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GUIDO CERONETTI

TRAFITTURE DI TENEREZZA
POESIA TRADOTTA 1963-2008

GIULIO EINAUDI EDITORE

In coro con me cantate:


Sapere, nulla sappiamo.
Arcano, il mare da cui veniamo.
Ignoto il mare in cui finiremo.
Posto tra i due misteri
v
E il grave enigma: tre
Casse che chiuse una perduta chiave.
La luce nulla illumina,
Il sapiente nulla insegna.
La parola dice qualcosa ?
L'acqua, alla pietra, dice qualcosa?
Questa piccola antologia personale di traduzioni in versi, esi-
gua raccolta di frammenti e di schegge, se sarà presa per quel
che vuol dire, dovrebbe essere accolta come aiuto a pensare, la
bellezza della parola e dell'immagine invaselinando l'accesso
difficile al sepolcrale segreto dei mondi che il verso contiene.
E aiuto al pensare vale viatico consolamentale per chi vive e
patisce, per l'indicibile sofferenza che tutti ci infradicia e ugua-
glia, per chi conscia-o-inconsciamente lancia nell'etere miti e
muti e prolungati s.o.s. Il titolo che ho trovato è facile da com-
prendere: la tenerezza è rara è moneta fuori corso nell'indistin-
guibilità pan-tecnologica, e nello stupore del riceverne in un pu-
gno di versi c'è qualcosa di specialmente strano, che somiglia a
una trafittura. [...] Ho pescato nel fiume di quel che ho fatto e
dato in mezzo secolo di pubblicazioni, dal latino, greco antico
e dimotiki, ebraico biblico e lingue moderne [...], ma dalle mie
carte molti inediti sono emersi, li ho restaurati e una parte è
edita per la prima volta qui.
Dall'introduzione dell'autore

Guido Ceronetti è nato a Torino nel 1927. Vive in Toscana.


Per Einaudi, in versi, ha pubblicato Compassioni e disperazioni.
Tutte le poesie 1946-1986, e ha tradotto I Salmi, Qohélet, Ca-
tullo, Marziale e Giovenale.

ISBN 978-88-06-19390-4

€ 12,00 9
COLLEZIONE DI POESIA

371.
© 2008 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
www.einaudi.it

ISBN 978-88-06-19390-4
G u i d o Ceronetti

TRAFITTURE
DI TENEREZZA
POESIA TRADOTTA
1963-2008

Giulio Einaudi editore


La mia lunga vita di lavoro mentale è stata largamente
occupata dalla traduzione in versi, un modo non disonesto
di guadagnarmi il pane e un'investitura separatrice. Vedo
chiaro adesso che il mio non è stato soltanto tradurre per l'e-
ditoria dei testi da alcune lingue a questa nostra italiana og-
gi in perdizione quanto un febbrile e ininterrotto filosofa-
re, interpretare, girare e rigirare per i meandri di un'asceti-
ca filologia.
Alcuni nodi credo averli sciolti, di molti ho almeno un
poco rischiarato la tenebra abbagliatrice. Non per nulla mi
riconosco nel Tarocco N. 9, l'Eremita, che nel meraviglio-
so tarocco di Oswald Wirth alza all'altezza degli occhi la lan-
terna mentre procede a piccoli passi con un bastone bianco
da cieco, e un serpente lo guida, incarnazione simbolica del-
la lettera ebraica Tet, che corrisponde alla carta: la poesia è
la res cogitans della stessa vita, oscura necessariamente, bi-
sognosa di sforzi di diradamento, di generazione in genera-
zione.
Perciò questa piccola antologia personale di traduzioni in
versi, esigua raccolta di frammenti e di schegge, se sarà pre-
sa per quel che vuol dire, dovrebbe essere accolta come un
aiuto a pensare, la bellezza della parola e dell'immagine inva-
selinando l'accesso difficile al sepolcrale segreto dei mondi
che il verso contiene. E aiuto al pensare vale viatico conso-
lamentale per chi vive e patisce, per l'indicibile sofferenza
che tutti ci infradicia e uguaglia, per chi conscia-o-inconscia-
mente lancia nell'etere miti e muti e prolungati s.o.s. Il titolo
che ho trovato è facile da comprendere: la tenerezza è rara, è
moneta fuori corso nell'indistinguibilità pan-tecnologica, e nel-
lo stupore del riceverne in un pugno di versi c'è qualcosa di
specialmente strano, che somiglia a una trafittura.
INTRODUZIONE VI

L'artista che traduce medita. I testi sono stati il mio cu-


scino della posizione del Loto. Nulla è stato a caso... L'arti-
sta meditante pone il corpo del testo in spartiti. L'originale
ha la sua propria musica: l'errore degli errori è di volgere in
altra lingua il senso, la lettera stessa, privandoli di musica,
necessariamente altra. Duplice è questo ri-creare: interpre-
tare, scavando nelle parole, e dare suoni di tenera persuasi-
vità. E se poca musica ci fosse nel testo originale, il tradut-
tore che nel proprio linguaggio non gliene aggiunga è medio-
cre, privo di merito. Lavoriamo anche per un compenso, ma
senza mai dimenticare che stiamo celebrando un rito sono-
ro ad un invisibile altare.
Molto è qui l'edito, ho pescato nel fiume di quel che ho
fatto e dato in mezzo secolo di pubblicazioni, da latino, gre-
co antico e dimotiki, ebraico biblico e lingue moderne, co-
me l'Editore desiderava, ma dalle mie carte molti inediti so-
no emersi, li ho restaurati e una parte è edita per la prima
volta qui.
Tenerezza, permeabilità impervia della parola umana in-
carnatasi nei poeti autentici, gli inconfondibili, dànno a chi
vorrà seguirci in queste pagine l'occasione di una meditazio-
ne solitaria e corale in una locanda aperta visitata dal pleni-
lunio, loìn de la joule impure, allontanando per un momen-
to il ruggito notturno incessante delle disperazioni umane.
GUIDO CERONETTI
TRAFITTURE DI TENEREZZA

SUNT LACRYMAE RERUM ET MENTEM MORTALIA TANGUNT

Nulla c'è che non pianga.


Vedersi in tante miserie si fa pensiero.
Eneide I, 462.
ERACLITO 3

Nascendo sono afferrati


Da una smania di vita
In cui la morte è scritta;
E i figli che per placarsi
Abbandonano alla vita
Altra non hanno sorte
Che generare morte

20 Diels-Kranz
ANTONIO M A C H A D O 4

Arcobaleno notturno

Verso Madrid, attraverso il Guadarrama


Va nella notte il treno;
In cielo è di acqua e luna
L'arcobaleno.
O h di aprile nitida luna
Che disperdi le bianche nubi !
Sul grembo custodisce
Il sonno del suo bambino
La madre.
Il bambino dorme,
Eppure verdi campagne
Vede passare e lievi
Nel sole d'alberi file,
Di farfalle dorate ali.
Buia la madre in viso
Vede braci raffreddate
E un fometto con ragnateli.
C ' è un Passeggero tragico
Dalle bizzarre visioni:
Parla da solo e se fissa
In noi lo sguardo noi più non siamo.
Io penso ai campi sotto la neve,
A pini d'altre montagne.
E tu - che il vedere ci hai dato,
Tu che vedi le anime, Signore,
Rispondi: ci hai chiamati
Tutti a vedere un giorno
La Faccia che ci nascondi ?

da Nuevas canciones
CONSTANTINOS K A V A F I S 5

Tomba di Iassís

Io Iassis giaccio qui.


Questa grande città mi celebrava
Come efebo bellissimo.
Per i pili gravi Sapienti e per la gente
Minuta, e la più anonima, un oggetto
Di meraviglia fui. Io ne raggiavo
In modo uguale, da qualunque parte
L'omaggio mi venisse

Ma essere per tutti, senza misura,


Un Ermete e un Narcisso mi fu fatale;
Dagli abusi consunto perivo.
O tu che passi, se di Alessandria sei
Non mi giudicherai !
Tu la rapina della nostra vita
Conosci: e come bruci, e quali
Eccessi attinga, il piacere
ALFRED DÒBLIN 6

Franz urla.
Urla Franz, striscia e urla.
Urla tutta la notte. E venuto marciando, Franz.
Urla nel giorno.
Urla nel mattino.
OSCILLA CADE SQUARCIA
Urla nel mezzogiorno.
Urla nel pomeriggio.
OSCILLA CADE SQUARCIA
Urla nella sera, nella sera. La notte viene.
Urla nella notte, Franz, nella notte.

Pezzo per pezzo il suo corpo è tagliato.


La scure vortica in aria.
Lampeggia e cade.
OSCILLA CADE SQUARCIA
Centimetro per centimetro è fatto a pezzi.

da Berlin Alexanderplatz, libro I X


ANTONIN A R T A U D 7

I Cenci

Io lego a te, come in un vecchio làscito,


Le parole di questa musica
Che del male di vivere guariscono.

Come un dormiente che sperduto brancola


E nelle tenebre di un sogno atroce
Più della stessa morte
Teme riaprire la palpebra
Sapendo che consentire a vivere
E esser persi per il risveglio,

Questa mia anima stigmatizzata


Dalle tare che su v'impresse
La vita, io LA RIGETTO
Verso il Dio che m'ha fatta
Come un incendio che lo guarisca
Di creare.

atto IV, scena m


JOYCE MANSOUR 8

Io chiedo un pane,
Un pane fatto di pietà.
Chiedo del vino.
Non voglio più il mio male.
Liberami dal tempo morto
Che mi pesa sul seno,
Che striscia tra le mie gambe
Fondendosi.
Dammi velluto, miele, bronzo
E io costruirò un idolo.
E forse pregherò
Domani.
GUILLAUME APOLLINAIRE 9

Ascolta se piova ascolta,


poi ascoltatela cadere, soldati -
la pioggia... brancicanti
e sperduti soldati
in mezzo ai reticolati,
sotto la liquida luna delle Fiandre,
in agonia sotto la fine pioggia
la pioggia cosi dolce cosi tenera

Con l'orizzonte vi confondete


esseri di bellezza, enti invisibili,
sotto la pioggia fine, la pioggia
cosi tenera, la pioggia
cosi dolce...

da Calligrammes
WILFRED OWEN I

Un amore più grande

O h pietre che il bacio arrossa


Dei morti inglesi, nessuna
Bocca è di voi più rossa! E spudorata
Parrà anche la più casta intimità
Tra amanti e fidanzate:
Tanta più in loro è purità d'amore

Se guardo questi occhi fatti ciechi


Dei tuoi svanisce, Amore, l'invincibilità.
Manca al vibrare della tua forma gracile
La grazia di queste membra pugnalate
Che rotolando e rotolando vanno
Nell'impassibile dimenticanza di Dio
E immobilizza in una suprema
Vecchiaia di cadavere il profondo
Slancio del loro amore

Sia pure vento che sussurra


Fra le travi del fienile la tua
Cara voce: non suona
Cosi teneramente, non ha il nitore
E la soavità crepuscolari
Della loro, perduto suono.
Povere bocche tossicchianti, terra
Ora le tura

Né mai tu fosti cosi ardente, cuore,


Cosi gonfio d'immenso come i cuori
Che le cariche fanno scoppiare;
Delle tue mani vincono il biancore
Amore quelle pallide abbrancate
Tra il grandinante fuoco alla tua croce
II

Mani. E tu piangi, Amore:


Piangerli ti è concesso, lontani
Ormai dalla tua presa
12

Dal secondo libro di Samuele

Questo che pianse David compianto


Sopra Saul e Gionata suo figlio
Fu nel Libro del Giusto tramandato
Come qinàh dell'Arco,
E ai figli di Giuda prescrisse
L'apprendessero

- A h gloria d'Israel
Colpita a morte sulle tue alture!
Ma gli Eroi come
Perché sono caduti ?
Non gridatelo in Gat
Non divulgatelo ai crocicchi in Asqalòn!
Troppo il tripudio sarebbe
Delle figlie dei Filistim !
Delle figlie dei Prepuzi
Troppo trionfale il grido !
O moq|i di Ghilboa mai più rugiade
Piogge mai più vi bagnino
Mai più sopra di voi campagna in fiore
Perché là fu umiliato
Lo scudo degli Eroi!
Non di grasso era unto
Lo scudo di Saul
Lo ungeva il sangue dei travolti
Il midollo dei forti
O arco di Gionata!
Mai un colpo mancato
O spada di Saùl!
Mai sei rientrata asciutta
Amatissimi deliziosi
Saùl e Gionata sempre
In vita e in morte indisgiunti
Vincevano le aquile nel volo
In valentia i leoni

Piangete su Saul o figlie d'Israel!


