufficio, quando è previsto. In questo caso, il giudice, se ritiene che
la decisione separata dell'insorta questione, può definire il giudizio, Rimette subito la causa in
decisione. L'esempio più semplice, che chiarisce bene il concetto, è quello dell'eccezione di
prescrizione, sollevata dal convenuto. Il convenuto ha l'onere di eccepire la prescrizione nella
comparsa di risposta tempestivamente depositata. È un'eccezione in senso stretto che soggiace a
immediata decadenza. (non sono sicura abbia detto decadenza).
Se il convenuto ha eccepito la prescrizione del diritto, ovviamente non si sarà limitato a questo la
parte... in via preliminare ha eccepito la prescrizione, deducendo l'esistenza di questo fatto
estintivo, il decorso del tempo (l'attore non ha il diritto perchè si è estinto per prescrizione) e poi
ovviamente si sarà difeso, sotto altri punti.
Se il giudice ritiene prima facie l'eccezione di prescrizione fondata, che cosa fa? Perde tempo a
istruire la causa, ad assumere i mezzi di prova richiesti dalle parti, per poi dire alla fine “abbiamo
scherzato il diritto è prescritto”? Evidentemente no! Se l'eccezione di prescrizione appare prima
facie fondata, Il giudice rimette subito la causa in decisione, perchè la decisione della questione
può comportare la decisione del giudizio. Ovviamente si potrebbe verificare l'ipotesi inversa, il
convenuto eccepisce la prescrizione del diritto, il giudice ritiene che questa eccezione sia
infondata... e che cosa fa il giudice? La deve decidere subito? No, la ignora, va avanti e poi la decide
unitamente al merito. Ma se il giudice, ripete, ritiene che l'eccezione sia fondata, quanto meno
prima facie, non sta a perdere tempo a istruire una causa che può essere definita con
l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, è rimessa però alla sua valutazione la serietà della
questione.
Quindi la terza ipotesi di rimessione della decisione si configura quando il giudice ritiene
opportuno promuovere la decisione separata di questioni preliminari di merito, che attengono
all'esistenza del diritto, la cui soluzione può definire il giudizio.
Ripete, quindi, che di fronte all'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, il giudice può
rimettere la causa in decisione, perchè è ovvio, che Se l'eccezione è fondata, l'intero giudizio viene
definito con il rigetto della domanda.
Ma deve essere chiaro che è una valutazione del giudice, una valutazione che egli compie prima
facie, cioè allo stato degli atti, e quindi se gli appare prima facie fondata rimette subito la causa in
decisione, perchè l'accoglimento dell'eccezione comporta la definizione del giudizio, il rigetto della
domanda, se al contrario (questo lo aggiunge la prof, ma è logico) ritiene l'eccezione infondata,
momentaneamente la ignorerà, e alla fine deciderà tutto, questione preliminare e merito.
4)la quarta ipotesi: art 187.3. Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla
giurisdizione o alla competenza, o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che sia decisa
unitamente al merito.
Questa norma l'abbiamo già studiata quando abbiamo visto il regime dell'incompetenza, questa
norma autorizza il magistrato a valutare discrezionalmente la serietà e al fondatezza anche di
questioni pregiudiziali di rito, che tra l'altro possono anche essere rilevate d'ufficio. Se sono
rilevate d'ufficio, dobbiamo ricordare che il giudice, dovrà concedere i termini ex art 101.2, perchè
non può decidere subito senza consentire alle parti di interloquire, se sono state sollevate dalle
parti, anche qui il meccanismo è analogo. Anche qui il giudice deve valutare, sempre prima facie,
allo stato degli atti, se la questione è fondata o no. Ad esempio se il convenuto ha eccepito il
difetto di giurisdizione, oppure l'incompetenza del giudice, e la questione così introdotta nel
processo risulta agli occhi del giudice prima facie fondata, la soluzione di questa questione
comporta la definizione del giudizio, perchè se il giudice accoglie l'eccezione del difetto di
giurisdizione, o incompetenza o altra a contenuto processuale che impedisce la pronuncia di
merito, che cosa fa? Emette una sentenza o un'ordinanza, se si tratta di incompetenza, e chiude il
processo.
Le ipotesi di rimessione in decisione sono 4:
– causa matura per essere decisa senza bisogno di assumere le prove;
– cause per cui è stata espletata la richiesta di istruttoria, e una volta esaurita si passa alla
fase decisoria;
– decisione immediata di questioni preliminari di merito (187.2) e di questioni pregiudiziali di
rito (187.3) che possono definire il giudizio. Ma quando è che possono definire il giudizio?
