(Versione 0.3)
6 febbraio 2021
2
Indice
1 Introduzione alla sperimentazione 9
1.1 Motivazioni del metodo di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.2 Obiettivi e logica della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.2.1 Obiettivi della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.2.2 Logica della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2.3 Discussione Logico/Semantica: la misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.3 Lo Strumento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.3.1 Modalità di sensibilità: diretta e in analogia . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.3.2 Funzionamento dello Strumento: misura per azzeramento e deviazione . . 16
1.3.3 L'operazione di Misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.3.4 Uso di sensore/trasduttore e misuratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.4 Il Trasduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.4.1 Congurazioni di utilizzo di uno stesso trasduttore . . . . . . . . . . . . . 20
1.4.2 Caratteristiche principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.4.3 Interazione tra strumento e fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.5 Automazione della misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.5.1 Sistemi di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.6 Dagli errori alla qualità di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.6.1 Gli errori di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.6.2 Approccio probabilistico alla denizione della qualità di misura . . . . . . 27
1.7 Impiego di misure e incertezze: la propagazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.8 Denizione del programma del corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
3
4 INDICE
Il primo passo è costituito dall'analisi logico/semantica, cioè dalla lettura critica del te-
sto. Si comincia quindi con la Discussione Logico/Semantica della voce fondamentale:
Sperimentazione
Sperimen-
Sul dizionario della lingua italiana Devoto Oli troviamo la seguente denizione:
tazione: s.f. Impiego di oggetti d'indagine scientica in una serie di prove e di
veriche . Analizziamo le parole contenute in questa denizione e diamo loro una descrizione:
1. Impiego: sottintende l'esistenza di procedure per l'esecuzione delle operazioni e la
capacità di impiego sia degli strumenti che delle procedure;
9
10 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
2. Oggetti: strumenti o sistemi utili per l'indagine, cioè adeguati al compito previsto;
3. Indagine: azione svolta con l'obiettivo di acquisizione di informazioni;
4. Scientica: aggettivo che caratterizza un'operazione condotta con e retta dal metodo
scientico, cioè razionale in tutti i suoi passi;
5. Serie: azione multipla e/o ripetuta;
6. Prove o veriche: sostantivi che deniscono il contesto operativo, nel quale le procedure
sono utilizzate.
Ma l'importanza dell'informazione proveniente dal mondo reale non è sfuggita alle grandi menti
del passato che da sempre hanno utilizzato il metodo sperimentale per validare le loro ipotesi
e che hanno trovato in Galileo il codicatore moderno del metodo. Wikipedia denisce Galileo
come il padre della sica e della scienza moderne in quanto con lui nasce il Metodo scientico
che risiede nell'uso combinato di teoria (modello della realtà NDR ) ed esperimento (misura a
supporto e/o conferma della predizione del modello NDR ) e dichiara ... improprio l'uso dei
termini scienza e scienziato in riferimento a epoche precedenti, soprattutto per quanto riguarda
il problema del metodo scientico. Forse un'aermazione un pò eccessiva visto che Eratostene
(276 - 194 a.C), già allora convinto della sfericità della terra, era riuscito a valutarne in 40.500
km circa la circonferenza, un valore sorprendentemente vicino al vero (40.009 km). Anche
Einstein, grandissimo teorico, ebbe a scrivere a Max Born: Nessuna quantità di esperimenti
potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato., di
fatto asserendo che la misura sperimentale costituisce la verità con la quale confrontarsi.
Il corso fa riferimento ad attività di misura caratteristiche del settore aerospaziale, con co-
noscenze di base e metodologie trasversali a diverse aree dell'ingegneria; questo signica che il
1.2. OBIETTIVI E LOGICA DELLA SPERIMENTAZIONE 11
quadro generale è quello di un'ingegneria meccanica, nel quale l'attenzione è normalmente volta
a grandezze di carattere meccanico e non elettrico.
Misurare signica organizzare l'intera attività in modo da ottenere una misura si-
gnicativa, cioè corretta e adabile; non semplicemente trascrivere numeri dal display di
uno strumento.
La gestione di un'attività sperimentale coinvolge discipline varie, si tratta quindi di un problema
di progetto in un ambito multidisciplinare e la sperimentazione deve essere progettata e
gestita con criteri ingegneristici, cioè razionali: fare sperimentazione signica infatti progettare,
realizzare e/o utilizzare un sistema di misura in funzione di precise esigenze. Le esigenze
devono essere adeguatamente formalizzate in speciche e requisiti in base ai quali progetta-
re/scegliere/congurare il sistema in modo da conseguire gli obiettivi, con costi compatibili
con i vantaggi attesi.
L'attività di sperimentazione può essere suddivisa in fasi:
Si tratta di una catena: un solo anello debole può degradare la qualità del risultato e quindi far
perdere di signicato all'intera attività .
Nella vita quotidiana qualche volta potremmo anche sorvolare ma non sempre e sicuramente
non nell'ambito professionale. Alcune misure sono tipicamente personali: misura del tempo,
rifornimento di carburante, percorrenza o consumo di un mezzo di trasporto, pesatura cibo o
personale, temperatura ambientale, dell'acqua doccia/bagno, del forno per la cottura. Spesso
altri misurano per noi: consumo energia elettrica, acqua o gas, peso delle confezioni di cibo,
caratteristiche, dimensioni o prestazioni di un prodotto (es caratteristiche dei materiali; di-
mensione di un oggetto; consumo di un elettrodomestico; peso, velocità e consumi della vostra
automobile, dosi secondo ricetta nei piatti consumati al ristorante, dosi dei principi attivi nei
medicinali che assumiamo). Nel primo caso potrebbe essere utile sapere se stiamo misurando in
12 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
maniera accurata o meno, nel secondo ci potremmo chiedere perché dovremmo essere duciosi
nella misura che ci viene proposta.
