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Lezione 43 di Fisiologia e Biofisica

Controllo nervoso e regolazione chimica del respiro

Lezione n. 43 A cura di: Giorgio Piccolboni


Silvia Bonato
del 16/12/2019

CONTROLLO NERVOSO E REGOLAZIONE CHIMICA DEL


RESPIRO
L’automatismo nella respirazione è dovuto a una catena di regolazioni che origina dal centro
respiratorio ed esercita la sua azione sui muscoli.
Il centro respiratorio è in reatà formato da una serie di circuiti
che controllano i motoneuroni spinali. Questi a loro volta
sovrintendono all’attività dei muscoli respiratori che
determinano la dilatazione e, nel caso di un’espirazione
forzata, il ritorno della gabbia toracica. Questa serie di eventi
causa la ventilazione, un fenomeno intermittente cui segue
una diffusione continua di gas attraverso la parete alveolare.
Ogni volume corrente si diluisce in un volume 7/8 volte
maggiore di aria presente nel polmone. La diffusione
rappresenta un processo continuo, così come la perfusione a
livello dei capillari polmonari in cui sono esaurite le
pulsazioni.
I processi diffusivi dei gas forniscono un feedback ai circuiti
respiratori del ponte cui giungono anche afferenze
meccaniche dai centri superiori del ponte.
In proporzione alle pressioni parziali dei gas respiratori a
livello polmonare, si vengono a determinare nel sangue
arterioso valori di pH e concentrazioni di ossigeno e anidride
carbonica che costituiscono uno dei feedback che, attraverso
dei chemocettori, arrivano ai circuiti respiratori.
Contemporaneamente i circuiti respiratori sono informati
dello stato di distensione del polmone e della gabbia toracica
attraverso un serie di meccanocettori. Al di sopra di questo
meccanismo di controllo dell’attività automatica, si può esercitare un controllo volontario da parte di
centri superiori della corteccia cerebrale.

1. Funzioni del controllo chimico e nervoso della respirazione


 Fornire un ritmo automatico ai muscoli scheletrici: questo meccanismo richiede un
circuito respiratorio localizzato nel tronco encefalico tra bulbo e ponte, elementi effettori,
ovvero i motoneuroni dei nervi spinali e dell’accessorio, che innerva i muscoli respiratori
sternocleidomastoideo e trapezio, e muscoli;
 Rispondere alle esigenze metaboliche (variazioni di PO 2 e PCO2): si realizza grazie a
chemocettori periferici e centrali, nel tronco encefalico, che saggiano il pH e la pressione
parziale di CO2 e O2 nel sangue rilevandone variazioni;
 Rispondere al variare di condizioni meccaniche: si realizza attraverso meccanocettori
che sono sia nel polmone, funzionando tramite la via afferente del nervo vago, sia a livello
muscolare tramite i nervi spinali, nei muscoli della parete toracica e nel diaframma. Questi
ultimi consistono in fusi neuromuscolari e organi tendinei di Golgi, più concentrati nello
spessore dei muscoli intercostali rispetto che nel diaframma.

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Tali recettori informano l’SNC dello stato di lunghezza e tensione dei muscoli nelle varie
configurazioni posturali della gabbia toracica, in modo tale da compensare l’aumento della
resistenza all’espansione con una maggiore forza contrattile. Si tratta di riflessi monosinaptici per le
afferenze dai fusi neuromuscolari e disinaptici per quelle associate agli organi tendinei di Golgi. Le
afferenze dai fusi neuromuscolari contraggono sinapsi direttamente con i motoneuroni dei muscoli
che vengono stirati. Ad esempio, quando un muscolo respiratorio viene stirato in una determinata
postura, si contrae di più compensando l’aumento delle resistenze. - Paragrafo non riproposto a
lezione e riportato da medesima lezione del 2018, Ndr.

 Rispondere all’esigenza di comportamenti con funzoni diverse dalla ventilazione


polmonare: tra questi si vedano la fonazione o la deglutizione. Si realizza tramite vie
discendenti corticospinali che arrivano ai motoneuroni per i muscoli respiratori e consiste in
meccanismi atti a rendere armoniche attività contemporanee di emissione di suoni e di
immissione/emissione dell’aria.

2. Metodi di valutazione del controllo nervoso delle attività respiratorie

1. Studio del controllo periferico


Consiste nel registrare l’attività elettrica, in termini di potenziale d’azione, nei nervi che comandano
i muscoli respiratori attraverso i motoneuroni spinali. Nell’immagine è riportato un
elettroneurogramma integrato dell’attività del nervo frenico e dei nervi intercostali. È visibile la
successione temporale e in fasi alterne durante un ciclo respiratorio forzato, in cui dunque è
evidente il coinvolgimento dei muscoli sia inspiratori (muscolo diaframma) che espiratori (muscoli
intercostali interni).
Nota: le radici spinali del nervo frenico si collocano a livello dei mielomeri cervicali C3-C5. Il nervo
risulta compromesso in caso di danno cervicale superiore a C3, da cui deriva tetraplagia e
necessità di ventilazione artificiale.