Vi parava di porpora il suo fasto
Innalzava la vostra veste
In una luce d'oro
Ma come ma perché
Gli Eroi sono caduti ?
Nel cuore della mischia cadde Gionata
Colpito a morte sulle tue alture
Ahi come in me tu duoli Gionata
Fratello mio
Immensamente a me caro!
E quanto più nel tuo amore
C'era per me del meraviglioso
Che nel possesso delle donne!
Ma come ma perché
Gli Eroi sono caduti
E sulle armi da guerra si è abbattuta
Rovina ? -

Shemuèlbet, capitolo i , 17-27


MIGUEL HERNÁNDEZ I

Il treno dei feriti

Naufraga nelle gole che sigilla


La notte mai cessando di esser muto
Neppure se trafitto, quel silenzio:
Parla la lingua sommersa dei morti.
Ha nell'ovatta le sue vie profonde,
Imbavaglia le ruote, i quadranti,
Secca al mare la voce, alla colomba,
Traumatizza la notte, le visioni.
Treno piovoso del facile sangue
Fragile treno dei dissanguati
Treno dolente, pallido, raccolto,
Treno dei patimenti e del ritegno,
Dove il biancore della morte incalza
Invadendo la voce, i battiti,
Il lamento, la terra, i volti, il petto
Dei feriti che ebbero mortale
La ferita. Di gambe e braccia e occhi
Buttando via se stessi a brano a brano
Tutto il treno i feriti hanno cosparso;
Dietro si lascia una Via Lattea amara
Una costellazione di membra in fuga.
Rauco treno sanguigno, senza forze:
Il carbone agonizza, il fumo ha gemiti,
Una madre la macchina è che anela
Che scoraggiata arranca, riluttando.
Vorrebbe in qualche galleria fermarsi
Per singhiozzare in pace e solo c'è
La tetta o l'ospedale per dar fiato.
Un solo pezzo basta a fare un vivo
Un residuo di carne un uomo intero.
Un dito solo, un'ala mutilata
E tutto il corpo ritrova il suo volo.
15

Fermatelo quel treno in agonia


Che corre in una notte senza fine,
Strenuo cavallo perso dagli zoccoli
Col respiro insabbiato.

da Elbombre acecha
RACINE I

Fedra

Lo vidi, ed avvampai, e mi sbiancai;


L'anima mia smarrita fu travolta.
Gli occhi oscurati, la lingua tronca,
Tutto di ghiaccio il corpo, tutto di fuoco.
Conobbi gli ineludibili tormenti
Dì un sangue che Venere ha di mira,
E i furori di lei, terribili.
Con religiose assiduità tentai
Di stornarli da me; innalzato
Alla Dea un tempio, magnifico
Resolo le mie cure, un perpetuo
Palpitarmi di vittime immolate
Intorno, nei loro visceri la mia
Persa ragione cercavo.
Rimedi inefficaci ! Mia passione incurabile !
Bruciavo invano incensi sugli altari

E subito risanguinò la mia ferita!


Un fuoco non è più, che stia acquattato
Nelle mie vene, è l'infinita Venere
Sbranante la sua preda. E un crimine,
Il mio: mi fa paura; e mi odio,
Questa mia fiamma mi riempie di orrore !
Morire, per non estinguere
Ogni mia gloria, volevo; per far sparire
Dalla luce del giorno un cosi nero incendio;
Ma ho ceduto ai tuoi pianti...

Io io ti avrei soccorso! Io ti avrei


Tra i meandri del Labirinto
Indicato la via! E preziosa
Ti sarei stata...
i7

Oh testa da vertigini ! Quante premure


Avrei speso per te... Quel filo, solo,
Non avrebbe attenuato alla tua amante
L'angoscia.
Il pericolo che tu correvi, tutto
Io l'avrei condiviso: e precedendoti
Mi sarei inoltrata.

Nel Labirinto con te discesa


Si sarebbe con te Fedra salvata,
Si sarebbe con te perduta

atto I, scena in
SEFERIS 18

In scena

Pieno meriggio. Chi ha udito


Il coltello sfregato sulla mola ?
L'uomo a cavallo, arrivato con l'esca
E la torcia incendiaria, chi era ?
Lavarsi di ciascuno, per refrigerio,
Le mani

Ma la donna, chi l'ha sventrata ?


E il bambino, e la casa, chi?
Tra scalpito di zoccoli, l'uomo
Chi era, che fuggi via ?

Fumo. L'omicida? Mai stato.


Occhi che vedano non ce n'è più:
Aboliti. Nessuno
Sarà più testimone di qualcosa

da Tre Poemi Segreti


ANTONIO MACHADO 19

A Lister

Cuore che vigili, di Spagnolo indomito


Eroico Lister, nobile, forte pugno,
Di questa che in me duole morta carne
La tua lettera mi consola

Fragori sui campi iberici


Di lotta santa anche me, qui,
Con la tua lettera hanno raggiunto,
E tra odori di spari e rosmarino
Anche il mio cuore ritorna vivo

O mia parola, dove la marina


Conchiglia annuncia che l'Ebro arriva
E a quel freddo macigno da cui germina
Questa spagnola epigrafe, tu andrai:
- Pari al valore fosse
Della pistola tua di capitano
La penna mia, io morirei contento. -
20

Epitaffio di Eschilo

Eschilo di Euforione, ateniese,


Qui nella fertile di spighe Gela
Dove spari, è sepolto.
Tra i primi per bravura
Il bosco di Maratona lo ricorda
E il Medo ancora, dalle lunghe chiome.
W I L L I A M SHAKESPEARE

Re Lear

LEAR (rispondendo a Cordelia che domanda: -


figlie, queste sorelle, non le vedremo ?)

No, no, no, no! Vieni,


Prendiamo pure la via
Della prigione ! Come uccellini in gabbia
Soli, tu ed io, ci metteremo a cantare.
E quando tu mi dirai di benedirti
Io, in ginocchio, ti chiederò perdono.
La nostra vita sarà: pregare,
Cantare e raccontarci le vecchie storie -
E le farfalle dorate vedranno che sorridiamo.
E ascolteremo dai vagabondi
Le notizie di Corte, scambiando parole
Insieme a loro, anche noi...
Su chi vince e su chi perde,
Su chi è riuscito e su chi ha fallito,
E sul mistero dell'Essere - spie di Dio -
Ci concentreremo.
Daremo fondo a tutto, tra quelle mura,
E le leghe e le fazioni dei potenti
Cresceranno e caleranno col flutto
Sotto la luna.

atto V, scena III


PETER WEISS 22

Monologo di Carlotta Corday

Io, si, io lo conosco


L'istante in cui la testa
Si sradica dal tronco
L'istante
Delle mani legate dietro la schiena
Dei piedi legati
Del seno denudato
Dei capelli recisi;
L'istante del supplizio
Il levarsi e lo scorrere
Della mannaia obliqua
Lo sgocciolio del sangue sulla lama...
Ecco la testa è attaccata
Alla lunetta
E sul paniere insanguinato
Lo sguardo pende,
E poi la lama cade,
E ci tronca.
Si dice che la testa
Quando il boia col braccio teso
La mostra
Sia viva ancora:
Che gli occhi ancora vedano
Che la lingua si muova
E le gambe e le braccia
Percorrano sul palco
Lunghi tremiti.

dal Marat-Sade
WILLIAM BLAKE 23

La tigre

Tigre, tigre, oh bagliore


Nella notte, incendio che sei lume
Delle foreste, quale
Occhio o mano immortale
La simmetria della tua figura
Plasmò tutta paura ?

In quali abissi o cieli lontani


Si arroventò il fuoco dei tuoi occhi ?
Di quali ali ardisce avere il volo ?
Manipolano il tuo fuoco quali mani ?

E quale braccio artista, del tuo cuore


Torse le nervature ? Di Chi era
L'inesorata mano che lo estrasse
Dal profondo braciere palpitante ?
Quali piedi tremendi misurarono
Il tuo scheletro orripilante ?

Chi fu il tuo maglio? Chi la catena?


Quale altoforno colò la tua mente ?
Chi fu l'incudine, chi la stretta dura
Che di abbrancarvi non ebbe timore,
Micidiali terrori ?

Quando le picche furono scagliate


Giù dal cielo irrorato
Dai pianti delle stelle, il Forgiatore
Guardando la sua opera - sorrise ?
Fece l'agnello e te un solo Creatore?

Tigre, tigre, oh bagliore


Nella notte, incendio che sei lume
24

Delle foreste, quale


Occhio o mano immortale
La simmetria della tua figura
Plasmò tutta paura ?

Poems of the Notebook -


Songs of Hxperience
SAFFO

O Luna, già sei sparita... E voi, le Pleiadi,


Vi siete fatte smorte.
Più che mezza la notte è ormai trascorsa,
Quante ore partite. E io qui resto
Sola a dormire, a dormire sola

framm. libro IV, 74, Diehl


VIRGILIO

Ecloga IV

Del vaticinio cumano il tempo


Ultimo sta venendo! L'immane
Processione dei secoli ripiglia
L'originario moto; la Vergine ritorna,
Saturno torna a regnare:
Uomini generati in cielo
Ne discendono, ignoti.
Su questa nascita il tuo favore
Stendi, casta Lucina: sparirà
Nell'arco di questo infante la ferrigna
Umanità e in tutti i luoghi l'aurea
Subentrerà. Apollo tuo già regna.

vv. 4-10
KRACLITO 27

Il Fuoco verrà
Giudicherà ogni cosa
E la comprenderà

fr. 66 Walzer - Munier


26 Bywater
ELIOT

Quando discende tagliando l'aria


La colomba l'infiamma
Di una striscia rovente di terrore
Che unica proclamano
Alla colpa e all'errore
Le lingue, soluzione.
Il rogo - oppure il rogo:
Quale speranza solo ci è dato
Un designarsi disperato
A l genere di fuoco
In cui bruciare di redenzione

Autore del supplizio


E l'Infinito Amore.
Le mani che hanno ordito
L'intollerabile tunica di fiamme
Che mai l'umano sforzo
Saprà scollarsi di dosso,
Di Amore assunsero lo stravagante nome
Viviamo per servire
Di alimento al lamento,
Un fuoco o l'altro sempre ci consuma

da Four Quartets
WILLIAM SHAKESPEARE 29

Macbeth

Domani... poi domani... altri domani ancora...


E giorno dopo giorno, a piccoli passi,
Verso la sillaba che ultima
Sta scritta nel libro del Tempo,
Strisciamo.
E tutti i nostri ieri
A una processione di pazzi hanno fatto lume
Sulla via della morte e della polvere.
Piccola candela, su, spegniti!
Spegniti... Altro non è che un'ombra
Vagabonda - la vita...
Un povero attore come te, che si dimena
Sopra una scena, un'ora, e poi ne cessa
La voce...
Il raccontare di un idiota
Tra strida e scoppi di furore,
Privo di senso - un niente.

atto V, scena v
W I L L I A M BLAKE 3

T h e Grey Monk

- Muoio, la madre disse, muoio !


I miei bambini muoiono, non hanno pane,
Lo spietato tiranno che altro ha detto ? -
Sedeva il monaco sull'impietrito letto.
Rosso, del grigio monaco fluiva
II sangue dal costato,
Le mani e i piedi incisi da ferite,
Tòrti ginocchia e braccia
Come di antichi alberi radici
Nel suo corpo curvato.
Asciutto l'occhio che non s'illacrima,
Fu un lamento dei visceri la prima
Voce del suo dolore.
Stava sul letto e tremava,
Rabbrividiva. Finalmente disse
In un flebile grido:
- Quando a Dio piacque
Nelle ore intente della più fonda notte
A questa mano imporre che scrivesse,
Volle che in quello che io avrei scritto
Solo testimoniassi la sventura
Sospesa sopra quanto sulla terra
Avessi amato. Per fame, tra due mura,
Mio fratello è morente; mi fa paura
Il grido dei suoi figli. La ruota di tortura
Imitando e il cigolio della catena,
Il mio corpo contorto ora riflette
La loro straziante pena.
Nel Nord tuo padre ha snudato la spada,
E sceso in campo con migliaia di armati;
Si è rivestito d'acciaio tuo fratello
Per vendicare i torti che patirono
31

l figli tuoi. Ma a far cessare la guerra


Nulla può l'arco o il ferro:
La preghiera del solitario, il pianto d'una vedova,
Questo soltanto libera
Dalla paura la terra.
Perché una lacrima è essenza della mente,
La spada del Re angelico un sospiro,
E si fa all'arco dell'Onnipotente
Strali l'amaro gemito
Del martire soffrente. -

Del tiranno sparito mostrò il letto


La mano giustiziera - insanguinato.
La ferrea mano che ne schiacciò la testa
Ora è tiranna al suo posto.