In generale può essere opportuno porsi alcune domande:
1. Cosa dovremmo sapere/saper fare per essere noi stessi i responsabili della misura?
2. Cosa signica o comporta realmente Misurare?
3. La semplice disponibilità della misura è suciente per poter continuare nell'attività che la
richiede?
4. Quali sono i punti critici che devono essere dominati da chi progetta/ utilizza uno strumento
o un sistema di misura?
Saper rispondere a domande come queste signica essere pienamente consapevoli dell'operazione
di misura . . . è questo l'obiettivo principale del corso.
In funzione di queste considerazioni si potranno denire requisiti di qualità e operativi utili alla
progettazione dei sistemi di misura. Un esempio signicativo è il controllo di produzione: il
funzionamento di un elettrodomestico deve essere vericato per ogni singolo dispositivo ma non
si può pensare di tenere fermo un frigorifero o un congelatore per alcune ore onde vericare
se il tempo di rareddamento corrisponde alla prestazione di progetto; occorre una tecnica più
rapida.
Approccio teorico
1. I risultati sono generali e facilmente estendibili (nell'ambito delle ipotesi di validità del
modello)
2. La formulazione è spesso semplicata (occorre vericare il comportamento del modello
adottato)
3. Spesso è possibile una soluzione numerica (con diversi gradi di dicoltà)
4. Non richiede dispositivi dedicati o specici
5. I risultati spesso vengono ottenuti in un tempo limitato
6. . . .
Approccio sperimentale
Il ruolo dell'ingegnere è quello di risolvere problemi di natura tecnica, progettando sistemi nuovi
o migliorando quelli esistenti, basandosi su modelli previsionali. Questo signica aver bisogno
di informazioni adabili per alimentare i propri modelli (che dovranno necessariamente essere
rappresentativi del sistema in esame) e di vericare che la funzionalità prevista trova riscontro
nella realizzazione. Entrambe queste fasi richiedono attività sperimentali, per ottenere i dati
necesari nella prima e vericare le prestazioni nella seconda.
1. la misura,
2. l'operazione di eettuazione della misura,
3. l'esigenza di una qualità di misura,
14 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
ma anche gli elementi sottintesi che risultato altrettanto rilevanti dal punto di vista della
progettazione e gestione dell'operazione:
1. una grandezza che si desidera misurare (e quindi la necessità di essere sensibili a essa),
2. un dispositivo capace di eseguire l'operazione (lo strumento),
3. una procedura per la corretta realizzazione della misura (a garanzia della qualità del
risultato),
4. un processo di progettazione che garantisca il risultato dell'operazione.
L'esame dei termini espliciti ci porta a fare alcune considerazioni, il cui ordine di presentazione
non è necessariamente quello di rilevanza:
Misure:
1. il nostro interesse può essere rivolto a un grande numero di grandezze con caratteristiche
molto diverse tra loro; per alcune è possibile rilevarne direttamente la misura, per confronto
con un campione (metro o bilancia a pesi), per altre occorrerà misurarne l'eetto attraverso
una qualche forma di conversione;
2. l'analisi delle possibili forme di conversione porta a indagare il livello elementare di tale
operazione, cioè i principi sici di trasduzione disponibili per la loro eettuazione;
3. L'attività di misurazione è un'attività estremamente comune nell'ingegneria: tutti i nu-
meri che compaiono sulle schede tecniche di apparecchiature, strumenti, prodotti, sono il
risultato di operazioni di misurazione;
4. La necessità di avere ducia nelle misure porta naturalmente alla problematica delle deni-
zione della Qualità della misura; quindi alla necessità di preoccuparsi di come il risultato
dell'operazione possa essere condiviso; inevitabile il passaggio attraverso la condivisione di
metodi e riferimenti.
Strumentazione:
Ciascuno di questi aspetti deve trovare posto nella discussione. Qualcuno però verrà dato per
scontato, per es. i sistemi di unità di misura.
La Misura è da sempre un'esigenza dell'uomo, che ha avuto qualcosa da misurare, dovuto
trovare un metodo per misurare, confrontarsi con esigenze di precisione, nonché bisogno di
fare accettare la propria misura.
In tutto ciò tenendo conto che misurare ha un costo e che la scelta della strumentazione e delle
procedure deve essere commisurata alle esigenze di precisione e queste, a loro volta, ai vantaggi
che derivano dalla conoscenza della misura.
La Misura costituisce una quanticazione oggettiva di una grandezza ritenuta signicativa
in relazione ad un fenomeno o sistema, al ne di descrivere:
1.3. LO STRUMENTO 15
Questo signica essere consapevoli del fenomeno e delle sue manifestazioni più importanti o di
quelle rilevanti ai ni dei nostri interessi
Le grandezze da misurare
Le grandezze di interesse possono essere direttamente misurabili, grazie a principi sici o per
confronto, o devono essere ricostruite mediante relazioni siche che le legano a grandezze a
loro volta direttamente misurabili.
Le grandezze da misurare possono essere stazionarie (statiche) o tempo varianti (dinamiche)
con evidente impatto sia sulle caratteristiche della strumentazione necessaria che sulle modalità
operative. Infatti, mentre nel caso statico vi è solitamente la possibilità di ripetizione e tempo
a disposizione, nel caso dinamico esiste spesso la possibilità di una sola misura, e quindi occorre
commisurare le caratteristiche dello strumento alle caratteristiche del segnale.