È visibile schematicamente l’azione dei due nervi in una respirazione forzata. Si possono notare:
 la fase inspiratoria (I) in cui è apprezzabile
una scarica in aumento nei motoneuroni del
diaframma, registrata nel nervo frenico.
 la fase post-inspiratoria (PI o anche E1) in
cui è ancora visibile la contrazione del
diaframma, seppur di intensità decrescente.
Tale fase finale di contrazione del nervo
frenico è necessaria a rendere più lento il
deflusso di aria durante il ritorno elastico del
polmone, quando ancora i muscoli espiratori
non sono attivi (ma si verifica anche in
espirazione a riposo).
Nella stessa fase inizia la contrazione parziale
dei muscoli adduttori della glottide, portando
al risultato di rendere più graduale l’emissione
dell’aria durante l’espirazione.
 la fase espiratoria propriamente detta (E2)
che nel respiro forzato coinvolge i muscoli
espiratori (oltre agli intercostali interni, si ricordino retto anteriore, obliqui e trasversi
dell’addome).

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2. Studio del controllo centrale


L’attività di centri respiratori, situati a livello bulbo-pontino del tronco encefalico, controlla a monte
la funzione dei motoneuroni. La prima semplicistica categorizzazione risale a studi, svolti tramite
esperimenti di lesione, di fine ‘800 e prima metà del ‘900 e considera la presenza di un centro
inspiratorio tonico e di un centro espiratorio ad attività alterna.
Risulta tuttora valida la nozione che i circuiti
di controllo sono tutti al di sotto del
mesencefalo: la sezione al di sotto dei
collicoli posteriori o inferiori (sezione 1)
mantiene l’attività respiratoria intatta. Se a
questa lesione nello stesso animale si
accompagna la sezione dei nervi vaghi, il
ritmo respiratorio si mantiene ma l’ampiezza
delle escursioni diventa molto più alta. La
sezione del vago abolisce il cosiddetto
riflesso di Hering-Breuer: in assenza del
segnale dei vaghi viene meno il feedback
meccanico che determina il livello di
espansione al quale i circuiti respiratori fanno passare il sistema toraco-polmonare dall’inspirazione
all’espirazione. Questo riflesso è indice di distensione polmonare e pone fine all’attività inspiratoria
e fa passare all’attività espiratoria per azione dei centri coinvolti.
Nota: Hering è anche lo studioso dell’omonimo nervo collaterale del glossofaringeo; Breuer fu
maestro di Freud.
Se la sezione è poco più caudale, a livello della metà del ponte (sezione 2 in figura), si ottiene un
risultato simile alla sezione dei vaghi del primo caso: il ritmo respiratorio si realizza per escursioni
molto ampie (valori di volume corrente molto ampi) e, se si aggiunge la sezione dei vaghi, si
raggiunge uno stato di apneusi (apnea inspiratoria). Si è giunti così all’idea che tra il primo e il
secondo livello di sezione, cioè nella parte rostrale del ponte, ci fosse un centro pneumotassico
adibito a ordinare il ritmo respiratorio e che questo centro interrompesse ritmicamente l’attività
tonica mantenuta da un centro apneustico situato nella parte più caudale del ponte. Se vengono
interrotti i collegamenti tra il centro pneumotassico e il centro apneustico, la respirazione, pure in
assenza del feedback aggiuntivo dei nervi vaghi, si ferma in uno stato di apnea inspiratoria.
Se poi la lesione viene fatta tra ponte e bulbo (sezione 3 in figura), il respiro risulta molto irregolare
e ancora più irregolare se vengono interrotti i nervi vaghi: atti respiratori bruschi, spasmodici e
brevi (descritti con il termine inglese “gasp, gasping”).
Se la sezione è a livello della fine del quarto ventricolo, in prossimità dell’obex (sezione 4), l’attività
respiratoria cessa completamente.
Questi studi, piuttosto datati, sono stati sottoposti a revisione critica, da cui è emersa la versione
aggiornata dell’organizzazione del centro respiratorio. Essa prevede che vi siano, a livello del
bulbo, un gruppo respiratorio ventrale e un gruppo respiratorio dorsale. Invece, nella parte rostrale
del ponte (gruppo respiratorio pontino, GRP), si trova quello che veniva definito “centro
pneumotassico” e che oggi si identifica con il nucleo parabrachiale mediale e con il nucleo di
Kölliker-Fuse, una zona importante per il passaggio dall’attività inspiratoria a quella espiratoria ma
che non si considera più cruciale e protagonista di questo passaggio. L’attività autoritmica infatti è
presente nel gruppo pontino ma anche nella porzione rostrale del gruppo respiratorio ventrale.
Ciò che in particolare ha stravolto il modello è l’idea del “centro apneustico” tonico, perché in
esperimenti più recenti si è visto che l’apneusi, attività inspiratoria protratta e particolarmente
apprezzabile in seguito a sezione dei nervi vaghi, dopo alcuni giorni dall’evento di sezione a metà
del ponte scompare, se si mantiene in vita l’animale, o scompare aumentando la temperatura
(provoca cioè una polipnea termica). Si pensa che l’apneusi inspiratoria sia un difetto aspecifico di
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danno della sostanza reticolare pontina, responsabile di altre funzioni come il mantenimento della
postura. Il danno della sostanza reticolare è responsabile, tra l’altro, della rigidità da
decerebrazione. Non esiste dunque un centro apneustico, l’apneusi è un fenomeno transitorio.
Dai primi modelli rimane valida l’idea di una zona pontina con attività di tipo pneumotassico e
funzione autoritmica, che facilita l’alternanza da una fase all’altra della respirazione, e
l’acquisizione che l’attività respiratoria è controllata a livello bulbo-pontino.

