Non era stata una gran giornata per Luca, fino a quel momento. Era estate, stava dalla
nonna, eppure non si stava divertendo per niente. Del resto, da quando quel mostro era
entrato nella sua vita portandosi via tutta la felicità, come ci si poteva divertire ancora?
Lì, al lago, Luca poteva andarsene in giro da solo. Così, nel primo pomeriggio,
quando a casa tutti dormivano, lui andava a passeggio per il paese. Faceva sempre lo stesso
percorso: piazza principale, giardini, viale, lago e poi ritorno, passando per il prato giallastro
di erba secca dietro alla scuola. Faceva caldo e lui sudava, il sole gli picchiava sulla testa
scaldandogli i capelli, così quando passava davanti alla fontanella si fermava sempre, a bere
e a bagnarsi la testa. Quel giorno, abbassandosi per bere alla fontanella, vide un ragazzino
nel prato, che buttava acqua sul terreno da una bottiglia. Voleva innaffiarlo, visto che era
Ciao – disse.
L'altro si voltò appena e poi tornò a quel che stava facendo. Quando già Luca stava
girandosi per andarsene, visto che l'altro non gli rispondeva, lo sentì dire:
Ciao.
Luca fece qualche altro passo e vide che il ragazzino stava buttando acqua dentro a
un formicaio.
Cos'è, mamma ti ha detto che non si fa? - disse l'altro, con una sfumatura di disprezzo
nella voce.
Come ti pare.
centro era pieno d'acqua e in mezzo galleggiava qualche formica. Risentì nella testa le parole
della madre:
Non bisogna far male agli animali, nemmeno alle formiche. Anche loro sono creature
Perchè le lucertole?
Per ammazzarle, no? - replicò l'altro, come se fosse ovvio – Mi sa che tu non l'hai
Era vero, lui non aveva mai ammazzato una lucertola, né aveva annegato delle
formiche, insomma non aveva mai fatto cose del genere. Non capiva bene come potesse
essere divertente, ma conosceva ragazzini che andavano a caccia di lucertole per tagliar loro
la coda. In effetti lui non era mai andato con loro, a dire la verità, perchè le lucertole gli
facevano paura. Voltò le spalle al formicaio distrutto e si incamminò per tornare a casa pure
lui, quando vide un altro formicaio, intatto. Le formiche entravano e uscivano dal buco al
centro. D'impulso, col piede, distrusse la piccola montagnola di terra. Rimase qualche istante
a guardare, accucciato, ma non vide formiche. Allora si rialzò e tornò a casa, sentendosi
stranamente soddisfatto.
Il mostro si era già svegliato, e ti pareva... Le urla si sentivano fin dal piano terra.
Luca entrò in casa e si infilò in cucina, spalancò le ante della credenza e ci trovò dentro solo
omogeneizzati, polveri per pappette schifose e biscotti da sciogliere nel latte. Prese i biscotti,
se ne mise in tasca una manciata e uscì di casa dalla porta finestra della cucina. Si sedette a
mangiare i biscotti sui gradini del portico, cercando di non sentire il pianto del mostro dal
piano di sopra. Dicevano che era il suo fratellino, ma lui sapeva che non era così. Non
poteva esserci parentela, fra loro, perchè quel coso che urlava e si attaccava alle tette della
madre non era altro che un mostro. Lui non capiva come facessero gli altri a non
accorgersene: come faceva la madre a mettere il suo seno morbido tra le labbra di quel coso?
Non sentiva i denti aguzzi affondarle nella carne? O forse il mostro stava attento a non
mordere la mamma, perchè voleva il latte, ma di sicuro avrebbe morso lui, se solo si fosse
avvicinato troppo. Così lui non si avvicinava, anche se tutti lo invitavano a farlo.
Dai, su, vai dal tuo fratellino! Non vedi quanto è bello? Accarezzalo, senti che pelle
Luca vedeva solo una bocca che nascondeva zanne appuntite, occhi iniettati di
sangue, dita con unghie lunghe e adunche, pronte a ghermirlo. Si era accorto subito che
quello che volevano far passare per suo fratello era un mostro, in realtà: appena la madre lo
aveva portato a casa dall'ospedale. Era stata lì per cinque giorni, e quando era tornata
camminava curva, come una vecchia. Quando lui le aveva chiesto perchè camminasse in
quel modo, lei gli aveva risposto che i punti sulla pancia le dolevano ancora. Quindi era
proprio come aveva immaginato lui: quel mostro si era fatto strada per uscire strappando la
carne della mamma, al punto che avevano dovuto ricucirla! Come poteva amarlo, sua
madre? Come faceva ad amare qualcosa che l'aveva morsa, squarciata, dilaniata per poter
uscire? Luca proprio non se lo spiegava, ma non ce la faceva a chiederlo a lei. Aveva visto
l'espressione sul suo viso mentre gli porgeva il fagotto che teneva il braccio, perché lui
potesse ammirarlo: era la stessa che aveva un suo compagno di scuola quando la ragazzina
della quinta D gli aveva detto che sì, anche lui le piaceva. Questo lo preoccupava molto:
magari il mostro aveva poteri magici cattivi, aveva fatto un maleficio alla sua mamma così
non si accorgeva che lui era un mostro e quando lo guardava vedeva solo un bel bambino
rosa e morbido. Se davvero la madre lo vedeva così, come avrebbe potuto credere che fosse
un mostro, anche se fosse stato lui a rivelarglielo? E poi, lei non lo ascoltava più come
prima. Fingeva bene, questo glielo doveva riconoscere: quando finalmente il mostro si
addormentava, lei si sedeva su una sedia, lamentandosi per il mal di schiena, poi lo invitava
ad avvicinarsi e gli chiedeva come stava, come era andata a scuola. Lui, però, non si faceva
ingannare, vedeva bene gli occhi della madre che non si fermavano su di lui, che vagavano
per la stanza, sulla faccia l'aria di chi sta allerta, attenta al minimo suono potesse provenire
dal mostro, pronta ad accorrere al più piccolo rumore. Si portava continuamente dietro un
affare, una specie di walkie talkie come quello che avevano regalato a lui quando aveva
compiuto sette anni, e Luca sapeva che un altro, identico, restava sempre acceso nella stanza
del mostro, così se quello piangeva o gridava lei poteva sentirlo sempre, ovunque fosse.
Serviva a sorvegliare il mostro, ma era Luca a sentirsi sorvegliato, come se attraverso quel
coso l'altro potesse ascoltare ciò che diceva, così stava sempre attento a non dire niente che
potesse far capire al mostro che lui aveva capito cos'era. Non voleva che quello se la
prendesse con sua madre, così aveva deciso da subito che non le avrebbe detto niente,
almeno fino a quando il mostro si fosse comportato bene con lei. Quanto a lui, prima o poi
avrebbe dovuto fare qualcosa, anche se non sapeva ancora cosa. Del resto, continuare a
vivere in quella casa col mostro, di lì a chissà quanti anni ancora, era impensabile.
Sua nonna aveva aperto piano la porta finestra e se ne stava in piedi dietro di lui.
Biscotti.
Non ci sono altri biscotti in questa casa! Solo robaccia da neonati! - protestò lui.
È dura per te, lo so – disse, dolcemente – Ritrovarti un fratello a dieci anni non deve
La nonna tornò in cucina. Il sapore dei biscotti era diventato orribile. Luca si alzò di
scatto dai gradini, corse in giardino e sputò quel che aveva in bocca dietro a un cespuglio.
Doveva essere stato il mostro: aveva visto che lui aveva preso i suoi biscotti, e li aveva fatti
diventare disgustosi. La situazione peggiorava ogni giorno di più: doveva assolutamente fare
qualcosa.
Il momento che detestava di più, delle sue giornate ormai tutte ugualmente orribili,
era la sera. Verso le sette la madre lo chiamava per aiutarla a fare il bagnetto al mostro.
Ma perchè devo sempre aiutarti io? Non può pensarci la nonna?- si lamentava lui.
La nonna sta preparando la cena, e poi ci tengo che ci sia anche tu. Voglio che tu e il
Ma è un... - stava per dire “mostro”, ma si fermò in tempo – è solo un neonato! Mica
posso mettermi a chiacchierare con un neonato!
Ora basta, Luca, non discutere. So io perchè voglio che tu ci sia, e fino a prova
Per Luca era davvero un momento tremendo. Non osava guardarlo, ma era costretto a
farlo, e tutte le volte il suo cuore cominciava a battere a mille dalla paura. Il mostro, senza
addosso il solito pagliaccetto, era ancora più ributtante: la pelle era secca, piena di bolle e
pustole da cui usciva un liquido giallo e, a quella vista, all'orrore si sommava il disgusto, al
punto che rischiava sempre di vomitare da un secondo all'altro. Alla fine, quella sera, mentre
la madre se ne stava in ginocchio accanto alla vasca da bagno, al cui interno era sistemata la
vaschetta per il bagnetto del piccolo, lui stava in piedi, rigido e quasi impietrito
dall'angoscia, accanto a lei, che gli chiedeva di porgerle le cose di cui aveva bisogno.
Guardava giù, appena brevi sguardi, solo quando era costretto a farlo, e per il resto del tempo
fissava le mattonelle della parete, mentre la madre non la smetteva di vezzeggiare il mostro,
mentre lo lavava.