Le grandezze misurabili possono essere suddivise in estensive o intensive:
Estensive: la misura può essere eseguita in termini di rapporti, possono essere sommate (lun-
ghezze, correnti elettriche, portate, . . . ). Per le grandezze Estensive è possibile costruire un
campione di riferimento : un elemento utile al confronto (es. il vecchio metro)
Intensive: deniscono un modo di essere del sistema, esprimono un ordine, non possono essere
sommate e devono essere denite in termini di dierenze rispetto ad un valore di riferimento
(potenziale elettrico, temperatura, ... ). Per le grandezze Intensive non è possibile denire un
campione di riferimento : esistono dei fenomeni che permettono di associare, convenzionalmen-
te,a una condizione un valore della grandezza; Per esempio, non esiste una temperatura campione
ma è possibile individuare una condizione per cui si deniscono le temperature 0◦ C e 100◦ C.
La misurazione
La misurazione è l'operazione, o la procedura, che fornisce una misura, cioè che porta alla de-
nizione del valore numerico del misurando mediante l'utilizzo di strumenti di varia natura, quali:
dispositivi idonei a eettuare la misura (strumentazione) ed equazioni e/o relazioni analitiche
e/o procedure di elaborazione.
La procedura non è arbitraria é arbitrariamente modicabile; anche quando non ci sono nor-
me che le deniscono è opportuno darsele e attenervisi. Misurare comporta inevitabilmente
imprecisioni che non possono essere ridotte a piacimento: esistono dei limiti a questo processo
(incertezza intrinseca), di tipo economico e sico. Inne, la realizzazione di una misura prevede
due funzioni: estrazione di informazioni dal fenomeno (trasduttore/sensore) e quanticazione
della misura (misuratore).
1.3 Lo Strumento
Lo Strumento è l'oggetto capace di fornire una misura (Metro, Calibro, Bilancia, Voltmetro,
Manometro, Termometro, . . . ). è sensibile al misurando e normalmente provvede alla
sua trasformazione (trasduzione) in una grandezza sica intermedia che rende più agevoli le
operazioni successive, in particolare la misura vera e propria; nalmente provvede a rendere
disponibile una lettura, cioè la quanticazione della misura. Ciascuna di queste fasi deve essere
ben compresa.
É possibile classicare uno strumento per come opera, se per deviazione o azzeramento (come
uno strumento si prepara alla misura), o per come eettua la misura: per confronto diretto o
per misura dell'eetto prodotto (come uno strumento realizza la misura). In tutti i casi si tratta
di capire la natura sica dello strumento.
16 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
Stiamo usando uno strumento analogico: questo strumento sfrutta la sensibilità al fenome-
no, realizzata tramite un sensore / trasduttore che interagisce con il fenomeno stesso; ha la
capacità di fornire una quanticazione dell'eetto rilevato, tramite un misuratore e di realiz-
zare la sua conversione nell'unità di misura della grandezza in ingresso, tramite un coeciente
di taratura. Quindi nello strumento coesistono due funzioni base, trasduzione e misura, che
sono svolte da due componenti separati e indipendenti; vedremo che questo ragionamento
può essere portato alle estreme conseguenze usando due oggetti distinti.
Occorre rilevare che è possibile un assorbimento di energia dal fenomeno/ sistema dal quale
si vogliono recuperare informazioni. Si ha assorbimento di energia in quasi tutti gli strumenti
(eccezioni sono gli strumenti che operano per confronto o senza contatto) e maggiore è l'e-
nergia disponibile maggiore è la facilità di misura, grossolanamente la precisione; d'altra parte
minore l'energia assorbita, minore sarà l'impatto delle presenza dello strumento. Si tratta di
requisiti in evidente contrasto tra loro. Sarà compito nostro trovare un punto di ottimo che
bilanci le due esigenze.
Deviazione: eetto sico bilanciato dalla Azzeramento: eetto sico annullato dallo
reazione dello strumento strumento
Un esempio dalla vita di tutti i giorni è costituito dalla bilancia. La bilancia a due piatti è uno
strumento che lavora per azzeramento: l'eetto dello squilibrio prodotto dall'applicazione del
peso comporta l'abbassamento del piatto che viene recuperato con il posizionamwento di pesi
in quantità adeguata sull'altro. Essendo il valore di ciascun peso noto (campione) la misura è
data dalla somma dei pesi necessari per portare in equilibrio indierente i due piatti.
Nella bilancia a indicatore è particolarmente evidente che l'applicazione del peso comporta un
movimento della lancetta no a quando non viene raggiunta una condizione di equilibrio con
una forza di reazione, una molla interna allo strumento. La scala graduata riporta il peso
corrispondente a un certo numero di posizioni angolari e la lettura per confronto consente la
misura. Altrettanto evidente come una facile lettura richiede uno spostamento ampio, è quindi
necessario amplicare il cedimento dell'elemento deformabile con dispositivi di amplicazione
meccanica.
Nella bilancia digitale l'eetto di deviazione è molto meno evidente ma il principio sfruttato
è il medesimo: in questo caso è spesso implementata una trasduzione in deformazione anziché
in movimento e un circuito digitale implementa il legame, spesso un semplice coeciente di
proporzionalità, tra uscita e ingresso, fornendo la misura del peso. Le dimensioni dell'oggetto
sono particolarmente compatte grazie alla misura diretta della deformazione che, come vedremo,
non richiede meccanismi di amplicazione meccanica ma elettrica.
In entrambi i casi i dispositivi lavorano per deviazione in quanto viene raggiunto uno stato di
equilibrio diverso dalla condizione iniziale e la distanza da questa è indicativa dell'entità del peso
appoggiato sul piatto.
è importante analizzare quali siano i pregi e i difetti delle misure per deviazione e azzeramento:
Deviazione
Azzeramento
Vantaggi Svantaggi
Flessibilità (utilizzo di sensori diversi) Necessità di condivisione del misuratore
Trasmissibilità a distanza del segnale da Utilizzo meno intuitivo (personale quali-
misurare cato)
Economicità (un solo misuratore, di solito Problemi di carattere elettrico (personale
tanto più costoso quanto preciso) qualicato)
Peraltro questo schema risulta talmente diuso che spesso si tende a confondere lo strumento
con il trasduttore, dando per scontato che il misuratore non agisca come elemento separato e
non introduca eetti negativi rilevanti. Dal punto di vista metrologico la catena è comunque
costituita, come minimo, da questi due elementi; anche quando l'oggetto è sicamente unico.
