Federico Montecucco
NEUROPSICOSOMATICA 1
LA NEUROEVOLUZIONE DEL SÉ PSICOSOMATICO E LE NEUROPERSONALITÀ
LE BASI TEORICHE DELLA NEUROPSICOSOMATICA
Istituto di Neuropsicosomatica
Villaggio Globale di Bagni di Lucca
Bozza del 25 Novembre 2017
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INDICE
1. INTRODUZIONE BIOGRAFICA: ESPERIENZE DI CAMBIO DI PARADIGMA
PRIMO VOLUME: LE BASI TEORICHE DELLA NEUROPSICOSOMATICA
1. CAPITOLO PRIMO: IL NUOVO PARADIGMA PSICOSOMATICO
E LA RICERCA SCIENTIFICA DELLA COSCIENZA DI SÉ
2. CAPITOLO SECONDO: IL SÉ PSICOSOMATICO ALLA LUCE DELLE NEUROSCIENZE.
Dalla Frammentazione del Cervello all’Unità del Sé
3. CAPITOLO TERZO: LA MAPPA DEL SÈ PSICOSOMATICO
E DELLE NEUROPERSONALITÀ
4. CAPITOLO QUARTO: I SISTEMI EMOTIVI E LE NEUROPERSONALITÀ
Le basi neurobiologiche della personalità umana
5. CAPITOLO QUINTO: I SISTEMI EMOTIVI PRIMARI E IL SÉ CORPOREO
PIACERE
RICERCA
PAURA-ANSIA
RABBIA-DOMINANZA
SESSUALITA’
6. CAPITOLO SESTO: I SISTEMI EMOTIVI EVOLUTI E IL SÉ EMOTIVO
CURA-AFFETTO
PANICO-TRISTEZZA
RICERCA-PASSIONE
GIOCO - SOCIALIZZAZIONE
FANTASIA- SPIRITUALITÀ
7. BIBLIOGRAFIA
NEL SECONDO VOLUME SARANNO TRATTATE:
LE BASI CLINICHE DELLA NEUROPSICOSOMATICA
• CAPITOLO SETTIMO: LO STRESS E I SISTEMI DI DIFESA DEL SÉ PSICOSOMATICO
• CAPITOLO OTTAVO: GENESI E STRUTTURA DEI DISTURBI E DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI
GENERALI O ASPECIFICI
• CAPITOLO NONO: IL PROTOCOLLO MINDFULNESS PSICOSOMATICA PMP
• CAPITOLO DECIMO: I DISTURBI E BLOCCHI PSICOSOMATICI SPECIFICI DEI SISTEMI
EMOTIVI E DELLE NEUROPERSONALITÀ
• CAPITOLO UNDICESIMO: I DISTURBI DEL SÉ, I TRAUMI E I BLOCCHI PSICOSOMATICI PROFONDI
• CAPITOLO DODICESIMO: LE VALIDAZIONI DI EFFICACIA CLINICA DEL PROTOCOLLO PMP
• BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE BIOGRAFICA
ESPERIENZE DI CAMBIO DI PARADIGMA
Mi reputo una persona fortunata perché sto vivendo questo critico momento di transizione umana e
sociale verso una società globale, ma soprattutto perché i sottili fili degli eventi mi hanno portato a
prendere parte all’avventura scientifica che sta rivoluzionando la nostra comprensione della natura
dell’essere umano e della realtà, superando i limiti del vecchio paradigma basato sulla dicotomia tra
corpo e anima, e muovendosi verso il nuovo paradigma della consapevolezza e dell’unità psicosomatica.
La dicotomia scientifica tra corpo e coscienza
La mia ricerca di un nuovo paradigma è iniziata da molto giovane, ero affascinato dalla coscienza di Sé e
dall’intelligenza umana e degli esseri viventi, di come questa misteriosa capacità cognitiva si adattasse
alla vita modificando le strutture biologiche e si evolvesse in complessità dagli esseri più primitivi fino al
pensiero razionale e alla consapevolezza umana. Cominciai a farmi domande sulla natura scientifica della
coscienza a cercare risposte nei libri o interrogando i miei docenti. Per anni, non trovai soddisfacenti
risposte ma solo interpretazioni riduttive e banalmente meccaniciste.
Volevo studiare biologia o zoologia. Dal 1969 al 1972, partecipai e collaborai ai campi scientifici
multidisciplinari della FOIST (Fondazione per lo Sviluppo e la Diffusione dell’’Istruzione e della Cultura
Scientifica e Tecnica), dove ebbi delle lunghe e affascinanti discussioni con il Prof. Ettore Tibaldi, docente
di zoologia dell’Università di Milano, sulla natura della vita e dell’evoluzione. Mi resi conto, con estremo
sconcerto, che la scienza non riconosceva minimamente il sostanziale apporto della coscienza di Sé e
dell’intelligenza, ma considerava la struttura del vivente e dell’intera evoluzione solo come un sistema
meccanico che si progrediva in modo del tutto casuale.
Negli stessi anni lessi gli Aforismi sullo yoga di Patanjiali, edito dalla Boringhieri, con il commento di
Corrado Pensa e iniziai a prendere consapevolezza della dimensione profonda di me stesso, seguendo il
kriya yoga di Yogananda, la vipassana e la lettura di testi di differenti scuole spirituali
Avendo scartato biologia mi iscrissi a Medicina. Dal 1971 al 1973, come studente di medicina, ho
collaborato con grande passione e interesse con il Prof. Bruno Bara, presso l’Istituto di Psicologia della
Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Milano, alle ricerche sul problem solving e l’artificial
intelligence e sulla comunicazione non verbale nell’apprendimento. Il nostro approccio metodologico era
strettamente sperimentale e in stretta collaborazione con l’Istituto di Statistica e Biometria del Prof.
Giulio Alfredo Maccacaro. Anche in quel contesto, mi resi conto che, all’interno di quella concezione
cognitivo-comportamentale della psicologia, era completamente rimossa e negata la realtà della
coscienza e del Sé come motore centrale dell’essere umano e di ogni sua esperienza e conoscenza. Mi
sembrava che, senza la coscienza di Sé, tutte le immense conoscenze scientifiche riguardanti la vita,
l’evoluzione e la natura dell’essere umano, diventassero prive di valore e di senso.
Decisi così di interrompere medicina e per due anni, mi ritirai a lavorare la terra in una piccola proprietà
agricola di famiglia, chiamata “Pomo Rosso”, nell’Oltrepò Pavese. Durante questo periodo di riflessione,
lessi molti testi e presi maggiore consapevolezza della spaccatura tra scienza e coscienza, ma anche delle
molte medicine e psicologie alternative e degli sviluppi negli studi scientifici sulla coscienza che Eccles,
Popper e altri scienziati già proponevano. Mi era diventato chiaro che le ragioni di questa dicotomia che
separava materia e coscienza era dovuta da un lato alla poca esperienza diretta della consapevolezza di
Sé stessi e dall’altra alla difficoltà di studiare scientificamente la coscienza, ricerca che richiedeva una più
elevata sensibilità nelle tecniche di indagine strumentale e un parallelo approfondimento della
metodologia sia della ricerca neurale che della dimensione psicologica. Decisi allora di ritornare a
medicina e di portarvi il mio contributo per promuovere un nuova visione, più unitaria e psicosomatica
dell’essere umano e della sua evoluzione. La sfida era di riscoprire le leggi e le funzioni della coscienza
utilizzando nuovi strumenti e nuove metodologie scientifiche e di indagine oggettiva sulle funzioni
cerebrali e neuroendocrine e di indagine soggettiva orientata alla dimensione psicologica della
conoscenza di Sé. Avrei dovuto aspettare almeno due decenni perché queste condizioni si realizzassero.
Le basi del nuovo paradigma tra oriente ed occidente
Mi sono laureato in medicina nel 1979, con una tesi sulla psicosomatica, in cui ho riunito i modelli
energetici dello yoga, della medicina tradizionale tibetana e cinese, con le conoscenze mediche e
scientifiche sull’interazione tra psiche e malattia. Presi il massimo dei voti e il vicerettore, al temine della
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vivace discussione, mi strinse la mano dicendomi: Complimenti, lei ha messo una bomba nell’edificio della
medicina moderna!
Dopo la laurea, decisi di prendermi un periodo sabbatico e andare a vivere e in India, dove per tre anni
lavorai come medico. Vissi in ashram, monasteri e centri di medicina indo tibetana, per approfondire la
medicina, la psicologia e la spiritualità orientale e per esplorare ancora più intensamente gli stati di
meditazione profonda delle differenti tradizioni, dalla vipassana, al kundalini yoga, all’advaita vedanta, al
samadhi ed, in particolare, gli effetti di queste potenti pratiche sulla salute psicosomatica e sulla crescita
interiore. Conobbi e meditai con Krishnamurti, Osho, Ramesh Balsekar e con lama tibetani. Quelle
esperienze cambiarono profondamente la percezione e la comprensione di me stesso e del senso della
mia esistenza.
Nel 1984, decisi di andare a vivere negli Stati Uniti, nella Bay Area di San Francisco, per approfondire la
dimensione scientifica occidentale, le ricerche sul cervello e le pratiche di psicoterapia e di crescita
personale. Partecipai a molti incontri di ricercatori e studiosi californiani. Conobbi Eva Reich, la figlia di
Wilhelm Reich, i fisici quantistici di Berkeley e la biofisica Beverly Rubick, esperta di medicine non
convenzionali per l'associazione medica americana, che mi invitò a tenere una lezione sulla medicina
psicosomatica alla University of Oakland. Cresceva la chiara consapevolezza che i tempi storici erano
maturi per un nuovo paradigma. Sperimentai decine di gruppi di crescita personale, psicoterapia, Gestalt,
bioenergetica avanzata, all’interno di quello che veniva chiamato lo Human Potential Growth Movement.
Emerge il modello del Sé psicosomatico
Nel 1985, nel mio appartamento a Berkeley, mentre scrivevo un libro sulla vita e la consapevolezza, per
Riza Psicosomatica, cercando di capire la natura psico-fisica dell’unità del vivente, dalle cellule agli esseri
umani, sperimentai un istante di profonda consapevolezza e lucidità in cui
tutte le conoscenze che avevo selezionato negli anni si riunirono in una
comprensione unitaria.
La normale percezione del mio corpo fisico in cui è racchiusa la mia
coscienza si trasformò e si invertì di prospettiva. Percepii la mia coscienza
come un campo sferico luminoso che conteneva e animava l’intero mio
corpo. Tutto era informazione viva e intelligente, in movimento. Sentivo il
Sé, la mia centro di identità, come una luce più intensa al centro del sistema,
nella zona del cuore.
Percepivo il mio essere come una unità: un “Sé psicosomatico”, una
sensazione pulsante che si estendeva a tutte le mie cellule e un po’ anche tutto intorno al mio corpo fisico,
come un campo di energia elettromagnetica.
Ogni parte era intimamente connessa al tutto.
Questo stato di consapevolezza intensa durò un tempo limitato, forse qualche minuto.
Questo momento di lucida comprensione cognitiva lasciò un segno indelebile. Realizzai immediatamente
che questo era il nucleo del nuovo paradigma a lungo ricercato, il modello psicosomatico di coscienza di
Sé, capace di superare i limiti del vecchio paradigma dicotomico e di creare le basi di una grande sintesi
in grado di riunire scienza e consapevolezza, in una visione unitaria.
Compresi che ogni essere vivente è un sistema unitario, un campo di consapevolezza in cui il Sé centrale
governa e regola ogni parte del sistema attraverso una rete coerente che riceve, elabora e integra le
informazioni in un continuo circuito feedback ricorsivo e autoreferente che ne garantiva l’intrinseca
unità.
Questa esperienza mi portò alla comprensione delle cellule e degli organismi viventi come “sistemi
unitari”, in cui i circuiti metabolici e le reti neuronali erano come flussi più concentrati, come fossero
flussi e circuiti luminose di informazione su fibre ottiche neurobiologiche, che connettevano ogni cosa in
ogni direzione e insieme costituivano una totalità: un’unica “coscienza sistemica”.
Decisi di chiamare “Cyber” questo modello del Sé psicosomatico, mutuando il termine dalla cibernetica, la
scienza delle informazioni e dalla radice greca kubernetes, il governatore, in quanto il Sé è il centro
cognitivo di coscienza che “governa” l’intera rete psicosomatica delle informazioni.
Da quel momento, la comprensione del modello divenne così naturale e semplice da risultare ovvia.
Pensai, quindi, che un modello analogo o un’idea simile fosse già stata sicuramente intuita e formulata da
altri scienziati o studiosi. Ricordo che passai giornate intere nella biblioteca dell’Università di Berkeley,
famosa per aver avuto 22 Nobel tra i suoi docenti e per avere una delle prime biblioteche computerizzate
già nel 1984, senza tuttavia trovare nessun riferimento, testo o minimo accenno bibliografico ad un
simile modello informatico di coscienza.
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La necessità storica di strumenti per l’evoluzione della consapevolezza globale
Questa esperienza mi aveva toccato profondamente. Restai ancora due anni negli Stati Uniti, nella West
Coast, per approfondire la comprensione del paradigma olistico che stava emergendo in quegli anni e
concludere le esperienze di crescita della consapevolezza che avevo iniziato. In quei due anni, ebbi due
incontri spirituali particolarmente significativi. che mi fecero comprendere l’importanza di utilizzare il
concetto di consapevolezza de Sé, non solo come base per una nuova medicina psicosomatica ma
soprattutto come strumento di crescita personale, per risvegliare una più vasta coscienza globale. Il
messaggio veicolato da numerosi incontri, articoli e libri esponeva in modo evidente che stavamo
vivendo un momento di transizione verso una civiltà planetaria e che questo passaggio richiedesse
efficaci strumenti e nuovi modelli scientifici per liberarsi dei vecchi schemi e permettere alla
consapevolezza di evolvere e realizzarsi. Il quadro era sufficientemente chiaro: decisi quindi di tornare in
Italia ed iniziare una vera ricerca a 360 gradi per dare basi scientifiche, sostegno epistemologico e
concretezza clinica al modello psicosomatico che avevo intuito e che, nel frattempo, era cresciuto e
maturato.
Nasce la rivista Cyber e l’Istituto di Psicosomatica
Nel 1988, a Milano, con l’amico Federico Ceratti, editore di Riza Psicosomatica, fondiamo Cyber il mensile
scientifico monografico di informazioni olistiche su cervello/mente/coscienza, da cui nasce l’Istituto di
Psicosomatica, come centro di studi e di ricerche sul nuovo paradigma psicosomatico e come centro di
medicina e psicoterapia ad orientamento psicosomatico. In questo istituto, si sperimentano gli approcci
clinici medici e psicoterapeutici più innovativi e funzionali del modello psicosomatico, orientati alla
crescita personale e alla consapevolezza di Sé.
Intorno alla rivista Cyber e all’Istituto di Psicosomatica, sin dagli esordi, si riunisce un comitato
scientifico, costituito da personalità di grande consapevolezza e conoscenza, con un approccio
interdisciplinare e transdisciplinare; in particolare, esperti in psicosomatica e medicine tradizionali,
psichiatri, psicologi e psicoterapeuti di differenti scuole, sostenuti da fisici quantistici, biologi,
evoluzionisti e filosofi della scienza. Il nostro comitato scientifico si è impegnato nel progetto, o meglio
nell’avventura conoscitiva, di sviluppare un nuovo “paradigma psicosomatico”, come modello unitario
dell’essere umano, capace di includere, da un lato, le antiche medicine sacre e le differenti tradizioni
spirituali, dall’altro, i contributi clinici medici e psicoterapeutici internazionali, sempre basandosi su un
approccio empirico e sperimentale fortemente ancorato alla documentazione scientifica e alle ricerche
neurofisiologiche.
Le principali linee di ricerca sono: 1) le basi neurofisiologiche della coscienza e del Sé psicosomatico, 2)
le ripercussioni psicosomatiche dei blocchi del Sé e dell’inibizione delle sue funzioni, 3) la mappa
integrata tra la medicina yogica dei chakra e delle nadi, la medicina cinese e tibetana dei canali e degli
shén, rapportata alle neuroscienze e alla medicina occidentale, 4) le ricerche sul cervello e sulla coerenza
EEG, 5) la ricerca delle applicazioni cliniche mediche e psicoterapeutiche, per concretizzare le
conoscenze teoriche in pratiche utili alla salute psicofisica e alla crescita della consapevolezza personale,
6) le ricerche sulla PNI, la psico-neuro-immunologia, (base della futura PNEI) e le relazioni
psicosomatiche tra emozioni e sistema immunitario, 7) la Mappa Neuropsicosomatica del Sé.
Nel 1990, pubblichiamo il “manifesto olistico” e organizziamo il primo convegno sul nuovo paradigma
psicosomatico su basi scientifiche.
La ricerca dell’unità neuropsichica
Sin dall’inizio, abbiamo sviluppato un’intensa attività di ricerca scientifica e sperimentazione, per
comprendere in termini scientifici la natura della consapevolezza profonda, in relazione alla salute
psicofisica e alla crescita personale.
Il nucleo della ricerca del nostro istituto era studiare e sperimentare come, le differenti parti del cervello,
venissero unite dalla coscienza di Sé, in un network neuronale altamente sincronizzato e coerente.
Nel 1991, sviluppiamo e realizziamo un avanzato elettroencefalografo computerizzato, capace di
misurare la coerenza elettroencefalografica e la sincronizzazione cerebrale e iniziamo la lunga serie di
ricerche sulle relazioni tra coerenza EEG, malattie e stati di consapevolezza profonda di Sé. I risultati
sperimentali, che saranno brevemente descritti nel primo capitolo, confermano con grande consistenza
statistica la nostra ipotesi del network neurocognitivo autoreferente e mostrano come la coscienza, o
meglio la consapevolezza di Sé, generi unità e coerenza EEG, sincronizzando le differenti aree fisiche,
emotive e cognitive del cervello e dando origine alla percezione di integrità del Sé psicosomatico.
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Immediatamente, rileviamo che le aree frontali sono maggiormente coinvolte in questo processo, dato
poi confermato da una moltitudine di ricerche tra cui quelle di Damasio (1994) sull’importanza della
corteccia frontale e orbitale prefrontale.
Una più precisa conferma del nostro modello psicosomatico arriverà nel 1998, con l’ipotesi del Nobel
Edelman del “Dynamic Core of Consciousness”, come network coerente tre le differenti aree talamo-
corticali del cervello (Tononi e Edelman, 1998). Con il nuovo elettroencefalografo computerizzato,
iniziamo una sperimentazione che durerà anni, per testare le differenti tecniche terapeutiche e le
pratiche di meditazione, allo scopo di selezionare le più efficaci e le più appropriate da utilizzare nella
cura dei disturbi psicosomatici, sia individualmente sia in gruppo.
Dal 1993 al 1994, pubblichiamo i cinque volumi dell’Enciclopedia Olistica, basata sul nuovo paradigma
psicosomatico e, due anni dopo, i due volumi di “Psicosomatica Olistica”.
Ervin Laszlo e il Club di Budapest
Nel 1995, a Firenze, incontro Ervin Laszlo, filosofo della scienza, teorico dei sistemi, due volte candidato
al Nobel per la Pace e si apre un nuovo capitolo della ricerca sul paradigma olistico. Nonostante la
differenza di età, sin dall’inizio, la nostra relazione è stata caratterizzata da una profonda intesa e da una
grande assonanza di intenti e orientamenti. Scopriamo che abbiamo sviluppato due linee di ricerca
parallele, entrambe orientate alla comprensione del nuovo paradigma scientifico e al risveglio di una
nuova consapevolezza planetaria. Ervin aveva già ricoperto incarichi di prestigio come docente in
diverse università americane, europee ed esiatiche, come direttore dell’Istituto UNITAR (United Nations
Institute for Training and Research) delle Nazioni Unite, come consulente scientifico di Federico Mayor,
Direttore Generale dell’UNESCO, ed era universalmente noto per le sue teorie sull’evoluzione dei sistemi
viventi e per i suoi numerosi libri tradotti in 13 lingue. Dopo aver collaborato con Aurelio Peccei al Club
di Roma, aveva appena fondato il Club di Budapest e noi stavamo per iniziare l’avventura del Villaggio
Globale, in cui i destini di queste due associazioni si incontrano.
Nasce il Villaggio Globale di Bagni di Lucca
Nel 1996, a Bagni di Lucca, nel verde della Toscana, fondiamo l’associazione Villaggio Globale, come
centro di cultura internazionale orientata al nuovo paradigma. Nella storica Villa Demidoff, trasferiamo
la sede dell’Istituto di Psicosomatica, dove iniziamo ad operare come Scuola di Formazione e Centro di
Ricerche.
L’indirizzo psicoterapeutico, metodologico e teorico culturale della nostra scuola, basato sul paradigma
psicosomatico, permette di comprendere l’essere umano come un sistema unitario e multidimensionale
che pone al centro la consapevolezza di Sé e include ed integra le differenti dimensioni: cognitiva,
emozionale, relazionale e somatica, come reti dinamiche funzionali.
Il nostro istituto, per mantenere un costante livello di aggiornamento e approfondimento, sia per i
docenti, sia per gli allievi, ogni anno organizza un Convegno Internazionale di due giorni, oggi alla sua 28°
edizione, sui temi della medicina e psicoterapia ad orientamento psicosomatico e sulla ricerca
neuropsichica ad esse associata.
I temi degli ultimi convegni, a cui vengono invitati psicoterapeuti, medici, psichiatri, ricercatori italiani e
stranieri, hanno esplorato argomenti chiave, come le basi neurofisiologiche e gli avanzamenti
psicoterapeutici riguardanti: depressione, crisi di panico, ansia, stress, paura, evitamento, disturbi
affettivi e dell’umore, lavoro sulle emozioni, effetti clinici della consapevolezza di Sé e della mindfulness
psicosomatica, disturbi di personalità, clinica psichiatrica, terapia familiare e di coppia.
Il comitato scientifico
Il comitato scientifico del nostro istituto, oggi annovera ricercatori universitari, medici, psicoterapeuti e
accademici di fama internazionale. In particolare, abbiamo collaborato, fino a pochi anni prima della loro
scomparsa, con il neurofisiologo Henri Laborit, uno dei pionieri delle neuroscienze, famoso per la
scoperta della clorpromazina, con cui abbiamo approfondito il fenomeno dell’“inibizione dell’azione” in
psicoterapia, con il neuroscienziato e psicologo Karl Pribram, conosciuto per la sua teoria del cervello
olografico, che partecipò ad uno dei nostri primi convegni internazionali, con i fisici quantistici Giuliano
Preparata ed Emilio del Giudice, del Centro delle Alte Energie dell’Università di Fisica di Milano, coi quali
abbiamo approfondito le logiche dell’entanglement quantistico e dell’informazione coerente, come
motore dell’evoluzione dei sistemi viventi.
Con Candace Pert e Michael Ruff, ricercatori presso il NIMH (National Institute of Mental Health) e
scopritori delle endorfine e dei neuropeptidi, che hanno partecipato al nostro Convegno Internazionale
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di Psicosomatica, abbiamo esplorato e condiviso conoscenze e intuizioni per approfondire la PNEI e il
ruolo delle emozioni nei disturbi psicosomatici e nella loro cura. Negli ultimi anni, è stato nostro relatore
al nostro Convegno Internazionale di Psicosomatica anche il Prof. Jaak Panksepp, psicologo e ricercatore
in neuroscienze, presso la Washington State University, scopritore dei sette principali neurocircuiti delle
emozioni e delle loro importanti implicazioni in psicoterapia. Con Panksepp abbiamo approfondito come
i sette sistemi emotivi potevano essere visti come basi delle “neuropersonalità” umane e così contribuire
ad un approccio psicosomatico più articolato ed efficace in psicoterapia e nella crescita personale. Per
noi ogni tassello di comprensione, basato sui dati delle ricerche scientifiche, diventava un ulteriore
elemento della complessità del nuovo paradigma psicosomatico e delle sue ripercussioni sul salto di
consapevolezza a livello globale.
Tra i docenti della nostra Scuola di Psicoterapia contiamo esperti e caposcuola italiani e internazionali di
medicina olistica, medicina tradizionale cinese e tibetana, psicoterapeuti di differenti orientamenti e
group leader che operano a livello internazionale per la consapevolezza di Sé e la crescita personale.
La Neuropsicosomatica
La psiconeuroimmunologia (PNI), madre della futura PNEI, fu, sin dagli inizi, uno dei nostri punti centrali
di studio. Nel 1989, sulla rivista Cyber, pubblicammo la prima monografia sulle relazioni tra mente, corpo
ed emozioni, con un articolo di otto pagine sulla PNI e la relazione tra emozioni e sistema immunitario,
con i primi studi di Robert Ader e Nicholas Cohen, di Candace Pert e Michael Ruff, di Karen Bulloch,
George Solomon, Edwin Blalock, David Felten, Allen Goldstein e Sandra Levy.
Le neuroscienze, ed in particolare la PNEI, hanno fornito, negli ultimi decenni, un contributo
fondamentale per la validazione scientifica del paradigma psicosomatico, offrendo una comprensione
unitaria dell’individuo, considerato come un “network psicosomatico” governato dal Sé: una rete globale
in cui mente, emozioni, corpo e coscienza, rappresentano inscindibili dimensioni funzionali del sistema
stesso.
Il contributo di Francesco Bottaccioli, in questo processo di rivoluzione di paradigma, è stato
importantissimo. Nel 1995, Bottaccioli pubblica la prima edizione di Psiconeuroendocrinoimmunologia,
un libro di rara chiarezza e logica, scritto con un linguaggio giornalistico scorrevole, in cui presenta
vecchi e nuovi dati sulle ricerche della PNI, con l’appassionante senso storico di essere testimoni di un
epocale cambio di paradigma. Il libro mostra una nuova comprensione unitaria dell’essere umano, non
più frammentato in aree cerebrali o sistemi funzionali, ma come network unitario psicosomatico.
Ci sentiamo profondamente il sintonia con il suo lavoro e lo adottiamo come libro di testo della nostra
scuola.
Nel 2005, con la seconda edizione di Psiconeuroendocrinoimmunologia, la PNEI diventa un paradigma
accettato anche a livello accademico ufficiale e all’unanimità decidiamo di farlo diventare uno dei pilastri
scientifici dell’Istituto di Neuropsicosomatica.
Questo principio epistemologico scientifico implica che in ogni forma psicopatologica o traumatica i
fattori psicologici, e in particolare quelli emotivi, siano intrinsecamente connessi ai fattori somatici e
viceversa. L’approccio psicoterapeutico che deriva da questo modello si propone come una pratica
clinica “multidimensionale” che va ad agire sulle specifiche problematiche del singolo individuo,
attraverso tutte le dimensioni del Sé: corporea, emotiva, cognitiva e relazionale, intervenendo
direttamente su di esse con tecniche appropriate e con una teoria generale che le guida in modo organico.
Negli ultimi vent’anni, il nostro istituto ha potuto constatare l’efficacia della pratica psicoterapeutica ad
orientamento psicosomatico e validare statisticamente, attraverso le nostre numerose ricerche, i risultati
clinici su un’ampia gamma di disturbi psicologici e psichiatrici, sia a livello individuale, sia di gruppo.
L’apporto delle neuroscienze e della PNEI al modello psicosomatico
Negli ultimi decenni, la concezione psicosomatica dell’unità mente-emozioni-corpo e il ruolo chiave delle
emozioni nella regolazione dei disturbi psicologici e psicosomatici del Sé, hanno ricevuto una serie di
importanti conferme da parte delle neuroscienze, dalle ricerche in psicofisiologia e in particolare dalla
PNEI. Pert sostiene che non è più possibile separare l’aspetto fisico dall’aspetto emotivo e mentale, ma
“bisogna parlare di mente-corpo come di un’unica entità integrata”.
Con Candace Pert e Michael Ruff approfondiamo molti punti critici del nuovo paradigma e ci sentiamo in
profonda sintonia sia nell’approccio scientifico che umano e interiore.
Le ricerche delineano con sempre più dettagli un “paradigma psicosomatico PNEI” ed evidenziano come i
differenti sistemi dell’essere umano formino un “network psicosomatico”, una rete di circuiti psicologici,
neurologici, emotivi e somatici governati dal Sé: la coscienza centrale del sistema. Il concetto di “network
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psicosomatico” è alla base di un nuovo modello psicoterapeutico integrato, in cui si riconosce anche la
nostra scuola.
Le intuizioni della psicoterapia ad orientamento psicosomatico, trovano qui una forte conferma
scientifica che prova chiaramente come le basi corporee influenzino la psiche, ma anche come i pensieri e
le emozioni influenzino il corpo, il sistema immunitario, il sistema endocrino e nervoso, base di tutte le
patologie psichiatriche e psicologiche. Lo stato di salute psicologica è quindi dipendente da una
molteplicità di cause e la cura dei disagi e delle patologie, sia psicologiche sia psichiatriche, deve
diventare necessariamente un approccio multidimensionale.
Le ricerche della PNEI stanno contribuendo ad un’evoluzione della visione psicologica classica, offrendo
una comprensione profondamente unitaria e psicosomatica dell’essere umano ed evidenziando l’intima
relazione tra gli aspetti fisici e psicoemotivi.
Nel nostro modello psicoterapeutico, il “paradigma psicosomatico PNEI” si è rivelato di grande aiuto,
fornendo le basi neurofisiologiche capaci di spiegare i sottili meccanismi che legano i processi psichici
con i corrispondenti processi fisiologici, emotivi, comportamentali e sociali, intesi come un sistema
organico e unitario.
Questo ci permette un più preciso inquadramento clinico ed un conseguente migliore intervento
terapeutico.
Olos e Globalshift: i due video manifesto del nuovo paradigma
Nel 2010, realizzo il film Olos, l’Anima della Terra, il nuovo paradigma scientifico e nel 2014 il film
Globalshift, il Rinascimento della Coscienza Globale, due video manifesti della nuova cultura planetaria
emergente. I due film mostrano come i disastri ecologici, sociali ed umani, possano essere risolti
attraverso una nuova coscienza globale e come ogni cittadino della Terra possa realizzare un salto di
consapevolezza e diventare un protagonista attivo e creativo del cambiamento verso una società più
etica, sostenibile e pacifica.
Globalshift offre informazioni e conoscenze scientifiche sull’importanza della meditazione e delle
pratiche per evolvere la consapevolezza di Sé e del pianeta, le vere basi per il salto storico verso una
nuova società globale più etica, sostenibile e pacifica.
Olos propone una visione scientifica che comprende l’evoluzione della consapevolezza umana e della
società globale. Nel film oltre trenta scienziati e personalità della cultura internazionale, tra i quali il
Dalai Lama, Fritjof Capra (fisico quantistico), Ervin Laszlo, Deepak Chopra (medico ayurvedico), Candace
(neuroscienziata), Vandana Shiva (ecologista), Jane Goodall (etologa e antropologa, esperta di
scimpanzé), Tara Ghandi (pacifista, nipote del Mahatma Gandi), Laura Chinchilla (Presidente del Costa
Rica), Francesco Bottaccioli (PNEI) ed Emilio Del Giudice (fisico quantistico), espongono il nuovo
paradigma fondato sulla consapevolezza; un paradigma che riunisce una moltitudine di culture e modelli
antichi e moderni, scientifici e spirituali e li sintetizza in una visione globale.
I due film, per i loro contenuti scientifici e culturali sui nuovi modelli della salute psicosomatica, della
consapevolezza e della sostenibilità, ricevono il patrocinio dell’UNESCO e FICLU e il sostegno del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Questi film sono sostenuti anche dalla Earth Charter
International, associata all’ONU e dal Club of Budapest International. I film, in lingua italiana, sono stati
doppiati in inglese, spagnolo, francese, e divulgati gratuitamente in ogni parte del mondo.
Il Laszlo Institute of New Paradigm Research
Nel 2013, con Ervin Laszlo, decidiamo di creare un istituto internazionale per lo studio del nuovo
paradigma che potesse diventare un punto di riferimento e di riunione dei più avanzati modelli di
pensiero emersi negli ultimi dieci anni. L’obiettivo è di arrivare a creare una “Gaia Global University” che
possa fornire programmi avanzati sul nuovo paradigma, in ogni principale ambito di studio ed in
particolare in fisica quantistica, in epigenetica, negli studi sull’evoluzione, in medicina psicosomatica e in
psicologia della crescita personale, nell’educazione e in economia. Al Convegno Internazionale di
Psicosomatica del 2015, tenutosi al Palazzo Ducale di Lucca e poi nell’autunno al Villaggio Globale,
iniziano le riunioni dell’istituto per la ricerca sul nuovo paradigma a cui partecipano personalità
scientifiche, culturali e spirituali da molti paesi del mondo.
E la complessità del nuovo paradigma continua la sua inarrestabile evoluzione.
PARTE PRIMA
LE BASI TEORICHE DELLA
NEUROPSICOSOMATICA
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CAPITOLO PRIMO
IL NUOVO PARADIGMA PSICOSOMATICO
E LA RICERCA SCIENTIFICA DELLA COSCIENZA DI SÉ
La religiosità cosmica
Il mistero della vita è la più bella sensazione che possiamo sperimentare.
E' il sentimento profondo che si trova all’origine dela vera arte e della vera scienza.
Chi non sperimenta il mistero e che non prova più stupore e meraviglia è come morto,
una candela spenta.
Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell'intelletto più profondo
e della bellezza più luminosa, che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più
elementari,
è questa conoscenza e questo sentimento che costituiscono la vera attitudine spirituale,
in questo senso, e soltanto in questo senso, io sono un uomo profondamente religioso.
Mi basta il mistero dell'eternità della vita
e l'intuizione della stupefacente struttura della realtà,
insieme allo sforzo che viene dal profondo del cuore per afferrare una porzione,
anche minuscola,
dell'intelligenza che manifesta se stessa nella natura.
Difficilmente troverete, tra le più profonde menti scientifiche,
una che non possegga una propria peculiare spiritualità.
Lo scienziato è posseduto dal senso di causalità universale.
La sua spiritualità consiste nella meraviglia estasiata dell’armonia della legge della natura;
che gli si rivela un’intelligenza superiore,
tale che tutto il pensiero sistematico e le azioni umane, al confronto con essa,
non sono che un riflesso del tutto insignificante.
A mio avviso la funzione più importante dell'arte e della scienza è di risvegliare
questo sentimento e tenerlo vivo in coloro che sono in grado di farlo.
Albert Einstein
da “Come io vedo il mondo”
Il cambiamento di paradigma
Con questa citazione di Einstein inizio questo libro sulla neuropsicosomatica, che rappresenta una porta
aperta verso una prima e quindi certamente incompleta comprensione scientifica del grande mistero
della coscienza umana e della sua evoluzione in ogni aspetto della vita e dell’esistenza.
Questo libro è basato su una serie di cambi di paradigma avvenuto negli ultimi decenni in molti ambiti e
campi delle scienze fisiche, umane e sociali, e in particolare delle ricerche delle neuroscienze e della PNEI,
che hanno profondamente modificato la comprensione biologica, medica e psicologica dell’essere umano
e dell’evoluzione della coscienza di Sé. Essendo un testo di avanguardia è quasi inevitabile che contenga
errori e basi teoriche che magari non saranno completamente confermate o non si svilupperanno
pienamente, chiedendo venia in anticipo per eventuali inesattezze o errori, tengo a precisare tuttavia che
lo scopo di questo libro non è di dare certezze sui singoli elementi emersi dalle ricerche, ma piuttosto
quello di dare una nuova visione globale, più unitaria e organica, dell’essere umano e della
neuroevoluzione della sua coscienza. Le teorie possono cambiare ed evolvere nel tempo, la
comprensione di fondo rimane.
Il “cambiamento di paradigma” (paradigm shift) è l’espressione coniata dal filosofo Thomas Kuhn nella
sua opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Kuhn, 1962) per descrivere la rivoluzione delle
assunzioni basilari che, dal paradigma scientifico dominante, porta ad un nuovo paradigma.
L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come cambiamento nel modello e nell’interpretazione
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degli eventi, è stata da allora applicata a molti campi delle scienze esatte e dell’esperienza umana in
genere. Per molti studiosi e pensatori contemporanei noi stiamo vivendo un’epoca di cambiamento
globale di paradigma, che sta interessando trasversalmente tutti campi della cultura e dell’esperienza
umana.
Riteniamo che il cambio di paradigma sia espressione di un cambio di consapevolezza e di percezione di
Sé stessi e del mondo che sta avvenendo in questo momento storico. Suggeriamo ai lettori l’opportunità
che le informazioni teoriche presentate in questo libro possano essere accordate e integrate con le
esperienze dirette di consapevolezza derivate dalla pratica della mindfulness psicosomatica e delle
tecniche del Protocollo PMP che possono essere scaricate dal sito www.benessereglobale.org.
La rivoluzione del paradigma psicosomatico
In questo primo volume sono esposti i più significativi avanzamenti delle neuroscienze e della PNEI
(Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia) che stanno generando un cambiamento di paradigma nella
comprensione della coscienza, delle emozioni e dei meccanismi che sottostanno ai disturbi psicosomatici.
Da queste conoscenze emerge una nuova comprensione della coscienza umana, della salute psicofisica e
del processo di evoluzione che permette di creare le basi di una vera “psicologia”, letteralmente “scienza
dell’anima”, capace di fornire una concretezza scientifica alle intuizioni sviluppate nelle antiche
tradizioni mediche e spirituali.
La finalità di questo saggio è identificare i princìpi che emergono dalle più recenti ricerche e trovare le
loro concrete applicazioni alla pratica medica e psicoterapeutica.
Questo libro di neuropsicosomatica vuole essere un essenziale, ma completo, testo di riferimento per
tutti i sempre più numerosi medici, psicologi e psicoterapeuti che cercano un approccio scientifico clinico
più profondo e unitario, orientato allo sviluppo della consapevolezza di Sé e alla crescita personale.
La prima parte di questo primo volume tratterà le basi teoriche della neuropsicosomatica, mentre nella
seconda parte saranno trattate le basi cliniche per la comprensione della genesi dei disturbi e dei blocchi
psicosomatici e del loro primo approccio terapeutico integrale.
Nel secondo volume, che uscirà a breve, saranno trattate le pratiche cliniche e psicoterapeutiche più
approfondite che derivano da queste prime basi.
Dall’insieme di queste conoscenze scientifiche, che riecheggiano e potenziano le intuizioni delle antiche
medicine e tradizioni spirituali, emerge un nuovo “paradigma psicosomatico PNEI”, un avanzato modello
che permette una comprensione più unitaria, olistica e sistemica dell’essere umano, dei suoi disturbi e
della loro cura.
L’elemento che maggiormente caratterizza questo nuovo paradigma è la comprensione scientifica della
coscienza di Sé, del suo ruolo primario come elemento centrale dei sistemi viventi, che si riflette sia sui
disturbi emotivi, psicologici e fisiologici, sia sulla crescita personale. Il nuovo paradigma rappresenta il
nucleo dell’appassionante ricerca della mia vita e di quella delle persone con cui ho vissuto e collaborato,
in grado di aprire un nuovo scenario per il futuro.
In questo libro non tratteremo invece la moltitudine di ipotesi, scuole o teorie di impostazione new age,
esoterica o misticheggiante, in quanto prive di basi scientifiche documentate.
La nascita della scienza moderna
Il metodo scientifico identificato da Galileo Galilei segna l’inizio della scienza moderna.
La scienza moderna si sviluppa ereditando dal Rinascimento una nuova fiducia nelle capacità conoscitive
dell'uomo, la capacità di liberarsi dei principi trascendenti cattolici per spiegare la realtà, la
riconsiderazione dell’esperienza diretta dei sensi, il rigetto dei principi di verità imposti dall’alto e
soprattutto del valore universale dei dati derivanti dalla sperimentazione che possono essere controllati
e validati anche da altri scienziati.
Il metodo sperimentale, espressione finale del Rinascimento, è la modalità empirica con cui la scienza,
libera dai vecchi paradigmi dogmatici, procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva,
affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la
guida delle ipotesi e teorie da vagliare; dall'altra, nell'analisi matematica e rigorosa di questi dati,
associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galilei, le «sensate esperienze» ossia i dati
sensoriali percepiti attraverso i cinque sensi, alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione e
la matematica.
Nel libro “Il Saggiatore” Galilei, come già fece Pitagora, afferma che il libro della natura è scritto in leggi
matematiche, e per poterle capire è necessario eseguire esperimenti con gli oggetti che essa ci mette a
disposizione. “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi
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agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e
conoscere i caratteri ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli,
cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola”.
Il metodo sperimentale da lui sviluppato lo porterà ad opporsi alla geocentrica proposta da Aristotele e
Tolomeo e sostenuta dalla chiesa cattolica, che poneva la Terra al centro dell’universo, a favore della
teoria eliocentrica, in cui è la terra a ruotare intorno al sole. Il sapere scientifico andava a demolire
l’antico paradigma basato dogmi teologici e filosofici mettendo in pericolo la validità globale della
struttura di fede, non più sostenuta da un'esperienza spirituale collettiva.
Questa sua teoria, anche se sostenuta da prove scientifiche, venne fortemente contrastata dalla chiesa
che ordinò il ritiro delle opere di Galileo e la sua reclusione in attesa del processo.
Il 22 giugno 1633 Galileo venne ritenuto colpevole e costretto ad abiurare le sue concezioni
astronomiche e venne condannato al confino nella propria villa di Arcetri a Firenze.
Il paradigma dicotomico cartesiano
In quello stesso periodo storico con Descartes (Cartesio) nasce la dicotomia tra materia e spirito, che ha
catalizzato la ricerca scientifica fino ai nostri giorni.
Nonostante il concetto di dicotomia mente corpo sia già presente in Platone, potremmo prendere la
pubblicazione della “dicotomia cartesiana”, come momento emblematico dell’inizio del paradigma
scientifico dicotomico, che ha generato l’orientamento della scienza in una direzione materialista e
riduzionista che perdura fino ai nostri giorni.
Descartes per primo definì concettualmente la separazione tra la materia o “res extensa” (la sostanza
fisica) e lo spirito o “res cogitans” (la sostanza cosciente e pensante) e indicò come la prima fosse
dominio della scienza mentre la seconda fosse esclusivo monopolio della chiesa.
La dicotomia cartesiana tuttavia non deve essere considerata un errore ma una strategia per separare i
campi di pertinenza della scienza da quelli della chiesa. Descartes infatti nel suo trattato il “Mondo”,
voleva “spiegare tutti i fenomeni della Natura”, una visione globale della realtà, in cui si esponevano
principi di fisica e di ottica unitamente ad alcune questioni fondamentali sull’uomo, come: anatomia,
fisiologia e metafisica, che si sarebbero dovute concludere con una trattazione dell’anima.
In questo testo Descartes voleva esporre “la favola del mio Mondo” una sorta di visione unitaria in cui la
dimensione Fisica e Metafisica potessero coesistere tra loro: “Cerco di aprire a sufficienza la strada per
fare in modo che, in seguito, si possano conoscere tutte (le due dimensioni) unendo l’esperienza al
ragionamento”.
Ma nel 1633 Descartes che aveva terminato il “Mondo” venne a conoscenza del processo contro Galileo
Galilei e della sua condanna e abiura avvenuta il 22 giugno dello stesso anno e decise, per sua sicurezza
personale e per timore di incorrere nelle punizioni della chiesa, di non stampare il suo trattato.
Descartes, considerando la grave ingerenza della chiesa che in quegli anni aveva condizionati
gravemente le scoperte di molti scienziati, decise di cambiare strategia rifondando i suoi principi con una
chiara divisione tra corpo e anima. Da consumato diplomatico conscio dell’evidente conflitto tra chiesa e
scienza, propose una netta separazione di campi e ambiti di competenza. La chiesa aveva come
pertinenza la Res Cogitans ossia la dimensione immateriale dell’anima e dello spirito, mentre la scienza
doveva occuparsi esclusivamente della Res Extensa, la materia fisica e misurabile.
Nel 1644 Descartes nei Principia philosophiae (1, 7 e 10) espone il cogito ergo sum, “penso dunque sono”
o meglio “ho coscienza quindi esisto”, come assunto che assicura l’indubitabile certezza che l'uomo ha di
se stesso e della propria coscienza o anima in quanto soggetto pensante.
Il cogito ergo sum è la prima definizione moderna di auto consapevolezza, e la “dimostrazione”
dell’ineluttabile evidenza del Sé, una asserzione del tutto sovrapponibile a quello di molte filosofie indo
tibetane che affermavano l’auto-evidenza della coscienza di Sé.
La scienza senza coscienza
La dicotomia certesiana certamente permise alla nascente scienza sperimentale di potersi sviluppare
senza le pesanti ingerenze ideologiche e teologiche della chiesa cattolica ma, per contro, generò un
paradigma scientifico eccessivamente materialista e riduzionista comunque condizionato dai veti dalla
religione. Il primo paradigma scientifico è quindi basato sull’assunto (non scritto) che la scienza non può
e non deve studiare l’anima, la coscienza, la cogitans.
Sulla questione dell’unità di mente e corpo, nel timore di non incorrere nelle condanne della chiesa e per
consentire alla medicina di potersi sviluppare in modo laico e autonomo, Descartes arriva ad affermare
che l’essere umano è solo un corpo materiale, una macchina guidata dall’anima attraverso un piccolo
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punto: la ghiandola pineale (l’epifisi). La dicotomia cartesiana rendeva possibile la separazione tra
materia e coscienza: la chiesa non perdeva il suo potere e la scienza iniziava la sua clamorosa e
inarrestabile espansione.
I presupposti del vecchio paradigma dicotomico cartesiano, che ha separato la materia dallo spirito e il
corpo dalla coscienza, hanno portato a ritenere che la coscienza, come res cogitans, fosse impossibile da
studiare empiricamente e pertanto non costituisse materia di ricerca e conoscenza scientifica. La scienza
moderna, dal seicento in poi, si è di fatto sviluppata con un’attitudine fortemente materialista e
riduzionista come “scienza senza coscienza”.
La rivoluzione scientifica della coscienza
La rivoluzione scientifica a cui stiamo assistendo ha le sue origini in numerosi scienziati che hanno
cercato di non separare la scienza dalla coscienza ma di trovare una modalità che le riunisse all’interno
di una comprensione globale e unitaria. Tra questi Darwin, i premi Nobele i Nobel della fisica
quantistica: Einstein, Winer, Planck, Heisenberg, il Nobel della letteratura: Bergson, Mann, e della
Chimica: Eigen.
Nello specifico campo delle neuroscienze uno dei momenti storici che hanno segnato l’inizio della
rivoluzione della coscienza, si è realizzato nel 1965 Sir John Eccles, premio Nobel nel 1963 per la
neurofisiologia, pubblica “The brain and the unity of conscious experience”, nel 1977 insieme al filosofo della
scienza Karl Popper “The Self and Its Brain”, e nel 1989 “Evolution of the Brain: the creation of the Self”, i
primi testi che indagano in modo scientifico sui tradizionali temi filosofici della natura della coscienza e
dell’origine evolutiva del Sé e dell’anima.
Agli inizi degli anni ’80, Francis Crick, premio Nobel per la scoperta del DNA e pioniere nelle
neuroscienze, afferma che “la coscienza rappresenta un legittimo campo di ricerca scientifica” e che, data
la sua complessità, essa debba necessariamente essere studiata con un approccio multidisciplinare e
interdisciplinare.
La coscienza ritorna finalmente al centro del sistema umano e con le ricerche delle neuroscienze e della
PNEI inizia la “science of consciousness” che studia l’essere umano, l’organismo vivente più complesso da
noi conosciuto, come un “sistema unitario” multidimensionale, un “Sé psicosomatico” che si auto-governa
come un network neurocognitivo di estrema intelligenza e organizzazione, in quanto ha coscienza di
tutte le informazioni del proprio sistema.
I nuovi e più sofisticati metodi di indagine scientifica e l’evolversi delle conoscenze relative alle
neuroscienze, oggi stanno generando una accelerazione nella rivoluzione di paradigma che si fonda
proprio sul riconoscimento del ruolo centrale della coscienza e del Sé nell’organizzazione biologica e
cognitiva del vivente.
Le fasi della rivoluzione del paradigma
Come tutte le rivoluzioni scientifiche anche questa che stiamo vivendo avrà le sue fasi e i suoi conflitti.
Kuhn descrive cinque fasi delle rivoluzioni scientifiche.
Fase 1: l’accettazione del nuovo paradigma. Questa fase segna l’inizio di un nuovo paradigma: un modello
di comprensione della realtà che viene riconosciuto dalla comunità scientifica e che permette nuove
comprensioni dei fenomeni naturali.
Fase 2: scienza normale. In questa fase la comunità scientifica, utilizzando i parametri definiti dal nuovo
paradigma, cerca di formulare leggi e codificare processi quantitativi che permettono di spiegare sempre
più fenomeni.
Fase 3: la nascita delle anomalie. In questa fase si evidenziano e si accumulano le anomalie, ossia i
problemi che sfidano gli assunti centrali del paradigma e che costringono la comunità scientifica ad
utilizzare un nuovo paradigma basato su nuovi assunti e metodologie. Nel nostro caso, dopo quattro
secoli di paradigma dicotomico, questa fase segna l’incapacità del paradigma dicotomico e materialista di
poter interpretare e comprendere appieno di fenomeni, come: la coscienza, l’auto-consapevolezza, la
natura della vita e della sua evoluzione, l'inadeguatezza di spiegare in termini neurofisiologici le basi
stesse delle emozioni e dei disturbi psicosomatici, l’atteggiamento troppo riduzionista in medicina e
nell’approccio col paziente e la malattia che tende ad una interpretazione troppo meccanicista che rende
la persona un mero caso clinico negandogli la dignità umana, la tendenza a considerare i disturbi
psicologici come lo stress, l’ansia o la depressione come errori o rotture di meccanismi biochimici o
genetici, che debbano essere riparati essenzialmente con interventi farmacologici, impossibilità di
comprendere i fenomeni di auto consapevolezza e di profondità come l’identità, il Sé e la meditazione che
rappresentano gli elementi di base della psicologia e della dignità umana. Da decenni questi e molti altri
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problemi hanno mostrato i limiti del vecchio paradigma e della vecchia modalità di ricerca scientifica
basata su una logica riduzionista.
Fase 4: crisi di paradigma. Questa fase, nel nostro contesto, è caratterizzata dalla crisi del paradigma
dicotomico che stiamo vivendo. Dagli anni sessanta una esigua minoranza di scienziati, sulla base di dati
sperimentali (a volte ancora parziali e incerti) ha proposto nuovi modelli, ipotesi e teorie basate sulla
coscienza, per decifrare fenomeni che prima non erano spiegabili o per offrire un approccio più
complesso e unitario agli stessi fenomeni. Questi nuovi modelli tuttavia sono ovviamente ancora
incompleti e non sono ancora riuniti in un unico organico paradigma. Su queste basi, la vecchia guardia
degli scienziati, ancora fortemente identificata con il vecchio paradigma, sospettosa delle novità, si
trincera sulle vecchie certezze e cerca fortemente di contrastare e criticare i nuovi approcci e le nuove
teorie come “non scientifiche” o “metodologicamente non corrette” o anche accusandole di totale
inconsistenza.
Questo conflitto tra paradigmi può risultare in una vittoria del vecchio paradigma, come accadde
inizialmente con la teoria eliocentrica di Galileo che fu costretto ad abiurare, negando ufficialmente che
la Terra ruotasse intorno al sole, salvo poi, guardando il cielo, affermare “eppur si muove” (citato da
Baretti, 1757). Oppure, come afferma Kuhn, può risultare nell’affermazione del nuovo paradigma
unitario, quando le nuove teoria iniziano ad essere divulgate e sperimentate da un numero sempre
maggiore di scienziati e in particolare dai giovani, che diventano così i portatori dei valori e della
comprensione del nuovo paradigma della consapevolezza, prenderanno il sopravvento sul vecchio
paradigma dicotomico.
Come Galileo infatti la maggior parte degli scienziati citati in questo libro hanno subito forti opposizioni e
contestazioni, da parte degli scienziati legati alla vecchia struttura paradigmatica, per le loro nuove
ipotesi e affermazioni sulla coscienza, nonostante le evidenti documentazioni sperimentali. In questa fase
la maggioranza numerica degli scienziati è ancora legata al vecchio paradigma e riveste ruoli di potere
all’interno delle strutture universitarie e di ricerca.
Fase 5: la rivoluzione di paradigma. Nella Fase 5 della rivoluzione scientifica, che Kuhn chiama di
“scienza straordinaria”, il nuovo paradigma prende sempre più spazio e adesione all’interno della
comunità scientifica e genera nuove comprensioni, campi di sperimentazione e positivi risvolti clinici che
aprono, all'interno della stessa comunità, una articolata discussione sulle qualità e le possibili
applicazioni dei due paradigmi. Ciò impone agli scienziati di impegnarsi in un dibattito circa la validità
delle vecchie teorie scientifiche generalmente accettate dalla comunità e sulle nuove prospettive e
potenzialità del nuovo paradigma.
In questa fase, diversi scienziati o gruppi di ricerca propongono nuove teorie per spiegare quei fenomeni
che il vecchio paradigma non riesce a inserire nel proprio sistema. Successivamente, il conseguimento di
una serie di successi parziali determina il formarsi di una condizione di fiducia nei riguardi di una delle
nuove teorie. Quando tale fiducia "contagia" un sufficiente numero di scienziati attivi, anche se in
numero inferiore, la nuova teoria si trasforma in nuovo paradigma e la fase di scienza straordinaria
lascia il posto a un nuovo periodo di scienza basata su una nuova metodologia e comprensione.