Ma guarda come gli piace l'acqua! E la schiuma, eh? Vedi che bella la schiuma? Il
Un velocissimo sguardo di Luca: la bocca del mostro era spalancata, i denti gialli e
aguzzi erano completamente in mostra, gli occhi arrossati lo fissavano mentre una mano
adunca era poggiata sul braccio della mamma. Luca si sentì quasi venir meno, fissò lo
Luca, per favore, prendimi lo shampoo delicato nel mobiletto sotto al lavandino.
Lui schizzò subito verso il lavandino, grato di potersi allontanare dalla vasca. Si accucciò e
aprì le ante dell'armadietto, poi prese lo shampoo, chiuse di nuovo le ante e si sollevò. Nello
specchio vide riflessa l'immagine del fratellino: lo guardava con un ghigno sulla faccia, se si
poteva chiamare “faccia” quell'ammasso informe su cui spiccavano solo gli occhi rossi e la
bocca piena di denti affilati, e per un attimo quegli occhi saettarono da lui alla madre,
malevoli. Gli stava forse dicendo che l'avrebbe uccisa, se lui non fosse stato zitto e buono?
Luca sentì cedere le gambe e, prima di svenire lì, lasciò cadere a terra lo shampoo, spalancò
la porta del bagno e scappò via da lì, scendendo le scale a rotta di collo, inseguito dalla voce
arrabbiata della madre che lo chiamava. Senza che la nonna riuscisse a fermarlo, aprì la porta
Continuò a correre a lungo, perché più correva e più sentiva alleggerirsi dentro il
peso che gli premeva sui polmoni, schiacciandoli, al punto che, invece di sentirsi mancare il
fiato per la corsa, a ogni respiro che faceva si sentiva rinascere. Pian piano rallentò
l'andatura, perchè cominciavano a dolergli le gambe, fino a camminare lungo le stradine del
paese. Era quasi l'ora di cena e dalle finestre aperte arrivavano i rumori consueti: piatti
poggiati sulle tavole, posate che tintinnavano toccandosi, la sigla del telegiornale della sera,
le voci delle madri che chiamavano i figli a mangiare. Luca si sentì triste, solo e spaventato.
Prima dell'arrivo del mostro aveva la mamma tutta per sé, che lo coccolava distesa sul letto
insieme a lui, la sera, giocava a carte con lui, gli chiedeva come stava e ascoltava davvero
quel che lui aveva da raccontarle, al punto che non vedeva l'ora di tornare da scuola per
ritrovarla, in cucina, magari intenta a preparare una torta per la sua merenda. E aveva anche
il papà, che rientrava dal lavoro e, dopo aver salutato la mamma, andava subito a cercarlo e
lo chiamava “ragazzo”, facendolo sentire grande. Il papà con cui, la domenica, andava al
parco a giocare a frisbee, o in bicicletta, e con il quale parlava dei compagni, delle piccole
prepotenze che gli facevano, ascoltando i racconti di quando lui era piccolo, della sua scuola
dove le maestre, che erano suore, quando si arrabbiavano potevano picchiarti sulle mani con
la riga di legno. Ma da quando era arrivato il mostro era come se anche il papà fosse sparito,
perduto in quella terra arida e spaventosa che era la dedizione al mostro, in cui non c'era
posto per lui, Luca, l'unico che vedesse il fratellino per quello che era veramente.
Il sole era ormai quasi del tutto tramontato, lasciando nel cielo scuro uno splendida
scia rosa, e Luca pensò che doveva tornare a casa. Del resto, che alternative aveva? Non
poteva certo scappare, dove sarebbe potuto andare? Nessuno vedeva quel che vedeva lui, e
anche la nonna, la zia e persino i cugini pensavano che lui fosse geloso e invidioso del
fratellino, e lo rimproveravano dicendo che era venuto il momento di crescere, che doveva
voler bene a suo fratello e smettere di comportarsi da bambino viziato. Certe volte Luca si
sorprendeva a desiderare che il mostro facesse il suo incantesimo cattivo anche su di lui, così
che anche lui potesse finalmente vederlo come un bel bambino roseo e paffuto, non avrebbe
più avuto paura di lui e avrebbe potuto magari tenerlo in braccio, fargli qualche carezza, così
sua madre e suo padre sarebbero stati contenti e lo avrebbero amato di nuovo. Eppure,
qualcosa dentro gli si ribellava all'idea, e sentiva che nessun incantesimo sarebbe mai
riuscito a cancellargli dalla memoria l'immagine agghiacciante di quel che c'era nel fagotto
di coperte che la madre aveva riportato a casa dall'ospedale. Non avrebbe mai potuto
dimenticarlo, mai.
Mentre tornava verso casa, lentamente, dando calci a tutti i sassi che i suoi piedi
incontravano sulla strada, vide venirgli incontro il padre. Ricordò che era venerdì, il giorno
che suo padre raggiungeva lui e la mamma a casa della nonna, al lago, per passare lì il fine
settimana. Di sicuro era arrabbiato, dovevano avergli detto cosa aveva fatto e lui era andato
a cercarlo, per riportarlo a casa e punirlo. Rallentando ancora di più l'andatura guardò il
arrabbiata, come quando era alle prese con qualcosa che non capiva e che voleva a tutti i
Dai, andiamo a fare due passi – propose il padre, mettendogli una mano sulla spalla.
Si incamminarono, affiancati, e Luca avrebbe tanto desiderato tornare indietro nel tempo, a
quando rientravano insieme dal parco, la domenica, proprio così, camminando affiancati, col
padre che gli teneva una mano sulla spalla, troppo stanchi per parlare ma vicini, padre e
figlio che non avevano bisogno di parlare, perché quell'amore lì non ha bisogno di essere
spiegato. Da quando era nato il mostro, invece, sia la mamma che lui cercavano sempre
parole nuove per spiegare a Luca che doveva voler bene al fratellino, chè pure se quello non
fosse stato un mostro, e lo era, Luca ne era certissimo, anche così non capiva come si potesse
pretendere da qualcuno che volesse bene a qualcun altro, visto che voler bene nasceva da
dentro, te lo sentivi o non te lo sentivi, non ti potevi costringere. Prima, se loro gli avessero
detto che, dopotutto, se si impegnava davvero, poteva voler bene a chiunque, lui magari ci
avrebbe anche creduto e ci avrebbe provato davvero. Ora non gli credeva più, niente di
quello che dicevano aveva più un senso, se non vedevano il mostro dietro all'apparenza del
neonato che avevano portato a casa dall'ospedale, dopo che quello si era fatto strada per
uscire dilaniando la pancia della madre. Il padre, lui lo sapeva bene, avrebbe ucciso chiunque
avesse fatto del male alla madre, eppure contro il mostro non aveva pronunciato nemmeno
La mamma è molto preoccupata per te, ragazzo. E anch'io. Non capiamo proprio
perchè ti comporti così. D'accordo, a nessun bambino fa piacere, all'inizio, che arrivi
Però la tua reazione ci sembra esagerata. Non solo non stai mai col tuo fratellino, non
Tua madre sta pensando di portarti da un medico, uno di quelli con cui devi solo
parlare, che possa aiutarti a capire meglio qual è il problema.
Però io non sono d'accordo. Credo che sia solo un momento di difficoltà. Che hai
bisogno di tempo per abituarti al fatto che adesso c'è anche lui, in famiglia. E sono
sicuro che presto capirai che gli vuoi bene, e che lui non vuole rubarti il nostro
amore.
(No, lui vuole uccidervi! Quando non gli servirete più, vi azzannerà con quei suoi
denti aguzzi, vi lascerà agonizzanti e se ne andrà! E poi ucciderà anche me, o forse
Luca ci pensò su, per un attimo. Pensò alla possibilità di dire tutto al padre, magari gli
avrebbe creduto, sarebbe riuscito a togliersi di dosso l'incantesimo cattivo che gli aveva fatto
il mostro, e poi se ne sarebbe liberato e lo avrebbe ringraziato, lui, suo figlio, il suo vero e
unico figlio. Poi si rese conto che non sarebbe mai andata in quel modo, e che se gli avesse
davvero confessato cosa vedeva quando guardava il fratellino, il padre lo avrebbe portato sul
serio dal medico, che lo avrebbe rinchiuso in manicomio, dove stanno i matti, e non avrebbe
Bravo il mio ragazzo! Adesso andiamo a casa, ché la cena ci sta aspettando!
continuo al walkie talkie, quello che riceveva il segnale dall'altro, nella stanza dove stava il
mostro.
contorceva...
Sì...
Luca mangiò in fretta anche se non aveva fame, e chiese il permesso di andarsene subito
nella sua stanza. Suo padre disse di sì, quasi senza nemmeno guardarlo. Prima che arrivasse
il mostro, lui non gli avrebbe mai chiesto di andare nella sua stanza subito dopo cena, perché
sperava sempre che si sarebbero messi sul divano, tutti e tre, a guardare un film divertente.
Ma ormai non si parlava più di guardare film insieme, e non c'era più alcun film che Luca
trovasse divertente.