Non si parla più di centri ma di gruppi neuronali con attività inspiratoria o espiratoria.
In conclusione:
1. Il gruppo respiratorio pontino (ex centro pneumotassico) consta di nucleo parabrachiale
mediale e di nucleo di Kölliker-Fuse;
2. Nel bulbo sono presenti
- il gruppo respiratorio dorsale, nella zona del nucleo del tratto solitario dove terminano
le afferenze del VII, IX e X nervo, comprende un gruppo di neuroni inspiratori (con sola
attività inspiratoria);
- il gruppo respiratorio ventrale si trova dietro al nucleo ambiguo (posizione retro e
para-ambiguale) ed è formato sia da neuroni inspiratori (parte più rostrale) sia da
neuroni espiratori (parte più caudale). Nel gruppo ventrale, porzione più rostrale, si
trovano i neuroni respiratori organizzati in un doppio complesso, il complesso Bötzinger
e il complesso pre-Bötzinger, gruppi neuronali attivi nella ritmogenesi.
Nello schema sono visibili le modalità di scarica delle principali popolazioni di neuroni respiratori
bulbari durante un ciclo respiratorio.
1. Inizialmente si attivano neuroni inspiratori, detti precoci, i cui potenziali evocati sono
particolarmente frequenti all’inizio mentre poi tendono progressivamente a diminuire di
frequenza;
2. Ci sono poi neuroni a rampa la cui frequenza di scarica aumenta durante l’inspirazione;
3. I neuroni inspiratori tardivi sono associati alla fine dell’attività inspiratoria;

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4. I neuroni post-inspiratori sono


attivi durante l’E1 (fase
postinspiratoria), in
corrispondenza della quale è
presente la contrazione residua
del diaframma operata dal nervo
frenico (vedi sopra);
5. I neuroni espiratori a rampa
aumentano la frequenza di
scarica durante l’espirazione,
come avviene nel caso dei nervi
destinati alla muscolatura
addominale ammettendo che
l’espirazione sia di tipo forzato;
6. I neuroni pre-inspiratori attivi
all’inizio della fase
preinspiratoria in corrispondenza
della fine della fase espiratoria
(E2).
In figura si associano anche l’attività di
scarica nei principali nervi coinvolti nella
contrazione dei muscoli respiratori con
l’attività elettrica complessiva dei gruppi neuronali respiratori:
1. Nel nervo frenico l’attività elettrica aumenta a rampa durante la fase inspiratoria, per poi
scemare progressivamente nella fase E1;
2. Nel nervo ricorrente (ramo laringeo inferiore del nervo vago) c’è attività nella fase post-
inspiratoria proprio perché chiude parzialmente la glottide agendo sul muscolo
tiroaritenoideo;
3. Nei nervi per i muscoli addominali c’è attività durante la fase espiratoria propriamente detta,
ammettendo che si tratti di espirazione forzata.