Prima di proseguire cerchiamo di chiarire il signicato del termine sensore/trasduttore. Anche
se non esiste una denizione consolidata, e spesso nel gergo comune i due termini vengono usati
in modo intercambiabile, possiamo pensare il sensore come la parte sensibile, da ciò il termine,
alla grandezza che si vuole misurare. Dal punto di vista pratico però, come vedremo più avanti,
questa sensibilità si traduce in una variazione in uscita, in genere di tipo elettrico, molto limitata
che per poter essere misurata deve essere amplicata. Una denizione pratica potrebbe essere
quindi quella di considerare il trasduttore come un insieme di sensore e circuito di amplicazione
che rende il segnale in uscita misurabile.
Per ciò che concerne il sensore vero e proprio, si possono fare le seguenti considerazioni:
1.4 Il Trasduttore
Il trasduttore ideale è un sistema lineare) a un ingresso (la grandezza che si intende misu-
rare) e una uscita (la misura o la grandezza continua in analogia a quella misurare). La sua
funzione di trasferimento nominale è quindi una costante, è cioè indipendente dall'entità del-
l'ingresso e dalla sua eventuale variabilità nel tempo (contenuto in frequenza). La costante
di funzionamento deve essere denita o vericata sperimentalmente; attraverso l'opera-
zione di Taratura (Calibration): il confronto tra l'uscita dello strumento e l'ingresso, noto
o accuratamente misurato, che l'ha prodotta. Occorrerà quindi essere in grado di utilizzare
uno strumento in condizioni tali da garantirne il funzionamento nelle condizioni ottimali. Sarà
necessario tornare sull'argomento per capire le relazioni tra lo strumento, inteso come oggetto
reale, e il modello metrologico che utilizziamo quando si eettuano delle misure. è possibile,
anche se più complesso, l'impiego di trasduttori con funzione di trasferimento non lineare (es.
manometro ad aria logaritmico per subacquei) ma sempre conoscendo completamente la legge
biunivoca ingresso-uscita che non è più riconducibile a una semplice costante. Nel seguito si
discuteranno soltanto trasduttori con funzionamento lineare.
20 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
Questa generalità di utilizzo fornisce una grande essibilità che può essere sfrutata, a patto
che conosca il fenomeno che si appresta a misurare. Nella gura seguente lo stesso sensore,
trasduttore di deformazione, viene utilizzato per misurare quattro grandezze siche dierenti.
Figura 1.8: Quattro diversi trasduttori basati sull'utilizzo di una lamina estensimetrata: misura
di accelerazione (in alto a sinistra), misura di volume (in alto a destra), misura di pressione (in
basso a sinistra) e misura di piccoli spostamenti (in basso a destra)
di qualità. Sono tipicamente impiegate per valutare la compatibilità di uno strumento con
un'applicazione, in relazione alle diverse esigenze ambientali; lo scopo è quello di garantire la
generale validità della prova oltre che preservare la vita dello strumento stesso.
Caratteristiche Operative: sono le caratteristiche del segnale in ingresso che può essere
sottoposto allo strumento onde garantirne il corretto funzionamento. Tra queste è possibile
denire due sotto classi di caratteristiche:
1. Prescrittive: il mancato rispetto dei limiti può pregiudicare la funzionalità dello stru-
mento stesso, es. portata (escursione dell'ingresso) e numero ripetizioni ciclo di carico
2. Metrologiche: il mancato rispetto può pregiudicare la qualità delle misure: Banda pas-
sante (limite al contenuto in frequenza dell'ingresso), tipicamente impiegate per valutare
la compatibilità di uno strumento con un'applicazione, in relazione alle diverse esigenze
operative, onde garantire la generale validità della prova oltre che la vita dello strumento
stesso.
Caratteristiche Funzionali: sono tutti quegli elementi la cui conoscenza è necessaria per
l'eettuazione stessa delle misure, es. Sensibilità (legame ingresso/uscita), tipicamente impiegate
nella congurazione del sistema di misura e durante la fase di misura vera e propria
Caratteristiche di Qualità: sono tutti quegli elementi che permettono di quanticare pre-
ventivamente la qualità di una misura: Accuratezza (accuracy), Risoluzione (discrimination),
Ripetibilità(repeatability), Riproducibilità (reproducibility), Precisione (precision). Queste so-
no tipicamente impiegate per valutazioni comparative: utilizzate per selezionare uno strumento
a garanzia della qualità complessiva della misura. Dipendono da come si realizzano le funzioni
elementari (sensibilità, trasduzione, misura, . . . ) e possono essere inuenzate da come lo si usa
e da variabili ambientali (es. temperatura, vibrazioni, . . . ).
Si riporta di seguito un esempio di caratteristiche tecniche proposte dal costruttore di un tra-
sduttore di forza, sintetizzate nella cosiddetta scheda tecnica, contenente informazioni valide per
tutti gli oggetti dello stesso modello.
Come si vede sono riportate diverse tipologie di informazioni classicabili secondo quanto de-
scritto.
22 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
Questo però costituisce il paradosso della misura, in quanto in generale non potremo contare
sulla disponibilità del valore esatto: se lo conoscessimo infatti non faremmo la misura! Gli
errori sono inevitabili, ma non vanno subiti: devono essere capiti e gestiti, cioè mantenuti entro
limiti certi, stabili e accettabili. Occorre quindi essere in grado di conoscere a priori l'entità
dell'errore e avere certezza della sua stabilità nel tempo, in questo modo potremo assumere che
la Misura coincida con il Valore esatto, almeno nei limiti dell'approssimazione rappresentata
dalla qualità di misura. Il che signica che una volta sotto controllo, l'errore si trasforma in un
indicatore di qualità.