Il cambiamento di paradigma nelle scienze
Uno degli aspetti più rilevanti di questo attuale salto di paradigma, che dopo quattro secoli di
materialismo, reintroduce la coscienza all’interno della scienza, è che si sta realizzando parallelamente in
differenti campi di ricerca. L’aumento delle ricerche e degli studi scientifici sui temi della coscienza
mostra una curva esponenziale, che significa un rapidissimo cambiamento dell’orientamento e
dell’interesse all’interno delle scienze. La curva esponenziale è segno di radicali cambiamenti in atto.
IL NUOVO PARADIGMA IN FISICA QUANTISTICA: ENTANGLEMENT E NON LOCALITA’
“La meccanica classica non è in grado di spiegare la coscienza.” Roger Penrose
La vecchia fisica newtoniana concepiva il mondo come costituito da atomi fisici, materiali, isolati tra loro
e completamente slegati dalla dimensione della coscienza. Questa è la base fisica della storica divisione o
dicotomia cartesiana tra materia e coscienza, che ha caratterizzato gli ultimi secoli della nostra storia e
che riflette una parallela dicotomia di percezione interiore tra mente e corpo. Questo vecchio paradigma
è stato da tempo soppiantato dal nuovo paradigma della fisica quantistica, sviluppata agli inizi del
novecento da un incredibile numero di scienziati che attraverso le loro ricerche e scoperte hanno
ribaltato la comprensione del mondo e dell’essere umano. L’innovativa comprensione della fisica
quantistica è che nulla di realmente “materiale” esiste in natura, in quanto la “materia fisica” è in realtà
composta da particelle o “quanti”” di energia informata.
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Ogni particella è un “campo quantistico” che si estende all’infinito che è profondamente e costantemente
interconnesso con tutti gli altri campi e con l’intera esistenza. Questo potente concetto di
interconnessione, chiamato entanglement quantistico, ha aperto la strada ad una differente prospettiva
umana e globale dove ogni atomo, ogni persona, ogni essere vivente è profondamente e costantemente
collegato alla grande e delicata rete della vita.
Di seguito sono riassunti i principi essenziali che caratterizzano il nuovo paradigma quantistico
attraverso una breve descrizione dei premi Nobel della Fisica e dei padri della meccanica quantistica che
li hanno scoperti.
Albert Einstein: premio Nobel per la Fisica nel 1921, evidenzia che il campo è una regione di spazio che
manifesta una forza gravitazionale, magnetica o elettrostatica che teoricamente si estende all'infinito,
perdendo intensità con il quadrato della distanza. La fisica quantistica prova l’esistenza di un campo
energetico intorno ad ogni oggetto fisico, dalla particella, all’ essere umano e al pianeta Terra. Più
particelle o più persone possono condividere un campo comune. La fisica quantistica di Einstein
evidenzia che ogni particella è un campo di energia che si estende all’infinito ed è interconnesso con tutte
le altre particelle. Einstein, Podolsky e Rosen evidenziarono, in un famoso articolo, che secondo le leggi
della meccanica quantistica, esiste una connessione profonda tra ogni particella quantistica.
Eugene Wigner: premio Nobel della Fisica nel 1963, ha scritto: “è straordinario... che lo stesso studio del
mondo fisico ha portato alla conclusione scientifica che la coscienza è la realtà primaria… Il principale
argomento, contro il materialismo, è che i processi mentali e la coscienza sono concetti primari, che la
nostra conoscenza del mondo esterno è contenuta nella nostra coscienza e quindi che la coscienza non può
essere negata”.
Max Planck: uno dei padri della teoria dei quanti e premio Nobel della Fisica, nel 1918, ha detto:
"Considero la coscienza come fondamentale. Ritengo che la materia derivi dalla coscienza... Tutto quello che
consideriamo come esistente, postula coscienza". The Observer (25 January 1931)
Werner Heisenberg: premio Nobel per la Fisica nel 1932, nel suo “principio di indeterminazione”
stabilisce che non possiamo determinare precisamente il momento o lo stato di un’onda-particella, in
quanto l'atto dell'osservare (la coscienza del ricercatore) crea un'interazione con la particella osservata e
lo modifica. Da questo principio derivano tre profonde considerazioni. La prima è che la coscienza
dell'osservatore è profondamente connessa e interferisce con ogni fenomeno dell’esistenza e con il Tutto.
La seconda è che le unità dell’esistenza fisica non completamente determinabili e quantificabili e quindi
sono libere. La terza è che l’intera struttura della conoscenza scientifica risulta probabilistica e non
deterministica.
Erwin Schrödinger: premio Nobel per la Fisica, nel 1935 ha coniato il termine "entanglement” per
descrivere l’interconnessione tra le particelle già prevista da Einstein, Podolsky e Rosen. Più
precisamente l'entanglement quantistico è un fenomeno in cui lo stato quantistico di un insieme di due o
più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema, anche se sono spazialmente separati. Esso
implica la presenza di una correlazione istantanea a distanza tra i sistemi di carattere “non locale”.
Alain Aspect: fisico dell’Università di Paris Sud nel 1982 ha compiuto esperimenti in cui dimostra
l’entanglement quantistico “non locale” tra due particelle. Questo avveniva in modo istantaneo: una
comunicazione oltre il tempo e lo spazio conosciuti. Questo prova l'esistenza di una interrelazione tra
particelle ad una velocità superiore a quella della luce, che li informa del loro stato reciproco, come se
esse conoscessero ciò che accade alla loro particella gemella in qualsiasi punto dell'universo.
David Bohm: collega di Einstein e docente alla Princeton University, autore di testi fondamentali di fisica
quantistica, sostiene che: “ogni particella è accompagnata da un campo olistico” che è un “campo di
informazione attiva”, che lo guida. Un campo è qualcosa che si espande in tutto lo spazio e l'elettrone ha
questo campo "sottile" che significa "elusivo", "intangibile", ma anche "finemente interconnesso"
all'ambiente circostante e dotato di una primitiva qualità mentale, cognitiva, che il grande matematico
Alfred North Whitehead chiama “protocoscienza”. Questo suggerisce che la divisione tra materia e mente
non sia così netta e che c'è mente persino a livello quantistico. Bohm cercò di spiegare l’unità
dell’esistenza come un Tutto (Wholeness) costituito da un “ordine esplicato” per i fenomeni materiali e
misurabili, e un “ordine implicato” per i processi “invisibili” dell’informazione e della coscienza. L’ordine
esplicato e implicato sono parti inseparabili dell’Unità globale.
Giuliano Preparata ed Emilio del Giudice: fisici quantistici dell’Istituto delle Alte Energie
dell’Università di Milano, scoprono e codificano le basi della “Coerenza Elettroquantistica”, ovvero la
capacità delle particelle quantistiche di sincronizzarsi sulla stessa frequenza (fase), scoprendo come
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l’acqua, in cui sono disciolte altre sostanze, possa creare dei “domini di coerenza”: sistemi quantistici che
al loro interno hanno la capacità di conservare “energia e informazione”. La coerenza quantistica è il
principio fisico che spiega e sostiene la cellula, la vita, il cervello e la coscienza.
IL NUOVO PARADIGMA IN GENETICA: L’EPIGENETICA TRANSGENERAZIONALE
Il nuovo paradigma dell’informazione che si evolve con l’esperienza
I biologi Maturana e Varela sostengono che gli organismi viventi siano sistemi autopoietici e cognitivi, in
quanto, attraverso l’elaborazione delle informazioni, si possano auto-organizzare e auto-riparare, e che
l’autopoiesi, ossia la capacità di un sistema di mantenere la propria unità, in tutte le forme di vita, sia
direttamente legata ai fenomeni di cognizione e di coscienza. Maturana (1970) dichiara: “la conoscenza è
un fenomeno biologico”, ossia che la vita, la conoscenza e la coscienza siano proprietà emergenti dei
sistemi organici autopoietici.
Già agli albori della vita, nei primi unicellulari vi sono tutti gli ormoni e neurotrasmettitori che troviamo
nel cervello e nel corpo umano.
La conservazione dell’informazione è la base della memoria, della cognizione e della consapevolezza di
Sé.
Le evidenze derivate dalle numerosissime ricerche di epigenetica degli ultimi anni (vedi Figura 18),
hanno demolito sperimentalmente le basi dell’interpretazione neodarwinista, decretando sia il crollo del
dogma centrale di Crick, sia la scorrettezza di fondo del concetto di “casualità” applicato
indiscriminatamente all’intero processo evolutivo.
Gli studi di epigenetica, in rapidissimo aumento,
evidenziano che lo sviluppo di ogni organismo, e dell’intero
processo di evoluzione, sono profondamente influenzati
dalle informazioni acquisite, ossia dalle conoscenze
derivate dalle esperienze di vita e dalle comprensioni dei
genitori e, in parte, tramandate ai figli attraverso mutazioni
epigenetiche. L’epigenetica mostra come il sistema
genetico sia plastico e sensibile alle esperienze adattative
acquisite dai genitori, rese necessarie dalle situazioni
esterne o interne all’organismo. L’azione epigenetica non
comporta un cambiamento della sequenza del DNA
(genotipo) ma solo una variazione nell’espressione dei geni
presenti nel DNA (fenotipo) che possono essere regolati,
attivati, inattivati o silenziati. Tali mutazioni permangono per tutta la vita dell’organismo o della cellula,
anche durante la divisione cellulare.
Le ricerche e gli studi della genetista Eva Jablonka, docente dell’Università di Tel Aviv, dimostrano
l’esistenza di una “quarta dimensione” dell’Evoluzione, e di una “Epigenetica Transgenerazionale” che
fornisce le prove scientifiche di come la coscienza, le conoscenze, le esperienzer, le emozioni e la cultura
generano cambiamenti epigenetici che possono essere tramandati alle generazioni successive.
IL NUOVO PARADIGMA NELL’EVOLUZIONE: LA SELEZIONE NEURALE COGNITIVA
“L’ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi”. Ernst Heinrich Haeckel
L’essere umano, nelle fasi del suo sviluppo embrionale (ontogenesi), ripercorre tutte le principali fasi
dell’evoluzione dei sistemi viventi (filogenesi). La memoria genetica, presente nelle cellule staminali
dell’essere umano, contiene tutte le informazioni derivate dalle conoscenze precedenti e, quindi, ci
permette di accelerare, in nove mesi di gestazione, un percorso evolutivo durato quattro miliardi di anni.
Manfred Eigen, premio Nobel per la Chimica afferma che:
“L’informazione rappresenta l’essenza stessa della Vita” e
quindi che “L’evoluzione non può essere casuale”. “Non è la
chimica che distingue gli organismi superiori da quelli
inferiori... l’invenzione è stata quella delle informazioni!
Tutto quello che è successo dal momento dell’inizio della
vita è avvenuto sul piano dell’informazione.” La
complessità della chimica non è nulla se paragonata con
quella del più semplice oggetto biologico.
Prendiamo un gene (del DNA) con 300 nucleotidi: le
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diverse possibili sequenze sono 10 elevato alla 180esima: un numero che eccede quelli che si usano in
astronomia.
Gerald Edelman, premio Nobel per la neurofisiologia, evidenzia che: “il pensiero darwiniano applicato
allo studio del funzionamento del cervello conduce ad una teoria globale: la teoria della selezione dei
gruppi neurali, chiamata “darwinismo neurale” (Edelman, 1993). “Nell’evoluzione gli individui più adatti
si selezionano”. “La selezione (dei comportamenti più adattativi) non opera su singoli neuroni ma su
“gruppi neuronali”, in particolari configurazioni anatomiche: i “circuiti” o “sistemi neuronali”.
“L’evoluzione favorisce gli individui che utilizzano con successo tali circuiti neuronali per accrescere la
propria adattabilità cognitiva e far sopravvivere più discendenti”. Le più recenti ricerche di Panksepp sui
sistemi emotivi e le ricerche di epigenetica, confermano questa teoria che favorisce le strutture e i
circuiti neurocognitivi che permettono risposte più funzionali, intelligenti e adattative.
IL CAMBIO DI PARADIGMA EVOLUTIVO NELLE NEUROSCIENZE
Sir John Eccles, neurofisiologo, premio Nobel per la Medicina nel 1963 è stato uno dei primi
neuroricercatori ad interessarsi del Sé e della coscienza.
Agli inizi degli anni ‘80 il premio Nobel Francis Crick,
scopritore del DNA e pioniere nelle neuroscienze,
afferma che “la Coscienza è legittimo campo di ricerca
scientifica”.
Gerald Edelman: Nobel della Medicina
evidenzia come la coscienza e il Sé siano l’effetto
dell’intera rete coerente delle informazioni del
cervello, e propone il concetto di “Core
Consciousness” e di “Dynamic network of
Consciousness”: la rete neurale della coscienza”
Il centro della teoria della coscienza di Antonio
Damasio è il “Core Self” e il “Core Consciousness” il
“nucleo centrale della coscienza di sé”, la “coscienza
di base” descritto come un livello di consapevolezza
generato da strutture neurali presenti anche nella maggior parte degli animali. Damnasio identifica le
funzioni superiori o neocorticali della coscienza come “Sé autobiografico”.
Il neuroscienziato Jaak Panksepp evidenzia la presenza nel cervello di sette principali “sistemi emotivi” e
mostra sperimentalmente che queste aree del cervello sono presenti in modo analogo in tutti gli animali.
Noi umani condividiamo le stesse emozioni e la stessa coscienza di base di tutti i viventi.
IL NUOVO PARADIGMA IN MEDICINA: LA RIVOLUZIONE PSICOSOMATICA DELLA PNEI
Nel 1964 George Solomon, docente alla Stanford e alla University of California Los Angeles con alcuni
colleghi conia il termine "psychoimmunology".
Nel 1975 Robert Ader, psicologo, e Nicholas Cohen, immunologo, presso l'Università di Rochester,
dimostrano sperimentalmente che la psiche, attraverso il sistema nervoso può influenzare il sistema
immunitario. Con la loro dimostrazione di condizionamento classico della funzione immunitaria, hanno
coniato il termine PNI "psico-neuro-immunologia".
Nel 1984 Edwin Blalock, fisiologo dell’Alabama University, pubblica l’articolo The immune system as a
sensory organ, in cui mostra le interazioni tra sistema nervoso, endocrino e immunitario.
Candace Pert, scopritrice dell’endorfina e dei neuropeptidi dichiara che “non esiste separazione tra
mente, corpo e coscienza”, e che “dobbiamo pensare all’essere umano come “network psicosomatico”.
IL NUOVO PARADIGMA IN PSICOLOGIA: LA RIVOLUZIONE DELLA MINDFULNESS
Negli Stati Uniti, Jon Kabat-Zinn sviluppava il Protocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) che
ha portato la mindfulness ad essere una pratica
realmente laica, conosciuta e utilizzata in tutto il
mondo. Siamo immensamente riconoscenti a Kabat-
Zinn e ai molti medici, psicologi e ricercatori grazie ai
quali oggi la mindfulness è uno strumento
scientificamente studiato e validato da un elevato
numero di studi e ricerche cliniche.
18
Nel grafico a fianco l’aumento esponenziale delle ricerche pubblicate su riviste scientifiche begli ultimo
anni.
Nell’articolo pubblicato da Richard Davidson, John Kabat-Zinn e colleghi su Psychosomatic Medicine nel
2003, si evidenzia che anche un breve programma di mindfulness di due mesi genera cambiamenti
nell’attivazione del cervello, con aumento dell’attività dell’emisfero sinistro, correlata con le emozioni
positive e un miglioramento dell’attività immunitaria.
IL NUOVO PARADIGMA IN SOCIOLOGIA: I CREATIVI CULTURALI
I dati positivi delle ricerche sociologiche internazionali evidenziano un fondamentale e continuo trend di
crescita della consapevolezza umana a livello di globale.
Le società contemporanee si stanno muovendo in
modo progressivo verso una maggiore
globalizzazione, interculturalità e
interconnessione. I programmi televisivi
satellitari, Internet, i cellulari, i film e le musiche
stanno creando una rete di comunicazioni senza
confini nazionali o culturali.
Paul Ray è il sociologo statunitense che per primo
ha studiato il fenomeno dei “creativi culturali”: le
persone che sono positivamente orientate ai temi
del nuovo paradigma.
Come si può osservare nel grafico, i dati
evidenziano come la popolazione che si interessa
all’ecologia, alla consapevolezza, ai diritti umani,
alla pace, all’alimentazione e alle cure naturali,
alla crescita personale, alla meditazione e ad uno
stile di vita più equo e sostenibile, sia in continuo
Dopo la prima ricerca di Paul Ray negli USA, la nostra associazione ha promosso lo sviluppo di questa
ricerca sociologica anche a livello internazionale, che poi sono state realizzate in molte nazioni (USA,
Italia, Giappone, Germania, Francia Ungheria, ecc..).
I dati evidenziano come la popolazione che si interessa all’ecologia, ai diritti umani, alla pace,
all’alimentazione e alle cure naturali, alla crescita personale e ad uno stile di vita più equo e sostenibile
sia in continuo aumento. La percentuale di queste persone, chiamate “creativi culturali” da Paul Ray, che
negli anni 70’ era del 1-2% è cresciuta ad oggi fino al 40-42% della popolazione, e rappresenta un
tangibile segno dell’evoluzione dei valori etici e dei comportamenti consapevoli più utili allo sviluppo di
una società globale più umana e sostenibile. Per i giovani o gli adulti è fondamentale sentire che siamo in
una società in rapido e progressivo miglioramento. E che noi possiamo diventare elementi attivi e
creativi di questo processo (per maggiori informazioni
http://www.creativiculturali.it/creativi.php?id=ricerca ).
Sei gradi di separazione
Uno dei messaggi centrali del Nuovo Paradigma è “Tu puoi cambiare il Mondo” ossia trasmettere la
consapevolezza che “il cambiamento di ogni singola persona, giovane o adulta che sia, può realmente
contribuire al cambiamento globale della società”.
Nel Protocollo PMP e nel Progetto Gaia informiamo le persone
sulle molte ricerche scientifiche (Science, 2003; ecc.) che hanno
dimostrato che ogni persona del mondo è collegata ad ogni
altra attraverso “sei gradi di separazione” ossia solo cinque
persone (vedi figura).
In altri termini, come suggeriscono grandi personaggi della
cultura etica, come i Nobel per la Pace Mikail Gorbachov, il
Dalai Lama e Ervin Laszlo nel libro “Tu puoi cambiare il mondo”
(Laszlo, 2002), il cambiamento e l’evoluzione della
consapevolezza di ogni singola persona si riflette
progressivamente sull’intera società.
19
Lo sviluppo della propria consapevolezza, il miglioramento dello stato di benessere psicofisico e della
propria intelligenza emotiva, genera un cambiamento positivo nelle persone con cui siamo in relazione
che si riflette attivamente nel cambiamento della società verso una direzione positiva e sostenibile.
IL NUOVO PARADIGMA IN ECOLOGIA: L’IPOTESI GAIA
James Lovelock è uno scienziato britannico, scrittore e ricercatore ambientalista. Il suo maggiore merito
scientifico è l’Ipotesi Gaia con la quale per primo ha descritto il pianeta Terra come un unico
superorganismo, capace di autoregolarsi (autopoiesi, omeostasi) e dotato di una forma
di consapevolezza globale. Molte ricerche hanno confermato la sua ipotesi.
IL NUOVO PARADIGMA NELLA TEORIA DEI SISTEMI: I SISTEMI UNITARI
Per superare la visione frammentata del vecchio paradigma, iniziamo a riconoscere le unità che formano
la nostra realtà e, in particolare, gli organismi viventi, come sistemi unitari che posseggono una
dimensione materiale-energetica e una dimensione informatica-cosciente.
Ludwig Von Bertalanffy (1971), biologo austriaco e padre della teoria dei sistemi, ha definito il sistema
come un “insieme di elementi in relazione tra di loro”. Sulla base delle comprensioni di grandi studiosi
della teoria dei sistemi applicata all’evoluzione, come Eric Jantsch (1980) ed Ervin Laszlo (1986), dal
2001 ho potuto formulare una teoria organica dei “sistemi unitari”, intesi come sistemi viventi, dotati di
una “coscienza sistemica”. La teoria dei sistemi unitari è in grado di includere la coscienza e i suoi
processi neurocognitivi, in termini di capacità, qualità e quantità di elaborazione, memorizzazione,
organizzazione, utilizzo intelligente e comunicazione delle informazioni.
20
multicellulare si evolve con una accelerazione sbalorditiva, generando molluschi, pesci, anfibi e poi rettili,
uccelli, mammiferi, fino a realizzare l’essere umano.
La consapevolezza di Sé si evolve, generando un’accelerazione sincronica del processo di sviluppo neuro-
cognitivo, con una verticalizzazione della curva esponenziale. In meno di 2 milioni di anni, (la piccola riga
viola verticale in alto sulla destra della curva dell’evoluzione della complessità), l’essere umano crea la
storia, la società, le arti e le scienze e, infine, la consapevolezza di sé e la coscienza spirituale.
Conclusioni
L’aumento esponenziale delle ricerche scientifiche pubblicate su peer review sui temi della coscienza in
fisica quantistica, in biologia molecolare e in epigenetica, che modificano il concetto di evoluzione, gli
studi sulla PNEI, la psicosomatica e la mindfulness e l’auto consapevolezza, rappresentano un segno
inequivocabile di grande trasformazione e ci fanno supporre che la rivoluzione di paradigma sia ormai in
atto nella scienza in generale.
Come sarà evidenziato in questo libro uno dei principali elementi catalizzanti di questo fenomeno è
l’esperienza di autoconsapevolezza, in particolare la mindfulness, che moltissimi scienziati, ricercatori,
biologi, etologi, medici e psicologi, sociologi e studiosi stanno sperimentando in sé stessi, e che genererà
un profondo cambiamento nella struttura neurocognitiva delle persone: una rivoluzione interiore.
Grazie ad un parallelo incremento nel numero di persone che inizieranno a considerare il nuovo
paradigma unitario come più efficiente, utile, completo ed efficace a livello clinico e applicativo. In larga
parte questo incremento sarà dovuto alle nuove generazioni che sono cresciute con l’insegnamento
accademico orientato al vecchio modello e parallelamente anche con le informazioni esterne, da libri
conferenze o esperienze dirette, sulle opportunità, gli scenari e le metodologie del nuovo paradigma e
che quindi potranno rappresentare la generazione di transizione verso la prossima rivoluzione di
paradigma.
I FILM SULLA CONSAPEVOLEZZA GLOBALE E IL NUOVO PARADIGMA
Per chi desidera approfondire le tematiche del nuovo paradigma della consapevolezza consigliamo di
vedere i due film documentari che abbiamo realizzato nel 2008 e nel 2012 per offrire un quadro più
esteso e articolate di questa complessa rivoluzione di paradigma. È possibile scaricare gratuitamente
Olos e Globalshift dal sito www.villaggioglobale.eu in lingua italiana, inglese e spagnola.
Chi desidera approfondire i temi del nuovo paradigma nell’educazione può visitare il sito
www.progettogaia.eu e scaricare gratuitamente i video e il libro “Progetto Gaia”
OLOS: l’Anima della Terra,
Il film OLOS è un’esposizione del nuovo paradigma olistico: una visione scientifica che comprende
l’evoluzione della consapevolezza umana e della società globale.
Nel film Olos oltre trenta scienziati e personalità della cultura
internazionale, dal Dalai Lama a Fritjof Capra, a Ervin Laszlo, ci
espongono le basi nuovo paradigma: un manifesto della nuova cultura
planetaria emergente.
Olos è stato proiettato e presentato in Università italiane e straniere,
presso centri e associazioni di medicina naturale di tutta Italia, ed è
stato visto da oltre 60.000 persone.
Il film è stato doppiato in lingua italiana, inglese, spagnola e francese ed
è divulgato gratuitamente in ogni parte del mondo.
Nel film Olos la Terra, attraverso la vita e le esperienze di una ragazza
di sedici anni, racconta la propria storia: un emozionante viaggio
scientifico nell’evoluzione della vita e della coscienza. Dall’inconscio
collettivo, allo sviluppo del cervello e dell’intelligenza, fino alla
realizzazione della coscienza di Sé e del pianeta.
Il cambiamento epocale verso una civiltà globale richiede un cambio di
paradigma, un nuovo modello dell’essere umano e del mondo. Una visione che accomuna milioni di
persone e associazioni ecologiste, etiche, mediche e spirituali di ogni parte del mondo. Che riunisce una
moltitudine di culture e modelli antichi e moderni, scientifici e spirituali, e li sintetizza in una visione
globale.
21
Globalshift: l’Evoluzione della Coscienza Globale.
Il film Globalshift è un documentario sulla globalizzazione del pianeta girato in cinque continenti con
interviste a personaggi chiave della cultura emergente, che mette in evidenza il ruolo centrale della
consapevolezza di Sé per superare l’attuale crisi ecosistemica internazionale e realizzare una società più
consapevole, pacifica e sostenibile. Il film mostra come i disastri ecologici, sociali ed umani possono
essere risolti attraverso una nuova coscienza globale, e come ogni
cittadino della Terra può fare un salto di consapevolezza e diventare
un protagonista attivo del cambiamento per verso una società più
etica, sostenibile e pacifica. Si espone la necessità di un’evoluzione
della consapevolezza espressa nel Manifesto della Coscienza
Planetaria sottoscritto dal Premio Nobel Dalai Lama, dal filosofo
Ervin Laszlo e da personalità della cultura etica internazionale.
Le finalità del film sono quelle di elevare la coscienza delle persone e
farle sentire elementi attivi e creativi di questo momento storico di
transizione verso una società globale più pacifica e sostenibile.
Il film Globalshift ha avuto il patrocinio dell’UNESCO-FICLU, e del
Club di Budapest International. Nel film sono protagonisti: Ervin
Laszlo (Club di Budapest, proposto come Premio Nobel per la Pace),
Laura Chinchilla (Presidente del Costa Rica), Miriam Vilela
(Presidente della Earth Charter International, delle Nazioni Unite),
Candace Pert (neuroscienziata scopritrice delle endorfine e dei neuropeptidi), Tara Ghandi (pacifista,
nipote del Mahatma Gandi), Jaak Panksepp (neuropsicologo), Vandana Shiva (ecologista internazionale),
Jane Goodall (esperta in scimpanzé), Paul Ray (sociologo creatiore dei creativi culturali), Deepak Chopra
(medico olistico famoso in tutto il mondo), Jim Garrison (ecologista), Paul Hawken (economista e
fondatore della più importante rete ecologica del mondo), Swami Veda Barhati (Maestro spirituale Yoga,
Consiglio Mondiale della Religioni), Sree Tathata (maestro spirituale Hindu), Hans Kung (teologo
cattolico, Consiglio ONU delle Religioni).
22
CAPITOLO SECONDO
IL SÉ PSICOSOMATICO ALLA LUCE DELLE NEUROSCIENZE
Dalla Frammentazione del Cervello all’Unità del Sé
Definizione di coscienza
Iniziamo questo secondo capitolo con la definizione di “coscienza” come “la capacità di un sistema di
comprendere il senso di una informazione e di interagire con essa”.
Definisco “Sé psicosomatico” come la “coscienza globale di Sé”, ossia “l’esperienza di unità e integrità
psicosomatica” in cui il soggetto si percepisce come totalità del corpo, delle emozioni e della mente.
Come approfondiremo nei prossimi capitoli, il Sé psicosomatico trova una sua precisa metafora
nell’albero della coscienza, che affonda le sue antiche radici nelle memorie della coscienza corporea-
istintiva dei primordi della vita, si evolve nella consapevolezza emotiva-affettiva dei mammiferi, sviluppa
la sua fioritura nella coscienza cognitiva superiore dell’essere umano e che, all’apice del suo ciclo
evolutivo, matura i frutti dell’autoconsapevolezza di Sé, realizzando una dimensione di profonda unità
con l’esistenza.
La rivoluzione delle neuroscienze e la ricerca dell’unità della coscienza
Le neuroscienze rappresentano, oggi, uno dei principali campi in cui si è realizzata una vera rivoluzione
di paradigma. Il premio Nobel Gerald Edelman, nel 1990, dichiara: “La proprietà essenziale della
coscienza è di essere unitaria”, e il suo concetto di “core consciousness” rappresenta per noi il cuore del
Sé Psicosomatico.
Le ricerche della PNEI dimostrano che ogni cellula del corpo elabora informazioni e Blalock dimostra che
ogni linfocita produce e possiede i recettori dei maggiori neurotrasmettitori. Di fatto il linfocita è
paragonabile ad un neurone del cervello: si inizia a considerare il sistema sanguigno linfocitario come un
“cervello fluido. Ippocrate di Kos, il padre della medicina greca, affermava con grande intuizione che “In
ogni parte del corpo c’è una parte di pensiero cosciente”.
Ogni parte dell’essere umano è una parte della coscienza di Sé, ogni area del cervello è un’area della
coscienza di Sé. La comprensione dell’unità psicosomatica dell’essere umano e delle dinamiche che
determinano i disturbi psicologici e somatici, è stata rivoluzionata dalle ricerche degli ultimi anni, nel
campo delle neuroscienze e della PNEI. L’elemento centrale di questa “rivoluzione di paradigma” o
“paradigm shift” è rappresentato da una nuova comprensione scientifica della coscienza di Sé, della sua
evoluzione neurocognitiva ed emotiva ma, soprattutto, dei meccanismi che portano ai disturbi
psicosomatici, psicologici e fisiologici.
La coscienza di Sé, per la sua natura altamente soggettiva, elusiva e “immateriale”, che ne rendeva
apparentemente impossibile una quantificazione scientifica, è stata da sempre argomento esclusivo della
religione e della psicologia. La logica cartesiana aveva portato alla conclusione che la coscienza, come
“res cogitans”, non avendo un’estensione misurabile, non potesse essere oggetto di studio della scienza.
La scienza moderna, dal seicento in poi, si è infatti sviluppata in modo fortemente materialista e
riduzionista come “scienza senza coscienza”.
Come è stato accennato uno dei principali momenti storici del cambio di paradigma si realizza quando
dagli anni sessanta in poi studiosi e i Nobel come John Eccles, Francis Crick e Gerald Edelman, e studiosi
di fama internazionale come Candace Pert, Antonio Damasio, Jaak Panksepp, Richard Davidson, e molti
altri iniziano a indagare scientificamente la coscienza, il Sé e le sue espressioni. La coscienza ritorna
finalmente al centro del sistema umano e ha origine la “Science of Consciousness”. Le ricerche delle
neuroscienze e della PNEI, utilizzando nuovi e più sofisticati approcci metodologici, hanno iniziato a
comprendere le basi neuropsichiche della coscienza, del Sé e delle emozioni. Per capire pienamente le
23
basi neurobiologiche della coscienza, descriviamo brevemente le principali strutture del cervello umano
e le loro funzioni cognitive.
TRE: i tre cervelli come livelli neuroevolutivi della coscienza
Paul MacLean, medico e neuroscienziato della Yale Medical School e del NIMH (National Institute of
Mental Health), ha dato un contributo significativo nel campo della neuroscienze, della psichiatria e del
modello psicosomatico, nel 1960, con la sua teoria del “cervello triuno”, e con l’identificazione e
definizione del “sistema limbico”. Nel 1972, pubblica A Triune Concept of the Brain and Behaviour, in cui
evidenzia come la struttura del cervello e della coscienza umana, sia costituita da tre differenti livelli
evolutivi che ereditiamo filogeneticamente dai rettili, dai mammiferi e dai primati. Come possiamo
vedere nello schema dello stesso MacLean (Figura**), il “cervello triuno” è costituito dalla
sovrapposizione di tre strutture: 1) l’antico R-complex o cervello rettile, che MacLean chiama livello
protomentale, ha la caratteristica di seguire schemi istintivi precostituiti, 2) il sistema limbico, o cervello
mammifero emotomentale, tipico degli antichi mammiferi (o paleo mammiferi), che gestisce le emozioni
e gli affetti, 3) la più recente neocorteccia raziomentale, tipica degli esseri umani (o neo mammiferi), che
segue la ragione e l’intelletto.
Questi tre cervelli, secondo MacLean, gestiscono parallele funzioni della coscienza.
Il cervello rettile (in rosso), è la sede della coscienza corporea-istintiva: regolando le funzioni e le
pulsioni primarie della vita, provvede alle attività
vitali di base, è responsabile dei comportamenti
istintuali tipici che hanno come tema l’aggressività,
la dominanza, la territorialità e i comportamenti
rituali, si manifesta in strutture di comportamento
basate sull’imitazione ed è scarsamente incline ad
adeguarsi alle situazioni.
Il cervello mammifero limbico (in verde), è la
sede della coscienza emotiva-affettiva e delle
funzioni di comunicazione e relazione sociale. Esso
modula e orienta i comportamenti più istintivi e
automatici, verso funzioni cognitive
evolutivamente più mature: le emozioni e
l’affettività.
Il cervello umano neocorticale (in blu), è la sede della coscienza mentale-cognitiva, delle funzioni
logiche, razionali, del pensiero scientifico, concreto, delle funzioni analogiche, simboliche, del pensiero
intuitivo e artistico. Conferisce la capacità di linguaggio, astrazione e pianificazione e, grazie alle citate
attività corticali superiori, ha la capacità di modificare ed adattare le attività istintive ed emotive dei due
cervelli sottocorticali, assoggettandole a princìpi mentali razionali e valori etici e culturali. L’evoluzione
recente del cervello neocorticale ha permesso l’incredibile sviluppo della mente umana, della parola e
della scrittura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, delle arti creative e umanistiche, dei diritti
umani universali, dell’esplorazione della psiche umana e, infine, della dimensione spirituale o interiore
del Sé, che trascende la funzione anatomofisiologica dei tre cervelli.
Dopo anni di ricerche, MacLean conclude: “Ognuno dei tre cervelli possiede il proprio speciale tipo di
intelligenza, senso del tempo, memoria, attività motoria e altre funzioni […].
Ogni uomo quindi guarda a se stesso e al mondo attraverso tre “menti” assai diverse tra loro. A
complicare ulteriormente le cose -continua MacLean- due delle tre mentalità difettano della capacità di
parlare”. Il silenzio verbale dei due cervelli più antichi non deve tuttavia essere interpretato come una
mancanza di intelligenza o di coscienza, in quanto essi si esprimono attraverso le emozioni e il linguaggio
del corpo. Come vedremo nei prossimi paragrafi, i tre cervelli rappresentano le basi neurali del Sé
corporeo, del Sé emotivo e del Sé cognitivo.
MacLean evidenzia anche che, mentre negli animali i tre cervelli agiscono in profondo coordinamento e
sinergia, nell’essere umano i tre cervelli sono spesso in conflitto tra loro e conia il termine
“schizofisiologia” che diventerà una delle più importanti basi per la comprensione dei blocchi
psicosomatici individuali e collettivi.
24
MacLean ritiene che, se l’uomo vuole sopravvivere in armonia con queste differenti identità, diventano
necessarie nuove ricerche, differenti approcci e una comprensione più “percettiva” della coscienza
umana, capace di abbracciare questi tre differenti livelli evolutivi di coscienza.
Anatomia evolutiva dei tre cervelli
Anatomicamente, il cervello rettile comprende le aree più antiche del rombencefalo, fino ai gangli della
base; il cervello mammifero comprende il setto, l’amigdala, il talamo, l’ipotalamo, il complesso
ippocampale e la corteccia cingolata; il cervello cognitivo comprende la neocorteccia, divisa nei due
emisferi. MacLean, in un documento nel 1952, introduce il termine “sistema limbico” per fare riferimento
a questo insieme di strutture cerebrali interconnesse. Il concetto di sistema limbico, come un sistema
cognitivo funzionale “centrale” nel cervello, ha conquistato ampi consensi tra i neuroscienziati ed è
generalmente considerato come il suo contributo più importante nel settore. MacLean ha sostenuto che
le strutture del sistema limbico si sviluppino presto nell’evoluzione dei mammiferi (da cui “paleo-
mammifero”) e siano responsabili della motivazione e dell’emozione, coinvolti nei comportamenti
alimentari, riproduttivi, sociali e genitoriali. Il complesso umano o neo-mammifero comprende la
neocorteccia cerebrale che MacLean considera come lo sviluppo più recente dell’evoluzione del cervello
mammifero.
La mappa psicosomatica dei tre cervelli
Negli anni, l’applicazione clinica e psicoterapeutica del modello di MacLean, ci ha portato a realizzare
come i tre cervelli fossero profondamente collegati alle tre principali strutture del Sé psicosomatico.
Nella mappa dei tre cervelli (vedi Fig. **), possiamo osservare lo schema semplificato dei tre cervelli e
delle tre aree psicosomatiche.
1. Addome I principali ormoni della sopravvivenza “rettile” istintiva primaria sono secreti
nell’addome: le catecolamine e il cortisolo, ormoni dello stress dalle surrenali, gli ormoni della
sessualità dalle gonadi, gli ormoni dell’alimentazione, come l’insulina e il glucagone dal pancreas.
Disturbi e blocchi psicosomatici relativi al potere e alla sessualità si manifestano con evidenti
contrazioni muscolari nell’area pelvica sessuale, con la contrazione dell’area lombare, con
tensione alle gambe e con il blocco del diaframma.
2. Torace L’area toracica è fortemente legata all’affettività
che caratterizza il cervello “mammifero”, sono infatti
presenti i seni, gli organi dell’amorevolezza e della cura
materna, associati all’allattamento; il cuore, come organo
psicosomatico emotivo di primaria importanza nella
percezione dell’amorevolezza delle relazioni; la voce, per la
comunicazione affettiva e le braccia, per il contatto umano,
lo scambio di calore e la socializzazione. Le persone con
problemi relativi all’affettività e alla mancanza di
amorevolezza, riportano disturbi e blocchi psicosomatici in
quest’area corporea, si descrivono con locuzioni come: “mi
si stringe il cuore”, “ho un peso sul petto” e manifestano
evidenti contrazioni alla respirazione toracica, tensioni alle spalle e mani fredde o sudate.
3. Testa Alla testa sono ovviamente riferite le tensioni da iperattività mentale, fastidi agli occhi,
cefalee, rigidità nucale e tensione dei muscoli masticatori, come nel bruxismo.
Le basi delle neuropersonalità umane
Le osservazioni nei reparti di neonatologia, gli studi sui gemelli mono ed eterozigoti e le nostre
esperienze terapeutiche su migliaia di persone, in linea con le comprensioni delle antiche medicine
tradizionali e con i più recenti dati delle ricerche di genetica ed epigenetica, provano che ogni individuo
nasce con una sua caratteristica struttura psicosomatica e temperamento (Cloninger, 1999) in cui gli
aspetti corporeo-istintivi, emotivo-affettivi e cognitivo-psicologici sono presenti con proporzioni
leggermente differenti. Da queste semplici ed immediate osservazioni nascono le tipologie e le
costituzioni dell’antica medicina ippocratica, ayurvedica e cinese, più recentemente dell’omeopatia o dei
caratteri della psicologia loweniana. Come approfondiremo nei prossimi capitoli, i sistemi cerebrali
psicosomatici che gestiscono tutte le attività della nostra vita, sono molto legati a queste differenze di
struttura. Una prevalenza del cervello rettile tenderà a sviluppare un corpo tendenzialmente più robusto
e forte e una più marcata attitudine fisico-istintiva, che si manifesterà con livelli più elevati di serotonina,
25
testosterone e adrenalina. Una prevalenza del cervello mammifero si manifesterà con un corpo più
proporzionato e più spiccate sensibilità e attitudine alle relazioni affettive e alla socializzazione, con
livelli più elevati di ossitocina, prolattina e dopamina. Una prevalenza del cervello neocorticale tenderà a
sviluppare una maggiore capacità mentale-intellettiva, con una migliore attitudine alla comprensione,
all’elaborazione e al pensiero che spesso si associa ad una struttura corporea più longilinea e magra.
Nel capitolo quarto sulla mappa neuropsicosomatica, approfondiremo queste diverse strutture e le loro
più comuni disfunzionalità.
Tre cervelli e blocchi psicosomatici
La fondamentale osservazione compiuta da MacLean e dalla Neuropsicosomatica è che ad ogni blocco
neuropsichico del cervello corrisponda un
parallelo blocco del corpo e delle emozioni.
Nella sua teoria, MacLean evidenzia come, per
una corretta comprensione dei comportamenti
umani e in particolare della salute fisica e
psichica, sia necessaria una lettura evolutiva del
cervello che ponga in evidenza come le
differenti funzioni istintive, emotive e cognitive
debbano essere integrate e armonizzate tra
loro, facilitando i processi relazionali che si
sono sviluppati nel tempo come adattamento
alle logiche umane, affettive, familiari e sociali.
La teoria di MacLean è uno schema che
permette una comprensione intuitiva e immediata dei comportamenti e delle attività umane ed espande
in modo logico lo spettro delle funzioni psichiche, non solo alle più elevate funzioni cognitive, ma anche
alle emozioni e agli istinti. La teoria di MacLean rappresenta una solida base neuroanatomica del modello
psicosomatico PNEI.
Le dominanze o neurocognitive “annidate” e i tre livelli psicosomatici
Per comprendere i disturbi e i blocchi psicosomatici dobbiamo comprendere la logica delle gerarchie
neurocognitive del Sé. Panksepp (2012) evidenzia che, tra i tre livelli evolutivi del cervello, esiste una
precisa gerarchia che permette il governo dell’intero sistema psicosomatico, in modo armonico e
funzionale.
1. I PROCESSI PRIMARI regolano le funzioni istintive ed emotive di base, per l’omeostasi corporea e
la sopravvivenza
individuale.
2. I PROCESSI SECONDARI
regolano i meccanismi
dell’apprendimento e
della memoria, essenziali
per la vita di relazione.
3. I PROCESSI TERZIARI
regolano le funzioni
cognitive-riflessive
superiori, essenziali per la
vita sociale.
Panksepp usa i termini gerarchie
annidate, per indicare come
queste funzioni di regolazione
siano, appunto, annidate una dentro l’altra, come i tre cervelli di MacLean.
La Figura ** mostra una sintesi delle gerarchie neurocognitive bottom-up (dal basso verso l’alto) e top-
down (dall’alto al basso) che si ritiene operino in ogni sistema emotivo del cervello. Lo schema riassume
l’ipotesi che, affinché le funzioni psicosomatiche superiori funzionino in modo equilibrato e maturo
(tramite controllo bottom-up), debbano essere integrate con le funzioni psicosomatiche inferiori. I
processi primari sono raffigurati come quadrati rossi, i processi secondari dell’apprendimento come
26
cerchi verdi e i processi terziari, cognitivi, da rettangoli blu. La codifica a colori propone di trasmettere il
modo in cui le gerarchie “annidate” integrano le funzioni cerebrali inferiori con le superiori del cervello,
con un controllo di regolazione top-down (dall’alto al basso) e bottom-up (dal basso all’alto).
In stato di salute normale del Sé psicosomatico, le gerarchie neurocognitive dovrebbero essere funzionali
e bidirezionali ma, come vedremo nei successivi paragrafi, sono molto comuni alterazioni dell’equilibrio,
con differenti gradi di disfunzionalità che confermano il concetto di “schizofisiologia”.
Come vedremo più approfonditamente nei prossimi capitoli, le osservazioni cliniche mostrano in modo
evidente che l’ordine gerarchico di regolazione funzionale tra i tre cervelli, spesso subisce evidenti
alterazioni gerarchiche, con la formazione di “dominanze o dittature neurocognitive” che si riflettono
sugli equilibri psicosomatici generali.
DUE: i due emisferi e le funzioni della coscienza cognitiva neocorticale
Nel 1981, Roger Sperry, neuropsicologo e neurobiologo del California Institute of Technology (Caltech)
di Pasadena, vince il premio Nobel per la medicina, per le sue scoperte sulla specializzazione delle
funzioni cognitive negli emisferi cerebrali.
Negli anni ‘60, al California Institute of Technology, Roger Sperry e Michael Gazzaniga iniziarono a
studiare il comportamento di persone a cui, come trattamento per limitare i danni dell’epilessia che, da
un emisfero, si trasmetteva all’altro, era stato reciso chirurgicamente il “corpo calloso”, l’insieme di fibre
nervose che collega i due emisferi. Questi soggetti erano chiamati
“split-brain”, cervelli divisi, in quanto, per via della rescissione del
corpo calloso, i due emisferi cerebrali non comunicavano più tra loro.
Nel 1961 Sperry pubblica su Science il primo articolo sugli “split brain”.
Nel lavoro che lo condusse al premio Nobel, Sperry e i suoi colleghi
sottoposero questi pazienti operati di “callosotomia” a test
neuropsicologici atti ad indagare le singole funzioni degli emisferi
cerebrali e scoprirono, diversamente da quanto era opinione comune,
che ogni lato del cervello, non solo presiede a specifiche funzioni ma è
dotato di una propria coscienza.
Sperry affermava che ogni emisfero: “è un sistema cosciente a pieno
titolo, in grado di percepire, pensare, ricordare, ragionare, volere ed
emozionarsi, il tutto a un livello tipicamente umano” e, quindi, “[...] sia l'emisfero destro, sia quello sinistro
possono essere simultaneamente coscienti in esperienze mentali differenti, talora persino in conflitto tra
loro, che viaggiano in parallelo”.
Le ricerche confermarono che l’emisfero sinistro ha il dono della parola ed è “dominante” in tutte le
attività che riguardano il linguaggio, l’aritmetica e l’analisi. Quello destro, si esprime attraverso
comportamenti ed emozioni, è capace solo di addizioni semplici (sembra poter contare più o meno fino a
20), ed è superiore al sinistro nella comprensione visuo-spaziale (per esempio, leggere una mappa o
riconoscere un volto).
Un quarto di secolo di esperimenti ha portato ad un quadro ben più articolato in cui, normalmente,
l’emisfero sinistro è specializzato nei processi linguistici, nell’analisi logica e scientifica, nella capacità
razionale di analizzare e dividere un problema nelle sue parti, mentre l’emisfero destro è specializzato
nella comunicazione emotiva e corporea, nell’intuizione, nei processi visivi, nella percezione globale di
un problema, nella comprensione analogica e simbolica, nella creatività artistica e immaginativa.
L’emisfero femminile è inconscio e l’emisfero maschile parla anche per quello femminile
Una sconcertante differenza rilevata tra i due emisferi concerne il loro stato di coscienza, o meglio,
l’accesso alla coscienza che hanno le informazioni da loro elaborate. Le informazioni gestite dall’emisfero
razionale sono coscienti, mentre le informazioni processate dall’emisfero intuitivo, pur svolgendo la
stessa quantità di operazioni con analoga precisione, sono inconsce.
L’emisfero destro, sede dei processi inconsci, è più rapido nel cogliere le espressioni emotive dei volti
(Pizzagalli, Regard e Lehmann, 1999) e contiene un “lessico affettivo di tipo non verbale” (Bowers, Bauer
e Heilman, 1993; Snow, 2000). In esso si ritrova anche la mappa più completa degli stati somatici
(Damasio, 1994).
Siccome è profondamente connesso non solo col sistema limbico, ma anche con le branche simpatica e
parasimpatica del sistema nervoso autonomo, esso si presta ad essere un efficace strumento di
adattamento allo stress (Wittling, 1997).
Sempre il cervello destro è fondamentale per lo sviluppo dell’empatia (Adolphs et al., 2000).
27
I soggetti a cui è stata recisa chirurgicamente la connessione tra i due emisferi, sono coscienti degli
oggetti che vedono solo con l’emisfero razionale, ma non sono in grado di descrivere ciò che vedono con
il solo emisfero intuitivo. In un famoso esperimento, un’immagine di nudo femminile proiettata
direttamente all’emisfero logico/razionale provocava un arrossamento del viso del soggetto
sperimentale, accompagnato da un tipico sorriso di imbarazzo; se al soggetto veniva domandato cosa gli
stesse accadendo, lui rispondeva qualcosa come: “Beh! ho visto una donna nuda...”. Quando la stessa
immagine veniva inviata all’emisfero analogico/intuitivo, si ottenevano le stesse identiche reazioni
emotive e corporee, ma i soggetti, interrogati sul motivo della reazione, rispondevano con un vago: “Mah,
non so...forse stavo pensando ad una cosa buffa” o con analoghe razionalizzazioni, come: “Probabilmente
avevo caldo” o “Credo mi sia venuta in mente una barzelletta…”.
In un altro famoso drammatico filmato sperimentale, si osserva una donna “split-brain” che con la mano
destra, eseguendo un compito guidato dall’emisfero sinistro, costruiva un castello di cubetti di legno ma
ad un certo punto, l’altra mano distruggeva tutta la costruzione, con grande frustrazione e angoscia della
paziente. La persona raccontava come non fosse consapevole di questa parte che la boicottava e le creava
angoscia: un’ulteriore conferma della schizofisiologia di MacLean. Va ricordato che, per l’incrociarsi delle
fibre nervose, l’emisfero destro governa la parte sinistra del corpo e viceversa.
Il concetto di “diavolo” nasce etimologicamente dal greco “dia ballos”: ciò che è diviso. Nella logica della
Neuropsicosomatica, possiamo definire lo stato di salute psicofisica come uno stato di integrità
psicosomatica che nasce da un organico e armonico sviluppo delle varie componenti dell’essere umano e
che si realizza nell’unità della coscienza. Per contro, in situazioni di carente o traumatico sviluppo umano,
le differenti parti, in questo contesto gli emisferi, invece di svilupparsi in armonia tra loro, per
contribuire a realizzare l’unità psicosomatica, si dividono e possono arrivare a creare subpersonalità in
visibile conflitto tra di loro.
È evidente che l’emisfero razionale si assume il ruolo di “parlare per l’intera persona” ma non è
completamente cosciente delle informazioni presenti nell’emisfero opposto. I motivi di questa
importantissima differenza non sono ancora stati chiariti dalla scienza ufficiale, anche se sono state
avanzate diverse ipotesi. Tra queste, una delle più affascinanti, è quella che considera questa una
differenza dovuta ad una storica repressione e inibizione dell’espressione emotiva (alessitimia) e del
femminile. Per via delle molte ricerche che hanno associato l’emisfero femminile - destro alle emozioni
negative e alla depressione, si è avanzata anche l’ipotesi che l’emisfero intuitivo sia una sorta di porta
sull’inconscio, nel senso di emozioni rimosse, perché legate ad eventi traumatici. Nelle pratiche di
sviluppo del potenziale umano, l’emisfero intuitivo è ritenuto legato all’intelligenza “del cuore” o alla
sensibilità, contrapposta all’intelligenza “della testa” o mentale, dell’emisfero maschile.
Schore: l’emisfero destro come base del Sé implicito/inconscio
Negli ultimi due decenni, Allan Schore, psicologo e sostenitore della neuropsicoanalisi, ha pubblicato una
serie di studi sull’evoluzione delle strutture neuropsichiche nel primo periodo della vita che mirano a
comprendere più a fondo i processi psicologici dei legami affettivi e i meccanismi neurobiologici che
sono alla base dell’inconscio umano, descritto da Freud.
Holzman e Aronson (1992) scrivono che Freud “sarebbe
stato molto interessato agli attuali studi sulla
neuropsicologia dei lobi frontali che mostrano come essi
forniscano il substrato organico alla canalizzazione degli
impulsi”.
Le tecniche di brain-imaging permettono oggi di
documentare in tempo reale l’attivazione delle aree orbitali
prefrontali durante una relazione oggettuale. Le stesse
tecniche hanno permesso di evidenziare differenze di genere,
con una maggior attivazione delle aree coinvolte nella
regolazione affettiva nelle donne.
Schore evidenzia che la corteccia destra è dominante
nell’elaborazione, nell’espressione e nella regolazione delle emozioni e nel ricordo delle espressioni
emotive del volto (Horn e McCabe, 1984), e contiene una rappresentazione di Sé in relazione agli altri
(Mesulam e Geschwind, 1978; Schore, 1994).
Come si osserva nella fig.**, secondo Schore, lo sviluppo del cervello destro, nel primo anno e mezzo di
vita, è fondamentale per la formazione del “Sé implicito”, base dell’inconscio (Schore 1994, 1997, 2003a,
2005, 2007).
28
Schore ha fornito un notevole numero di interessanti prove interdisciplinari a sostegno della tesi,
secondo cui, il Sé esplicito, conscio, è associato con l’emisfero sinistro razionale-verbale, più legato
all’espressione e alla relazione con il mondo esterno, mentre il Sé implicito è associato con le funzioni più
inconsce dell’emisfero destro intuitivo-immaginativo, maggiormente connesso con il sistema limbico-
emotivo e con la dimensione corporea.
Nel 2002, il neuroscienziato Joseph LeDoux, ha scritto sulla rivista Science: “Che esistano aspetti espliciti
ed impliciti del Sé non è un’idea particolarmente nuova. Essa è strettamente legata alla partizione di Freud
della mente in livelli conscio, preconscio (accessibile ma attualmente non accessibile), e inconscio
(inaccessibile).”
Alcune ricerche in neuroscienze evidenziano anche che: “l’emisfero destro è stato collegato
all’elaborazione delle informazioni implicite, in contrasto con il trattamento più esplicito e più
consapevole legato all’emisfero sinistro” (Happaney. Zelazo, e Stuss, 2004) e gli psicofisiologi italiani
Balconi e Lucchiari dichiarano: “Abbiamo scoperto che l’emisfero sinistro più che il destro può mediare
l’elaborazione cosciente […], questo risultato è in linea con la ricerca precedente, che ha sottolineato una
dicotomia sinistra-conscio/destra-inconscio” (Balconi & Lucchiari 2008).