La seguente immagine invece


riguarda in particolare l’attività di
scarica del nervo frenico in
associazione con l’attività delle
diverse popolazioni neuronali
respiratorie bulbari:

 i neuroni inspiratori precoci


danno una scarica elevata
iniziale precedente a quella
del frenico che poi
diminuisce;
 i neuroni inspiratori a rampa
presentano una scarica in
aumento nella prima fase
dell’inspirazione;
 i neuroni inspiratori tardivi
scaricano alla fine dell’attività
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del nervo frenico (N.B. l’attività del nervo frenico è conseguente all’azione delle attività di
questi neuroni bulbari);
 i neuroni post-inspiratori sono attivi nella fase finale dell’attività del nervo frenico (fase E1)
in cui c’è ancora contrazione del diaframma;
 i neuroni espiratori a rampa sono attivi tra un’attività del frenico e l’altra;
 i neuroni “phase spanning” occupano il passaggio tra una fase espiratoria e una fase
inspiratoria (corrispondono ai pre-inspiratori dell’immagine precedente, Ndr.).
Diversi modelli sono stati formulati per interpretare l’attività coordinata dei centri del controllo del
respiro. Uno di questi, molto accreditato, è il modello a rete. Esso attesta che i diversi neuroni,
sparsi tra i gruppi respiratori dorsali e ventrali del bulbo, abbiano tra loro connessioni sia inibitorie
che eccitatorie. Nel doppio complesso Bötzinger e pre-Bötzinger, in particolare in quest’ultimo,
molti studi riferiscono la presenza dell’“oscillatore primario”, determinante autoritmico per il
passaggio tra attività inspiratoria e espiratoria.

Immagine c – è raffigurata schematicamente l’organizzazione dell’oscillatore primario, fatto di


neuroni inspiratori precoci e postinspiratori, come quelli che fanno finire l’inspirazione lasciando il
campo all’attività dei neuroni espiratori.
Immagine b – la presenza di sinapsi inibitorie tra i neuroni del complesso pre-Bötzinger è provata
da studi basati sulla registrazione dell’attività postsinaptica di questi neuroni: le zone ombreggiate
dei tracciati (blu chiaro) che si trovano al di sotto del potenziale di riposo (zone di
iperpolarizzazione) rappresentano, in registrazioni diverse in neuroni respiratori diversi, i periodi di
inibizione. A sostegno della teoria dell’oscillatore primario tra neuroni inspiratori precoci (prima riga
IP) e i neuroni postinspiratori (quarta riga PI) vi sono evidenze sperimentali: quando c’è attività di
scarica nei neuroni IP, si apprezza un periodo di inibizione dell’attività dei neuroni PI; viceversa
quando c’è attività nei neuroni PI, c’è inibizione anche più protratta dei neuroni IP.

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Curiosità: i gruppi neuronali Bötzinger e pre-Bötzinger sono stati chiamati così dal nome del vino,
un bianco della Mosella, che era servito alla cena del congresso in cui ne fu annunciata la
scoperta.

3. Influenze sulla rete respiratoria


Sui circuiti tronco-encefalici agiscono numerose influenze [paragrafi in corsivo non trattati a lezione
e riportati per completezza dalla lezione del 2018]:
 Afferenze dai centri
superiori, come vie
discendenti della
corteccia sensorimotoria,
del lobo limbico e
dell’amigdala; l’attività
respiratoria risente di
emozioni come quelle
analizzate dal lobo
limbico e dall’amigdala,
dall’ipotalamo e dal
cervelletto;
 Afferenze Drive
aspecifiche mediate
oppioidi endogeni e
Arousal sono implicati
nel controllo del respiro,
nel livello di vigilanza e nella regolazione dell’alternanza sonno-veglia. Nel sonno a onde
lente, che costituisce il principale tipo di sonno, l’attività respiratoria risulta ridotta, c’è una minore
sensibilità allo stimolo della CO2; nel sonno REM (sonno a movimenti oculari rapidi) invece il respiro
diventa più irregolare, con periodi di apnea e variazioni del volume corrente. Tutte queste attività
sono mediate dalla sostanza reticolare bulbo-pontina ;
 Afferenze da barocettori (l’aumento della pressione rallenta l’attività respiratoria) e
termocettori cutanei (vedi polipnea termica in risposta ad aumento della temperatura
corporea);
 Interazioni con la masticazione, che accelera l’attività respiratoria, e la deglutizione, che
la interrompe;
 Interazioni con l’attività dell’apparato digerente, specialmente quando il tubo alimentare
risulta ripieno;
 Afferenze da chemocettori centrali (particolarmente a livello del bulbo) e periferici;
 Afferenze trigeminali da naso, laringe e prime vie aeree che sono, ad esempio, in grado
di provocare lo starnuto (inspirazione seguita da un’espirazione forzata in cui sono chiusi
sia la glottide sia il velopendulo palatino, che poi si aprono improvvisamente facendo uscire
aria in modo esplosivo). Il naso e la cute della faccia sono implicati anche in un altro tipo di
attività riflessa, ovvero il riflesso da immersione, presente già nel neonato e in varie altre
specie (particolarmente in cetacei marini, rappresentando una possibile prova della
permanenza dei nostri antenati evolutivi nello stato di organismi acquatici). Il riflesso da
immersione consiste nel fatto che a contatto con acqua, in particolare acqua fredda, si
realizza apnea riflessa e contemporaneamente riflessi cardiocircolatori come bradicardia e
aumento della pressione arteriosa;
 Afferenze da recettori polmonari, quelli del riflesso di Hering-Breuer e recettori della
parete toracica (di muscoli e articolazioni) come i fusi neuromuscolari dei muscoli
intercostali, e del diaframma in minor misura, che rafforzano la contrazione in caso di
aumentate resistenze elastiche all’espansione del polmone;