Quando le relative eccezioni vengono accolte, e quindi quando il giudice prima facie le ha
ritenute fondate. Se non le ritiene prima facie fondate, il giudice le decide alla fine insieme
al merito. È compito suo valutare, con molta prudenza, la serietà e la fondatezza delle
pregiudiziali a contenuto processuale e anche quelle preliminari di merito, per evitare di
avviare un'istruttoria che alla fine si rivelerebbe inutile.
Quindi, Abbiamo individuato le ipotesi in cui la causa viene rimessa in decisione, precisando che
questo momento è deciso dal giudice, e non dalle parti, come si verificava sotto l'abrogato codice.
Sono le quattro ipotesi delineate sopra che si determinano sulla base del combinato disposto degli
art 187, 188 (la prof nella registrazione dice 189, ma penso si sia confusa con il 188, perchè il 189
lo tratta dopo).
Quindi Il giudice quando si determina a rimettere la causa in decisione per una delle quattro
ipotesi esaminate, che cosa fa? Deve fissare un'udienza che si chiama UDIENZA DI PRECISAZIONE
DELLE CONCLUSIONI, nella quale le parti devono appunto svolgere questa attività, cioè formulare
in modo chiaro, preciso e definitivo le conclusioni, le richieste, le domande che vengono sottoposte
al giudice. Nell'udienza destinata a questo scopo, non è consentito introdurre novità di alcun tipo.
Motivo per cui nel manuale del professore Monteleone, ci si chiede quale sia la funzione e l'utilità
di quest'udienza. Sicuramente una funzione di questa udienza potrebbe essere quella di consentire
l'abbandono di alcune domande o eccezioni, in seguito a quelle che sono le risultanze della fase
istruttoria. Cioè la parte Si fa un conto sulla base di come è andata la causa, e decide di
abbandonare qualche domanda, di non reiterare la proposizione di domande o eccezioni o
questioni, più che altro in vista del regolamento delle spese processuali, per evitare di essere
condannato alle spese.
È chiaro che si potrebbe anche ammettere la sopravvenienza di nuove leggi o di nuovi fatti che
possano giustificare alcuni mutamenti del thema decidendum, ma sono ipotesi statisticamente
marginali.
Factum et ius superveniens: fatti e leggi nuovi, che sopravvengono dopo, è chiaro che sono sempre
ammessi nel processo senza preclusione alcuna,è evidente, quindi l'udienza di precisazione delle
conclusioni potrebbe servire anche per la deduzione di queste novità, che sono certamente
consentite, ma al di là di queste ipotesi, la regola è che il thema decidendum, così come il thema
probandum è definitivamente cristallizzato, non più suscettibile di modifica, se non nel senso della
riduzione.
Questa udienza, che in concreto comporta una perdita di tempo notevole... segna l'inizio della fase
decisoria. Ancora non si è pensato di eliminare veramente questa udienza, della cui utilità è lecito
dubitare, per accorciare i tempi del processo. C'è e ce la teniamo.
Inoltre cosa succede? Quindi, sì, Le parti devono precisare le conclusioni. Spesso succede che gli
avvocati si recano in udienza e dicono al giudice che precisano le conclusioni rinviando alle
richieste formulate precedentemente … quindi si perde un sacco di tempo per sentire questa cosa.
In questa udienza però, il giudice fa una cosa importante: assegna alle parti dei termini (ultimi
termini) perentori per il deposito degli ultimi scritti difensivi.
1) comparse conclusionali;
2) memorie di replica.
A che servono questi atti?
La comparsa conclusionale è l'atto con il quale il difensore riassume tutte le difese della parte
assistita, così come sono state definite in sede di precisazione delle conclusioni. È
un atto importante dal punto di vista della strategia difensiva. Tiene conto delle risultanze del
processo, istruttoria ecc... e sulla base di questi elementi l'avvocato è in grado di ripercorrere in
modo ordinato e chiaro le difese del suo assistito e insistere per l'accoglimento o il rigetto della
domanda.
La memoria di replica è un breve scritto difensivo di replica contro la comparsa conclusionale
dell'avversario.
Il deposito di questi scritti è un ONERE per le parti, non è un dovere. Potrebbero anche bypassare
questa fase, se non hanno nulla da dire.