La corteccia orbitofrontale come area ad alta valenza psicosomatica
La corteccia orbitofrontale è una zona di convergenza tra corteccia e zone sottocorticali: ha connessioni
dirette con l’ipotalamo, l’amigdala e la formazione reticolare ascendente ma contiene neuroni che
reagiscono ai volti e al tono della voce. Essa può quindi integrare gli stimoli interni (emotivi, somatici) e
quelli esterni (stimoli visivi ed uditivi).
Essa è anche cruciale per il monitoraggio di esperienze passate, nelle loro componenti emotive e sociali
(Cavada, Company, Tejedor, Cruz-Rizzolo e Reinoso-Suarez, 2000).
L’integrità della corteccia orbitofrontale è necessaria per acquisire forme di conoscenza molto specifiche
per la regolazione interpersonale e del comportamento sociale (Dolan, 1999).
Tale struttura è particolarmente rappresentata a livello di emisfero destro (Falk et al., 1990).
Essa viene definita da Goleman (1995) “la parte pensante del cervello emozionale”, rappresentato dal
sistema limbico, responsabile degli aspetti emotivi di eccitazione-ricompensa e avversione-inibizione e
centro di controllo superiore dell’equilibrio fra l’attivazione simpatica e il rilassamento parasimpatico.
La corteccia orbitofrontale è quindi un’area ad alta valenza psicosomatica in cui vengono integrate le
informazioni provenienti dall’ambiente esterno e quelle relative agli stimoli che provengono dal corpo e
dall’ambiente viscerale interno.
L’area corticale orbitofrontale è maggiormente espansa nell’emisfero destro della neocorteccia (Falk et
al., 1990).
La corteccia orbitofrontale ha anche un ruolo nella memoria (Stuss et al., 1982) e nelle interazioni
cognitivo-emotive (Barbas,1995). Il sistema racchiude quindi la capacità operativa per generare una
relazione di oggetto internalizzata, ovvero una rappresentazione di sé, una rappresentazione oggettuale
ed il collegamento con uno stato affettivo (Kernberg,1985).
Esso media l’equilibrio fra piacere e dolore così come le emozioni più primitive con una più forte
connotazione corporea intrinseca. Questo tipo di emozioni primarie sono affetti corporei non verbali
espressi dal viso (Buck,1993), si manifestano in configurazioni universalmente riconoscibili ed
insorgono in maniera automatica, operando al di fuori della consapevolezza.
Il sistema orbitofrontale ha un ruolo centrale nella gestione dello stato corporeo interno (Mega e
Cummings,1994), nell’organizzazione temporale del comportamento (Fuster,1985) e nella capacità di
valutazione degli stimoli sensoriali (Pribram,1987), ovvero nella regolazione affettiva.
Queste capacità sono critiche per la comparsa, intorno ai 18 mesi, di un sistema del Sé, stabile e
adattabile (Lewis,1995).
Autori moderni quali Kohut (1984), Mahler (1975) o Settlage (1988) ribadiscono la convinzione che
esista un sistema strutturale per la autoregolazione degli affetti che si va a strutturare durante i primi
rapporti tra Sé ed Oggetto-Sé.
Una ricerca effettuata con l’utilizzo della PET (Andreason, Zametkin, Guo, Baldwin e Cohen, 1994) ha
mostrato come le aree orbitofrontali si attivino ricordando e raccontando un episodio del passato o
lasciando la mente “libera”: dati suggestivi per collegare tale regione corticale con la tecnica
psicoanalitica delle libere associazioni che attingono al processo primario.
La mappa delle polarità psicosomatiche
29
Nella Figura 48 vediamo una semplificazione delle funzioni dei due emisferi cerebrali, che rappresentano
la base neurofisiologica delle due differenti “neuropersonalità archetipiche cognitive” della psiche umana.
Da un lato, la polarità della mente razionale/logico/analitica che sviluppa una coscienza più
esteriorizzata e trova la sua massima espressione nelle scienze esatte e nella tecnologia, dall’altro, la
polarità della psiche femminile, ossia della mente intuitiva/analogico/estetica che costituisce l’anima
delle arti e dei sentimenti e possiede una direzione più
interiorizzata e inconscia.
Per ragioni di semplificazione funzionale, abbiamo preferito porre
sul lato destro l’emisfero sinistro razionale, che è connesso con la
parte destra del corpo, e viceversa con l’emisfero destro.
In questa mappa delle polarità abbiamo inserito anche le polarità
carica-attiva, del sistema simpatico e la polarità rilassata-passiva,
del sistema parasimpatico, che descriveremo nel successivo
paragrafo.
L’emisfero sinistro/maschile sembra maggiormente connesso con
le attività istintive e corporee del cervello rettile e con gli aspetti
dinamici e di dominanza, legati all’attivazione del sistema simpatico, mentre l’emisfero destro/femminile
sembra maggiormente connesso con gli aspetti più affettivi, legati alle aree del sistema limbico e al
sistema femminile della cura, che richiedono l’attività rilassante e tranquilla del sistema parasimpatico.
È importante avere una reale consapevolezza delle nostre capacità razionali e intuitive, così come delle
loro potenzialità e dei loro limiti.
Olismo, emisferi e salute psicosomatica
Riteniamo funzionalmente ed epistemologicamente scorretto confondere le funzioni intuitive, tipiche
dell’emisfero destro, con le funzioni olistiche che caratterizzano il
nuovo paradigma.
Alcuni autori hanno infatti confuso la qualità intuitiva, che è
polare rispetto a quella analitica dell’emisfero razionale sinistro,
con la qualità “olistica”.
Riteniamo doveroso sottolineare che il termine “olistico”, inteso
come “unitario” o “globale”, non è riducibile alla sola polarità
intuitiva o alla “percezione d’insieme” che caratterizza l’emisfero
destro, ma deve essere strettamente associata alla funzione
unitaria della coscienza centrale e interpretata come il risultato
della sintesi armonica delle attività dei due emisferi: in altri
termini, le due polarità -logica e intuitiva- devono integrarsi, in un
processo cognitivo di ordine più complesso ed evoluto, al fine di
realizzare una reale consapevolezza “olistica” e unitaria della
realtà. (Fig. **)
Come nel caso dei tre cervelli, nella nostra pratica clinica
psicosomatica, abbiamo osservato come la squilibrata attività di un emisfero sull’altro, in eccesso o
inibizione delle specifiche funzioni, sia quasi sempre associata ad un disagio psicologico o relazionale.
Non solo nei disturbi più gravi, come il disturbo bipolare, ma anche nei disagi della vita quotidiana,
consideriamo l’armonizzazione delle funzioni polari è il presupposto di integrità personale e di salute
psicosomatica.
Vedremo nei prossimi paragrafi, l’effetto delle pratiche di consapevolezza e meditazione nel ristabilire il
centro funzionale del Sé capace, appunto, di dare coerenza, unità e comprensione olistica ai differenti
aspetti cognitivi polari.
DUE: le due polarità del sistema neurovegetativo: il simpatico e il parasimpatico
Il sistema nervoso è diviso in due grandi sistemi funzionali: il sistema somatico, o volontario, che riceve
informazioni dagli organi di senso (vista, udito, gusto, olfatto, sensibilità corporea, ecc.) e invia
“consapevolmente” le sue informazioni al sistema muscolo-scheletrico e il sistema autonomo, o
neurovegetativo, o involontario, che controlla le principali funzioni vitali, come la temperatura, la
pressione, il battito cardiaco, la respirazione, la digestione, ecc., in modo inconscio e automatico, ossia
senza il diretto controllo della volontà.
Il sistema nervoso autonomo è, a sua volta, diviso in due grandi sistemi: il simpatico e il parasimpatico.
30
Parallelamente alla polarità maschile/logica e femminile/intuitiva dei due emisferi cerebrali, abbiamo la
polarità maschile/attiva-dinamica, del sistema simpatico e quella femminile/passiva-rilassante, del
parasimpatico. La gran parte degli organi interni viene innervata sia dal simpatico sia dal parasimpatico,
la loro azione è, per lo più, polare o antagonista. (Fig. **)
Il sistema simpatico svolge due ruoli psicosomatici attivanti/eccitatori di fondamentale importanza
nella vita della persona: uno percepito come “positivo” e uno “negativo”. Il ruolo del sistema simpatico
percepito come “negativo”, è essenzialmente una risposta eccitatoria da stress, al pericolo o al dolore. La
sua attivazione è un elemento vitale, in quanto stimola le reazioni fisiche di attacco o fuga (adrenalina,
noradrenalina), funzioni essenziali per la sopravvivenza, che richiedono la risposta, immediata e totale
del corpo, ad una situazione, come una preda da rincorrere e catturare (per nutrirsi), o un predatore da
cui fuggire (per sopravvivere).
Il ruolo del sistema simpatico percepito come “positivo”, è essenzialmente mediato dal sistema della
dopamina e degli ormoni sessuali (testosterone) e, legato all’entusiasmo, all’esplorazione, al senso di
piacere relazionale, al gioco e alle nuove esperienze e conoscenze. Il sistema simpatico si attiva quindi
anche in situazioni piacevoli, come una festa,
una gara sportiva o un incontro sentimentale,
produce aumento della frequenza del battito
cardiaco, aumento della pressione arteriosa e
mobilitazione delle riserve di energia del
corpo. Una via direttissima, che consiste in
fibre nervose che non si interrompono, collega
l’ipotalamo, tramite il sistema simpatico, alla
midollare del surrene (organo cruciale per la
produzione di adrenalina e noradrenalina),
una connessione fondamentale per la
comprensione dello stress, delle crisi di panico
e di numerosi altri disturbi psicosomatici.
Nella maggior parte dei casi, il sistema
simpatico ipereccitato (ipersimpaticotonia),
crea i presupposti psicofisici per i disturbi e i
blocchi psicosomatici da stress: tendenza al
controllo mentale, eccesso di attenzione,
agitazione, ansia, insonnia, nervosismo e per le
turbe sessuali più comuni: eiaculazione
precoce e vaginismo. Quando questa fase
ipertonica del sistema simpatico dura oltre
misura, tende a “bruciare” tutte le risorse del
sistema, innescando la fase di “esaurimento”
dello stress, che a volte persiste in uno stato cronico di eccesso di attivazione, cronicizzando i disturbi
tipici dell’ipersimpaticotonia, come insonnia, nervosismo, ipercontrollo e ansia cronica.
In altri casi, dopo la fase di “esaurimento”, segue invece una fase di iposimpaticotonia, in cui la persona
cade in uno stato di abbassamento energetico generale che sta alla base della sindrome da fatica cronica,
depressione, abbattimento psicofisico, impotenza sessuale, ecc.
Il sistema parasimpatico, svolge anch’esso due ruoli psicosomatici rilassanti/inibitori di fondamentale
importanza nella vita della persona: uno percepito come “positivo” e uno “negativo”. Il ruolo del sistema
parasimpatico percepito come “positivo”, essenzialmente mediato dai sistemi emotivi legati al benessere
corporeo (serotonina), all’amorevolezza (ossitocina) e alla soddisfazione (endorfina), è essenzialmente
legato allo stato di riposo psicofisico e alla funzione rilassante, tipica di tutti i momenti di relax, di
relazioni piacevoli di amicizia, di abbandono al piacere affettivo e sessuale e di riposo e sonno. Una
buona parasimpaticotonia è la base del piacere di vivere nel proprio corpo, della capacità di
abbandonarsi alle sensazioni e all’intensità sessuale. Un’eccessiva attivazione del parasimpatico, non
bilanciata dall’attività simpatica, genera sonnolenza, apatia, stanchezza cronica, torpore e mancanza di
desiderio di vivere.
La “teoria polivagale” di Porges (2001, 2013) evidenzia come il “vago”, un nervo centrale del sistema
parasimpatico, è composto di due rami evolutivamente differenziati: la parte inferiore, chiamata “dorso-
vagale” non mielinizzata, che innerva gli organi sottodiaframmatici dell’addome, che ha origini più
antiche e rettili, e la “ventro-vagale” parte più recente e mielinizzata, che innerva gli organi
31
sovradiaframmatici e che è particolarmente connessa con il cuore e che viene attivata dalle relazioni
sociali e dalle interazioni affettive positive.
Il ruolo del sistema parasimpatico “negativo”, è essenzialmente una risposta legata ad un’esperienza
traumatica o violenta, mediata dal sistema della paura (cortisolo, noradernalina) e dall’amigdala, che,
attiva la componente “dorso-vagale” del nervo vago, e che sembra alla base dei processi di “collasso
vagale”, di inibizione dell’azione, di congelamento (freezing), fino alla dissociazione.
La logica della vita, come nell’alternanza del giorno e della notte, è basata su cicli di attività e riposo, in
cui lo sforzo prodotto dal simpatico, si alterna al riposo del parasimpatico. Molti disturbi da stress sono
basati sullo squilibrio tra questa armonica alternanza: il più comune è lo stato di iperattivazione del
sistema simpatico che rimane attivo anche quando non è più necessario esserlo e, nei casi più gravi,
l’attivazione “dorso-vagale” del parasimpatico che produce i fenomeni di collasso e congelamento che
stanno alla base dei disturbi psicosomatici e psicologici più gravi.
È importante riuscire a valutare con correttezza la reale funzionalità o disfunzionalità del proprio
sistema simpatico e parasimpatico.
UNO: i centri neuronali della coscienza di Sé
Nel 1977 Sir John Eccles, premio Nobel nel 1963 per la neurofisiologia, pubblicava, insieme al filosofo
della scienza Karl Popper “The Self and Its Brain”, e nel 1989 “Evolution of the Brain: the creation of the
Self”, i primi testi che indagano in modo scientifico sui tradizionali temi filosofici della natura della
coscienza e dell’origine evolutiva del Sé e dell’anima.
La sua affascinante e profonda trattazione, che aprì la mente a molti ricercatori e inaugurò uno dei più
fertili orientamenti della ricerca delle neuroscienze moderne, mancava tuttavia di alcune conoscenze
scientifiche e culturali che si sarebbero sviluppate successivamente.
Negli ultimi decenni, la ricerca scientifica, grazie allo sviluppo di metodi di indagine più avanzati e
raffinati come la PET, la TAC, la RMN, l’EEG e grazie anche all’esperienza pratica della meditazione e della
mindfulness, ha cercato di indagare e comprendere scientificamente la più intima e profonda natura
neurocognitiva della coscienza di Sé. Le neuroscienze hanno scoperto che alcuni centri, che
rappresentano i punti nodali in cui si concentrano i flussi cognitivi di informazioni dalle differenti reti
neuronali, mostrano la capacità di gestire la consapevolezza di Sé.
Fino a qualche decennio fa, nell’ambito delle neuroscienze, si riteneva che la coscienza di Sé fosse
espressione delle funzioni mentali-cognitive della neocorteccia e che le funzioni emotive e corporee, che
nascevano dalle aree sottocorticali più antiche del cervello, fossero essenzialmente tutte automatiche e
inconsce. Eccles sosteneva che la coscienza di Sé fosse originata da un’area del cervello neocorticale, il
più evoluto e mentale. Le ricerche più recenti mostrano, invece, che la coscienza primaria è originata dai
centri più antichi e profondi del cervello rettile e mammifero. Gli esperimenti condotti da Merker (2007)
evidenziano, infatti, che gli animali a cui è stata asportata la neocorteccia non hanno palesi
compromissioni della coscienza di Sé, da cui si evince inequivocabilmente che i centri regolatori della
coscienza di Sé siano sottocorticali.
Il Sé Corporeo-istintivo: le radici neurocognitive primordiali della coscienza di Sé
Jaak Panksepp, psicobiologo e ricercatore in neuroscienze presso la Washington State University, con
un’impostazione totalmente differente da quella utilizzata da Eccles, afferma che: “La coscienza superiore
umana è frutto di un’evoluzione di stati di coscienza primitiva degli antichi circuiti del tronco cerebrale
(brain stem) e che “L’essenziale centro dell’essere (core of being) è sottocorticale”.
Secondo Panksepp, il “primordial core-SELF” e i circuiti arcaici della
coscienza che elaborano il fondamentale “senso del sé”, sono radicati nelle
aree basse del cervello: nel tronco encefalico (cervello rettile).
Essi, per primi, danno una rappresentazione del corpo come un “coherent
whole”, un’“unità coerente” e quindi “la coerenza Self-referente generata
dagli antichi e stabili centri motori sembra essere il vero fondamento
dell’unità di tutte le forme di coscienza più elevate.” Panksepp propone il
termine di “SELF”, sovrapponibile al concetto di “proto-self” di Antonio
Damasio (1999), per indicare che il primo essenziale centro del Sé nasce
dal cervello più primitivo: il PAG, l’area del cervello rettile che gestisce la
coscienza corporea ed emotiva, in quanto possiede al suo interno una
completa rappresentazione dell’intero corpo e dei sistemi emotivi-istintivi
fondamentali alla vita.
32
I tessuti sottostanti al PAG contengono rappresentazioni di tutti i processi (circuiti) emozionali primari:
dolore, paura, rabbia e stress da separazione, sesso e comportamenti materni primari. Il PAG è anche
molto connesso con l’ARAS (Ascending Reticular Activating System), il sistema reticolare ascendente che,
letteralmente, accende e spegne la coscienza, con il risveglio e il sonno.
Il PAG, insieme ai livelli profondi del collicolo (un’area del tronco encefalico), sono la base del Sé
corporeo-istintivo e contengono una completa mappa sistemica-motoria del corpo fisico e degli istinti
primordiali, base del senso di identità o individualità.
Edelman (2004) descrive questo livello come una “coscienza primaria” di cui “sono dotati anche animali
privi di capacità semantiche o linguistiche” e quindi “la prima coscienza di sé è basata sul corpo: il sé
corporeo”.
Panksepp sottolinea che lesioni estese del PAG provocano un disastroso effetto di perdita della coscienza,
mentre modeste lesioni del PAG compromettono molte funzionalità affettive.
In Neuropsicosomatica, il Sé corporeo rappresenta la prima e più elementare componente della “base
sicura”, su cui poggia l’intera struttura neuropsichica dell’essere umano che si manifesta come senso di
presenza fisica, di sicurezza nelle proprie risorse corporee, stabilità e sicurezza di base.
Il Sé Emotivo e i sette Sistemi Emozionali di Panksepp
Jaak Panksepp ha dato un enorme contributo alle neuroscienze evidenziando che nei mammiferi, dai più
primitivi, fino all’essere umano, esistono sette principali sistemi neuronali
delle emozioni che rappresentano i principali canali di espressione del Sé,
ossia “le vie psicologiche, emotive e comportamentali con cui la coscienza di
sé si manifesta nella vita”. Panksepp evidenzia che i sette principali
“sistemi emotivi” sono specifiche aree cerebrali comuni a tutti i cervelli dei
mammiferi e dell’uomo. I circuiti neuronali più antichi, che prendono
origine dal PAG, centro del Sé corporeo-istintivo, si sviluppano verso il
talamo, sede principale del Sé emotivo e poi, da questo, si dirigono alla
neocorteccia, per una rielaborazione cognitiva.
Nei suoi libri, Affective Neuroscience (1998) e The Archeology of Mind
(2012) (trad. it. L’Archeologia della Mente, 2014, Cortina Ed.), Panksepp
sottolinea che questi sistemi emotivi rappresentano le funzioni psicosomatiche di base del vivente che
regolano i differenti aspetti essenziali della nostra vita e si manifestano attraverso specifici
comportamenti fisici, emotivi e cognitivi. Partendo dal Brain Regulatory System, il sistema energetico-
metabolico di base, centrato sul PAG, che noi preferiamo chiamare sistema del PIACERE CORPOREO, o
Homeostatic Body Pleasure (HBP), si sviluppano i sette sistemi: RICERCA/ENTUSIASMO,
RABBIA/DOMINANZA, PAURA/ANSIA, SESSUALITÀ/DESIDERIO, CURA/AMOREVOLEZZA,
TRISTEZZA/PANICO e GIOCO/FANTASIA.
Per una corretta comprensione evolutiva delle strutture cerebrali, sottolineiamo che i primi quattro
sistemi (ricerca, rabbia, paura e sesso) sono già presenti nei cervelli più primitivi dei rettili, mentre gli
ultimi tre (cura, tristezza e gioco) si sviluppano solo con l’evoluzione del cervello dei mammiferi. I rettili,
infatti, non mostrano, in linea di massima, particolari comportamenti di cura, amorevolezza, tristezza,
gioco e fantasia.
Ogni sistema emotivo costituisce un elemento fondamentale della rete del Sé psicosomatico, in quanto
attiva simultaneamente: 1) i circuiti neuronali legati alle funzioni corporee-istintive della parte più
profonda e antica del cervello rettile (il “sistema-primario” istintivo-corporeo), 2) i circuiti neuronali
legati alle funzioni emotive e affettive del cervello limbico-mammifero (il “sistema-secondario”
dell’apprendimento emotivo e della memoria affettiva), 3) i circuiti neuronali legati alle funzioni mentali-
cognitive della zona superiore neocorticale del cervello (il “sistema-terziario” dei processi psicologici,
razionali e di valutazione cognitiva).
In questo schema il talamo, come centro funzionale del sistema limbico o cervello mammifero,
rappresenta un nucleo di fondamentale importanza nella comprensione neurocognitiva della coscienza
di Sé e delle emozioni. Come vedremo nei successivi paragrafi, il talamo può essere considerato come il
cuore del cervello. Talamo e PAG sono due centri di coscienza già presenti negli animali più primitivi,
fortemente psicosomatici, in quanto regolano le principali funzioni corporee primarie, istintive ed
emotive.
La mappa neuropsicosomatica
33
In Figura ** sono stati schematizzati i sistemi emotivi posizionando alla sinistra di chi guarda i sistemi
che attivano il simpatico e alla destra di chi guarda i sistemi che attivano il parasimpatico. Nella mappa i
sistemi già presenti nei rettili sono stati posti nell’area rossa che caratterizza il cervello rettile-istintivo,
mentre i sistemi che emergono solo con i mammiferi si trovano nell’area verde del cervello mammifero-
emotivo. Ricordiamo che tutti i sistemi sono connessi con tutti e tre i
cervelli e influenzano direttamente le aree neocorticali superiori.
Questi sette sistemi emotivi, sono profondamente legati e regolati da
specifici ormoni e neurotrasmettitori che sono stati chiamati “molecole
di emozioni” dalla neuroscienziata Candace Pert (Pert, 1999) e
costituiscono il “network psicosomatico” dell’essere umano (Pert 1985).
In Neuropsicosomatica il Sé emotivo-affettivo rappresenta la seconda
componente della “base sicura” su cui poggia la struttura neuropsichica
dell’essere umano che si manifesta come senso di presenza affettiva, di
sicurezza nelle proprie risorse relazionali, stabilità e sicurezza affettiva
di base. Come approfondiremo nei prossimi capitoli, i disagi da non allattamento al seno, i traumi da
carenza affettiva o abbandono infantile, la mancanza di una “base sicura” a livello di cura affettiva
materna (Bowlby, 1989, Ainsworth, 1970), come anche le influenze epigenetiche in gravidanza di madri
particolarmente anaffettive, preoccupate, o con situazioni familiari disfunzionali, possono influenzare
negativamente il corretto sviluppo del Sé emotivo, con evidenti riduzioni del sistema ossitocinico ed
endorfinico che generano una base di insicurezza e debolezza relazionale del Sé.
I sette sistemi emotivi e le neuropersonalità
Jaak Panksepp sottolinea che i sette sistemi emotivi sono le vie di espressione del Sé.
Sulla base degli studi delle neuroscienze e della PNEI e del modello neuropsicosomatico, ho messo in
evidenza come ognuno dei sette sistemi emotivi, abbia una componente genetica “hardware”, costituita
dai circuiti neuroanatomici del cervello, e una componente epigenetica “software”, modulata da specifici
neurotrasmettitori, neuropeptidi e ormoni che attivano o inibiscono le loro funzioni. La personalità
umana è espressione del complesso intreccio di relazioni e funzioni tra questi due aspetti.
Per evitare confusione con le molte definizioni di “personalità”, di “temperamento” o di “carattere”, delle
diverse scuole psicologiche e per evidenziare la loro sostanziale componente neuroanatomica e neuro
trasmettitoriale, ho utilizzato il termine “neuropersonalità” (Montecucco, 2005, 2009).
Definizione: la neuropersonalità è l’espressione sistemica del Sé che caratterizza una persona e che
rappresenta l’insieme degli specifici tratti fisici, posturali, comportamentali, emotivi, affettivi, relazionali,
psicologici, derivati dai sette sistemi emotivi, dall’attività cognitiva neocorticale dei due emisferi e dagli
ormoni e neurotrasmettitori a loro associati.
Mentre la componente “hardware” anatomica ha una tipica struttura genetica di base e resta
sostanzialmente immodificata nell’arco della vita, la sua componente “software” può subire ampie
modificazioni epigenetiche derivate dai differenti condizionamenti materni, famigliari, biosociali. Questa
componente “software” modula e regola gli aspetti della personalità umana, dalla normale funzionalità
agli aspetti più patologici e può essere ribilanciata e regolata dalle pratiche di terapia psicosomatica che
intervengono simultaneamente sugli aspetti comportamentali, emotivi e psicologici del carattere.
L’espressione comportamentale globale dell’attività dei sette sistemi emotivi e dei loro
neurotrasmettitori, genera le infinite qualità e sfumature della personalità umana.
Le basi delle neuropersonalità tengono conto anche delle ipotesi e dei modelli di personalità e
temperamento proposti da psicologi e ricercatori come Reich (1935), Eysenck (1953), Cloninger (1999),
Siever e Davis (1991).
Il Sé cognitivo neocorticale
La neocorteccia rappresenta la parte più evoluta e con maggiori capacità di elaborazione cognitive
dell’intera struttura cerebrale. La neocorteccia, tuttavia, non è essenziale per la generazione dei processi
primari dell’emotività e della consapevolezza di Sé, mentre è
fondamentale per l’elaborazione dei processi cognitivi superiori, ideativi,
razionali, etici, strategici, valutativi, in larga parte riferibili alla complessa
interpretazione dei significati relazionali, familiari, sociali, culturali,
politici e religiosi che codificano le relazioni umane. Parallelamente ai
sette sistemi emotivi che sviluppano e organizzano le attività del cervello
rettile e mammifero, le strutture mediane neocorticali sono quelle che
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maggiormente rappresentano la parte cognitiva e mentale dell’intera funzione globale della coscienza di
Sé nel cervello umano o superiore.
Da un punto di vista evolutivo, è utile ricordare che il Sé corporeo primitivo del PAG, legato al cervello
rettile, si sviluppa nel Sé emotivo dei mammiferi, centrato nel talamo, che coordina le funzioni della
coscienza emotiva-affettiva del sistema limbico e si evolve ulteriormente nell’essere umano con lo
sviluppo nel Sé Cognitivo neocorticale, fondamentale per l’analisi mentale e psicologica, per
comprendere i risvolti sociali e culturali, per l’analisi razionale e strategica dei comportamenti e per
sviluppare le sue potenzialità creative.
Le funzioni autobiografiche e sociali delle Cortical Midline Structures
Secondo Panksepp e Northoff et alii (2004) e Panksepp et alii
(2008), nel circuito della coscienza di Sé, le strutture mediane della
neocorteccia chiamate Cortical Midline Structures (CMS)
rappresentano le aree che governano gli aspetti cognitivi superiori,
della memoria autobiografica di Sé, della rappresentazione di Sé,
della valutazione di Sé, della percezione dell’unità del Sé, ossia di
essere un’unità vivente, di integrazione dei costrutti psicologici e
ideologici del Sé e di quelli emotivi e affettivi (Schore, 2003). Le
strutture del CMS gestiscono i complessi aspetti relazionali e le
regole della vita sociale. Queste strutture permettono di
comprendere e convalidare l’“io autobiografico” di Damasio (1999).
Nell’insieme, si ipotizza che queste strutture mediane corticali e le
loro attività psicologiche superiori, sostengano e amplifichino, non
solo i processi cognitivi relativi all’interpretazione etica,
relazionale e sociale, ma anche dell’auto-coscienza o auto-
consapevolezza.
In neuropsicosomatica il Sé cognitivo rappresenta la componente
psicologica, culturale e sociale su cui poggia la struttura
neuropsichica dell’essere umano che si manifesta come senso di
libertà di pensiero, sicurezza nelle proprie idee, autonomia
psicologica, intelligenza attiva, capacità di sostenere e risolvere le
sfide della vita. Come approfondiremo nei prossimi capitoli, i
disagi dovuti ad una limitata educazione, ad uno scarso o
negativo sostegno psicologico da parte della famiglia e della
società, fino ai traumi psicologici, come anche le influenze
epigenetiche in gravidanza di madri particolarmente disturbate psicologicamente, o con situazioni
familiari altamente disfunzionali, possono influenzare negativamente il corretto sviluppo del Sé
cognitivo, con evidente iperstimolazione dell’asse dello stress che genera una base di insicurezza e
debolezza psicologica del Sé.
La coscienza di Sé come network neuronale
La vera rivoluzione delle neuroscienze nella comprensione della coscienza di Sé è stata proposta da
Gerald Edelman (2004), premio Nobel per la medicina, che evidenzia come la coscienza di Sé non sia
“riducibile” ad un oggetto anatomico o alla funzione fisiologica di uno specifico centro nervoso, per
quanto complesso e interconnesso, ma che “la coscienza è un processo”.
Edelman sostiene che “per spiegare la coscienza è indispensabile una comprensione “globale” complessiva
del cervello”, per cui la funzione informatica della rete neuronale diventa prioritaria rispetto alla
struttura fisica-anatomica delle aree cerebrali precedentemente studiate.
L’innovativo concetto di Edelman si basa sull’intuizione che la coscienza di Sé non sia la funzione di
un’area del cervello ma l’espressione emergente di una rete neuronale che dal talamo si dirama all’intera
struttura neocorticale superiore. In questa concezione, il talamo rappresenta il nucleo del “dinamic core
of consciousness”, ossia il centro funzionale di un “network talamo-corticale”, descritto come un flusso
“rientrante” di informazioni che dal talamo si espandono a tutte le aree della corteccia e che, dopo essere
state rielaborate dai processi cognitivi superiori, ritornano al talamo in un flusso continuo e senza pause
(Edelman, 2004).
Il talamo come “Core Self”
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Edelman e Damasio, chiamano “Core Self” questo fondamentale circuito talamico, alla base del senso-di-
Sé. Il Core Self è il reale “cuore” funzionale della coscienza, in costante comunicazione con le informazioni
somatiche sensoriali provenienti dal basso e dal PAG e le
elaborazioni neocorticali delle informazioni che rappresentano
la dimensione più cognitiva e orientata ai delicati aspetti sociali,
etici e relazionali della coscienza di Sé.
A conferma delle teorie di Edelman vi sono anche le ricerche del
neurofisiologo Rodolfo Llinas (1998) che delineano la funzione
del talamo come “centralina di un loop di messaggi”
autoreferenti talamo-corticali, che rappresenta il nucleo
centrale della coscienza di Sé. Llinas (1998) ha dimostrato che il
talamo si connette e si sincronizza con le principali aree del
cervello, inviando e ricevendo informazioni con una frequenza
di quaranta volte al secondo (40 Hz) generando coerenza tra la
coscienza corporea, le componenti emotive del sistema limbico e la coscienza cognitiva prefrontale della
neocorteccia. Secondo Llinas questa sarebbe “la base neuronale della coscienza di Sé”. Il talamo non è,
tuttavia, da considerarsi come “la sede” della coscienza di Sé ma come la struttura nervosa che,
generando una comunicazione coerente tra le differenti aree cerebrali, permette l’unità della rete della
coscienza e del Sé psicosomatico.
Il talamo e il “cuore” psicosomatico
A sostegno delle teorie che considerano il talamo come il “cuore” sincronizzatore della rete della
coscienza di Sé, sono di fondamentale importanza le ricerche che provano come anche piccole lesioni del
talamo danneggino gravemente o annullino la coscienza di Sé.
Nelle teorie psicosomatiche orientali e occidentali, la funzione del talamo come sincronizzatore
dell’intera rete della coscienza di Sé è esattamente rispecchiata nel “cuore” fisico. In ogni parte del
mondo, le persone quando dicono il proprio nome (“io sono …”) , mettono la mano sul cuore per indicare
la propria identità. In molti testi sacri occidentali e orientali, il cuore viene ritenuto la sede dell’anima, del
Sé. Per i padri del deserto, i mistici dell’antica tradizione cristiana, il cuore non è semplicemente un
organo fisico, ma il centro spirituale dell’anima dell’essere umano, il suo Sé più profondo e vero.
Nell’antico testo classico di medicina cinese dell’Imperatore Giallo, il Huang Ti Nei Ching Su When, è
scritto (cap. 23): “Il cuore è la sede dell’anima (Shén)” e (cap. 8): “Il cuore è il re che governa la mente”.
L’ipotalamo: il centro di governo del sistema psicosomatico
L’ipotalamo è un piccolo ma fondamentale centro di governo del cervello che regola le principali funzioni
vitali dell’intero sistema psicosomatico. L’ipotalamo (in viola nella Figura 58) è il punto anteriore dove i
due talami (in verde) si congiungono e unificano le loro informazioni, già elaborate, in sinergia con i due
emisferi (in colore azzurro e rosa).
L’ipotalamo gestisce e regola una miriade di funzioni psicosomatiche fondamentali alla vita: dai processi
fisiologici primari, come la fame, la sete, la termoregolazione corporea (temperatura), il rimo sonno-
veglia, le funzioni sessuali, le secrezioni gastriche, alla regolazione
dello stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene) e delle emozioni, alla
regolazione del sistema nervoso autonomo simpatico-attivante e
parasimpatico-rilassante, alla regolazione dell’intero sistema
endocrino, attraverso l’ipofisi.
Il talamo pesa solamente 4 grammi ed è rimasto sostanzialmente
immutato nel corso dell’evoluzione del cervello degli animali superiori,
dai rettili all’essere umano. Questo significa che la sua struttura è così
essenziale e funzionale da non richiedere particolari trasformazioni o
adattamenti evolutivi, come praticamente è avvenuto per tutte le altre
strutture cerebrali.
L’ipotalamo è un punto di connessione dell’intero network neuronale
della coscienza, sia con l’esterno, attraverso il nucleo soprachiasmatico
che gli trasmette informazioni sulla luce e sul buio, permettendo la
regolazione del ritmo sonno-veglia e dei complessi orologi biologici ad
esso associati, sia con l’interno, in particolare con il sistema limbico-emotivo attraverso l’amigdala,
l’ippocampo e i due talami che sono connessi con i due emisferi e con le aree più profonde del tronco e
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del PAG.
L’ipotalamo è poi intimamente connesso con l’ipofisi, la più complessa e importante ghiandola endocrina
del corpo. Per realizzare questo fondamentale collegamento, l’ipotalamo emette un fascio di fibre
(eminenza mediana) che attraversano la “barriera ematoencefalica” (che protegge il cervello dalla
possibile invasione di batteri, virus e sostanze chimiche tossiche), e formano la neuroipofisi, la parte
posteriore dell’ipofisi, che non è di fatto una vera ghiandola ma una parte del cervello che si collega alla
adenoipofisi (la parte anteriore): la vera ghiandola endocrina. L’ipotalamo, attraverso la neuroipofisi,
secerne un elevato numero di releasing hormones o releasing factors (fattori di rilascio degli ormoni) che
vanno a stimolare o inibire la produzione degli innumerevoli ormoni dell’ipofisi anteriore, che poi
entrano nel circolo sanguigno e vanno, a loro volta, a stimolare o inibire le ghiandole endocrine di tutto il
corpo.
Dalla coscienza ordinaria alla consapevolezza di Sé
A questo punto, per comprendere il passaggio al successivo stadio
evolutivo, è necessaria un’attenta riflessione sulla consapevolezza
umana e sulle sue potenzialità. In particolare è necessario
comprendere la sostanziale differenza tra il terzo e il quarto livello
evolutivo, ossia tra la “coscienza sistemica” e la “consapevolezza di
Sé”.
Come è stato descritto nel capitolo precedente, sulla
neuroevoluzione dei sistemi unitari, ogni organismo vivente
possiede una sua “coscienza sistemica”, ossia è cosciente di esistere
e di interagire con gli eventi della realtà in cui si trova a vivere. La
coscienza sistemica è definita come “la capacità cognitiva di un
sistema vivente di percepire il senso globale delle proprie informazioni”
e rappresenta una caratteristica intrinseca di ogni essere vivente e cosciente delle proprie informazioni,
percepite come sensazioni, emozioni, pensieri e credenze (vedi Figura **).
Nessun animale, invece, mostra evidenti segni di consapevolezza di Sé o auto-consapevolezza.
I rettili hanno sviluppato maggiormente le funzioni istintive primarie, legate al cervello rettile, i
mammiferi hanno poi sviluppato le funzioni affettive ed emotive legate al sistema limbico e gli esseri
umani, grazie allo sviluppo del cervello neocorticale, hanno generato l’incredibile espansione delle
conoscenze scientifiche, artistiche e culturali, che sono comunque interamente comprese sul terzo livello,
in cui esiste una forte corrispondenza tra la funzione psicologica, emotiva o comportamentale e l’area
neuroanatomica corrispondente.
Quando una parte del cervello viene lesa da un trauma, o asportata chirurgicamente, la corrispondente
funzione fisiologica o cognitiva viene parallelamente lesa o ridotta. Tutte queste funzioni intellettive e
cognitive del terzo livello appena descritte, sarebbero completamente annullate da un trauma o
dall’asportazione chirurgica delle relative aree della neocorteccia e del CMS in particolare (Marker,
2007).
Come abbiamo appurato, la consapevolezza di Sé, invece, è il risultato globale di un network neuronale
tra i tre cervelli e non è più legata ad una specifica area neuroanatomica del cervello, essa infatti,
permane nelle persone anche dopo gravi traumi cranici o rimozioni di ampie aree cerebrali, come nella
terapia chirurgica dei tumori, che riducono tutte le principali funzioni fisiologiche e cognitive.
Il quarto livello evolutivo
La consapevolezza di Sé, che rappresenta il quarto livello di evoluzione, deve essere vista come un salto
quantico verso la totalità psicosomatica del Sé che riunisce tutte le funzioni istintive, emotive e cognitive
in una percezione consapevole unitaria (vedi Figura **). La consapevolezza di Sé, non essendo più legata
ad una specifica area cerebrale, permette all’essere umano di trascendere il rapporto diretto con la
materialità ed entrare nella dimensione più unitaria e spirituale della coscienza.
L’essere umano, nell’arco della sua vita, riassume i tre precedenti livelli evolutivi della coscienza:
iniziando con lo sviluppo del primo livello, collegato al cervello rettile e al Sé corporeo che corrisponde ai
bisogni primari o “di pancia” della prima infanzia, fino all’adolescenza, sviluppa le relazioni affettive, “di
cuore”, con la madre, i genitori e gli amici e infine, diventando adulto, espande le sue potenzialità
cognitive, “di testa”, con lo studio, il lavoro e sviluppando le proprie strutture di pensiero politico,
religioso, culturale, una sua idea del mondo e della vita. Tutti questi livelli sono tendenzialmente
orientati all’esterno e alle relazioni con gli altri e con la società.
37
A questo punto, in alcune persone, inizia a manifestarsi la spinta verso la quarta fase, in cui si inizia a
cercare un senso più profondo della vita: nasce così la ricerca di Sé e la persona diventa
progressivamente più consapevole della propria dimensione interiore, ancora inesplorata.
La consapevolezza di Sé -che esprime il quarto livello o stadio evolutivo- è stata definita come la capacità
di un sistema vivente “di avere coscienza di essere cosciente” (Edelman, 1993), o più dettagliatamente “di
essere consapevole del proprio Sé, ossia della propria natura profonda o spirituale.” La consapevolezza di
Sé è un’esperienza interiore diretta, non mentale, che avviene nel presente e a volte accade
spontaneamente, come un improvviso risveglio della coscienza, di “insight”, di comprensione profonda
del senso sacro della realtà, o più comunemente come risultato delle esperienze di meditazione, quando
la persona inizia un cammino interiore che la porterà gradualmente ad una più profonda percezione del
senso del Sé. Intensi ed improvvisi momenti di illuminazione sono stati descritti da Fritjof Capra, nella
prefazione del Tao della Fisica e da molti esponenti della nuova cultura olistica internazionale, come
viene narrato nell’importante saggio di Piero Ferrucci Esperienze delle vette (1989). Questa esperienza
modifica i circuiti neuronali, genera nuove percezioni corporee, emotive e cognitive più integrate e
unitarie, sviluppa un differente e più integro senso di dignità e valore personale.
La consapevolezza di Sé è l’elemento centrale del salto evolutivo che caratterizza l’essere umano rispetto
ad ogni altra specie animale e rappresenta l’elemento chiave per completare il modello psicosomatico
umano.
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si trasformasse in un Sé più consapevole e “luminoso”. Come se la mia coscienza avesse riunificato il
corpo, le emozioni e i miei pensieri, dandomi una percezione più intensa e globale di me stesso. Mi
sentivo un tutt’uno, senza divisioni, in grande sintonia e connessione profonda con l’esistenza e con tutte
le persone intorno me. Ogni istante della vita quotidiana era diventato prezioso e pieno di senso. Queste
percezioni segnarono un cambiamento così profondo e significativo nella mia vita che decisi di dedicarmi
alla comprensione della natura del Sé e dei processi di crescita della consapevolezza. Così nacque il
desiderio di sviluppare un paradigma olistico, capace di riunire le comprensioni scientifiche e spirituali e
iniziare le ricerche sperimentali sulla consapevolezza di Sé.
Per comprendere e quantificare la coscienza di Sé, in termini neurofisiologici, pensai che dovevo
utilizzare la coerenza elettroencefalografica (EEG coherence) che intuivo potesse rappresentare una
misura della sincronizzazione della rete neuronale, prodotta dalla consapevolezza stessa.
Per svolgere queste ricerche ho sviluppato un avanzato elettroencefalografo computerizzato capace di
calcolare l’analisi matematica della coerenza EEG, o “Indice di correlazione di Pearson” e l’analisi
matematica delle onde “armoniche” o “Trasformata di Fourier”. I dati delle prime ricerche confermarono
subito la correttezza delle ipotesi di lavoro: la consapevolezza di Sé produce un aumento dei livelli di
coerenza EEG! La coerenza EEG diventava, quindi, un semplice strumento di possibile quantificazione
della consapevolezza di Sé.
Oggi la coerenza EEG è ritenuta una misura della comunicazione cerebrale (Florian 1998). Bassi livelli di
coerenza sono associati a lesioni e scarso flusso sanguigno (Leuchter et Al. 1997), a schizofrenia (Wada
et Al. 1998), a depressione (Leuchter et Al. 1997) e invecchiamento (Kayama et Al. 1997), mentre alti
livelli di coerenza sono associati a scambio di informazioni (Petsche et Al. 1997 e Pfurtscheller et Al.
1997) e coordinamento funzionale delle regioni cerebrali (Gevins et Al. 1989). Nei meditatori di lunga
data sono noti incrementi di coerenza, specie a carico delle bande alfa e theta, rispetto ai non meditatori;
minori sono invece gli studi che riguardano i neo meditatori (Tang Y.Y. et Al. 2009).
Consapevolezza di Sé e onde armoniche ad altissima coerenza
Nell’inverno del 1991, ho organizzato una spedizione di ricerca nel monastero di Hairakan, sull’Himalaya
indiano, e nell’Ashram di Pune, per studiare la coerenza EEG su
esperti meditatori in stato di consapevolezza profonda.
La Figura 62 rappresenta una delle immagini EEG che
mostrano come gli stati di profonda autoconsapevolezza
possano arrivare a generare “onde armoniche” ad elevatissima
coerenza EEG (+ 96.8%), che sincronizzano le aree del cervello.
In questo stato di coerenza armonica, i soggetti descrivevano il
Sé, lo spazio interiore della coscienza, come uno spazio
luminoso e unitario, pervaso da un grande senso di armonia e
contatto con l’esistenza così com’era.
Le onde armoniche sono tipiche degli strumenti musicali ben
accordati e per la prima volta ero in grado di rilevare, con uno
strumento scientifico, la capacità del cervello umano di
produrre queste onde. Le onde armoniche EEG denotano
l’esistenza di una profonda armonia tra le varie aree del
cervello, in particolare tra i tre principali circuiti neuronali
della coscienza di Sé, ossia il circuito corporeo-emotivo, PAG-
talamo di Panksepp, il circuito emotivo-cognitivo, talamo–
corticale di Edelman e il circuito cognitivo-sottocorticale, CMS-SCMS di Panksepp e Northoff.
Coerenza EEG e “armonia interiore”
Alla luce di queste ricerche sulle onde armoniche cerebrali, utilizzando una metafora musicale molto
vicina alla realtà, è lecito ritenere che il Sé (Core Self) abbia il ruolo del direttore d’orchestra che
sincronizza tutte le principali aree dell’asse neurocognitivo del cervello, come fossero i musicisti che
suonano vari strumenti, generando coerenza e armonia tra le componenti più ritmiche e istintive del
cervello rettile, le parti più melodiche-emotive del cervello mammifero e gli assolo più raffinati e
complessi del cervello umano neocorticale.
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Coerenza cerebrale e salute psicosomatica
Dopo i primi risultati positivi, il nostro obiettivo fu di comprendere se e come la coerenza EEG potesse
rappresentare un indice, oltre che per la consapevolezza di Sé, anche per la salute psicosomatica globale.
Le nostre successive ricerche, svolte agli inizi degli anni novanta e poi confermate da ricerche
internazionali, evidenziarono una relazione significativa tra la coerenza elettroencefalografica in stati di
consapevolezza di Sé e la salute psicosomatica. Normalmente, più profondo è lo stato di meditazione o di
salute psicosomatica, più elevati sono i valori di coerenza EEG.
Nell’immagine 63, il grafico di una persona in depressione, a -2% di coerenza EEG e, a destra, una
persona in stato di consapevolezza di Sé, a +96% di coerenza EEG. Queste ricerche hanno evidenziato che
la pratica della consapevolezza di Sé tende ad aumentare la coerenza EEG, in alcuni casi, fino a produrre
“onde armoniche”, come appare nell’immagine di destra.
Le pratiche di consapevolezza e le tecniche di meditazione delle differenti tradizioni, rappresentano
quindi, gli strumenti fondamentali per migliorare il benessere psicofisico e la crescita personale.
Il Sé psicosomatico come governatore della rete PNEI
I dati delle ricerche sulla meditazione e sulla mindfulness e le recenti
acquisizioni delle neuroscienze, confermano la centralità del Sé e il suo
ruolo di “governatore del sistema PNEI”.
Il Sé rappresenta l’elemento centrale dell’equilibrio neuropsichico e si
riflette immediatamente sulla stabilità endocrina e immunitaria che
regola i livelli degli ormoni e dei neurotrasmettitori e, infine, si
ripercuote sulla salute globale e sull’integrità psicosomatica della
persona.
Gli effetti positivi della consapevolezza di Sé sono oggi confermati da
oltre 2500 ricerche internazionali sull’efficacia clinica delle tecniche di
consapevolezza, mindfulness, yoga, qi-gong, tai chi, ecc.
Tra gli effetti positivi più evidenti sui sistemi PNEI:
1. Diminuzione degli ormoni dello stress (cortisolo, adrenalina)
2. Aumento degli ormoni del benessere (endorfine)
3. Aumento degli ormoni dell’affettività (ossitocina)
4. Miglioramento del sistema immunitario (basso cortisolo)
5. Aumento degli ormoni che riducono la depressione (serotonina, dopamina)
6. Riduzione dell’infiammazione (citochine)
7. Miglioramento della pressione sanguigna e dell’attività cardiaca
8. Diminuzione della tensione muscolare e nervosa (bassa adrenalina e noradrenalina).
41
LE RADICI MEDICO-SPIRITUALI DELL’ASSE NEUROCOGNITIVO DEL SÉ
La Tavola delle equivalenze neuro-psico-somatiche
Come già intuiva Ippocrate, ogni parte del corpo si riflette sulla struttura neuropsichica del cervello e
ogni alterazione della rete psico-neuro-endocrina si riflette sincronicamente sull’intero sistema
psicosomatico. In questo breve paragrafo, metteremo in luce alcuni evidenti elementi comuni di
“anatomia comparata”, tra le principali tradizioni medico-spirituali del passato, che ancora oggi
sopravvivono e le loro basi neuronali. In accordo con le direttive dell’OMS, che invitano a trovare
elementi scientifici a sostegno delle antiche medicine tradizionali, e in collaborazione con il Prof. Sergio
Serrano del WHO (World Health Organization) Collaborating Centre for Traditional Medicine, abbiamo
sviluppato alcuni schemi che permettono un’integrazione tra neuroscienze e medicine tradizionali.
Nella Tavola delle Equivalenze Neuro-psicosomatiche (vedi Figura 67), abbiamo cercato di offrire una
base di comprensione tra le recenti evidenze nelle neuroscienze e le mappe energetiche delle antiche
tradizioni, in particolare le medicine tradizionali taoista cinese, yogica indiana e buddhista tibetana che,
pur essendo nate migliaia di anni fa, sono a tutt’oggi ampiamente praticate e mostrano ancora un’elevata
efficacia clinica. L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha infatti evidenziato come le aree
geografiche in cui sono praticate queste medicine tradizionali, abbiano un migliore livello di salute,
rispetto alle aree dove non vi sono pratiche analoghe.
L’asse della coscienza
Il nostro principale contributo a questa intelligente politica dell’OMS, è riassunto nella Tavola delle
Equivalenze Neuro-psicosomatiche, in cui si possono osservare, a sinistra, lo schema dell’asse
neurocognitivo del Sé e, a destra, i paralleli schemi psicoenergetici utilizzati dalle antiche medicine sacre.
Notiamo la profonda relazione che lega la struttura neuropsichica del Sé cognitivo, emotivo e corporeo
(neocorteccia-talamo-PAG) e sul CMS-SCMS, con la struttura dei modelli delle antiche medicine
tradizionali.
Nella tradizione yogica indiana e himalayana, il canale centrale viene chiamato Sushumna e possiede ai
lati, due canali polari, femminile e maschile, Ida e Pingala o Dumai e Renmai nella tradizione cinese con i
relativi Chakra (Ajna, Anahat e Muladhara) e Tantien (alto, medio e inferiore). Esso permetteva una
comprensione psicosomatica realmente integrata, rivelatasi utile per la cura medica e spirituale del
corpo e dell’anima. La rottura dell’equilibrio e dell’armonica risonanza dei centri spirituali del Sé si
manifesta come malattia psicosomatica.
42
CAPITOLO TERZO
LA MAPPA DEL SÈ PSICOSOMATICO
E DELLE NEUROPERSONALITÀ
In questo capitolo si ricompongono in un’unica mappa funzionale gli elementi neuroanatomici, emotivi e
cognitivi, fino ad ora presentati nel libro. È altamente probabile che le affermazioni contenute in questo e
nei prossimi capitoli, benché basate su centinaia di studi scientifici pubblicati, dovranno essere corrette e
modificate dai dati che emergeranno dalle ricerche nei prossimi anni e decenni. Siamo solo all’inizio di
una fantastica epoca di ricerche e scoperte sugli ormoni e i neurotrasmettitori che Pert chiamava
“molecole delle emozioni “ e “ molecole della coscienza”, le sostanze che regolano la nostra vita affettiva,
relazionale e psicologica. Negli ultimi dieci anni la Mappa Neuropsicosomatica è stata aggiornata
innumerevoli volte sulla base delle scoperte che ogni anno emergevano dalla ricerca internazionale. La
struttura della Mappa, tuttavia, è rimasta sostanzialmente immutata, segno che la sua configurazione
rispecchia la reale architettura neurocognitiva dell’essere umano e della sua evoluzione.
La Mappa Neuropsicosomatica
Nel 2001, in piena esplosione delle ricerche PNEI, ho sentito la necessità di ricondurre i dati frammentati
delle estesissime sperimentazioni delle neuroscienze, che sono state esposte nei capitoli precedenti, ad
un modello più organico e unitario. A questo scopo, ho iniziato a sviluppare la Mappa
Neuropsicosomatica, cercando di ordinare in modo funzionale, le caratteristiche dei neurotrasmettitori e
dei circuiti neurobiologici, con le principali attività neuropsichiche.
Gli elementi su cui ho strutturato la mappa sono:
1. L’unità del Sé nella gestione delle informazioni dell’intera rete neuronale (Edelman)
2. La centralità dell’asse neurocognitivo del Sé, PAG-talamo-corticale (Northoff, 2004)
3. La duplice polarità cognitiva degli emisferi cerebrali
4. La duplice polarità del sistema autonomo simpatico/attivante e parasimpatico/rilassante
5. La triplice natura evolutiva dei tre cervelli e delle dimensioni (corporea, emotiva e cognitiva)
6. I sette sistemi emotivi di Panksepp e le principali neuropersonalità.
7. I tre gradi clinici di equilibrio psicosomatico, di disagio e di grave squilibrio.
Da questo ordinamento funzionale, nasce una mappa che permette una lettura più organica e strutturata
del Sé psicosomatico e delle personalità umane e, soprattutto, una migliore griglia di lettura e
comprensione dei disturbi psicosomatici e della loro cura, come già da tempo auspicato dalle direttive
internazionali dell’OMS ed espresso nella Dichiarazione di Alma Ata (1978) e nella Carta di Ottawa (1986).