La Metrologia è la scienza che si occupa di studiare i diversi aspetti del problema della misura
sperimentale (strumenti, qualità, elaborazione dei dati); la sua applicazione porta ad ottenere
risultati accurati e condivisibili. Sono necessarie tecniche che ci permettano di valutare la qualità
delle misure, sia a posteriori che a priori, e di essere certi del mantenimento di tale qualità nel
tempo. In altre parole gli errori devono essere previsti con un modello adeguato!
La domanda principe cui occorre trovare una risposta è quindi come prevedere un errore.
La lettura di un display analogico può indurre errori (parallasse, interpretazione del valore, . . .
): letture o lettori diversi possono produrre misure dierenti. La lettura di un display digitale,
eliminando la soggettività della misura, sembrerebbe risolvere il problema. Ma se volessimo una
misura con più cifre signicative? E se le ultime cifre cambiassero nel tempo? La moderna
strumentazione è in grado di fornire un valore stabile in termini di valore medio. Attenzione!
non si sa ancora se la misura sia corretta: stiamo parlando solo di dierenze o di stabilità delle
letture e non della loro correttezza!
. . . cioè come trasformare un'incapacità in un pregio. . .
Naturale fare riferimento al valore medio e alla dispersione delle misure. Il valore medio è
intuitivamente un'indicazione più attendibile di una singola misura.
1.6. DAGLI ERRORI ALLA QUALITÀ DI MISURA 25
hh
Figura 1.13: I concetti di media e dispersione
Assumendo di conoscere il valore della grandezza da misurare, confrontandolo con delle possibili
misure, potremmo osservare il comportamento descritto in gura:
1. Errori sistematici (Bias): indicano la dierenza tra il valore vero (o la migliore stima
disponibile) e la media delle misure;
2. Errori di precisione (Precision) o casuali: quanticano la dierenza tra la singola
misura e la media delle misure.
Gli errori sistematici (Bias errors) Gli errori Sistematici (Bias) sono ripetibili, cioè co-
stanti durante una serie di misure eseguite a parità di condizioni operative e ambientali, in caso
contrario, determinando, una dispersione, rientrerebbero negli errori casuali. L'elaborazione dei
dati, anche se sosticata, non è in grado di rilevare gli errori di questo tipo, tanto meno rimuo-
verli. Il confronto con valori di riferimento permette di identicarli e di predisporre le correzioni,
normalmente analitiche, atte a rimuoverli. Gli eetti sistematici devono essere ridotti alla loro
componente casuale mediante una attenta progettazione e un accurato procedimento di calibra-
zione. L'esperienza suggerisce di vericare l'esistenza di errori sistematici. un errore nel processo
di calibrazione o, più facilmente, una calibrazione incompleta, possono determinare un errore
sistematico.
Gli errori casuali (Precision errors) Alcuni fenomeni inuenzano il processo in maniera
non prevedibile. I loro eetti sulle misure sono classicati come errori Casuali (Random
o Precision errors ) e producono una dispersione dei risultati quando si esegua una serie di
misure anche in condizioni operative ed ambientali costanti. Elementi che possono produrre
eetti casuali sono riferibili al Misurando (in presenza di variabilità temporale e spaziale) e alle
procedure e tecniche di misura (ripetibilità, risoluzione, . . . ). Per ridurli occorre ripetere le
misure, prestando grande attenzione a non modicare le condizioni generali. La loro denizione
e il loro trattamento avviene mediante tecniche statistiche.
Solitamente errori Casuali e Sistematici non si inuenzano.
Riassumendo Gli errori casuali (precision errors ) sono IMPREVEDIBILI e possono essere
scoperti, e ridotti, ripetendo le misure e trattando i dati con apposite procedure di carattere
statistico; gli errori sistematici (bias error ) a parità di condizioni operative si presentano sempre
26 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
allo stesso modo, sono quindi RIPETIBILI e CONSISTENTI; non possono quindi essere scoperti
ripetendo le misure e la loro riduzione deve essere prevista a priori mediante l'impiego di
apposite procedure denite in fase di calibrazione. Ciò signica che gli errori sistematici devono
essere ridotti alla loro componente casuale con una adeguata procedura.
A bilanciare questa richiesta di prestazione occorre considerare sempre che eetti sistematici e
casuali devono essere ridotti ma solo per quanto possibile e conveniente (l'incertezza nulla non
esiste). Supponendo dati i valori che caratterizzano la distribuzione di una serie di misure ma
non conoscendo la posizione del valore esatto non ci si potrebbe esprimere, ogni valore sarebbe
infatti altrettanto valido ed attendibile degli altri é ci si potrebbe sbilanciare sul fatto che la
dispersione sia elevata o ridotta; sarebbe solo questione di amplicazione della scala.
É possibile fare la distinzione tra errori casuali grandi o piccoli solo in relazione al valore della
misura, o di riferimento, cioè in termini percentuali. La statistica ci permetterà di trattare ade-
guatamente solo gli errori casuali; gli errori sistematici DEVONO essere eliminati a priori, cioè
ridotti ai loro eetti casuali Il comportamento dello strumento deve essere studiato preven-
tivamente, procurandosi la conoscenza del valore di riferimento. L'entità degli scostamenti tipici
del funzionamento di uno strumento deve essere quanticata prima di utilizzare lo strumento.