Salì le scale senza fare rumore, non voleva farsi sentire dal mostro, che dormiva nella
camera accanto alla sua, quella dei genitori. Anche solo passando davanti alla porta sentì un
brivido lungo la schiena, e affrettò il passo verso la sua. La luce sul comodino era accesa: la
lasciava sempre accesa lui, perchè aveva paura di entrare nella sua stanza quando era
spalliera della sedia sotto alla maniglia a dopo che i suoi fossero venuti a dargli il bacio della
buonanotte, e si sedette per terra, sotto alla finestra, da dove poteva vedere la porta senza
essere visto subito da chi entrava. Prese il libro che aveva appena iniziato e cercò di
immergersi nella lettura, anche se non si sentiva affatto tranquillo: se il mostro era inquieto
voleva dire che si stava arrabbiando? Però, forse, stava male davvero, gli venne in mente. E
se stava male magari poteva... morire? Possono morire i mostri, o li puoi solo uccidere?
Sperò, ardentemente sperò che morisse, anche se il senso di colpa lo pungeva da tutte le
parti, gli arrossava le guance e gli mandava in fiamme la testa. “Non si deve mai, mai
augurare la morte a nessuno, nemmeno a chi ti sembra cattivo o ti ha fatto del male – diceva
sempre la madre – È Dio che decide il destino di tutti, noi non abbiamo il diritto nemmeno di
provarci”. Scosse la testa, per scacciare quel pensiero, che però rimase come una filastrocca
Il libro non riusciva a distoglierlo dai suoi pensieri, ma ben presto cominciò a sentirsi
assonnato. Quando stava quasi per addormentarsi, però, vide aprirsi la porta della sua stanza:
non era presto per la buonanotte? Per un attimo pensò di avere un'allucinazione e si
stropicciò gli occhi, per riaprirli subito dopo e vedere davanti a sé la stessa cosa: il mostro
era lì, pagliaccetto verde e pannolino compresi, ma era in piedi e lo fissava coi suoi occhi di
brace. La bocca, se si poteva chiamare così il taglio obliquo che aveva al centro della faccia,
era storta in una smorfia, e si vedeva il luccicore dei denti. Luca tentò di gridare, ma non
c'era voce nella sua gola, né respiro nei suoi polmoni, e si sentiva paralizzato, incapace di
Vuoi che muoia, eh? - disse il mostro, con un'assurda voce roca e stridula insieme,
che feriva le orecchie. Luca non poteva rispondere, voleva solo scappare, il cuore gli
verde, con le gambe grassocce che non si capiva come facessero a reggerlo in piedi, e
insieme terrificante – Invece sarai tu, a morire, presto. Ti ucciderò io. Stai attento a
Lentamente, il mostro gli si avvicinava. Luca boccheggiava, senza riuscire a far arrivare aria
ai polmoni, e una forza invisibile continuava a tenerlo inchiodato a terra. Finalmente, chissà
come, riuscì ad urlare, e urlò più forte che poteva, e poi tutto divenne sfocato, e l'immagine
Si svegliò per gli strattoni del padre, e la sua voce nelle orecchie:
Luca! Luca!
Aprì gli occhi e in un attimo ricordò quello che era appena accaduto, cominciando a tremare.
Il padre era spaventato, continuava a tenerlo stretto, cercando di attirare la sua attenzione.
Gli occhi del ragazzino saettarono per la stanza come biglie impazzite: la madre era accanto
Stai bene, adesso? Ci hai fatto prendere un colpo. Si è svegliato pure tuo fratello.
Luca chiuse forte gli occhi e le labbra per impedirsi di gridare ancora. (“Basta con questo
fratello, è un mostro, possibile che non lo vedete, ha detto che mi ucciderà!”). Cercò di
calmarsi, aprì di nuovo gli occhi e si sforzò di respirare lentamente, ma il panico non se ne
andava.
Da anni Luca non desiderava più dormire con i suoi genitori: amava il suo letto e la sua
stanza, si sentiva al sicuro lì. Ma dopo quello che era appena successo non si sarebbe sentito
Evidentemente, pensò lui, vuole andare a guardare il suo mostro nell'altra stanza,
un'ultima occhiata prima di costringersi a venire a dormire con me. Lo odio, lo odio...
Indossò il pigiama e si mise sotto alle coperte. Doveva fare pipì, ma non osava
allontanarsi da quel letto, e non voleva restare solo. Pensava solo che presto la mamma
sarebbe tornata e, se lei avesse dormito insieme a lui, il mostro non gli avrebbe fatto del
male, almeno per quella notte. Il padre restò ancora un po' con lui, senza dire niente,
accarezzandogli i capelli, e se ne andò quando li raggiunse la madre, che si infilò nel letto.
Luca si strinse a lei, che lo abbracciò. Il padre diede loro la buonanotte e uscì dalla stanza,
accostando la porta.
Che ti succede, Luca? Sono anni che dormi da solo, perchè hai voluto che restassi
Luca si stava lentamente rilassando, con lei accanto, e aveva solo voglia di dormire.
Domani.
Va bene.
Luca sentì che la sonnolenza lo afferrava e decise che, con la madre vicino, poteva
La mattina dopo, quando si svegliò di soprassalto, la madre non c'era. Sentì subito
che qualcosa non andava e si rese conto di aver bagnato il letto. Il pigiama era zuppo di urina
e anche le lenzuola e il materasso sotto di lui. Si alzò velocemente dal letto e stava andando
Aveva in braccio il mostro, che lo guardava con occhi cattivi. Luca si immobilizzò al centro
della stanza.
Lui abbassò lo sguardo, per non dover fissare gli occhi del mostro e anche un po' per la
vergogna.
È solo che ieri sera dovevo farla, ma avevo tanto sonno e così...
cambiarmi!
Va bene, allora... vado a lasciare tuo fratello alla nonna e poi ci penso io, qui. Tu vai a
cambiarti.
Luca si rifugiò in bagno e si tolse di dosso gli indumenti bagnati. Si lavò e si mise
addosso il suo accappatoio, poi uscì dal bagno, circospetto. Si affacciò alla balaustra del
piano superiore e guardò giù. Non vide niente, ma sentì la nonna rivolgersi al mostro:
Respirò di sollievo e andò nella sua stanza. Sua madre aveva tolto le lenzuola bagnate e
Luca annuì e poi andò a mettersi degli slip puliti, una maglietta e un paio di calzoncini. Poi
La madre lo guardò con aria preoccupata, e alla fine acconsentì. Lui la salutò e andò verso la
(Puoi ucciderlo. No, non puoi, lo so). Stai tranquilla, mamma. Sto bene.
Luca uscì di casa in fretta, senza nemmeno passare a dare il buongiorno alla nonna.
Vide suo padre in giardino, occupato ad innaffiare il prato, ma passò dietro ai cespugli e
riuscì a non farsi vedere. Si incamminò lungo la solita strada, e più camminava più si sentiva
meglio: il peso che gli opprimeva il petto si alleggeriva, man mano che si allontanava dal
mostro. Doveva pensare a quel che era successo la sera prima, anche se farlo lo spaventava e
gli faceva aumentare i battiti del cuore: il mostro si era mosso da solo, aveva raggiunto la sua
stanza sulle sue gambe, che non avrebbero mai potuto reggerlo, dato che aveva solo sei mesi
e Luca non ricordava di aver mai visto un mezzo neonato stare sulle sue gambe. Del resto
quello non era un bambino, quindi... il problema era che adesso lui non poteva più sentirsi al
sicuro, in casa, visto che il mostro avrebbe potuto approfittare di ogni momento in cui non
era sorvegliato dai genitori per andare da lui e fargli del male. Se avesse raccontato ai suoi di
aver visto quello che loro credevano essere il loro figlioletto ritto sulle gambe a sei mesi e di
averlo sentito minacciare suo fratello di morte, lui che ancora, al massimo, davanti a loro
gorgogliava... be', altro che medico avrebbero chiamato. Che poteva fare? si chiese. Doveva
andarsene, ecco cosa. Ma andare dove? Era solo un ragazzino di dieci anni. Non aveva soldi,
non aveva altra casa che quella dei suoi genitori, e nessun parente avrebbe accettato di
ospitarlo. Da chiunque fosse andato gli avrebbero chiesto perchè mai voleva andarsene da
casa sua e abbandonare i suoi genitori, e lui che avrebbe potuto rispondere? “Me ne voglio
andare perchè quello che credete essere il mio fratellino in realtà è un mostro, con gli occhi
rossi come il fuoco, la bocca piena di zanne e le mani come artigli, che già cammina da solo
e ha già ha minacciato di uccidermi”. Lui sapeva bene cosa gli altri pensassero di chi vedeva
mostri che nessun altro vedeva, se ne ricordava da quando il suo amico Andrea gli aveva
raccontato di aver visto un film in cui c'era una ragazza che giurava di essere circondata dai
fantasmi di persone morte, e quando lo aveva detto l'avevano rinchiusa dentro una stanza
tutta bianca, senza finestre e con la porta d'acciaio, da cui non avrebbe mai più potuto uscire.