L’inquadramento diagnostico e la mappa PNEI
Il nostro istituto e la nostra scuola di psicoterapia, anche senza condividerne pienamente gli
orientamenti, utilizzano il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), come sistema di
inquadramento diagnostico, in quanto rappresenta uno strumento diffuso e ampiamente condiviso che
permette una comunicazione efficace tra differenti figure professionali come medici, psichiatri, psicologi,
psicoterapeuti, ecc.
La Mappa Neuropsicosomatica si è rivelata uno strumento di grande efficacia diagnostica, in quanto
permette un’immediata comprensione psicologica e funzionale dei disturbi clinici sulla base del nostro
modello teorico e, nella nostra scuola, viene utilizzata in abbinamento al sistema nosografico del DSM-5
che invece, per definizione degli autori e dell’APA (American Psychiatric Association), è un sistema
nosografico puramente descrittivo, statistico e ateorico. L’importanza dei sistemi emotivi e delle
neuropersonalità è fondamentale in medicina e in psicoterapia, in quanto ogni neuropersonalità ha
specifiche strutture fisiche, reattività nervose, attitudini emotive e relazionali, strutture psicologiche,
resistenze terapeutiche e predisposizioni a particolari malattie fisiche e psicologiche.
Schema generale della mappa PNEI
La mappa delle neuropersonalità è divisa in differenti aree:
1) Il centro e le tre sfere concentriche del Sé
La sfera gialla, al centro, è l’area del Sé, della consapevolezza e dell’integrità psicofisica
La sfera intermedia è l’area di un leggero allontanamento dal Sé e di modesto disagio psicofisico
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La sfera più esterna scura rappresenta l’area degli squilibri gravi e dei disturbi psichiatrici.
2) Le due polarità
A destra/sinistra di chi guarda, c’è l’area “attiva” dell’arousal psicofisico, governata dal sistema
simpatico, a sinistra/destra di chi guarda, quella “passiva” del rilassamento psicofisico, governata dal
sistema parasimpatico.
3) I tre livelli orizzontali dell’evoluzione del Sé
1. in basso, l’area rossa del Sé Corporeo (cervello rettile), in cui predominano le pulsioni istintive e i
bisogni primari: piacere fisico, territorialità, aggressività, paura, sesso, sonno
2. al centro, l’area verde del Sé Emotivo (cervello mammifero, sistema limbico), in cui predominano le
emozioni e gli affetti, basi relazionali della coppia, della famiglia e della socializzazione
3. in alto, l’area blu del Sé Cognitivo, autobiografico (cervello neocorticale), in cui predominano le
funzioni cognitive superiori, razionali e intuitive.
Le due polarità: i due aspetti del sistema nervoso autonomo
La metà destra della figura umana evidenzia la polarità attiva (yang) dei sistemi emotivi e degli
ormoni/neurotrasmettitori che attivano il sistema simpatico, in cui prevalgono la “carica” e la tensione
psicosomatica e neurofisiologica (adrenalina, noradrenalina, testosterone, vasopressina e dopamina).
La metà sinistra esprime, invece, la polarità passiva (yin) dei sistemi emotivi e degli
ormoni/neurotrasmettitori che attivano il sistema parasimpatico, in cui prevalgono la “scarica” ed il
rilassamento psicosomatico e neurofisiologico del sistema (serotonina, cortisolo, ossitocina, prolattina,
endorfina). Possiamo osservare costantemente esempi di bambini o adulti che esprimono un chiaro
orientamento legato all’attivazione o inibizione di questi due sistemi.
I tre livelli evolutivi orizzontali del Sé e tre cervelli
L’area rossa rappresenta i sistemi e le funzioni fisiche-istintive, caratteristiche del cervello rettile.
L’area verde rappresenta i sistemi e le attività ormonali e neuropsichiche emotivo-affettive,
caratteristiche del cervello limbico-mammifero.
L’area blu rappresenta i sistemi e le attività ormonali e neuropsichiche legate all’attività mentale-
cognitiva della neocorteccia.
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Il Sé e le tre sfere funzionali: normalità, squilibrio e patologia
All’interno di queste aree generali, si sviluppano tre differenti sfere funzionali: al centro l’area gialla, in
cui la persona si esprime in modo spontaneo, naturale e fluido, in ogni possibile comportamento e
ambito della vita. Poi un’area intermedia, in cui i sei comportamenti naturali si irrigidiscono diventando
strutture caratteriali fisse e una terza area, più esterna ancora, in cui gli stessi comportamenti diventano
patologici, ossia completamente inconsci, automatici, senza più possibilità di essere bilanciati dai loro
opposti polari. Il senso centrale del Sé viene perso e la persona si identifica con uno di questi
comportamenti squilibrati ed estremizzati.
Descriviamole nel dettaglio.
1) Sfera del Sé Psicosomatico L’area gialla luminosa, al centro della mappa, rappresenta la sfera del Sé:
la coscienza centrale del sistema che governa in modo naturale, funzionale ed equilbrato i sette sistemi
emotivi e le due componenti emisferiche cognitive neocorticali.
Marco Aurelio, imperatore romano e filosofo, descriveva il Sé come “la sfera radiosa dell’anima”. Questa è
la “sfera della consapevolezza” in cui la persona potrebbe vivere naturalmente e piacevolmente ed
esprimersi in modo coerente e funzionale, nelle differenti situazioni della vita. In questa sfera il Sé, la
coscienza globale “governa” e regola l’intero sistema PNEI, in modo organico e intelligente. Le attività dei
sistemi emotivi e cognitivi sono adattate e funzionali alle necessità reali: si scappa di paura quando c’è un
reale pericolo, si gode il corpo nei momenti di rilassamento e quiete, ci si eccita nel corteggiamento, si è
protettivi e affettuosi con i figli, si diventa reattivi e aggressivi quando si viene gravemente minacciati, la
mente è attiva quando è realmente necessario, altrimenti è silenziosa, si sperimenta la spontanea
consapevolezza di Sé e il piacere di esistere.
2) Sfera delle neuropersonalità rigide e disfunzionali o delle identificazioni dell’io La zona
intermedia, all’esterno della sfera gialla centrale, è la sfera dello squilibrio psicosomatico compensato. Si
crea quando le neuropersonalità o le specifiche funzioni dei sistemi emotivi vengono inibite,
condizionate o eccessivamente stimolate e si squilibrano generando un “falso Sé”, una neuropersonalità
leggermente disfunzionale dove si manifesta un eccesso di paura, irrigidimento, rabbia, tristezza,
controllo, dominanza, chiusura, ansia, insicurezza, dipendenza. Il Sé naturale della persona non trova
sostegno né riconoscimento da parte dei genitori e perde, in misura più o meno grave, la sua funzione di
“governatore” saggio e spontaneo dell’intero sistema. Alle funzioni istintive ed emotive primarie e
spontanee del Sé si sostituiscono le funzioni mentali del controllo, dell’aggressività, della dipendenza o
dell’evitamento. La persona conserva comunque una certa coscienza fluida di Sé, ma deve controllare
mentalmente i propri comportamenti istintivi, emozionali e psicologici, per sentirsi accettata all’interno
del nucleo familiare o della rete sociale. Il Sé, la percezione fluida di esistere, si chiude e ci si identifica
pian piano con una di queste neuropersonalità condizionate e disarmoniche che diventano, col tempo,
degli “io”, delle strutture caratteriali, delle personalità rigide, automatiche e poco consapevoli, generate
dalla necessità di “doversi comportare” secondo specifiche regole, leggi o consuetudini religiose,
politiche o culturali innaturali.
Dalla fluidità della risposta funzionale del Sé, si passa agli “io” identificati con una specifica energia PNEI
(io sono un depresso, io sono un aggressivo, io sono un ansioso, io sono un insicuro). L’area intermedia
rappresenta la sfera dei comuni disturbi psicosomatici e dei disagi psicologici, dove ci sono una
neuropersonalità disturbata (che spesso diventa dominante) e un Sé sempre più impotente che desidera
armonia e unità.
In questa area le neuropersonalità sono rigide e progressivamente disfunzionali rispetto alle necessità
reali: si ha paura anche solo per un leggero rischio, ci si sente tesi nel corpo e nella mente anche nei
momenti di quiete, ci si eccita con immagini e sogni, evitando magari un vero contatto sentimentale
profondo, si è eccessivamente reattivi e aggressivi con i figli e con il partner, ci si sente ansiosi e
angosciati, anche nei momenti di vita normale o di fronte a piccoli problemi, la mente è iperattiva, c’è una
dualità tra l’io e il Sé.
3) Sfera delle neuropersonalità gravemente disfunzionali o della perdita della coscienza di Sé
L’area esterna rappresenta la sfera delle grandi patologie psicologiche e psichiatriche, o dello squilibrio
psicosomatico scompensato, dove si manifesta la “rottura dell’unità” e della regolazione psicosomatica
globale. La persona perde contatto con il proprio centro, ha quindi pochissima coscienza globale di Sé, si
sente squilibrata e totalmente identificata con la patologia di cui soffre e con i comportamenti fisici,
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emozionali e mentali deviati, correlati alla patologia stessa. I comportamenti si estremizzano e diventano
inconsci, automatici, senza il normale equilibrio con i loro opposti. La persona è “fuori di Sé”. In questa
area le neuropersonalità sono gravemente alterate tra loro e disfunzionali rispetto alle necessità reali:
parliamo di disturbi d’ansia generalizzata, di “crisi di panico”, si diventa “evitanti” anche quando non c’è
nessun pericolo, non si sente più il piacere del corpo, si è tristi e depressi anche quando tutto va bene, si
prova eccitazione in contesti e modalità depravate (abusi, pedofilia, sadismo), si perde l’amorevolezza e
l’affettuosità per le persone care, si diventa gravemente reattivi e aggressivi con chiunque ed anche con
se stessi, la mente è turbata, ossessiva o delirante, non c’è più la pace interiore, né il piacere di esistere.
TEMPERAMENTI: LE TRE NEUROPERONALITÀ PRIMARIE ALLA NASCITA
Le nostre osservazioni nei reparti di neonatologia e gli studi sui gemelli “diversi” (eterozigoti), mostrano
che i bambini nascono con una loro precisa neuropersonalità di base o temperamento. Prendendo come
riferimento il modello neurobiologico dei “temperamenti” di Cloninger, cerchiamo di dare una
descrizione generale delle neuropersonalità primarie, in cui la base “genetica” dei caratteri genera
un’evidente predisposizione ad alcune tipologie psicosomatiche.
La neuropersonalità fisica-istintiva e il Sé corporeo
Se la struttura genetica dominante è quella fisica (endodermica), particolarmente legata all’attività della
serotonina (il 90% viene dall’intestino), avremo un individuo di corporatura spesso robusta, con un
importante sviluppo del corpo e del metabolismo fisico, particolarmente identificato coi suoi bisogni
primari: cibo, piacere fisico, stabilità; con il suo corpo: piacere corporeo (sesso) e con la propria forza
fisica: potere, autorità sugli altri, dominanza, possesso di beni. Queste sono le caratteristiche espressioni
del cervello rettile-istintivo, legate alla sopravvivenza personale: massima attenzione ai bisogni fisici,
scarsa tendenza alla comunicazione sociale. Gli ormoni ed i relativi schemi comportamentali conducono
a due principali neuropersonalità: attiva e passiva.
La neuropersonalità fisica attiva è quella orientata alla dominanza, ossia alla forza fisica,
all’aggressività e al potere, mediata da serotonina, testosterone, adrenalina, noradrenalina.
La neuropersonalità fisica passiva, mediata dalla serotonina e dal cortisolo e non sufficientemente
sostenuta dagli ormoni attivi (bassi livelli di testosterone e dopamina), è orientata a comportamenti
rilassati, accondiscendenti, deboli e dipendenti, sarà particolarmente sensibile al riconoscimento fisico e
formale, agli stimoli della paura (ansie della madre, aggressività del padre) e quindi a sperimentare una
neuropersonalità orientata alla sottomissione.
Come nella realtà animale, uno solo diventa il maschio alfa, all’interno di un gruppo e gli altri si
sottomettono a differenti livelli, così questa tipologia fisica si manifesta socialmente con le
neuropersonalità dominanti-istintive (pochi individui) e personalità sottomesse-controllate (le masse).
La neuropersonalità emozionale-affettiva e il Sé emotivo
Se la struttura genetica dominante è quella emotiva (mesodermica), particolarmente legata all’attività
della dopamina e dell’ossitocina, che statisticamente è la più frequente, avremo un individuo con un
corpo armonico che manifesta le funzioni principali del cervello emozionale-mammifero in modo
equilibrato. Se è particolarmente identificato con una neuropersonalità emotiva attiva, prevalgono le
emozioni esteriorizzate e dinamiche, come il gioco, l’amicizia e la socializzazione, mediate dalla
dopamina; se prevale una neuropersonalità emotiva passiva, le emozioni sono più interiorizzate e
recettive, mediate dall’ossitocina e legate all’affettività e all’empatia, si evidenzierà una particolare
sensibilità alle emozioni d’amorevolezza, alle relazioni di coppia, alle comunicazioni più intime e
psicologiche. La persona con una neuropersonalità emotiva è spesso associata ad una armonica e
proporzionata struttura fisica, sarà ovviamente più suscettibile alle influenze affettive, emozionali,
familiari e sociali relative all’apprezzamento, all’amore e spesso alla bellezza (i figli belli sono
statisticamente più amati); fattori che generano sicurezza emozionale e, nel caso siano sostenuti dagli
ormoni dell’attività fisica, una fiducia in se stessi e un certo carisma. Le persone con una
neuropersonalità emotiva saranno particolarmente sensibili all’attenzione affettiva (e alle privazioni
affettive), all’accettazione personale, ai contrasti emotivi, alle tensioni relazionali. Se la neuropersonalità
emotiva sensibile non viene sufficientemente rinforzata e “amata”, si sviluppa una caratteristica di
evidente dipendenza affettiva (ma spesso anche fisica e intellettuale) che, nel linguaggio bioenergetico,
va sotto il termine di personalità “orale”.
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La neuropersonalità nervosa-psichica e il Sé cognitivo
Se la principale struttura genetica è mentale nervosa (esodermica), avremo si dalla nascita un individuo
con una struttura fisica spesso longilinea, maggiormente identificata con la propria dimensione mentale,
che evidenzia qualità peculiari di intelligenza, comprensione e sensibilità. In alcuni casi è maggiormente
evidente una neuropersonalità nervosa razionale, in cui prevalgono le funzioni logiche, analitiche e
pratiche dell’emisfero sinistro, mediate dalla noradrenalina e dall’acetilcolina, in altri casi, si manifesta
una neuropersonalità nervosa psichica, in cui prevalgono le funzioni intuitive, artistiche e
immaginative mediate dall’endorfina, spesso associate ad una particolare sensibilità o ipersensibilità del
sistema sensoriale-nervoso-cognitivo. Le persone con una neuropersonalità nervosa-psichica saranno
particolarmente sensibili alle privazioni cognitive e psicologiche, alla mancanza di comprensione
personale e di riconoscimento intellettivo e alla carenza di stimoli culturali. Questa neuropersonalità, se
sostenuta da un’adeguata spinta ormonale, psicologica e comportamentali orientata alla forza
(testosterone, serotonina) o all’attività (adrenalina, dopamina), genera una persona mentalmente sicura
e forte, al contrario, se non viene sostenuta dall’asse delle energie ormonali attive, genera una persona
spesso vaga, strana, sognante. La persona fisicamente concreta e attiva utilizza le capacità del proprio
emisfero razionale e intuitivo, in modo molto reale per realizzare i propri progetti razionali o di fantasia.
I PRINCIPALI FATTORI CHE CONDIZIONANO LE NEUROPERSONALITÀ
Per comprendere pienamente le modalità di strutturazione della personalità e delle malattie
psicosomatiche, bisogna considerare tutti i fattori che li determinano e li condizionano.
La struttura della neuropersonalità, come ogni disturbo psicosomatico, è condizionata da quattro
principali fattori che, dal concepimento alla vecchiaia,
interagiscono profondamente tra loro:
1. L’influenza genetica
2. L’imprinting epigenetico
3. L’imprinting emotivo e psicologico
4. I condizionamenti socio-culturali
5. L’influenza del Sé.
La neuropersonalità è, quindi, il frutto di una
multifattorialità di elementi che ne condizionano
l’espressione e la qualità. Questo schema propone concetti
che estendono la complessità del modello bio-psico-sociale
di Engel (1977) che fino ad ora è stato il più completo e
inclusivo. Descriviamo con maggiore dettaglio queste
influenze.
1) L’influenza genetica
L’influenza genetica rappresenta il primo fattore che
determina il carattere di fondo della persona, derivante dalla specifica struttura dei suoi sistemi emotivi.
L’influenza genetica è la principale base della personalità e si manifesta attraverso l’azione dei codici
genetici, DNA ed RNA, derivati dall’unione dei geni del padre e della madre.
In particolare, è importante ricordare che le ricerche di epigenetica confermano che la struttura genetica,
espressa dallo sviluppo dei tre foglietti embrionali, con le loro specifiche tendenze neuro-ormonali, è una
componente suscettibile di essere modificata, sia da agenti esterni, sia psicologici.
Esempi di influenze genetiche sulle neuropersonalità nelle “razze” canine
Cloninger (1993) e Zuckerman ritengono che i tratti temperamentali (neuropersonalità) siano trasmessi
al 50% per via genetica. Per comprendere appieno le caratteristiche puramente genetiche delle
neuropersonalità umane, prendiamo come esempio le razze dei cani. È di centrale importanza
comprendere che le “razze” canine moderne, che si ritiene inizino col primo periodo di domesticazione
dei cani, al tempo dei cacciatori-raccoglitori, non si sono evolute per “selezione naturale” ma attraverso
una precisa “selezione umana” a fini di utilizzo delle caratteristiche specifiche dei cani.
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Heidi Parker e Elaine Ostrander, biologhe del National Institutes of Health (NIH) di Bethesda,
ritengono che le razze canine abbiano subito due grandi periodi di diversificazione. Migliaia di anni fa i
cani furono selezionati per le loro capacità, mentre alcune centinaia di anni fa gli animali furono allevati
anche per i loro tratti fisici: “Questo intenso tipo di incroci deliberati è stato fatto solo con i cani".
Gli studi sulla mappatura delle sequenze geniche dei cani, già pubblicati su Science nel 2003, sono ora
molto avanzati e hanno permesso di evidenziare che: “le sequenze geniche dei cani si allineano in modo
univoco a quelle del genoma umano” (Kirkness et al., 2003). Le ricerche genetiche ed etologiche mostrano
come ogni razza canina possieda delle specifiche tendenze genetiche che contraddistinguono il
temperamento della sua specifica razza ossia la sua neuropersonalità primaria, che è mediata dagli stessi
ormoni e neurotrasmettitori degli esseri umani (Andersson, 2002; Våge, 2008). Come negli esseri umani,
anche nei cani queste tendenze possono essere modificate epigeneticamente dall’ambiente e dai
condizionamenti emotivi in cui sono stati allevati e cresciuti (Mahut, 1958; Dehasse, 200; Strandberg,
2011; Franklin, 2011). Le razze canine sono l’effetto di migliaia di anni di selezione genetica che l’uomo
ha attuato, con lo scopo di utilizzare i cani per specifici propositi: cani da caccia, da compagnia, da
guardia, da pastore o da tartufo, ecc. Abbiamo, infatti, razze di cani come il Dobermann e il Rottweiler,
aggressive e dominanti, in cui predomina geneticamente il sistema della RABBIA/DOMINANZA. Alcune
razze canine mostrano, invece, una natura pacifica e quasi priva di aggressività, non amano lo scontro,
come il San Bernardo o il Terranova, in cui predomina il sistema del PIACERE CORPOREO, legato alla
serotonina e sono particolarmente stabili, docili e mansueti. Altre razze canine, in cui predomina il
sistema della CURA/AFFETTO, legato all’ossitocina (Mitsui, 2011), sono notoriamente affettuose e
profondamente affezionate al padrone, ai bambini e alla casa, ad esempio il Cocker, il Beagle, il Golden
Retriever sono particolarmente socievoli, docili ed estroversi e sono abituati ad avere un rapporto
stretto col padrone e con i bambini. Amano la compagnia, la vita in famiglia e mal sopportano la
solitudine. In alcuni, invece, predomina il sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE e sono più allegri, vivaci
e dinamici come il Barboncino, il Border Collie, lo Schnauzer, il Bobtail o il Labrador.
Il Pastore Belga, il Pastore Bergamasco, il Collie o il Bobtail, hanno la tendenza innata a seguire ed è
difficile che scappino, anche con un conduttore inesperto, già a tre mesi, nelle prime passeggiate,
seguiranno spontaneamente la persona se lasciati liberi.
Un Siberian Husky difficilmente potrà andare a spasso senza guinzaglio, perché è portato ad allontanarsi,
così come il Pastore Maremmano: sono cani selezionati per essere indipendenti.
Alcune razze, come gli Spaniel, sono usate per la caccia, in quanto mostrano un’evidente attività del
sistema della RICERCA. È una questione di selezione genetica.
Alcune di queste razze più stabili e intelligenti, come il Pastore Tedesco o il Border Collie, sono
facilmente addestrabili, imparano il significato delle parole e sono ligi a seguire le regole e i complessi
compiti che vengono loro assegnati (cani per ciechi, antidroga, anti terrorismo, ecc.): predisposizioni
genetiche che richiedono intelligenza e discriminazione.
Come tutti i cinofili sanno, ogni cucciolo, già dalla nascita, mostra tendenze di temperamento specifiche
della sua razza: aggressività, dolcezza, giocosità, indipendenza, rilassamento, nervosismo, ancora prima
dei condizionamenti esterni. Abbiamo osservato, nei reparti di neonatologia, che già alla nascita ogni
neonato evidenzia caratteristica e specifica neuropersonalità di base. Esattamente come è emerso dalle
ricerche sul carattere dei gemelli eterozigoti, i cui genitori confermano come, sin dalla nascita, i due
gemelli o gemelle mostrano caratteristiche di neuropersonalità estremamente peculiari e individuali, che
poi, con qualche modifica, si conservano fino all’età adulta.
Le basi genetiche sono potenti strutture di fondo che condizionano grandemente la neuropersonalità
dell’essere umano. Come abbiamo accennato, le caratteristiche genetiche possono essere profondamente
modificate dalle condizioni di crescita e sviluppo, così come cani di razze aggressive possono diventare
pacifici o viceversa, a seconda delle loro esperienze e dei loro vissuti: i fattori epigenetici che derivano
dalle qualità di relazione e dai condizionamenti emotivi esterni.
2) L’imprinting epigenetico intrauterino: l’influenza materna
I condizionamenti materni intrauterini rappresentano un argomento di crescente importanza nelle
scuole di psicologia, in quanto le ricerche internazionali, degli ultimi anni, confermano che durante la
gravidanza, esiste un preciso condizionamento epigenetico da parte della madre che modifica
l’espressione genica metabolica, ormonale, dei neurotrasmettitori del feto. I fattori genetici-epigenetici
influenzano e sono influenzati dai quattro aspetti Neuro, Psico, Endocrino e Immunitario della rete PNEI.
Ricerche di epigenetica rilevano che l’equilibrio PNEI della madre e, in particolare, i settaggi di molti
ormoni e neurotrasmettitori psicosomaticamente fondamentali, come il cortisolo, la serotonina,
l’ossitocina, la dopamina, il testosterone, ecc., possono influenzare le omologhe strutture epigenetiche
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del feto, allo stadio intrauterino. Con ogni probabilità si scopriranno, nei prossini anni, effetti simili con
tutti i principali ormoni e neurotrasmettitori.
Da questi dati emerge che la struttura psico-neuro-endocrina “genetica” del neonato è già stata
modificata dall’imprinting epigenetico materno che lo orienterà ad una particolare neuropersonalità
(stressato, affettuoso, spaventato, dipendente, dominante, scisso al corpo, ecc.).
Per comprendere pienamente l’importanza dell’imprinting epigenetico della madre sulla struttura del
feto è fondamentale ricordare che, mentre il DNA del nascituro deriva al 50% dalla madre e al 50% dal
padre, tutto il materiale genetico dell’ovulo fecondato, che contiene RNA ribosomiale, messaggero,
transfer, micro-RNA proviene solo dalla madre. La madre quindi rappresenta un fattore determinante
dell’imprinting epigenetico e nel condizionamento della neuropersonalità del nascituro.
Le ricerche, che saranno esposte nei capitoli successivi, riportano modifiche dei sistemi della PAURA-
cortisolo, PIACERE CORPOREO-serotonina, CURA-ossitocina ecc.; che mettono in evidenza che la
neuropersonalità del neonato viene già modificata durante la gestazione da questo primo imprinting
epigenetico che deriva dalla neuropersonalità della madre.
Mentre la componente genetica è considerata immutabile, come ad esempio, il colore della pelle, la
struttura ossea o le malattie genetiche e non può essere “rinormalizzata”, la componente epigenetica è
modificabile, e quindi i disturbi epigenetici possono, in teoria, essere riportati alla normalità.
È evidente come alcune delle più gravi patologie siano fortemente associate a situazioni di rifiuto al
concepimento, di malattie, stati di grande paura o depressione o traumi durante la gravidanza.
3) L’imprinting emotivo e psicologico Come è stato ampiamente descritto nel capitolo precedente sui
sistemi emotivi e le neuropersonalità, nei primi anni di vita i condizionamenti affettivi e psicologici della
madre, del padre e della società, sono gli elementi classici che strutturano e modificano la
neuropersonalità del bambino, come ogni scuola di psicologia ha ampiamente documentato e come è
stato studiato e analizzato a livello neurofisiologico da Schore (2003) e da molti altri neuroscienziati.
4) I condizionamenti socio-culturali La neuropersonalità del bambino, da quando inizia la scuola
dell’infanzia a quando si inserirà nella società, verrà condizionata dalle relazioni umane, dai fattori
esterni sociali, politici, economici, morali e religiosi e dai mass media, forgiando i tratti emotivi e
psicologici che creeranno la personalità adulta.
5) L’influenza del Sé come anima o consapevolezza interiore Non potendo dimostrare
scientificamente l’esistenza della coscienza e del Sé, la nostra comprensione della neuropersonalità
umana si basa sull’“Ipotesi Coscienza”, ossia sull’ipotesi che esista un Sé, un centro di identità, un’“anima”,
che può avere differenti livelli di consapevolezza e di integrità. Abbiamo osservato che le persone con
una forte consapevolezza sono difficilmente condizionabili e suggestionabili dagli eventi e dagli
imprinting esterni, mentre altre persone mostrano un’evidente debolezza del Sé e di fronte alle stesse
prove ed esperienze difficili della vita, tendono a subire, a lasciarsi condizionare, a perdere la propria
centratura e la propria identità profonda.
Al concepimento, nel momento in cui il codice genetico materno e paterno si fondono, ipotizziamo che
l’anima, il Sé, potrebbe agire stimolando o inibendo lo sviluppo dei tre foglietti embrionali e quindi del
settaggio psico-neuro-endocrino e, più in generale, lo sviluppo dei centri cognitivi attraverso processi di
coerenza e risonanza elettromagnetica. L’anima, la coscienza profonda, può crescere bene e manifestarsi
come Sé o venire inibita nella sua attività funzionale e restare inconsapevole, creando un io sociale, un
ego, una falsa personalità sociale (da persona=maschera).
Secondo la nostra osservazione trentennale, la coscienza individuale, il Sé, l’anima, può manifestarsi con
almeno tre diversi livelli di consapevolezza, correlati con la coerenza elettroencefalografica (vedi
capitolo terzo) e spesso, anche con le tre sfere della mappa PNEI. Possiamo osservare quindi bambini o
adulti con differenti stati di consapevolezza:
a) Alta consapevolezza di Sé La persona sente di essere se stessa, sente di vivere la propria vita con
sufficiente senso, amore e dignità, si prende la responsabilità di quello che fa, ha un suo pensiero
relativamente libero e autonomo, cerca esperienze interiori autentiche (10-15 % della popolazione);
b) Media consapevolezza di Sé La persona si sente parzialmente se stessa, vive molti compromessi, dà
la colpa agli altri per molte cose che la riguardano, non fa grandi scelte e si attiene parzialmente ai codici
esterni della famiglia, della società e della religione, sente le sue idee, ma a volte dubita di sé, vorrebbe
avere più forza e decisione ma non sa come fare (60-65% della popolazione);
c) Bassa consapevolezza di Sé La persona non ha una chiara percezione di sé e della sua autonomia, è
molto condizionata dagli eventi esterni e non prende decisioni autonome se non sono in linea con le
regole e i modelli familiari, sociali e religiosi, ha scarsa fiducia e stima di sé (25-30% della popolazione).
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Le percentuali delle nostre osservazioni sono puramente indicative e soggettive, poiché le persone che
arrivano al nostro centro sono già in parte autoselezionate e quindi, molto probabilmente, non
corrispondono alle percentuali reali dell’intera popolazione.
Il vero Sé e l’evoluzione della neuropersonalità
Esiste, come abbiamo detto, una “neuropersonalità primaria”, geneticamente determinata, che dovrebbe
essere aiutata a crescere, rispettando la sua caratteristica natura del Sé Psicosomatico, con un corretto
sviluppo orientato a riequilibrarsi, in modo funzionale, con le altre neuropersonalità polari meno
sviluppate. Questa neuropersonalità di base nel tempo evolve e matura, generando una
“neuropersonalità realizzata”, più complessa e armonica tra le sue differenti parti e, soprattutto, capace
di utilizzare le proprie potenzialità e finalità in modo umano e funzionale, nella società in cui vive.
Come vediamo costantemente, tuttavia, questa potenzialità di sviluppo è ancora rara e, in alcuni casi,
quasi utopistica. Da inappropriate condizioni di relazione materna, paterna, familiare, nascono delle
reazioni profonde che soppiantano la naturale indole del soggetto, alterando la sua neuropersonalità
primaria e generando una “neuropersonalità secondaria” che normalmente presenta caratteristiche
rigide e progressivamente disfunzionali. Questa neuropersonalità secondaria equivale al concetto di
“falso Sé”, di “ego” o di “corazza caratteriale”.
Conclusioni cliniche generali sulla mappa PNEI
Come vedremo nei prossimi capitoli sui blocchi psicosomatici, l’impossibilità di esprimere in modo fluido
e naturale il proprio Sé e la propria essenza psicosomatica istintiva e naturale, genera sensazioni di
chiusura e inibizione. Quando il Sé, attraverso le sue neuropersonalità, viene fortemente inibito, dà vita a
un senso di dolore, pericolo, angoscia e paura, che attiva le reazioni di protezione e di sopravvivenza
primarie attive (simpatico) di rabbia, pianto o paura (mediate dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene dello
stress), o quelle passive (di inibizione del simpatico) di chiusura, fuga e freezing. Alcune persone restano
intrappolate in queste reazioni che si cronicizzano e perdurano per tutta la vita, come caratteri di fondo.
Alcuni bimbi vengono inibiti anche in queste reazioni di difesa attive, ossia vengono sgridati se si
arrabbiano, ignorati se piangono, abbandonati se reagiscono, o sottomessi se mostrano le loro ragioni.
Entra così in azione il meccanismo passivo più pesante e lesivo per la vita della persona: l’“inibizione
dell’azione”, identificata dal neurobiologo Henry Laborit, che blocca le risposte PNEI attive, chiude le
potenzialità alla naturale espressione del Sé e genera comportamenti caratteristici degli io passivi-yin:
sottomissione, chiusura, evitamento, blocco o estraniazione.
Applicazioni terapeutiche della plasticità neuronale ed epigenetica
La Mappa PNEI permette un’efficace valutazione delle polarità alterate, per eccesso o difetto e consente
un concreto triplice orientamento terapeutico di bilanciamento: 1) le sfere esterne con quelle interne, 2)
le polarità attive-simpatiche con quelle passive-parasimpatiche, 3) i caratteri mentali-alti con quelli
emozionali-medi e con quelli somatici-bassi.
Noi consideriamo i temperamenti psicosomatici e le neuropersonalità -i codici comportamentali dovuti a
fattori PNEI- in gran parte modificabili da un differente apprendimento e da un aumento della
consapevolezza di Sé.
Riteniamo che questo sia dovuto alla plasticità neuronale e agli effetti epigenetici derivati dalle modifiche
strutturali dei processi cognitivi, all’acquisizione di nuovi codici di comunicazione emozionale e
relazionale, all’aumento della consapevolezza psicosomatica e della percezione di se stessi.
L’applicazione di questo schema ci ha permesso un notevole miglioramento della capacità di valutazione
della struttura e dei blocchi psicosomatici delle persone e, ancora più importante, ci ha permesso un
parallelo miglioramento della direzione e dell’efficacia dell’approccio terapeutico. Sulla base di questo
schema, abbiamo iniziato ad associare alla pratica psicoterapeutica, un’attività “educativa” istintiva ed
emozionale, orientata a bilanciare gli eccessi di attività o passività (destra-sinistra), o di comportamenti
più mentali o più istintivi (alto-basso). Insegniamo alle persone ad agire e sperimentare i comportamenti,
gli istinti, le emozioni, le verbalizzazioni che sono state inibite nel loro percorso di vita e che hanno
causato loro evidenti disagi, malattie o disturbi comportamentali e relazionali. Fondamentale per noi è
stato l’utilizzo delle tecniche di meditazione, come processi di autoconsapevolezza, di rinforzo della
percezione della propria identità psicosomatica e di “educazione alla coscienza globale di Sé”.
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CAPITOLO QUARTO
I SISTEMI EMOTIVI E LE NEUROPERSONALITÀ
LE BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA PERSONALITÀ UMANA
In questo capitolo sono descritti, in modo approfondito, i sette sistemi emotivi e le relative neuro
personalità, che rappresentano gli elementi di base, che producono la struttura caratteriale dell’essere
umano. È un capitolo particolarmente dettagliato dal punto di vista endocrino e neurofisiologico e
particolarmente utile a medici e psicologi, ma nonostante l’elevato livello di complessità, consigliamo a
tutti di leggerlo, senza necessariamente memorizzare i termini tecnici, cogliendo piuttosto il senso più
immediato e intuitivo delle neuropersonalità.
Per penetrare meglio i sistemi emotivi e le rispettive neuro personalità, consigliamo di leggere le loro
caratteristiche funzioni, rapportandole a se stessi o alle persone che meglio conosciamo: ne emergerà un
quadro complessivo di grande interesse.
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neuroanatomica della nostra mappa: la sovrapposizione dei sette sistemi alle neuropersonalità era quasi
totale.
Così integrammo nella mappa i sistemi con i rispettivi neuro-ormoni e, senza cambiare la struttura di
fondo, ci ritrovammo con una mappa psicosomatica funzionale del Sé, non solo con buone base
neuroendocrine ma anche con solide basi anatomiche (vedi fig. **). Ci sentivamo come i fisici quantistici,
quando un esperimento condotto in un altro laboratorio convalida e conferma empiricamente la
correttezza delle loro formulazioni teoriche.
Nel 2013 invitammo Panksepp a tenere una lectio magistralis al nostro 24° Convegno Internazionale di
Neuropsicosomatica e fu un incontro memorabile, per l’interesse e la convergenza delle direzioni
interpretative. La struttura della nostra vecchia Mappa Psicosomatica, di cui parleremo
approfonditamente nel prossimo capitolo, pur inserendovi i sette sistemi emotivi, restava praticamente
immutata.
Studiammo approfonditamente le sue ricerche e adottammo le sue impostazioni per la comprensione
delle funzioni della coscienza di Sé sul piano fisico, emotivo e psicologico.
Anche la comprensione delle funzioni primarie della coscienza di Sé, esposta da Panksepp, era in perfetto
accordo con le nostre basi, che prima si rifacevano essenzialmente alle formulazioni di Edelman.
In particolare, la concezione del Sé Nucleare (Core Self) di Panksepp, sosteneva la nostra visione
evolutiva e la necessità di una psicoterapia psicosomatica capace di includere un lavoro diretto sulla
sfera corporea ed emotiva, oltre che sulla sfera puramente cognitiva della psicoterapia classica. Il Sé era
di nuovo al centro del modello di essere umano e i suoi sistemi emotivi ne rappresentavano le funzioni
primarie.
Le neuropersonalità: una visione unitaria dei caratteri umani
Questi sette sistemi emotivi devono essere intesi come i sette colori primari, da cui nascono tutte le
infinite sfumature, le immagini e le percezioni visive esistenti: ognuna unica e irrepetibile. Così la
combinazione dei sette sistemi emotivi, con le loro infinite sfumature e variabili, dovute alle differenti
basi genetiche e alle esperienze vissute, possono creare ogni possibile sfumatura e tratto di personalità.
Ogni individuo possiede tutti i circuiti e, potenzialmente, tutte le possibili gradazioni di tonalità emotiva
e di struttura psicosomatica. Ogni neuropersonalità umana quindi, nonostante le sua basi comuni, è
assolutamente unica e irripetibile.
Il concetto di neuropersonalità rappresenta un sistema trasversale tra psicologia, medicina, neuroscienze
e genetica, che permette di integrare, in un modello più ampio e organico, le ipotesi e i modelli di
personalità e temperamento proposti da psicologi e ricercatori come Reich (1935), Lowen (1983),
Eysenck (1953), Cloninger (1999), Siever e Davis (1991).
Come abbiamo visto nel capitolo sull’evoluzione del Sé psicosomatico, gli ormoni-neurotrasmettitori
sono “specifici attivatori funzionali, psichici ed emozionali” che informano l’intero sistema, che Candace
Pert ha chiamato, dapprima, molecole delle emozioni e poi molecole di coscienza.
Dalla sintesi di queste vaste ricerche, sono stati identificati nove principali ormoni-neurotrasmettitori
con una consistente attività psicologica, somatica ed emotiva: serotonina, dopamina, testosterone,
cortisolo, adrenalina, noradrenalina, ossitocina, vasopressina ed endorfina.
Questi ormoni-neurotrasmettitori rappresentano gli attivatori dei principali circuiti neuropsichici,
studiati da Panksepp, che gestiscono le “funzioni psicosomatiche vitali del Sé”: cibo, sesso, paura,
aggressività, piacere e rilassamento, amore, affettività e cura, abbandono e tristezza, gioco e gioia. In
questo capitolo descriveremo nel dettaglio i loro aspetti caratteristici e peculiari.
Il Sé e i sette sistemi emotivi
Jaak Panksepp sottolinea che i sette sistemi emotivi sono le vie di espressione del Sé.
Il Sé esiste in quanto si manifesta nella vita attraverso le funzioni psicosomatiche dei sistemi emotivi e
delle rispettive neuropersonalità.
Ogni struttura di neuropersonalità manifesta tipici tratti comportamentali, emotivi e psicologici,
peculiari posture corporee e blocchi psicosomatici, ed evidenzia anche caratteristiche predisposizioni a
patologie fisiche e proprie difese e resistenze psicologiche, che richiedono un approccio terapeutico
specifico.
Lo scopo finale è individuare la neuropersonalità, ossia la “personalità emotiva di base” o emotional-
based personality, attraverso scale e test, ma soprattutto attraverso un’attenta analisi e valutazione delle
caratteristiche psicosomatiche comportamentali, emotive e psicologiche che identificano il
temperamento della persona. Questo permette di diventare consapevoli dei propri schemi psicosomatici
53
di comportamento istintivo, emotivo e psicologico ed in particolare, per i medici, gli psicologi, gli
psichiatri e gli psicoterapeuti, di possedere delle specifiche conoscenze su come ribilanciare le
neuropersonalità inibite o iperattive e riportare la persona ad uno stato di equilibrio e di salute
psicofisica.
L’Affective Neuroscience Personality Scale e il Neuropersonality Questionnaire
In Neuropsicosomatica, l’osservazione della struttura primaria delle persone e delle loro specifiche e
uniche caratteristiche strutturali, rappresenta il primo passo per una corretta diagnosi psicosomatica e
un primo orientamento terapeutico, volto al riequilibrio di eventuali alterazioni.
L’Affective Neuroscience Personality Scale (ANPS) è un test psicologico, sviluppato sulla base delle
ricerche di Panksepp, per valutare i tratti comportamentali caratteristici dei sette sistemi emotivi e,
indirettamente anche le differenti neuropersonalità. Il test è stato tradotto e validato in Italia dal Prof.
Clarici dell’Università di Trieste (Pascazio et alii, 2015).
Da alcuni anni stiamo sviluppando il Neuropersonality Questionnaire: un questionario di autovalutazione
delle neuropersonalità che permetta alle persone, e soprattutto a medici e psicologi, di impostare una
corretta valutazione psicosomatica del paziente, base indispensabile per una corretta diagnosi e terapia.
Riteniamo particolarmente utile che ogni persona si soffermi un istante a valutare queste tre dimensioni
della coscienza che caratterizzano profondamente la nostra vita.
Il Sé governa l’intera rete PNEI.
Il Sé ha accesso e può manifestarsi attraverso tutti i sistemi-neuropersonalità ma spesso ne esprime una
o più di una, in modo prevalente.
Riteniamo, sulla base delle ricerche che verranno tra poco presentate, che il naturale piacere e il senso di
essere Sé stessi, sia il risultato di un equilibrio funzionale tra i differenti sistemi e le neuropersonalità.
L’eccessiva inibizione o iperattivazione delle neuropersonalità, dovuta a traumi, condizionamenti fisici,
carenze affettive o condizionamenti sociali, è alla base dei disagi, degli squilibri psicologici che, nei casi
più gravi, diventano patologie e gravi disturbi disfunzionali. L’inibizione e l’iperattivazione delle funzioni
primarie delle neuropersonalità creano immediate alterazioni dei livelli degli ormoni-neurotrasmettitori
e dei neurocircuiti e portano facilmente all’inibizione del Sé, che da uno stato di relativa spontaneità,
consapevolezza, centratura e gioia di vivere, si trasforma in una struttura tendenzialmente
inconsapevole di Sé, in cui prevalgono il controllo mentale e la reazione automatica, rigida, reattiva e
disfunzionale.
Le neuropersonalità squilibrate, inibite o iperattivate, tranne casi di estrema gravità, possono essere
largamente influenzate, riequilibrate e migliorate dalle pratiche di terapia psicosomatica e
consapevolezza di Sé, che tendono a riattivare le neuropersonalità inibite e a moderare quelle
iperattivate, facilitando la loro interazione funzionale, la comprensione e la centratura. Obiettivo della
psicosomatica è sviluppare una maggiore integrazione e riportare il Sé al centro del sistema, attraverso
un processo di crescita personale.
Descrizione dei sistemi emotivi e dei neurotrasmettitori associati
Jaak Panksepp, per contestualizzare i sette principali sistemi, in modo differente dal corrente utilizzo
psicologico, utilizza una speciale nomenclatura maiuscola:
1) il sistema della PAURA/ANSIA, legato al cortisolo
2) il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO, legato alla dopamina
3) il sistema della SESSUALITÀ/DESISDERIO e della brama, legato agli ormoni sessuali
4) il sistema della RABBIA/DOMINANZA, legato al testosterone e alla serotonina
5) il sistema della CURA/AMOREVOLEZZA, legato all’ossitocina
6) il sistema della TRISTEZZA/PANICO e della solitudine, legati all’assenza di CURA
7) il sistema del GIOCO/FANTASIA e della socializzazione, legati alla dopamina e all’endorfina.
Questi sette fondamentali sistemi emotivi sono dettagliatamente descritti nel libro di Panksepp,
L’Archeologia della Mente (2014), pubblicato dalle edizioni Cortina, che consideriamo un libro di testo
fondamentale, in quanto dà nuova luce ai processi e ai disturbi fisici, emotivi e psicologici e di cui
consigliamo vivamente la lettura, in particolare a medici, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti.
Iniziamo ora la descrizione di questi sistemi che abbiamo rielaborato evidenziandone l’orientamento
psicosomatico e psicoterapeutico, associandovi una descrizione delle funzioni psicosomatiche degli
ormoni/neurotrasmettitori e delle neuropersonalità ad essi collegati.
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CAPITOLO QUINTO
I SISTEMI EMOTIVI PRIMARI E IL SÉ CORPOREO
Gli antichi sistemi emotivi di origine rettile
Iniziamo l’esposizione dei sistemi emotivi iniziano con la descrizione dei sistemi evolutivamente più
antichi, che sono presenti già nel cervello dei rettili: il sistema del PIACERE CORPOREO, il sistema della
PAURA-ANSIA, il sistema della RABBIA-DOMINANZA, della SESSUALITÀ e della RICERCA.
Questi sistemi rappresentano le basi neuronali del Sé Corporeo-Istintivo.
Come di vede nell’immagine ** questi sistemi sono rappresentati nella parte inferiore della mappa
Neuropsicosomatica. Al centro il sistema del PIACERE CORPOREO, in equilibrio tra le funzioni attive e
passive, a destra il sistema della PAURA-ANSIA maggiormente orientato all’attività parasimpatica, e, a
destra, il sistema della RABBIA-DOMINANZA, della SESSUALITA’-DESIDERIO e (parzialmente) della
RICERCA, caratterizzati dall’attività simpatica-attiva.
La caratteristica di questi sistemi emotivi e delle relative neuropersonalità è di essere più primitivi nella
loro origine e quindi anche maggiormente istintivi, automatici e “inconsci”. Il lavoro psicoterapeutico per
il riequilibrio dei sistemi emotivi più antichi richiede e quindi un tempo ed una profondità maggiori che
con gli altri sistemi e relative neuropersonalità. Il loro riequilibrio e il ripristino della loro funzionalità è
alla base dell’integrità del Sé corporeo che sostiene il piacere di vivere il proprio corpo e il senso di
presenza e vitalità. Il protocollo del nostro lavoro psicoterapeutico prevede un’attenta valutazione dei
deficit funzionali da inibizione e squilibrio del Sé corporeo che consideriamo come la base, la radice del
Sé psicosomatico. Per questo utilizziamo specifiche pratiche di lavoro corporea ed energetico capaci di
sciogliere i blocchi e le inibizioni, rivitalizzare e ridare piena consapevolezza, funzionalità e piacere ai
sistemi emotivi primari.
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IL SISTEMA DEL PIACERE CORPOREO BASE
E LA NEUROPERSONALITÀ SEROTONINICA
“Ogni cosa che conosciamo nasce dalle sensazioni”. Leonardo da Vinci
Il sistema del piacere corporeo
Il sistema del piacere corporeo, che non è un sistema emozionale, ma rappresenta la “base”, il “motore
vitale” che sostiene tutti gli altri sette sistemi emotivi e in particolare il Sé corporeo. Panksepp (1998)
chiama questo sistema energetico Brain Regulatory System; noi preferiamo chiamarlo sistema del
PIACERE CORPOREO o Homeostatic Body Pleasure (HBP), per evidenziarne la caratteristica percezione di
benessere e di piacere legata all’equilibrio fisiologico, al cibo, alla stabilità, al sonno, alla sicurezza del
territorio, al rilassamento, alla dominanza, al sesso, alla forza e allo sforzo muscolare (Bottaccioli, 2005;
Panksepp, 1998a).
Come evidenziato nel primo capitolo, questo sistema basato sulla “sensibilità sistemica omeostatica”
rappresenta il sistema base attraverso il quale il Sé di ogni organismo vivente è in grado di percepire e
regolare la propria vita biologica. La serotonina è la molecola principale che regola questo primitivo ma
essenziale sistema. Per una buona salute psicofisica ogni persona dovrebbe avere questo sistema in
equilibrio funzionale e sperimentare il piacere di vivere, che è naturalmente legato ad ogni funzione
fisiologica quotidiana.
La neuropersonalità serotoninica o fisica
Il sistema del PIACERE CORPOREO è la base fisica del Sé, ossia il sistema che dà al Sé il senso di forza,
stabilità e fiducia materiale. Il sistema del PIACERE CORPOREO è la base neuronale della
neuropersonalità serotoninica, particolarmente legata agli aspetti corporei e istintivi della vita. Possiamo
affermare, con un linguaggio solo apparentemente metaforico, che il sistema del PIACERE CORPOREO e
la neuropersonalità serotoninica rappresentano le radici dell’albero psicosomatico della coscienza di Sé.
Come un albero non vive senza radici, così ogni essere umano
dovrebbe essere radicato nel proprio corpo (pancia) e viverlo con
un senso di naturale piacere. Le radici da cui l’essere umano
assorbe le sostanze nutritive sono i villi intestinali, le cui cellule
cromaffini producono il 90% della serotonina corporea il restante
10% viene secreto a livello cerebrale (vedi fig.**).
Per questa ragione l’intestino viene chiamato “cervello enterico”.
Ogni animale, a meno che non sia gravemente malato o sofferente,
esprime piacere di vivere e presenza corporea. Lo straordinario
sviluppo della mente neocorticale umana, come già suggeriva
MacLean, con il concetto di schizofisiologia, molto spesso causa un
evidente eccesso di attività mentali, di carattere controllante o
inibitorio sulle aree istintive ed emotive più antiche del cervello e
sul sistema del PIACERE CORPOREO in particolare, privando così l’essere umano della naturale e integra
percezione del proprio corpo. Consideriamo il sistema del PIACERE CORPOREO come la base
neurobiologica primitiva del “principio di piacere”, esposto da Sigmund Freud nel 1920, che fornisce la
spinta istintiva e corporea e si sviluppa in tutti gli altri sistemi ed in particolare
SESSUALITÀ/DESISDERIO, GIOCO/FANTASIA e CURA/AMOREVOLEZZA.
Autori come Reich, Lowen, Pierrakos, Marcuse e Laborit svilupparono una approfondita comprensione
delle modalità e degli effetti dell’inibizione del sistema del PIACERE CORPOREO e della SESSUALITÀ
essenzialmente dovuta ad un’azione di controllo o di repressione sociale e familiare. Da questa inibizione
del sistema del PIACERE, e dalla riduzione della serotonina ad esso associata, deriva un’ampia serie di
disagi e disturbi psicosomatici, psicologici e psichiatrici.
Basi psicosomatiche evolutive
Per comprendere la funzionalità primaria del sistema del piacere corporeo di base, dobbiamo
considerare che la sopravvivenza degli animali è essenzialmente legata all’assunzione di cibo e al
bilanciamento metabolico. In particolare, i primissimi multicellulari, come i vermi o gli anellidi, erano a
tutti gli effetti dei “tubi digerenti organizzati”: da una parte, la bocca e il polo cefalico della testa, dall’altra,
l’ano e la coda. La sopravvivenza di ogni essere vivente dipendeva dal cibo e l’informazione sullo stato
56
del sistema digerente era ed è gestito dalla serotonina. Quando il cibo è sufficiente salgono i livelli di
serotonina che informano l’intero sistema vivente dello stato di sicurezza (alimentare), attraverso una
sensazione di piacere, pienezza e quindi di rilassamento (parasimpatico). Quando il cibo scarseggia,
mettendo in pericolo l’intero organismo, diminuiscono i livelli di serotonina e questo trasmette una
sensazione sistemica di allarme e PAURA/ANSIA, che attiva il sistema simpatico e mette in moto il
sistema della RICERCA, mediato dalla dopamina, che stimola l’intero organismo a cercare cibo.
Negli animali evoluti, questo sistema si estende alla dominanza sociale, alla sessualità e ad altri
comportamenti funzionalmente legati ad un maggiore successo nel trovare cibo e a sopravvivere
all’interno di un gruppo. I nuclei del rafe, da cui parte la rete neuronale serotoninergica che si estende a
tutto il cervello, sono già presenti, in forma primitiva, nel cervello degli insetti.
Piacere corporeo e “madre sicura”
Nei mammiferi e negli esseri umani, la sopravvivenza primaria dei neonati è legata all’allattamento
(cibo) e al sistema affettivo della CURA che il cucciolo, di animale o di uomo, percepisce innanzitutto
attraverso un contatto corporeo caldo, sicuro e protettivo, da cui si sviluppa anche la consapevolezza
affettiva di essere amati. Il sistema del PIACERE CORPOREO rappresenta la componente fisica della “base
sicura”, materna, calda, piacevole e protettiva, descritta dalla Ainsworth (1970, 1982) e da Bowlby
(1989). La seconda componente affettiva è legata al sistema della CURA/AMOREVOLEZZA ed è
altrettanto fondamentale e importante nello sviluppo neurocognitivo delle emozioni e della psiche dei
bambini.
Questa separazione, apparentemente forzata, tra la componente corporea e affettiva della base sicura, si
rivela in realtà molto utile e funzionale nella cura differenziata delle relazioni disfunzionali tra madre e
figlio in cui possiamo avere una madre affettuosa, con una forte inibizione al contatto corporeo o, per
contro, una madre con un’attitudine di consistente contatto corporeo, che soddisfa i bisogni fisici del
bambino, ma è emotivamente anaffettiva.
Le ricerche hanno provato che esiste una correlazione significativa tra i livelli di serotonina della madre
e quelli dei neonati (Field, 2004).
Effetti della mancanza di serotonina/piacere corporeo
In assenza di pericolo, il sistema del PIACERE CORPOREO permette al Sé di manifestare comportamenti
di rilassamento, associati ad una sensazione di relax, di piacere e di godersi la vita. Questo sistema è
molto legato alle percezioni e al contatto corporeo piacevole che stimola la produzione di serotonina, di
endorfina e di oppioidi endogeni, che producono la sensazione di benessere fisico e globale.
Gli effetti della mancanza di questo contatto corporeo dolce sono riassunti nell’importante articolo
pubblicato dal Touch Research Institute, University of Miami School of Medicine, in cui si evidenziano le
relazioni, rilevate statisticamente su ampi numeri di adolescenti negli USA, tra la mancanza di contatto
fisico affettivo positivo, la diminuzione di serotonina e l’aumento della rabbia e dell’aggressività (Touch
Research Institute, 2002).