Quindi Lo schema è questo. Il giudice si determina nel senso di rimettere la causa in decisione,
perchè ricorre una delle 4 ipotesi previste. Cosa deve fare? Deve fissare l'udienza di precisazione
delle conclusioni, e in quella sede si apre la TERZA e ultima fase del processo, e in quella sede
concedere i termini perentori per il deposito degli ultimi scritti difensivi.
Una volta fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni, il giudice concede due ulteriori termini
perentori. Il primo di 60 gg per il deposito delle comparse conclusionali + 20 gg per le memoria di
replica.
Art 190: Le comparse conclusionali debbono essere depositate entro il termine perentorio di
sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio (cioè udienza di precisazione delle
conclusioni) e le memorie di replica entro i venti giorni successivi.
Quindi altri 80 gg che Si devono sommare all'addizione fatta la scorsa volta, che abbiamo fatto per
capire quanto dura il processo, sempre che non succeda niente, se non ci sono rinvii o sospensioni.
Adesso passiamo a descrivere in maniera più precisa come si svolge la FASE DECISORIA. Lo
svolgimento della fase decisoria, è leggermente diverso a seconda che a decidere sia il collegio o il
giudice unico.
Anche qui cerca di fornirci uno schema ordinato per capire quali sono le varianti, che non sono
particolarmente difficili.
Partiamo dall'ipotesi dello svolgimento della fase decisoria innanzi al COLLEGIO. Stiamo parlando
dei casi previsti dall'articolo 50 bis. La causa viene rimessa al collegio dal giudice istruttore ai sensi
degli articoli studiati poco fa, 187 e 189, previa precisazione delle conclusioni davanti al giudice
istruttore davanti all'apposita udienza. A questo punto dobbiamo andare avanti con il codice, agli
articoli 275 ss... per quanto riguarda la decisione della causa dinnanzi al collegio.
Art 275.1: “Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta
giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all'articolo 190 .”
Quindi colleghiamoci a quello che abbiamo detto poco fa. Il giudice istruttore ritiene che la causa
debba andare in decisione, fissa l'udienza della precisazione delle conclusioni e assegna i termini
per il deposito delle memorie di replica. Entro i successivi 60 gg dalla scadenza del termine (cioè
quello delle memorie di repliche), ma questo non è un termine perentorio!!! il giudice dovrebbe
emanare la sentenza. E così finisce il processo.
Questo è un iter ordinario. Ora vediamo le varianti che possono profilarsi:
Art 275.2: “Ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa
oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell'articolo
190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente del tribunale
alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.”
Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell'udienza di discussione, da
tenersi entro sessanta giorni.
Nell'udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa. Dopo la relazione, il presidente
ammette le parti alla discussione; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni
successivi.
Qui la legge ci sta dicendo qualcosa in più. Ci sta dicendo che all'udienza di precisazione delle
conclusioni, ciascuna parte può legittimamente chiedere che la causa sia discussa oralmente
dinnanzi al collegio.
La parte, o perchè vuol perdere tempo, o perchè ha da dire delle cose importantissime, determina
un rallentamento ulteriore. Quindi abbiamo l'udienza di precisazione delle conclusioni e una
richiesta di discussione orale dinnanzi al collegio. L'avvocato di una delle parti vuole discutere
oralmente la causa dinnanzi all'organo decidente. Seguono i termini previsti per il deposito delle
comparse conclusionali e per le memorie di replica, la parte deve riproporre l'istanza al presidente,
il quale fissa la relativa udienza e si svolge questa discussione orale dinnanzi al collegio, e infine
abbiamo il deposito della sentenza. Quindi la discussione orale in questo caso non è alternativa al
deposito delle comparse o memorie, si aggiunge. Se una delle parti fa questa richiesta Si ha una
perdita ulteriore di tempo, sostanzialmente si ha una nuova udienza dinnanzi all'organo
deliberante.
Con questa sequenza: udienza di precisazione delle conclusioni, richiesta di discussione orale
dinnanzi al collegio, termini per il deposito degli scritti difensivi, riproposizione della richiesta di
discussione orale al presidente, il presidente fissa la relativa udienza e a partire da quel momento
decorre il termine per il deposito della sentenza. Quindi è un passaggio in più. Un'udienza dinnanzi
al collegio deputata alla discussione orale della causa. Se invece questa richiesta di discussione
orale non c'è stata la sentenza viene depositata entro 60 gg (termine ordinatorio) dalla scadenza
del termine per il deposito delle memorie di replica.