The Pickering Manuscript


PAUL CELAN 3 2

Il tavolo, di legno d'ore, con


Il risotto nel piatto e il vino.
Che cosa si fa ?
Mangiare, bere, tacere.

La mano che io ho baciato


Alle bocche fa luce.
WILLIAM BLAKE

I spazzacamino

Una cosina in lacrime, nera sulla neve,


Quanto pianto gettava in tristi note!
- Il tuo papà, e la mamma, dove sono ?
- In chiesa... Tutt'e due ci sono andati
Insieme, per pregare... E me che tra la neve
Della landa gli sorridevo
In stracci di morte avvolsero, mi appresero
Come si canta in note di martirio.
Dello scempio di me fatto non sanno niente:
Io canto e ballo ugualmente.
Loro, lodano Dio
E il suo Prete e il suo Re, fabbricatori
Di un Paradiso la cui materia
E la nostra miseria.
STEPHANE M A L L A R M E

Sulle aiuole deserte è il triste inverno


E del mio limine, qui, tu solitario
Ostaggio, perché ti duoli
Che sia di fiori sopra fiori spoglio
Questo sepolcro a due, lume di noi futuro ?
Dodici colpi battono, non dargli ascolto.
La veglia, ardendo, ti scalzerà il sonno
Finché non sorga nel bagliore estremo
Del fuoco moribondo e il suo abbandono
A l vecchio seggiolone ritorni, la mia Ombra.
Più d'una visita avrai purché non gravino
Troppi fiori la pietra che solleva
Il mio dito di morta, di estenuata.
Sono Colei che nella calda stanza
Palpita accanto a te: per ritornare
Viva mi basta il soffio
Del nome mio succhiarti dalle labbra
Mentre tu lo ripeti, tutta una sera.
STEPHANE M A L L A R M E

Le pitre chàtié

Miei occhi, laghi. Altro rinascere


Dall'istrione che il mio gesto evoca,
Lucida ebbrezza mi diede. Come una bianca
Piuma sulla fuliggine triviale
Prodotta dalle lampade, nel muro
Della sfondata tela una finestra aprivo

Mio tranquillo nuotare traditore:


La gamba, le mie braccia, i molti salti
L'infausto Amleto sconfessano.
Era come nell'onda io invenissi
Mille sepolcri e là dentro sparisse
La vergine che sono

Ero l'oro d'un cembalo che ilare


Fanno i pugni eccitandolo.

E all'improvviso nella nudità


Intatta emessa dalla mia frescura
Di madreperla il sole si ferisce

E non era che notte rancida


Di una pelle, ingrato, su cui passavi,
Questo rosso perduto nel biancore
Infido d'un ghiacciaio - il segno unico
Che mi consacra ignori
RAINER MARIA RILKE

Dalla quarta Elegia Duinese

Venne allora per primo il Ballerino.


Luì non lo voglio! Basta. Per cosi lieve-
mente agitarsi deve travestirsi;
Va a cambiarsi, è un borghese,
Torna a casa, attraversa la cucina.
Venga la Marionetta ! Io non voglio
Maschere mùtile: e questa è l'integra.
La spoglia il filo e il volto-simulacro
Voglio reggerne in me, qui. Di fronte sto.
E si smorzino i lumi, e mi sussurri
Qualcuno: - Più nulla ci sarà - io resto.
Resterò là anche se il Vuoto emani
In una grigia corrente d'aria la Scena,
E dei miei quietati antenati
Nessuno mi sieda accanto, e neppure
L'adolescente dal volto scuro e strabico:
Sempre Qualcosa c'è, da vedere.

Non è illegittima la mia più che attesa,


Il mio fissare ingordo la ribalta
Finché non entri commisurata
A i miei sguardi risposta un Angelo,
E sia l'Animatore, che solleva
I gusci inerti in alto. Finalmente,
Nella stretta con l'Angelo la Marionetta
Dà vita al Dramma.

vv. 22-36 e 52-57


ANTONIO MACHADO

Canto andaluso

Meditativo e assorto, dipanando


I fili della Noia tristemente
Andavo... E mi portò l'aperta .
Alla calura della notte estiva
Finestra della stanza il vago suono
Di lamento di un canto sonnolento
Frammisto ai cupi trèmoli di musiche
Stregate propri della terra mia.
Era l'Amore, come ardente fiamma...
Sulla vibrante corda una nervosa
Mano creava un aureo e interminato
Sospiro e in scaturigine stellare
Quel sospirare si tramutava.
La Morte, eccola: mannaia in spalla,
II passo lesto, torva, scheletrica,
Tale come, bambino, mi appariva.
Sulla chitarra che tremoleggiante
Risonava, la secca mano
Battendo il colpo, imitava
Il posarsi una bara in sepoltura.
E spazzando la polvere e spargendo
Le ceneri era un alito di vento
Altro, di solitudine, lamento.

da Soledades
É M I L E ZOLA 38

Da Germinal

Rimbombavano voci, rotolavano rocce.


Vedendo una lampada spuntare pianse.
Sbattendo le palpebre seguiva il lume
Senza stancarsi di fissarlo, estatico,
Concentrato su quel punto che appena
Maculava di rossastro le tenebre.
Portato via dai compagni, imboccato da loro
Tra i denti contratti, con cucchiaiate di brodo,
Lasciava fare.
Ma solo nella galleria di Réquillart
Riconobbe qualcuno. Era, davanti a lui,
Négrel, l'ingegnere. E l'operaio in rivolta
E il capo freddo e sospettoso, da tanto disprezzo
Reciproco divisi, si buttarono
L'uno al collo dell'altro, in un singhiozzare frenetico,
Nel subbuglio profondo sfogatore
Di tutta l'umanità compressa in loro.
Era una immensa tristezza,
La miseria delle generazioni,
La vita sprofondata
Nell'eccesso del suo dolore

parte VII, cap. v


VIRGILIO

Ibant obscuri...

Era l'andare, dalla notte solinga


Avviluppati di oscurità
Per gli antri vacui, le smateriate
Dominazioni, a Dite. Similmente
Va il viaggiatore per luoghi silvestri
Dove stenta velato un raggio scarno
Di luna quando la divina ombra
Abbia sepolto il mondo e i suoi colori
Nel nulla della caligine notturna.
Là sull'entrata dove le sue gole
Orco spalanca ebbero dimora
I Lutti, le Vendette smaniose,
I giallognoli Morbi, la Vecchiaia turpe,
I Terrori. E con loro la Fame
Che atrocità persuade, la Privazione abbietta,
La Morte e l'Agonia facce tremende,
II Sonno quasi già Morte, il Godimento
Che stravolge la mente hanno la tana.
La ferrea stanza posero le Erine
E la Guerra che irradia morte
Sul varco opposto; da sanguinose
Bende stretti i serpenti della chioma
La Discordia delira

Eneide, libro VI, vv. 268-81


RAINER MARIA RILKE 4

Dalla prima Elegia Duinese

E la terra non più abitare,


Da abitudini appena fatte cessare,
Alle rose, alle promesse di ogni cosa
Non dar più senso di futuro umano
E certo strano. E non essere più
Quel che in cosi trepide mani siamo
E come un rotto giocattolo anche il nome
Abbandonare. E quel che avrai desiderato
Non più desiderarlo è strano,
E strano il veder fluttuare
Disciolto nello spazio l'aggregato
Che siamo.
Essere morti stanca, ci invadono troppe cose
Da riafferrare, perché di eterno appena
Ritroviamo una traccia.
Ma duramente dividere i confini
E l'errore di tutti i vivi.
Pare che gli Angeli spesso ignorino
Se vaghino tra i vivi o in mezzo ai morti.
Sempre l'eterna corrente con sé trascina
Tutte le età e i due regni confonde,
Nel suo sovrumano suono.
E finalmente
Quelli che innanzi tempo si staccarono
Non cercheranno di noi mai più.
Da quel che è terra svezzarsi è dolce,
Come dal seno della madre, piano.
Ma noi che avidi siamo
Di questi misteri immensi
Dai quali sgorga incessante
Il travalicamento beato
Del nostro lutto, potremmo
4i

Davvero esistere, senza di loro?


Vana leggenda, che un tempo
Nel lamento per Lino la prima musica
I/impenetrabilità dell'arido
E del ghiacciato scalfisse ?
Vana leggenda, che solo
Nello spazio atterrito
Da cui un giovane semidivino
All'improvviso spari per sempre,
Di quel ritmo che ci rapisce
E soccorrevole ancora ci consola
Il grande Vuoto vibrasse ?

vv. 68-95
ORAZIO

Tu ne quaesierìs

La fine a me, a te, Leucònoe, decretata


Dagli Dei, non svelarla: sciagure
Attiri, per più sapere.
Piàntala coi tuoi grafici caldei;
Il poi venga e tu
Soffrilo, è molto meglio

E ci dia Giove molti ancora inverni


O già sia questo che le onde sfianca
Sui lisci scogli della costa tirrena
L'ultimo - caccia via
Ogni inquietudine: filtrami i vini,
E le speranze fuor di misura
Escludile dalla vita: è breve,

Sottratta subito. Noi parliamo,


E fuggita.
Oggi la luce è tua: tu godila,
Non pensare a riaverla
A l di là del giorno

Odi I, 11
MARZIALE

Questa bambina, mia carezza e gioia,


A te Frontone affido, a te Flaccilla
Padre mio e madre mia: l'Eroziolina.
Cosi piccola è. Le nere Ombre
E del cane tartareo le mostruose
Gole l'agghiaccerebbero.
Appena il sesto avrebbe
Compiuto dei suoi inverni
Fosse vissuta altri sei giorni ancora.
Tra voi che la vegliate
Cosi carichi d'anni
Sconfinatamente libera giochi
E l'acerba sua lingua
Cinguetti ancora il mio nome.
Di lei mai dura ricopra
Le ossa frali la zolla
E tu ricambiale terra
La leggerezza.

Epigrammi V , 34
JOYCE MANSOUR

Per quanti amori il tuo letto ha gridato ?


Quanti anni ti han fatto gli occhi a grinze ?
I tuoi seni sfiniti chi li ha svuotati ?
Coi miei occhi di piombo ti ho ispezionata
E le mie illusioni scoppiate
La tua vecchiezza incapace
Di darmi risposte lasciano
Dietro di sé.
ORAZIO

iiheu fugaces

Ahi ahi cosi in fretta


Postumo Postumo volano gli anni,
Faccia di vecchio incombe,
L'indomabile morte non ferma
Divozione.
C ' è un triste fiume,
Tutti lo traversiamo, miseri
Servi di gleba o principi, noi tutti
Che di frutti del suolo ci nutriamo:
A che serve sacrificare
Trecento tori a Plutone
L'inesorabile che a sé avvinghia
Tizio e Gerione ?
E da una guerra sanguinosa
0 dalle frante ondate di un rauco
Mare salvarsi è inutile
- Inutile ogni autunno
Dal vento australe malefico
1 nostri corpi ritrarre,
Perché il nero Cocito lento e languido,
Di Danao l'infame prole
E l'eolide Sisifo dannato
A una fatica eterna li vedremo.
Terra, casa, la sposa amata
Ci toccherà lasciare,
E degli alberi di cui hai cura
Uno solo il cipresso odiato
Apparterrà al suo effimero signore.
Da un altro, con più di te
Argomenti, arraffato
Sarà quel Cécubo che tenevi
Chiuso da cento chiavi,
46

E il tuo vino sovrano, mai servito


Neppure a pranzi di pontefici - tieni,
E una pozza sul pavimento.

Odi II, 14
GIOVENALE

La natura, al genere umano, ha dato


Le lacrime. Il più alto bene
In noi, è l'infinita tenerezza.
Quando in giudizio è condotto un amico
La sua miseria d'imputato ci strappa il pianto,
Quando un pupillo - faccina in lacrime
In un femmineo fiume di capelli -
Accusa in tribunale il suo tutore,
Noi piangiamo con lui.
E quando s'incontrano sepolture
Di vergini da marito, o vediamo un tumulo
Che racchiude un'infanzia troppo tenera
Per il rogo, ci stringe un nodo
La gola, insopprimibile. C ' è uomo
Capace di bontà e degno
Di portare la torcia dei misteri
Come lo vogliono i preti di Cerere,
Da cui non siano sentiti i mali
Di tutti come suoi? Questo c'innalza
Sul silenzio dei bruti. Noi soli
Afferriamo il divino, adoperiamo le arti,
Dalla vetta del cielo ci è caduta
Una luce, e gli orfani di lei
Vanno curvati, fissano il suolo.
Agli altri esseri il creatore di tutto
Diede solo la vita: a noi un'anima
Perché un intrico di attaccamenti
Ad aiutarci scambievolmente
Ci costringesse. Perché si unissero
Gli individui vaganti in popoli,
Dalla foresta primitiva uscissero,
I boschi dei loro antichi lasciassero
4

E case si costruissero,
Di Lare in Lare si facesse uno
il focolare, i loro sonni fossero
Dagli usci fidati e stretti
Vigilati.
Dovere fu per noi, in armi
Soccorrere il compagno caduto
Dissanguato dalle ferite,
Combattere insieme a un segnale,
Farci ripari di bastioni
E di porte da un'unica chiave
Chiuse.