Approfondiremo l’argomento nel capitolo sui blocchi psicosomatici delle neuropersonalità.
Gli studi condotti da Tiffany Field mostrano che i bambini e gli adolescenti, che hanno ricevuto dai loro
genitori meno abbracci, coccole e calore umano,, presentano livelli di serotonina più bassi, tendono ad
instaurare relazioni familiari e sociali conflittuali e mostrano un peggiore rendimento scolastico, un
maggiore utilizzo di droghe e più elevati indici di depressione.
La neuropersonalità serotoninica: eccessi e deficit del sistema del PIACERE CORPOREO
Ippocrate chiama la depressione “la madre di tutte le malattie” e i dati statistici dell’OMS, su ampie fasce
di popolazione, mostrano che 350 milioni di persone, un quinto della popolazione mondiale, soffre di
questo disturbo e testimoniano la fondatezza di questa affermazione.
Nella depressione, la carenza di serotonina rappresenta il primo e forse più significativo elemento clinico
(vedi schema depressione serotonina/dopamina/noradrenalina nel paragrafo sul sistema
TRISTEZZA/PANICO).
È fondamentale considerare che quando una persona, per qualsiasi motivo di ordine fisico, emotivo o
psicologico, diminuisce o perde il senso di “piacere somatico base” di essere nel proprio corpo, il suo Sé
perde contemporaneamente il senso di realtà, di presenza, di stabilità psicosomatica e, più in generale, il
senso di esistere. Le tecniche di massaggio, di energetica, di radicamento e di grounding che utilizziamo,
con grande efficacia, servono letteralmente per riportare “nel corpo” una persona che si sente “sradicata”
dalla realtà e dal piacere di vivere la propria dimensione fisica, con pienezza e intensità, invece di vivere
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“in testa”, nei propri pensieri.
Come vedremo più dettagliatamente nel paragrafo sul sistema della TRISTEZZA-PANICO, il contatto
delicato e protettivo tranquillizza i cuccioli e i bambini in preda all’agitazione da dolore e al pianto da
abbandono. Cuccioli che “piangono” in preda ad agitazione da abbandono, si rilassano e mostrano
comportamenti di fiducia e comfort, quando vengono presi in braccio da una persona o da un animale,
anche se di specie diversa.
Il sonno e la serotonina
Il sonno rappresenta l’attività notturna passiva del sistema del PIACERE CORPOREO che bilancia la
predominante attività diurna del sistema simpatico, col rilassamento parasimpatico. Il sonno
rappresenta la prima e più importante funzione fisiologica che stabilizza la neuropersonalità
serotoninica e quindi il Sé. Si calcola che circa 27 anni della vita (in media), vengano trascorsi dormendo.
Evidenze sperimentali rivelano che alcuni mediatori del sistema immunitario regolano anche il sonno
fisiologico.
I disturbi e la riduzione del sonno si ripercuotono gravemente sulla salute fisica e psichica, sia a livello
personale, sia per la società che ne subisce le ripercussioni, per i costi assistenziali e per la mancata
produttività. Molti problemi psichiatrici insorgono e sono fortemente legati alla diminuzione o alla
sospensione del sonno.
Dal punto di vista medico, sono noti da tempo gli effetti biologici della privazione di sonno: già dopo due
notti senza sonno, la persona presenta marcata sonnolenza diurna, irritabilità ed umore depresso; dalla
terza notte in poi, insorgono allucinazioni, irritazioni degli occhi e delle palpebre, possibili tremori, sbalzi
d’umore e stati di coscienza alterata.
La carenza di sonno influisce sul metabolismo dei carboidrati e sulle funzioni dell’apparato endocrino,
portando ad invecchiamento precoce e alla riduzione delle difese immunitarie. Si manifestano sbalzi di
pressione anormali che aumentano il rischio di patologie cardiovascolari e possono condurre
all’ipertensione arteriosa. I pazienti depressi, con insonnia non trattata, hanno una probabilità molto
superiore di ricaduta, rispetto ai pazienti non insonni. Rispetto ai buoni dormitori, i pazienti insonni si
ammalano più spesso, sono costretti a rivolgersi più frequentemente al medico curante e usufruiscono
maggiormente delle risorse sanitarie. Chi soffre d’insonnia si assenta dal lavoro molto più di chi riposa
bene, ha un’efficienza lavorativa inferiore ed è maggiormente esposto al rischio di incidenti lavorativi e
stradali: si calcola infatti che, solo in Italia, il colpo di sonno e la sonnolenza siano la causa di 180.000
incidenti gravi, di 8.500 morti e 240.000 feriti, per costi sociali e sanitari di circa 20.000 milioni di euro
all’anno (Fonte Istat/ACI).
Al termine di questo paragrafo sul sistema del piacere corporeo, è opportuno chiedersi quante delle
nostre funzioni primarie siano ancora legate alla sensazione del piacere corporeo o quanto ce ne siamo
distaccati, imparando a vivere senza le nostre radici somatiche.
Scheda Serotonina
La serotonina è stata isolata da Vittorio Erspamer, a Roma, nel 1935. La serotonina è la molecola della
stabilità energetica e metabolica, della presenza fisica, del radicamento nella realtà, del benessere
corporeo e della meditazione. La serotonina è fondamentale, insieme alla melatonina, per dormire bene,
per la regolazione del sonno e del nostro orologio interno (vedi sottolineatura gialla sotto). Bujatti e
Riederer (1976) sostengono che la serotonina sia “l'ormone dell’appagamento e del riposo”.
La serotonina “rappresenta il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto nella fisiopatologia di diversi
disturbi neuropsichiatrici”, come l’ansia, la depressione, il disturbo bipolare, la crisi di panico, il disturbo
ossessivo-compulsivo, i disturbi alimentari, le fobie sociali e la psicosi (Marazziti, 2004). Una riduzione
del suo funzionamento sembra scatenare alcuni sintomi depressivi, mentre, al contrario, sostanze che
facilitano la trasmissione serotoninergica provocherebbero un’elevazione del tono dell’umore.
Informazioni generali La serotonina è il neuromediatore che riteniamo più legato alla sfera istintiva e
al cervello rettile, al piacere corporeo globale (piacere di vivere, di stare nel corpo), all’evitamento del
dolore e all’aggressività.
La serotonina si trova principalmente in tre diversi siti corporei: 1) nella parete intestinale, che contiene
circa il 90% della quantità totale di serotonina presente nell’organismo, 2) nel sangue, dove la serotonina
è presente in elevate concentrazioni nelle piastrine, che la accumulano dal plasma, 3) nel sistema
nervoso centrale, dove è presente in elevate concentrazioni in specifiche aree del mesencefalo, da cui si
diramano i circuiti serotoninergici.
Effetti fisiologici La serotonina è importante per dormire bene, per la regolazione del nostro orologio
58
interno, per la regolazione della temperatura corporea, la contrazione della muscolatura liscia dei vasi,
dell’intestino, dei bronchi, dell’utero e della vescica, nella regolazione dell’automatismo intestinale, nella
modificazione della pressione arteriosa, interviene nei processi allergici e infiammatori, riduce il tempo
di sanguinamento, determina la sintomatologia dell’emicrania, ecc. Nel tratto gastrointestinale, la
serotonina determina aumento della motilità intestinale e stimola la secrezione di fluidi; inoltre provoca
nausea e vomito, mediante la stimolazione del muscolo liscio e dei nervi sensoriali nello stomaco. Il
riflesso peristaltico, evocato dall’aumento della pressione in un segmento d’intestino, è mediato, almeno
in parte, dalla secrezione di serotonina. Nei vasi sanguigni, solitamente, ha un’azione contratturante sui
grandi vasi, arterie e vene. L’attivazione di alcuni recettori dà origine alla vasocostrizione dei grandi vasi
intracranici, la cui dilatazione contribuisce all’emicrania. La serotonina causa aggregazione piastrinica e
le piastrine che si raccolgono nei vasi rilasciano altra serotonina. Se l’endotelio è intatto, la liberazione di
serotonina dalle piastrine adese, causa vasodilatazione, che permette lo scorrimento del flusso
sanguigno; se esso è danneggiato, la serotonina causa costrizione e ostacola ulteriormente il flusso
ematico. La serotonina stimola le terminazioni nervose sensoriali nocicettive. Se iniettata a livello
cutaneo, provoca dolore.
Effetti psichici e comportamentali E’ il neurotrasmettitore dell’autoprotezione. Svolge un ruolo
importante nella regolazione dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, della sessualità e
dell’appetito.
La serotonina ha un effetto calmante globale su tutti i sistemi cerebrali, riducendo l’intensità delle
emozioni e, quindi, la diminuzione della serotonina nel cervello, rende gli animali più impulsivi e reattivi
in generale. In carenza di serotonina gli animali e gli esseri umani tendono a rispondere in modo
esagerato all’ansia, alla paura, alla rabbia, all’aggressività e alla sessualità.
Come già sottolineato, la serotonina è coinvolta in numerosi disturbi neuropsichiatrici. Una riduzione del
suo funzionamento sembra scatenare alcuni sintomi depressivi, mentre al contrario, un alto livello di
serotonina promuove l’insorgere dello stato maniacale. Sostanze che facilitano l’attività serotoninergica
provocherebbero un’elevazione del tono dell’umore. Da questi dati, risulta fondamentale riconoscere che
la carenza di serotonina, causata da uno stato cronico di “sottomissione” familiare, sociale o lavorativa,
può essere una delle principali cause dell’ansia, dello stress, della depressione e dei disturbi del sonno.
Esperimenti sugli animali La serotonina è l’ormone della dominanza non aggressiva, la forza stabile del
vero leader. Nei primati, la serotonina è più alta nei maschi dominanti e più bassa negli individui
subordinati e sottomessi. La rimozione dal gruppo del maschio dominante, cambia la gerarchia nei
maschi rimasti ed il nuovo maschio dominante aumenta i suoi livelli di serotonina; la reintegrazione del
maschio dominante originario riporta i livelli di serotonina alla situazione iniziale. Un alto livello di
serotonina riduce i comportamenti aggressivi nei roditori e nei primati, mentre un basso livello di
serotonina è associato a uno scarso controllo degli impulsi (nei roditori, nei primati e nei suicidi violenti).
Come nei roditori, anche nei primati, l’uso di agonisti della serotonina diminuisce il comportamento
aggressivo, mentre l’uso di antagonisti aumenta tale comportamento.
Meditazione In meditazione aumentano gli ormoni del benessere, come la melatonina, che regola il
ritmo sonno-veglia e la serotonina (Bottaccioli, 2005). Bujatti e Riederer (1976) riportano un eccezionale
aumento del metabolita della serotonina 5-HIAA, durante la meditazione trascendentale. La meditazione
aumenta la serotonina e il benessere, riduce l’ansia e lo stress e regola la melatonina che armonizza il
ritmo del sonno.
Interazioni La serotonina stimola la produzione di ossitocina e prolattina che riducono l’irritabilità, lo
stress e l’ansia. La serotonina e la melatonina si equilibrano tra loro; la serotonina può trasformarsi in
melatonina e viceversa. La melatonina è l’ormone prodotto dalla ghiandola pineale (o epifisi), agisce
sull’ipotalamo ed ha la funzione di regolare il ciclo sonno-veglia.
Il GABA
Il GABA, o acido gamma-aminobutirrico, è il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso
centrale, che spesso agisce in sinergia con la serotonina, nel calmare l’eccitazione nervosa. Il GABA può
essere definito il tranquillante o il sonnifero naturale di cui dispone l’organismo: una sorta di sedativo
naturale, con effetto ansiolitico (Bottaccioli 2005). Il GABA esercita un’azione di inibizione della
trasmissione nervosa e di promozione della condizione di calma. Il GABA interagisce con tutti i circuiti
nervosi che sostengono l’ansia, quindi quelli che partecipano all’attivazione cerebrale: il sistema dello
stress e i circuiti che rilasciano istamina, dopamina e glutammato (Bottaccioli, 2005). È uno degli ormoni
più importanti dell’organismo, viene prodotto nell’ipofisi e distribuito in tutto il corpo e sembra avere
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anche proprietà analgesiche. Una riduzione dei livelli di GABA è correlata a disturbi dell’umore, in
particolare depressione e disturbi maniacali (Petty, 1995). Anche nell’ansia, vi è una riduzione dei livelli
del GABA.
Le benzodiazepine e i barbiturici agiscono come agonisti indiretti, promuovendo l’attività del recettore
GABAa. Le benzodiazepine rendono quindi più efficace l’azione del GABA. Vi sono evidenze che le
benzodiazepine siano attive sul sistema della TRISTEZZA/PANICO, riducendone gli effetti di angoscia.
Come risultato di questo potenziamento degli effetti inibitori del GABA, provocato dalle benzodiazepine,
diminuisce la produzione nel cervello dei neurotrasmettitori eccitatori, compresi la noradrenalina,
l’acetilcolina e la dopamina. Recenti evidenze sperimentali hanno dimostrato che la stimolazione
farmacologica dei recettori GABAb inibisce l’autosomministrazione (nel roditore di laboratorio) e
l’assunzione (nell’uomo), di diverse sostanze d’abuso, quali l’alcol, la cocaina, l’eroina e la nicotina.
DHEA
Il DHEA o 5-deidroepiandrosterone è un ormone steroideo, prodotto nelle ghiandole surrenali, nel
cervello, nell’ovaio e nei testicoli. Il DHEA ha effetti antidepressivi e ansiolitici ed aumenta la
performance cognitiva. Il DHEA, infatti, contrasta l’eccitabilità nervosa del glutammato, determinando un
effetto ansiolitico e di protezione dell’ippocampo, dagli effetti tossici dell’eccesso di cortisolo, con una
capacità di stimolazione della risposta immunitaria, riequilibrando i linfociti Th (T helper) e Th1.
Frequente è il riscontro di un deficit di DHEA nelle patologie autoimmuni, soprattutto nel LES (Lupus
Eritematoso Sistemico).
IL SISTEMA DELLA RICERCA
LE RADICI DELLA NEUROPERSONALITÀ DOPAMINICA
Il sistema della RICERCA è un sistema di vitale importanza per ogni essere vivente e che è presente nel
cervello dei rettili, di tutti i vertebrati e dell’essere umano, dove assolve la funzione di
realizzare/soddisfare i bisogni primari attraverso appunto la “ricerca” del piacere corporeo, della
sopravvivenza, dell’evitamento del pericolo e dell’accoppiamento.
Ogni volta che il sistema del PIACERE CORPOREO percepisce di non avere abbastanza cibo, sicurezza,
equilibrio omeostatico (eccesso di caldo o freddo ecc.) attiva il sistema della RICERCA per trovare ciò che
serve al sistema per sopravvivere nel migliore dei modi possibili. Parallelamente quando il sistema della
PAURA sente pericolo attiva il sistema della RICERCA per trovare modi di fuga ed evitamento dalle
situazioni dannose. Così anche il sistema del SESSO quando si attivano gli ormoni e il periodo
dell’accoppiamento attiva il sistema della RICERCA per trovare un partner con cui accoppiarsi.
Nonostante queste origini descriveremo questo sistema nel prossimo capitolo sui sistemi emotivi evoluti
caratteristici dei mammiferi in quanto il sistema della RICERCA si è molto sviluppato fino a diventare il
sistema dell’ENTUSIASMO, della passione e della ricerca intellettuale e interiore che rappresenta il
centro funzionale della vita emotiva e culturale dell’essere umano.
Il sistema RICERCA attiva il sistema simpatico e l’intera attività psicosomatica.
Il sistema RICERCA è di centrale importanza nel cervello e nella vita di ogni organismo vivente, in quanto
genera la forza emotiva propulsiva del Sé per permette di vivere la vita con piacere e soddisfazione. Ogni
bisogno, azione o pulsione, che richiede una risposta attiva, passa per questo circuito profondamente
connesso con molte aree cerebrali istintive, emotive e cognitive.
Il sistema della RICERCA (Panksepp, 2012) è attivato e mediato dalla dopamina ed è la base neuronale
della neuropersonalità dopaminica, che descriveremo ampiamente nel prossimo capitolo.
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IL SISTEMA PAURA/ANSIA
E LA NEUROPERSONALITÀ CORTISOLICA,
ADRENALINICA E NORADRENAMINICA
Il sistema della PAURA è il sistema primario di allarme e protezione del Sé che, attraverso emozioni di
ansia e insicurezza, stimola il soggetto alla difesa attiva o passiva. Il sistema della PAURA è la base
neuronale della “neuropersonalità cortisolica”, particolarmente legata alla funzione primaria
dell’evitamento del dolore e del pericolo. Tutti gli animali esprimono un’innata capacità di provare paura,
anche prima di fare esperienza del dolore o del pericolo.
La corretta funzionalità del sistema della paura ci può proteggere dai pericoli e, a volte, salvarci la vita
ma la sua iperattivazione ci rende deboli e disfunzionali, in quanto può attivare la paura anche in risposta
ad eventi del tutto normali.
La stimolazione con elettrodi delle aree cerebrali del sistema della PAURA, può generare uno spettro
completo delle risposte della PAURA negli animali, anche quando sono stati allevati in completa
sicurezza, dimostrando la sua natura profondamente innata e non appresa. Negli animali stimolati con
elettrodi intracranici, un’attivazione di media intensità di questo sistema, sviluppa comportamenti di
ansia cronica, mentre l’attivazione intensa produce comportamenti di terrore (Panksepp, 1012).
Il sistema PAURA/ANSIA è collegato al dolore fisico e al senso di pericolo (shock, trauma) che attiva
l’asse dello stress ipotalamo-ipofisi-surrene, HPA axis (Hypothalamic Pituitary Adrenal axis) (Fink, 2010)
e avvia la “risposta di attacco o fuga” (fight or flight), scoperta da Cannon nel 1929, ossia la risposta
psicosomatica attiva, oppure la risposta psicosomatica passiva di “inibizione dell'azione” (Laborit, 1969)
che svolge un ruolo importante nella genesi dei blocchi emotivi e psicosomatici umani e dell’ansia in
particolare e verrà descritta nel prossimo capitolo “I sistemi di difesa del Sé”.
Mentre negli animali la risposta attiva di “attacco o fuga” è largamente predominante sull’“inibizione
dell’azione”, negli esseri umani l’“inibizione dell’azione” della risposta attiva di attacco o fuga, sia fisica
sia emotiva e psicologica, rappresenta il comportamento statisticamente più comune.
Questa è la base neuronale della neuropersonalità cortisolica, o “fisica passiva”, dove il termine passivo
indica propriamente la tendenza a non reagire attivamente ma a controllare e inibire.
Le ricerche svolte da Laborit (1969) hanno provato che l’inibizione dell’azione genera, sia negli animali,
sia nell’uomo, una forte attivazione del sistema di PAURA/ANSIA, con un aumento degli ormoni inibitori,
come il cortisolo e la noradrenalina e una diminuzione dell’adrenalina, dell’ossitocina e del GABA.
La neuropersonalità cortisolica
La neuropersonalità cortisolica o fisica passiva, mostra una tendenza al bisogno di sicurezza e di stabilità,
evitando ed inibendo le relative emozioni forti e le situazioni aggressive. Questa neuropersonalità,
fortemente legata alla paura e all’ansia, è quasi sovrapponibile al carattere “masochista” di Lowen.
Le persone in condizioni di difficoltà o di debolezza fisica (con bassi livelli di testosterone e alto
cortisolo), tendono all’“evitamento del danno” o “harm avoidance”, alla ricerca di sicurezza fisica e alla
prevenzione di rischi e pericoli (Cloninger, 1999). Una madre ansiosa e stressata rappresenta un
importante fattore epigenetico e psicosomatico: numerose ricerche internazionali mostrano, infatti, che
alti livelli di cortisolo e noradrenalina nelle donne in gravidanza (che hanno sofferto di paura e ansia da
traumi o eventi stressanti), attivano una più alta risposta al cortisolo e alla noradrenalina e il sistema
della PAURA/ANSIA nei bambini (Field, 2004). Anche bassi livelli di cura affettiva nella prima infanzia
aumentano lo stress, l’ansia e la sensibilità al cortisolo, nella vita adulta. L’“inibizione dell'azione”
aumenta il livello di cortisolo e crea una tensione nervosa e muscolare dovuta ad iperattivazione del
sistema simpatico, con progressiva difficoltà di relax parasimpatico e diminuzione del PIACERE
SOMATICO serotoninergico.
Numerose ricerche PNEI evidenziano che le madri incinte, in stato di stress, ansia e depressione, o per un
trauma vissuto durante la gravidanza, hanno una profonda influenza epigenetica e psicosomatica sui
sistemi emozionali (cortisolo) e altri parametri psicosomatici del feto, condizionando la salute fisica e le
emozioni del nuovo nato e che permangono per anni nel bambino, come tratti caratteriali e strutture di
neuropersonalità particolarmente esposte all’ansia e alla paura (Talge et al., 2007, O'Connor et al., 2002,
Ruth et al., 2007). Un’alta concentrazione di cortisolo, adrenalina e noradrenalina, provoca stati d’ansia e
di paura.
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In modo inversamente proporzionale alla serotonina, il livello di cortisolo è minimo nei maschi
dominanti e massimo nei maschi più sottomessi, che mostrano segni di ansia da prestazione, ansia da
anticipazione ed eiaculazione precoce. La meditazione regola e riequilibra la produzione di cortisolo
(Bottaccioli, 2005).
Aspetti psicosomatici della neuropersonalità fisica passiva
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità cortisolica, legata al sistema PAURA/ANSIA, è spesso
caratterizzato dalla diminuzione del tono simpatico (inibizione del sistema attacco-fuga, inibizione del
sistema RABBIA/DOMINANZA), dal controllo dell’attività istintiva (muscolare) ed emotiva (affettiva),
legato quindi all’inibizione del respiro, con la contrazione della gola, del torace e del diaframma, con
tensione muscolare e contrazione delle spalle, glutei, ano e gambe, il petto è sgonfio e debole e il collo
rigido. Caratteristici sono gli occhi bassi e una voce debole e insicura. La neuropersonalità legata al
sistema PAURA/ANSIA mostra una caratteristica tendenza all’inibizione specifica relativa alle emozioni,
in generale (alessitimia) e della rabbia e aggressività, in particolare.
Iperattività del sistema della PAURA
Il sistema della PAURA può essere iperstimolato e diventare eccessivamente sensibile agli stimoli.
Quando viene stimolato in modo troppo intenso, o per troppo tempo (come nel trauma), produce la
sindrome post-traumatica da stress (PTSD, Post Traumatic Stress Disorder) che è una graduale
penetrazione della paura nel sistema, come uno stato emotivo sempre presente nell’anima, che genera
immagini, pensieri e considerazioni paurose. Tutti i mammiferi possono essere afflitti da PTSD, poiché
hanno tutti un sistema della paura simile ed evidenziare un’iperattivazione cronica della
neuropersonalità cortisolica.
Il sistema della PAURA, che alla nascita è “senza oggetto”, si sviluppa con l’evoluzione psicosomatica,
associandosi a situazioni o persone della vita reale, attraverso un processo di apprendimento. Quindi la
capacità del sistema della PAURA, evolutivamente presente nel cervello, non può informarci, e non ci
informa, di tutte le cose di cui dobbiamo avere paura: queste cose le impareremo durante la vita. In molti
sensi gli esseri umani sono le creature più paurose sulla faccia della Terra e mostrano una più evidente
neuropersonalità cortisolica. Noi esseri umani possiamo creare paure oltre ogni immaginazione, rispetto
alle altre specie animali; questo avviene grazie alle nostre capacità cognitive neocorticali che possono
anche generare fantasmi e immagini terrifiche nella nostra mente. Il sistema della PAURA ci permette di
anticipare, attraverso i processi di apprendimento, le situazioni critiche, dolorose e pericolose. In tutti i
mammiferi, il sistema della PAURA e la neuropersonalità cortisolica possono diventare iperattivi,
creando comportamenti cronici di ansia, evitamento e congelamento.
Il neurocircuito della PAURA
Il sistema della PAURA è un circuito primario del cervello che corre dal PAG all’amigdala. Sia la corteccia
frontale mediale, sia l’amigdala, possono inviare stimolazioni cognitive superiori che attivano il sistema
della PAURA. Se viene rimossa chirurgicamente l’amigdala, il soggetto perde ogni paura, mentre se
l’amigdala è iperattiva, genera comportamenti di paura, ansia e angoscia, anche senza una realtà
oggettiva che li giustifichi.
Il dolore è considerato l’elemento universale che stimola il sistema della PAURA. Molti animali, come
anche i bambini e le persone adulte, provano paura anche quando sentono rumori violenti o
eccessivi. Gli stimoli della paura arrivano direttamente al PAG e, in questa stessa area, sono presenti
meccanismi di inibizione del dolore che normalmente viene alleviato dagli oppioidi endogeni (endorfina).
Lo stato di paura (processo-primario) promuove un immediato apprendimento (processo-secondario) e
lo sviluppo di strategie e comportamenti di evitamento (processo-terziario).
Il sistema della PAURA è vissuto da tutti gli animali come negativo, per cui ogni animale o essere umano,
cerca in ogni modo di evitarlo, direttamente o indirettamente. Il sistema della PAURA include specifiche
attivazioni del sistema nervoso autonomo (asse dello stress), con tutti i sintomi relativi (mani sudate,
aumento del battito cardiaco e del respiro, congelamento, fuga). L’inibizione farmacologica dell’attività
del sistema della PAURA rende gli animali o gli esseri umani tranquilli.
La paura ancestrale
Gli animali evidenziano un’attivazione della paura, anche senza aver mai conosciuto lo stimolo, ad
esempio, i topi allevati in sicurezza, evidenziano comportamenti di paura se nella gabbia viene inserito
del pelo di gatto, di furetto o di volpe. Possiamo immaginare che geneticamente i topi abbiano conservato
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la memoria dell’odore dei loro predatori, in modo da permettere, anche ai topi appena nati o giovani, di
evitare luoghi o spazi dove vivono questi felini, per loro mortali. Nell’evoluzione del cervello dei primi
vertebrati, il riconoscimento di alcuni stimoli esterni pericolosi è stato codificato nel DNA della struttura
cerebrale dei nostri antenati, conservando una paura innata per certe stimolazioni che possono
fortemente causare dolore o pericolo di vita. Per questo i topi hanno una paura innata dell’odore dei loro
predatori come i gatti, i furetti e le volpi. I piccoli di topo non sono spaventati unicamente dalla presenza
dell’animale, ma anche solo dal suo odore. Persino dopo aver rimosso l’odore dei felini dalla gabbia, i topi
rimangono timidi ed inibiti per lungo tempo, arrestando o limitando il gioco, il cibo, la sessualità,
l’interazione e altri comportamenti positivi (Panksepp, 1012). Gli animali mostrano di evitare anche il
luogo fisico, dove hanno ricevuto uno stimolo negativo.
Se gli animali sono sottoposti a questo stress per molto tempo, iniziano a manifestare sintomi di
depressione.
Il sistema della PAURA è attivato dal dolore ma può anche diminuire la percezione del dolore. L’intensa
paura, infatti, inibisce la percezione del dolore, attraverso la secrezione di oppioidi endogeni e
permettendo agli animali in pericolo di sopravvivere scappando o reagendo con altri comportamenti. I
rumori forti fanno paura e generano comportamenti di ansietà e stress. Questa considerazione diventa
particolarmente importante nel caso in cui i bambini piccoli siano costretti a vivere in una situazione
dove i genitori litigano e urlano, generando in loro, se la situazione diventa cronica, un PTSD. I farmaci
più utilizzati, per ridurre l’attivazione del sistema della PAURA/ANSIA, sono le benzodiazepine (BZS), la
classe di psicofarmaci più adoperata dalle persone con neuropersonalità cortisolica. Va ricordato che
esiste una consistente differenza tra il sistema della PAURA e il sistema della TRISTEZZA/PANICO;
quest’ultimo non viene particolarmente ridotto dalle BZS.
La serotonina tendenzialmente controlla (inibisce) l’espressione istintiva delle emozioni, inclusa la paura.
Un basso livello di serotonina porta a possibili manifestazioni incontrollate di paura, di rabbia o di altre
emozioni, mentre un aumento della serotonina genera un miglioramento nella loro gestione, un aumento
della sensazione di rilassamento e una diminuzione dell’ansietà e della paura, rendendo anche gli animali
meno irritabili.
Non tutte le forme di ansia emergono dal sistema della PAURA: l’ansia da separazione verrà più avanti
spiegata come effetto del circuito della TRISTEZZA-PANICO. Una psicoterapia di successo deve
comunque basarsi sulla comprensione di quale sistema sia dominante in ogni paziente e, quindi, quale
sia la neuropersonalità più iperattiva e disfunzionale. È fondamentale, per psicoterapeuti e psichiatri,
riconoscere che ci sono diversi sistemi emotivi “negativi” nel cervello e che possono essere attivati anche
contemporaneamente.
Differenze tra sistema della PAURA e sistema della TRISTEZZA
Per Panksepp, ci sono due buone ragioni per differenziare il sistema della PAURA da quello del PANICO:
hanno due diverse strutture neuroanatomiche e reagiscono a sostanze diverse. Le BZS sono efficaci nella
PAURA, ma non riducono il pianto del PANICO da abbandono. Questi due sistemi attivano anche
differentemente il sistema nervoso autonomo; il sistema simpatico viene attivato dalla PAURA,
incrementando il battito cardiaco e la respirazione, in vista di una possibile fuga e allargando le pupille
per aumentare la vigilanza. Il parasimpatico, d’altro canto, è attivato dal sistema della TRISTEZZA-
PANICO e promuove cambiamenti come le lacrime, la salivazione e, in ultima analisi, la passività e la
rassegnazione che sono alla base dei comportamenti introversi in genere e della depressione in
particolare.
L’ansia anticipatoria (PAURA) attiva anche la sudorazione, il blocco gastro-intestinale e aumenta la
tensione muscolare. Il PANICO aumenta la debolezza e la depressione, con sintomi parasimpatici
accompagnati da tensione, chiusura del petto, blocco della deglutizione e del respiro nella gola. C’è
un’abbondante letteratura psicoterapeutica sui disturbi dell’attaccamento come manifestazioni del
sistema TRISTEZZA-PANICO. I bambini con gravi disturbi dell’attaccamento non si fidano di se stessi e
non sono capaci di empatizzare con gli altri; tendenzialmente crescono bisognosi e avidi, con una
domanda affettiva inappropriata e spesso diventano adulti o adolescenti dipendenti da droghe, come
oppiacei e alcool. Le persone con disturbi dell’attaccamento possono evidenziare paure persistenti,
soprattutto se legate ad esperienze di abusi infantili; questi bimbi possono crescere presentando
aggressività e, spesso, comportamenti antisociali. Le alterazioni dei sistemi della PAURA e del PANICO
sbilanciano i sistemi emotivi di base, in generale. Il PTSD è un’altra condizione che coinvolge differenti
sistemi emotivi: oltre all’iperattivazione del sistema PAURA e PANICO,, il PTSD genera uno stato di
PAURA che può accompagnarsi ad iperattivazione della rabbia. Il PTSD può essere ridotto da farmaci,
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come la carbamazepina che non è efficace né nel controllo degli attacchi di panico, né dell’ansia
anticipatoria.
Lo squilibrio dei diversi sistemi emotivi spiega perché sia così comune in psichiatria, il concetto di
comorbidità, ossia la compresenza di più disordini contemporaneamente.
La depressione è spesso accompagnata da un eccessivo dolore psicologico, ansietà, rabbia e irritabilità e
da un’evidente diminuzione del bisogno di ricerca, di piacere e di interessi.
Siamo solo all’inizio della comprensione dell’estrema complessità che sottostà alla neurofisiologia e alla
neurochimica. La futura psichiatria biologica dovrà lavorare in linea con la psicoterapia delle emozioni,
attraverso interventi che permettano una migliore esperienza emotiva dei pazienti. Una ragione
dell’inadeguatezza dell’attuale situazione è la credenza che la psicologia sia una scienza debole e che la
psichiatria possa più efficacemente modificare gli equilibri del cervello, anche senza un intervento ed
un’analisi emozionale.
Neurochimica della Paura
In passato, le sostanze per il trattamento della paura-ansia erano principalmente gli oppioidi, l’alcool, i
barbiturici e il meprobamato: sostanze calmanti, dato che l’ansia si accompagna ad un’eccitazione del
sistema simpatico, con aumento di adrenalina e noradrenalina.
Il trattamento dell’ansia è stato rivoluzionato dal clordiazeoxide (1960) e dalle benzodiazepine (BZ)
come il diazepam (Valium), ecc. I ricercatori hanno scoperto che le BZ non riducono l’ansia direttamente
ma attraverso l’aumento degli effetti del GABA che inibisce l’attività neuronale. I recettori BZ sono
concentrati lungo la traiettoria del sistema PAURA, dalle aree della neocorteccia, all’amigdala, fino al PAG.
Un gran numero di neuropeptidi attiva il sistema della PAURA: il CRF (Corticotropin-Releasing Factor),
ormone di rilascio della corticotropina, incrementa l’ansietà e l’agitazione riducendo i comportamenti e
le emozioni positive del mangiare, della sessualità, del gioco e della socializzazione, mentre un’iniezione
di ACTH (ormone adrenocorticotropo) attiva una fuga vigorosa o un congelamento nei topi e in altri
animali.
Danni o rimozioni del PAG rendono la persona senza paura.
Scheda Cortisolo
Storia Il cortisone, precursore inerte della molecola del cortisolo, fu scoperto dal chimico americano
Edward Calvin Kendall, al quale venne attribuito il premio Nobel per la medicina e la fisiologia -insieme a
Philip S. Hench e Tadeusz Reichstein- per la scoperta degli ormoni della corteccia surrenale e delle loro
strutture e funzioni.
Informazioni generali Il cortisolo è l’ormone maggiormente legato allo stress (Fink, 2010),
all’inibizione dell’azione, alla paura, all’ansia, all’inibizione dell’aggressività, alla sottomissione e
all’evitamento. La maggior parte delle ricerche internazionali sullo stress è legata ai livelli di cortisolo:
alti livelli di stress sono, generalmente, correlati ad alti livelli di cortisolo.
Effetti fisiologici La paura attiva l’asse dello stress HPA, o Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, che stimola la
produzione di cortisolo nelle surrenali, la cui principale azione consiste nell’indurre un aumento della
glicemia. Questo aumento viene ottenuto stimolando la gluconeogenesi epatica (produzione di glucosio
nel fegato) che, in questo caso, viene sostenuta dagli amminoacidi, derivanti da un accentuato
catabolismo proteico, soprattutto a livello dei muscoli scheletrici (azione anti-insulinica). Il cortisolo
riduce l’utilizzo del glucosio, risparmiandolo in particolare per il cervello; stimola il catabolismo proteico,
allo scopo di rilasciare aminoacidi per la produzione energetica, la sintesi di enzimi, la riparazione
cellulare; deprime le reazioni immunitarie; incrementa la vasocostrizione causata dall’adrenalina,
favorendo la tendenza ad avere le mani fredde e sudate, tipiche di questa neuropersonalità ansiosa e
timorosa.
Elevati livelli di cortisolo provocano effetti dannosi per tutto l’organismo, tra cui: insonnia, diminuzione
dell’appetito, diabete mellito, osteoporosi, diminuzione dell’interesse sessuale, aumento dell’espressione
comportamentale dell’ansia, immunosoppressione, danni all’ippocampo, sindrome metabolica, danni ai
vasi cerebrali e cardiaci.
Un’altra funzione, non meno importante, è quella di contrastare le infiammazioni, in quanto il cortisolo
ha un’azione anti-immunitaria: questo è il motivo per cui molti farmaci antiinfiammatori si basano
sull’utilizzo di questo ormone. Gli effetti negativi sono l’inibizione della sintesi di testosterone, DNA, RNA,
proteine, GH (ormone della crescita) e della conversione del poco attivo ormone tiroideo T4 nel più
attivo T3. L’eccesso di quest’ormone, detto ipercorticosurrenalismo, o ipercortisolismo, o sindrome di
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Cushing, ha come sintomi: stanchezza, osteoporosi, iperglicemia, diabete mellito tipo II, perdita di tono
muscolare e cutaneo, colite, gastrite, impotenza, perdita della libido, aumento della pressione arteriosa e
della concentrazione sanguigna di sodio, strie cutanee, depressione, apatia, euforia, diminuzione della
memoria.
Effetti psichici e comportamentali Gli effetti psichici e comportamentali del cortisolo sono legati ai
comportamenti più “passivi” di sottomissione, di paura, di “inibizione dell'azione” e di congelamento o
“freezing”, fino ai comportamenti di evitamento che portano ai disturbi d’ansia. Il cortisolo aumenta nello
stress acuto (ansia) e interviene nel ritmo sonno-veglia. Nei soggetti che hanno maggior capacità di
affrontare e controllare gli eventi stressanti (coping), la concentrazione del cortisolo nel circolo
sanguigno, scende rapidamente al termine dell’evento stressogeno. L’esposizione prolungata di alcune
aree cerebrali al cortisolo è stata indicata come una delle cause degli effetti dello stress sulla memoria e,
a lungo termine, su altre capacità cognitive, quali la concentrazione e l’apprendimento. Nel caso dei
bambini, l’aumento di cortisolo può avere effetti estremamente negativi sul cervello in via di rapida
maturazione, interessando particolarmente l’ippocampo che è deputato all’elaborazione dei ricordi.
Nei pazienti depressi si è riscontrata un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e, di conseguenza,
elevate dosi di cortisolo nel sangue.
Relazione con altri ormoni Il cortisolo inibisce il testosterone e quindi riduce e controlla l’aggressività
e la reattività. Insieme a noradrenalina e adrenalina, svolge la funzione comportamentale di
raggiungimento degli obiettivi. Alte concentrazioni di noradrenalina e cortisolo sono associate a stati
d’ansia e di angoscia.
Esperimenti sugli animali Il cortisolo è minimo nei maschi dominanti e massimo nei maschi più
sottomessi. Il cortisolo aumenta in situazioni stressanti, come l’isolamento nel cavallo e nella pecora, il
trasporto nei bovini, il sovraffollamento nei maiali. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è stato indagato
anche nel lupo (Canis lupus) che, in natura, presenta una struttura sociale altamente gerarchica; nel lupo
è stata evidenziata una maggior produzione di cortisolo, in situazione di stress, nei soggetti subordinati.
È stata riscontrata costantemente, nelle scimmie subordinate, una cortisolemia significativamente più
elevata, rispetto a quella delle scimmie dominanti.
Meditazione la meditazione abbassa i livelli di cortisolo e ne regola la produzione (Bottaccioli, 2005)
LA NEUROPERSONALITÀ ADRENALINICA
Storia John Jacob Abel a Baltimora studiando una sostanza da estratti surrenali parzialmente purificati la
definì "epinefrina". L’adrenalina venne isolata dal chimico giapponese Jokichi Takamine, nel 1901, nel
suo laboratorio di New York, grazie ad una sua nuova procedura di isolamento che permise di ottenere la
sostanza in forma cristallina pura e la commercializzò come "adrenalina". Nel 1903, l'adrenalina naturale
è risultata essere otticamente attiva e levogira.
Informazioni generali L’adrenalina, secondo il neurofarmacologo Laborit, è il neuro-ormone della
paura, attiva il sistema nervoso simpatico e stimola fisicamente la “risposta di attacco o fuga”, ossia
l’aggressività difensiva o l’azione attiva di fuga. L’adrenalina è il principale neurotrasmettitore attivato
dall’asse dello stress HPA, che stimola la sua produzione nelle surrenali. Durante la fase REM, in cui
l’attività cerebrale del dormiente è paragonabile a quella vigile, l’adrenalina affronta le situazioni
oniriche come se fossero reali, predisponendo il corpo ad affrontare i vari sbalzi umorali.
Effetti fisiologici Riduce la percezione del dolore e della fatica, aumenta il rendimento metabolico, il
consumo di sostanze nutritive, la dilatazione delle pupille, la frequenza cardiaca, la vasocostrizione a
livello cutaneo e nelle parti periferiche del corpo (in modo che, nella lotta o fuga, eventuali ferite non
sanguinino troppo), incrementa la pressione arteriosa, la capacità muscolare e il consumo di ossigeno.
Effetti psichici e comportamentali L’adrenalina è implicata nei processi di attacco-fuga, nella vigilanza,
nel sonno e nei comportamenti aggressivi. L’adrenalina predispone l’organismo ad affrontare situazioni
di emergenza sul piano fisico ed emotivo, dandogli un surplus di forza e vivacità sia fisica sia mentale.
Fornisce al corpo maggiore energia e un supplemento di lavoro muscolare e cardiaco, tuttavia, in tal
modo, l’organismo è costretto a ridurre altre funzioni, ad esempio diminuisce le difese immunitarie,
motivo per cui lo stress può turbare l’equilibrio tra il sistema di difesa e l’attacco di virus e batteri.
Meditazione La meditazione, in generale, produce risultati psicologici opposti a quelli dello stress,
tuttavia i ricercatori sono perplessi sul fatto che i livelli degli ormoni adrenalinici non si riducano in
modo costante nel sangue dei meditatori.
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LA NEUROPERSONALITA’ NORADRENALINICA
IL SISTEMA DELL’ATTENZIONE MENTALE
Informazioni generali
La noradrenalina è la sostanza che, insieme all’adrenalina, gestisce lo stress e le situazioni di emergenza,
regola una parte della risposta fisica di “attacco o fuga” (fight or flight response), ma soprattutto attiva la
risposta cognitiva che sottostà ai comportamenti di attacco o fuga, stimolando la concentrazione,
l’attenzione e la vigilanza che generano uno stato di acutezza mentale, determinazione e rapidità nelle
risposte fisiche e cognitive (Fink, 2010). La noradrenalina aumenta anche l’agitazione e l’ansia.
La noradrenalina è rilasciata dalle cellule cromaffini come ormone nel sangue, ma è anche un
neurotrasmettitore nel sistema nervoso, dove è rilasciato dai neuroni noradrenergici durante la
trasmissione sinaptica. In quanto ormone dello stress, coinvolge parti del cervello dove
risiedono i controlli dell'attenzione e delle reazioni. Insieme all’adrenalina provoca la risposta di
'attacco o fuga' (fight or flight), attivando il sistema nervoso simpatico per aumentare il battito
cardiaco, rilasciare energia sotto forma di glucosio dal glicogeno e aumentare il tono muscolare.
La noradrenalina è rilasciata quando una serie di cambiamenti fisiologici sono attivati da un
evento. Questo è provocato dall'attivazione di un'area, che nell'uomo si situa nel tronco
encefalico chiamata locus ceruleus. Questo nucleo è all'origine della maggior parte delle azioni
della noradrenalina nel cervello umano. I neuroni attivati inviano segnali in entrambe le
direzioni dal locus ceruleus lungo diversi percorsi verso varie parti, inclusa la corteccia cerebrale,
il sistema limbico e la colonna vertebrale.
Molti farmaci psichiatrici importanti esercitano forti effetti sui sistemi della noradrenalina nel
cervello. La noradrenalina è classificata come una sostenza simpaticomimetica: i suoi effetti
quando viene somministrata mediante iniezione endovenosa sono di aumentare la frequenza
cardiaca e alzare la pressione sanguigna.
Il sistema nervoso simpatico
Le anfetamine sono delle sostanze stimolanti che aumentano il rilascio di noradrenalina e dopamina. Gli
inibitori della monoamino ossidasi (MAO) sono antidepressivi che inibiscono la degradazione metabolica
della noradrenalina e della serotonina.
Stress
Per stress, fisiologicamente, si intende qualsiasi situazione che minaccia la stabilità del corpo e delle sue
funzioni. Lo stress colpisce una grande varietà di sistemi del corpo: i due più costantemente attivati sono
l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il sistema della noradrenalina, sia a livello di sistema nervoso
simpatico che di sistema centrale, il locus coeruleus nel cervello.
Molti fattori di stress evocano un aumento dell'attività noradrenergica, che mobilita il cervello e il corpo
per affrontare la minaccia. Lo stress cronico, se continuato per un lungo periodo, può danneggiare molte
parti del corpo. Una parte significativa del danno da stress cronico è dovuto agli effetti del rilascio
prolungato di noradrenalina che orienta le risorse fisiologiche, normalmente utilizzate per il
mantenimento, la rigenerazione e la riproduzione, verso sistemi necessari per la reattività nervosa e il
movimento attivo. Le conseguenze possono includere rallentamento della crescita (nei bambini),
insonnia, perdita della libido, problemi gastrointestinali, resistenza alle malattie alterata, tassi più lenti di
guarigione delle ferite, depressione, e maggiore vulnerabilità alle dipendenze.
ADHD
L’ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, è un disturbo psichiatrico che coinvolge problemi di
attenzione, iperattività e impulsività. È comunemente trattato con farmaci stimolanti come il
metilfenidato (Ritalin), il cui effetto principale è quello di aumentare i livelli di serotonina, dopamina e di
noradrenalina, ed è stato difficile stabilire se queste azioni sono coinvolti nella loro efficacia clinica.
Inoltre vi è una sostanziale evidenza che molte persone con ADHD mostrano "biomarcatori" che
coinvolgono alterati elaborazioni della noradrenalina. Diversi farmaci i cui effetti primari sono di
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stimolare la noradrenalina, tra cui guanfacina, clonidina, e atomoxetina, sono stati usati come trattamenti
per l'ADHD.
Il sistema nervoso simpatico
La noradrenalina è il principale neurotrasmettitore utilizzato dal sistema nervoso simpatico che ha
funzioni di attivazione neurocognitiva e fisiologica, che consiste di due dozzine di gangli della catena
simpatica situata vicino al midollo spinale, più una serie di gangli prevertebrali situati nel torace e
dell'addome. Questi gangli simpatici sono collegati a numerosi organi, tra cui gli occhi, ghiandole salivari,
cuore, polmoni, fegato, cistifellea, stomaco, intestino, reni, vescica urinaria, organi riproduttivi, muscoli,
pelle e ghiandole surrenali.
L'attivazione simpatica delle ghiandole surrenali stimola la “midollare” surrenale a rilasciare
noradrenalina nel sangue, e poi attraverso la circolazione sanguigna, funzionando come un ormone,
guadagna ulteriore accesso a una vasta gamma di tessuti.
In generale, l'effetto della noradrenalina su ciascun organo bersaglio è modificare il suo stato in un modo
che rende più favorevole al movimento del corpo attivo, tuttavia con un costo maggiore nel consumo di
energia e con conseguente aumento di usura. Questo può essere in contrasto con gli effetti del sistema
nervoso parasimpatico, che modifica la maggior parte degli stessi organi verso uno stato più favorevole
al riposo, il recupero, alla digestione del cibo, e di solito meno costosi in termini di dispendio energetico.
Gli effetti simpatici della noradrenalina sono:
• Negli occhi, aumenta la produzione di lacrime, rendendo gli occhi più umidi, e dilata la pupilla.
• nel cuore, aumenta la quantità di sangue pompato.
• Nel tessuto adiposo bruno, aumenta le calorie bruciate per generare calore corporeo.
• Molteplici effetti sul sistema immunitario.
• Nelle arterie, aumenta la costrizione dei vasi sanguigni, causando un aumento della pressione
sanguigna (ipertensione).
• Nei reni, rilascio di renina e ritenzione di sodio nel sangue, con aumento della pressione sanguigna
(ipertensione).
• Nel fegato, un aumento della produzione di glucosio, mediante glicogenolisi dopo un pasto o
gluconeogenesi quando il cibo non è recentemente stato consumato. Il glucosio è la fonte energetica
principale del corpo nella maggior parte delle condizioni.
• Nel pancreas, aumento del rilascio di glucagone, un ormone cui effetto principale è quello di aumentare
la produzione di glucosio da parte del fegato.
• Nei muscoli scheletrici, aumenta l'assorbimento del glucosio.
• Nel tessuto adiposo, aumenta la lipolisi, cioè conversione di grasso per sostanze che possono essere
utilizzate direttamente come fonti di energia di muscoli e altri tessuti.
• Nello stomaco e nell'intestino, inibisce e riduce l'attività digestiva. Questo risulta da un effetto inibitorio
generale della noradrenalina sul sistema nervoso enterico (cervello enterico), che causa una diminuzioni
nella mobilità gastrointestinale, del flusso di sangue, della produzione di serotonina e della secrezione di
sostanze digestive.
Per queste sue funzioni attivanti il rilascio di noradrenalina è più basso durante il sonno e aumenta
durante la veglia fino a raggiungere livelli molto più alti durante le situazioni di stress o di pericolo, sia
nella risposta di attacco o fuga che nell’inibizione dell’azione. La più importante fonte di noradrenalina
nel cervello è il locus coeruleus, che si stima contenga circa 15.000 neuroni, meno di un milionesimo dei
neuroni del cervello, ma invia proiezioni ad ogni parte di esso e al midollo spinale. La noradrenalina,
rilasciata dal locus coeruleus, migliora l’elaborazione degli input sensoriali, l’attenzione, la formazione e il
recupero della memoria a lungo termine e della memoria di lavoro, migliora la capacità del cervello di
rispondere agli input cambiando i circuiti neuronali della corteccia prefrontale e di altre aree. C'è grande
somiglianza tra le situazioni che attivano il locus coeruleus, nel cervello e le situazioni che attivano il
sistema nervoso simpatico, nella periferia: il locus coeruleus, essenzialmente, mobilita il cervello per l’
azione, mentre il sistema simpatico mobilita il corpo.
Effetti fisiologici La noradrenalina viene attivata dall’asse dello stress HPA e sostiene la risposta,
attivando il sistema nervoso simpatico per aumentare il battito cardiaco, rilasciare energia sotto forma di
glucosio dal glicogeno e aumentare il tono muscolare. Come ormone dello stress, la noradrenalina agisce
sull’amigdala, che controlla l’attenzione e le risposte al pericolo, integrandole con i ricordi emotivi del
passato.
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La noradrenalina controlla il tono dei vasi sanguigni, la muscolatura liscia dell’intestino, dell’utero,
dell’iride, la replezione della milza, la produzione pancreatica di insulina, la scissione epatica del
glicogeno in glucosio.
Effetti psichici e comportamentali La noradrenalina è ritenuta svolgere un importante ruolo
nell’attenzione e nella sua focalizzazione (concentrazione, determinazione), nella regolazione delle
risposte comportamentali (capacità di pensiero, tono dell’umore) ed umorali (secrezione di ormoni)
verso stimoli ambientali, potenzialmente pericolosi. Secondo Laborit, la noradrenalina è anche una
molecola strettamente legata alla “inibizione dell’azione”, ossia alla risposta di “congelamento” o
“freezing”, caratteristica sia degli animali, sia degli esseri umani (e mediata anche dal cortisolo), che più
di ogni altra sembra essere alla base dei disturbi d’ansia. La noradrenalina genererebbe l’“attesa carica di
tensione” e di ansia, tipica dei momenti di paura e di grave difficoltà, senza possibilità di azione (fuga o
attacco).
L’eccesso di noradrenalina, generato dalla “inibizione dell’azione”, invece, causa iperattività mentale e
ipercontrollo che sostengono l’ansia, la paura, l’ipertensione arteriosa, la tensione mentale, il blocco del
diaframma e del ritmo del respiro, la rigidità muscolare. La persona vive in uno stato di arousal costante,
di ansia cronica, in cui il sistema PAURA/ANSIA è sempre attivo e stimola la produzione di pensieri di
controllo, come se ad ogni istante potesse verificarsi un pericolo che, tuttavia, non esiste (ansia
anticipatoria). La persona non riesce a fermare i pensieri nemmeno in vacanza, o durante i rapporti
sessuali, perché la sua mente, troppo attivata, non permette al corpo di produrre la serotonina base e
l’ossitocina. L’eccesso di noradrenalina da stress e inibizione cronica è quindi fortemente connesso con
l’insonnia ed in particolare con la difficoltà di “spegnere” la mente quando ci si addormenta, con i risvegli
notturni o mattutini anticipati, in cui l’ansia stessa desta la persona e disturba il rilassamento profondo e
piacevole del sonno. È la radice neurofisiologica di tutti i comportamenti “tesi”, “rigidi”, “controllanti” e
“ansiosi” della personalità.
La carenza di noradrenalina Bassi livelli di noradrenalina, caratteristici di alcune depressioni
potrebbero essere alla base dell’insorgenza di vari sintomi depressivi, quali lo stato di confusione,
l’incapacità di concentrazione, di decisione, di chiarezza mentale e il sentirsi sempre stanchi e demotivati.
I pazienti gravemente affetti da questo disturbo mentale hanno, infatti, ridotti livelli di escrezione
urinaria, del maggior metabolita della noradrenalina cerebrale.
La depressione apparirebbe, quindi, come un’incapacità neuroendocrina della persona di reagire di
fronte ad un cambiamento di vita o, più in generale, ad una qualsiasi fonte di stress, oltre i limiti di
tolleranza tipici del soggetto.
Interazione con altri ormoni Il sistema noradrenergico, insieme al serotoninergico e al dopaminergico,
regola lo stato emozionale (Esposito & Liguori 1996). Insieme alla dopamina, la noradrenalina è ritenuta
svolgere un importante ruolo nell’attenzione e nella sua focalizzazione, nella ricompensa cerebrale e
nella modulazione della risposta immunitaria.
Meditazione Benson (1983b) ha studiato 19 soggetti che praticavano tecniche di rilassamento due volte
al giorno per 30 giorni, trovando che i livelli accresciuti di noradrenalina non producevano aumenti nel
ritmo cardiaco e nella pressione sanguigna e concludendo che le tecniche di rilassamento riducevano la
reazione del sistema nervoso centrale alla noradrenalina(Bottaccioli, 2005).