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 Afferenze da altri recettori muscolari, indipendenti dai fusi neuromuscolari e dagli organi
tendinei di Golgi, che durante l’esercizio fisico portano segnali ai circuiti respiratori,
contribuendo alla loro attivazione;
 Azione di ormoni che fanno aumentare la frequenza e l’ampiezza del respiro, come gli
ormoni tiroidei;
 Afferenze da recettori dolorifici: il dolore può avere un effetto duplice perché può
aumentare la frequenza e la profondità del respiro oppure, se il dolore è troppo forte, può
indurre apnea. Quest’ultima azione coinvolge la mediazione di oppioidi endogeni
(encefaline, endorfine) che hanno un ruolo nella modulazione del dolore.

- Cicli respiratori anomali (tosse/singhiozzo/pianto/sbadiglio)


La stimolazione dei recettori vagali Aδ e C delle prime vie aeree (dalla laringe fino ai bronchi),
dovuta spesso alla presenza di materiale estraneo, implica la stimolazione di afferenze vagali e
può indurre il riflesso della tosse. Si ricordi invece che lo starnuto dipende da stimolazioni
trigeminali del naso.
Ciascun colpo di tosse consta di tre fasi: una fase inspiratoria, una fase compressiva e una fase
espulsiva.
1. fase inspiratoria: si introduce
generalmente un volume d’aria
maggiore rispetto a quello corrente,
con grande contrazione
diaframmatica, la glottide è dilatata
per effetto del muscolo
cricoaritenoideo posteriore e non
sono attivi i muscoli addominali;
2. fase compressiva: l’attività del
diaframma cessa improvvisamente e
comincia quella dei muscoli
addominali provocando
un’espirazione forzata.
Contemporaneamente la glottide è
chiusa perché il muscolo abduttore
della glottide (cricoaritenoideo
posteriore) si rilassa mentre il
muscolo tiroaritenoideo (adduttore) si
contrae. Ne risulta un forte aumento
della pressione subglottica;
3. fase espulsiva: il muscolo
tiroaritenoideo si rilassa e si contrae l’abduttore della glottide, quindi la glottide si apre e il
flusso aereo verso l’esterno aumenta spinto dalla contrazione dei muscoli addominali.
Il singhiozzo consiste in un’inspirazione forzata nel corso della quale si apre improvvisamente e
parzialmente la glottide portando all’emissione del suono caratteristico. Le cause di questo evento
respiratorio sono le più disparate e il sistema di controllo che lo presiede è sensibile alla pressione parziale
dell’anidride carbonica: spesso è sufficiente l’aumento della pCO 2, ottenuto ad esempio trattenendo il respiro
per alcuni secondi, per far terminare il singhiozzo.

Il pianto “a singhiozzo” consiste in una serie di inspirazioni forzate seguite da espirazioni a glottide
parzialmente chiusa. Il riso consiste in espirazioni forzate a glottide parzialmente chiusa.

Lo sbadiglio consiste in un’ampia inspirazione a bocca aperta indotta da ipossia. Questo automatismo
potrebbe essersi evoluto con il vantaggio di migliorare l’espansione polmonare, durante l’inspirazione
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profonda, spandendo meglio il tensioattivo sulla superficie alveolare e stimolando gli pneumociti di tipo II alla
sua produzione.

