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24 Febbraio 2021

Fotografare il paziente, attenti alla sua privacy


L’avvocato Montaldo: attenzione all’utilizzo che se ne fa. La
fotografia è anche un dato personale e, nel caso in specifico, un dato
sanitario

Sempre più odontoiatri pubblicano sul sito del proprio studio foto di casi clinici risolti oppure
anche solo immagini di vita dello studio, ma alcune di queste foto ritraggono il paziente in modo
da renderlo riconoscibile.Lasciando da parte le considerazioni sulla reale efficacia, dal punto di
vista del marketing, del pubblicare immagini cliniche magari anche cruente, quali sono le
valutazioni dal punto di vista legale?Na abbiamo parlato con l’avvocato Federico Montaldo, autore
del libro “Manuale di sopravvivenza per fotografi. Diritti, obblighi e privacy” (Emuse editore)

Avvocato, è possibile pubblicare sul sito dello studio o sulla pagina Facebook una foto in cui sia
riconoscibile paziente? Serve una liberatoria?

La regola generale in tema di pubblicazione di immagini in cui siano ritratte e riconoscibili le


fattezze della persona si basa sul consenso, che si esprime attraverso l’autorizzazione da parte del
titolare. La regola conosce diverse eccezioni: la riproduzione dell’immagine può essere giustificata
dalla notorietà del soggetto o dall’ufficio pubblico ricoperto; dallo scopo didattico, scientifico e
culturale, da esigenze di giustizia e polizia, dalla circostanza che le immagini si riferiscano a fatti e
avvenimenti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Sempre fatto salvo il rispetto dell’onore,
del decoro e della reputazione della persona.Direi che il caso in questione non rientri in alcune
delle menzionate ipotesi di deroga. E’ quindi necessaria apposita liberatoria da parte del paziente
la cui immagine si intende riprodurre, quale che sia la forma del mezzo utilizzato (cartaceo, web,
social ecc.).

E nel caso invece si scattino foto per documentare l’attività clinica, al solo fine di tenere traccia del
caso, raccogliendole nella cartella clinica elettronica senza renderle pubbliche? Serve la
liberatoria?

A condizione che l’immagine non venga riprodotta in alcun modo o comunque divulgata ma resti
esclusivamente ad uso interno quale documentazione dello studio professionale, non si pone
questione dal punto di vista del diritto all’immagine. Ciò a maggior ragione se l’immagine sia tale
da non rendere riconoscibile le fattezze della persona (come nel caso di particolari odontoiatrici,
del cavo orale ecc.). C’è peraltro da considerare – ed è molto importante - che la fotografia è anche
un dato personale, e, nel caso in specifico, un “dato sanitario”, in quanto rivelatore di informazioni
riguardo allo stato di salute del soggetto (poiché la fotografia sarà ovviamente associata alla
scheda del paziente unitamente agli altri dati identificativi della persona). Ricorre quindi, in questo
caso, l’applicazione della normativa sul trattamento dei dati personali di cui al Regolamento UE
2016/679 (GDPR), che prevede una serie di regole. Al riguardo, il Garante della Privacy (provv.
55/2019), ha precisato che i trattamenti per “finalità di cura” (sulla base dell’art. 9, par. 2, lett. h) e
par. 3 del Regolamento), sono propriamente quelli effettuati da (o sotto la responsabilità di) un
professionista sanitario soggetto al segreto professionale o da altra persona anch’essa soggetta
all’obbligo di segretezza. Diversamente dal passato, quindi, il professionista sanitario, soggetto al
segreto professionale, non deve più richiedere il consenso del paziente per i trattamenti necessari
alla prestazione sanitaria richiesta dall’interessato, indipendentemente dalla circostanza che operi
in qualità di libero professionista (presso uno studio medico) ovvero all’interno di una struttura
sanitaria pubblica o privata.Parliamo in questo caso dei trattamenti “necessari” al perseguimento
delle specifiche “finalità di cura”, cioè quelli essenziali per il raggiungimento di una o più finalità
determinate ed esplicitamente connesse alla cura della salute. Eventuali trattamenti attinenti, solo
in senso lato, alla cura, ma non strettamente necessari, richiedono, quindi, anche se effettuati da
professionisti della sanità, una distinta base giuridica da individuarsi, eventualmente, nel consenso
dell’interessato o in un altro presupposto di liceità (artt. 6 e 9, par. 2, del Regolamento).