IL SISTEMA RABBIA/DOMINANZA
E LA NEUROPERSONALITÀ TESTOSTERONICA REATTIVA
Il sistema della RABBIA/DOMINANZA è il principale sistema di difesa reattiva del Sé.
Questo sistema permette di mobilitare le risorse energetiche e cognitive per reagire alle situazioni di
pericolo o di disagio, attivando le risposte attive dell’aggressività, della dominanza e del territorialismo.
La RABBIA, come istinto aggressivo e violento, presente in tutti gli animali e negli esseri umani, è uno dei
più potenti processi-primari del Sé e viene attivato per la difesa e per il mantenimento dell’omeostasi e
delle funzioni essenziali, come il cibo, il territorio, la gestione delle risorse, il nido, il sonno, ma anche la
casa, il lavoro, il proprio partner, i figli, la proprietà, le idee.
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Il sistema della RABBIA/DOMINANZA è legato al testosterone, l’ormone sessuale prodotto dai testicoli,
ma anche dalle ovaie e dalle surrenali, che è presente nel maschio in proporzioni maggiori che nella
femmina, che, rispetto agli uomini, hanno una maggiore
tendenza a convertire quest'ormone in estrogeni. I
livelli massimi di produzione del testosterone si hanno
tra i 20 e i 25 anni di età, per poi calare
progressivamente (vedi grafico).
Il sistema della RABBIA/DOMINANZA è la base
neuronale della “neuropersonalità testosteronica”,
particolarmente caratterizzata da comportamenti
reattivi e aggressivi, mediati da un alto livello di
testosterone e spesso da un basso livello di serotonina.
Il testosterone produce i comportamenti aggressivi e
competitivi, originariamente legati alla conquista della
femmina, all’accoppiamento e alla difesa del territorio. Questo tipo di aggressività si osserva nelle lotte di
potere politico, economico, tra gli sportivi, nelle competizioni e nelle relazioni sessuali. I tassi di
testosterone dei vincitori si alzano, mentre si abbassano negli sconfitti, generando demoralizzazione e
bassa energia.
Il sistema della RABBIA viene anche attivato da uno stato di irritazione fisica (ferita, dolore), frustrazione
per carenza di rapporti sessuali, fame o sete, privazione di sonno.
Anche lesioni cerebrali o foci epilettici, possono aumentare l’irritabilità e stimolare il sistema della
RABBIA. Il sistema della RABBIA è anche attivato dall’inibizione o riduzione del sistema della RICERCA e
del GIOCO e del piacere inerente. La rabbia è uno strumento primario di protezione che dovrebbe
aiutarci a mantenere o a ripristinare la situazione ottimale del sistema del PIACERE CORPOREO.
Il sistema della RABBIA è presente in tutti gli animali studiati.
Il sistema della RABBIA si attiva anche quando subiamo una limitazione del circuito del piacere. Nei
mammiferi il sistema della RABBIA si attiva anche quando un soggetto viene privato di qualcosa di
piacevole, come un gioco, che genera sensazioni di limitazione o blocco della nostra libertà e della gioia
di vivere. Nei mammiferi superiori, e in particolare negli esseri umani, la RABBIA può essere attivata
anche dalla privazione dell’amore e dell’affetto, ossia dalla limitazione del sistema della
CURA/AMOREVOLEZZA che rappresentano valori profondi e importanti della vita.
Si ricorda che l’aggressività predatoria, tipica del felino che aggredisce una preda, non è frutto
dell’attivazione del sistema della RABBIA, ma largamente associato all’attivazione dell’asse dello stress e
del sistema della RICERCA.
La neuropersonalità aggressiva-dominante
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità testosteronica aggressiva-dominante, legata al sistema di
RABBIA/DOMINANZA, è caratterizzato da un aumento del tono simpatico, dalla forza, dalla struttura
fisica eretta, da un torace pieno e in espansione e da una respirazione nasale alta, con un carico di
tensione muscolare, in particolare nel braccio destro. Le emozioni sono intense e con una base
aggressiva. Lo sguardo è deciso e determinato, i movimenti volitivi e forti, la voce spesso direttiva e
incline all’aggressione verbale. Quando la neuropersonalità testosteronica è contrastata, sviluppa
pensieri di conflitto e di vendetta.
Il sistema della RABBIA/DOMINANZA è una della basi neurofisiologiche comuni ai leader carismatici e
agli uomini di potere ma anche, se non governata in modo equilibrato, ai criminali e alle persone con
disturbi della personalità antisociale e borderline del DSM-5. Questa struttura è in molti aspetti
sovrapponibile al “carattere psicopatico” codificato da Lowen.
Inibizione e iperattivazione del sistema della RABBIA/DOMINANZA
Il sistema della RABBIA/DOMINANZA è uno dei sistemi istintivi ed emozionali più vitali e potenti e anche
il più contrastato ed inibito dalle norme familiari, sociali e morali. La rabbia è spesso considerata come
una forza negativa da reprimere. L’eccessiva “inibizione dell’azione” del sistema della
RABBIA/DOMINANZA, a cui sono sottoposti i bambini che vivono in famiglie troppo normative,
aggressive o comunque in cui non si sentono sufficientemente protetti, può rinforzare e cronicizzare le
risposte passive del sistema PAURA/ANSIA, inibire profondamente la risposta aggressiva del sistema
RABBIA/DOMINANZA e reprimere la normale e funzionale “neuropersonalità testosteronica”. Questa
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condizione psicosomatica può, quindi, ridurre fortemente il potere personale, il coraggio di vivere e la
forza di essere se stessi.
In alcuni casi invece, come nei soggetti con un’elevata funzionalità genetica del sistema della
RABBIA/DOMINANZA, gli stessi maltrattamenti familiari o le privazioni d’affetto e cura generano una sua
attivazione cronica che da’ origine a una risposta di attivazione della neuropersonalità testosteronica,
con manifestazioni di reattività, iperattività motoria, ribellione e conflittualità con il potere o le figure
istituzionali e che può anche diventare cronica o addirittura patologica.
La repressione della rabbia può essere, infatti, facilmente vissuta come repressione della propria vitalità
e del Sé e quindi generare dei processi-secondari emotivi più articolati e complessi, come la collera e il
rancore e dei processi-terziari cognitivi superiori, trasformandosi in sdegno, gelosia, odio, frustrazione,
risentimento e sentimento di ribellione, rivincita o vendetta. Queste emozioni coinvolgono processi
psicologici e mentali complessi, in cui si inseriscono sistemi di giudizio e valore negativo sul soggetto o
sull’evento che ha causato la rabbia. I processi-secondari e terziari rappresentano le tipiche istanze delle
dinamiche di potere (familiare, sociale, di coppia) e le loro infinite variazioni, su cui operano
costantemente gli psicologi e gli psicoterapeuti. Nei processi-terziari la rabbia può indurre pensieri e
strategie psicologicamente complesse che portano a cercare rivincite, vendette per ripristinare e ricreare
le situazioni dei nostri desideri.
I processi-terziari vengono ulteriormente complicati dall’effetto delle neuropersonalità e delle
circostanze che portano all’uso di atteggiamenti e toni conciliatori, accusatori, frustrati, pacificatori che
amplificano o diminuiscono la forza della RABBIA.
Rabbia e mancanza di amore
Nei bambini, come negli adulti con una forte neuropersonalità ossitocinica, legata al sistema della
CURA/AMOREVOLEZZA, la privazione dell’amore materno o dell’amore del partner genera un universale
senso di solitudine e di tristezza, attivando il sistema della TRISTEZZA/PANICO e una cronica inibizione
del sistema della RABBIA che spesso dura tutta la vita.
La stessa privazione dell’amore materno o dell’amore del partner, nella neuropersonalità testosteronica,
è spesso accompagnato dall’attivazione del sistema della RABBIA/DOMINANZA che spingerebbe
all’aggressività e a fare del male alla persona responsabile dell’evento, fino all’uccisione. I bambini cui
nasce un fratellino che minaccia di togliere loro l’affetto dei genitori, evidenziano l’attivazione del
sistema della RABBIA/DOMINANZA e della gelosia che può manifestarsi sotto forma di dispetti, fino a
comportamenti di estrema violenza.
Il neurocircuito della RABBIA
Il sistema della RABBIA venne scoperto, negli anni ’30, da Walter Hess che vinse il premio Nobel per
questa scoperta, nel 1949. Il sistema della RABBIA fu inizialmente localizzato nell’ipotalamo. Gli animali
stimolati elettricamente evidenziavano immediatamente comportamenti aggressivi e violenti, attaccando
e mordendo gli oggetti circostanti. I comportamenti aggressivi erano proporzionali all’intensità della
carica.
La configurazione moderna del sistema della RABBIA è dovuta ad Allan Siegel (2005) che l’ha identificato
col neurocircuito amigdala-ipotalamo-PAG e mostra una precisa struttura gerarchica. La profonda
struttura cerebrale del PAG ha un’importanza critica nella generazione dei comportamenti aggressivi,
rispetto alle aree superiori. L’ipotalamo (area mediale) è comunque centrale, ma meno importante,
riceve gli input di attivazione dalle sensazioni generali, mentre l’amigdala sembra attivare il sistema della
RABBIA, sulla base delle considerazioni cognitive superiori (giudizi, rivincite o vendette) che provengono
dalla neocorteccia. Damasio e colleghi (2005) hanno evidenziato un forte aumento della circolazione
sanguigna nell’area del PAG, durante l’attivazione del sistema della RABBIA.
Il danneggiamento del PAG, infatti, elimina completamente i comportamenti di RABBIA, mentre la
RABBIA evocata dalla stimolazione del PAG, non è diminuita dal danneggiamento dell’ipotalamo o
dell’amigdala.
Questa struttura gerarchica del sistema della RABBIA/DOMINANZA è analoga per tutti i sistemi delle
emozioni primarie, in particolare per il sistema della RICERCA e della PAURA. Le aree più basse e
primitive hanno una rilevanza maggiore, mentre le aree superiori sembrano svolgere una sorta di
regolazione cognitiva, attraverso l’attivazione, l’inibizione o il controllo delle forze istintive emotive. La
psicoterapia è di fondamentale importanza in questo processo di regolazione e maturazione, poiché aiuta
la persona a governare le proprie emozioni, invece di diventarne schiava.
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Le basi biochimiche della RABBIA
Le principali sostanze che attivano il sistema della RABBIA sono il testosterone, la sostanza P e la
noradrenalina. In secondo piano, abbiamo il glutammato, l’acetilcolina e l’ossido di azoto, che sono degli
attivatori cerebrali aspecifici.
La RABBIA è regolata e sedata dall’endorfina e dagli oppioidi endogeni, dall’ossitocina e dalla serotonina.
La serotonina e gli psicofarmaci che rinforzano la serotonina, come gli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina (SSRI), insieme al GABA, tendono in modo aspecifico a inibire il sistema
della RABBIA e i sistemi emozionali in genere, dalla depressione, alle crisi epilettiche, migliorando il
riposo e il sonno. Il sistema della RABBIA, come tutti i sistemi emotivi primari, è regolato da molti
processi psicologici e da molti sistemi neuronali. Queste influenze possono essere inibite da specifici
farmaci, ad esempio il propanololo (che blocca i recettori della noradrenalina) che inibisce
genericamente il sistema della RABBIA, ma anche altri sistemi emotivi. Tra i farmaci che possono
sopprimere il sistema RABBIA c’è anche l’aprepitant, antagonista della sostanza P.
Questa varietà di sostanze attivanti o inibitorie suggerisce che esista un’ampia gamma di possibilità e di
circuiti che possono agire sul sistema della RABBIA e quindi infinite modalità individuali che entrano in
gioco. Questo evidenzia anche la difficoltà di trovare uno specifico farmaco che vada bene per ogni
soggetto.
La strategia migliore sarebbe quindi quella di individuare la “neuropersonalità” di base, attraverso i test,
ma soprattutto attraverso un’attenta analisi dei vissuti, dei comportamenti e delle caratteristiche
psicosomatiche emotive e psicologiche che identificano il temperamento della persona.
Gli psichiatri dovrebbero capire che la salute psicofisica non può essere ottenuta semplicemente
inibendo farmacologicamente un sistema della RABBIA iperattivo. La RABBIA può essere normalmente
riequilibrata grazie al miglioramento delle relazioni sociali e, soprattutto, attraverso un aumento
dell’ossitocina e dell’endorfina, legate al miglioramento dei rapporti affettivi e sociali positivi. L’azione
dello psicoterapeuta è fondamentale per migliorare l’abilità del paziente di sviluppare buone relazioni
affettive con gli amici e la famiglia.
Differenze tra maschi e femmine
Da numerose ricerche, appare evidente che il sistema della RABBIA/DOMINANZA sia maggiormente
sviluppato negli uomini rispetto alle donne. Le femmine della maggior parte delle specie animali
mostrano una minor attitudine alla RABBIA/DOMINANZA dei maschi. La ragione principale è il
testosterone, i cui livelli più alti nei maschi stimolano la neuropersonalità testosteronica che si esprime
attraverso comportamenti aggressivi e una tendenza alla dominanza. Per contro, quando è stato iniettato
testosterone nelle femmine, queste sono immediatamente diventate più aggressive e meno tolleranti.
È rilevante notare che le femmine di iena hanno i livelli di testosterone più alti fino ad ora rilevati tra le
femmine animali e mostrano dei comportamenti particolarmente aggressivi e dominanti tra loro e sui
maschi. Gli elevati livelli di testosterone portano le femmine di iena ad un esagerato sviluppo del
clitoride (penis-like) e delle labbra esterne che esse mostrano come segno di potere, orientato alla
dominanza sociale.
L’attivazione del sistema della RABBIA è vissuto generalmente dagli animali e dagli esseri umani come
non piacevole e quindi, tendenzialmente, da evitare. In alcuni casi può essere vissuto positivamente,
quando è associato alla dominanza, al successo o ad una vittoria.
Interazioni tra sistema della RABBIA e SESSUALITA’
L’eccesso di testosterone genera comportamenti più sospettosi (gelosia) e meno basati sulla fiducia. Il
testosterone induce un’attivazione genetica per la produzione di vasopressina, il neuropeptide, che
promuove l’aggressività e la sessualità nei maschi. I maschi di topo castrati hanno livelli di vasopressina
dimezzati e sono parallelamente meno aggressivi e sessualmente attivi; l’iniezione di testosterone
nell’ipotalamo ristora il loro normale livello di sessualità e di aggressività.
Le esperienze di vittoria sono fortemente connesse col testosterone, con l’assertività e con la sessualità.
La ricerca della competizione e del successo sono segni evidenti della neuropersonalità testosteronica. Il
ruolo del testosterone nei giovani adolescenti maschi è molto evidente. È importante notare che gli
ormoni femminili, estrogeni, progesterone e ossitocina, normalmente inibiscono l’aggressività e danno
una chiave di lettura sui motivi per cui le femmine sono più pacifiche degli uomini. La personalità
femminile cui è stato dato testosterone, tende a virare verso una neuropersonalità testosteronica, con
uno spettro più tipicamente maschile, connotato da aumento dell’aggressività, del sospetto (gelosia) e da
elevata sessualità. La brama e il piacere sessuale femminile hanno una forte componente mediata dal
testosterone.
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IL SISTEMA RABBIA/DOMINANZA E
LA NEUROPERSONALITÀ SEROTONINICA ORIENTATA AL POTERE
Il sistema della DOMINANZA sostiene il potere personale e sociale del Sé. La DOMINANZA è uno status
che viene percepito in modo molto variabile, dalle differenti tipologie di neuropersonalità, dagli eccessi
di potere, alla completa sottomissione.
Ritengo verosimile che esista uno specifico “sistema della DOMINANZA” all’interno del cervello che si
trova in diretta comunicazione con il sistema della RICERCA, della RABBIA, della PAURA e del GIOCO.
Nessuno, nei giochi infantili, ama dichiarare “mi arrendo” o “cedo” ad un compagno: la sensazione di
sottomissione è profondamente radicata nei nostri codici genetici e tendenzialmente ritenuta negativa e
da evitare, in particolare in situazioni di visibilità sociale, ossia quando altre persone osservano e
possono giudicarci.
A livello etologico, il più importante aspetto della dominanza sociale è osservato tra maschi che cercano
di stabilire una supremazia territoriale e di combattere con gli altri maschi per il predominio sessuale.
Anche se il sistema RABBIA è sicuramente attivato durante l’aggressività tra maschi o per la dominanza e
l’accesso alle risorse primarie, c’è larga evidenza che il sistema della DOMINANZA sia comunque distinto
da quello della RABBIA. Esistono, infatti, dati chiari nei comportamenti animali e umani di DOMINANZA,
non legati all’aggressività ma alla stabilità e alla saggezza, come nelle femmine di elefante (Archie et alii,
2013) e in molti casi di neuropersonalità dominanti della storia umana, dell’economia, della cultura e
della spiritualità.
Come abbiamo detto precedentemente, la serotonina è l’ormone della dominanza non aggressiva, le
ricerche mostrano che i maschi dominanti hanno livelli di serotonina più alti, fino al doppio, rispetto ai
più sottomessi (Raleigh et alii, 1984). La rimozione del maschio dominante cambia la gerarchia nei
maschi rimasti e il nuovo maschio dominante aumenta i suoi livelli di serotonina.
La reintegrazione del maschio dominante originario riporta i livelli gerarchici di dominanza e i livelli di
serotonina alla situazione iniziale (Raleigh et alii, 1991).
Cambiamenti dei livelli di serotonina dovuti all’utilizzo di sertralina (farmaco inibitore del reuptake della
serotonina o SSRI), possono ugualmente modificare l’assetto gerarchico dei maschi dominanti verso i
subordinati (Larson et alii, 2001). I farmaci serotoninergici come la sertralina (SSRI) regolano e
diminuiscono le risposte aggressive del sistema RABBIA e stimolano la DOMINANZA.
Sono di grande importanza gli studi che evidenziano come la DOMINANZA sia significativamente
correlata anche al peso corporeo, ossia alla robustezza del soggetto che, anche senza utilizzare
l’aggressività, sa comunque di poterla potenzialmente esercitare, in caso di bisogno, come forza fisica che
gli offre una base corporea concreta di sicurezza e potere (Fairbanks et alii, 2004).
I fenomeni di bullismo sono molto spesso legati al maschio più robusto e aggressivo che s’impone sui
coetanei, fisicamente meno forti ed aggressivi.
La sottomissione, come polarità debole-paurosa del bullismo è spesso caratterizzata da un eccessi
ingiustificato di paura. Se le persone che subiscono angherie riducessero la paura del dolore e della
violenza fisica si ridurrebbero drasticamente i fenomeni di bullismo.
È plausibile che in milioni di anni di evoluzione, esista una diretta relazione tra la dimensione corporea,
legata alla forza muscolare e la percezione interna della sicurezza e della potenzialità di difendersi o di
dominare del Sé. Una base consistente del nostro lavoro psicoterapeutico psicosomatico sulle persone
timorose e timide, soggette situazioni di accettazione forzata o di sottomissione, è orientata a potenziare
la percezione della propria forza fisica e del proprio potere muscolare, attraverso il grounding e gli
esercizi di energetica forte che, in pochi mesi, danno maggiore sicurezza alla persona e le permettono
atteggiamenti più determinati e meno succubi delle pressioni esterne.
Nei mammiferi, come nei primati e negli esseri umani, bassi livelli di serotonina si osservano nei soggetti
che non riescono a controllare gli istinti aggressivi di RABBIA o autoaggressivi, come ad esempio, nei
suicidi.
È stato anche dimostrato che la serotonina promuove lo status sociale e il comportamento affiliativo, sia
nei primati, sia negli esseri umani. (Tse et alii, 2002).
In altre parole, il maschio “serotoninico” dominante è un “leader naturale”, ossia una figura sociale non
solo temuta, per la sua forza e potenziale aggressività ma anche stimata, per la sua presenza amichevole
e capacità socializzante.
Il sistema della DOMINANZA sociale, quindi, non è necessariamente un effetto del sistema della RABBIA,
anche se spesso i due sistemi si sovrappongono.
72
Il sistema della RABBIA, l’aggressività predatoria e la DOMINANZA sociale possono fondersi a livello dei
processi-terziari. L’aggressività maschile da testosterone è ritenuta un’aggressività fisica; le femmine
mostrano meno aggressività fisica ma più aggressività psicologica e sociale.
La dominanza emerge anche dai giochi dei bambini e genera uno stato di consapevolezza e di gerarchia
che rimane fin da adulti. Questi dati permettono a psicoterapeuti e psichiatri di comprendere che il
sistema RABBIA può diventare iperattivato quando le persone, specialmente da bambini, sono soggette
ad abusi, a un non riconoscimento e a mancanza d’affetto, quindi la chiave per diminuire una RABBIA
patologica è ristabilire la capacità di formare relazioni calde e basate sulla fiducia. Una consistente
amicizia e capacità d’interazioni positive possono avere un grande effetto su persone arrabbiate; così le
esperienze emotive positive, in un contesto terapeutico, possono limitare o sciogliere molti tipi di
memorie traumatiche. La psicoterapia può aiutare i pazienti a liberarsi dai propri schemi negativi e di
ruminescenza rancorosa.
Scheda Testosterone
Informazioni generali Il testosterone è l’ormone della sessualità attiva, dell’aggressività (lotta per
l’accoppiamento), della buona salute e della vitalità. È prodotto principalmente nei testicoli e, in minima
parte, nella corteccia surrenale.
Storia L’azione ormonale legata ai testicoli era già chiara nel passato: i cinesi sono stati i primi a isolare e
utilizzare gli ormoni sessuali e ipofisari per scopi medici dal II secolo a.C. (Temple, 2007); nello stesso
periodo, in India, il famoso medico Susruta, nei suoi testi ayurvedici, consigliò per la cura dell’impotenza,
l’ingestione di sostanze testicolari. Nel 1935, il gruppo Organon, nei Paesi Bassi, fu il primo ad isolare il
“testosterone”.
Effetti fisiologici Il testosterone ha un ruolo fondamentale per la fertilità, in quanto agisce sulla
maturazione degli spermatozoi nei testicoli, contribuisce alla regolazione della crescita ossea e
muscolare che induce l’aumento dell’attività e della forza fisica, aumenta l’utilizzo dei lipidi (grassi)
corporei, la tolleranza al glucosio, ha azione vasoprotettrice e normotensiva diminuendo i rischi cardiaci
e stimolando il sistema immunitario. La carenza di testosterone può indurre: diabete mellito, rischi
cardiaci, ipertensione, aumento del grasso corporeo, diminuzione della massa muscolare, disfunzioni
erettili, possibilità di collasso cardiocircolatorio e aumento della mortalità, in particolare più è basso il
rapporto testosterone/cortisolo, maggiori sono questi rischi (Friedrich, 2012).
Effetti psichici e comportamentali Il testosterone stimola il desiderio sessuale, l’erezione e la
soddisfazione sessuale: ha, infatti, la funzione di “mettere in sincronia” il desiderio sessuale con l’atto
vero e proprio, regolando l’inizio e la fine dell’erezione del pene. Un deficit di libido (desiderio sessuale)
è spesso associato a una disfunzione del testosterone. Ciò è stato evidenziato anche per il desiderio
sessuale femminile, a seguito della sua diminuzione nel periodo post-menopausa. Gli sportivi che
assumono illegalmente testosterone hanno maggiore vigore e aggressività fisica e psicologica nelle gare.
Si notano differenze individuali dei livelli di testosterone di ±15% tra individui poco o molto virili: un
maschio poco virile raggiunge, a vent’anni, una produzione di testosterone pari a quella di un maschio
molto virile, a sessant’anni.
Il testosterone può indurre una diminuzione dell’affettività e del sistema della CURA, antagonizzando gli
effetti psicologici dell’ossitocina.
La carenza di testosterone può indurre stanchezza, spossatezza, disfunzioni erettili, depressione.
Meditazione La meditazione fa aumentare i livelli di testosterone che ha un ruolo importante anche
nelle donne, soprattutto in menopausa e del DHEA, con ruoli molteplici sia sull’umore, sia sul sistema
immunitario (Bottaccioli, 2005).
IL SISTEMA SESSUALITA’/DESIDERIO
GLI ORMONI SESSUALI E LA NEUROPERSONALITÀ SENSUALE
Il circuito del piacere e della sensualità
Il sistema del SESSO/DESIDERIO sostiene l’identità di genere del Sé che rappresenta un elemento
fondamentale nella formazione della coppia e nel senso di appartenenza alle relazioni sociali. Il sistema
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del SESSO/DESIDERIO viene attivato dagli ormoni sessuali come il testosterone, gli estrogeni, i
progestinici e la vasopressina.
Panksepp scrive che il processo con cui la sensazione erotica dall’eccitazione iniziale si sviluppa fino alla
tenerezza dell’amore, rimane uno dei più importanti e poco studiati problemi delle neuroscienze, anche
se i circuiti dell’attivazione sessuale sono ben conosciuti in molti animali e nell’essere umano (Panksepp,
1012).
Il sistema del SESSO/DESIDERIO è la base neuronale della “neuropersonalità sensuale” mediata dagli
ormoni sessuali e caratterizzata da comportamenti “ormonali” orientati all’interazione emotiva, al
piacere, alla fascinazione, alla passionalità amorosa, al corteggiamento e all’incontro sessuale.
Gli impulsi primari sessuali rendono la vita sociale intrigante, poiché la sessualità è un potente motore
sociale per tutti i mammiferi, essere umano compreso. Una vita sessuale soddisfacente migliora la
risposta del sistema immunitario e la longevità; le persone con una vita sessuale soddisfacente vivono
più a lungo di quelle senza una vita di relazioni felici e sicure, indipendentemente dal genere del partner.
La benedizione di una vita di relazione amorevole e sessualmente appagante, rappresenta un tonico per
il corpo e per l’anima. Per quanto riguarda genere e identità sessuale, molte domande restano aperte,
nonostante i numerosi libri scritti sull’argomento: i dati delle neuroscienze, dell’endocrinologia, della
psicologia e degli studi sociali, ci dovrebbero fare riflettere con più complessità e apertura mentale su
cosa significhi essere uomo o donna dal punto di vista sessuale, su cosa rappresenti la normalità e come
venga creata l’identità sessuale, attraverso l’intreccio di biologia, cultura e scelta personale. La
considerazione di fondo che genera questo alto livello di confusione e di complessità è che la sessualità
dell’essere umano è generata da più componenti, non necessariamente coerenti tra loro: 1) la
componente genetica (fenotipo) ed epigenetica, derivata dai cromosomi femminili (XX) o maschili (XY),
2) la componente endocrina delle ghiandole sessuali (gonadi), ossia delle ovaie e dei testicoli, 3) la
componente cerebrale che gestisce i circuiti neuronali della sessualità maschile, situati nei nuclei
interstiziali dell’ipotalamo anteriore (INAH) e femminile, nell’ipotalamo ventro-mediale (VMH), 4) la
componente psicologica ed emotiva che deriva dai condizionamenti familiari e sociali.
Genetica e ormoni
A livello genetico ed endocrino, molta confusione è data anche dal fatto che il fenotipo sessuale corporeo
e l’organizzazione sessuale cerebrale possono non corrispondere all’identità socio-culturale di
appartenenza e quindi generare complessi livelli di ambiguità: dalla completa mascolinità psico-
comportamentale, in una persona geneticamente femmina (cromosomi XX), a fattezze corporee più
femminili, in una persona geneticamente maschio (cromosomi XY), la cui mente è organizzata in senso
maschile?. L’identità derivata dalla propria neuropersonalità sessuale, per via di queste disarmonie e
incongruenze psico-somatiche, è quindi spesso confusa e sfuggente.
Sviluppo e differenziazione neuro-sessuale
È stato documentato (Phoenix et alii, 1959) che l’organizzazione dei circuiti sessuali inizia durante la vita
fetale, sviluppando bimbi o bimbe che differiscono fisicamente, emotivamente e psicologicamente
(Gooren, 2006). Queste differenze sono controllate dal testosterone, secreto prima e subito dopo la
nascita. Nell’adolescenza, le femmine sviluppano la pubertà grazie agli estrogeni e al progesterone,
secreto dalle ovaie, mentre i maschi grazie al testosterone, abbondantemente prodotto dai testicoli.
Il testosterone è presente in entrami i sessi ma esercita un’attività più intensa nel maschio perché è
dotato di aree cerebrali più estese, ricche di recettori per il testosterone, in particolare nell’ipotalamo
anteriore. L’effetto del testosterone sui recettori di queste aree cerebrali produce una sensazione di
piacere: è come se i maschi possedessero “ghiandole sessuali nel loro cervello”, corrispondenti alle
gonadi esterne (testicoli). Studi sui roditori hanno dimostrato che lesioni dei testicoli, o di queste aree
nel cervello, producono effetti simili: debolezza sessuale, diminuzione del desiderio e dell’abilità,
specialmente se il danno avviene prima dell’adolescenza.
Se i giovani animali perdono i testicoli prima della maturità sessuale, non svilupperanno mai forti
impulsi sessuali, a meno che non venga iniettato del testosterone in aree appropriate; tuttavia pulsioni
sociali più generiche non vengono totalmente inibite, dimostrando, quindi, che i bisogni relazionali sono,
almeno in parte, indipendenti da quelli sessuali (Panksepp 2012).
Se il danno avviene in animali adulti che hanno già sviluppato comportamenti sessuali, la sessualità viene
inibita in misura inferiore, probabilmente perché le abitudini sessuali sono sostenute da processi
secondari e terziari di ordine superiore, come l’apprendimento, le memorie e le attività cognitive e
psicologiche sessuali. Uomini sessualmente attivi che perdono i testicoli, tendono a mantenere una vita
74
erotica più a lungo degli animali castrati, probabilmente perché hanno meccanismi psicologici superiori
più forti a sostegno della motivazione.
Il testosterone è molto potente nello stimolare l’eccitazione maschile, anche perché attiva la
vasopressina che in modelli animali promuove l’eccitazione sessuale, la difesa del territorio,
l’aggressività tra maschi e probabilmente la gelosia sessuale (Goodson, et alii, 2001; Hart et alii, 2010). I
maschi hanno concentrazioni doppie di vasopressina, rispetto alle femmine. Il testosterone attiva anche
il neurotrasmettitore protossido d’azoto che promuove un’elevata attività sessuale aggressività. Farmaci
come il sildenafil (Viagra) migliorano l’attività erettile, aumentando la produzione di protossido d’azoto,
sia nel cervello, sia nel pene e probabilmente anche nel clitoride. Ancora una volta vediamo come corpo e
mente lavorino assieme, sotto lo stimolo di identiche sostanze.
I circuiti sessuali del cervello
Il cervello maschile e femminile hanno caratteristiche sorprendentemente e dolorosamente differenti. Le
neuroscienze moderne hanno dimostrato che il cervello di maschi e femmine non è uguale, ma che
entrambi possiedono centri e circuiti cerebrali di tipo sia femminile sia maschile, generalmente con una
diversa distribuzione e attivazione.
Nei mammiferi maschi, il centro degli impulsi sessuali primari si trova nelle regioni mediali
dell’ipotalamo anteriore (POA), mentre nell’uomo, soprattutto nell’area dei nuclei interstiziali
dell’ipotalamo anteriore (INAH). Gli impulsi femminili per la disponibilità sessuale, originano invece
nell’ipotalamo ventro-mediale (VMH)
Così come i corpi di maschi e femmine sono diversi in alcuni aspetti importanti, anche i loro cervelli sono
distinti in molti modi, con un’enorme varietà di sfumature psicologiche (Hoyenga,1993).
Questi due differenti circuiti primari dell’attivazione e del piacere sessuale possono essere modulati,
attivati o inibiti da influenze secondarie (emotive) e terziarie (psicologiche e sociali) molto complesse.
I sistemi cerebrali maschile e femminile sono diversi in termini di impulsi, soddisfazione sessuale e molti
altri tratti psicologici, generati da circuiti cerebrali e biologici distinti. Il desiderio sessuale non riflette
semplicemente un bisogno corporeo periferico ma anche, e in modo decisivo, l’organizzazione del
cervello-mente. Da queste considerazioni risulta che le espressioni sessuali fisiche e psicologiche di
genere hanno un controllo separato ma sovrapposto, cioè il genere corporeo (genetico-ormonale) e il
genere psicologico (neuro-cognitivo) hanno uno sviluppo indipendente che inizia in utero, molto prima
che l’organismo abbia un qualunque condizionamento sociale riguardante la sessualità.
Partendo da questa complessità di strutture, diventa sempre più difficile sostenere una chiara
definizione di “normalità di genere” da un punto di vista fisico, psicologico e comportamentale,
relativamente all’essere eterosessuali, transgender, transessuali, omosessuali o bisessuali.
Testosterone e aggressività maschile
Come descritto nel paragrafo precedente, oltre a facilitare le risposte sessuali maschili, il testosterone
promuove gli impulsi di aggressività per la dominanza sociale, sia negli uomini sia nelle donne. A livello
di alcune aree sottocorticali, in particolare nell’amigdala mediale, il testosterone può attivare diversi
circuiti, tra cui il sistema della RABBIA, agendo su popolazioni neuronali diverse. Esistono, però anche
neuroni reattivi sia agli stimoli di tipo sessuale, sia a quelli correlati alla dominanza sociale e
all’aggressività. Studi su umani hanno evidenziato che le aree dei lobi temporali, dove risiede il circuito
dell’aggressività, sono più attive negli uomini, mentre aree della corteccia cingolata anteriore, correlate
al dolore affettivo e all’accudimento, sono più attive nelle donne (Gur et al., 1995). Tuttavia, anche le
femmine, sia animali sia umane, se assumono testosterone, diventano più decise e sicure ma anche più
sospettose verso gli altri (Van Honk et al., 2004). Anche una singola iniezione di testosterone aumenta
l’aggressività e induce altre caratteristiche psicologiche tipicamente maschili (Bos et al., 2010), come è
stato documentato da molte ricerche di imaging cerebrale, riguardanti gli effetti di questi steroidi sul
cervello (Van Honk et alii, 2010).
Quando l’impulso sessuale maschile non è soddisfatto, si può generare uno stato di tensione tale da
spingere verso comportamenti aggressivi e di competizione. È possibile che negli adolescenti la
frustrazione derivante dalla mancata soddisfazione degli impulsi sessuali primari, come avviene spesso
nelle società civilizzate, possa condurre alle aggressioni sessuali e ad altri comportamenti socialmente
inappropriati. Alcune delle differenze nelle funzioni cerebrali nei due sessi, derivano dalla diversa
specificità di azione degli ormoni sessuali: gli estrogeni, ad esempio, sostengono il circuito dell’ossitocina,
con un effetto calmante che facilita le relazioni sociali e i legami positivi in entrambi i sessi, mentre il
testosterone aumenta il potere della vasopressina nel cervello maschile, inducendo competitività, ma
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anche aumentando i legami sessuali e la possessività (gelosia) nei maschi, mentre diminuisce la frenesia
sessuale nelle femmine.
Il circuito del DESIDERIO SESSUALE femminile
La sessualità femminile, come è stato più volte notato, ha una maggiore complessità, rispetto a quella
maschile, che non è stata ancora del tutto indagata e compresa. Gli impulsi femminili per la disponibilità
sessuale sono controllati principalmente da estrogeni e progesterone e, in parte, dal testosterone
prodotto dalle ghiandole surrenali.
Il desiderio sessuale femminile, in molte specie, è correlato alla regolarità dei cicli mestruali, modulati
dal rilascio ciclico e dall’interazione reciproca degli ormoni sessuali.
Estrogeno e progesterone preparano la femmina ad essere anche emozionalmente ricettiva agli approcci
sessuali del partner, promuovendo la produzione di ossitocina: l’estrogeno attiva i geni silenti
dell’ossitocina nei neuroni ipotalamici, aumentandone la produzione cerebrale. Estrogeno e
progesterone, inoltre, promuovono l’ampliamento delle aree contenenti i recettori per l’ossitocina,
nell’ipotalamo ventro-mediale (VMH).
La combinazione dell’aumento di ossitocina e dei suoi recettori dà inizio e supporta il riflesso della
lordosi che causa una postura corporea sessualmente ricettiva: l’inarcarsi della schiena e la maggiore
esposizione dei glutei e, negli animali a quattro zampe, anche l’esposizione dei genitali (Pfaff, 1999).
Al picco della fertilità, quando sia estrogeno sia progesterone sono alti, i pensieri di una donna sono più
facilmente trasformati in fantasie erotiche, rispetto a quando i livelli ormonali sono bassi.
A dispetto delle molte differenze tra le specie, sembra che a livello dei processi primari, i mammiferi
abbiano circuiti del DESIDERIO SESSUALE straordinariamente simili (Pfaus et al., 2003). Molti dei
princìpi neurochimici sottostanti la sessualità femminile hanno una chiara generalità inter-specifica,
ossia comune a tutti i mammiferi (Meston, et alii, 2000), mentre alcuni aspetti sono tipici per ogni specie.
Negli esseri umani, il testosterone surrenalico aggiunge un ingrediente piccante alla sessualità della
donna, quasi come se un frammento delle pulsioni sessuali maschili fosse stato aggiunto all’equazione
della sessualità femminile.
Per una sessualità soddisfacente, sia maschile sia femminile, l’ingrediente più importante è comunque la
qualità affettiva della mente. L’ossitocina, in particolare, è un neuromediatore chiave della sessualità
femminile che può indurre il desiderio anche nel maschio e viene secreta durante l’eiaculazione. D’altra
parte, la vasopressina, che induce desiderio sessuale nel maschio, ha un effetto opposto nella femmina,
inibendo drasticamente l’impulso sessuale. È possibile che la vasopressina, nelle femmine, sostenga
alcuni degli aspetti più forti e aggressivi della funzione materna, come la protezione dei cuccioli e
l’ossitocina sostenga, nei maschi, alcune funzioni di supporto, come la tendenza dei padri a non essere
aggressivi con i propri cuccioli.
Il sistema del SESSO/DESIDERIO e il sistema della RICERCA
Il sistema della RICERCA è cruciale nel compito di trovare un partner sessuale: il desiderio sessuale è
promosso, oltre che dagli ormoni sessuali e dagli altri mediatori chimici implicati già discussi, anche dalla
dopamina ed è il sistema della ricerca che guida l’azione. Questo sistema sembra essere più presente nei
maschi mentre, per quanto riguarda la cura, il sistema della ricerca sembra essere più responsivo nelle
femmine.
La fame, come la paura e le altre emozioni negative, inibiscono l’impulso sessuale.
Mentalità e identità di genere
Nonostante le molte differenze neurochimiche esistenti tra uomini e donne, in particolare ossitocina e
vasopressina hanno ampi effetti come peptidi sessuali sociali, poiché interagiscono con processi mentali
più alti, promuovendo tratti psicologici che hanno una valenza diversa nei due sessi .
L’ossitocina incoraggia le attitudini tipicamente femminili di cura e nutrimento, sintetizzate nella frase
“to tend and be friend”, ovvero “tenerci ad essere amico” (Taylor et al., 2000).
La vasopressina sostiene le attitudini tipicamente maschili, sintetizzate nella frase “pushy and
competitive”, “invadente (pressante) e competitivo”. Le differenze intrinseche maggiori nelle menti
maschile e femminile esistono ad un livello affettivo, con piccole differenze a livello cognitivo.
Come sottolineato precedentemente, i maschi hanno generalmente impulsi più intensi nella RICERCA e
nella COLLERA e, forse, tendenze più forti al GIOCO. Le femmine, tipicamente, hanno maggior
predisposizione alla CURA e una sensibilità maggiore all’ansia da separazione (PANICO/SOFFERENZA).
Inoltre, sembrano più paurose, anche se i cambiamenti ormonali della maternità aumentano chiaramente
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la sicurezza e l’autostima. Questo incremento di fiducia materna potrebbe derivare, in parte, dagli effetti
psicologici degli elevati livelli di ossitocina cerebrale (Panksepp, 2009c).
Ossitocina e sessualità
L’ossitocina ha un ruolo predominante nella sessualità e in altre emozioni positive: intensifica l’orgasmo
e la capacità della madre di completare il parto ed aiuta a gestire il dolore che accompagna situazioni
stressanti, sia emotive, sia fisiche e promuove la sicurezza femminile nel difficile compito di crescere i
figli.
Molti esperimenti dimostrano che l’ossitocina gioca un ruolo cruciale nelle interazioni sociali positive.
Per esempio, inibisce il pianto dei cuccioli separati dalla madre, dando conforto emotivo quando i
cuccioli sono da soli. Quest’effetto non richiede il coinvolgimento degli oppioidi endogeni.
Nei ratti, l’ossitocina viene secreta successivamente al rapporto sessuale, provocando tendenze pacifiche,
in modo che i padri non uccidano la loro prole.
L’attività dell’ossitocina e la specifica distribuzione dei suoi recettori nel cervello facilita anche lo
sviluppo di relazioni sentimentali tra adulti, come in alcune specie di arvicole di prateria che hanno la
tendenza a formare gruppi familiari con legami sessuali stabili (Carter et al., 1995).
I sistemi ossitocinergici esistono esclusivamente nelle regioni sottocorticali del cervello dei mammiferi,
zone del cervello che generano affetti emotivi.
I legami umani di attaccamento, di natura sessuale o meno, sono sottili e complicati, con enormi strati di
complessità cognitiva. Tuttavia, se accettiamo che le fondamenta degli attaccamenti positivi, siano in
larga parte mediati da circuiti sottocorticali dell’ossitocina di processo primario, possiamo ottenere una
comprensione migliore degli aspetti psicologici superiori di processo secondario e terziario,
dell’attaccamento umano.
Le differenti forme di sessualità delle neuropersonalità
Dalle informazioni finora esposte, possiamo riconoscere differenti forme di sessualità e di relazione,
associate alle rispettive neuropersonalità.
1) La forma più primitiva e istintiva della sessualità di processo-primario è quella della neuropersonalità
testosteronica, molto ormonale e diretta, e spesso molto veloce (ad esempio, i tori), che ha il suo
corrispondente femminile nella neuropersonalità estrogenica.
2) La neuropersonalità serotoninica, sulla base degli ormoni sessuali primari, induce invece una forma di
sessualità sempre molto corporea e istintiva ma più lenta, pacifica e rilassata, spesso tipica di specie più
grandi, come gli elefanti.
3) Nei mammiferi, abbiamo un aumento di complessità emotiva e quindi un parallelo salto di complessità
nell’approccio sessuale, dato dalla neuropersonalità vasopressinica che promuove la vasta serie dei
comportamenti rituali di corteggiamento, essenziali per il processo-secondario di scelta del partner.
4) La neuropersonalità dopaminica, oltre a stimolare il processo-primario della RICERCA del partner,
promuove una forma di sessualità, di processo-secondario, più passionale e giocosa che negli esseri
umani diventa un ulteriore rituale di GIOCO sociale, come ad esempio, le feste e i luoghi dove si va per
ballare, per bere e soprattutto per mostrarsi (vasopressina), incontrarsi e accoppiarsi. La sessualità
dopaminica è dinamica, stimolante e divertente, anche se spesso non è chiaramente orientata alla
formazione della coppia stabile.
5) Per questo ultimo scopo, entra in gioco la neuropersonalità ossitocinica che promuove una sessualità
molto affettiva e orientata alla formazione della coppia stabile e alla riproduzione. I processi-terziari di
scelta cognitiva del partner sono ovviamente sempre potenzialmente presenti, anche se l’aspetto
ormonale di processo-primario e secondario spesso relega la chiarezza cognitiva razionale della scelta in
secondo piano.
6) Da ultima, la sessualità della neuropersonalità endorfinica, che rappresenta la componente più
profonda e globale di relazione, in cui ci si sente fusi nell’energia del partner.
Scheda Estrogeni
Informazioni generali Gli estrogeni sono i principali ormoni sessuali femminili. Si tratta di ormoni
steroidei che prendono il loro nome dall’estro e sono presenti in entrambi i sessi, anche se nelle donne in
età fertile, raggiungono livelli molto più alti.
Effetti fisiologici Promuovono la formazione dei caratteri sessuali secondari femminili, come il seno,
l’allargamento del bacino e sono coinvolti nella proliferazione dell’endometrio e in diversi fenomeni del
ciclo mestruale. Gli estrogeni sistemici migliorano la risposta sessuale, con incremento di lubrificazione e
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congestione, specie vaginale. Estrogeni e androgeni possono agire in modo indiretto, migliorando il
trofismo delle strutture genitali vascolari e muscolari lisce dei corpi cavernosi, deputate all’orgasmo.
Effetti psichici e comportamentali In generale, gli estrogeni tendono a placare l’aggressività. La
carenza di estrogeni riduce i caratteri sessuali secondari e con essi, la percezione biologica di femminilità.
La carenza estrogenica e, soprattutto, androginica, può ridurre l’attività dei centri che attivano la risposta
sessuale. Gli estrogeni possono concorrere a migliorare il desiderio in modo diretto, in quanto
contribuiscono a mantenere più trofici gli indicatori biologici dell’identità sessuale femminile.
L’ipoestrogenismo può determinare alterazioni di tatto, olfatto, gusto e secrezione salivare.
Scheda Vasopressina
Informazioni generali La vasopressina (insieme all’ossitocina, suo ormone polare associato) è un
ormone secreto dalla parte anteriore dell’ipotalamo, che stimola in particolare i comportamenti
psicosomatici del corteggiamento.
Effetti fisiologici La vasopressina è un ormone antidiuretico che determina il recupero di fluidi,
attraverso la formazione di urine più concentrate, regolazione della pressione arteriosa, della
temperatura corporea. Ha il ruolo di co-stimolatore dello stress, in particolare quando l’organismo deve
fronteggiare stress biologici (febbre, emorragia, perdita di liquidi, ipotensione). Il suo ruolo è, quindi, sia
quello di risparmiare liquidi e sali, sia quello di aumentare la pressione (Bottaccioli, 2005).
Effetti psichici e comportamentali La vasopressina sembra essere implicata nei comportamenti di
corteggiamento, in particolare quelli maschili attivi di esibizione, come alzare la cresta, la coda del
pavone, il canto rituale degli uccelli, l’aggressività tra maschi, la protezione della prole, la gelosia, ecc.
La distribuzione della vasopressina e dei suoi recettori, all’interno delle varie regioni del sistema nervoso
centrale, presenta differenze tra le varie specie animali ed è correlata con differenti comportamenti
sociali specie specifici. In particolare, i recettori per la vasopressina sono distribuiti in maniera differente
nelle specie animali monogame rispetto alle promiscue. Sul piano sociale, guida il confronto con l’esterno.
Un eccesso di vasopressina attiva una reazione di allerta e potenzialmente aggressiva (Bottaccioli, 2005).
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CAPITOLO SESTO
I SISTEMI EMOTIVI EVOLUTI E IL SÉ EMOTIVO
I sistemi emotivi di origine mammifera
Proseguiamo l’esposizione dei sistemi emotivi iniziano con la descrizione dei sistemi evolutivamente più
recenti, che sono già presenti nel cervello dei mammiferi e degli uccelli: il sistema della CURA-
AMOREVOLEZZAabbinato al sistema della TRISTEZZA-PANICO e il sistema della RICERCA-PASSIONE e
del GIOCO-SOCIALIZZAZIONE. Come di vede nell’immagine ** questi tre sistemi sono rappresentati nella
fascia mediana della mappa Neuropsicosomatica. A destra il sistema CURA-AMOREVOLEZZAfortemente
caratterizzato dall’attività parasimpatica rilassata, abbinato al sistema della TRISTEZZA-PANICO e, a
sinistra, il sistema della CURA-AMOREVOLEZZAabbinato al sistema della TRISTEZZA-PANICO
dall’attività simpatica-attiva, e a destra il sistema della RICERCA-PASSIONE e del GIOCO-
SOCIALIZZAZIONE caratterizzati da una decisa attività simpatica. Questi sistemi rappresentano le basi
neuronali del Sé Emotivo.
Questi sistemi emotivi, essendo più recenti a livello evolutivo filogenetico, hanno la caratteristica, se correttamente
sviluppati, di poter inibire e controllare i sistemi più antichi e istintivi grazie al loro valore emotivo-affettivo
superiore. In psicoterapia è relativamente più facile correggere eventuali disturbi di questi sistemi e delle relative
neuropersonalità in quanto, rispetti ai sistemi più primitivi e “inconsci”, presentano una caratteristica “subconscia”
o ”preconscia” più facilmente accessibili alla consapevolezza e alla volontà. Il loro riequilibrio e il ripristino della
loro funzionalità è alla base dell’integrità del Sé Emotivo che sostiene l’identità legata alle relazioni
affettive, amicali e al senso di appartenenza sociale.
Il protocollo del nostro lavoro psicoterapeutico prevede un’accurata valutazione dei deficit funzionali da
inibizione e squilibrio del Sé emotivo che consideriamo come il “cuore” del Sé psicosomatico. Per “aprire”
il cuore utilizziamo specifiche pratiche di lavoro sulle emozioni capaci di sciogliere i blocchi e le
inibizioni dei sistemi emotivi evoluti e ridare piena consapevolezza, funzionalità e piacere al Sé emotivo.
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IL SISTEMA CURA/AMOREVOLEZZA
E LA NEUROPERSONALITÀ OSSITOCINICA O AMOREVOLE
sistema della CURA/AMOREVOLEZZA, mediato dall’ossitocina rappresenta il cuore del Sé, l’energia più
profonda che sostiene l’identità, la dignità, l’amore e l’autostima (Panksepp, 2012). Il sistema della
CURA/AMOREVOLEZZA è più sviluppato nelle femmine che nei maschi ed è strettamente legato
all’ossitocina (cura), alla vasopressina (difesa dei piccoli e del partner), all’endorfina (piacere profondo),
agli oppioidi endogeni e alla prolattina (allattamento).
Il sistema della CURA/ AMOREVOLEZZA è la base neuronale della “neuropersonalità ossitocinica o
amorevole”, caratterizzata dai comportamenti orientati all’affettività, alle cure parentali, all’intimità,
all’empatia, all’amicizia, alla compassione (karuna), alla memoria affettiva (riconoscimento del bambino),
all’attenzione amorevole e alla gentilezza (Panksepp, 2012, Bottaccioli, 2005). L’ossitocina è il più
potente ormone anti stress e anti ansia.
Il sistema della CURA/AMOREVOLEZZA è di vitale importanza per tutti i mammiferi, perché i cuccioli non
sono autonomi alla nascita, anzi sono particolarmente vulnerabili e hanno bisogno di un periodo di cure,
da parte dei genitori, senza le quali nessun piccolo può sopravvivere.
Il sistema della CURA/AMOREVOLEZZA si sviluppa in particolare negli esseri umani, per via della grande
evoluzione del cervello e della dimensione cognitiva superiore che richiede anni di educazione per
diventare completamente matura e indipendente. Più alti sono lo sviluppo cognitivo e la consapevolezza,
più lungo è il periodo di cura e di educazione dei piccoli. Negli esseri umani è il più lungo rispetto ad ogni
altra specie vivente. Il sistema della CURA praticamente non esiste nei rettili, che non allevano i piccoli.
Il sistema della CURA genera l’affettività e l’amorevolezza che permettono la formazione della coppia, la
creazione della casa “nido”, il parto, l’allattamento e la crescita fino alla maggiore età.
Il sistema della CURA è fondamentale per la crescita psicofisica e la regolazione cognitiva (Schore, 2003)
di ogni essere umano; lo scambio emozionale che si verifica tra genitori e figli è essenziale allo sviluppo
fisico, emotivo e cognitivo in fase evolutiva. L’amorevolezza e la compassione che derivano da questo
sistema sono indicati come un importante, e statisticamente robusto, fattore predittivo della salute
psicologica, in particolare della depressione e dell’ansia (Van Dam, 2013).
Se dalla nascita il bimbo o la bimba avrà una buona esperienza di amorevolezza e sicurezza affettiva da
parte della madre e del padre, svilupperà una “base sicura” di fiducia emotiva, di stabilità psicosomatica
e relazionale e di senso di Sé (Bowlby, 1989, 1980, Ainsworth, 1970, 1982) che gli/le permetterà una
buona socializzazione e la capacità di creare amicizie e relazioni affettive stabili, intime e durature
(Pastor, 198, Erikson et alii, 1985, Hazan et alii, 1987).
L’ossitocina tende ad attenuare gli ormoni steroidei sessuali maschili e femminili e promuove un tipo di
sessualità più intimo e amorevole. L’ossitocina, data ai bambini autistici, tende a ridurre al minimo le
loro difficoltà relazionali e a migliorare in loro l’espressione delle emozioni.
La neuropersonalità amorevole
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità ossitocinica, legata al sistema CURA/AMOREVOLEZZA è
caratterizzato da un aumento del tono parasimpatico, che produce calma e comportamenti affettuosi e
amichevoli. Il viso e gli occhi hanno una caratteristica espressione di accoglienza e comprensione, il
modo di porsi nelle relazioni è amorevole ed empatico, le mani tendono a essere calde e i gesti
rassicuranti.
Dalle nostre osservazioni cliniche, risulta che le persone con una neuropersonalità ossitocinica marcata
mostrano una forte predisposizione alla bontà e alla gentilezza e un elevato livello di alessitimia specifica,
ossia d’incapacità di riconoscere ed esprimere emozioni e comportamenti di rabbia e aggressività.