Ma, vedi, c'è più concordia tra i serpenti,


Se vede una pelle con macchie simili
Alle sue una belva la rispetta.
A un altro leone nessun leone
Ha mai tolto la vita perché più forte.
Dov'è il bosco che ha visto la morte
Di un cinghiale tra i denti di un suo simile
Più grosso ? La tigre indiana
E ferocissima, e vive in pace
Con le altre tigri perpetua,
L'umanità dei tremendi orsi
E tra loro perfetta. All'uomo invece
Battere su un'incudine satanica
I suoi ferri di morte, non gli basta.
(Almeno i fabbri dei primi evi
Si limitavano a fabbricare
Zappe e rastrelli, su vomeri e vanghe,
Ignoranti di spade, si stancavano).
Ecco, ci sono popoli che uccidono
E dopo ucciso hanno ancora sete.
E cuore e testa e braccia dell'ucciso
Divorando si placano.
Se queste infamie umane
Tu vedessi, Pitagora, che cosa
49

Diresti, e dove
Ti esilieresti ? Tu che sentivi
in ogni bestia una presenza umana
E al tuo ventre perfino
Certi legumi vietavi.

Satire, V, 15, vv. 138-74


ANTONIO MACHADO

Occhi che un di si aprirono


Alla luce per poi tornare
Alla terra oscurati
Senza nulla aver visto
Nel loro ingordo guardare.

da Proverbios y Cantares
ANTONIO MACHADO 51

In coro con me cantate:


Sapere, nulla sappiamo.
Arcano, il mare da cui veniamo.
Ignoto il mare in cui finiremo.
Posto tra i due misteri
E il grave enigma: tre
Casse che chiuse una perduta chiave.
La luce nulla illumina,
Il sapiente nulla insegna.
La parola dice qualcosa ?
L'acqua, alla pietra, dice qualcosa?

da Proverbios y Cantares
ADRIANO IMPERATORE 52

L'animula

Fiamma di smorta lampada


Dolcemente oscillante,
Straniero che il mio esule
Corpo seguivi, adesso
In quali luoghi andrai ?
Esangue agghiacciata spoglia
Tu mai più i tuoi piaceri
Ritroverai
ORAZIO

Acquam memento

Dellio, tu sei mortale. Ricordati:


Tranquilla, nel tempo del dolore,
Sia la tua mente, nel luminoso
Frena l'eccesso della tua gioia

Abbia tu tra le lacrime


Vissuto ogni tuo giorno, o su prati
Solitari nei giorni sacri disteso,
Ti abbia un Falerno unico reso beato:
Dellio, tu sei mortale

Per quale fine coi loro rami


Il pino altissimo, il bianco pioppo
Godono di creare una compatta
Ombra ospitale ? Perché la pura
Onda con tanta ansia fugge
Per agitarsi in un contorto Ietto ?

Ordina ai vini di venire, presto!


E ai profumi e alle effimere rose
Del roseto bellissimo...
Perché salute, anni,
E i neri stami delle tre Sorelle
Ti concedono poco

Quei fondi sterminati, la tua casa,


La villa che il biondo Tevere ti bagna,
Li lascerai li lascerai: sul cumulo
Di fortune che innalzi roteando
Sta già il tuo erede

Splendido, da gente nato


Da Inaco discesa o famelico
Grumo di schiavi, è uguale:
Spietato Orco t'immola e muori
Qualunque sotto il cielo

Ci trascinano tutti a un luogo.


Per tutti sbatte dentro l'urna il fato:
Prima o poi uscirà. Ci imbarcheremo
Per il prescritto sempiterno esilio

Odi II, 3
55

Cantico dei Cantici

Ah fossi tu mio fratello


Da mia madre allattato fossi tu stato

Trovandoti per strada ti bacerei


Potrei farlo senza vergogna

Nella mia casa di madre


Ti condurrei ti eleggerei mia guida

Col liquido odoroso e il lacrimare


Della mia melagrana
T'irrorerei

La tua sinistra sotto la mia testa


E la tua destra mi abbracci

O figlie di Ierusalèm io vi scongiuro


Non risvegliate non risvegliate
Il mio amore se non ne ha voglia

Chi è quella che spunta dal deserto


Premendosi al suo Amico ?

Sotto il melo io ti ho svegliata


Là dove tua madre si torceva
Nelle doglie per te

Là dove quella che ti ha portato


Ti partoriva

Un sigillo nella tua mente


E un braccialetto sul tuo braccio io sia
56

Perché l'Amore è duro


Come la Morte

Il Desiderio è spietato
Come il Sepolcro

Carboni roventi sono i suoi fuochi


Una scheggia di Dio infuocata

Le Grandi Acque non spengono l'Amore


I fiumi non lo travolgono

Chi lo compra coi suoi tesori


Ne ha disonore

Abbiamo una sorella piccolina


Priva di seni ancora

A nostra sorella cosa faremo


Quando a trattarne verrà qualcuno ?

Se sarà un muro d'argento


Un palazzo gli costruiremo

Se una porta con assi


Di cedro la sbarreremo

Io sono una muraglia


Torri i miei seni

Io sono quella che nei suoi occhi


Ha trovato la pace

A Baal-Hamòn ha una vigna Salomone


Ai guardiani affidata, ha da ciascuno
Mille sicli di rendita
57

I ,a mia vigna è soltanto mia


Tienti i tuoi mille sicli Salomone
Tenetevene duecento voi guardiani

Tu che siedi in gloriosi giardini


Ascolta la mia voce
Fammi la tua sentire

Oh Amato mio che fuggi


Come la gazzella o il cerbiatto appari
Sulle alture odorose

capitolo 8, 1-14
SOFOCLE

Edipo Re

CORO
Guaaaaaiiii! ! ! Generazioni umane.
Uguali tutte e tutte uguali a nulla!
Viventi che non vivono: tali vi vedo.
Ci fu, ci sarà mai
Nel sentirsi felice di un qualcuno
Altro che un simulacro,
Lo tocchi appena e si squaglia ?
Oh tu che peni, Edipo, diventato
Modello tra i destini di sciagura,
Proprio tu a me fai dire:
Nessun mortale è beato

Quanto in alto miravi !


Quanta grandezza ti suscitasti!
La vergine sgominasti, l'indovina
Dagli artigli ritorti (oh, Zeus...)
Tu, la torre che si frappose
Tra la nostra città e la morte.
Per questo avesti nome
Tra noi, di Basileus,
E tributo di onori ricevesti
Inuguagliato, dalla grande Tebe
Di cui fosti il signore

Ma ora abbiamo udito... Non sei tu


Il più in balia ai tormenti?
Chi di te più battuto
Dalla selvaggia vita ?
Chi più dentro ai dolori
Dell'esistenza?
59
Oh gloria
Della tua testa, Edipo!
Un porto diede
Unico, a padre e a figlio,
Il sollazzo nuziale,
li il solco
Dove tuo padre arava
Subì anche te - e tacque -
Disgraziato

Ricalcitravi... Ma ti rivela
Ora a te stesso il Tempo onnivedente.
E il tuo connubio pervertitore
Del senso delle nozze in te castiga,
Padre dov'eri figlio.
Sciagura a me, figlio di Laio ! Potessi
Mai mai averti veduto !
Tu, che dalla bocca mi strappi
Tanto compianto...

Eppure fu per te che riebbi fiato,


In verità. Hai ridato
Il sonno tu, ai miei occhi

vv. 1186-1222
WILLIAM SHAKESPEARE

Re Lear

URLATE! URLATE! URLATE! U R L À T E E E !


Oh uomini pietrificati !
Avessi io le vostre lingue e i vostri occhi
Scardinerei la volta del cielo !
E andata via, per sempre...
So che cosa distingue da chi è vivo il morto.
E lei è terra, morta.

Atto V, scena ultima


6i

Geremia

VIDI. La terra tornata al Caos


VIDI. In cielo, nessuna luce
VIDI. I monti precipitavano
VIDI. Le alture si sgretolavano
VIDI. Ed ecco: l'uomo è sparito
Ali fuggite, cieli svuotati
VIDI. Orti fertili, sterili fatti
E le città le città: rovine

capitolo 4, 23-26
CATULLO 6;

Vorrei potere anch'io


Passero amore dell'amor mio
Divertirmi con te come fa lei
E sviare le tristezze del mio cuore !
Il desiderio mio la luce mia
Con te gioca, ti tiene in seno
Ti vuole sulla punta del ditino
Ti eccita a dargli forti beccate
E nell'incanto di questo suo gioco
Calma il dolore, trova frescura
In mezzo al fuoco che la tortura

Carmina 2
CATULLO 6;

Tu chiedi Lesbia del tuo baciarmi


I ,a misura io fissi che mi colmi.
1 granelli di sabbia d'Africa
Dove il silfio fa ricca Cirene
Tra l'oracolo infuocato di Zeus
E il sacro tumulo dell'antico Batto
O le stelle che guardano infinite
Nelle tacite notti i disperati
Abbracci umani. Tu baciami
Tanto che gli occhi avidi
Delle lingue smaniose
D'impietrarci non contino i tuoi baci
Catullo avrà calmati i suoi deliri.

Carmina 7
CATULLO 6;

Ah da me, in culo, in bocca


Lo piglierete !
Tu Aurelio, boccadacazzi,
E tu Furio, rottonelculo...
Che della vostra banda mi credete
Perché scrivo lascivo, decadente!
Il poeta in cui viva è la pietà
Avrà anche l'obbligo di verseggiare
Per scopi edificanti ?
Lasciagli grazia e mordacità;
E il suo verso lascivo e spudorato
Non dagli implumi solo, ma dai lombi
Dei canuti ormai stalattiti
Faccia sprizzare l'Eros!
Di tenero in eccesso il fluire
Nei versi miei farebbe
Meno virile l'autore?
Lo dite voi ! Sarete
Da me inculimboccati!

Carmina 16
CATULLO 6;

I ,e belle giornate tornano è primavera


II soffio placa di sereni Zeffiri
I n cielo la tormenta equinoziale
Abbandoniamo le campagne frigie
1 ,a piana di Nicea fertile e torrida
Catullo Alziamo il volo
Per l'Asia e le sue città dorate
Smanioso tu sei di andare
I piedi sono freschi forti pronti -
Ali febbrili

Dolci compagni bella brigata addio


Partiti insieme eravamo
Per queste terre lontane
Ritorneremo per opposti e strani
Cammini

Carmina 46
CATULLO 6;

Guardare ascoltare te che dolce ridi


Standoti presso incessantemente
Trovo divina cosa anzi oso dire
Più che divina e che mi fa morire
Miseria mia d'uomo

Perché appena ti vedo la mia voce


Non esce più ho la lingua tutta secca
E in tutto il corpo un fiume sottile
Di fuoco Lesbia e uno strepito acuto
Nelle orecchie stordite e i miei due occhi
Avviluppa la notte

Carmina 51
CATULLO 6;

Lesbia una volta dicevi


Non avere altro amore che Catullo,
Esserti indifferente
Anche il letto di Giove.
E io ti ho amata non come si ama
Un'amante ma come di un padre
L'amore avvolge figli figlie generi.
Ora so chi tu sei: illimitato
Il fuoco che mi consuma,
Fatta ormai poca cosa
La sconfinata adorazione
Che per te avevo. Perché?
Domandi tu. M'invoglia
Più di prima ad amarti
L'offesa enorme patita,
Ma non c'è più pienezza
Di delicati affetti.

Carmina 72
68

Giobbe

Dopo questo apre Iob la bocca


E maledice il suo giorno

E grida Iob nel dire

Che tu sia maledetto


Giorno che mi hai partorito
E tu notte per aver detto
Un maschio è concepito

Che sia un giorno di tenebra


Dal cielo Dio lo ripudi
Gli neghi la Luce il lume

Tenebra e morte insozzatelo


Caligini nascondetelo
Spegnitori del giorno spegnetelo

Notte sii buia sempre


Ti tolgano dal lunario
Ti saltino nel conto delle lune

Che sia una notte ebete


Che sia muta di gioia

Chi getta il male sopra chi nasce


La maledica

Gli evocatori di Leviatàn


La perdano
Ki-osc-ura-te-vi stelle dei suoi albori
Mai più la luce ritrovi
Mai più riveda le palpebre di un'aurora

l'erché non strinse le porte del mio ventre


Perché i miei occhi non turò alla pena

Morire dentro la vulva bisognava


Uscire dalla pancia già sfacelo

Perché ginocchia venirmi incontro ?