4. Regolazione chimica della respirazione


La regolazione chimica consta di due sistemi che cooperano: la via dei chemocettori periferici e
quella dei chemocettori centrali.
1. Regolazione chimica periferica
Si basa su chemocettori periferici detti glomi, paragangli o corpi
(“body” in inglese) che si trovano a livello dell’arco dell’aorta e dei seni
carotidei, gli stessi siti in cui si localizzano i barocettori. I nervi che
portano i segnali dei chemocettori periferici sono gli stessi che portano
i segnali dei barocettori: il nervo di Cyon (pronuncia Siòn, Ndr), un
ramo del vago, per i barocettori e i chemocettori aortici e il nervo di
Hering, un ramo del glossofaringeo, per i barocettori e i chemocettori
carotidei.
Come per i barocettori, anche i glomi carotidei sono stati più studiati
rispetto a quelli aortici, perché più facilmente accessibili in vivo.

chemocettori sono ammassi cellulari molto piccoli, del peso di milligrammi, situati all’esterno della
parete aortica e carotidea, al contrario dei barocettori che si trovano nell’ambito della parete
stessa. Sono formati da cellule chemocettrici e da cellule di sostegno. Le cellule chemocettrici
sono, dal punto di vista della localizzazione e della provenienza degli stimoli che trasducono,
degli enterocettori, mentre, dal punto di vista del tipo di sensibilità che veicolano, dei
chemocettori (come i recettori di gusto e olfatto). Una caratteristica peculiare di queste strutture è
di avere una perfusione molto elevata, di circa 1.5-2 l/min ogni 100 g, e quindi la differenza
artero-venosa di O2 è molto bassa nonostante sia elevata l’estrazione per queste cellule (ci sono
delle arteriole apposite che servono i glomi). Le cellule chemocettrici, a livello del sangue arterioso

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dunque, campionano l’ossigeno, l’anidride carbonica e il pH del sangue. La trasduzione del


segnale, ovvero la trasformazione dello stimolo chimico in attività nervosa, è legata, per ciò che
riguarda l’ossigeno, a particolari proteine che contengono il gruppo eme e che possono quindi
legare l’ossigeno che arriva attraverso le arteriole. La trasduzione è legata anche alla caduta di
pH, provocata direttamente dall’arrivo di ioni idronio proveniente da acidi non volatili come
fosforico o lattico, o che si realizza dalla reazione di idratazione dell’anidride carbonica e di
dissociazione dell’acido carbonico nel sangue. Quando le proteine contenenti eme saggiano un
quantitativo ridotto di O2 o quando c’è una caduta di pH, si chiudono i canali per il K+ provocando
un aumento del potenziale di membrana che apre i canali del sodio e porta a una
depolarizzazione. Quest’ultima permette l’entrata di calcio nelle cellule del glomo, che liberano il
mediatore, con conseguente aumento della frequenza di scarica di glossofaringeo e vago che
segnalano al nucleo del tratto solitario e da qui al centro respiratorio, con attivazione del circuito.
Ciò determina un incremento della frequenza e della profondità del respiro.
2. Effetto delle variazioni di pO2 sulla ventilazione
Le variazioni della pressione parziale di ossigeno sono rilevate solo
dai chemocettori periferici. La diminuzione della pO2 nell’aria
inspirata provoca la riduzione della pressione parziale a livello
alveolare e arterioso, di conseguenza aumenta la scarica dei
chemocettori periferici e, attraverso l’attività riflessa dei neuroni del
tronco encefalico, si assiste ad aumento dell’attività dei muscoli
respiratori, della ventilazione e dunque al ritorno della pO2
alveolare e arteriosa verso i valori normali.
I chemocettori periferici sono sensibili anche alle variazioni di pH e
di pCO2.
Nota: l’abbassamento di pH è dovuto all’aumento di ioni H+ nel
sangue. L’aumento degli H+ può essere causato direttamente
dall’aumentata concentrazione di acidi fissi (termine datato che si
riferisce agli acidi non volatili, non risolvibili attraverso la CO 2 e
quindi differenti dall’acido carbonico che può essere espulso
sottoforma di CO2 nella ventilazione) oppure indirettamente dalla
reazione di idratazione dell’anidride carbonica e di dissociazione
dell’acido carbonico, reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica:

La sensibilità dei chemocettori glomici alla pO2 è


bassa. Nel grafico è visibile la curva della risposta
ventilatoria in ordinata (misurata in L/min) in relazione
alla pO2 arteriosa (misurata in mmHg). La pO2 arteriosa
normale è di circa 100 mmHg e a questo valore
corrisponde l’attività di base dei glomi. La pendenza di
questa curva assume valori molto bassi finché la
pressione parziale di ossigeno non si attesta a
60mmHg, valore in prossimità del quale termina la fase
asintotica della curva di dissociazione ossigeno-
emoglobina. Per valori della pO2 al di sotto di 60 mmHg comincia
ad accentuarsi la pendenza della curva di saturazione
dell’emoglobina. In corrispondenza di pO2 = 60 mmHg la
saturazione dell’emoglobina è quasi al 90%, comincia a salire
l’attività di scarica dei nervi collegati ai chemocettori e di pari
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passo aumenta la ventilazione. Quindi la sensibilità è relativamente bassa ma ottimale, in quanto


tarata ad un livello prossimo alla parte più ripida della curva di dissociazione emoglobina-ossigeno,
ovvero quella tra 60 e 40 mmHg.
Nota: vista la localizzazione dei glomi, la pO2 considerata è riferita sempre al sangue arterioso, non
a quello venoso.