Ossitocina come ormone del benessere emotivo e antistress
L’ossitocina agisce come neuromodulatore nei comportamenti materni e paterni che includono la
formazione di legami di coppia, il comportamento sessuale, l’ansia da separazione e la memoria sociale,
ossia del riconoscimento di uno stesso individuo a distanza di tempo.
Inoltre modula e riduce gli effetti dello stress, attivando il parasimpatico e rallentando l’attività delle
surrenali (Bottaccioli, 2005).
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Studi precedenti avevano attribuito all’ossitocina un ruolo anche nella regolazione dello stress e della
reattività alla paura, tale sostanza ridurrebbe l’ansia sociale, o accrescerebbe la motivazione alla
socializzazione migliorando l’elaborazione delle informazioni sociali.
Livelli costanti e alti di ossitocina in circolo producono riduzione a lungo termine della pressione del
sangue e del ritmo cardiaco (Uvnas-Moberg, 1998). Risultano inoltre interessanti i recenti studi
scientifici che dimostrerebbero una correlazione tra ossitocina e una migliore funzionalità cerebrale,
capacità di empatia, di comprensione dello stato d’animo altrui e di un migliore rapporto con sé e con gli
altri, aumento dell’autostima. L’ossitocina è chiamata anche “ormone della fiducia”, poiché provoca un
atteggiamento di maggior disponibilità e cordialità verso gli altri, oltre che agente biologico
dell’innamoramento. Durante il rapporto sessuale, si ha una sovrapproduzione di ossitocina che arriva al
massimo durante l’orgasmo, stimolando le contrazioni degli organi sessuali (Bottaccioli 2005). La sua
sintesi viene indotta anche perifericamente da stimolazioni sensoriali piacevoli, come quelle causate da
massaggi, carezze o dal succhiamento del capezzolo materno da parte del bambino (Bottaccioli 2005). Un
altro modo di liberare ossitocina è attraverso le immagini, addirittura in alcune ricerche si è dimostrato
che bambini abbandonati spesso hanno allucinazioni positive o ricordi sensoriali che ne stimolano la
produzione.
Il sistema della CURA nel mondo animale
La cura materna è un sistema essenzialmente mammifero e non è affatto universale nel mondo animale; i
rettili ad esempio non hanno ossitocina e quindi hanno minimi impulsi materni, mediati da una sostanza
simile all’ossitocina, come la deposizione delle uova e, in qualche caso, una brevissima fase di
accudimento. Al contrario i mammiferi non sopravvivrebbero senza simili attenzioni. I loro cervelli e i
loro corpi sono preparati ad investire tempo ed energia nella cura dei loro piccoli. Questi ultimi, per via
della grande evoluzione del sistema nervoso, non sono autonomi alla nascita ed hanno bisogno di un
lungo periodo di cure ed educazione.
Più alto sono lo sviluppo cognitivo e la consapevolezza, più lungo è il periodo di cura ed educazione da
dedicare ai piccoli. Negli esseri umani è il più lungo rispetto ad ogni altro essere vivente.
I circuiti cerebrali e i sistemi emotivi studiati fino ad ora sono simili tra tutti i mammiferi presi in
considerazione, ma ogni specie ha tratti unici che promuovono differenti intensità e modelli di
comportamento materno. In alcune specie, gli impulsi di cura sono così forti che si estendono anche ai
piccoli di altre specie.
Una ricerca molto interessante è stata svolta dal laboratorio di Michael Meaney, alla Mc Gill University, in
cui gli studiosi hanno valutato nei topi come la quantità di contatto materno calcolata in numero di
leccate (comportamento analogo ai nostri baci e carezze) influenzi le capacità emotive e cognitive dei
giovani topi, nelle fasi successive della loro vita. In particolare hanno dimostrato come i topolini più
leccati crescano meno ansiosi, più resistenti allo stress e più capaci di mostrare apprendimento e
comportamenti cognitivi ed emotivi adattativi nella loro vita, con meno paure anche in situazioni difficili.
Questi effetti sono accompagnati da cambiamenti nel cervello e dalla diminuzione di alcuni ormoni dello
stress.
Gli animali che, al contrario, non ricevono sufficienti cure materne, sono emotivamente più fragili e
possono, quindi, con più facilità essere sopraffatti dagli eventi della vita, che risultano essere più
stressanti. Recenti ricerche hanno dimostrato che quando i genitori ascoltano il pianto dei loro figli, si
accendono nel cervello le aree del sistema CURA e della TRISTEZZA, con una risposta più sollecita da
parte delle madri. Esse riescono a distinguere il pianto dei loro figli da quello degli altri piccoli. Le madri
sperimentano un’angoscia profonda fino a che non localizzano i loro figli e questa esperienza materna
sostiene la sopravvivenza del piccolo.
Le nuove ricerche che utilizzano il brain imaging (immagini cerebrali) hanno dimostrato che le madri
possono provare lo stesso tipo di senso di angoscia dei figli, quando i sistemi emozionali corrispondenti
dei loro cervelli vengono sollecitati dal pianto dei bambini. Questa rappresenta una scoperta di
fondamentale importanza, in quanto dimostra che l’angoscia attiva il sistema della CURA e, quindi, le
radici dell’empatia umana trovano origine nel sistema della CURA e dell’angoscia (TRISTEZZA/PANICO)
del cervello.
La finestra di opportunità
Tutte le aree della neocorteccia tendono ad acquisire le loro funzioni attraverso un precoce
condizionamento che sottolinea, ancora una volta, l’importanza dell’educazione e il riconoscimento che i
processi terziari cognitivi-culturali siano importanti nell’elaborazione dell’emozione, attraverso
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l’apprendimento. C’è una finestra di opportunità nella prima infanzia anche per la programmazione della
corteccia neurovisiva. Le femmine, dopo il parto, hanno una finestra di opportunità di 2-4 ore, durante le
quali possono imparare ad accettare e riconoscere il figlio e curarlo; superato questo tempo, lo rigettano.
Nonostante la finestra di opportunità possa essere persa, la stessa può essere riaperta per brevi periodi,
attraverso la manipolazione della chimica cerebrale, ad esempio con l’infusione di ossitocina, grazie ad
interventi sociali che aumentano i livelli di attivazione emotiva-affettiva, o durante interventi mirati di
psicoterapia.
Le finestre di legame
Benché le femmine possano essere più materne e dedite alle cure, anche i maschi sono
costituzionalmente capaci di curare e far crescere i piccoli. Sono state riscontrate alcune specie in cui
l’attenzione paterna è molto alta, come ad esempio, in alcuni uccelli o pesci, dove il compito di
sorvegliare/curare/proteggere un nido di uova è lasciato ai padri.
Storicamente, i maschi umani non si sono presi cura dei bambini. Solo in epoca moderna,
l’apprezzamento conscio dell’importanza della cura dei giovani, persuade molti padri a partecipare alla
cura dei figli. Le madri, d’altro canto, hanno impulsi biologici più forti per occuparsi dei figli e fornire
cure. A causa di simili differenze biologiche, molti padri che partecipano nella cura dei figli,
probabilmente allevano/curano più per routine che per una profonda partecipazione emotiva ed
empatica rispetto alle madri, le quali mostrano un naturale calore e desiderio di stare con i propri figli,
realizzando una profonda comunicazione affettiva e sensitiva.
Diverse specie animali manifestano differenti “finestre di legame”, ovvero l’intervallo di tempo ottimale
durante il quale le madri ed i figli generano un legame di “attaccamento” l’uno all’altro. Quando gli
animali nascono in uno stato “altriciale”, ossia con occhi e orecchie ancora chiusi e, quindi, incapaci di
allontanarsi dal nido, la finestra di legame è più ampia e può durare anche diverse settimane dopo la
nascita. Mentre per altre specie, come gli erbivori, ad esempio le pecore, o gli uccelli come le anatre, la
finestra di legame si chiude dopo poche ore (pecore) o dopo pochi giorni (anatre), riducendo i pericoli di
perdersi o essere vittime di predatori.
Questa piccola finestra di legame riflette il fatto che il legame umano madre-figlio e i circuiti della CURA
sono sintonizzati con il livello di mobilità dei piccoli alla nascita. Inoltre, le madri di alcune specie
possono identificare i loro piccoli dall’odore. L’aspetto negativo, evidenziato da questi studi, è che se le
madri, dopo la nascita, perdono il contatto con i loro figli per un paio di ore, al momento della
riunificazione non li riconoscono più e li rigettano se tentano di allattarsi.
Sia negli esseri umani, sia nelle creature che hanno piccoli immaturi, sono essenziali lunghe finestre
temporali di legame. Come risultato di questi tempi più prolungati, gli umani possono più facilmente
adottare e prendersi cura di bambini di altre famiglie.
Sistema della CURA e legami sociali
Come sopra citato, i piccoli umani hanno un’ampia e lunga finestra per il legame sociale e questo
consente loro di legarsi anche a non-parenti ricettori di cure, anche se i legami sociali iniziali sono più
comunemente formati tra madri e figli biologici. Nel passato, la crescita dei figli era affidata ad una
famiglia estesa, dove, ad esempio nell’ambito di una famiglia tribale, veniva anche incoraggiata
l’indipendenza già in tenera età.
Nella nostra cultura questo non accade, solitamente i genitori controllano in modo molto stretto i loro
piccoli, in questi anni formativi, tendendo a premiare l’esclusività della relazione genitore-figlio e
offrendo ai bambini l’opportunità di un’azione indipendente, nell’ambito di una comunità più ampia. La
maturazione sociale del bambino sarà tanto più elevata, quante più persone parteciperanno alla sua
crescita (Schore, 2003).
Le madri, in generale, appaiono legate ai loro figli a livello emotivo piuttosto velocemente. I figli, d’altro
canto, hanno una finestra di legame considerevolmente più ampia e più flessibile. I legami, nei bambini,
non sono completamente formati fino all’età di un anno, permettendo loro di essere allevati da famiglie
di sostegno fino ad allora, senza molta preoccupazione; una volta formato il legame è però fondamentale
il suo mantenimento. È critico sapere come i neuromediatori dei legami affettivi sono generati
parallelamente sia nel cervello dei bambini che delle madri.
Endorfina e relazioni sociali
Il sistema della CURA è fortemente legato all’ossitocina (cura) e alla vasopressina (difesa dei piccoli e del
partner) ma opera con molti altri mediatori chimici cerebrali e stimoli ambientali. Studi animali indicano
82
che l’ossitocina, da sola, non produce stati affettivi positivi persistenti ma gli effetti sono connessi con la
disponibilità di esperienze sociali positive; potrebbe aumentare gli effetti di altri mediatori cerebrali che
promuovono direttamente sentimenti sociali positivi, come gli oppioidi endogeni, che vengono rilasciati
quando le persone si trovano in interazioni sociali amichevoli.
Il sistema della CURA e della socializzazione è consistentemente alimentato anche dagli oppioidi
endogeni e dall’endorfina in particolare. Gli oppioidi endogeni e l’endorfina sono le principali sostanze
chimiche del “benessere” e della “gioia” e, negli animali, la loro somministrazione può indurre
velocemente una preferenza condizionata per un luogo (CCP Conditioned Place Preference) (Liberazon et
al., 1997).
Gli oppioidi endogeni sono presenti in tutte le interazioni sociali positive. Sia l’ossitocina sia gli oppioidi
endogeni sono neurotrasmettitori del buonumore e sono nati per inibire l’aggressività e l’irritabilità.
Infatti, le madri inclini alla cura, i cui neurotrasmettitori hanno dei livelli molto alti, mostrano
atteggiamenti fiduciosi del “si può fare”: istinti diretti alla cura e a fare amicizie.
Inoltre, comportamenti di cura possono essere indotti, come è stato sperimentato in giovani topi maschi,
ma anche in giovani topi femmine vergini, mediante la semplice esposizione ai cuccioli su base
giornaliera. Questo processo è noto come “sensibilizzazione”. L’esposizione e la vista di piccoli animali
facilita e rinforza i cambiamenti chimici noti per stimolare il sistema della CURA, come ad esempio
l’aumento di ossitocina.
Infanticidi e memorie affettive
Effetti aggressivi del testosterone nei cervelli dei maschi adulti osteggiano gli impulsi di cura e
promuovono persino tendenze infanticide. Nel regno animale, i maschi possono commettere infanticidi
nei piccoli della loro specie (non tipicamente la propria prole). Per questa ragione molti giovani animali
mostrano molta più paura, quando sono in presenza di adulti di sesso maschile, piuttosto che femminile.
L’ossitocina sembra inibire la tendenza maschile a questi comportamenti, come sperimentato nei giovani
topi che, dopo il periodo degli accoppiamenti e fino alla nascita dei cuccioli, vivono periodi di pace.
Sia l’ossitocina, sia la vasopressina rafforzano i ricordi sociali, pertanto è ragionevole pensare che
l’ossitocina consenta alle madri di ricordare i loro figli. Ricerche effettuate sulle pecore femmine hanno
dimostrato l’esistenza di un collegamento tra l’ossitocina e il neurotrasmettitore noradrenalina nei
processi sociali. Ciò consente alle madri di creare un ricordo olfattivo della loro progenie.
Alcune specie sembrano legarsi principalmente attraverso i meccanismi olfattivi, come accade a molti
roditori, mentre gli umani si legano maggiormente attraverso la vista, il suono e il tatto, sensi che
operano attraverso i meccanismi dell’ossitocina, oltre che degli oppioidi. Ad esempio, il suono della voce
della mamma può essere una via verso l’apprendimento della lingua e dell’amore per la musica: già i feti
iniziano a integrare i suoni extrauterini e a riconoscere la voce della madre.
Ci sono molti stimoli esterni che sviluppano il sistema della CURA, uno di questi è la musica. Sono state
condotte alcune ricerche i cui risultati sembrerebbero indicare che la musica rilassante stimoli la
produzione di ossitocina nel cervello.
Sembrerebbe che le mucche, quando ascoltano particolari tipi di musica, producano più latte. Da una
ricerca sulla separazione/angoscia. si è visto che la musica riduce il pianto indotto dalla separazione nei
giovani polli, inoltre nei pulcini neonati che ascoltano musica, si vengono a sviluppare dei profili
comportamentali simili a quando viene infusa ossitocina direttamente nei loro cervelli.
Le madri anaffettive
I comportamenti anaffettivi delle madri che tendono a prendersi cura dei loro piccoli in maniera
meccanica e razionale, piuttosto che empatica e affettuosa, possono essere causati da un deficit di
ossitocina e di neurotrasmettitori, che può condurre ad una diminuzione della sensibilità emozionale.
Molto lavoro attualmente viene condotto con ossitocina somministrata per via nasale (l’unica via
conosciuta per permettere al neuropeptide di raggiungere il cervello umano). La scoperta generale
derivata da questa ricerca è che le persone trattate tendono a diventare più pro-sociali, cioè meno
aggressive e più fiduciose nella gestione delle relazioni sociali (MacDonald & MacDonald, 2010).
Un possibile argomento di ricerca è se la somministrazione intranasale di ossitocina sia idonea ad
alleviare sentimenti di disperazione in quelle madri che sperimentano la depressione subito dopo la
nascita dei loro figli. Un simile progetto, nel contesto di terapia psicoanalitica, è stato iniziato dal gruppo
di Andrea Clarici, a Trieste. Anche la schizofrenia è spesso caratterizzata da fallimenti dei legami sociali e
l’ossitocina intranasale è stato provato che attenui sia i sintomi positivi (ad esempio le allucinazioni), sia
negativi (la privazione sociale), che sono alla base dei sintomi psicotici (Feifel et al., 2010).
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Il neurocircuito del sistema cura
L’ossitocina è prodotta in maggiori quantità nei cervelli femminili rispetto a quelli maschili e ciò è dovuto
al fatto che gli estrogeni mediano la produzione di ossitocina. Il progesterone è noto per agire come
sedativo, quasi come un anestetico nel cervello, probabilmente il declino di questo ormone, al termine
della gravidanza, sottolinea il fatto che la maternità richiede maggiore vigilanza e attenzione ai dettagli.
Sia il progesterone che gli estrogeni sono conosciuti anche per promuovere il rimodellamento di certi
sistemi di ossitocina cerebrale, i livelli in diminuzione del progesterone sono, quindi, importanti per
l’avvio del comportamento materno (Sheehan & Numan, 2002).
Il circuito del sistema cura si estende a tutta la regione subcorticale mediana del cervello, collegandosi
con altri sottosistemi, come quello del rilascio del latte mediato dalla prolattina. Questo circuito discende
dall’area del mesencefalo laterale ai segmenti del midollo spinale che innerva i capezzoli (Hansen &
Kohler, 1984), preparando la madre all’allevamento/nutrimento. Benché solo le madri possano nutrire i
loro piccoli, i circuiti del nutrimento-allevamento (nurturing) non sono dominio esclusivo delle femmine.
Entrambi, uomini e donne, sono capaci di allevare i loro piccoli e, come già sottolineato, molti circuiti
della cura esistono anche nel cervello maschile (de Jong et al. 2009).
Una parte del circuito della CURA si estende attraverso l’ipotalamo all’area tegmentale ventrale (VTA)
che produce dopamina (Numan, 1990), il cuore del sistema della ricompensa e del piacere sociale.
Neuropersonalità affettiva: eccessi e deficit del sistema della CURA
Il sistema della CURA è uno dei sistemi che maggiormente caratterizza le relazioni umane più mature ed
evolute ed è quindi necessaria un’attenta e onesta valutazione della funzionalità di questo sistema nella
nostra vita di relazione: dai comportamenti inibiti, freddi, distaccati e anaffettivi, ai comportamenti
caratterizzati da eccesso di cura, iperprotezione, tendenza eccessiva a generare relazioni simbiotiche e
chiuse.
Scheda Ossitocina
Informazioni generali È l’ormone dell’affettività, della cura, dell’empatia e dell’accoppiamento. Nella
donna regola la funzione uterina del parto, dell’allattamento e del ciclo mestruale.
Effetti fisiologici L’azione principale è quella di stimolare le contrazioni della muscolatura liscia
dell’utero. L’ormone esercita un ruolo importante nell’inizio e nel mantenimento del travaglio e del parto.
Stimola le contrazioni degli organi sessuali, sia maschili, sia femminili, durante l’orgasmo (Bottaccioli
2005). Modula la reazione di stress, rallentando l’attività delle surrenali (Bottaccioli, 2005). Livelli
costanti e alti di ossitocina in circolo producono riduzione a lungo termine della pressione del sangue e
del ritmo cardiaco (Uvnas-Moberg K,1998).
Effetti psichici e comportamentali Esperimenti su animali hanno dimostrato l’importanza di tale
ormone nell’accoppiamento e nel comportamento nei confronti della prole. Favorisce quindi
l’attaccamento maschio-femmina e madre-figlio (Bottaccioli 2005). Negli uomini i livelli di ossitocina
sono legati ai livelli di attenzione per le cure parentali, al contrario influisce negativamente sul desiderio
sessuale. L’ossitocina è responsabile, per esempio, della capacità di empatia e di comprensione dello
stato d’animo altrui e di un migliore rapporto con sé e con gli altri, con fenomeni di stima e autostima
incrementati; è detta anche ormone della fiducia, poiché provoca una maggiore disponibilità e cordialità,
oltre che un agente biologico dell’innamoramento. L’ossitocina inoltre modula la reazione dello stress
attivando il parasimpatico (Bottaccioli 2005).
Esperimenti sugli animali Iniezioni di ossitocina nel cervello di animali aggressivi riducono tali
comportamenti (Panksepp, 1998). L’ossitocina, infatti, è un neutralizzatore dell’acetilcolina che, se
presente ad alti livelli, può risultare tossica producendo atteggiamenti aggressivi. Alcuni sperimentatori
stimolando l’ossitocina hanno suscitato un comportamento materno in topi da laboratorio non gravidi,
mentre hanno inibito il comportamento materno, iniettando nelle stesse zone del cervello delle sostanze
che bloccano l’ormone: le mamme topo tendevano a trascurare i piccoli, fino a dimenticarsi di recuperarli
se si allontanavano. I topi maschi, privati dell’ormone, tendono invece ad avere disturbi sociali e
mostrano amnesia sociale. I topi privi del gene che codifica l’ossitocina sono indifferenti al distacco dalla
madre e, in generale, presentano assenza di attaccamento sociale, non cercano la compagnia dei pari e
presentano un’aumentata aggressività. Ferguson (2000), dopo aver rilevato in questi topi un’incapacità a
sviluppare la memoria sociale, ha dimostrato un recupero della stessa dopo somministrazione
intracerebrale di ossitocina.
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Interazione con altri ormoni L’ossitocina influenza l’ormone prolattina nella produzione del latte e
induce la liberazione di dopamina nell’orgasmo (Bottaccioli 2005).
Scheda Prolattina
Informazioni generali È un ormone prodotto dall’ipofisi anteriore che sostiene comportamenti materni.
Effetti fisiologici La sua principale azione è di promuovere la lattazione, poiché l’atto di succhiare la
mammella della madre, da parte del bambino, aumenta la secrezione di prolattina ed essa stimola la
lattogenesi. Contribuisce alla regolazione del ciclo mestruale e della lattazione; inibisce gli ormoni
sessuali: livelli plasmatici elevati di prolattina determinano sterilità, amenorrea e galattorrea. Regola la
maturazione della ghiandola mammaria. A livello del sistema immunitario, promuove l’attivazione delle
natural killer e la crescita dei linfociti T; blocca l’apoptosi dei leucociti. Ad alti livelli, deprime l’attività
delle natural killer (Bottaccioli, 2005).
Effetti psichici e comportamentali Sono stati descritti effetti della prolattina d’induzione al
comportamento materno (parental behaviour) e il legame alla struttura domestica (homing). Negli
uomini (come per l’ossitocina), i livelli di prolattina sono legati ai livelli di attenzione per le cure
parentali e influiscono negativamente sul desiderio sessuale. Il marcato calo del desiderio e della potenza
sessuale è, in effetti, uno dei principali sintomi dell’iperprolattinemia. Alcune ricerche mostrano che
bassi livelli di prolattina possono portare nell’uomo a stati nervosi ed essere implicati nei problemi di
eiaculazione precoce.
Esperimenti sugli animali Nei roditori, la prolattina ha una grande importanza nella regolazione del
comportamento riproduttivo. Nei ratti maschi, è stata evidenziata la capacità della prolattina di ridurre la
loro attività riproduttiva.
Interazione con altri ormoni Ossitocina e prolattina sono sinergici tra loro. Durante la gravidanza, si
osserva un aumento della produzione di prolattina dovuta principalmente allo stimolo di suzione della
mammella da parte del bambino. Questo riflesso neuroendocrino è attribuito all’azione della serotonina
(5-HT). Altro ormone capace di aumentare la secrezione di prolattina è l’ossitocina. Dopo il parto
l’aumento dei livelli di cortisolo libero nel plasma garantisce l’azione lattogenica della prolattina. La
dopamina è il principale fattore che inibisce la secrezione di prolattina.
IL SISTEMA TRISTEZZA/PANICO
E LA NEUROPERSONALITÀ EMOTIVA PASSIVA
L’assenza di cura e di amorevolezza attivano il sistema TRISTEZZA/PANICO (Panksepp, 2012). Leggere e
medie carenze del sistema di CURA/AMOREVOLEZZAsi manifestano come dolore affettivo, tristezza,
pianto ma anche con comportamenti di panico con pianti e grida di richiamo, mentre le carenze profonde
si manifestano come disturbi del Sé (Schore, 2003).
Il sistema TRISTEZZA/PANICO è la base neuronale della “neuropersonalità emotiva passiva”,
caratterizzata dai comportamenti orientati alle emozioni di tristezza, vergogna (Schore, 2003), disagio,
malumore, senso di inadeguatezza, timore, umiliazione malinconia, fino alla depressione. In alcuni
bambini con una forte struttura genetica del sistema della RABBIA-DOMINANZA possono anche reagire
allo stesso dolore da carenza affettiva con reazioni di rabbia e aggressività.
È interessante ricordare che, nella medicina tradizionale cinese, il cuore è la sede del Sé (Shén) e
dell’amorevolezza e le malattie psichiatriche trovano la loro origine di base nella mancanza di
amorevolezza vissuta nel cuore, mancanza che determina un immediato disturbo dell’identità.
Il profondo legame affettivo, verso coloro che ci nutrono e ci amano, è l’imprinting principale che
caratterizza l’inizio di ogni vita e ha profonde conseguenze neurali ed implicazioni sulla salute mentale. I
nostri primi legami affettivi, come “base sicura” derivata dal particolare rapporto materno caldo e
protettivo, rappresentano l’ingrediente primario per una vita felice e sostengono la nostra identità e
salute psicosomatica per tutta la vita (Bowlby, 1980, Ainsworth, 1970).
Nel sistema della TRISTEZZA, l’aspetto PANICO è il sistema di protezione e di allarme, attivato dalla
mancanza di CURA, che porta i cuccioli ad emettere “vocalizzazioni di angoscia”, in forma di grida e
lamenti di richiesta di aiuto che dovrebbero richiamare l’attenzione e attivare il sistema della CURA e
della protezione della madre o delle figure protettive.
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Panksepp chiama questo sistema PANICO, perché, quando i giovani animali o i bambini vengono
abbandonati, sperimentano una forma speciale di allarme e panico agitato. Negli esseri umani, si
manifesta con il pianto, la sofferenza da abbandono, la tristezza per gli affetti mancati, l’angoscia da
solitudine e infine la depressione.
Psicologia dei disturbi affettivi
I disturbi del sistema TRISTEZZA/PANICO rappresentano il principale campo d’intervento della
psicologia e della psicoterapia; si riscontrano più comunemente nelle persone che lamentano disturbi
affettivi, psicologici e psicosomatici e si manifestano nella depressione e nelle crisi di panico.
Senza la presenza di continue cure sul piano sociale e di legami sicuri con persone amorevoli, i neonati
umani possono arrivare a languire e a lasciarsi morire (Spitz e Wolf, 1946).
Quelle morbide e calde sensazioni fisiche, abbinate alle emozioni di sicurezza che nascono dai legami
amorevoli, rappresentano i principali meccanismi della “base sicura” che, tra i due e tre anni di età, sono
gradualmente trasformati in forme superiori di coscienza. Durante i primi sei anni della fanciullezza, una
precoce perdita affettiva -cioè un eccessivo stress da separazione- sensibilizza il bambino all’ansia
cronica e all’insicurezza, emozioni che spesso si trasformano in depressione, nelle fasi successive della
vita. I gesti d’indifferenza emotiva causano delle risposte molto intense: ogni evento che suggerisce un
distanziamento o una lieve esclusione sociale, è vissuto come psicologicamente doloroso (Eisenberger,
2010).
Il sistema TRISTEZZA/PANICO è la base neurocognitiva della neuropersonalità di chi non è stato
abbastanza amato, protetto e considerato dai propri genitori o ha subito gravi traumi affettivi.
Una delle principali fonti di depressione, ricorda Panksepp, è il dolore psicologico che consuma la mente
dopo un abbandono o un lutto irrisolto. Si ritiene, infatti, che i meccanismi di separazione/angoscia del
cervello mammifero aprano le porte prima al dolore umano (Freed & Mann, 2007) e poi ad una
disperazione depressiva cronica, soprattutto quando il dolore da separazione è dovuto alla mancanza dei
genitori nei primi anni di vita (Bowlby, 1960, 1980; Heim et al, 2004; Watt e Panksepp, 2009).
La neuropersonalità emotiva passiva
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità legata al sistema del TRISTEZZA /PANICO è
caratterizzato da un comportamento insicuro, dipendente, bisognoso (needy) e timido, con
manifestazioni ansiose. Gli occhi sono tristi e in cerca di approvazione e amorevolezza, il petto (cuore) è
spesso contratto e “sgonfio”, le spalle strette, le ascelle chiuse, la voce ha un volume basso (sotto tono) ed
è caratterizzata da una tonalità acuta e lamentosa (piangere, piagnucolare, lamentarsi), orientata alla
richiesta di aiuto e di gentilezza. Questa neuropersonalità è molto associata al carattere “orale” di Freud e
di Lowen.
Discriminazione tra panico e paura
Le grida dei bambini abbandonati hanno una nota inconfondibile di urgenza e di panico che sembra
avere poco a che fare con l’angoscia generata dal sistema PAURA. Il bambino non si nasconde né fugge,
come farebbe di fronte ad un pericolo. Nemmeno si congela, nel tentativo di non attirare l’attenzione di
un predatore. Piuttosto, il bambino tende a correre freneticamente (forse una risposta del sistema della
RICERCA), piangendo e attirando l’attenzione per far accorrere i genitori. L’eccitazione costante del
sistema TRISTEZZA/PANICO può favorire disturbi dell’umore cronici (Watt & Panksepp, 2009), esaurire
le risorse di “gioia di vivere” del sistema RICERCA (Coenen, et al, 2011;. Panksepp & Watt, 2011), e
generare, nei casi più gravi, un disturbo del Sé (Schore, 2003).
L’eccitazione del sistema TRISTEZZA/PANICO fa sentire deprivati e miserabili ma quando l’angoscia
viene alleviata, cioè quando ci si trova nuovamente coinvolti emotivamente nei propri attaccamenti
sicuri, si prova un profondo senso di conforto e di sicurezza, probabilmente dovuto al rilascio di sostanze
chimiche del sistema della CURA, come gli oppioidi endogeni e l’ossitocina. È questo sentimento di
sicurezza, mediato dai sopracitati neurotrasmettitori, che rinforza i legami sociali.
Verso la metà degli anni ’70, è diventato chiaro che il legame sociale fosse, in parte, un processo di
dipendenza, essendo mediato nella sua intensità affettiva, da alcuni degli stessi sistemi cerebrali che
promuovono anche le dipendenze da stupefacenti (Insel, 2003). Mammiferi e uccelli diventano
“dipendenti” della reciproca compagnia, formando legami sociali che permettono loro di vivere in società
armoniose (Panksepp, 1981a;. Panksepp, Herman et al, 1980).
Le teorie dell’attaccamento
86
I comportamentisti e gli psicoanalisti della metà del secolo scorso davano per scontato che i bambini
amassero i loro genitori grazie ad associazioni apprese con ricompense convenzionali, semplicemente
perché i genitori suppliscono alle necessità di sostegno vitale. Allo stesso modo, credevano che i bambini
non avessero motivo di legarsi alle persone che li accudivano (i caretakers), se essi non soddisfacevano i
loro bisogni fisici.
Questa visione ha gradualmente perso terreno, quando i
classici studi di René Spitz sulla “depressione anaclitica”
hanno rivelato che i bambini non riescono a svilupparsi
normalmente, se sono allevati in orfanotrofi che forniscono
una buona cura fisica, ma poco affetto (Spitz e Wolf, 1946,
Spitz, 1965). Spitz studiò i bambini, forzatamente distaccati
dalle madri in carcere e isolati in aree ad essi adibite,
all’interno dei penitenziari statunitensi. Senza un adeguato
accudimento affettivo, i bambini entravano in una grave
forma di “depressione anaclitica” e perdevano la gioia e la
volontà di vivere, in alcuni casi smettendo di comunicare e
di mangiare, fino ad arrivare alla morte.
Successivamente, John Bowlby (1960, 1980), nel suo fondamentale lavoro sull’attaccamento, ha
sottolineato che scarsi legami emotivi tra bambini e genitori possono dare luogo ad una serie di gravi
difficoltà psicologiche, quando i bambini crescono.
Nei famosi studi ed esperimenti dei coniugi Harlow, i cuccioli di scimmia, orfani di madre, cercano ogni
comfort che possono trovare, incluse delle morbide, ma inanimate, “madri di spugna” (vedi Figura **),
preferendole a dure madri metalliche che forniscono nutrimento, ma senza conforto (Harlow, 1958).
Quando questo tipo d’isolamento affettivo viene mantenuto per alcuni mesi, le scimmie mostrano
problemi di adattamento sociale per tutta la vita. Questi gravi deficit sono parzialmente recuperati se le
giovani scimmie sono allevate in compagnia di un gruppo di compagni coetanei, pur in assenza delle loro
madri (Suomi, 2006). Inoltre, questi effetti sono transgenerazionali. Uno dei problemi più gravi e
duraturi è stato evidenziato quando le femmine, emotivamente deprivate, crebbero e diventarono madri.
Come risultato delle loro privazioni infantili, queste madri non erano a loro volta in grado di rispondere
adeguatamente ai bisogni della prole.
L’anatomia della “vocalizzazione di angoscia”
Il sistema TRISTEZZA/PANICO, come tutti i sistemi legati ai processi primari delle emozioni, è
inizialmente “senza oggetto”: nei primissimi mesi di vita, esso può essere facilmente collegato a qualsiasi
individuo che offra sostegno e cura, anche ad un individuo abusante che è comunque meglio di nessun
individuo del tutto.
Alla fine degli anni '70, Panksepp ha identificato specifiche regioni del cervello da cui, con una
stimolazione elettrica, possono essere attivate le “vocalizzazioni di angoscia”: in particolare il PAG, le
regioni circostanti del mesencefalo e il talamo dorsomediale (Panksepp, Nor-Mansell, et al., 1988). Nelle
specie superiori, le “vocalizzazioni di angoscia” possono essere suscitate anche dalla stimolazione del
giro cingolato anteriore e dell’amigdala.
In altre parole, come per gli altri principali sistemi emotivi, il sistema TRISTEZZA/PANICO è costituito da
una capillare rete emotiva, concentrata sostanzialmente nelle antiche regioni cerebrali mediali, situate
sotto la “copertura pensante” neocorticale. Queste regioni, come il PAG, processano la profonda
sensazione affettiva del dolore fisico, ma non i suoi aspetti cognitivi, che sono mediati dalle regioni
superiori del cervello. È importante ricordare che il dolore affettivo attiva le aree del dolore fisico e,
quindi, la sensazione di dolore da abbandono, che viene comunemente riferito all’area cardiaca ed
espresso con frasi come “mi hai ferito il cuore” o “mi hai spezzato il cuore”, non è solamente una
sensazione psicologica ma corrisponde ad una reale condizione fisica. Recenti esperienze di cardiologi
con una comprensione psicosomatica, hanno riportato evidenze di come il miocardio, reagisce
fisicamente agli stimoli di dolore affettivo, contraendosi muscolarmente e alterando così la circolazione
coronarica (Di Luzio, 2001).
È interessante notare come il dolore emotivo e psicologico dell’abbandono e del lutto possa avere dei
forti legami evolutivi con gli antichi messaggi affettivi del dolore fisico. Questo è il modo in cui funziona
l’evoluzione: utilizzare soluzioni preesistenti per creare nuovi strumenti per vivere.
Differenze del sistema TRISTEZZA/PANICO tra maschi e femmine
87
Molti adulti, soprattutto i maschi, piangono poco. Alcuni uomini possono passare la maggior parte della
loro vita adulta senza piangere.
La ricerca sulle cavie adulte indica chiaramente che i circuiti sono ancora attivi e che una stimolazione
elettrica nelle aree specifiche del cervello può ancora far piangere i maschi adulti come bambini
(Panksepp & Miller, 1996). Con l’età, tuttavia, questi circuiti diventano molto meno reattivi, rispetto a
quando eravamo bambini. Negli studi sulle cavie, si è visto che ci vuole una corrente elettrica sempre più
forte, per provocare il pianto negli animali maturi (Panksepp & Miller, 1996).
La sensibilità del sistema TRISTEZZA/PANICO diminuisce gradualmente man mano che gli animali
passano attraverso la pubertà e diventa meno sensibile nei maschi che nelle femmine. Questo suggerisce
che i crescenti livelli di ormoni sessuali, durante la pubertà, giochino un ruolo critico. Infatti, quando alle
giovani cavie vengono rimosse le gonadi e le ovaie, la sensibilità del sistema di separazione-distress
diminuisce in misura minore rispetto agli animali intatti (Sahley & Panksepp, dati non pubblicati, 1986) .
Durante la pubertà, i maschi con le gonadi intatte piangono meno delle femmine, quando ricevono una
stimolazione cerebrale. La conclusione è chiara: “gli ometti non piangono” e non solo perché gli è stato
insegnato a non farlo. Essi hanno meno probabilità di piangere perché le loro gonadi in via di sviluppo
secernono grandi quantità di testosterone, durante la pubertà.
La chimica del sistema TRISTEZZA/PANICO e dei legami affettivi
Il legame sociale positivo, o la sensazione che abbiamo di una “base sicura”, sono accompagnati da alti
livelli di sostanze chimiche di attaccamento sociale. In particolare, tre neuropeptidi hanno dimostrato di
ridurre fortemente il sistema TRISTEZZA/PANICO (anche se c'è abbondanza di fattori minori). I primi, e
forse più forti, di questi neuropeptidi sono gli oppioidi endogeni e l’endorfina che, nelle loro forme
farmacologiche, come ad esempio morfina ed eroina, possono essere molto gratificanti e coinvolgenti
fino a generare tossicodipendenza. Le altre due sostanze che diminuiscono fortemente l’angoscia da
separazione sono l’ossitocina e la prolattina, le grandi protagoniste del sistema della CURA.
In breve, se gli oppioidi del cervello, l’endorfina, l'ossitocina o la prolattina sono elevati nei neonati in
difficoltà, le vocalizzazioni di angoscia diminuiranno, i piccoli si rilasseranno e mostreranno quei segni di
benessere che di solito sono associati alle attenzioni della madre e delle persone care (Panksepp, 1998a).
Ci sono somiglianze notevoli tra le dinamiche della dipendenza da relazioni affettive positive e da
oppiacei. Inizialmente, la tossicodipendenza comincia con un periodo in cui il farmaco produce un
piacere euforico o un forte sollievo emotivo. Lunghi periodi di utilizzo di stupefacenti sono comunemente
seguiti dalla tolleranza al farmaco, durante la quale sono richieste quantità sempre crescenti della
sostanza per produrre gli effetti positivi desiderati. Se il tossicodipendente viene privato della sostanza,
va incontro a sentimenti disforici e non dissimili dalla tristezza che si prova quando si perde un affetto
profondo.
Le relazioni affettive, familiari e amicali, seguono una traiettoria simile. Nella formazione del legame
affettivo e amicale c’è un periodo iniziale di intensi sentimenti di attrazione e benessere, seguito da una
graduale diminuzione del piacere, come se ci si abituasse all’altra persona, in modo simile alla tolleranza
agli oppiacei. Se, tuttavia, il rapporto viene successivamente minacciato o interrotto, si va incontro ad un
periodo di angoscia di separazione.
Recenti studi di brain imaging hanno rivelato che la tristezza umana e i processi affettivi e sociali sono
mediati dalle stesse regioni del cervello (Damasio et al, 2000; Lorberbaum et al, 2002; Swain et al, 2007)
e che la tristezza umana e la depressione sono accompagnate da bassi livelli di oppioidi cerebrali
(Kennedy et al, 2006; Zubieta et al, 2003). È particolarmente importante notare che una varietà
d’interazioni amicali e sociali positive, come il gioco, comporta il rilascio di oppioidi endogeni nel
cervello, mentre una scarsità di oppioidi del cervello può contribuire al manifestarsi di diversi disturbi
psichiatrici.
Se gli oppioidi endogeni, in modo simile ai farmaci oppiacei di dipendenza, mediano le relazioni sociali,
significa che i mammiferi, soprattutto i più giovani che sono completamente dipendenti dagli altri, sono
letteralmente dipendenti da relazioni sociali.
Oppioidi endogeni, apprendimento e altre esperienze positive
Sappiamo che una varietà di stimoli ambientali piacevoli e tranquillizzanti può incondizionatamente
provocare la secrezione di oppioidi endogeni, di ß-endorfine e di altre sostanze chimiche del cervello che
provocano sensazioni piacevoli di soddisfazione e di benessere. Come per le altre emozioni, l’efficienza di
questo sistema emotivo primario aumenta attraverso l’apprendimento. Anche il rilascio di oppioidi,
quindi, diventa oggetto di condizionamento e di varie esperienze di apprendimento.
88
Questi sistemi emotivi primordiali sono tra i nostri strumenti di codifica valoriale più essenziali e
producono esperienze evolutive che guidano la costruzione di tutto il resto dell’apparato mentale.
Possiamo facilmente immaginare esempi di come apprendimenti secondari condizionati si verifichino sin
dalle prime fasi della vita, collegando il rilascio di oppioidi ad una varietà di stimoli condizionati. Ad
esempio, se una madre ascolta regolarmente musica mentre allatta il suo bambino, il suono della sola
musica potrebbe, nel tempo, causare il rilascio di oppioidi nel cervello del bambino, producendo
un’influenza calmante. Così, la musica o il tocco, come stimoli condizionati, possono assumere un
durevole significato affettivo nel corso dello sviluppo neurale del bambino.
I bambini con un buon legame di attaccamento crescono, imparando quelle competenze sociali che li
tengono vicini ad amici e parenti. Questo processo di apprendimento comporta lo sviluppo di altri
sentimenti sociali di ordine superiore. I bambini sviluppano competenze che consentano loro di far
fronte agli inevitabili periodi di solitudine, distraendo la loro attenzione o impegnandosi in fantasie
gratificanti e giochi. Tutte queste strategie si riferiscono ai bisogni di mantenere l’impegno sociale e un
equilibrio affettivo (Panksepp, Siviy et al., 1985).
Altre due sostanze chimiche che calmano il sistema tristezza
Subito dopo la scoperta del ruolo degli oppioidi endogeni nella regolazione del sistema
TRISTEZZA/PANICO, si è scoperto che l’ossitocina e la prolattina erano altrettanto efficaci come inibitori
di questo sistema e in grado di rafforzare i legami affettivi tra i neonati e le loro madri.
Uno studio approfondito sull’ossitocina (Inset, 2010) ha dimostrato il suo ruolo nel reprimere le
“vocalizzazioni di angoscia” e creare legami sociali. L’ossitocina potrebbe aumentare gli effetti degli
oppioidi endogeni, forse migliorando l’attività delle ß-endorfine (Kovacs et al., 1998). Gli animali di solito
si abituano (sviluppano tolleranza) agli oppioidi, ma l’ossitocina può ridurre questo tipo di assuefazione,
rendendo gli oppioidi più potenti per periodi più lunghi.
Sembra inoltre che per tutta la vita, l’ossitocina venga rilasciata in seguito alla sensazione di conforto che
nasce dal contatto fisico sociale.
Nel cervello di un ratto neonato, quando il legame affettivo è cruciale per la sopravvivenza, si trova un
grande numero di recettori per l’ossitocina nelle strutture cerebrali del sistema TRISTEZZA/PANICO. Al
contrario durante l’età adulta, quando il legame affettivo non è così cruciale per la sopravvivenza, i
recettori dell’ossitocina sono meno numerosi. Nei primi anni, l’ossitocina potrebbe svolgere un ruolo
decisivo che si rifletterà nella futura vita sociale ed emotiva, mentre crescendo si sviluppano abbondanti
meccanismi di backup cognitivi e strategie per sostenere l’omeostasi emotiva.
Il sistema TRISTEZZA/PANICO e lo stress
Quando il sistema TRISTEZZA/PANICO è attivato, altre sostanze chimiche del cervello diventano più
attive, in particolare i neuropeptidi legati allo stress, come il fattore di rilascio della corticotropina (CRF)
e il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio che partecipa ad ogni risposta emotiva.
Il CRF è l’ormone coinvolto nella risposta allo stress classico che attiva il sistema ipofisi-surrene. Lo
stress attiva i neuroni nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PVN) che contiene un’abbondanza di
neuroni CRF. Le proiezioni assonali del PVN scendono alla ghiandola pituitaria anteriore, provocando il
rilascio di ACTH. L’ACTH va a stimolare la corteccia surrenale per liberare l’ormone cortisolo. Questo
steroide aiuta il corpo a utilizzare l’energia per far fronte a molte situazioni stressanti, tra cui anche
l’angoscia da separazione.
Quando il sistema dello stress funziona bene, il cortisolo viene riassorbito dai numerosi recettori del
nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PVN) e questa azione di feedback fa sì che il PVN smetta di
produrre CRF per la pituitaria anteriore, la quale smette di produrre ACTH. Senza l’ACTH, che facilita il
rilascio di cortisolo, l’intera risposta allo stress tende a ridursi velocemente.
Se l’effetto positivo di autoregolazione è compromesso, la produzione di cortisolo non accenna a
diminuire e, alla lunga, questo esercita un effetto deleterio sul corpo e sul cervello, creando stati cronici
di stress e depressione. In casi estremi, elevati e prolungati livelli di cortisolo possono danneggiare i
neuroni dell’ippocampo, con conseguente perdita di memoria.
Patologia
Queste conoscenze ci spiegano perché coloro che hanno intensamente attivato il sistema della
TRISTEZZA/PANICO da bambini, per situazioni di abbandono o di trauma affettivo, ogni volta che
rivivranno simili situazioni di abbandono da grandi, anche se molto meno critiche, tenderanno a
riattivare l’“imprinting emotivo” e le memorie affettive negative del sistema limbico, in particolare
89
dell’ippocampo e dell’amigdala (LeDoux, 1986) e a manifestare espressioni psicosomatiche di dolore
emotivo più intense e drammatiche del necessario. La psicoterapia può aiutare queste persone a
prendere coscienza di questo processo d’imprinting emotivo negativo e a disattivarlo progressivamente,
attraverso una vasta serie di pratiche di consapevolezza psicosomatica e di lavoro psicologico sulle
emozioni. Nelle crisi affettive e soprattutto nelle crisi di panico è ipotizzabile che intervenga un
“sequestro dell’amigdala”, processo descritto da LeDoux, (1996), che si verifica quando gli stimoli
negativi come paura, panico o dolore affettivo sono così forti da indurre l’amigdala a bypassare
(sequestrare) l’attività cognitiva superiore della neocorteccia, che tendenzialmente è in grado di
comprendere razionalmente la non eccessiva gravità della situazione, e attivare invece i comportamenti
sottocorticali più reattivi, “drammatici” e disfunzionali.
Pazienti con questi sintomi spesso raccontano di essere consapevoli che tutto vada bene ma, nondimeno,
li assale un’emozione di TRISTEZZA/PANICO che non sono capaci di controllare.
Coloro che hanno sperimentato un trauma di guerra o altre atrocità (come i sopravvissuti all’olocausto)
spesso mostrano una diminuzione del volume dell’ippocampo. Si è inoltre scoperto che bambini vittime
di abusi sessuali e soldati traumatizzati tendono ad avere aree dell’ippocampo più piccole (Conrad, 2008;.
Irle et al, 2009).
In questo modo, possiamo immaginare come situazioni precoci di stress e deprivazione sociale (che
attivano il sistema TRISTEZZA/PANICO) possano compromettere lo sviluppo psichico, inficiando il
recupero dei ricordi e la formazione delle memorie autobiografiche mediate dall’ippocampo.
Stress e depressione
Gli squilibri nell’“asse dello stress” sono anche seguiti da una
diminuzione delle “amine biogene”, in particolare noradrenalina,
serotonina e dopamina.
Inizialmente, il rilascio di CRF attiva potentemente questi sistemi
neurali, ma quando il rilascio di CRF si mantiene o si cronicizza, il
livello di queste sostanze chimiche nelle sinapsi può esaurirsi. Quando
questo succede, le persone e gli animali sono soggetti a depressione
(Holsboer & Ising, 2008).
Ancora non sappiamo precisamente come l’insieme di tutti i
cambiamenti cerebrali legati allo stress porti alla depressione clinica,
tuttavia, sappiamo che i farmaci che contrastano la scarsa disponibilità
di amine biogene, aumentando serotonina, noradrenalina e dopamina
(cioè gli inibitori della loro ricaptazione) tendono ad avere effetti Figura 75
antidepressivi.
Anche se non abbiamo alcuna soluzione definitiva che agisca sulle cause della depressione, a livello di
funzionamento del cervello, ci sono numerosi candidati neurochimici. Una delle sostanze chimiche
attualmente favorite è un “fertilizzante cerebrale”, noto come fattore neurotrofico derivato dal cervello
(BDNF Brain-Derived Neurotrophic Factor), attivato da attività salutari che hanno effetti antidepressivi,
come l’esercizio fisico. Anche il gioco fisico in animali giovani può promuovere la disponibilità di BDNF
nel cervello (Gordon et al., 2003). Tuttavia, è chiaro che il sostegno affettivo e sociale percepito è una
delle migliori indicazioni che un individuo sarà in grado di riprendersi da una grave malattia depressiva
(Leskela et al., 2006).
Oppioidi cerebrali e depressione
Sappiamo che l’attivazione del sistema TRISTEZZA/PANICO è un fattore chiave nella depressione indotta
da stress e genera una diminuzione degli oppioidi endogeni (Kennedy et al, 2006; Zubieta et al, 2003).
Sappiamo anche, da una vasta gamma di ricerche, che gli oppioidi endogeni e gli oppiacei (eroina)
possono avere effetti simili a quelli degli antidepressivi, ma agiscono più rapidamente. Tutti questi fatti
suggeriscono che si potrebbe trattare la depressione aumentando il livello di oppioidi e di endorfine nel
cervello. Tuttavia, a causa dei noti problemi di assuefazione e dipendenza, la somministrazione di
oppiacei è stata abbandonata a favore di tipi di antidepressivi più moderni e relativamente più deboli,
che sono stati progettati per intervenire nelle attività secondarie delle amine biogene.
Oggi i neuroscienziati dovrebbero riconsiderare la possibilità che la depressione sia in gran parte dovuta
al deficit di sostanze chimiche del piacere nel cervello, in particolare quelle che sostengono la sicurezza
dei legami affettivi e sociali. I migliori antidepressivi rimangono quindi quelli che reclutano la potenza
90
dei sistemi socio-affettivi positivi, del conforto e del calore che derivano dalle relazioni sociali, che
stimolano il rilascio di oppioidi endogeni e ossitocina.
Differenze tra TRISTEZZA/PANICO e PAURA
Panksepp sottolinea che le recenti ricerche delle neuroscienze ci permettono oggi di distinguere tra ansie
suscitate dai sistemi TRISTEZZA/PANICO e PAURA, tra l’isolamento e il panico e la paura che si prova
quando si anticipano lesioni, morte, o qualche altro evento avversivo imminente. Naturalmente, i due
sistemi interagiscono. Ad esempio, i bambini che hanno subito frequenti abbandoni sperimenteranno
l’ansia da separazione, ma saranno anche spaventati della prospettiva di essere lasciati soli e di sentirsi
nuovamente abbandonati. In altre parole, possono avere paura del dolore ad un livello cognitivo più
elevato ma anche paura per la sopravvivenza fisica. Questi due sistemi inoltre condividono delle
sovrapposizioni a livello di sistemi neuroanatomici e chimici come il CRF che può attivare entrambi i
sistemi.
Ci sono molte ragioni per ritenere che gli attacchi di panico possano sostanzialmente derivare da
un’eccitazione del sistema TRISTEZZA/PANICO di separazione e disagio affettivo piuttosto che del
sistema della PAURA, come molti teorici attualmente credono.
Pazienti trattati con imipramina (un antidepressivo triciclico) hanno registrato un forte calo degli
attacchi di panico. Inizialmente, tuttavia, i pazienti non si erano resi conto di tali miglioramenti, perché il
farmaco non ha diminuito l’ansia anticipatoria associata con la malattia e cioè la paura degli attacchi
stessi. Questi pazienti avevano ancora paura di avere attacchi di panico; forse avevano bisogno di farmaci
specifici per il sistema PAURA.
In questo contesto, è importante notare che l’imipramina è molto efficace nel ridurre il dolore da
separazione e la conseguente depressione in molte specie, tra cui cani e primati (vedi Panksepp, 1998a).
Inoltre gli aspetti fisiologici degli attacchi di panico possono essere promossi da una diminuzione
dell’attività degli oppioidi (Preter & Klein, 2008). Questi dati indicano che gli attacchi di panico, come le
“vocalizzazioni di angoscia”, derivano dal sistema della TRISTEZZA e non da quello della PAURA.
Anche le benzodiazepine, che sono tra i farmaci maggiormente utilizzati per sedare l’ansia e indurre il
sonno, sembrano operare soprattutto sul sistema TRISTEZZA /PANICO e non sul sistema PAURA/ANSIA.
Epigenetica della tristezza e neurobiologia dell’attaccamento
Solo negli ultimi anni i neuroscienziati sono stati in grado di tradurre la teoria dell’attaccamento in
cambiamenti concreti che avvengono nel cervello. Questi cambiamenti del cervello sono interpretati in
termini di espressione epigenetica che avviene come risultato dell’esperienza. L’espressione genica è un
processo mediante il quale un gene inattivo diventa attivo; l’epigenesi è invece un processo in cui certi
geni si possono esprimere con maggior vigore o meno, a seconda delle esperienze e delle necessità
funzionali (Szyf et al., 2008).
Quando i cuccioli ricevono cure dalle loro madri, queste esperienze si traducono in cambiamenti
epigenetici che influenzano le funzioni del cervello. Tali funzioni cerebrali variabili possono generare
caratteristiche e comportamenti specifici per l’individuo, come ad esempio, gli “stili di attaccamento”.
La ricerca suggerisce che se una madre è depressa e quindi non risponde al suo bambino, si possono
vedere anomalie nel comportamento del bambino e nella sua organizzazione cerebrale (Meaney, 2001;
Tronick, 2007). Forse questi bambini sviluppano sistemi cerebrali che, avendo subito un trauma affettivo,
“settano” il loro sistema TRISTEZZA/PANICO su un livello di allarme cronicamente più alto e quindi non
sono più in grado di rispondere positivamente ai delicati stimoli affettivi del sistema della CURA che
aumentano l’ossitocina o gli oppioidi. Allo stesso modo, il sentimento di una madre angosciata che non
riesce a calmarsi per dare conforto al suo bambino, potrebbe derivare dal fatto che il suo sistema della
CURA non è più in grado di integrare e potenziare gli effetti degli oppioidi endogeni.