Perché mammelle vi ho io succhiate?

Riposerei adesso coricato


Avrei nel sonno disteso pace

Coi re e i vizir della terra


Costruttori di tombe inani

Coi principi che l'oro ingrassa


Di cui l'argento i sepolcri stipa

Un aborto buttato via


Un portato ignaro di luce

Laggiù le smanie dei tristi cessano


Laggiù ai brutali scema la forza

Reclusi dal riposo accomunati


Sordi al berciare dell'aguzzino

Il grande e il piccolo là sono uno


E il servo è libero dal padrone

Perché la luce è data a chi pena ?


Perché la vita a una gola amara ?
70

Ad un via-sbarrata d'uomo ?
Ad un Dio-mi-annoda di sacco ?

Invano annaspano per morire


Scavano scavano per quel tesoro

Una casa di morti li ravviva


Una fossa trovata li placa

È la pena che mi fa il pane


E il lamento che mi dà l'acqua

Ecco i terrori che più ho temuto


Ecco incarnarsi le mie paure

Non ho pace né tregua né riposo


Sono cumulo di dolore

capitolo 3, 1-26
7i

Isaia

Il grido del Deserto del Mare

Come trombe d'aria in Néghev


Mi travolge

Dal deserto è venuta


Dalla terra della paura

Una cruda visione


mi è apparita

Devastante sterminatore
Sterminante devastatore

Dilaga Elàm !

Avvéntati Medo !

L'eccesso d'ululatiriposa

E in me lo spasimo di reni scoppia


In dolori di puerpera mi scardino

È torcermi nel non capire !


È sbattere nel non vederci !

Il cuore che mi casca


Il tremito che mi stronca

Oh crepuscolo mia frescura


Angoscia in me diventato !
La tavola è apparecchiata
Gira lo sguardo la sentinella
Si mangia
si trinca

In piedi capitani !
Ungete lo scudo !

Cosi a me il mio Signore dice


Va'
póstati alla vedetta
vedi e annuncia

E l'orecchio di tenderlo
Di tenderlo all'estremo

Gente d'arme a cavallo


File di carri e di cavalieri
Truppa su asini e su cammelli vede

E c'è un leone che grida!

Sugli spalti del mio Signore


Io sono colui che sta

Tutto il giorno resto al mio posto


Mai di notte io lo abbandono

Gente a cavallo !
Stanno arrivando!
File di carri !
di cavalieri

E un gridare comincia
- E caduta!
Babilonia è caduta !
73
Tutte le statue dei suoi Dei
buttate giù
in frantumi ! -

( )h popolo trebbiato !
Figli della mia aia!

lo grido a voi quel che ho udito


Da Iah Tzebaòt Dio d'Israel

Il grido di Edom

Verso di me si chiama
da Seir

Guardia! Che cosa porta la notte?


Guardia! Che cosa porta la notte?

La guardia dice

Il mattino che sta venendo


E altra notte

O domandanti !
Ridomandate

Tornate
Ricominciate

Il grido della Aravàh

Nella macchia
in una terra senz'acqua
Passerete la notte
Oh carovane dei Dedanim !
Se incontrate assetati
dategli acqua

Oh abitanti la terra di Tema !


Se v'imbattete in fuggiaschi
dategli pane

La faccia della spada li ha scacciati

Spada sguainata
arco puntato
Combattimenti atroci
Il mio Signore cosi mi dice

Tempo un anno
la ferma di un mercenario

Tutta la gloria di Qedàr sparita

Resterà delle miriadi d'archi


Dei valorosi figli di Qedàr
Pochissimo

Il Signore Dio d'Israel ha parlato

capitolo 2 i , 1-17
15

Isaia

( )h Signore tu sei il mio Dio !

l'esalterò celebrerò il tuo nome


Creatore dei supremi Fini

L'Immutabile e il Certo predestini

F fai di una città mucchi di cocci


Di una città imprendibile rovine

Il colosso maligno
Più non è una città

Rifatta non sarà più


in eterno

Va la tua fama a un popolo potente


La più violenta delle città ti teme

Perché tu sei per il debole il Sicuro


E il miserabile nella sua angoscia
Trova riparo in te

Nelle alluvioni tu sei il nido


Nell'afa la frescura

E il fiato dei violenti


E un'alluvione che sfonda i muri
Un colpo di caldo in terra di sete

Tu la superbia dei malvagi pieghi


E la calura con l'ombra di una nube
Nei violenti si strozza il canto

A tutti i popoli Iah Tzebaòt


Va apparecchiando su questa rupe

Un banchetto grassissimo
Un festino dei più filtrati vini

Di midollo una scorpacciata


Di vino senza feccia una gran bevuta

Da questa rupe farà sparire


Il velo che tutti i popoli copriva
La cortina che avvolge il mondo intero

Risucchierà la morte
per sempre

E asciugherà le lacrime
Sul viso di ogni uomo
Il mio signore Iah

Di sopra a tutta la terra


Toglierà dal suo popolo
L'impurità

Il Signore ha parlato

Questo è il Dio nostro!

Si griderà in quel giorno

Abbiamo in lui sperato e ci ha salvati !


77
Questo è il Signore da noi sperato

( )h giubilo ! Oh tripudio !
F,ssere salvi in lui

Su questo monte posa


l.a mano del Signore

li da lui Moàb è calpestato


Come lo è la paglia
Nel fango di un letamaio

Nei suoi visceri allunga le sue mani


Come nuotando le allunga il nuotatore

E la forza ne piega
Incastrandolo tra le sue mani

La mole formidabile
Sfonda dei tuoi bastioni

Fino al suolo li piega

Li stende nella polvere

capitolo 25, 1-12


Isaia

Vergine figlia di Babilonia


Discendi !
Siedi là sulla polvere
Siedi per terra senza più trono

Oh figlia dei Caldei!


Mai più sarai chiamata
La Molle la Voluttuosa

Piglia una màcina


E macina farina

Togliti il velo
Rialzati lo strascico
Scopriti l'inguine
Abbandona i tuoi fiumi

Senza riparo è la tua nudità


Tutti vedono le tue vergogne

Oh ubriaca della tua scienza!

- Nessuno può vedermi! - dici

Hai tanta scienza e dottrina


Che la testa ti gira

E il cuore ti ripete - Io
Non ci sono che io ! -
79

Ma la sciagura è sopra di te
!', i tuoi scongiuri non la storneranno

I ,a sciagura ti casca addosso


li i tuoi incanti sono impotenti

Ti verrà addosso d'un colpo


Un'arcana rovina

Sii pure forte delle tue magie


Dei tuoi incantesimi senza fine

Dimenarti cosi da che nascesti


Ti servirà a qualcosa ?

Simulerai la terribilità?

Oh ingozzata di oroscopi!

Vengano qua a salvarti


Gli indagatori di cieli
Gli scrutatori di astri

Quelli che ai noviluni


Ti predicono quel che sarà

Eccoli là
Come paglia il fuoco li ingoia

Dalla mano della fiamma


La loro gola non scamperà

Vedrai che bragia per riscaldarti !


Che focolare dove accucciarti !
Cosi sarai servita
Da quei tuoi trafficanti
Che tu accarezzi da che sei nata

Brancicheranno di qua di là

Niente e nessuno ti salverà

Is. 47, 1-3, 10-15


AMILE ZOLA 81

I,'Assommoir

I ,a scala, a quell'ora, dormiva.


Deserta. Il becco a gas soltanto
l'osto al secondo piano, la rischiarava.
In fondo a quel pozzo di tenebre
La sua fiamma diminuita
Metteva un chiarino da capezzale.
Dietro le porte chiuse
Percepivi il silenzio denso
Degli operai che abbatteva il sonno
Subito dopo cena.
Ma dalla porta della stiratrice
Un riso sommesso usciva;
E dalla serratura di Mlle Remanjou
Intenta ancora a tagliare
Con un colpetto secco di cesoie
Gli abitini di garza delle bambole
Da tredici centesimi, un filino di lume
Filtrava. Giù in basso
Dalla Gaudron un neonato frignava.
E nella grande pace muta e nera
Un più forte sentore, dai piombi,
Emanava.

Cap. II - 1150
ARTHUR RIMBAUD

Sensazione

Sarà d'estate, per le azzurre sere -


Tra le spighe che pungono, i sottili
Fili calpesterò dell'erba sui sentieri;
I piedi ne sentiranno la frescura
E la testa lascerò nuda
Inumidirla il vento, mentre sogna

Non dirò nulla, non penserò a nulla.


Ma dall'amore infinito presa
L'anima mia non avrà più confini.
Lontano andrò - ben lontano,
Zingaro errante, Natura.
Sarò felice, come se fosse
Con me una donna
MARZIALE 83

Quando cominci Fillide


Con la tua mano vecchile
A lavorarmi il languido Virilitas,
Il tuo pollice m'uccide.
E se mi chiami topo e luce mia,
A stento posso in dieci ore
Ritrovare un passabile umore.
Ignori l'arte d'accarezzarmi:
- Centomila sesterzi, devi dirmi,
Ti darò. E parecchie giornate
Di terreno di Sezze coltivate;
Eccoti buoni vini e una casa
E ragazzuoli e piatti d'oro e piatti pieni. -
Le tue dita non servono. Fillide,
Stropicciami cosi.

epigrammi XI, 29
MARZIALE 33

A porte non chiavate e spalancate


Tu compi, Lesbia, l'amorosa opra
E i tuoi sollazzi non pensi a celare.
Uno che guarda ti dà più contento
Del tuo amante né trovi perfetto
Un amoroso gaudio che scoperto.
Anche la troia abbassa le persiane
E mette la catena e tu non vedi
Nei bugi del Summenio lume alcuno.
Una Chione una Giada t'insegnino
A vergognarti almeno: tra le tombe
Vanno piuttosto ad acquattarsi
Le più sporche puttane. Trovi dura
La mia censura ? Purché non veduta
Fatti inforcare quanto ti pare.

epigrammi I, 34
MARZIALE 34

Mai un maschio al tuo fianco,


Nessuna storia d'amanti, Bassa,
E attorno a te solo un affaccendarsi
Di donne a ogni servizio prestarti
Senza un sol uomo nei paraggi, accidenti
Mi dicevo è una Lucrezia costei !
Ma tu, misericordia, un chiavatore sei.
Memorabile audacia, tu stringi e aggavigni
Come un sol uomo due sorelle Fica,
La tua Clitoride meravigliosa
Ha il ruolo dello sposo. La macchina-
prodigio di tua invenzione
E indovinello da Sfingi tebane:
Come, mancando l'uomo,
Non manchino i cornuti e le puttane!

Epigrammi 1 , 9 0
MARZIALE 86

Tu che desideri per i tuoi genitori una bella e tarda


morte, questa breve iscrizione marmorea leggi, con
amore.

Ombre care in questo suolo coverse


Rabirio: una impareggiabile morte
I suoi due vecchi sortirono. Una notte
Dolce e suprema suggellò di vita
Comune sessant'anni; unica fu
La fiamma che i loro corpi arse.
Come presto perduti, egli li pianse.

Nulla di più insensato di quei pianti.