Passeggiando e pensando, Luca era arrivato sulle sponde del lago. Percorrendo il
camminamento che lo circondava tutto si poteva arrivare a una macchia di verde fitto, alberi
e cespugli che creavano un intrico di rami e foglie che ai ragazzini piaceva esplorare. Luca ci
si infilò dentro, alla ricerca di fresco e solitudine. Il sentiero era in salita, un po' scivoloso, e
lui iniziò a seguirlo, facendo attenzione a non cadere. Nel mezzo della boscaglia, poco più in
là, vide una macchia rossa: la maglietta del ragazzino che, il giorno prima, stava affogando le
formiche nel prato secco. Era di nuovo accucciato, come la prima volta che l'aveva visto, e
Luca si chiese quale animale stesse tormentando. Si avvicinò al ragazzino e lo salutò. Quello
Luca gli si avvicinò ancora, cercando di fare meno rumore possibile, e vide che teneva in
mano un filo d'erba, lavorato in modo che terminasse con un piccolo cappio. Si accucciò
anche lui, per guardare meglio, e vide immobile, a poca distanza dal cappio, una lucertola.
L'altro ragazzino taceva, attento a che il filo d'erba non si muovesse nella sua mano, e Luca
capì che stava aspettando che la lucertola si muovesse per intrappolarla. Tutti e due rimasero
zitti e immobili per alcuni minuti, quasi senza respirare, e mentre Luca non sapeva bene se
La lucertola si contorceva, pendendo dal filo d'erba, senza però riuscire a liberarsi. Luca si
sorprese a guardarla senza compassione: dopotutto avrebbe potuto scappare, invece si era
lasciata catturare.
E adesso le diamo fuoco! Vieni! - disse il ragazzino dalla maglietta rossa, sorridendo
soddisfatto.
Sempre tenendo la lucertola sospesa al filo d'erba, quello lo condusse ad un piccola radura,
dove evidentemente aveva predisposto, prima di tentare la cattura, i suoi strumenti di morte
alla lucertola. C'erano un flacone di alcool denaturato, un secchio di latta col coperchio e dei
fiammiferi. Il ragazzino buttò la lucertola dentro al secchio e poi lo chiuse con il coperchio.
È una cosa fichissima, ma bisogna stare attenti: se il fuoco esce dal secchio qua
brucia tutto, però non dobbiamo farla scappare. Aiutami: tu sollevi appena il
coperchio, e sta attento che quella non scappa, mentre io ci verso sopra l'alcool. Sei
pronto?
Luca cominciò a sentirsi un certo fastidio allo stomaco, come quando beveva il latte troppo
in fretta, ma annuì e afferrò con la mano il coperchio. L'altro gli diede il via e lui lo scostò
appena, per far entrare il beccuccio del flacone dell'alcool. Quando “maglietta rossa” pensò
che poteva bastare gli disse che stava per togliere il flacone e lui doveva tenersi pronto a
richiudere il coperchio. Luca non si sentiva pronto a niente, e la nausea stava aumentando,
ma ancora una volta annuì e, quando l'altro smise di versare l'alcool, allontanando il flacone
Bravo! Non l'hai fatta scappare! Lo sai che non sono capaci tutti? L'ultima che ho
preso quel deficiente di mio cugino se l'è fatta scappare da sotto il naso!
Luca provò a sentirsi orgoglioso di essere uno di quelli che non faceva scappare le lucertole,
ma senza riuscirci troppo. Solo un lievissima soddisfazione, appena un velo, che però per un
attimo annebbiò la costante consapevolezza di essere lui quello in trappola, proprio come la
lucertola, chiuso in casa col mostro per tutti gli anni a venire, se quello non lo avesse
ammazzato prima.
Un'altra botta di nausea, e per fortuna che aveva lo stomaco vuoto, visto che non mangiava
dalla sera prima. Comunque, nonostante la nausea e la sensazione inquietante di star per fare
qualcosa di molto, molto proibito dalle regole della sua famiglia, Luca si piazzò accucciato
davanti al secchio, pronto a scostare il coperchio. “Maglietta rossa”, ché ancora non si erano
nemmeno scambiati i nomi, si mise dall'altra parte, e Luca gli vide un luccichio selvaggio
negli occhi mentre strofinava il fiammifero contro la scatola, incendiandolo. Lui scostò il
coperchio, l'altro buttò dentro il fiammifero e tutti e due insieme si allontanarono di corsa dal
Forte, eh? Bisogna essere veloci, sennò ti bruci pure tu! - disse il ragazzino, mentre il
spettacolo”. Luca, invece, sentì che il non aver mangiato niente quella mattina non era
Quando i conati si calmarono riuscì a tirarsi su e si pulì la bocca con il polso. Avrebbe
dato chissà che per un po' d'acqua che lo aiutasse a mandar via il sapore acido che sentiva in
gola, ma non ne aveva con sé, e non voleva ancora tornare a casa. Sentiva il ragazzino
Luca si allontanò di qualche passo ancora, cercando aria pulita da respirare, mentre la nausea
ritornava. L'altro sembrò accorgersi solo in quel momento che Luca non partecipava al suo
divertimento, così gli si avvicinò.
Se hai fame possiamo andare da me. Mio nonno è uscito, e i miei non ci stanno mai.
Dai, vieni!
La buttiamo – rispose l'altro, afferrando il secchio, dove il fuoco si era ormai spento,
e rovesciandolo.
Il cadavere della lucertola bruciata scivolò via, cadendo sull'erba e provocando un altro
spasmo allo stomaco di Luca, che si affrettò a distogliere lo sguardo. L'altro ragazzino
Alex.
Io sono Luca.
Sì.
Che negozio?
Scusa.
ad arrivare ad una casa a due piani, con una scala di ringhiera che portava all'ingresso. Il
ragazzino salì le scale senza guardarsi indietro e poi si accorse che Luca era rimasto giù.
Luca si decise a salire. Alex girò semplicemente la maniglia e la porta si aprì. Appena entrati,
Luca fu quasi assalito dall'odore della casa: un misto di cibo cucinato, forse detersivo per
pavimenti e umidità, un odore che non aveva mai sentito. Seguì il nuovo amico lungo il
corridoio spoglio, senza niente alle pareti, né quadri né librerie, fino alla cucina. Sul tavolo
c'era un cestino con dentro delle fette di pane e, accanto, un involto di tela. Alex si sedette e
afferrò una fetta di pane, poi andò a prendere un coltello, aprì l'involto e ne tirò fuori quella
che sembrava una mezza forma di cacio, tagliandone due grossi pezzi e tendendone uno a
Luca. Lui si chiese come si potesse fare colazione in quel modo, senza latte né biscotti, ma
aveva una gran fame e accettò, ringraziando. Il formaggio era forte, per i gusti delicati a cui
lui era abituato, e all'inizio fece uno sforzo per non storcere la bocca per la sgradevole
sorpresa, ma poi continuò a mangiare, alternando un morso al pane e uno al formaggio, come
stava facendo Alex, e si rese conto che quelle due cose insieme erano buonissime. Alla fine
avrebbe voluto chiedere dell'acqua, ma l'altro appena terminati la sua fetta di pane e il suo
formaggio si alzò di scatto dal tavolo, invitando Luca a seguirlo. Lui inghiottì l'ultimo
boccone e gli andò dietro. Arrivarono in quella che, evidentemente, era la stanza di Alex: un
gran disordine, il letto sfatto, vestiti, scarpe e fumetti ovunque e, in un angolo, un tavolino
con sopra uno schermo, attaccato alla console di videogiochi per la quale Luca smaniava da
un anno.
No. Non ce l'ho quella – rispose Luca, indicando la console - L'ho chiesta ai miei,
forse me la fanno per Natale.
controller e mandò il gioco. Per Luca, fino a cinque mesi prima, sarebbero state immagini
spaventose, di quelle che ti sogni di notte e ti fanno svegliare di colpo, col cuore a mille e in
un bagno di sudore, ma ormai quasi non gli facevano alcun effetto, se non quello di indurlo
al confronto col suo zombi personale, quello che lo aspettava a casa. Perchè che lo stesse
aspettando era una certezza, per lui. Ormai aveva fatto il passo decisivo, quello di presentarsi
da lui, da solo, e se aveva rischiato tanto l'unico motivo era che sapeva quanto lui, Luca,
Alex sembrava molto concentrato ad ammazzare zombies con la semplice pressione dei tasti
sul controller, e aveva l'aria di non aver fatto altro nella vita, fino a quel momento.
Sì.
L'altro non ebbe difficoltà a familiarizzare con i comandi, e in breve gli zombies sullo
Luca smise di uccidere zombies, trattenne il respiro per un attimo e poi si buttò, fissando
l'altro:
Ci vivo insieme.
Non fu facile spiegare, raccontare e convincere il suo nuovo amico che quello che diceva era
tutto vero, ma alla fine Alex sembrava convinto e impressionato. Del ragazzino audace che
sembrava non aver paura di niente non c'era più traccia, e il pallore del suo viso testimoniava
quanto fosse arrivato a credere all'incredibile. Se ne stavano seduti per terra, la console
Non è possibile. Sta sempre in braccio ai miei o nella culla, e poi magari tu non
vedresti niente. Gli altri non se ne accorgono, gli sembra un normale neonato. L'unico
che vede che è un mostro sono io. Penso che li abbia stregati.
Ma come fai a essere sicuro che quello che vedi tu è vero? - obiettò Alex - Magari
L'osservazione non mancava di logica, in effetti, eppure Luca non ci aveva mai pensato,
neanche una volta. Aveva visto i suoi occhi rossi e le zanne e le dita adunche sin dal primo
momento che aveva posato lo sguardo su di lui, quindi non poteva assolutamente dubitare di
Io so che quello che vede la verità sono io – affermò – Non posso dirti perchè lo so,
ma è così.