Quindi l'art 275, dal secondo comma in poi, la legge ci sta descrivendo un'evenienza aggiuntiva.
Dinnanzi al collegio funziona così. Il giudice istruttore fissa l'udienza di precisazione delle
conclusioni, assegna i termini per il deposito delle comparse e memorie, dalla scadenza dell'ultimo
termine, ovvero quello delle memorie di replica, l'organo decidente ha 60 gg per emettere la
sentenza e depositarla. Può accadere che all'udienza una parte chieda un ulteriore step, la
discussione orale dinnanzi all'organo decidente e in questo caso scatta la procedura che abbiamo
visto. Inoltrare la richiesta in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, si aspetta la
scadenza dei termini che già conosciamo, si deve reiterare la richiesta, si celebra questa udienza di
discussione orale dinnanzi al collegio e Poi decorrono i sessanta giorni per la delibera della
sentenza.
Questo è in sintesi il procedimento dinnanzi al collegio, che quindi può avere queste due varianti.
Poi, Le regole che attengono alla deliberazione della sentenza sono previste dall'articolo 276, che
basta leggere velocemente.
Art 276:
“La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare
soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione.(se così non è si configura un vizio di
costituzione del giudice ex art 161)
E qui la legge ci spiega secondo quale ordine il collegio dovrebbe deliberare. Quindi attenzione,
non ci confondiamo, la deliberazione della decisione avviene nel segreto della camera di consiglio,
ci sono i tre giudici nella stanzetta che deliberano una sentenza. Prima di fare ciò potrebbe essersi
svolta dinnanzi al collegio la discussione orale della causa richiesta da una delle parti,ma è
un'evenienza.
Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali
proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa.
La decisione è presa a maggioranza di voti, il primo a votare è il relatore, quindi l'altro giudice e
infine il presidente.
Se intorno a una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima
votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una, quindi mette ai voti la
non esclusa e quella eventualmente restante, e così successivamente finché le soluzioni siano
ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva. (questo comma non l'ha letto)
Chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo . La motivazione è quindi stesa
dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla all'altro g iudice.
Si riuniscono, discutono, arrivano al dunque, alla decisione, il Presidente scrive e sottoscrive il
dispositivo, la motivazione che è una parte importantissima della sentenza perchè si spiega l'iter
logico giuridico seguito, in questo caso, dall'organo collegiale, viene stesa dal relatore o dal
presidente.
Collega chiede di precisare da cosa è composto il collegio. La prof dice che il collegio ha 3 giudici,
uno nella veste di presidente (giudice che deve assumere le funzioni di presidente, e precisa la prof
che non deve necessariamente essere il presidente del tribunale), uno nella veste di relatore, e un
altro nella veste di 3 giudice. Il numero di dispari si impone per ottenere la maggioranza.
Intervento di un collega in cui chiede una precisazione per capire se ha capito. La prof risponde che
quando il giudice si convince che si è pronti a passare alla fase decisoria, fissa sempre l'udienza, e
in quella sede l'attore potrà replicare tutto quello che vuole per cercare di convincere il giudice che
l'eccezione è totalmente campata in aria. L'attore va a reiterare in sede di precisazione delle
conclusioni cose che ha scritto prima. Precisare le conclusioni sostanzialmente significa riproporre
tutte le domande, le eccezioni e anche le ordinanze istruttorie eventualmente rigettate. La prof
reputa questa udienza tendenzialmente inutile perchè non si può dire nulla di nuovo, ma serve per
riproporre tutte le domande, incluso le eccezioni e tutte le questioni sollevate, con il vantaggio che
ci sono degli elementi in più, cioè quelli emersi dalla fase di trattazione e istruzione che possono
essere usati per tentare di convincere il giudice che si ha ragione.
Altra richiesta di precisazione del collega relativa all'udienza orale davanti al collegio: Nella
richiesta di udienza orale davanti al collegio, c'è una richiesta di potere parlare oralmente davanti
all'organo decidente. L'organo decidete non incontra gli avvocati, normalmente si chiude in camera
di consiglio e decide, e invece ci possono essere dei casi in cui per l'avvocato della parte è
importante discutere la causa davanti al collegio , è una garanzia questa, oppure vuole solo
perdere tempo, può anche essere.