Epigrammi X, 71
MARZIALE 36

lira all'ombra d'un pioppo


Una formica errante,
Goccia d'ambra l'esile
Fèra strinse. Colei
Che dispregiata fu vivente
Ad alto pregio è assurta
Per la sua camera ardente.

iipigrammiV I, 15
MARZIALE 37

EROTION
Immaturamente
Ombra
Qui posa.
La disfece nel suo sesto inverno
La Morte delittuosa.
Tu che il mio piccolo campo avrai
Dopo di me, chiunque tu sarai,
Alle sue magre manine darai
Il prescritto tributo d'anno in anno.
Stiano in perpetuo i tuoi lari,
Sulla tua gente non cada malanno:
Questa pietra di pianto
Resti nella tua terra
sola

Epigrammi X, 61
Qohélet

Ma pensando ricorda il tuo Creatore


Nei tuoi brillanti giorni

Prima che vengano i giorni del malanno

E subentrino gli anni di cui dirai


Di non volerli affatto

Prima che il buio avvolga

Sole e lampada

luna e pianeti

E dopo dirotte piogge si riformino i nembi

E sia giorno di zuffa


Per chi guarda la casa

E i forzuti si accascino

E le mugnaie rarificate
disimparino a macinare

E le sbircianti nelle colombaie


La caligine invada

I due battenti sul vicolo


Al cessare del suono della màcina
si rinserrano

E un pispiglio di passeri
fa trasalire
E tutte le figlie del canto
si fanno fioche

E l'altezza mette paura

Ti agguantano spaventi per la via

E il mandorlo biancheggia

La cavalletta s'intorpidisce

Il cappero pende inerte

E l'uomo se ne va

Alla sua casa indefinita

Tra i piagnistei rituali

delle donne nel suk

Prima che il cavo d'argento si spezzi

E l'aureo globo
si fenda
E la brocca s'infranga
sulla fonte

E la ruota si sgretoli nel pozzo

E tornerà la polvere a esser terra

E tornerà il respiro

Al Dio che l'ha prestato


9i

Fumo di fumi
dice il Qohélet
Fumo di fumi

Tutto non è che fumo


capitolo 12, 1-8
Qohélet

Dio fa tutto per sempre

Niente ne aggiungi
Niente ne recidi

E Dio vi pone
Il terribile del suo volto

Che cosa è che fu


Se quel Fu è

E se Dio fa che torni


Il fuggito ?

E ancora ho veduto sotto il sole


Il crimine essere il tribunale

E il banco del diritto


Infestato dalla perfidia

E nel mio cuore dico


Chi sia il buono chi sia il cattivo
Dio lo ha deciso
Di ogni atto e di ogni condotta
Determinando il destino

E dei figli dell'uomo dico


Gli mostri Dio quel che sono
Vedranno un branco di bestie solo

Perché l'esito è uno


93

Figli d'uomo o di bestie

11 morire è di tutti

In tutti è lo stesso soffio

E se sia l'uomo

Più della bestia

Niente

Perché svapora tutto

A un identico luogo vanno tutti

La polvere li ributta

La polvere li riaccoglie

Chi sa se va in su
Il soffio dei figli d'uomo

Chi sa se in giù precipiti


L'anima della bestia
Sulla terra ?

Vedo il bene che ha l'uomo


L'unico che gli tocchi

Fabbricarsi piacere
Adesso

Il dopo
nessuno
Glielo rivelerà

capitolo 3, 14-22
Qohélet

Va'

mangia contento il tuo pane

Bevi con cuore grato il tuo vino

Questo che fai è gradito a Dio

Bianca sia la tua veste in ogni tempo


E non manchi di unguenti la tua testa

Passa la vita con una donna amata


Per tutti i giorni che vivrà il tuo soffio
Dato a te sotto il sole

Questo sia a te tra i vivi


Per la pena che soffri sotto il sole

Tutto quello che la tua mano


Sarà capace di fare
Fàllo finché ne hai forza

Perché non c'è azione

Non c'è invenzione

Non c'è pensiero

Non c'è sapienza

Nella Terra dei Morti dove andrai


95

l'.d ancora io vidi sotto il sole


Non dipendere dai veloci
la corsa
Né dagli uomini di guerra
la guerra
Né dai sapienti
il nutrimento
Né dai più abili
i patrimoni
Né dai sensibili
la compassione

Perché tutti dipendonodal destino e dal caso

E l'uomo non sa

quando il suo tempo verrà

Come pesci acchiappati nella rete

Come uccelli invischiati

Cosi sono ghermiti

I figli d'uomo nell'ora maligna

Quando sopra gli cascarepentina

capitolo 9, 7-12
LUCREZIO 9

I terremoti

E adesso le cause impara dell'erompere


I terremoti. E tutta di spelonche
Sopra e sotto, battute dai venti,
Piena la terra; e laghi senza numero
D'acque stagnanti il suo grembo nasconde.
Masse rocciose e friabili macigni,
Fiumi infiniti la sua crosta ricopre;
Violenti flutti - giusta congettura - rotolano
Laggiù sommersi massi. Che dappertutto
Simile a sé la terra sia, chi dubita?
Con un cosi intricato sottosuolo,
Squassata da ingenti moti
La superficie della terra trema
Quando enormi caverne crollano
Sotto di essa, che l'età ha disfatte;
Sono intere montagne che precipitano
E il crollo repentino invia lontano
Lo sciame dei tremori. Fa' un paragone
Col tumulto dei carri nella via
Che investe, ne sia pur lieve il carico, le case,
I cerchioni ferrati delle ruote
Sobbalzanti sul lastricato. Tutto si fa
Tremito quando in quei laghi sterminati
Sprofondano valanghe di terriccio
Immani, che il Tempo ha logorato:
L'acqua si agita e scaglia i tremiti,
Fa la terra oscillare. E come un vaso
II cui liquido agiti: se il contenuto
Non ha pace, barcolla.
Poi quando il vento che sta nel grembo
Delle caverne di sotterra piomba
Tutto in un punto e con forza estrema
I .e cavità comprime, la terra cede,
S'inclina come il vento la sospinga.
I i quante fabbriche sopra piantate stiano
In specie le pili alte le più grattacielo
l'orientano verso quel lato pencolando,
Le fuoruscite travi eccole spenzolano
Pronte a precipitare. E pur vedendo
Tanta mole di terra che si squaglia
Dal pensarlo finito, questo mondo,
Iscritto nella morte, votato alla sciagura,
Ci si ritrae... Ah non ci fossero
Cadute mai dell'impeto dei venti
Un crollo dopo l'altro ne seguirebbe,
Nessuna forza impedirebbe il volo
Della rovina !

De rerum natura, libro VI, 535-569


LUCREZIO 9

La morte

Pur se incerto è il pericolo, assiduo è il trepidare


Tanto maligna è la smania che ci tortura
Di stare in vita. Ma il cessare di vivere
Sospeso è sulle teste dei mortali:
Morte l'hai da incontrare, non puoi schivarla.
Perlopiù nel medesimo sempre ci aggiriamo
Cerchio, e indefinitamente prolungandosi
Nessun piacere nuovo ci apporterà la vita.
Bramosi di qualche oggetto inafferrabile
Un valore grandissimo gli attribuiamo,
Ma d'altro, subito, appena quello raggiunto,
Eccoci avidi: ed è un'eterna sete
Di vita a tormentarci. E poi ancora
Timore vago di quanto in futuro
Stia per toccarci, quali accidenti e fine
Ci siano serbati. Eppure al tempo
Anche tirando a più non posso la vita
In cui ci tuffa la morte, neppure un filo
Sarà sottratto! Impotenti siamo
A rosicchiarne un minimo che attenui un poco
L'assolutezza del nostro annullamento.
Protrai la tua esistenza, sii un cimitero
Delle generazioni umane: la Morte, sempre
Nella sua eternità sarà drizzata
Sul fondo, ad aspettarti. Non si distinguono
Tronca chi avrà la vita in questo giorno
E perduta chi l'abbia da gran tempo
Nell'infinito Non-essere che entrambi sono.

libro III, 1076-1094


ANASSIMANDRO

Ogni cosa sia nata cresce


Come germoglio di corruzione:
Nascendo gli è destinata;
E per punire in se stesse l'essere,
Perché ciascuna sull'altra vendichi
La colpa d'essere apparsa,
Tutte le cose che sono sono
Tra le colonne del Tempo

12 Diels-Kranz
IOO

Prologo dell'Evangelo di Giovanni

In Lui Principio era il Verbo dell'Origine


E inerente era questo Verbo a Dio
E Verbo è Dio.
Essendo Origine questo Verbo è Dio;
Tutte le cose furono
Formate in lui
E nulla di quel che è se lo separi
Da lui, sarebbe.
La Vita è in lui e il lume che fu dato
All'uomo è vita.
La Luce nella Tenebra fa luce
La Tenebra non la cattura

Un uomo, inviato di Dio, sorse


Era il suo nome Ioànes.
A fornire la prova era venuto
Cosi che per suo tramite noi tutti
La Luce da lui preannunciata convincesse.
La Luce non era lui: da lei venendo
Annunciava.
Finché la Luce vera
Nel mondo apparve: quella che fa
Di ciascun uomo una luce.
Ma nel mondo da lei plasmato
Nel mondo del suo apparire
Passò e non fu notata.
Tra i suoi venuta, rimase ignota.
Ma quanti la presentissero
Trasfigurava in Figli di Dio,
E cosi quei credenti nel suo Nome
Che a generare non fu il sangue o la brama
101

Carnale, non l'umano


Concupire ma Dio

E fu il Verbo dell'Origine
Corpo carnale,
E abitando tra noi mostrava
La Gloria, a noi, che era:
Una visione come di chi fosse
Del Padre l'Unigenito,
Una pienezza di Grazia
Che si avverava.
Pieno di prova di lui, Ioànes
Diffuse il grido È LUI!
E Quello proprio di cui dicevo
Uno mi seguirà che mi precede
Perché quando io non ero già era

E ciascuno di noi ebbe qualcosa


Della pienezza sua che tanti doni
Elargiva

cap. I - vv. 1-16


ARTHUR RIMBAUD

Genio

Egli è l'Amoroso e il Presente,


la casa aperta al lattescente inverno
e al rumore dell'estate
- lui, che le bevande e gli alimenti rende puri
- lui, l'incanto dei luoghi inafferrabili
e la sovrumana delizia dei calvari.
Egli è l'Amoroso e il Venturo,
la forza e l'amore che tra i furori e le pene
noi in piedi vediamo nel cielo di tempesta
e nelle bandiere d'estasi passare.
Egli è l'Amore, misura perfetta e reinventata,
meraviglioso e non previsto Verbo,
ed è l'eternità:
l'amata macchina delle qualità fatali.
Sgomento abbiamo provato tutti quanti
per il suo darsi e il nostro:
dolcezza della salute perfetta,
piena espansione delle facoltà nostre,
egoistico e appassionato nostro aggrapparci a 1
- a lui che ci ama per la sua vita infinita...
E noi quel Viaggiatore lo ricordiamo,
e nell'Adorazione che svanisce è la promessa
sua che risuona:
- Scomparite superstizioni, corpi cadenti,
accoppiamenti, evi.
Tutta quest'epoca è in perdizione! -
Non andrà via per ridiscendere
da qualche cielo,
non verrà per redimere smanie di donne
e piaceri d'uomini
o l'universale peccare - perché questo
è compiuto
103

già nel suo esserci stesso, nel suo essere amato.


Oh i suoi affanni i suoi tratti le sue corse,
l'impressionante celerità con cui plasma
le azioni e le perfezioni.
Oh fecondità della Mente e immensità
dell'Universo!
Il suo corpo! La liberazione sognata,
la grazia infranta,
di nuova violenza trasfusa !
Vederlo! Vederlo! Tutte le antiche
genuflessioni e le pene
riscattate dal suo passaggio.
La sua luce! Tutte le sofferenze sonore,
in movimento
nella più intensa musica - abolite.
Il suo andare! Più estese delle antiche
invasioni - le migrazioni.
Oh lui e noi! Benigno più delle carità
perdute - l'orgoglio.
Oh Mondo ! e come chiaro è il canto -
delle infelicità future!
Ci ha conosciuti tutti. Ci ha tutti amati.
In questa tenebra invernale
da un promontorio all'altro
dal polo in tumulto al castello
dalla folla alla landa, da sguardo a sguardo,
in penuria di forze e di sentimenti, impariamo
ad invocarlo a rifletterlo a vederlo,
e sotto le ondate e sopra i deserti innevati
andare dietro ai suoi occhi, ai suoi respiri,
al suo corpo, alla sua luce.

Dalle Illuminations
ARTHUR RIMBAUD

L'Eternità

Riconquistata è l'Eternità.
Il mare e il sole insieme
Sono spariti

Anima in veglia, un tacito


Al nulla della notte
All'incendio del giorno
Assenso diamo

Via dai giudizi umani


Dalle passioni trite
Libera là tu scegli
Il tuo volo

Oh che dal vostro fuoco


Frantumi di seta ardenti
Senza parole emani
Il Dovere che non ha fine

Là dove mai si spera


Dove non c'è chi sorga
E la scienza paziente
Del supplizio sicuro

Riconquistata è l'Eternità.
Il mare e il sole insieme
Sono spariti

Da Derniers vers
CONSTANTINOS KAVAFIS 105

ftaca

Se Itaca è la mèta del tuo viaggio


Formula voti che sia una lunga via;
Peripezie e scoperte la gremiscano.
Lestrigoni, Ciclopi, e di Poseidone
Accessi d'ira escludili.
Vanificarli è in te se viafacendo
Col pensiero li domini, e carne e spirito
Risucchi la vertigine.
Mai vedresti Lestrigoni e Ciclopi
Se Psiche in te non li generasse,
Né l'irascibile Poseidone ti sbatterebbe
Se Psiche in te non lo drizzasse orrendo.