Molti odontoiatri, a scopo divulgativo, proiettano immagini dei casi risolti durante le conferenze
tenute in presenza ma anche su piattaforme online. Relazioni che poi vengono registrati e messe
in Rete. In questo caso le immagini in cui sono riconoscibili i pazienti devono avere la liberatoria?

In questo caso potrebbe ritenersi operare la deroga rappresentata dall’utilizzo per scopo
scientifico e didattico. Occorre peraltro rimarcare che – come ogni fattispecie derogatoria di una
regola generale – essa dovrà essere interpretata in modo rigoroso: la diffusione dell’immagine,
pertanto, non dovrà avere alcuna finalità “pubblicitaria” (anche indiretta) circa il “modus operandi”
del singolo specialista o di quel determinato studio professionale allo scopo di trarne un utile
economico. Il problema è risolvibile, anche in questo caso, attraverso una liberatoria: non tanto
per la diffusione dell’immagine durante una conferenza “in presenza” (che si esaurisce nell’ambito
di essa) quanto per la pubblicazione in rete, ove è destinata a restare e ad essere facilmente
accessibile.Valgono comunque, anche in questo caso, le considerazioni fatte sopra con riguardo al
trattamento dei dati sanitari (se ed in quanto l’immagine rilevi come dato sanitario).

Può cambiare se la relazione è resa disponibile su piattaforme chiuse ad operatori di settore,


oppure ad abbonati o soci delle società scientifiche di riferimento?

No, direi che sul piano legale non cambia nulla. Sul piano pratico, l’ambiente riservato rende
certamente meno probabile che il soggetto possa venirne a conoscenza. Ma si tratta, appunto, di
una considerazione pratica e non giuridica.

In caso non si abbia la liberatoria può essere utile camuffare il volto del paziente, magari sfocando
occhi o parte del volto cercando di renderlo irriconoscibile?

Poiché il fine della legge è tutelare il ritratto della persona da utilizzi abusivi, ciò che conta è
appunto la riconoscibilità delle fattezze del soggetto. Se si fa in modo di impedirlo il problema
viene meno. L’esempio è quello della foto “pixelate” che osserviamo spesso riprodotte in
televisione, sui giornali o sul web (che riguardano immagini di minorenni o di persone che non
abbiano concesso la liberatoria).

In caso di pubblicazione di immagini senza autorizzazione del paziente, il dentista cosa rischia?
La pubblicazione dell’immagine non autorizzata, ove non sussistano e/o non siano ritenute
soddisfatte le ipotesi di deroga cui accennavo sopra, può comportare, su istanza dell’interessato,
la rimozione dell’immagine e il risarcimento del danno. Il quantum è stabilito dal giudice all’esito di
un’eventuale causa proposta dall’interessato in base a valutazioni equitative da rapportarsi alle
circostanze di ogni singolo caso.Con tale responsabilità concorre quella relativa alla violazione
della disciplina in tema di dati personali, che può comportare anche un danno (materiale o
immateriale) per l’interessato i cui dati sono stati violati (art. 82 GDPR), oltre alle eventuali
conseguenze di tipo deontologico connesse alla violazione del segreto professionale. Potrà inoltre
ricorrere l’applicazione del sistema sanzionatorio previsto dallo stesso GDPR (che in generale sono
di tipo amministrativo-pecuniario e penale), da valutarsi in relazione alle circostanze del singolo
caso.
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