Questa possibilità è una garanzia per le parti chiaramente, perchè i difensori possono avere un
contatto con l'organo decidente e chiaramente sì comporta un ulteriore rallentamento, ma non è
che allora tutto ciò che comporta un rallentamento deve essere visto come il male assoluto. Il
processo non si può accelerare a discapito della garanzia di difesa. Anche se il trend legislativo
degli ultimi 30 anni è stato questo. Cioè, come riduciamo i tempi del processo? Eliminiamo. La prof
allora, ha rilevato che se proprio dovevano levare qualche cosa, potevano levare l'udienza di
precisazione delle conclusioni, poteva essere surrogata dal deposito degli scritti difensivi. Ma è
stata mantenuta. C'è e ce la teniamo.
Ora ci concentriamo su un ultimo argomento che attiene alla fase decisoria, cioè le EVENTUALI
SENTENZE NON DEFINITIVE. La prof non a caso ha citato il principio della unicità della sentenza
sancito dall'art 177 primo comma. Lei ricorda che nel manuale del professore Monteleone
l'argomento è un po' critico e confuso e ci consiglia di studiare dagli appunti e dall'ordine
dispositivo del codice. ,
Cercherà di spiegarci nel modo più chiaro possibile questo problema ancora oggi oggetto di
dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul discrimen tra sentenze definitive e sentenze non
definitive. C'è per altro una recentissima ordinanza che sollecita la rimessione della questione alle
sezioni unite. Se siamo interessati ad approfondire avremo il materiale caricato. Però questo è
veramente ad abundantiam, perchè se già riusciamo a capire ciò che ci dirà nella seconda parte
della lezione abbiamo assolto il nostro compito per gli esami. Poi chi vuole approfondire magari
glielo fa sapere e possiamo analizzare questo pronunciamento così recente del marzo scorso del
2020 della Cassazione, che ha rimesso di nuovo sul fuoco una questione che sembrava ormai
risolta.
Per concludere sulla deliberazione della sentenza... sappiamo già che la sentenza una volta
emessa, viene pubblicata attraverso il deposito in cancelleria del giudice. E sappiamo anche che la
sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti, questo lo dice l'art 282 cpc, e
cosa significa provvisoriamente esecutiva? Approfondiremo il discorso quando studieremo
l'esecuzione forzata. Significa che la sentenza anche di primo grado, quindi anche una sentenza che
è ancora suscettibile di riforma in sede di impugnazione, comunque è titolo esecutivo, cioè titolo
per procedere esecutivamente contro l'obbligato. Quindi ad esempio il creditore che ha ottenuto la
sentenza di condanna del proprio debitore in 1 grado, anche se il debitore potrebbe ancora
impugnare la sentenza, il creditore parte vittoriosa potrebbe agire esecutivamente, cioè di fronte
all'insistente inadempimento dell'avversario potrebbe attivarsi attraverso i procedimenti di
esecuzione forzata contro i beni del debitore.
Quindi la prof ci fa notare che Una sentenza anche se ancora non è passata in giudicato, e quindi è
suscettibile di impugnazione ordinaria, è comunque titolo per l'esecuzione forzata.
Chiaramente se il nostro ipotetico debitore, parte soccombente in primo grado, propone l'appello,
la prima cosa che chiederà al giudice d'appello è la sospensione dell'efficacia esecutiva di questa
sentenza. Siccome ha proposto appello, se se risulta ragionevolmente fondato, l'accoglimento
porterà ad una riforma totale o parziale della sentenza, allora in quel caso il giudice del gravame
sospenderà o meno l'efficacia esecutiva della sentenza. Ma questa è un'evenienza di cui ci parla
l'art 283 cpc: 1 comma: Il giudice d'appello su istanza di parte, proposta con l'impugnazione
principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione
alla possibilita' di insolvenza di una delle parti , sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva
o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione.
Allora la prof dice che non starà qui a spiegarci ogni inciso di questa norma, perchè costituirà
oggetto delle lezioni del 2 semestre. Ci basta per ora intuire il meccanismo, cioè sappiamo che la
sentenza di primo grado è già titolo esecutivo, chi la impugna, chi ha interesse, può chiedere la cd
inibitoria, cioè che il giudice del gravame, sospenda la efficacia esecutiva oppure l'esecuzione, se
già l'esecuzione è iniziata, della sentenza. In più la legge aggiunge al 2 comma che se l'istanza
prevista dal comma precedente (l'inibitoria)è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice
con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena
pecuniaria compresa tra i 250 euro e 10mila euro. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che
definisce il giudizio.
Questo è stato previsto per scoraggiare gli appelli il cui fine esclusivo era quello di ottenere la
inibitoria e basta. Ma su questo torneremo a tempo debito.
La sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, deve essere notificata a
norma dell'art 170 cpc, cioè al procuratore costituito. Quindi chi è la parte che ha interesse a fare
decorrere il termine breve per impugnare? La parte vittoriosa. Chi ha vinto la causa. Ha interesse
a che decorrano i termini brevi per l'impugnazione, perchè dato che il giudice gli ha dato ragione,
ha interesse a che sentenza diventi immutabile il prima possibile. E quindi decorrano i termini
brevi. Dobbiamo sapere che la sentenza è impugnabile, e che quindi l'ordinamento prevede dei
termini entro i quali è possibile metterla in discussione.
Questi termini sono di due specie:
1. - lunghi: decorre dal deposito della sentenza, che è ormai di 6 mesi.
2. Ma se una parte ha interesse a fare decorrere il termine breve di 30 giorni per proporre
l'appello, deve notificare la sentenza a norma dell'art 170, cioè al procuratore costituito
dell'avversario. Questo adempimento fa decorrere il termine breve per impugnare.
Quindi a quel punto il nostro ipotetico debitore che è condannato in primo grado ha trenta giorni
per proporre l'appello. Se il termine decorre infruttuosamente la sentenza passa in giudicato.
Fermo restano che comunque è titolo esecutivo sin da quando è stata emessa. Basta questo per
completare un po' il quadro...Quindi la sentenza una volta che viene depositata in cancelleria e
quindi pubblicata, potrà essere notificata su istanza di parte ai sensi dell'art 170 e a quel punto
decorrerà il termine breve, fermo restano che la sentenza è già titolo esecutivo, da quando viene
emanata.
Adesso parliamo finalmente della distinzione tra sentenze definitive e non definitive:
1)Innanzitutto chiariamo un aspetto lessicale.
LA SENTENZA DEFINITIVA è la sentenza che DEFINISCE IL PROCESSO. E basta.
Per converso la SENTENZA NON DEFINITIVA è la sentenza che non definisce e quindi non chiude il
processo, che deve proseguire per altre attività e quindi per altre pronunce.
La prof ci ha subito sottolineato come il codice abbia consacrato all'art 277 questo principio della
sentenza unica. Quindi in teoria la regola è che c'è un'unica sentenza definitiva. Mi raccomando
definitivo SIGNIFICA SOLO QUESTO! Non significa passato in giudicato, immutabile, o altro, no!
Definitivo in linguaggio tecnico corretto significa che CHIUDE QUEL PROCESSO. Specularmente non
definitivo significa che non chiude il processo, quindi che dovrà andare avanti per la decisione di
altre domande e altre questioni.
2)Altra precisazione preliminare: Perchè facciamo questa distinzione? Perchè in ogni caso si tratta
sempre di sentenze... questa distinzione si deve fare perchè rileva ai fini di un istituto che si chiama
RISERVA DI IMPUGNAZIONE e che studieremo bene dopo, ma dobbiamo già capire di cosa si
tratta, perchè la riserva di impugnazione è ammessa solo per le sentenze non definitive.
Qual è la differenza?
La sentenza definitiva è immediatamente impugnabile.
La sentenza non definitiva (come quella definitiva) è anch'essa immediatamente impugnabile,
ma c'è una facoltà in più, che è la riserva di impugnazione. Cioè si consente alla parte interessata
di rinviare, postergare l'impugnazione ad un momento successivo, che generalmente coincide con
la pronuncia della sentenza definitiva, senza incorrere nelle presunzione del giudicato, cioè nel
decorso del termine e quindi nel passaggio in giudicato della sentenza.
Quindi la riserva di impugnazione è un istituto concepito ESCLUSIVAMNETE per le sentenze NON
DEFINITIVE, e sostanzialmente attribuisce alla parte interessata la facoltà di rinviare l'impugnazione
ad un momento successivo.
Se nel corso del processo il giudice emette una sentenza non definitiva io non devono
necessariamente impugnarla nei termini, brevi o lunghi che siano, con lo spauracchio che mi passi
in giudicato, potrei anche farmi un conto e vedere come finisce lo spauracchio processuale e
aspettare la pronuncia della sentenza definitiva, nel frattempo, però, per impedire che quella
sentenza passi in giudicato, posso fare riserva, cioè posso (poi lo vedremo bene) con apposita
dichiarazione manifestare la volontà di postergare l'impugnazione ad un momento successivo.