E che hai intenzione di fare? Se davvero è come dici tu e quello vuole ammazzarti,
L'immagine del mostro intento a spolpare la sua testa provocò a Luca un ennesimo attacco di
nausea.
E che posso fare, secondo te? I miei lo vedono come mio fratello! Mica posso andare
là e prenderlo a bastonate!
Be', magari potresti farlo passare per un incidente... - disse Alex, la sua aria temeraria
completamente riacquistata.
Figurati... Tu non sai quant'è spaventoso! Non riesco nemmeno a guardarlo per più di
due secondi!
Alex aveva lo sguardo trasognato, come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Dopo
Luca pensò che forse Alex era solo curioso di vedere con i suoi occhi se quello che
chiamavano il suo “fratellino” era davvero un mostro, e pensò che se anche il suo nuovo
amico non fosse riuscito a vederlo avrebbe pensato che lui era fuori di testa. Del resto, che
alternative aveva? Se tutto fosse andato bene e il mostro si fosse rivelato anche ad Alex per
quello che era, magari l'altro avrebbe avuto una buona idea per liberarsene. All'ipotesi
contraria non voleva nemmeno pensare, tanto aveva problemi più grossi che passare per
Facciamo così: oggi pomeriggio io vengo a trovarti, così mi fai vedere il tuo mostro –
propose Alex.
Okay.
Mentre tornava a casa, Luca si sentiva strano. Da una parte era sollevato, aver parlato con
qualcuno dell'incubo che aveva invaso la sua vita negli ultimi cinque mesi era stata una
piccola liberazione, ma dall'altra aveva paura. Paura che nemmeno il suo nuovo amico
riuscisse a vedere il vero volto del mostro e magari si prendesse gioco di lui o, peggio,
andasse in giro a raccontare quella storia facendolo passare per pazzo. E poi solo in quel
momento gli venne in mente che, forse, far vedere il mostro a qualcun altro non della
famiglia potesse farlo infuriare ancora di più contro di lui. Se l'avesse risparmiato, fino a
quel momento, solo perchè nessun altro sapeva di lui, a parte i genitori e la nonna?
Entrando in casa, si aspettava che sua madre gli chiedesse dov'era stato per tutto quel
tempo, invece trovò lei e la nonna in salone che guardavano affascinate, ridendo, il mostro
disteso su una sdraietta poggiata sul pavimento. Luca pensò di imboccare le scale e salire
nella sua stanza senza nemmeno farsi vedere, ma in quel momento squillò il telefono e la
madre andò a rispondere, e lui si trovò d'improvviso davanti al mostro. Il ghigno con cui di
solito l'altro lo fissava stavolta era ancora più minaccioso, i denti scoperti e le mani, che
prima reggevano un pupazzo, tese verso di lui con gli artigli bene in vista: il mostro sapeva.
Sapeva di Alex, e sapeva che adesso lui aveva qualcuno dalla sua parte, che lo avrebbe
aiutato ad ucciderlo. Anche la nonna si allontanò, chiamata in cucina dalla madre, e il mostro
Lo so che stai architettando, che credi? Ti sei fatto un amichetto, e credi di farmi
paura? - disse, con la solita voce roca e insieme stridula, ma ancora più terrificante –
L'altro si mise a ridere, se quel rumore stridente come una lima su un pezzo di ferro si poteva
trionfante.
No! - gridò, suo malgrado – No, mamma, scusa. Sono un po' stanco, vado in camera
mia.
Luca evitò di guardare ancora il mostro e iniziò a salire le scale, poi si ricordò di Alex e disse
alla madre che, nel pomeriggio, sarebbe venuto a trovarlo un nuovo amico. Lei rispose solo
“Ah, sì, d'accordo”, ma era chiaro che non aveva davvero capito. Come al solito la sua
Luca se ne andò in giardino subito dopo pranzo, ad aspettare Alex. Adesso che il
momento si avvicinava non vedeva l'ora che il suo amico arrivasse. Cominciava a crederci
davvero che l'altro lo avrebbe guardato e riconosciuto, il mostro, e allora lo avrebbe aiutato a
liberarsene. Del resto se uno non si fa problemi ad ammazzare una lucertola inoffensiva,
Il sole era caldo e Luca sudava, ma non aveva la forza di spostarsi dai gradini della
veranda su cui si era seduto. La sua mente tornò all'estate precedente, in quello stesso
giardino: era stato così felice... non sapeva ancora che la madre aspettasse un altro figlio, e
lui e lei stavano sempre insieme. Andavano al mare, poi tornavano a pranzo, e poi si
mettevano a riposare lì, sulle sedie a sdraio. La madre leggeva e lui giocava col modellino di
elicottero radiocomandato che gli avevano regalato al suo compleanno. Di tanto in tanto la
mamma diceva qualcosa e si mettevano a chiacchierare... una volta, mentre lei annaffiava il
prato, aveva diretto il tubo dell'acqua verso di lui e lo aveva bagnato apposta, ridendo, allora
lui glielo aveva rubato e l'aveva bagnata a sua volta e avevano finito per sdraiarsi sull'erba
ridendo a crepapelle, tutti e due fradici... Momenti così non sarebbero mai più tornati: ormai
c'era il mostro, la mamma non aveva più interesse per lui, non ci chiacchierava più, non
rideva, non scherzava con lui, e pretendeva pure che lui si comportasse da “grande”, adesso
che aveva un fratellino di cui prendersi cura. Luca sentì arrivare le lacrime, e si sforzò di
cacciarle via, pensando al mostro e alla forza che avrebbe dovuto trovare dentro di sé per
ucciderlo. Non c'era altro da fare, continuava a ripetersi, non poteva vivere ancora sotto al
suo stesso tetto, specie adesso che aveva minacciato di uccidere anche la mamma.
Mentre risalivano il vialetto insieme, verso l'entrata della casa, a Luca sembrò che l'altro
fosse un po' pallido, molto meno vivace delle altre volte che lo aveva incontrato. Che avesse
paura?
Sì, sì! - rispose l'altro, anche se lo sguardo un po' vacuo tradiva quelle parole di
assenso.
Entrarono dalla porta finestra e Luca chiamò sua madre, che arrivò dalla cucina.
Ciao, felice di conoscerti! - disse la mamma, con in mano uno dei pagliaccetti del
mostro.
Luca si chiese come quello riuscisse a non romperli, con quelle unghie ricurve che aveva...
Alex mormorò qualcosa che suonava come un “Buongiorno, signora”, piuttosto bofonchiato,
e subito dopo arrivò la nonna, col mostro in braccio. Luca diede una gomitata leggera
all'amico e lo guardò guardare quello che agli occhi di tutti, tranne che ai suoi, era solo un
bel bambino di sei mesi. L'altro spalancò gli occhi e si morse il labbro inferiore, abbassando
in fretta lo sguardo. Luca vide l'espressione del mostro, quella delle grandi occasioni: denti
acuminati bene in vista, occhi rossi, mani adunche tese in avanti, come pronte a ghermire.
Be', noi andiamo a fare un giro – disse, prendendo l'amico per un braccio e
trascinandoselo dietro.
Uscirono seguiti dalla raccomandazione della madre di non fare tardi per la cena, e una volta
L'altro aveva ancora quello strano sguardo, a metà tra la paura e l'eccitazione, e rispose:
Luca sentì un calore diffonderglisi dentro, sollievo e forza che lo invadevano. Finalmente
non era più solo! Finalmente qualcun altro vedeva quel mostro per quel che era!
E ci credo! Io avrei paura pure ad addormentarmi, con quello nella stanza accanto!
Appunto! Iero ho dovuto chiedere a mia madre di dormire con me, ma come farò
Luca smise di camminare e si girò a guardare l'amico. Aveva avvertito la sicurezza nelle sue
parole, nel tono della voce. Anche l'altro si rendeva conto della necessità di eliminare il
Ho solo paura che i miei non capiranno. Hai visto mia madre come lo guarda? Ormai
E che alternativa hai? - replicò l'altro – Aspettare che ti ammazzi? O che ammazzi i
Non credo che le farà del male davvero, in fin dei conti ha bisogno di lei...
Che ne sai? Se così piccolo già parla e cammina, che problemi avrebbe ad andarsene
in giro da solo e rubare il cibo, magari ammazzando chi glielo vuole impedire?
Perchè dovrebbe? A casa mia sta benissimo, nutrito e coccolato. Quello che non
C'è un pontile, dall'altra parte del lago, nascosto dagli alberi. È vecchio, nessuno lo
usa più.
E allora?
Aveva negli occhi lo stesso luccichio di quando stava dando fuoco alla lucertola, pensò Luca.
Il caldo aumentava e lui si sentiva stanco, tanto stanco... quella giornata sembrava non finire
mai. Pensò che voleva tornare a casa, e poi che non sarebbe mai più voluto tornare in quella
casa dove c'era il mostro. Come avrebbe potuto dormire, quella notte? Non poteva certo
chiedere a sua madre di restare ancora con lui... eppure avrebbe tanto voluto dormire, per
giorni e giorni, e poi svegliarsi e rendersi conto che era stato solo un incubo, che era ancora
figlio unico e che nessun mostro era mai entrato nella sua vita. All'improvviso, senza che
avesse sentito alcuna avvisaglia dentro, come invece gli succedeva sempre, scoppiò in
lacrime. Si sedette sul prato del lungolago, le braccia sulle ginocchia piegate e la testa sopra,
e pianse singhiozzando piano. Alex gli si sedette accanto e gli mise una mano sulla spalla.