Vòglila lunga, la via.


E i mattini d'estate mai finiscano
In cui ti accolgano finora ignoti
Porti che di dolcezze ti sfiniscano.
A ogni suk di Fenici sosterai,
Là farai begli acquisti di coralli,
Di madreperle, d'ebani, di ambre.
E di profumi che stordiscano pigliane
A sacchi, di più godrai.
Ma nelle città egizie tu errabondo
Viandante agli eruditi
Rivolgiti, e da loro impara
Impara senza fine.

Della tua mente stella polare


Itaca, sempre: là devi approdare,
Termine ultimo tuo prescritto.
Il viaggio
Fallo anni durare, ritorna vecchio
Nella tua isola, gli accumulati
Lungo la via tesori
Con te sbarcando - perché da Itaca
Ricchezze non puoi sperare.
Il dono d'Itaca è il viaggio che fu bello.
Senza di lei, per te, quale cammino ?
E null'altro sarà il suo dare...
Pur cosi povera mai ti avrà deluso.
Ora tu sei di vita e di sapienza
Talmente ricco ! E certo non ignori
Il senso che le Itache tramandano.
107

Dal libro della Genesi

E due donne si prese Lamek


Ada l'Ornante nome di una
Zilla l'Oscura nome dell'altra
E Ada partorì Iabàl
Padre di tutti gli abitatori di tenda
Che vanno con i greggi
E suo fratello nome Iubàl
Padre di tutti i girovaghi
Che fanno musica di flauti e di ribeche
Poi Zilla anche lei partorì
Tubàl-Qàin padre di tutti i fabbri e calderai
Che battono il ferro e il rame
E sua sorella è Naama la Favorita

Così cantava alle sue donne Lamek


- Ada e Zilla ascoltate la mia voce !
Attente al mio dire voi donne di Lamek !
Per la mia evirazione
Ucciderò un uomo
Per il mio maleficio
Ucciderò un bambino
Sette volte sia vendicato Caino
Settanta sette Lamek -

cap. 4, 19-24
FRIEDRICH NIETZSCHE

Tra figlie del deserto

Il Deserto si allarga: maledetto


Il portatore di deserti !
Pietra sgretola pietra,
Il Deserto trangugia, strangola.
La ributtante, smisurata Morte
Occhio rovente, torvamente guata
Masticando - è vivente
Masticazione...

Oh Uomo che calcinarono


Le Voluttà, ricordati !
Questo sei tu: il Deserto
Sei tu, e la Pietra, e tu la Morte

da Ditirambi di Dioniso
SIMONIDE IO9

Ai morti delle Termopili


Diede gloria la Sorte
Dà bellezza la morte.
Un altare s'innalza
Dove giacciono in sepoltura.
Tace il lamento, nel ricordo vivono.
Non ne parla il compianto ma la lode.
Un lenzuolo li avvolge imputrescibile,
Del Tempo la smisurata
Forza non può oscurarli.
L'onore dell'Eliade ha eletto
Questo sepolcro di uomini prodi
Per abitarci. Leonida
Re di Sparta lo attesta
Col profumo che ci ha lasciato
Di virtù senza uguale
Di decenza immortale

Diehl 5
IH

Salmo 22

al maestro dei cantori


su Cerva dell'Aurora
salmo
di David

Dio mio Dio mio perché abbandonarmi?


Lontana è la mia Salvezza
Dal mio ruggito di parole

Diiiooo miiiooo di giorno chiamo

Non parli

Di notte lo ripeto

Mi dai altro silenzio

Eppure là nel Luogo Santo tu siedi


Tra i canti d'Israel

I nostri padri in te ebbero fede


Ebbero fede in te e tu li salvavi

Era salvarsi invocarti


Mai essere delusi fidare in te

Ma un verme io un uomo non più sono


Una vergogna umana di cui si ha schifo

Chiunque mi veda ride di me


Labbra s'increspano teste si agitano
Ili

- Fa tutt'uno con il Signore


Lo salverà?
Dovrebbe liberarlo
se lo ama -

Eppure dal ventre mi hai cavato tu


Tu ai capezzoli di mia madre mi quietavi

Caddi dall'utero sul tuo grembo


Dal ventre di mia madre il mio Dio sei tu

Non ti allontanare da me
La stretta si avvicina
Altro aiuto non c'è

Mi accerchiano tori immani


Grandi bestie cornute di Bashàn

La gola spalancata mi è sopra


Il leone mi sbrana che ruggiva

C'è una muta di cani che mi preme


Uno stuolo assassino che mi stringe

Mi legano piedi e mani

10 mi conto ogni osso


11 loro sguardo mi trapassa

La carne che mi veste se la spartiscono


La mia pelle è tirata a sorte

Uno scolo d'acque io sono


Le ossa mi fuorescono dai loro incastri
Il cuore è come una cera
Sgocciolante negli intestini
Secca ho la bocca
Come una scheggia di terraglia
E incollata la lingua alla mandibola

Tu alla Polvere Morta mi consegni

Ma tu Signore non ti allontanare !


Mia Forza presto al soccorso!

Strappa al coltello la mia vita


La mia unica alla mano del cane

Il mio soffio alla bocca del leone


Il mio frale alle corna degli arieti

TU M I HAI RISPOSTO !

Grido il tuo Nome tra i miei fratelli


Tra i radunati innalzo la mia lode

Laudatelo tementi del Signore!


Glorificatelo seme di Iacòb !
Stupitene o prole d'Israel!

La miseria di un miserabile
Non gli fa orrore né schifo

Non gli volta la faccia


Accoglie il grido che gli è gettato

Sei tu la fonte del mio laudare


Di tra l'immenso coro

Davanti ai tuoi devoti


Io scioglierò i miei voti
ii3

Mangiano da saziarsi i disperati


Tripudiano gli anelanti

Sia ai vostri cuori per sempre vita !

il suo Nome diranno


E a Lui si volgeranno
Le terre più lontane

Si prosterna al tuo Volto


Il brulicare delle nazioni

Il dominio regale è del Signore


La signoria sui popoli è sua

A lui si prostra la Terra Dormiente


La Polvere Discesa gli si inclina

Ma da lui la mia anima trae vita

Il mio seme lo servirà


Del mio signore parlerà ai futuri

Nel popolo nascituro,


La sua Salvezza sarà pensata
In atto sempre
IH)

Salmo 42

al maestro dei cantori


per ricevere istruzione
dei figli di Qòrah

Un bramire di cerva all'acqua


E il mio bramarti o Dio

La mia anima ha sete di Dio vivo


Quando mai rivedrò il volto di Dio ?

Giorno e notte ho per pane pianto


Tutto il giorno mi sento dire
- Dov'è il tuo Dio? -

Verso lacrime ricordando


La mia allegria quando anch'io
Tra i pellegrini alla Casa di Dio
Mentre un inno di gioia e di tripudio
Si levava da loro andavo

Perché attristarti ?
Perché dolori in me anima mia ?
Spera in Dio! Torneremo
A celebrarlo salvezza mia e Dio mio

L'anima mia è prostrata


Pensa a te ed è lontana
Dalla terra del Giordano
Dalle cime del Hermon
Da quella bassa collina

Il suono delle tue acque che precipitano


Evoca abissi d'abisso
5

Irrompono in me i tuoi vortici


Le tue ondate

Torni di giorno la Grazia sua


Dopo il mio canto notturno
La mia supplica al Dio che vive in me

Al Dio della mia rocca io dico


Oh perché mi dimentichi ?
Perché mi copri di buio
E i nemici mi pestano
Ossa già di frantumi ?

Incessante è lo scherno del nemico


Che mi ripete - Hai un tuo Dio tu ?
Se c'è un tuo Dio dov'è? -

Perché attristarti ?
Perché dolori in me anima mia?
In Dio spera! Nel mio tornare
A celebrarlo salvezza mia e Dio mio
Salmo 90

preghiera di Mosè
uomo di Dio

Il Riparo sei tu Signore


Per noi di età in età

Prima che i monti fossero nati


E della terra e dei mondi ti sgravassi
Nell'infinito del tempo tu sei Dio

Miriadi di anni agli occhi tuoi


Sono il giorno di ieri che è passato
Sono un turno di guardia nella notte

Tu lo sbricioli l'uomo
Gli dici disfacetevi figli d'uomo

Siamo un sogno che tu disperdi


Un'erba che fiorisce un mattino

Al mattino un'erba fiorita


Alla sera recisa inaridita

Nella tua furia ci disfacciamo


Nel tuo fuoco ci dissolviamo

Stanno davanti a Te le nostre colpe


Scruti i nostri segreti
Alla lampada del tuo Viso

Ecco i nostri giorni svanire


Nella tua ira
7

I nostri anni cadere


Come un sospiro

Arrivano a settanta i nostri anni


A ottanta per i più forti
E tormento e miseria è il loro fiore

Presto è finita e ci dileguiamo

Facci conoscere che siamo fatti di giorni


Sapienza ci entrerà in cuore

Chi sa la misura del tuo furore ?


Chi ha visto il fondo della tua ira ?

Torna Signore ! Fino a quando tacerai ?


Compatisci i tuoi servi

Ci nutra la tua Grazia dall'aurora


Noi di canti risuoneremo

E quante pene da te soffrimmo


Gli anni in cui non vedemmo che sciagure
Compenserà la gioia

Che ti si veda per i tuoi servi agire !


Scenda sui loro figli il tuo Splendore

Venga a noi la divina


Dolcezza del mio Signore

Non manchi il tuo incremento


Alla fatica delle nostre mani
n8

Salmo 90

Tu che giaci nei chiostri dell'Altissimo


Tu che all'ombra di Shaddai passi la notte

Parla al Signore - Tu mio Riparo


E mio baluardo
Mio Dio mi affido a te -

Egli ti trarrà fuori


Dalle uccellande pronte
Dal contagio sterminatore

Con le sue ali saprà coprirti


Tra le sue piume annidarti

Non temere spaventi dalla notte


Né il volare del dardo quando è giorno

Né la Peste che è in marcia nella tenebra


La Rovina che stermina di giorno

Intorno a te a migliaia cascheranno


Quanti stroncati al tuo fianco

Tu non sarai toccato


Per arma e scudo hai la sua Fedeltà

Disigillati appena gli occhi


I malvagi vedrai retribuiti

Il Signore tu hai come riparo


E l'Altissimo il tuo baluardo
ii9

Te la sciagura non colpirà


Il flagello girerà al largo
Dalla tua tenda

Comanderà ai suoi angeli


Di vegliarti dovunque andrai

Le loro mani ti fasceranno


Pietre di morte schiverà il tuo piede

Sul crotalo e la vipera cammina pure


Leoni e coccodrilli puoi cavalcarli

Chi a me si aggrappa sarà al sicuro


Chi sa il mio Nome sarà salvato

Rispondo all'implorante
Soffro con lui anch'io

Lo rendo libero lo rendo forte

Lo riempirò di giorni
Avrà visione della mia salvezza
NOSTRADAMUS

Prologo alle Centurie

Ritirato di notte scrutando l'oscuro,


Su bronzeo trespolo il solitario riposa
Sprizza da solitudine fiamma sicura
Cose dirà da non credere vane

In mano tiene la verga fiorita


Toccano i piedi e la veste l'onda
Troncato dire e voci di paura
E il divino a dar luce. Dio è vicino

Altra versione del medesimo

Di notte siede specula arcani


Scranno di bronzo solitario posa
Esile uscita dal vuoto fiamma
Rivelerà quel che non sia vano

Verga nel mezzo apollinea tiene


La veste e i piedi lambisce l'onda
Strepiti e voci dai rami e paura
Divinità risplende gli è vicina

Centurie I, 1-2
I
NOSTRADAMUS 121

Maria Antonietta condotta al patibolo

Vedersi vinta alla grande regina


Coraggio infonderà più che virile:
Cavallo la porterà di là dal fiume
Spoglia di tutto. Il ferro seguirà
Patto stuprato

Centurie I, 86
STEPHANE MALLARME

Angoisse

Il mio bacio da cui un inguaribile


Orrore della vita emana
Non soffierà una tempesta tragica
Stanotte, nei tuoi capelli impuri;
Non verrò per domarti, animale
Che calamiti i peccati di tutti.
Quel che io invoco dal tuo letto è il sonno
Pesante, senza sogni, che ignora
I crespi del rimorso nel suo fluire
Che godi tu, dopo il tuo nero mentire,
Tu a cui è il Nulla più familiare
Che ai morti stessi. Come te anch'io
Porto le stigmate della sterilità
Che il Vizio imprime, sulla nativa
Mia nobiltà; ma un cuore
Dove il Crimine morde senza ferire
Abita in te, seno di pietra, io
Dal mio lenzuolo persecutore
Fuggendo pallido e disfatto, asilo
Vado cercando: venire
Sento la Morte, se dormo solo
IIERBERT READ 123