E molto probabile che l’esperienza di cure materne insoddisfacenti crea dei cambiamenti epigenetici nel
cervello delle giovani femmine, rendendo statisticamente improbabile che siano a loro volta delle buone
madri quando avranno i propri figli (Meaney, 2001; Szyf et al, 2008). Attaccamenti insicuri, forse a causa
della scarsa responsività agli oppioidi, possono essere trasmessi attraverso le generazioni.
La maggior parte degli studi biologici sull’attaccamento evidenzia delle modifiche nelle regioni cerebrali
superiori della neocorteccia, che si evolvono per ultime. Questi studi, ampiamente riassunti dal medico
Alan Schore (vedi anche McGilchrist, 2009), sottolineano il fatto che molte parti del cervello non sono
completamente formate al momento della nascita e che lo sviluppo di queste aree è mediato da
cambiamenti epigenetici dipendenti dall’esperienza (Schore, 2003).
91
Schore ha focalizzato l’attenzione sull’emisfero cerebrale destro che presenta un picco di crescita più
vigorosa nei primi 18 mesi di vita, rispetto all’emisfero sinistro. L’emisfero destro rimane dominante per
i primi 3 anni di vita (Chiron et al., 1997). Naturalmente questo è il periodo in cui i bambini cominciano a
formare dei legami relazionali con i genitori. L’emisfero destro sostiene un atteggiamento olistico ed
emotivo verso la vita, mentre l’emisfero sinistro -che matura successivamente- fornisce le abilità
cognitive più analitiche, lontane dalla sensibilità affettiva. La ricerca indica che questo lato è
emotivamente sensibile agli stimoli esterni come alle esperienze di accudimento e tattili nella prima
infanzia (Kalogeras et al. 1996). Queste esperienze sono intensamente determinate dalla qualità
dell’accudimento materno e, almeno nei ratti, hanno effetti cerebrali permanenti (Meaney, 2001).
Schore sostiene inoltre che la corteccia orbitofrontale (OFC Orbito Frontal Cortex) abbia un periodo
critico di maturazione che va dall’ultimo trimestre del primo anno di vita, alla metà del secondo. Anche in
questo caso, si tratta di un periodo in cui la relazione madre-figlio è particolarmente importante. In
questo lasso di tempo, le esperienze relazionali con la madre generano cambiamenti epigenetici che
contribuiscono allo sviluppo, o sottosviluppo, della corteccia orbitofrontale che svolge un ruolo
fondamentale nell’elaborazione dei segnali interpersonali e del loro significato emotivo.
La corteccia orbitofrontale gioca inoltre un ruolo critico nella regolazione affettiva (Schore, 1994). Una
corteccia orbitofrontale ben sviluppata regola anche molti aspetti del sistema nervoso autonomo
parasimpatico che produce le reazioni fisiologiche inibitorie dell’esperienza emotiva (Porges, 2009b).
Quando questa regione del cervello è danneggiata, le persone tendono a mostrare una scarsa regolazione
sociale e un temperamento più emotivamente impulsivo, anche sociopatico (Adolphs et al., 2003).
Evidenze sperimentali indicano che esseri umani o animali, sottoposti ad esperienze estreme, possono
sviluppare una sensibilità delle reti emotive limbiche cronicamente aumentata o diminuita. Tali
modifiche ai sistemi emotivi sottocorticali sono anche epigeneticamente mediate. Ad esempio, se un
animale ha avuto esperienze spaventose, il suo sistema della PAURA può diventare ipersensibile in modo
permanente; questi animali sono facilmente spaventabili (LeDoux, 2002). Simili modifiche epigenetiche
portano a un’ipersensibilità patologica e ad una sovra-responsività di vari altri sistemi emozionali, in
particolare quelli che regolano le risposte del sistema TRISTEZZA della separazione-stress.
IL SISTEMA RICERCA/ENTUSIASMO
E LA NEUROPERSONALITÀ DOPAMINICA
Come è stato descritto, il sistema della RICERCA è già presente in forma primitiva nel cervello dei rettili
dove assolve i compiti primari della “ricerca” del piacere corporeo, della sopravvivenza, dell’evitamento
del pericolo e dell’accoppiamento. Nonostante queste origini lo inseriamo a pieno diritto nell’area
mammifera in quanto il sistema della RICERCA si è molto sviluppato fino a diventare il sistema
dell’ENTUSIASMO e della passione, il centro funzionale della vita emotiva dei mammiferi e dell’essere
umano.
Il sistema RICERCA/ENTUSIASMO attiva il sistema simpatico e l’attività psicosomatica.
Il sistema RICERCA/ENTUSIASMO è di centrale importanza nel cervello e nella vita di ogni persona, in
quanto genera la forza emotiva propulsiva del Sé per permette di vivere la vita con piacere e
soddisfazione. Diversi studi provano che i neuroni dopaminergici innervano la corteccia frontale
(Kalsbeek et al., 1987) e frontale orbitale (Levitt et al., 1984), le aree che maggiormente sono coinvolte
nella consapevolezza di Sé e nella regolazione degli affetti e nello sviluppo delle emozioni sociali.
Ogni azione o motivazione positiva, che stimola una risposta attiva, passa per questo circuito
profondamente connesso con molte aree cerebrali istintive, emotive e cognitive. Senza ricerca ed
entusiasmo la nostra vita diventa piatta e insignificante.
Il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO (Panksepp, 2012) è attivato e mediato dalla dopamina ed è la
base neuronale della neuropersonalità dopaminica, particolarmente legata ai processi emotivi attivi del
Sé collegati all’esplorazione, alla passione, alla ricerca del PIACERE CORPOREO e al sistema del
GIOCO/SOCIALIZZAZIONE, che ne rappresenta l’evoluzione sociale.
Col termine ENTUSIASMO s’intende uno stato di piacere emotivo dinamico e gratificante. Il sistema
RICERCA/ENTUSIASMO è il più importante sistema di attivazione del sistema limbico, il cuore del
cervello emotivo e stimola tutte le funzioni attive del cervello. Per questo è stato chiamato anche
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“circuito del piacere” o “sistema del rinforzo” e la sua mancanza o inibizione viene percepita come
“punizione”. Gli psicologi cognitivo-comportamentali hanno associato questo sistema alla motivazione e
la sua inibizione all’evitamento. Eysenck (1953), psicologo e teorico delle personalità, divise le
personalità in introverse ed estroverse; queste ultime sono notevolmente associate al sistema della
RICERCA/ENTUSIASMO e alla neuropersonalità dopaminica.
Quando il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO e la dopamina si abbassano, compaiono segni di
demotivazione, fino a forme gravi di depressione caratterizzate da letargia e assenza di ogni desiderio di
attività. Lesioni bilaterali del circuito della RICERCA/ENTUSIASMO portano gli animali a non curarsi più
di se stessi fino alla morte. Quando, invece, il sistema è iperattivo, abbiamo comportamenti euforici ed
esagerati, fino agli episodi maniacali.
Neuroanatomia del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO
La struttura del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO si sviluppa, dal basso verso l’alto, partendo dal
VTA (Ventral Tegumental Area) verso quattro maggiori direzioni: 1) il Medial Forebrain Bundle (MFB), 2)
l’ipotalamo laterale (LH), 3) il nucleo accumbens e, 4) la corteccia prefrontale mediale, attraverso il
circuito dopaminergico mesolimbico e mesocorticale.
Il nucleo accumbens è il centro principale per l’apprendimento e i desideri.
Negli animali, le ramificazioni del circuito dopaminergico verso la corteccia sono limitate, mentre negli
esseri umani si estendono attivando moltissime aree superiori della neocorteccia e ciò dimostra come il
sistema della RICERCA/ENTUSIASMO, negli esseri umani, sia alla base di una componente cognitiva
molto elevata, come la conoscenza e la comprensione scientifica, artistica o spirituale che non hanno
equivalenti negli altri animali.
Il sistema dopaminergico opera in associazione con molti altri sistemi del cervello, come il sistema
noradrenergico e il sistema serotoninergico che controllano l’attivazione generale e il sistema
dell’attenzione mediati dall’acetilcolina e dal glutammato. Il GABA normalmente inibisce il sistema della
RICERCA.
La ricerca fisica La componente più primitiva (rettile) del sistema della RICERCA e della
neuropersonalità dopaminica è attivata dalla fame e dai bisogni primari, stimolati dal sistema del
PIACERE CORPOREO (Homeostatic Body Pleasure), che inducono alla ricerca del cibo (caccia), del
bilanciamento omeostatico, del nido, del territorio e dell’accoppiamento. Quando persone e animali sono
in pericolo, il sistema della RICERCA promuove soluzioni per trovare benessere, sicurezza e rifugio.
La ricerca emotiva Nel corso dell’evoluzione, dal cervello rettile al cervello mammifero e al neocorticale,
il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO sviluppa progressivamente la ricerca emotiva, affettiva e sociale
cercando attivamente amicizie, relazioni, partner, socializzazione. Riteniamo che il primitivo sistema
della RICERCA, presente nei rettili, con l’evoluzione del sistema limbico nei mammiferi, abbia sviluppato
una complessità di comportamenti e comunicazioni emotive, relazionali e sociali legate all’ENTUSIASMO,
che poi hanno portato alla strutturazione del sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE.
Il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO, insieme al sistema del GIOCO, stimola effetti positivi di
gratificazione nel cervello che tendono ad essere i principali vissuti ricercati dalla neuropersonalità
dopaminica.
È documentata una diretta relazione tra dopamina ed endorfina. Quando le persone e gli animali hanno
alti livelli di oppioidi endogeni, sperimentano situazioni affettive positive e comfort, esattamente come se
fossero in compagnia di buoni amici o di persone amate. Le sensazioni di dolore psicologico e di
solitudine sono attivate da alti livelli di CRF, l’ormone precursore dello stress e da una mancanza di
endorfine.
Il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO è anche attivato dalle esperienze negative, dall’allontanamento e
dell’evitamento. Sul piano emotivo, la mancanza di amorevolezza, di gioco o di relazioni sociali, attiva il
sistema della RICERCA di compagnia, di gioco e anche di relazioni sessuali.
La ricerca cognitiva e interiore. Negli esseri umani, il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO ha una
forte connessione con la corteccia frontale, la parte più evoluta del cervello umano, che energizza e
rivitalizza i processi cognitivi neocorticali, sviluppando una dimensione mentale, culturalizzata e
intellettuale. Per queste ragioni, la neuropersonalità dopaminica, nell’essere umano, si manifesta non
solo come ricerca di piacere fisico o emozionale, ma anche come curiosità, spinta creativa e ricerca della
conoscenza in genere, della ricerca scientifica, artistica o storica e, infine, della ricerca psicologica e della
coscienza di Sé, fino alla ricerca della verità (filosofia) e della spiritualità. In meditazione si verifica un
rilascio di dopamina nei circuiti del premio, della gioia e della ricompensa [Bottaccioli, 2005].
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Il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO a livello cognitivo si manifesta in modo particolarmente evidente
nelle persone creative e nei “ricercatori” ed “esploratori” nei diversi campi della conoscenza, come:
artisti, scienziati, scrittori, studiosi e filosofi. La ricerca e l’entusiasmo li spinge alla scoperta di nuove
esperienze, di nuovi concetti, a trovare vie migliori di esprimere se stessi. Gli scienziati utilizzano questo
sistema per sviluppare ricerche che possano rivelare le leggi della natura. Questo sistema dà energia alla
creatività umana e può essere considerato il motore mentale di tutta la civilizzazione. Anche in questo
caso, si evidenzia come la neocorteccia, la sorgente dell’intelletto umano, sia di fatto un sistema cognitivo
al servizio del sistema emotivo. Il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO è un complesso generatore di
conoscenze e di idee e apre le porte cognitive più elevate del Sé, che ci permettono di interagire con la
conoscenza del mondo e dell’esistenza.
Ogni ricerca, anche quando non dà risultati evidenti, è legata comunque al senso di piacere e
soddisfazione: Thomas Alva Edison, per anni, sperimentò seimila tipi di filamenti, con costanti insuccessi,
prima di realizzare la prima lampadina.
Aspetto psicosomatico della neuropersonalità dopaminica
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità del sistema RICERCA/ENTUSIASMO è legato all’attività
del sistema simpatico, che stimola il movimento muscolare e l’energia vitale, al dinamismo emotivo e
cognitivo, al senso di curiosità e di esplorazione. La neuropersonalità dopaminica ha spesso un buon
calore corporeo, gli occhi sono presenti, vivaci e brillanti, manifesta una buona respirazione toracica.
Squilibri e patologie del sistema della RICERCA
Le esperienze particolarmente piacevoli del sistema
della RICERCA/ENTUSIASMO vengono intensamente
memorizzate e questa è la base di una possibile
dipendenza.
È di grande importanza ricordare che tutte le droghe
attivano il sistema dopaminergico.
L’abuso di sostanze come la cocaina, l’anfetamina e
l’hashish (THC) è correlato all’aumento degli effetti
della dopamina e quindi all’attivazione del sistema
della RICERCA/ENTUSIASMO.
Se il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO viene
sovrastimolato, genera comportamenti stereotipati e,
negli esseri umani, induce un intenso interesse verso
cose molto mondane. Se questo tipo di eccitamento
viene sostenuto per molto tempo, le persone diventano sospettose e sviluppano tendenze paranoidi.
L’iperattivazione di questo sistema tende a generare disturbi psichiatrici, come la schizofrenia paranoide
e la psicosi.
Anche il glutammato, il maggiore neurotrasmettitore eccitatorio del cervello, gioca un ruolo centrale
nell’acquisizione di funzioni (apprendimento) del sistema della RICERCA. Il glutammato, in particolare,
attiva i processi di apprendimento legati al piacere.
Neuropersonalità dopaminica e squilibri del sistema della RICERCA
L’equilibrio del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO è fondamentale per il benessere fisico e psicologico.
Se il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO viene ipostimolato o sovrastimolato, provoca disordini
emotivi che vanno dalla depressione alla psicosi.
Come evidenziava Oliver Sacks, la malattia di Parkinson genera una riduzione della dopamina che può
portare ad una grave depressione. La riattivazione del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO, dovuta alla
cura con L-dopa, può generare sensazioni di grande euforia e “un senso di resurrezione, di rinascita, un
senso di benessere che arriva alla grazia.”
L’abbondanza di dopamina, che sovrastimola il sistema della RICERCA in tali pazienti, genera sintomi
psicotici come un senso di irrealistico destino.
Quando il sistema della RICERCA/ENTUSIASMO è cronicamente ipoattivo, emergono i sintomi della
depressione, come quelli che insorgono nel calo successivo all’abuso di cocaina o anfetamina. Dall’altro
lato, l’eccesso del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO genera schizofrenia, fantasie e delusioni
psicotiche, stati maniacali e pensieri paranoidi.
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Una delle funzioni dell’attività neocorticale è l’abilità di generare concetti e “connessioni di causa ed
effetto”; la dopamina potenzia questo effetto, generando la sensazione che “tutto abbia un senso” e che
fenomeni separati siano invece profondamente connessi, che spesso contraddistingue i deliri psicotici.
Quando viene sovrastimolata la corteccia frontale che produce memorie di lavoro a breve termine
(working memories), attiva un’abbondanza di pensieri e concetti su come il mondo è organizzato. Spesso
genera importanti ispirazioni e comprensioni sul funzionamento del mondo e sulle infinite possibili
profonde connessioni, anche quando vi sono solo semplici relazioni o anche se non ci sono correlazioni
del tutto. Quando questo avviene, la persona tende a sviluppare grandi, ma spesso errate, conclusioni o
comprensioni sulle relazioni tra i fenomeni. Questa modalità mentale è, quindi, facilmente portatrice di
altrettante grandi disillusioni.
L’eccesso di attivazione da parte della dopamina e del sistema della RICERCA/ENTUSIASMO, tende a far
insorgere un accresciuto senso di sé, una sensazione di grandeur che genera comprensioni
sproporzionate e poi psicotiche delusioni di grandezza. Nei pazienti schizofrenici si notano false
associazioni tra normali eventi della vita (ad esempio, la rottura di uno specchio) e un evento
catastrofico nel mondo (come il crollo delle Torri Gemelle).
Lo stress può aumentare la concentrazione di dopamina nella corteccia frontale e spiega come uno stato
di severa tensione possa facilitare l’emergere di strutture di pensiero paranoidi e schizofreniche. Alcune
ricerche hanno evidenziato una relazione tra questo tipo di pensieri e i sogni. I neuroni dopaminergici
sono particolarmente attivi durante il sonno REM. È quindi possibile concludere che un’alta attività
dopaminica immaginativa avvenga nel cervello, sia durante il sogno, sia nella schizofrenia.
Al termine di questo paragrafo è opportuno chiederci quanto entusiasmo e quanto desiderio di esplorare
e scoprire la vita sia rimasto dentro di noi o quanto tutto sia diventato monotono e senza stimoli.
Scheda Dopamina
Storia La dopamina è stata sintetizzata per la prima volta nel 1910, da George Barger e James Ewen. La
funzione della dopamina come neurotrasmettitore fu riconosciuta, nel 1958, da Arvid Carlsson e Nils-Åke
Hillarp, in Svezia. Nel 2000 Carlsson vinse il premio Nobel per la fisiologia e la medicina.
Informazioni generali La dopamina è il principale neurotrasmettitore del cervello emozionale e
governa l’emotività, la passione, il desiderio di raggiungere il piacere. Essa, oltre ad avere un grande
ruolo nel coordinamento del comportamento motorio (un deficit di questo sistema costituisce la
sintomatologia della malattia di Parkinson), è determinante per i comportamenti adattativi e le
conseguenti implicazioni affettive. Cloninger (1999) sostiene che la principale caratteristica della
neuropersonalità dopaminica sia la “ricerca della novità” (novelty seeking). La dopamina è il precursore
dell’adrenalina e della noradrenalina.
Effetti fisiologici La dopamina agisce attivando il sistema nervoso simpatico, causa l’accelerazione del
battito cardiaco e l’innalzamento della pressione sanguigna, inoltre controlla la coordinazione motoria.
Effetti psichici e comportamentali La liberazione di dopamina è associata al desiderio, alla passione,
alla motivazione ad agire, alla sensazione del piacere e alla soddisfazione, provoca indirettamente anche
eccitazione, euforia ed entusiasmo e riduce parallelamente l’appetito. Elevati livelli di dopamina sono
collegati a maggiore energia, motivazione a raggiungere un obiettivo. I processi emozionali del piacere e
della ricompensa sono regolati dalla dopamina, al pari delle gratificazioni conseguenti al mangiare, al
bere, al riprodursi, al successo nella lotta e nella competizione. L’euforia connessa allo scampato pericolo
è orchestrata dalla dopamina. La trasmissione dopaminergica risulta, dunque, correlata alla fisiologia del
rinforzo psicologico e determinante nei processi di apprendimento. È comprensibile, al contrario, che
una sua iperattività provochi la sindrome maniacale e schizofrenica.
Un elevato livello dopaminergico sottocorticale (e basso livello prefrontale) è stato collegato alla
schizofrenia (Davis, et alii, 1991) e al disturbo psicotico delirante (Kiyoshi et alii, 2002). I farmaci
antipsicotici agiscono come antagonisti della dopamina, inibendola a livello del recettore e bloccando gli
effetti della neurochimica, in modo dose-dipendente.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD Attention Deficit Hyperactivity Disorder) e la
Sindrome delle Gambe senza Riposo (RLS Restless Legs Syndrome) potrebbero essere associate alla
diminuzione dell’attività della dopamina.
Esperimenti sugli animali Nel 1954, i due ricercatori Olds e Milner, inserirono in diversi punti del
cervello di un ratto un sottile elettrodo stimolante. Premendo una leva, il ratto chiudeva un circuito,
stimolando elettricamente la regione cerebrale nella quale l’elettrodo era infisso. Quando l’elettrodo era
posto in alcune regioni critiche, situate alla base del cervello, il ratto premeva la leva quasi fino allo
sfinimento, senza farsi distrarre neanche dall’offerta di cibo o acqua. Questo esperimento suggerì
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l’esistenza di un particolare circuito neuronale, la cui attivazione agisce come una ricompensa. Studi
successivi hanno dimostrato la presenza di “centri del piacere” nel cervello delle scimmie e anche di
umani. Queste regioni si trovano nella parte anteriore del cervello e, se stimolate, producono una
sensazione simile all’anticipazione di un orgasmo.
Interazione con altri ormoni La dopamina è importante per la produzione delle endorfine, sostanze
regolatrici del senso del dolore e del piacere. Inoltre inibisce il rilascio di prolattina da parte del lobo
anteriore dell’ipofisi. Insieme alla noradrenalina e alla serotonina, è responsabile dei disturbi depressivi.
Meditazione Nel corso della meditazione, si verifica un rilascio della dopamina endogena. in
corrispondenza con un aumento dell’attività delle onde theta, registrate tramite elettroencefalogramma.
L’aumento della dopamina è stata riscontrata nei circuiti del premio, della gioia e della ricompensa
[Bottaccioli, 2005].
IL SISTEMA GIOCO/SOCIALIZZAZIONE
E LA NEUROPERSONALITÀ DOPAMINICA
La fonte ancestrale del gioco sociale e del divertimento.
Il sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE (Panksepp, 2012) non è presente nei rettili ma solo nel cervello
di tutti i mammiferi, viene attivato dalla dopamina e governa i processi di gioia, divertimento e di
socializzazione. Il sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE appare come un’evoluzione del più primitivo
sistema della RICERCA/PASSIONE. Il sistema della RICERCA infatti è attivo durante il gioco ed in
entrambi i sistemi la dopamina svolge un ruolo fondamentale.
Il sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE è la base neuronale della “neuropersonalità dopaminica”, o
emotiva attiva, caratterizzata dai comportamenti orientati alle emozioni di giocosità, simpatia,
esuberanza e divertimento.
L’aspetto psicosomatico della neuropersonalità legata al sistema del GIOCO/PASSIONE è molto simile al
sistema della GIOCO/SOCIALIZZAZIONE: sempre “carico” e con una più marcata espressione di gioia,
allegria, riso e divertimento.
Persone con alti livelli di dopamina tendono a mostrare comportamenti narcisistici, esuberanti ed
esteriorizzati, mentre bassi livelli di dopamina portano alla timidezza e alla chiusura in se stessi, fino alla
depressione.
Il sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE si è evoluto con i mammiferi, e negli esseri umani, si estende dal
gioco fisico attivo, tipico della prima infanzia, fino a forme più elevate di gioco sportivo, relazionale,
psicologico e conoscitivo.
La ricerca scientifica condotta sul sistema del GIOCO/SOCIALIZZAZIONE ha dimostrato l’esistenza di una
rete geneticamente determinata che media le attività ludiche, portando grande gioia a tutti i giovani
mammiferi: dai giochi da bambini, come “nascondino" o “fare la lotta”, agli sport per adulti, al ballare in
discoteca e divertirsi con gli amici. Questo è un sistema fondamentale per le attività umane sociali
piacevoli e richiederebbe una maggior applicazione, anche in materie come l’educazione, la medicina e la
psicoterapia.
Gioco e riso
La forma di GIOCO/SOCIALIZZAZIONE più divertente è quella del gioco attivo e fisico, tipico dei maschi,
com’è indicato dalle abbondanti risate che accompagnano queste attività. Gli animali utilizzano il sistema
della RICERCA per il loro personale piacere e, quindi, il divertimento esplorativo può essere incluso nel
concetto di gioco.
La forma di gioco sociale, definita con l’espressione di “giocare a fare la lotta”, è la forma di gioco più
intensa e gioiosa, come dimostrano i suoni, tipo risata, ad alta frequenza (di 50 kHz), emessi dai ratti,
quando sono impegnati in questa attività o quando vengono solleticati da un essere umano. Questi suoni
acuti e divertenti, del tutto analoghi alle risa, sono strettamente legati al rinforzo dopaminergico positivo.
L’attività di gioco è stata definita, da Gordon Burghardt, attraverso i seguenti aspetti:
- Il gioco è un’attività spontanea, fatta per il proprio piacere, perché è divertente.
- Il gioco è una forma esagerata e incompleta delle attività degli adulti.
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- Il gioco si manifesta in molte attività ripetute, fatte con abbondanti variazioni, a differenza dei
comportamenti seri che non sono flessibili.
- Gli animali devono essere ben nutriti, fiduciosi e sani, affinché il gioco possa avvenire.
- Le funzioni adattive del gioco non sono completamente evidenti nel momento in cui il gioco si verifica.
- Tutti i fattori di stress riducono il gioco.
La neuropersonalità emotiva attiva o sociale
Il piacere del gioco esplorativo può prendere anche la forma della pratica predatoria primaria. Il
comportamento predatorio è una conseguenza dello sviluppo del sistema della RICERCA. Questo si può
applicare anche alle attività ludiche e sessuali che, nella neuropersonalità dopaminica, assumono una
connotazione molto giocosa e, a volte, “predatoria” nel senso della “conquista”.
Il gioco consente l’apprendimento di abilità fisiche non sociali, come la caccia e il foraggiamento, di
capacità sociali, come l’aggressività, il corteggiamento, la sessualità e, in alcune specie, la competizione e
anche le abilità parentali. È spesso una forza essenziale per la costruzione di funzioni cognitive del nostro
cervello superiore.
Attraverso il gioco, gli animali imparano come possono sviluppare relazioni sociali e cooperative,
apprendono quando è possibile dominare un’interazione sociale e quando è meglio disimpegnarsi e
accettare la sconfitta. Nei bambini e nei ragazzi il gioco permette di sviluppare, senza traumi, la
consapevolezza delle proprie qualità e capacità che poi diventeranno le basi del lavoro da adulti. Tra
cuccioli o bambini, attraverso “il giocare alla lotta”, si selezionano gli individui più forti fisicamente e
dominanti, dagli individui più tranquilli e sensibili. Nei bambini, si selezionano specifiche tendenze al
gioco cooperativo di squadra, a sport più o meno agonistici o a giochi di ruolo, come “la mamma e la
bimba” con le bambole, tendenze più associate al sistema della FANTASIA e dell’endorfina, fino ad
arrivare a giochi più mentali, come dama, carte, scacchi o giochi di enigmistica. Da queste scelte di gioco
si svilupperanno specifiche competenze e direzioni di sviluppo individuale.
In sintesi, le reti del gioco nel cervello preparano gli individui a gestire i vari eventi imprevisti a cui la vita
li metterà di fronte.
Il gioco può essere sia delicato e femminile, sia forte e irruento. Il sistema del gioco in realtà è fragile,
perché molti fattori ambientali possono ridurre il gioco, come gli eventi che evocano stati emotivi
negativi quali la rabbia, la paura, il dolore e lo stress da separazione. Quindi, il gioco avviene quando si è
sicuri e ci si sente bene. È un sistema che, nelle giuste condizioni, manifesta intensità e forza e permette
agli animali -cuccioli, bambini o adulti- di giocare insieme per ore e ore, ogni giorno, per anni.
Ai giorni nostri, il gioco attivo/fisico nei bambini viene spesso scoraggiato dai genitori, poichè nelle città
non ci sarebbero le condizioni per correre e giocare liberamente e tutto deve essere controllato. I
genitori, tuttavia, non si rendono conto degli effetti negativi della carenza di gioco sullo sviluppo dei loro
figli. Una ridotta o troppo controllata attività fisica può essere la causa di impulsi iperattivi scarsamente
controllati che possono assumere la forma patologica della sindrome da Deficit di Attenzione e
Iperattività (ADHD). I bambini con questa diagnosi diventano più gestibili quando sono somministrate
loro anfetamine, le stesse droghe che riducono il gioco nei ratti. Le ricerche condotte sui ratti, cui è stata
diagnostica l’ADHD, mostrano che un abbondante gioco giornaliero riduce i sintomi d’iperattività.
Lo sviluppo del gioco sociale nei giovani
La ricerca ha evidenziato che il desiderio di giocare non scaturisce da un processo di apprendimento, ma
è innato. Si tratta di un processo primario, con bisogni sociali geneticamente determinati. La
sperimentazione sui topi da laboratorio ha mostrato come l’isolamento sociale influisca direttamente sul
sistema del gioco, determinando un aumento della voglia di giocare.
I topi, privati delle opportunità di gioco, prontamente iniziano a giocare, quando viene fornita loro
l’occasione, sia che abbiano subito un isolamento per un periodo di tempo breve (poche ore), sia che
siano stati isolati totalmente nei primi giorni di vita, per un periodo più prolungato. La manifestazione
del desiderio di giocare non appare, invece, così immediata nei primati che, rispetto ai topi, hanno un
sistema del dolore più sviluppato. L’isolamento, infatti, produce nei primati uno stato di depressione per
cui essi hanno bisogno di ricostruire una sorta di “fiducia sociale”, prima che il desiderio per il gioco
riemerga.
Le logiche relazionali del gioco attivo
Il “gioco della lotta” dei topi mostra un’equilibrata presenza di comportamenti di attacco e fuga. È
caratterizzato da contatti dorsali, da attacchi e da abbondanti suoni acuti, del tutto paragonabili alle risa.
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Esistono ragioni empiriche per credere che si tratti di un’ancestrale forma di risata, relativa agli impulsi
della ricerca.
La dominanza nel gioco si manifesta quando, nelle occasioni di gioco che si presentano ripetutamente,
uno dei due topi vince per la maggior parte del tempo (circa il 70%), mentre l’altro perde. La
continuazione del gioco richiede una reciprocità dei ruoli, nel senso che l’animale vincente deve auto
penalizzarsi, se vuole continuare a giocare, altrimenti il topo perdente diminuisce gradualmente la sua
voglia di giocare.
Nell’aggressione, a differenza del gioco della lotta, i topi assumono una posizione eretta sulle zampe
posteriori che consente l’attività di pugilato e i suoni emessi hanno una frequenza di 22 kHz, tipici delle
proteste e delle lamentele.
Infine, la distinzione tra gioco e aggressione è anche supportata dal fatto che il testosterone promuove
l’aggressione nei maschi adulti, mentre ha pochi effetti sulla voglia di giocare.
I ratti cui è stata rimossa la neocorteccia, continuano a giocare in modo quasi normale. L’attività ludica si
differenzia per il fatto che l’animale decorticato ha una relativa insensibilità sociale, per cui non consente
al partner le occasioni di vincere, al fine di mantenere il gioco. Questa sensibilità presumibilmente
richiede un livello di partecipazione cerebrale superiore che solo gli animali integri, e in particolare gli
esseri umani, hanno.
L’inibizione del gioco avviene anche in presenza di certi stati emotivi negativi, come l’aggressività.
Gioco e risata
Le forme di gioco degli esseri umani possono essere considerate delle varianti secondarie e terziarie del
processo primario del gioco attivo/fisico (fare la lotta). Gli umani adulti manifestano i propri impulsi di
gioco in diverse maniere. Lo scambio verbale, nella forma della provocazione amichevole, è il modo che
più si avvicina ai contatti dorsali e agli attacchi del gioco fisico. Infatti, nell’avvicendarsi del “botta e
risposta”, può capitare che, di fronte alla risposta più intelligente di uno, ci siano scrosci di risate tra i più
giovani e ridacchiamenti tra i più anziani. È comune che, tra gli individui che partecipano a questo
scambio verbale, s’instauri uno speciale legame di rispetto e amicizia, quando entrambi sono soddisfatti
del modo in cui ciascuno si è misurato con l’altro.
Negli esseri umani, la risata è spesso collegata all’umore o alla complessità cognitiva, mentre nei bambini
e negli animali, è più collegata alla fisicità.
La connessione tra la risata umana e quella di altri mammiferi non è supportata solo da ricerche
comportamentali, ma anche da studi fisioanatomici che hanno mappato il circuito della risata nei ratti,
attraverso la stimolazione cerebrale localizzata, per suscitare i suoni acuti e caratteristici tipo risata alla
frequenza di 50 kHz. Il circuito collegato al riso corre lungo il sistema della RICERCA mesolimbico ed è
fortemente controllato dalla dopamina.
I risultati di numerose ricerche suggeriscono che le regioni cerebrali, associate alla risata nei ratti,
giochino un ruolo importante anche nel generare la risata umana. La risata, come la giocosità, è una
risposta istintiva incondizionata che scaturisce, in presenza di determinati fattori ambientali e sociali,
dalle regioni antiche del cervello mammifero. La risata non è imparata per imitazione, poiché i bambini
ciechi e sordi ridono prontamente.
La risata è spesso utilizzata a fini competitivi, forse anche aggressivi, poiché può essere usata per
infliggere dolore emotivo al rivale. Le ricerche delle neuroscienze suggeriscono che le risate al servizio
dell’aggressione non siano un aspetto intrinseco del sistema del GIOCO del processo primario, ma di
processi secondari o terziari
La neurochimica del gioco
Gli studi sulle immagini cerebrali hanno evidenziato che durante l’attività di gioco si verifica un diffuso
rilascio di oppioidi endogeni, in particolare di endorfina, nel sistema nervoso, soprattutto nell’area
preottica che governa i comportamenti sessuali e materni.
È facile influenzare il gioco attraverso manipolazioni farmacologiche, in particolare, si è visto che è
possibile promuovere il gioco, la dominanza sociale e anche la dominanza nel gioco, somministrando
basse dosi di stimolanti dei recettori oppiacei, come la morfina, che facilitano la vittoria nelle
competizioni ludiche, in quanto suscitano sentimenti di fiducia sociale nel soggetto che ha ricevuto la
manipolazione farmacologica. Al contrario, la somministrazione di antagonisti dei recettori oppiacei,
come il naloxone, genera un senso di maggior bisogno sociale e quindi d’insicurezza, che induce uno
svantaggio emotivo, rendendo più probabile la sconfitta.
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In particolare, si è visto che l’ossitocina e il CFR riducono il gioco attivo. La giocosità può ridurre i sintomi
depressivi e rafforzare aree cerebrali danneggiate dallo stress. In sintesi, il sistema del GIOCO è un
processo gratificante del cervello e le chimiche cerebrali sono importanti nella generazione delle
gratifiche sociali. In particolare, sembrano importanti gli oppioidi endogeni secreti durante il gioco e,
molto probabilmente, anche la dopamina partecipa agli aspetti euforici del gioco.
Infine, i cannabinoidi endogeni sono parte del pacchetto di ricompensa del gioco.
Le funzioni sociali del gioco
Il gioco sembrerebbe avere funzioni sociali e non-sociali. Tra le funzioni sociali troviamo
l’apprendimento di abilità che facilitino il legame e la cooperazione sociale e che promuovano
l’appartenenza sociale e la leadership, nonché la capacità di comunicare efficacemente.
Sicuramente il gioco aumenta le possibilità riproduttive, infatti, gli animali che hanno avuto maggiori
esperienze di gioco durante la fase giovanile, dimostrano un vantaggio nella competizione per l’accesso
alle opportunità riproduttive, rispetto a quelli con scarso gioco giovanile.
Un’altra funzione del gioco sembrerebbe essere quella di facilitare i rapporti di amicizia, creando le basi
per una futura alleanza, cooperazione sociale ed empatia.
La deprivazione di gioco rende i soggetti più timorosi e aggressivi e meno creativi socialmente.
Gioco e maturazione cognitivo del cervello
Le ricerche indicano che il gioco sociale attiva i fattori di crescita neuronale in alcune zone del cervello,
ad esempio, nella corteccia frontale e nell’amigdala. Le analisi sull’espressione genetica cerebrale
indicano che l’attività di circa un terzo dei geni cerebrali, individuati nelle regioni corticali frontali, sono
modificate dal gioco. I cambiamenti che scaturiscono dal gioco facilitano la crescita e la maturazione del
cervello, attraverso la creazione epigenetica di circuiti pro-sociali.
Il gioco può aiutare a sviluppare e programmare la neocorteccia. Durante il gioco, i bambini si trovano a
fronteggiare sentimenti emotivi contrastanti che possono condurre a situazioni di relativa dominanza
sociale o di sottomissione. La supervisione degli adulti, durante questi particolari momenti, è
un’occasione straordinaria per l’apprendimento di comportamenti positivi pro-sociali e per lo sviluppo
sociale del bambino.
Genitori ansiosi, madri iperprotettive, mancanza di fiducia nelle capacità dei bambini o dei ragazzi,
possono facilmente portare a un’inibizione o a un eccessivo controllo cognitivo del sistema del GIOCO.
Il legame esistente tra l’eccitazione del gioco, lo sviluppo mentale e i cambiamenti epigenetici dei
percorsi sociali neuronali, accende i riflettori sugli effetti deleteri che la somministrazione prolungata di
psicofarmaci può avere sullo sviluppo della personalità di un bambino e sulle modalità con cui il gioco
programma la neocorteccia. Il fatto che la somministrazione di psicofarmaci riduca sia il gioco, sia i
sintomi d’iperattività, implica uno stretto legame tra il sistema del gioco e l’ADHD. Non sempre alla
diagnosi di ADHD corrisponde un deficit anatomico e funzionale delle funzioni esecutive del lobo
frontale: si può essere in presenza di un eccesivo impulso all’attività ludica, non conforme ai dettami di
controllo familiare e di regole sociali. In questo caso, la somministrazione di psicofarmaci non migliora
l’attenzione e l’apprendimento e non riduce l’eccessiva emotività.
Il lavoro condotto sugli animali ha evidenziato che un’adeguata quantità di gioco giornaliero è in grado di
ridurre i comportamenti impulsivi nei giovani ratti e può rendere gli animali adulti meno aggressivi e
diffidenti. L’aggressione patologica negli esseri umani, spesso deriva da un’infanzia in cui la giocosità è
stata scarsa. I circuiti del gioco sono comunque indipendenti da quelli dell’aggressione. Il gioco insegna
alle persone e agli animali come andare d’accordo con gli altri. I bambini potrebbero imparare a
controllare meglio se stessi in classe, con migliori risultati nell’apprendimento, se iniziassero la giornata
con mezz’ora di attività ludica. Il gioco, se ben inserito nei sistemi educativi, soprattutto a livello
prescolastico e scolastico, sarebbe in grado di ridurre le diagnosi di ADHD.
Effetti sociali positivi
Il desiderio di giocare, se ben alimentato, aiuta a sviluppare nel bambino la competenza sociale e
l’indipendenza dal nucleo familiare. Il gioco affina la sensibilità ai bisogni emotivi e ai desideri degli altri,
permettendo ai bambini di maturare e assumere atteggiamenti funzionali fuori dal contesto familiare.
Attraverso il gioco, il bambino può imparare a sentirsi felice, grande, autosufficiente e capace, ad
accrescere la sua autostima e le forme di amicizia verso gli altri. Le attività ludiche creano individui
adulti soddisfatti e sono in grado di prevenire le patologie depressive.
99
I bambini che hanno una minore capacità di giocare, spesso appaiono depressi e invidiosi degli altri
bambini. Nei casi in cui i bambini non abbiano un regolare compagno di giochi, è opportuno che i genitori
si assicurino che il bambino faccia dell’attività ludica fisica quotidianamente.
Considerazioni finali sul gioco
Le ricerche recenti suggeriscono che il sistema del gioco sia particolarmente importante nello sviluppo
epigenetico e nella maturazione della neocorteccia. Una maggiore comprensione di questo sistema
potrebbe contenere la spiegazione di alcuni problemi emotivi dell’infanzia. Il riconoscimento universale
del diritto di giocare di un bambino può aiutare a sviluppare forme sociali e ad adottare politiche
educative più sagge nel futuro. Un bambino che è stato privato del gioco ha più probabilità, non solo di
ricevere una diagnosi di ADHD, ma anche di diventare un adulto solitario. Ovviamente, i tratti della
personalità umana sono il risultato di un processo multifattoriale, ma la mancanza di un legame sicuro
infantile, nonché la mancanza di gioco, sicuramente contribuiscono a sviluppare aspetti di irritabilità e
aggressione negli adulti. Visto il ruolo del gioco nel promuovere il benessere e la salute mentale del
bambino, appare sensato, per la società, creare le condizioni attraverso le quali i bambini possano
realmente giocare, durante gli anni della loro infanzia.
Il sistema della FANTASIA, il sogno e la neuropersonalità endorfinica
Il sistema della FANTASIA rappresenta la componente più alta ed evoluta del sistema del GIOCO ed è
collegato ai valori più creativi e immaginativi del Sé (corteccia frontale). Questo sistema è attivato
dall’endorfina e costituisce una delle basi della neuropersonalità endorfinica, caratterizzata da
comportamenti orientati alle emozioni di soddisfazione globale, benessere e serenità.
Sembra probabile che il gioco e il sogno siano processi che permettono al Sé di immaginare e anticipare
esperienze in divenire, cioè che consentano, sia agli animali sia alle persone, di sperimentare soluzioni a
problemi complessi e quindi prepararsi a fronteggiare in modo funzionale le sfide future della vita reale.
Il sistema della FANTASIA, nei bambini e negli adulti, probabilmente permette anche una visione
propositiva e creativa del futuro, sia nelle relazioni, sia nel lavoro. Sognare la propria vita futura di
coppia o di realizzare progetti, nasce da questa base cognitiva della FANTASIA.
Solms (1995) ha evidenziato come le strutture limbiche anteriori siano implicate nella regolazione
affettiva dei sogni: se tale regolazione fallisce abbiamo fenomeni quali: sonno agitato, risvegli, incubi.
I due principali stati del sonno sono: il sonno a onde lente, o sonno non REM, senza sogni, e il sonno REM
in cui gli animali e le persone sognano. Il sonno REM e il sogno sono due meccanismi cerebrali distinti,
anche se ben coordinati. Durante il sonno REM si verifica un rilassamento muscolare diffuso in tutto il
corpo che consente agli animali di non agire i loro sogni. Al tempo stesso, si verificano delle piccole
scosse muscolari delle dita, delle labbra, del naso, nonché il rapido movimento degli occhi. Le strutture
cerebrali che generano il sonno a onde lente (SWS Slow Waves Sleep), lo stato di veglia e il sonno REM, si
trovano nel tronco del cervello, disposte a profondità differenti. I meccanismi di SWS risiedono nella
parte più alta del tronco, mentre i meccanismi di veglia sono un po’ più in basso e i generatori del sonno
REM si trovano ancora più in basso. Le prove sembrano evidenziare che l’esperienza del sogno derivi da
regioni cerebrali più alte, rispetto a quelle del sonno REM e che la dopamina, mediata dal sistema della
RICERCA, abbia un ruolo fondamentale nella generazione del sogno.
Affinché le regioni cerebrali cognitive superiori diventino utili
per l’apprendimento e il pensiero, è necessario che la persona
possa “esercitare” le proprie emozioni riguardanti le diverse
criticità della vita, nella sicurezza del sogno, durante il sonno.
Il sonno REM è stato sperimentalmente dimostrato nei
mammiferi ma non nei rettili.
L’evoluzione cerebrale dei mammiferi verso una sofisticazione
cognitiva, richiede la costruzione di sistemi di eccitazione che
regolano gli stati di veglia, dal talamo alla neocorteccia, come un
sistema che inibisce l’emozionalità mentale semplice. I sistemi
che eccitano la corteccia includono la dopamina, la serotonina, la noradrenalina e l’acetilcolina.
Eccessi del sistema del GIOCO/FANTASIA Il sistema della FANTASIA e la sua carica endorfinica e
dopaminica possono facilmente diventare un rifugio per coloro che non riescono a godersi il piacere e la
realtà del vivere quotidiano che si rifugiano nel sogno e nelle fantasie e, a volte, come nelle psicosi,
finiscono per non essere più in grado di discriminare tra immaginazione e realtà.
100
Scheda ANANDAMIDE
L'anandamide, o arachidonoiletanolammide (AEA), fa parte di una nuova classe di mediatori lipidici, ad
azione prevalentemente autocrina e paracrina, collettivamente noti come endocannabinoidi.
L'AEA è un neuro-modulatore che mima gli effetti dei composti psicoattivi presenti nella cannabis, noti
come cannabinoidi. Questo composto, il cui nome deriva dal sanscrito ānanda, beatitudine interiore, è
stato isolato e caratterizzato dal chimico ceco Lumír Ondřej Hanuš e dal farmacologo americano William
Anthony Devane nel laboratorio di Raphael Mechoulam dell'Università di Gerusalemme nel 1992.
IL SISTEMA DELLA SODDISFAZIONE E DELLA SPIRITUALITÀ
E LA NEUROPERSONALITÀ ENDORFINICA
L’endorfina e neuropersonalità endorfinica
Benchè Panksepp consideri il sistema endorfinico della FANTASIA (DREAM LIKE) insieme al sistema del
GIOCO, noi riteniamo che, per la sua funzione psicosomatica altamente specifica e la sua vastissima
innervazione e il sistema endorfinico debba essere visto come un sistema a Sé. A sostegno della nostra
tesi osserviamo che nell’Affective Neuroscience Personality Scale (ANPS) Panksepp collega il sistema
endorfinico alla scala della SPIRITUALITÀ.
L’endorfina, o meglio le endorfine, sono sostanze chimiche fondamentali prodotte dal cervello che
sostengono il Sé, attivando il senso di benessere globale, soddisfazione, autostima e proteggono il Sé da
eccessivo dolore e fatica, attivando la loro potente attività analgesica. Candice Pert, la scopritrice delle
endorfine, riteneva che fossero i principali mediatori delle esperienze profonde come la bellezza, l’unità,
la conoscenza, la meditazione e la spiritualità (Pert, 1999). Candace Pert chiamava le endorfine “le
sostanze chimiche della beatitudine” o “le molecole di coscienza”. L’endorfina regola l’umore e genera il
senso di piacere, gratificazione, felicità e di appagamento durante la meditazione, l’orgasmo, il relax e
l’induzione al sonno. L’endorfina è la molecola che genera un senso di estasi profonda, legata agli stati di
esperienza interiore.
La neuropersonalità endorfinica è tendenzialmente pacifica, serena, armonica, sopporta il dolore e cerca
il piacere globale profondo, sia fisico, sia spirituale e la soddisfazione che emerge dall’equilibrio delle
varie neuropersonalità, ossia dall’armonica funzionalità delle energie psicosomatiche che sostengono
l’unità del Sé.
L’endorfina si attiva durante le relazioni armoniose e amichevoli (ossitocina), col rilassamento
(serotonina), con la meditazione e con l’orgasmo.
L’endorfina diminuisce leggermente l’effetto degli ormoni sessuali riducendo la libido più aggressiva, a
favore di una sessualità più amorevole e profonda.
Per molti versi l’endorfina può essere considerata la molecola più “spirituale”, legata all’esperienza del Sé,
dell’anima e anche la neuropersonalità a essa associata gode delle stesse caratteristiche qualità.
Per queste ragioni scientifiche, psicosomatiche e psicologiche, ci ritroviamo a considerare l’endorfina
come il neurotrasmettitore del sistema della SODDISFAZIONE GLOBALE o della SPIRITUALITÀ.
Proteggere il Sé dal dolore
L’endorfina, letteralmente “morfina endogena”, esplica un’azione simile alla morfina e ad altre sostanze
oppiacee, preservando il Sé dall’eccessivo dolore, stress o fatica. L’endorfina aumenta nello stress, nelle
emozioni negative e fino al 500% nello sforzo muscolare intenso, generando il fenomeno chiamato
“runner’s hight” o “sballo del corridore” che consiste in uno stato di euforia e soddisfazione. In differenti
condizioni può procurare sia uno stato di euforia, sia di sonnolenza.
È attiva nella regolazione del sonno, del ciclo mestruale, dell’attività gastrointestinale, della
termoregolazione, dell’appetito.
Le endorfine sono sintetizzate anche nell’ipofisi, nei surreni e in alcuni tratti dell’apparato digerente:
questi peptidi hanno i loro recettori in varie zone del sistema nervoso centrale, principalmente nelle aree
deputate alla percezione del dolore e del piacere. Importante è la loro presenza nelle strutture del
101
sistema limbico che spiega l’influenza dell’endorfina sui comportamenti e sulla risonanza psichica delle
emozioni (Pert, 2007).
Le sensazioni di dolore psicologico e di solitudine sono attivate da alti livelli di CRF, l’ormone precursore
dello stress e da una mancanza di endorfine. Quando le persone e gli animali hanno alti livelli di oppioidi
endogeni sperimentano situazioni affettive positive e comfort esattamente come se fossero in compagnia
di buoni amici o di persone amate. Se le endorfine sono basse e il CFR alto si genera un sentimento di
solitudine, di malessere, fino alla percezione di sentirsi miserabili. Una scarsità di endorfina attiva il
sistema della RICERCA che spinge persone e animali a cercare compagnia e socializzazione.
La dipendenza da alcune droghe, come l’eroina, si spiega proprio nella carente produzione endogena di
endorfine. All’interno del nostro organismo, l’eroina o la cannabis si sostituiscono al ruolo naturale di
queste sostanze, saturandone i recettori e inibendone la produzione. Oltre ad aumentare la tolleranza al
dolore, le endorfine sono coinvolte nel senso di benessere ed appagamento che insorge al termine di un
rapporto sessuale, nel controllo dell’appetito e dell’attività gastrointestinale, nella termoregolazione,
nella regolazione del sonno, nella regolazione dell’umore, nella regolazione del ciclo mestruale. La
regolazione dell’umore è probabilmente la proprietà più importante: il rilascio di endorfine provoca un
senso di benessere e di serenità, di maggiore soddisfazione ed autostima, aiutandoci a sopportare meglio
lo stress, gli stati di affaticamento e il dolore fisico.
Scheda endorfina
Info generali Le endorfine sono sostanze chimiche prodotte dal cervello e dotate di una potente attività
analgesica e di attivazione del senso di benessere, soddisfazione, autostima. La loro azione è simile alla
morfina e ad altre sostanze oppiacee. Le endorfine sono sintetizzate anche nell’ipofisi, nei surreni e in
alcuni tratti dell’apparato digerente: questi peptidi hanno i loro recettori in varie zone del sistema
nervoso centrale dove si concentrano soprattutto nelle aree deputate alla percezione del dolore e del
piacere. Importante è la loro presenza nelle strutture del sistema limbico e questo spiega l’influenza sui
comportamenti e sulla risonanza psichica delle emozioni. (Pert 2007).
Meditazione: la meditazione aumenta considerevolmente l’endorfina.
Conclusioni etiche
I sistemi emotivi rappresentano la base scientifica che ci permette di comprendere il profondo senso di
vicinanza e di empatia che proviamo con gli altri esseri umani ma anche con gli animali e gli esseri
viventi in generale.
La questione se altri animali sentano internamente le stesse esperienze umane ha vessato la scienza del
comportamento animale dal suo inizio. Vi sono ora evidenti prove sperimentali, che indicano, oltre ogni
ragionevole dubbio di antropomorfizzazione, come tutti i mammiferi abbiano analoghe reti neuro-
emotive, con simili valenze negative e positive, concentrate in omologhe regioni cerebrali che mediano le
esperienze affettive, quando gli animali sono emotivamente attivati.
102
I SISTEMI EMOTIVI E IL SÉ COGNITIVO-MENTALE
Nell’essere umano tutti i sistemi emotivi producono profondi effetti e interazioni sui sistemi cognitivi
neocorticali.
I sistemi emotivi e umani
Concludiamo l’esposizione dei sistemi emotivi con la descrizione di due sistemi evolutivamente più
recenti, che sono maggiormente legati alle facoltà e alle attività cognitive prettamente umane.
Il sistema noradrenalinico dell’ATTENZIONE-ATTIVAZIONE e il sistema della FANTASIA-
SODDISFAZIONE mediato dalle endorfine. Come di vede nell’immagine ** questi due sistemi sono
rappresentati nella parte superiore della mappa Neuropsicosomatica. A sinistra il sistema
noradrenalinico dell’ATTENZIONE-ATTIVAZIONE fortemente caratterizzato all’attivazione del sistema
simpatico e dell’emisfero razionale-verbale del cervello neocorticale, e a destra il sistema endorfinico
della FANTASIA-SOGNO legato all’attivazione del sistema parasimpatico e dell’emisfero intuitivo-
creativo. Le funzioni dell’endorfina tuttavia non si possono ridurre a questa specifica funzione cognitiva,
per quanto importante essa sia nella vita umana, ma sembrano essere ben più vaste e profonde , per
questa ragione, nella parte superiore centrale della mappa abbiamo inserito un’area specifica della
finzione endorfinica della SODDISFAZIONE-SPIRITUALITÀ che, come la serotonina, rappresenta un
elemento di base nella gestione del piacere di esistere e che è in costante relazione siua con la
componente attiva-razionale che con la componente intuitiva-artistica.
103
NEL SECONDO VOLUME SARANNO TRATTATE
LE BASI CLINICHE DELLA NEUROPSICOSOMATICA
1. CAPITOLO SETTIMO: LO STRESS E I SISTEMI DI DIFESA DEL SÉ PSICOSOMATICO
2. CAPITOLO SETTIMO: LA GENESI DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI
1. CAPITOLO NONO: I DISTURBI PSICOSOMATICI DELLE NEUROPERSONALITÀ E DEI SISTEMI
EMOTIVI
2. CAPITOLO DECIMO: I DISTURBI DEL SÉ, I TRAUMI E I BLOCCHI PSICOSOMATICI PROFONDI
3. CAPITOLO UNDICESIMO: IL “PROTOCOLLO MINDFULNESS PSICOSOMATICA” E LE BASI
DELLA TERAPIA COME CRESCITA PERSONALE
4. BIBLIOGRAFIA
104
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