Ma sì che lo farà! Sarà stato un incidente, no? Mica penserà che l'hai fatto apposta.
L'altro rimase imbambolato per qualche istante, come se stesse cercando di risolvere un
Allora non hai che una cosa, da fare: fingere di star cominciando a volergli bene,
parlargli, giocare con lui... fino a quando tua madre si convincerà che ti è passata e si
ammazziamo.
Non ce la farò mai. Non riesco nemmeno a guardarlo! Ma l'hai visto davvero, tu? Hai
Be', devi fare uno sforzo. Altrimenti non te ne libererai mai, e poi ha detto che ti
ucciderà, no?
Luca sospirò. Alex aveva ragione, ma lui non riusciva nemmeno a pensare di guardarlo più
di due secondi, figuriamoci giocare con lui! E poi... come accidenti si gioca con un mostro?
Alla fine Luca tornò a casa, da solo. Anche il suo amico se ne andò, perchè era ora di
cena. Si accordarono per rivedersi il giorno dopo e ancora una volta Alex insistette, prima di
andarsene:
Appena entrato in casa, il padre gli chiese dove fosse andato. Luca cominciò a rispondere,
Lui stava per imboccare le scale che portavano alla sua stanza, al piano di sopra, quando
pensò che, comunque, da qualche parte doveva pur cominciare. Tornò sui suoi passi e andò
anche lui in cucina. Il mostro troneggiava sul seggiolone, mentre la mamma lo imboccava,
seduta di fronte a lui. Il padre, in estasi, lo guardava dall'altra parte del tavolo. Luca si
costrinse ad alzare gli occhi e la scena che vide per poco non lo fece sobbalzare: la madre
teneva il cucchiaio pieno di minestra davanti alla bocca del mostro, che era spalancata
all'inverosimile, le zanne perfettamente in vista, gli occhi fiammeggianti aperti e fissi non sul
cucchiaio, ma su di lui. La madre gli infilò la minestra in quella bocca spaventosa, e l'altro la
inghiottì, continuando a inchiodare lui con lo sguardo. Luca cercò di tenere duro e ricambiò
Che c'è, Luca? È tuo fratello, mica un mostro marino! - esclamò, ridendo – Hai una
faccia...
No – balbettò lui – mi chiedo solo come faccia a piacergli tanto quel pappone... -
disse, coraggiosamente.
preoccupazione per il comportamento del figlio maggiore. Finalmente riusciva a stare nella
stessa stanza con suo fratello, lo guardava mangiare e aveva anche fatto una battuta di
Un attimo dopo la nonna chiamò il padre, dal giardino, per fargli vedere qualcosa, e
Posso lasciarti un attimo a guardare tuo fratello? Devo andare a prendergli un altro
bavaglino, di sopra.
Luca fece un profondo respiro. Era arrivato il momento.
Sì.
La mamma gli sorrise con dolcezza e uscì dalla cucina. Ora erano soli: lui e il mostro. Luca
si fece coraggio e alzò gli occhi: l'altro lo guardava. La bocca stavolta era chiusa, sembrava
una ferita insanguinata sulla pelle pallida, e gli occhi rossi non lo perdevano di vista un
attimo. Le mani erano aggrappate ai bordi del seggiolone, le lunghe unghie ripiegate. Un po'
di pastina era caduta sul davanti del pagliaccetto, e Luca pensò che quel mostro sul
seggiolone con la tutina imbrattata di pastina era la cosa più assurda e schifosa che avesse
mai visto.
- Lo so che stai cercando di fare, cosa credi? - disse il mostro, con la sua voce roca e
tagliente.
Luca iniziò a tremare, ma tenne con forza lo sguardo puntato su quel volto orribile.
L'altro aprì la bocca e si mise a ridere, la solita risata che sembrava un raglio. Con la mano
afferrò il cucchiaio rimasto sul tavolino del seggiolone e lo buttò a terra. Luca pensò che
doveva raccoglierlo o la madre si sarebbe chiesta perchè non lo aveva fatto, visto che l'aveva
raccolse e lo poggiò sul tavolo, lontano dalle mani del mostro. Nel fare questo, sbirciò un
attimo la faccia dell'altro, e per poco non si mise a gridare. Per un secondo, solo un secondo,
vide un bambino seduto sul seggiolone, un bambino dalla pelle rosa e dalle guance paffute,
che lo fissava con occhi ancora dal colore indistinto e sorrideva. Un bambino bellissimo.
Ma fu solo un attimo: la madre rientrò in cucina, e quando Luca lo guardò di nuovo, vide il
mostro al proprio posto, che fissava ora la madre. Si strofinò gli occhi, sentendo ancora la
nausea assalirlo, come quando aveva aiutato Alex a bruciare la lucertola. Disse alla madre
che andava nella sua stanza e uscì dalla cucina senza aspettare la sua risposta. Il bambino che
aveva visto per un attimo, sul seggiolone, scivolò via dalla sua memoria.
Quella notte mise con cura la spalliera della sedia sotto alla maniglia della porta, dopo aver
sentito distintamente chiudersi la porta della stanza dei suoi. Per la prima volta, da quando la
mamma aveva portato a casa il mostro, si sentì a disagio nel barricarsi in quel modo, come se
stesse facendo una cosa stupida. La sua mente gli diceva che non lo era, che da quando il
mostro aveva dimostrato di sapersi muovere da solo ed era arrivato da lui a minacciarlo,
proteggersi era diventato fondamentale, eppure qualcosa dentro gli suggeriva che non aveva
senso farlo. Del resto, non era cambiato niente, anzi. Lui sapeva cosa aveva intenzione di
fare, insieme ad Alex, e questo significava una sola cosa: che doveva accelerare i tempi,
sbrigarsi a far credere ai suoi di aver cambiato opinione a proposito del fratellino, magari di
aver cominciato a considerarlo parte della famiglia, di aver smesso di sentirsi geloso. Passò
in rassegna tutto quello che gli avevano chiesto di fare con lui e che lui si era rifiutato di fare,
o che era riuscito a fare solo con un immenso sforzo, e gli vennero in mente alcune cose che
gli avrebbero provocato, forse, meno disgusto. Tenerlo in braccio nemmeno a parlarne, l'altro
avrebbe potuto approfittarne per morderlo o graffiarlo, ma sorvegliarlo mentre era nella
sdraietta si poteva fare, intanto, magari fingendo di parlare con lui, per farsi sentire dalla
madre o dalla nonna. Anche aiutare la mamma a dargli da mangiare era fattibile, se lo
guardava solo di tanto in tanto senza soffermarsi troppo sui particolari spaventosi della sua
faccia. Poi c'era il bagno... poteva resistere alla vista di quella pelle arida, di quelle pustole
purulenti? Forse, se avesse usato sempre la tecnica dei brevissimi sguardi ripetuti.
Si sentiva stanchissimo. Si sedette sul letto e guardò per un attimo il libro che aveva
iniziato a leggere quando era arrivato dalla nonna, quindici giorni prima: era ancora alle
prime pagine. I suoi giochi preferiti erano nella cesta, rimessi a posto dalla mamma e non più
ripresi da lui, negli ultimi giorni: non aveva più voglia di giocarci, e non aveva più voglia di
giocare, proprio. Resistette alla tentazione di rimettersi a piangere, deglutendo più volte e
facendo un profondo respiro. Si stese nel letto e pregò che il mostro, almeno per quella notte,
Si svegliò alle otto del mattino seguente. Andò in bagno e si lavò, come gli aveva insegnato a
fare la mamma già parecchi anni prima, poi indossò una maglietta pulita, dei calzoncini e i
sandali e uscì dalla sua stanza, dopo aver tolto la sedia da sotto la maniglia della porta. Da
quando aveva cominciato a mettercela, qualche giorno prima, nessuno se ne era accorto,
perchè nessuno veniva più la notte a controllare se dormiva, evidentemente. Certo, ormai
c'era il piccolo, e lui era diventato grande all'improvviso, per i suoi genitori. Abbastanza da
mangiare o non mangiare a pranzo, per esempio. La porta della stanza dei suoi genitori era
aperta: dentro non c'era nessuno. Luca si sporse dalla balaustra della scala e guardò giù:
l'ingresso della casa era deserto, ma si sentivano voci provenire dalla cucina. Probabilmente
il mostro stava facendo colazione, guardato con adorazione dai suoi e dalla nonna. Scese le
scale senza fare rumore, rammentando a se stesso ciò che si era ripromesso di fare, poi
respirò profondamente un paio di volte e si sforzò di sorridere. Come Luca aveva previsto, il
mostro era in braccio alla madre e stava avidamente succhiando il latte dal biberon.