Risposta dei chemocettori in condizioni d’ipossia:


 Respiratoria - diminuendo per varie ragioni la pO 2, i chemocettori si attivano determinando
l’aumento della ventilazione;
 Anemica - anche se la quantità totale di ossigeno nel sangue è ridotta, la perfusione dei
glomi è talmente elevata che i recettori non risentono di questa situazione. Anche
l’intossicazione da CO solitamente non li attiva;
 Stagnante - a meno che non vi siano situazioni particolari (es. un’insufficienza cardiaca
che coinvolge anche la perfusione dei glomi), i chemocettori non risentono della
condizione patologica a causa della loro elevata perfusione;
 Istotossica - dovuta ad esempio ad avvelenamento da cianuro. Nonostante l’ossigeno non
venga consumato e quindi la pO 2 ematica sia elevata, c’è una stimolazione diretta dei
glomi da parte del cianuro: la respirazione diventa molto frequente e profonda, aumenta
di conseguenza la quantità di ossigeno in soluzione ma esso non viene utilizzato.
N.B. il cianuro blocca la catena respiratoria a livello delle membrane mitocondriali
ostacolando la respirazione cellulare e il consumo di ossigeno da parte delle cellule.

3. Effetto delle variazioni di pCO2


Il valore della pCO2 fa variare l’incidenza della pO2 sulla regolazione respiratoria a livello dei
chemocettori periferici. In particolare, l’aumento di pCO2 potenzia notevolmente lo stimolo
dell’abbassamento della pO2 sull’attività ventilatoria.
Nello schema si può vedere che se si lascia il soggetto in condizioni normali (non si interviene
sull’anidride carbonica), l’aumento dell’attività respiratoria quando la pressione di ossigeno è sotto i
60 mmHg provoca iperpnea e ipocapnia, facendo eliminare anidride carbonica.
Quindi l’aumento dell’attività
ventilatoria in ordinata è
limitato dal fatto che l’anidride
carbonica viene eliminata di
più. Se si mantiene costante la
pCO2 nelle vie aeree del
soggetto (condizione
isocapnica), aggiungendo CO2
continuamente e
compensando la quantità
eliminata dal soggetto che
ventila, l’attività ventilatoria
aumenta molto di più a parità
di pressione parziale di
ossigeno.
Questo è noto sin da
esperimenti ottocenteschi fatti
da Scott Haldane (lo stesso a
cui si deve la definizione
dell’effetto Haldane): un
soggetto che respira in una
stanza sigillata dopo un po'
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Lezione 43 di Fisiologia e Biofisica
Controllo nervoso e regolazione chimica del respiro

aumenta frequenza e profondità degli atti respiratori; in questa situazione, nella stanza chiusa,
diminuisce l’ossigeno e si mantiene costante l’anidride carbonica prodotta dal soggetto che
ventila (curva azzurra). Se nella stanza sigillata si inserisce un vassoio contenente calce sodata
(usata anche nello spirometro per assorbire la CO2), l’assorbimento della CO2 da parte della
calce diminuisce di molto la risposta ventilatoria del soggetto (curva rossa). Ciò dimostra che
l’anidride carbonica potenzia la carenza dell’ossigeno nello stimolare l’attività ventilatoria.

4. Regolazione chimica centrale


La regolazione chimica centrale si basa sull’attività di
chemocettori situati a livello encefalico. La maggior parte di
questi si trova sulla superficie ventrale del bulbo, dislocata in
un’area rostrale, una intermedia e una caudale sulla superficie
ventrale del bulbo, in stretta vicinanza con i centri neuronali
respiratori. Sono costituiti da cellule molto superficiali a contatto
quasi diretto con il liquor. Altri chemocettori sono presenti anche
in altri siti bulbari, come per esempio a livello del nucleo del
tratto solitario e in corrispondenza della parte più rostrale della
colonna dei neuroni respiratori ventrali. Si registra attività
chemocettiva anche sulla superficie cerebellare.
Questi recettori sono sensibili a pCO2 attraverso variazioni di
pH del liquor. La risposta dei chemocettori centrali è lenta
rispetto a quella dei chemocettori periferici, ma più “ripida” in
quanto porta a un maggiore aumento di ventilazione in proporzione alla variazione di CO2. Di
seguito si analizzano nello specifico i motivi di queste peculiarità:

 Risposta lenta: l’anidride carbonica all’interno del liquor si trova alle stesse concentrazioni
del plasma ma le reazioni di idratazione e di dissociazione dell’acido carbonico sono più
lente, in quanto nel liquido cerebrospinale si registra una minore attività dell’anidrasi
carbonica. Ne deriva che la risposta alle variazioni di pH in relazione alla pCO2 è più lenta;
 Risposta “ripida”: nel liquor ci sono poche proteine e quindi il repertorio di molecole con
attività tamponante per gli H+ è quantitativamente minore rispetto a quello del sangue. La
variazione di pH in relazione a una data pCO2 risulta quindi più accentuata e, di
conseguenza, la risposta dei chemocettori centrali a queste variazioni, una volta che è
iniziata, aumenta notevolmente ed è più “ripida” rispetto a quella dei chemocettori periferici;
 Compenso in più giorni da trasporto di HCO 3-: quando avviene il ripristino dei valori
normali di pCO2 e di pH nel sangue circolante, a seguito di attività respiratoria o renale,
l’effetto tampone nel liquor richiede tempo per la scarsa permeabilità della barriera emato-
liquorale allo ione bicarbonato, che la attraversa perlopiù attraverso trasporto attivo.
In sintesi quindi la stimolazione dei chemocettori centrali comporta tempi più prolungati rispetto
quella di quelli periferici.

5. Effetto della variazione di pCO2 sulla ventilazione


Gli aumenti di pCO2 sono rilevati sia dai chemocettori periferici (N.B.
nelle arterie pCO2 = 40 mmHg) sia da quelli centrali.
La ventilazione raddoppia ad ogni aumento di 4 mmHg di
pressione parziale di CO2. Questo sistema presenta quindi sensibilità
molto maggiore in assoluto rispetto alla risposta alle variazioni della
pressione parziale di O2. È utile però puntualizzare che la CO 2 è circa
24/25 volte più solubile rispetto all’O2 e quindi la sua quantità nel

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Lezione 43 di Fisiologia e Biofisica
Controllo nervoso e regolazione chimica del respiro

sangue aumenta molto di più rispetto a quella dell’ossigeno, a parità di variazioni positive di
pressione parziale.
Le considerazioni fatte in merito alla
variazione della ventilazione in risposta
all’inalazione di miscele che contengono
quantità crescenti di anidride carbonica non
discriminano la quota che spetta ai
chemocettori periferici da quella che spetta ai
chemocettori centrali. È possibile affermare,
però, che la quota che spetta ai chemocettori
centrali è maggiore: la risposta all’anidride
carbonica deriva particolarmente dai
chemocettori centrali, che vi
contribuiscono per circa il 70% rispetto al
30% dei chemocettori periferici. Ciò è
dimostrabile tramite denervazione dei
chemocettori periferici.
Inalando una miscela di CO2, aumenta la sua
pressione parziale negli alveoli e nelle arterie;
a livello delle arterie i chemocettori periferici
misurano direttamente la pCO2 mentre i
chemocettori centrali misurano gli ioni H+
prodotti dalla reazione di idratazione e
dissociazione della CO2 contenuta nel liquor; aumenta la scarica dei chemocettori; aumenta la
contrazione dei muscoli respiratori; la ventilazione viene incrementata e si ritorna ai valori normali
di CO2 e di pH ematici.

6. Effetto della variazione di pH sulla ventilazione


Gli ioni H+ possono originare
indirettamente dalla CO2 nel sangue e nel
liquor oppure direttamente dalla reazione
di dissociazione acida di acidi fissi
presenti nel sangue (es. acido fosforico e
acido lattico prodotti a seguito di eventi
metabolici cellulari).
La barriera emato-liquorale non è
permeabile agli ioni H+ e quindi gli ioni
presenti nel sangue non diffondono nel
liquor perché non possono
attraversare la barriera emato-
encefalica; di conseguenza gli ioni
efficaci sui chemocettori centrali sono
esclusivamente quelli prodotti
indirettamente dalla CO2 all’interno del
liquor. Gli aumenti di [H+] dovuti
all’aumentata concentrazione di acidi fissi, e non dovuti alla CO 2, dunque tutti i casi acidosi
metabolica, sono rilevati solo dai chemocettori periferici. I chemocettori centrali non sono
implicati nella variazione di attività respiratoria che consegue all’aumento degli acidi fissi nel
sangue. Ne consegue che se aumenta la concentrazione ematica di acido non derivato dalla CO 2,
aumenta la concentrazione arteriosa degli ioni H+ e di pari passo aumenta la scarica dei
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Controllo nervoso e regolazione chimica del respiro

chemocettori periferici che porta ad aumento della ventilazione e dell’eliminazione di ioni H +,


consumando il tampone bicarbonato.

- Utile schema riassuntivo degli stimoli chimici efficaci nella regolazione della ventilazione -

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