Uomini della mia compagnia

Tra un folto di azioni, di riti silenziosi


Un corpo solo, una sola anima
Voi diveniste

Ma in quale momento alla vostra vita


Si uni la mia? Non so dire.
Fu forse quando una notte d'estate
Fermatici sul bordo di una strada
Voi nel chiarore scialbo stellare
Intonaste le malinconiche
Vostre canzoni patrie
E io a quei cori di strazi nuovo
Freddamente li giudicavo

Oppure, forse, una notte propiziata


Dal rum, di risoluto mio abbassarmi,
Per gratitudine di sensi appagati
Che in me la bevuta accese

E poi il nostro andare


Insieme al combattimento.
Unanimi, inseparabili
Spalla a spalla abbiamo combattuto
E una fierezza di comandare
Nasceva in me

Un folto di azioni, di riti silenziosi


Mi hanno in voi risucchiato.
E altra volta, tutti voi attorno.
Stando più in alto io, in su volgevate
Gli sguardi, ed emanava
Da voi tale splendore,
Di luminose vibrazioni una cosi varia
Intensità, che tanta
Nostra armonia concorde
Di grazia s'incoronava

Mio Dio ! In una landa desolata


Io mi ritroverò, infinitamente solo:
E il mio cuore getterà strida
Per l'anima che è stata, che ai venti
Si è dispersa, ormai spenta, ormai svuotata.
E andrò qua e là brancolando
E il mio grido vi chiamerà o uomini
Meravigliosi ! Ahi dove siete
Miei uomini tanto amati ?
Dove ti sei perduta Compagnia mia ?
FRANÇOIS VILLON 125

I rimpianti della bella Elmiera

Aaah ! Vecchiaia bastarda e feroce !


Perché cosi presto mi hai disfatta ?
Tenetemi! o la faccio finita
Subito, con questa vita

Il potere mi hai tolto, illimitato,


Che mi aveva Bellezza dato
Su letterati, mercanti, prelati.
Con gioia, per me, qualunque uomo
Si sarebbe a quel tempo rovinato
Purché gli avessi concesso
Quel che rifiutano i cani, adesso

E a quanti io non l'ho data!


Molto furba non sono stata...
Fu per amore di un ragazzaccio,
E a lui la davo troppo, senza ritegno.
Gli altri me li giocavo, ma lui
Sull'anima mia! lui lo amavo ...
Ma peggio d'una bestia mi trattava,
Per i soldi soltanto mi voleva

E rompermi tutta di botte poteva,


Pestarmi sotto i piedi... Sempre l'amavo!
Se mi diceva, dopo le reni
Avermi ben trebbiato, baciami
Io tutto dimenticavo.
Col sangue infetto quella carogna
Mi prendeva... Eccomi bella grassa!
Cosa mi resta ? Peccato e vergogna
È morto, ormai, da trent'anni.
10 sono vecchia, bianca.
Quando penso, miseria, al mio buon tempo,
A com'ero e a come sono,
Quando contemplo nuda
Tutta la mia rovina
E mi vedo secca, scarnita,
Darei nel muro la testa

Dov'è finita quella bella fronte,


La bionda treccia, il ciglio arcuato,
11 bello spazio tra gli occhi,
Lo sguardo che irretiva anche i più accorti
Dove sono ? E quel nasino di perfezione,
Le orecchioline bene attaccate,
La fossetta sul mento, i tratti splendenti,
Le labbra di corallo, ardenti ?

E le spalle, altère, delicate,


Le lunghe braccia, le mani sottiline,
Le tettine adorabili, i fianchi carnosi,
Ben rilevati, perfetti, fatti apposta
Dagli amorosi lacci a essere cinti.
Il bel culone e il fichino
Tra coscie solide ben collocato
Dentro il suo erboso tappetino ?

La fronte, rughe. Il pelo, grigio.


Cascati i sopraccigli, i lampeggianti
Occhi che folgoravano gli amanti
Spenti. Il naso tutto storto.
Bellezza ti saluto !
Le orecchie spenzolate e impelosite,
La faccia pallida, stinta, di una morta.
Labbra che cascano, mento di trippa...
127

Qua tocchi il fondo, bellezza umana!


Le braccia accartocciate, le mani rattrappite,
E spalle addio, una gobba.
Due cavità, le tette.
Sconcezze i fianchi, come le tette.
La fichina è volata via. Le coscie?
Coscie non sono più: due steccolini
Pieni di chiazze, come salamini

Cosi il nostro buon tempo


Insieme, noi vecchiette rimbambite
Per terra accovacciate, rimpiangiamo.
Siamo un mucchietto di gomitoli
Attorno a un fuoco di ramettini.
Una fiammata, già inceneriti...
E che splendori eravamo !
A tutti tocca. E la vita.

Le Testament - w . 457-532
GIORGIO SEFERIS

Monaxià

Là, dove sempre tende ogni partire


Si ritorna: all'essere più soli.
Una brancata di terra, in un cavo
Di mani vuoto.

da Una parola per l'estate


JOYCE MANSOUR 129

ìnsensiblement tu glisses vers la foli e des rèves

Verso i deliri dei sogni


Scivoli tu pian piano.
I tuoi occhi si chiudono alla vita.
In un oceano bianco s'immergono
Le tue pupille dilatate.
Rovesciando il trabocco
Del tuo cervello senza più ormeggi
Con la lingua impastata è cascante
La tua bocca.
Nel presagio dei tuoi farnetichi
Tutta intera la stanza si è contratta.

I tuoi furori io voglio


E che ti eccitino i miei seni.
Voglio vedere i tuoi occhi appesantirsi,
Le tue guance incavate farsi biancastre.
I tuoi fremiti voglio.
Che tu mi sborri in mezzo alle coscie,
Che il fertile umore del tuo corpo
Sazi in me, spudorato,
la bramosia.
WILLIAM SHAKESPEARE

Tbat time ofyear thou mayst in me behold

Tu puoi vedere in me quell'epoca dell'anno


Quando, fatte rare dalla caduta, pendono
Ingiallite le foglie dai rami assiderati,
Cantorie di rovina dove dolci uccellini
Cantavano.
Tu vedi in me il giorno che finisce,
Il suo svanire a Ovest dietro al sole
Tramontato quando la nera Notte
Lo porta via di colpo, e la gemella della Morte
Affonda tutto e tutti nel riposo.
Tu vedi in me il fuoco languescente
Che nelle ceneri della sua giovinezza
Ancora ha slanci e il suo stesso alimento
Lo va spegnendo, come nel posarsi
Estremo del sospiro.
E questa percezione fa il tuo amore
Più forte: tu con più ardore ami
Colui che presto ti dovrà lasciare.

Sonetti, 73
GIORGIO S E F E R I S 131

Eùxir/.i,« - Buona fortuna

Viaggiando ho consumato la mia vita.


L'ho consumata tra alberi ingialliti
Giaciuti nella pioggia,
Su silenziose pendici
Che il fogliame di faggio ricopriva
E non c'erano fuochi sulle cime.
Sta calando la sera.

Mormorii nel silenzio sterminato


(Non so più bocca aprire, né ragionare)
Trattengono in me la vita:
Di quella notte il respiro di un cipresso,
La voce umana dell'onda marina
Notturna sulla ghiaia, il ricordare
La tua voce e il suo dirmi «buona fortuna».

da Epifania 193J

Con questi due frammenti da una delle grandi poesie di


Seferis, il traduttore-autore, anche lui dicendo «buona for-
tuna», si congeda dalle lettrici e dai lettori di questa sua
Antologia.
Indice

ERACLITO
p. 3 «Nascendo sono afferrati»
ANTONIO MACHADO
4 Arcobaleno notturno
CONSTANTINOS K A V A F I S
5 Tomba di Iassis
ALFRED DOBI.IN
6 «Franz urla»
ANTONIN ARTAUD
7 I Cenci
J O Y C E MANSOUR
8 «Io chiedo un pane»
G U I L L A U M E APOLUNAIRK
9 «Ascolta se piova ascolta»
WII.ERED OWF.N
io Un amore più grande
12 Dal secondo libro dì Samuele (cap. i , 17-27)
MIGUEL HKRNÀNDEZ
14 11 treno dei feriti
RACINE
16 Vedrà
SEFERIS
18 In scena
ANTONIO MACHADO
19 A IJster
20 Epitaffio di Eschilo
WILLIAM SHAKESPEARE
21 Re Lear
P E T E R WEISS
22 Monologo di Carlotta Corday
INDICE 134

W I L L I A M BI.AKF,
p. 23 La tigre
SAFFO

25 «O Luna, già sei sparita... E voi, le Pleiadi»


VIRGILIO
26 Ecloga IV
ERACLITO
27 «Il Fuoco verrà»
FJ.IOT
28 «Quando discende tagliando l'aria»
WILLIAM SHAKESPEARE
29 Macbeth
WILLIAM BLAKE
30 The Grey Monk
PAUL CELAN

32 «Il tavolo, di legno d'ore, con»


WILLIAM BLAKE
33 Lo spazzacamino
STÉPHANE M A L I .ARME
34 «Sulle aiuole deserte è il triste inverno»
35 Le pitre châtié
RAINER MARIA R I L K E
36 Dalla quarta Elegia Duinese
ANTONIO MACHADO
37 Canto andaluso
E M I L E ZOLA
38 Da Germinal
VIRGILIO
39 lbant obscurì...
RAINER MARIA R I L K E
40 Dalla prima Elegia Duinese
ORAZIO
42 Tu ne quaesieris
MARZIALE
43 «Questa bambina, mia carezza e gioia»
J O Y C E MANSOUR
44 «Per quanti amori il tuo letto ha gridato?»
ORAZIO
45 Eheu fugaces
GIOVENALE
47 «La natura, al genere umano, ha dato»
CE

ANTONIO MACHADO
50 «Occhi che un di si aprirono
51 «In coro con me cantate»
ADRIANO I M P E R A T O R E
52 L'anìmula
ORAZIO
53 Aequam memento
Cantico dei Cantici (cap. 8, 1
55
SOFOCLE
Edipo Re
58
WILLIAM SHAKESPEARE
Re I^ar
60
61 Geremia (cap. 4, 23-26)
CATULLO
62 Carmina 2
63 Carmina 7
64 Carmina 16
65 Carmina 46
66 Carmina 51
67 Carmina 72
68 Giobbe (cap. 3, 1-26)
71 Isaia (cap. 2 1 , 1 - 1 7 )
75 Isaia (cap. 25, 1 - 1 2 )
Isaia (cap. 47, 1-3, 10-15)
78
F.MII.E ZOLA
L'Assommoir
81
ARTHUR RIMBAUD

82 Sensazione
MARZIALE
83 Epigrammi xi, 29
84 Epigrammi 1, 34
85 Epigrammi 1, 90
86 Epigrammi x, 7 1
87 Epigrammi vi, 1 5
Epigrammi x, 6 1
88
Qohélet (cap. 1 2 , 1-8)
89
Qokélet (cap. 3, 14-22)
92
94 Qohélet (cap. 9 , 7 - 1 2 )
LUCREZIO
96 I terremoti
98 La morte
INDICE

ANASSIMANDRO
p. 99 «Ogni cosa sia nata cresce»
ioo Prologo dell' Evangelo di Giovanni
ARTHUR RIMBAUD
102 Genio
104 L'Eternità
CONSTANTINOS K A V A F I S
105 Itaca
107 Dal libro della Genesi
FRIEDRICH NIETZSCHE
108 Tra figlie del deserto
SIMONIDE
109 «Ai morti delle Termopili»
no Salmo 22
114 Salmo 42
116 Salmo 90
118 Salmo 91
NOSTRADAMUS
120 Prologo alle Centurie
121 Maria Antonietta condotta alpatibolo
STÉPHANE MALI .ARMÉ
122 Angoisse
H E R B E R T READ
123 Uomini della mia compagnia
FRANÇOIS VII.I.ON
125 1 rimpianti della bella FJmiera
GIORGIO SF.FKRIS
128 Monaxià
J O Y C E MANSOUR
129 Insensiblement tu glisses vers la folie des rêves
WILLIAM SHAKESPEARE

130 Tbat time of year thou mayst in me bebold


GIORGIO SEFERIS
131 Eì)Tl>xiot -Buona fortuna

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