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L’istruzione all’epoca del Covid-19

di Fabrizio Carnicelli
28/12/2020

La pandemia dovuta al coronavirus, ha scatenato una serie di problematiche sull’istruzione. Le decisioni


prese, sono state sempre adeguate alla realtà dei fatti?

Nel periodo in cui il mondo è stato colpito dalla pandemia dovuta al virus covid-19, oltre all’emergenza
sanitaria che si era creata a marzo 2020, si è creata una emergenza economica dovuta alle restrizioni per
evitare il contagio che ha avuto ed avrà ancora grandi conseguenze in tutti i paesi coinvolti con tali
problematiche. Se da un lato, infatti, si doveva ridurre la mobilità e gli assembramenti per evitare i contagi,
dall’altro tale restrizioni hanno creato una spirale involutiva di ordine economico che farà sentire le sue
conseguenze per molti mesi ancora poiché settori come il turismo, la ristorazione, il commercio definito non
essenziale e i trasporti hanno visto drasticamente calare gli entroiti.

I governi hanno dovuto perciò, fare delle scelte drastiche, coraggiose e impopolari. La prima scelta è stata
quella di definire i servizi “essenziali”, ovvero tutte quelle attività che non potevano essere chiuse o rinviate.
Prima fra queste attività: tutti i servizi connessi alla sanità, comprese le farmacie. Al secondo posto, tutte le
attività collegate al commercio di beni essenziali, quindi alimentari. A seguire, i trasporti pubblici essenziali.
Corona virus

Nel frattempo e con il prolungarsi delle chiusure, i vari stati si sono ritrovati ad affrontare emergenze con cui
non avevano mai dovuto confrontarsi prima: l’insegnamento a distanza per i bambini, ragazzi e universitari.
Pochi erano infatti gli strumenti di didattica online fino al marzo 2020. Si è passati d'emblée ad una didattica
svolta su pc, presupponendo che tutte le famiglie italiane possedessero un pc portatile per ogni figlio, un
collegamento internet ed una stampante. Senza contare che molti genitori, man mano che a giugno si
riaprivano i servizi via via meno essenziali, dovevano tornare a lavorare. Potevano forse lasciare i propri figli
incustoditi a casa? I più fortunati potevano contare sull’appoggio dei nonni conviventi, quelli meno fortunati,
sono ricorsi a baby sitter. I meno fortunati di tutti hanno fatto salti mortali per cercare di non essere licenziati
e di permettere ai propri figli di avere un’educazione adeguata nonostante non avessero i mezzi.

Spesso, infatti, appare che la classe dirigente italiana sia talmente scollegata dalla realtà dei fatti che quando
prende decisioni non siano affatto a conoscenza della situazione che vogliono regolamentare.

Il problema poi si estende agli studenti universitari che hanno in primis gli stessi problemi degli studenti della
scuola dell’obbligo (pc a disposizione, internet e stampante); in secundis, a questa tipologia di studenti si
aggiunge una carenza di attività teorico pratiche (nei laboratori, negli uffici e nelle biblioteche) che hanno
creato ulteriori difficoltà a mantenere il rendimento di qualità.

Tale situazione è resa ancora più grave nell’Università degli studi dell’Aquila, dove , l’Ateneo era già passato
per il devastante terremoto del 2009.

Cosa avrebbe dovuto insegnare la distruzione del 90% delle strutture dell’Ateneo del 2009? Che accanto alla
didattica tradizionale in presenza, forse, sarebbe stato opportuno inserire una didattica in e-learning, con
lezioni registrate e laboratori attrezzati in teleconferenza per sopperire all’assoluta assenza di quel tipo di
attività didattica a cui assistiamo oggi. Questo avrebbe, da un lato permesso di seguire lezioni pratiche in
maniera più vicine agli studenti, dall’altro avrebbe sopperito ad un altro annoso problema, quello del rispetto
di alcuni regolamenti di corsi di laurea a frequenza obbligatoria che prevedono la presenza nel 70% delle
lezioni. Tale obbligo, risulta assurdo e impossibile da rispettare se pensiamo che le lezioni in genere iniziano
a fine settembre, mentre gli scorrimenti dei corsi di laurea a numero programmato continuano ad esserci a
distanza di un anno e mezzo solare e due anni accademici dall’espletamento del concorso.

Se poi guardiamo la problematica dal punto di vista del personale tecnico amministrativo, durante il lock
down si è imposto al personale di lavorare da casa con i propri mezzi (pc, telefono cellulare, internet,
stampante senza parlare del riscaldamento e della corrente elettrica). Tutto ciò senza nemmeno prevedere
l’erogazione di buoni pasto come compensazione delle spese ulteriori sostenute. Questo non è più un
contratto di servizio, ma un contratto di appalto, per il quale, il dipendente, mettendo a disposizione del
datore di lavoro mezzi propri, dovrebbe essere pagato molto di più. Ovviamente, anche in questo caso, si è
dato per scontato che tutti i dipendenti possedessero queste attrezzature. Inoltre la deviazione del telefono
d’ufficio sul proprio cellulare ha comportato non solo rischi maggiori per la salute, ma anche una continua
sollecitazione telefoniche anche in ore serali e nei giorni festivi, dato che non è mai stato normato nemmeno
lo smartworking, figuriamoci il diritto alla disconnessione!

Grafico laureati in Italia ed Europa

Ora il problema enorme è che se l’Italia è uno dei paesi con meno laureati in Europa, le politiche sbagliate
non faranno altro che aumentare il gap, non diminuirlo. Per questo bisogna essere ben consapevoli della
realtà quando si prendono decisioni strategiche e forse ci sarebbe bisogno di più dirigenti che hanno fatto la
gavetta e sono partiti dal basso piuttosto di altri calati come il “deus ex machina”.

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