Non solo: occorre essere certi che lo strumento esibisca sempre lo stesso comportamento quando
utilizzato. Inoltre:
1. Con l'operazione di taratura si valutano il grado di correttezza delle misura di uno stru-
mento o di un sistema e le dispersioni tipiche confrontandole con valori di riferimento: le
caratteristiche metrologiche
2. Sono necessarie adeguate procedure di utilizzo a garanzia del mantenimento delle caratte-
ristiche metrologiche
La Qualità Avendo inquadrato il problema di come gli errori si manifestano possiamo aronta-
re quello della qualità di una misura. In diversi campi (scienza, ingegneria, industria, statistica,
. . . ) si deniscono come:
1. Una buona misura è accurata e la stima dell'accuratezza fornisce una valutazione della
qualità della misura.
2. Avendo un numero elevato di misure il livello di precisione sarà legato alla ampiezza
della dispersione misurata.
3. Con una sola misura dovremo fare adamento su una previsione della dispersione,
cioè sulle caratteristiche di dispersione proprie dello strumento (verosimilmente dichiarate
su una scheda tecnica) che dovremmo poter vericare ripetendo le misure.
4. Accuratezza e precisione di uno strumento, o di un processo di misura, devono essere
stabilite con misure ripetute e confronti con uno standard di riferimento tracciabile secondo
regole condivise.
5. Il requisito di accuratezza di una misura deve essere denito in relazione all'utilizzo pre-
visto: della stessa misura per certi scopi sarà necessaria una accuratezza elevata, per altri
ci si potrà accontentare di una qualità inferiore.
1. il singolo rilevamento, in termini di un intervallo attorno alla media in cui potrebbe ricadere
una nuova misura.
28 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
2. il valore medio (la misura vera e propria), in termini di un intervallo di valori attorno
alla media (migliore stima della grandezza da misurare) in cui potrebbe ricadere un nuovo
valor medio
La maniera più pratica per ottemperare a queste esigenze è quella di associare alla stima del-
la grandezza un indicatore della sua incertezza (massimizzazione dell'errore) e un livello di
probabilità.
La misura è quindi una informazione strutturata, composta da tre elementi: misura, incertezza
e livello di condenza. E necessaria una procedura razionale per determinare l'incertezza in
modo da garantire che il valore vero si trovi all'interno di un intervallo con il richiesto livello di
probabilità. In particolare:
1. Ci accontenteremo del fatto che una ulteriore misura ricada nell' intervallo con l'assegnato
livello di probabilità
2. In funzione del contesto una ulteriore misura può signicare strettamente ulteriore misura,
quindi nuovo singolo dato di misura, ma anche ulteriore valore medio, quindi media di una
nuova serie di dati misurati.
Un riferimento normativo Esistono delle regole (Norme) alle quali attenersi per la quali-
cazione delle attività, comprese quelle di misura. La norma UNI 4546 Misure e misurazioni -
Termini e denizioni fondamentali così si esprime:
MISURA: Informazione costituita da un numero, una incertezza ed una unità di misura asse-
gnata a rappresentare un parametro in un determinato stato del sistema.
Secondo la UNI-CEI ENV 13005 la misura è una informazione strutturata associata a una
grandezza sica e costituita da entità diverse:
A seguito dell'esame degli aspetti statistici avremo chiare tutte le motivazioni che hanno portato
a questo approccio.
Considerazioni nali:
Es. Disponendo delle misure di forza e spostamento, e delle relative incertezze, da quale
incertezza è aetta la stima della rigidezza della molla?
∆F
K= ; F = Fmis ± wF s = smis ± ws
∆s
Non è però solo un problema di come si propagano le incertezze attraverso una formula, ma
anche capire come diormità di comportamento si propagano all'interno di uno strumento,
determinandone l'incertezza complessiva.
Per alcuni casi semplici si possono dare delle risposte immediate. Per esempio se due grandezze
sono aette da incertezza (a±ua e b±ub ), o errore, potremmo dire che l'incertezza sulla loro
somma uc sia data da
uc = ±(|ua| + |ub|)
Ma sarebbe ragionevole ? Ci sono infatti delle domande che, al momento, rimangono inevita-
bilmente senza risposta:
• perché gli scostamenti massimi delle due variabili dovrebbero presentarsi simultaneamente?
Non sarebbe poco probabile?
• perché dovremmo ritenere che scostamenti superiori non potrebbero avvenire?
• Come essere sicuri di aver misurato veramente i massimi valori di scostamento?
1. Principi di trasduzione e Trasduttori (una opportuna selezione degli uni e degli altri)
2. Modellazione concettuale di uno strumento generalizzato (statica e dinamica)
3. Caratterizzazione sperimentale del comportamento e Caratteristiche statiche della stru-
mentazione
30 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE
31
32 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
elettrico mentre la resistenza (così come la capacità e l'induttanza) è una caratteristica propria,
è naturale rivolgersi a quest'ultima come elemento utile per la trasduzione.
La resistenza elettrica di un lo di materiale conduttore è esprimibile con la relazione:
ρL
R=
A
avendo denito la resistività specica ρ , la lunghezza L e la sezione A. Attraverso una misura
dierenziale si potrebbero quindi rilevare gli eetti sulla resistenza della variazione dei tre
parametri prodotti dalla grandezza che si intende misurare.
Per la denizione delle leggi di funzionamento di un possibile trasduttore conviene costruire
una relazione che evidenzi la sensibilità della resistenza alla variazione degli elementi costitutivi;
dierenziando l'espressione della resistenza si ottiene una legge utile per mettere in relazione la
variazione di resistenza con l'ingresso desiderato:
L ρ dA
dR = d ρ + dL−ρL 2
A A A
Denendone il valore percentuale, cioè rapportando il risultato al valore nominale R , otteniamo
due espressioni estremamente semplici, oltre che utili:
dR A L ρ dA dρ dL dA
= d ρ + dL − ρL 2 = + −
R ρL A A A ρ L A
dR% = dρ% + dL% − dA%
Resta da capire quali sono i meccanismi con i quali variano i tre parametri a seguito di una
azione esterna sul lo.