Quindi io posso dire al giudice che voglio aspettare come finisce la questione, aspetto la pronuncia
definitiva, e in caso impugnarle tutte e due assieme. Questo in termini sintetici.
Ripete che questa facoltà è consentita solo per le non definitive. Quindi la distinzione rileva SOLO
AI FINI DI QUESTO ISTITUTO, se no ne avremmo volentieri fatto a meno, perchè la sentenza non
definitiva è comunque una sentenza. Valgono per essa tutte le regole che abbiamo già detto a
proposito della sentenza, come provvedimento decisorio ecc ecc... quindi questa distinzione ha un
rilievo soprattutto PRATICO. Io devo capire se sono in presenza di una sentenza definitiva o non
definitiva per capire se posso fare questa riserva di impugnazione oppure no. I termini, le modalità
che riguardano questa riserva li studieremo dopo, perchè tra l'altro cambiano a seconda che si
tratti di riserva in appello o ricorso per cassazione. Ci concentreremo su questo dopo.
Quello che a noi interessa per il momento è identificare Quali sono queste benedette sentenze
che NON definiscono il giudizio?
Per non entrare nel caos che inevitabilmente generano i manuali su questo argomento la prof ci
dice subito che le sentenze non definitive sono quelle previste da queste due disposizioni:
articolo 278 e articolo 279 numero 4.
1)Innanzitutto guardiamo l'Articolo 278: questa norma prevede la pronuncia della sentenza di
condanna generica.
È la pronuncia con la quale il giudice accerta la sussistenza del diritto ad una determinata
prestazione, però non procede alla conseguente liquidazione, perchè è ancora incerto, è ancora
controversa l'entità del quantum. Classico esempio: Tizio agisce contro Caio lamentando di avere
ricevuto un danno all'immagine per il comportamento di Caio e chiede il risarcimento del danno.
Prima di tutto occorre accertare se il diritto a questo risarcimento esiste, cioè se veramente tizio ha
subito questa lesione che lamenta tizio, se veramente il comportamento di Caio integra gli estremi
della responsabilità risarcitoria.
Allora può accadere che il giudice arrivi alla conclusione che tizio ha diritto al risarcimento,perchè
caio ha posto in essere comportamenti lesivi ecc... e quindi che lo abbia già accertato...
Potrebbe in questo caso, ove Caio glielo richiede, emettere una sentenza di condanna generica,
cioè una sentenza con cui si limita ad accertare che c'è stata la lesione e quindi tizio ha diritto al
risarcimento. Ma il problema ulteriore, che bisogna affrontare, è quantificare il danno. Quindi una
volta che si è accertato che ha diritto ad essere risarcito, poi c'è la necessità di determinare il
quantum dovuto.
Allora, dice l'art 278 cpc:
1 comma: Quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità
della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la
condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la
liquidazione.
La sentenza di condanna generica costituisce il tipico esempio di sentenza non definitiva. Però
stiamo attenti! Perchè si può anche configurare il processo che ha ad oggetto soltanto
l'accertamento del diritto, cioè io potrei solo chiedere al giudice di accertare che ho diritto di
essere risarcito, e poi sul quantum, me la sbrigo in separata sede. Se avviene questo, la sentenza di
condanna generica è sicuramente definitiva, perchè chiude.
Nell'ipotesi ex art 278 dobbiamo immaginare che la parte ha chiesto due cose, cioè ha chiesto:
1) accertare l'esistenza del diritto al risarcimento;
2) condannare al quantum.
Es io deduco di aver subito una lesione alla mia immagine e chiedo 100 milioni di risarcimento. Il
giudice con la prima sentenza mi dice che è vero che ho subito questa lesione e che ho diritto di
essere risarcito ma sul qunatum occorre fornire la prova ecc, e allora in questo caso, io intanto
ottengo una sentenza di condanna generica. E quindi noi potremmo ma pensare... ma che se ne fa
il creditore di questa sentenza di condanna generica? Che non è titolo esecutivo. Non è un titolo
esecutivo perchè non contiene un diritto certo, liquido ed esigibile. Perchè che cosa devo portare
ad attuazione coattiva? Però, è un provvedimento che ha una serie di altri vantaggi, ad esempio è
un titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Quindi c'è l'interesse a chiedere solo la condanna generica.
Nel processo dove sono state proposte entrambe le domande, domanda di accertamento del
diritto, domanda di determinazione del quantum, allora sentenza che accerta solo l'esistenza del
diritto è non definitiva. Non definisce il processo, il processo deve andare avanti perla
determinazione del quantum.