Succhiava con una tale forza che rivoletti di latte gli uscivano dalla bocca serrata attorno al
cuccio, e quello spettacolo da solo bastò a fargli passare di colpo la fame. Tuttavia riuscì a
sopprimere la smorfia di disgusto che gli era salita spontanea alle labbra e a salutare la madre
e la nonna, che si mise subito a scaldargli il latte. Si sedette al tavolino, di fronte alla
mamma, e decise di esercitarsi a usare i brevissimi sguardi ripetuti che aveva deciso essere
il modo migliore per guardare il mostro senza spaventarsi troppo. Ne azzardò un paio e vide
che quello aveva finito di bere il latte, per fortuna, e lasciava che la madre gli pulisse la
È talmente vorace... - disse lei, sorridendo orgogliosa – Tu, invece – aggiunse, rivolta
toccarti il viso più volte, per svegliarti, altrimenti non avresti mangiato abbastanza.
L'immagine di se stesso abbandonato tra le braccia calde e protettive della madre, da lei
stessa evocata, rischiò di mandare a monte tutti gli sforzi di Luca di mantenere un
atteggiamento tranquillo e sorridente. Sentì una pietra piazzarglisi al centro dello stomaco,
come se fosse il suo cuore, così pesante da sprofondargli nelle viscere. La nonna arrivò
Sì.
Ieri, quando l'hai portato qui, aveva un'aria strana, come se fosse impaurito.
Luca rimase immobile, ma i suoi occhi saettarono verso il mostro. Ridacchiava, fissandolo.
Prima di uscire dalla porta finestra, si volse ancora verso il mostro. Non rideva più, ma lo
fissava con odio. Luca avrebbe saputo dire con certezza cosa voleva dire quello sguardo.
In giardino incontrò suo padre, intento a ridipingere la porta del capanno degli attrezzi.
Benissimo.
Senti... io e la mamma andiamo in paese, tra poco, a incontrare alcuni amici. Ti va di
restare a casa a fare compagnia alla nonna o hai qualche altro impegno?
Portate anche...?
Non riusciva a dire il nome del mostro, non ci era mai riuscito.
Valerio? No, pensavamo di lasciarlo qui. Se resti potrai dare una mano alla nonna, se
vuoi.
Non era forse quello che voleva, far credere ai suoi che si stava affezionando al fratellino?
Va bene, resto.
Bene, grazie. Magari nel pomeriggio andiamo a farci una passeggiata al bosco, io e
Certo.
Anche solo qualche giorno prima, quella proposta da parte del padre gli avrebbe fatto fare i
salti di gioia. Quel giorno, invece, non gli provocò nemmeno una piccola emozione.
I suoi uscirono poco dopo, e Luca accettò di sorvegliare il piccolo che stava nel box
mentre la nonna stendeva i panni appena lavati. Il box era messo al centro del soggiorno,
mostro non giocava, non toccava niente: stava seduto con la schiena contro la rete e fissava
lui. Il taglio netto rosso al centro della faccia che gli altri consideravano una bocca era
Luca non sapeva che fare. Anche guardarlo a brevi sguardi ripetuti era difficile, così
si sedette sul pavimento, a distanza di sicurezza, e si mise a fissare il disegno del tappeto.
L'altro restava immobile, ma lui non aveva il coraggio di alzare gli occhi. Ad un certo punto,
però, sentì dentro qualcosa che assomigliava all'esasperazione, alla rabbia, alla furia. Gli
attimo, si contrasse in un una smorfia strana che Luca interpretò come sorpresa.
Vuoi sapere perchè sono venuto? - gli chiese, avvicinandosi alla rete e facendo così
Sì.
Invece sì. Ti ricordi quando tua madre ti ha detto che presto avresti avuto un
Tu le hai gridato che non volevi un fratello né una sorella, che non volevi nessuno,
che lo avresti odiato. Le hai detto anche che non le volevi più bene. Ti ricordi?
Luca rimase zitto, e riuscì a fissarlo senza distogliere lo sguardo, stavolta. Tanto non vedeva
il mostro davanti a sé, ma se stesso. Era vero, aveva detto quelle parole alla madre, ma l'altro
Non posso. Io continuo a stare qui proprio perchè tu mi odi. E ci resterò, e prima o
Fu un attimo. Un secondo prima era seduto per terra, immobilizzato dall'orrore, e un secondo
dopo era mezzo infilato nel box, a stringere il collo del mostro, sentendo la pelle viscida di
quello che gli scivolava dalle mani... L'altro si mise a urlare e lui cadde all'indietro. La nonna
accorse.
Luca non rispondeva, lo sguardo perso nel vuoto. La nonna sollevò dal box il mostro che
Luca! Che hai fatto al braccio? - gli chiese la nonna, allarmata e pallida.
Lui si guardò il braccio destro: aveva dei graffi sulla pelle, e solo in quel momento sentì il
Vado a prendere l'acqua ossigenata – disse la nonna, andando verso il bagno, sempre
Non ci riesco, ha detto che è colpa mia, capito, perchè io lo odio e perchè ho detto a
mia madre che l'avrei odiato, ancora prima che nascesse! Non ce la faccio a far finta,
lo voglio uccidere, prima gli ho stretto le mani al collo, che schifo, non puoi capire...
Alex lo guardava perplesso, senza nemmeno capire bene cosa l'altro stesse dicendo, tanto
parlava in fretta. Luca era andato a cercarlo a casa e lui l'aveva subito fatto entrare. Era
domenica, ma i suoi non c'erano comunque, così in casa erano soli e Luca poteva gridare
Senti, fermati un attimo, non capisco che dici! Parla più piano, ricomincia da capo.
Che è successo?
Luca fece uno sforzo per calmarsi. Si sedette per terra, fece qualche respiro profondo e poi
cominciò a raccontare.
… e allora sono scappato via, e non sapevo dove andare e ho pensato di venire qui.
Hai fatto bene – rispose l'altro, che gli si era seduto accanto, mentre parlava.
Mi ha pure graffiato... - disse Luca, facendogli vedere i segni sul braccio.
Be', se hai cercato di strozzarlo... ma non avevi detto che non riuscivi nemmeno a
guardarlo?
Sì, non so come ce l'ho fatta, a toccarlo... Però adesso so che lo posso fare. Lo posso
Certo, te l'ho detto... Ma adesso come facciamo a prenderlo? Dopo quello che hai
Lo so.
Però...
Cosa? Dimmelo!
Be', i neonati stanno sempre a dormire, no? Dormirà pure lui, durante il giorno.
E come ci arrivo alla stanza dove sta senza farmi vedere? E come lo porto giù, pure
se riesco a prenderlo? Guarda che mi ha fatto! E poi mia madre ha uno di quei cosi,
Luca rientrò per l'ora di pranzo e trovò i suoi già a tavola. Si sedette, scusandosi per il
ritardo, e vide il solito walkie talkie accanto alla madre. Il mostro doveva essere a letto.
Quello sì che sarebbe stato un momento ideale, ma come avrebbe giustificato la sua assenza?
Gli sembrò di avvertire un'atmosfera strana, a tavola, ma poi concluse che era soltanto una
sua impressione. La madre iniziò a parlare di un amico che avevano incontrato in paese lei e
il padre, e anche la nonna si inserì nella conversazione. Luca sperò che la nonna non avesse
fatto parola di quel che era successo al mattino, e vedendo che il pranzo procedeva senza
differenze rispetto al solito, se ne convinse. Del resto cosa aveva visto lei? Il mostro che
piangeva e lui sul pavimento, tutto lì. Ma c'erano anche i graffi... Sì, ma lui era scappato, lei
non aveva potuto guardarli bene, e ormai quasi non si vedevano più. No, si disse, stai calmo,
è tutto a posto. Poi gli venne in mente che il mostro potesse avere, sul collo, i segni del suo
tentativo di strangolarlo, e un brivido freddo gli attraversò la schiena. Ma se era così perchè i
suoi non lo avevano fermato, subito, per chiedergli spiegazioni? Perchè non lo avevano
ancora punito? Ma certo... non era nemmeno riuscito a stringere, la pelle schifosa gli
scivolava dalle mani, di sicuro non gli aveva lasciato nessun segno. Altra ragione valida per
Nel primo pomeriggio i genitori di Luca si misero a riposare nella loro stanza,
insieme al mostro che dormiva nel suo lettino. Anche la nonna andò a fare un pisolino, e
Luca rimase da solo nel soggiorno, al piano terra, aspettando e ripassando il piano. Ormai
sapeva a memoria ogni parola che Alex gli aveva detto, e più il tempo passava più sentiva
mostro si fosse svegliato insieme ai suoi? Avrebbe dovuto rimandare al giorno dopo... Come
resistere un'altra notte? Intanto le lancette dell'orologio sulla parete si spostavano. Le tre si
stavano avvicinando.
tre meno dieci e uscirono insieme dalla stanza, la mamma portandosi appresso il solito
walkie talkie. Lui chiese notizie del fratellino, chiamandolo per nome per la prima volta. Il
padre gli rispose che dormiva ancora, e speravano che dormisse almeno per un'altra ora.
Secondo tua madre ha l'aria strana, come se non stesse bene. Se dorme è meglio.