Variazione di resistività: La resistività di un materiale varia con diversi parametri, in particolare
la temperatura e lo stato di sforzo, ma può essere dicile isolare l'eetto di quello di interesse,
inoltre ci si deve aspettare una sensibilità limitata, trattandosi di una proprietà sica, per i
materiali comuni. Questo elemento potrà essere convenientemente sfruttato nel caso di materiali
con una elevata variabilità a una grandeza sica specica. Eventuali variazioni dovute a questo
parametro dovranno essere debitamente tenute in conto in quanto potrebbero inuenzare il
comportamento dello strumento.
Variazione di lunghezza: Una variazione di lunghezza può essere dovuta a due motivi: 1) Un
allungamento imposto al lo, ottenuto per esempio rendendolo solidale con il corpo che, soggetto
a un carico esterno, si deforma, ottenendo un trasduttore di deformazione; e 2) Modica della
geometria del circuito elettrico che misura la resistenza del lo, inglobando nel circuito di misura
una porzione dipendente dal movimento dei capi di misura, determinando una partizione della
resistenza.
Sulla base di queste semplici considerazioni, possono già essere individuate alcune caratteristiche
degli oggetti che verranno realizzati: è evidente come la prima tecnologia, legando la variazione
di resistenza con un ingresso di carico/deformazione imposto, non possa che portare a variazioni
contenute, quindi a una sensibilità bassa e alla necessità di tecniche di misura adeguate; al
contrario la seconda permette di ottenere forti variazioni della resistenza, quindi una elevata
sensibilità, ma porterà ad oggetti ingombranti in quanto richiede dimensioni almeno pari al
movimento che si vuole misurare.
La variazione di sezione: Essendo impraticabile realizzare in maniera diretta una variazione della
sezione, questo può solo essere un eetto secondario di uno principale. E infatti un lo sotto-
posto a trazione subisce una variazione di sezione legata alle modalità di deformarsi dei comuni
materiali: la strizione. Si può quindi concludere che la variazione di sezione non è, verosimil-
mente, il metodo migliore per ottenere un'elevata sensibilità. Peraltro, quando presente, se ne
dovrà tenere conto.
Questa discussione preliminare ha portato a individuare due tipologie di azione (variazione di
2.1. PRINCIPI FISICI DI TRASDUZIONE 33
lunghezza per deformazione e per partizione) con l'ulteriore indicazione, nel primo caso, di potere
/ dovere tenere in conto degli eetti diretti e indiretti di variazione della resistività del materiale
e di sezione del lo.
dρ dA
= =0
ρ A
Zx
R R
Rx = dx = x
L L
0
34 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Un oggetto come il reostato variabile viene principalmente impiegato come partitore di tensione:
se alimentato produce ai capi di misura una tensione proporzionale alla resistenza di partizione.
dL
εT = −νεL = −ν
L
Assumendo poi, per semplicità ma senza ledere la generalità delle conclusioni. un conduttore
a sezione circolare di diametro nominale d0 , e di diametro deformato dc , possiamo esprimere la
variazione di area in termini niti:
∆A π (d2c − d20 )
=
A 4 A
Sempre ragionando in termini niti, si ricava il diametro del lo dopo l'applicazione della
deformazione:
dC = d0 + δd0 =
2.1. PRINCIPI FISICI DI TRASDUZIONE 35
d0 + εT d0 =
d0 (1 − νεL )
Si ricava quindi il termine ∆A/A:
2
∆A π (d2c − d20 ) π 2 1 − ν dL
L −1
= = d0 =
A 4 A 4 A
2
dL 2 dL dL
= −2ν +ν ≈ −2ν = −2νεL
L L L
E la variazione percentuale di resistenza diventa inne:
dR dρ(εL ) dA(εL )
= + εL − =
R ρ A
dρ(εL )
+ (1 + 2ν)εL =
ρ
In ultima analisi: un lo di conduttore sottoposto a una deformazione longitudinale presenta una
variazione percentuale di resistenza composto da due termini: uno è direttamente proporzionale
alla deformazione applicata attraverso un coeciente che dipende dal modulo di Poisson del
materiale del lo l'altro è dovuto a una eventuale variazione di resistività a seguito dell'appli-
cazione della deformazione. Sappiamo che la resistività di un materiale dipende dalla distanza
tra gli atomi e poiché la deformazione modica la loro posizione relativa, ci si deve aspettare la
presenza del secondo termine per tutti i materiali; verosimile aspettarsi che per la maggior parte
dei materiali questo sia proporzionale alla deformazione, per cui il termine dρ(εL ) diventa:
dρ(εL )
= kρ εL
ρ
e che questo coeciente non sia particolarmente grande; in questo modo la sensibilità percentuale
diventa:
dR 1
= kρ + 1 + 2ν
R εL
Abbiamo denito il fattore di sensibilità (gauge factor) del sensore di deformazione e
ottenuto la prima relazione fondamentale dell'estensimetria :
dR
k = kρ + 1 + 2ν −→ = kεL
R
k è una caratteristica del materiale; quelli più comunemente utilizzati per il rilievo di deforma-
zione hanno valori 2 ÷ 2.2. In questi casi il termine dovuto alla deformazione vale circa 1.6 (le
leghe di rame tipicamente impiegate hanno modulo di Poisson t0.2 ÷ 0.3) e il contributo della
variazione di resistività specica dovuto all'eetto piezoresistivo (cioè dello sforzo applicato al
materiale) è all'incirca pari a ≈ 0.4 ÷ 0.6.