Però se io ho incardinato un processo chiedendo solo l'accertamento del diritto al risarcimento la
relativa sentenza, ancorché di condanna generica, sarà definitiva, perchè mi chiude quel processo.
Nell'ipotesi di cui all'art 278 allora quando il giudice si è convinto che tizio ha subito la lesione, può
intanto emettere questa sentenza che condanna Caio a risarcire il danno, ma questi danni non
sono quantificati. E poi con separata ordinanza disporre per la prosecuzione del processo e quindi
emettere una sentenza definitiva.
Mettiamoci dal punto di vista di Caio, Caio convenuto si trova questa sentenza che già gli ha dato
torto, però potrebbe decidere di farsi un conto, e vedere quanto alla fine lo inchiumma (ha usato
questo termine) il magistrato, perchè potrebbe anche non inchiummarmi niente perchè il danno va
provato. Oppure magari quello mi ha chiesto 100 milioni e il giudice mi liquida 5 mila euro. Quindi
in questo caso la parte ha interesse a vedere come finisce la vicenda. Quindi perchè deve
impugnare subito? Fa riserva. Ecco il senso di questa facoltà. Potrebbe impugnarla subito, il medico
non glielo vieta e nemmeno la legge, mala riserva è stata concepita per questo motivo, è probabile
che poi con la sentenza definitiva la parte poi non si determina a impugnare nulla.
Allora, sicuramente la sentenza di condanna generica costituisce un esempio di sentenza non
definitiva, però quando? Quando il giudice dispone per la prosecuzione del processo che deve
andare avanti per la determinazione del quantum. Ma se questo quantum non è stato chiesto, la
sentenza sarà definitiva.
Questo è il senso della riserva di gravame.
Poi la legge dice anche al secondo comma:
In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare
il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già
raggiunta la prova.
Un collega fa una precisazione e la prof ci invita a stare attenti a non confondere la condanna alle
spese del giudizio, con la condanna al quantum del risarcimento.
La prima è una statuizione a parte, ovvero la condanna alle spese giudiziali, che tra l'altro c'è
sempre, anche in assenza di un'apposita istanza della parte. Sempre il giudice, dice l'articolo 91,
quando definisce il giudizio condanna alle spese. Questa statuizione accessoria che c'è sempre,
attribuisce la qualificazione della definitività alla sentenza. Questo ci dice la giurisprudenza. Ma ce
lo dice per evitare caos. Perchè la condanna alle spese è un indice formale, obbiettivo, che non
lascia adito ad interpretazioni discordanti, per cui in teoria l'avvocato sa che c'è la condanna alle
spese la sentenza è definitiva e quindi si deve sbrigare a proporre appello, non ha la possibilità di
proporre riserva.
Su questo argomento noi torneremo dopo. Ora la dobbiamo sapere in linea generale, era doveroso
farci questa spiegazione volutamente sintetica. Quando studieremo i mezzi di impugnazione,
quindi la riserva di appello, la riserva di ricorso per cassazione, dovremmo riuscire a capire bene le
relative disposizioni, che sono congegnate in modo diverso per l'appello e per la cassazione, e
quindi potremo riuscire a cogliere quella ulteriore diversità.
È necessario aver capito intanto questo: sentenza definitiva significa che chiude, sentenza non
definitiva che non chiude. Poi dobbiamo dire sicuramente quali sono le non definitive, e poi si
solleva il problema relativo alle sentenze che statuiscono su alcune domande. Il 279 numero 4
parla di questioni. Quindi quelle su domande come devono essere considerate? La giurisprudenza
dice che sono definitive se contengono un provvedimento formale di separazione delle cause
ovvero la condanna alle spese giudiziali (Intesa come separazione implicita). Se mancano questi
indici formali la sentenza è non deifnitiva.
Monteleone sulla scia di altri autorevoli studiosi dice no. Non definitiva è la sentenza su questioni,
che è cosa diversa da sentenza su domanda. E propenderebbe per la tesi, ormai superata, cd
sostanzialista, per cui è definitiva la sentenza che pronunci su domanda autonoma che attribuisce
o meno un determinato bene della vita, a prescindere da quelli che sono gli indici formali.
Orientamento ormai abbandonato perchè crea il rischio di confusione, mentre gli indici formali
sono dato oggettivi e dovrebbero tagliare la testa al toro. Dovrebbero. Perchè come vediamo
nell'esempio proposto i problemi sorgono ugualmente.