Luca seguì il padre in cucina, e vide che la mamma stava preparando il caffè. Mancavano
cinque minuti alle tre. Disse ai suoi che pensava di uscire a fare un giro con Alex e che
andava di sopra a prepararsi. Loro annuirono e lui sparì. Fece di corsa le scale fino al piano
di sopra, controllò che sua nonna non fosse in vista, anche se la sua stanza era di sotto e non
gli sarebbe sfuggito se lei fosse salita, poi fece un respiro profondo e aprì la porta della
stanza dei suoi. Le tende erano tirate e l'ambiente era in penombra. Non si sentiva nessun
rumore. Si chiuse la porta alle spalle il più silenziosamente possibile, poi raggiunse il walkie
talkie sul comò e lo spense, pregando che sua madre non se ne accorgesse. Prima di
costringersi a guardare dentro al lettino, andò alla finestra e tirò le tende, poi aprì le due ante
Luca si voltò verso il lettino. Mai un oggetto tanto innocuo gli era parso così minaccioso.
Avanzò, rendendosi conto che doveva sbrigarsi: in ogni momento avrebbero potuto entrare i
suoi o la nonna. Il mostro dormiva, gli occhi erano chiusi e il corpo si muoveva al ritmo del
respiro lento del sonno. Il battito del cuore di Luca accelerò, mentre gli si ghiacciavano le
“Gli butti addosso una coperta e lo afferri da sotto, così gli blocchi le mani e la bocca e non
può graffiarti o morderti, e anche se grida non si sente”. Lui prese dal letto dei suoi un plaid
che stava sempre appoggiato lì e lo spiegò per bene, poi respirò forte ancora una volta, lo
soprassalto, cominciava ad agitarsi. Luca lo sentì gridare, mentre con le mani cercava di
liberarsi della coperta, sentiva le unghie aguzze provare a strappare il tessuto, ma lui
“Poi vai di corsa alla finestra e lo butti giù, tanto ci sto io che lo prendo”.
Tenendo discosto dal suo corpo l'involto che si agitava forsennatamente, Luca raggiunse la
finestra: di sotto Alex era con le braccia tese davanti a sé, pronto ad afferrarlo. Non c'era
tempo di star lì a pensare, così si sporse dal davanzale e lasciò cadere di sotto il suo fardello
che non smetteva di dibattersi. Alex lo prese al volo e gli avvoltolò di nuovo la coperta
intorno, stretta, poi imboccò il sentiero che portava al cancello posteriore del giardino e
sparì. Luca, respirando forte e sentendosi quasi svenire, chiuse la finestra, riaccese il walkie
talkie e aprì la porta di uno spiraglio, per controllare che la via fosse libera. Rivoletti di
sudore gli solcavano il viso, ma lui non se ne curò: imboccò le scale e scese, gridando verso
“Non ti preoccupare, papà – pensò – tanto è già sveglio. Ancora per poco”.
Secondo i loro accordi, Alex sarebbe corso col mostro in braccio fino al pontile
nascosto del lago, e anche Luca mi mise a correre per arrivarci, col cuore che gli batteva
fortissimo, e non solo per lo sforzo. I suoi si erano già accorti che era sparito? Che sarebbe
successo, dopo? Lui avrebbe detto che non sapeva niente, che qualcuno doveva essere
entrato senza che loro lo vedessero e doveva aver rapito il suo fratellino. Del resto anche se
qualcuno avesse visto Alex col mostro in braccio, nessuno avrebbe mai potuto accusare lui di
niente, e poi il suo amico conosceva quel paese come le sue tasche, aveva detto che avrebbe
percorso le vie più periferiche, che nessuno lo avrebbe visto. Così Luca continuò a correre,
anche se ad un certo punto vide delle persone in giro e rallentò, perchè quelle in seguito non
si ricordassero di lui. Camminò svelto per le strade del paese e quando raggiunse il
Furono le grida a guidarlo, strane grida: quelle solite del mostro, stridenti come unghie sulla
lavagna, roche, da far venire i brividi. E, mischiate a queste, una specie di pianto. Luca
arrivò in vista del pontile, e alla fine di questo c'era Alex, che teneva il mostro tra le mani,
sospeso sull'acqua. Quello, senza più addosso la coperta, si agitava, si dibatteva e gridava
mentre il ragazzino lo guardava con una smorfia di disgusto. Luca si avvicinò, rallentando, e
più si avvicinava più le fattezze orribili del mostro si facevano nitide, i suoi occhi rossi che
quasi mandavano fiamme, la bocca spalancata sui denti aguzzi, le mani ad artiglio che
cercavano di afferrare il viso di quello che lo teneva. Luca si fermò del tutto, incapace di
stargli troppo vicino. Alex si accorse che era arrivato e si voltò verso di lui:
Era ora che arrivassi! È forte, questo mostro! Non riesco quasi più a tenerlo!
Luca taceva, immobilizzato dall'orrore. Non aveva altra scelta, ma quell'unica scelta gli
sembrava terribile.
Il mostro, rabbioso, urlava sempre più forte, e ad un certo punto i suoi occhi rossi videro lui.
Che stai facendo? - disse a Luca – Vuoi uccidermi? Non puoi! I tuoi genitori ti
odieranno!
Quella voce stridula gli ferì le orecchie, mentre finalmente trovò il coraggio di avvicinarsi un
Se mi uccidi non sarai mai più felice, lo sai? - gridò il mostro, smettendo di
dibattersi.
Non ne hai il coraggio, eh? Sei un ragazzino pauroso, solo un ragazzino fifone!
Lo strazio che gli infuriava dentro fece scoppiare Luca in singhiozzi. Poteva liberarsi di quel
mostro orribile che aveva distrutto la sua vita, ma non riusciva a dire la parola che Alex stava
aspettando, perchè? Nessuno avrebbe mai sospettato di lui, perchè esitava? Il mostro ora lo
fissava e rideva, quella sua risata orribile, che lo scherniva, si prendeva gioco della sua
Luca cercò di farsi uscire la voce per chiedergli di aspettare, di dargli ancora un minuto,
quando l'altro aprì le mani. Fu come se Luca vedesse la scena al rallentatore: il mostro che
spalancava le braccia urlando, agitandosi nel vuoto, e poi scivolava nell'acqua, con un
piccolo tonfo. Prima che scomparisse del tutto, però, Luca rivide per un attimo il viso del
bambino, quel bambino che, anche allora solo per un attimo, aveva visto seduto sul
Non si permise di pensare: si lanciò di scatto verso il pontile, dando una spinta ad
Alex, e si gettò in acqua. Era fredda e melmosa, e i suoi occhi spalancati, per un secondo,
non videro altro che ombre scure. Poi colse un movimento appena sotto di sé e stese la
braccia, raggiungendo il mostro. Mentre i polmoni gli scoppiavano per la mancanza d'aria,
Luca riemerse dall'acqua del lago, spuntando e tossendo, con in braccio un bambino fradicio
ed esanime.
svegliarsi, mentre sia la forza dei colpi che quella della sua voce diminuiva sempre di più.
Smise di battere sulla schiena del bambino, stringendoselo addosso. Chiuse gli occhi,
disperato. In quel momento sentì il bambino muoversi tra le sue braccia e riaprì di scatto gli
occhi, mentre l'altro cominciava a tossire. Un rivoletto d'acqua uscì dalle labbra del piccolo,
che subito dopo scoppiò a piangere. Luca lo guardava, incredulo, ridendo e piangendo
insieme, stringendoselo addosso per scaldarlo, anche se era fradicio pure lui. Il pianto acuto
del piccolo gli sembrò il canto di un angelo, mentre si voltava verso Alex:
Alex finalmente si mosse, togliendosi la maglia e lanciandola a Luca, che la prese al volo e
Ecco, adesso ti asciugo, coraggio, respira... fa che stia bene, fa che stia bene... -
pregava, stringendo e cullando il piccolo che ancora piangeva. Alex, intanto, gli si
avvicinò.
Solo quando l'hai lasciato cadere – rispose Luca, senza guardarlo – Ma tu, allora...
Tu lo sapevi che non era un mostro! - gli gridò - E volevi che morisse! L'hai gettato
nell'acqua! Perchè?!
Volevi veder morire mio fratello?! - gli chiese Luca, sentendo per la prima volta il
Luca lo fissava, incredulo, attonito. Ancora cullando il bambino tra le braccia, cominciò a
Luca scuoteva la testa, continuando ad allontanarsi. Che diritto aveva di prendersela con
Alex, in fondo? Aveva ragione, aveva fatto solo quello che lui gli aveva chiesto. Ma come
aveva potuto chiedergli una cosa del genere? E dove era finito il mostro? Abbassò la testa a
guardare il bambino, che non piangeva più e si era addormentato. Era così bello... Forse, un
attimo prima di affogare, il mostro aveva abbandonato il corpo di suo fratello, e magari ora
stava vagando per l'aria come uno spirito cattivo, in attesa di trovare un altro neonato di cui
Mentre il caldo vento estivo soffiava sui suoi vestiti, asciugandoli, Luca si incamminò verso
casa, col bambino addormentato tra le braccia, resistendo al desiderio di stringerlo più forte
per paura di fargli male. Aveva rischiato di ucciderlo, perchè anche se era stato Alex a
lasciarlo cadere, in realtà era come se fosse stato lui a farlo. Be', promise a se stesso, non
solo non gli avrebbe mai più fatto del male, ma lo avrebbe protetto da chiunque volesse
- Valerio – disse, sussurrando all'orecchio del piccolo – Sta tranquillo, adesso torniamo a