É peraltro possibile che materiali particolari presentino una elevata sensibilità in termini di
resistività (è il caso, per es. dei semiconduttori): in questo caso k >> (1 + 2ν) , dell'ordine di
100 e la sensibilità diventa:
dR 1
= kρ
R εL
Questi materiali spesso esibiscono però un comportamento sensibilmente non lineare e dipen-
dente dalle variazioni di temperatura, per cui sono normalmente impiegati solo per applicazioni
particolari.
In ultima analisi: un lo di conduttore sottoposto a una deformazione longitudinale presenta
una variazione relativa di resistenza proporzionale all'allungamento subito.
36 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
É opportuno valutare l'ordine di grandezza di questi elementi. Supponendo sia necessario mi-
surare la deformazione in una barra di acciaio soggetta a un assegnato livello di sforzo. Per
semplicità si consideri un carico assiale, occorre valutare l'eetto su di un lo di trasduttore reso
solidale con la barra. Dati plausibili sono:
2.1.2 Piezoresistività
Alcuni materiali esibiscono una signicativa variazione della resistività specica quando defor-
mati; si tratta dei materiali piezoresistivi. La denominazione combina il riferimento meccanico,
dal greco piezo che signica schiacciare, e quello della proprietà elettrica.
Essendo legato alla struttura molecolare l'eetto piezoresistivo può essere anisotropo, cioè de-
terminare una variazione di resistenza dipendente dalla componente di deformazione applicata;
la resistenza potrà essere misurata a cavallo di superci equipotenziali appositamente riportate
su facce esterne del materiale.
Analizziamo il comportamento del materiale piezoresistivo per confronto con un materiale tra-
dizionale soggetto a un sistema di forze esterne di semplice compressione. L'applicazione del
carico esterno,una pressione uniforme, produce uno sforzo: σ3 = −p.
Osservando il problema nella sua natura tridimensionale osserviamo che nel caso in esame la sola
componente di sforzo presente, con le convenzioni di gura, è appunto quella agente in direzione
x3 : {σ} = [0 0 σ3 0 0 0]T
2.1. PRINCIPI FISICI DI TRASDUZIONE 37
ε3 = 1/E σ3
ε1,2 = −ν/E σ3
γ12,13,23 = 0
Per il materiale piezoresistivo il comportamento meccanico è della stessa natura ma si ha in
più la variazione di resistività: ρ = ρ0 + kP R εL che pò essere espressa in termini dierenziali:
dρ(εL ) = kP R εL .
Con il solo carico applicato σ3 in direzione 3, la variazione di resistività sarà presente in tutto
il volume e, ipotizzando di aver deposto elettrodi di misura sulle facce con normale in direzione
3, dovremo integrare il termine ρ/A lungo tale direzione, per avere la resistenza rilevabile agli
elettrodi:
Z
1 ρ0 t kP R
R3 = ρ0 (1 + kP R εL ) dz = 1+ σ3 = R3_0 + R3_σ
A A E
t
Peraltro è obbligatorio ricorrere a una misura dierenziale per avere la variazione del parametro
dipendente dall'ingresso di pressione:
∆R = R3 − R3_0 ∝ σ3
Due vertici opposti (AC) vengono alimentati e ipotizzando aperti i punti B e D, le correnti che
uiscono sui rami sono:
VS VS
iABC = iADC =
R1 + R4 R2 + R3
Sostituendo le espressioni della corrente possiamo ricavare la misura di tensione ai capi B-D in
funzione dei valori delle resistenze di ramo e della tensione di alimentazione:
R1 R3 − R2 R4
Vo = VDC − VBC = VS
(R1 + R4 ) (R2 + R3 )
Questo risultato fornisce la tensione ai capi BD in assenza dell'ingresso che si desidera misurare
per una scelta del tutto arbitraria delle resistenze. Dato che l'obiettivo è quello di evitare
misure per dierenze e di avere una uscita riconducibile all'ingresso che si desidera misurare
(che produce la variazione di resistenza), è del tutto evidente che sarebbe opportuno avere tale
valore nullo (Vo = 0 ): a ingresso del ponte nullo, anche l'uscita è nulla e ogni sua variazione
è certamente riconducibile alla grandezza da misurare, auspicabilmente con un valore a essa
proporzionale. La condizione è detta di bilanciamento, per ottenerla è necessario l'annullarsi
del numeratore dell'espressione ottenuta: i prodotti delle resistenze su rami opposti devono
essere uguali: R1 R3 = R2 R4 . Il ponte in questa condizione viene detto bilanciato.
Si esaminano ora i casi in cui una o più resistenze siano variabili.
La tensione di uscita del ponte dopo l'applicazione della deformazione all'estensimetro è data
dalla relazione:
R1 (R3 + ∆R3 ) − R2 R4
Vo0 = VS
(R1 + R4 ) (R2 + R3 + ∆R3 )
isolando nel numeratore il termine che contiene l'eetto della deformazione si ottiene:
0 R1 R3 − R2 R4 R1 ∆R3
Vo = VS +
(R1 + R4 ) (R2 + R3 + ∆R3 ) (R1 + R4 ) (R2 + R3 + ∆R3 )
Con il ponte inizialmente bilanciato (R1 R3 = R2 R4 ) il primo termine scompare, indipendente-
mente dal valore di ∆R3 . Inoltre se, come evidentemente è pratico fare, si utilizzano resistenze
di uguale valore nominale (Ri = R) si ha:
∆V = V 0 o − Vo = V 0 o
∆R3 /R
∆V = VS
4 + 2∆R3 /R
Abbiamo quindi ottenuto una relazione tra ∆R e ∆V che risulta essere non lineare. Dato che
la variazione percentuale di resistenza è piccola (2∆R3 /R << 4), è abbastanza naturale valutare
l'eetto di una linearizzare, ritenendo trascurabile il secondo termine a denominatore:
1 ∆R3
∆VL ≈ VS
4 R
è possibile vericare l'entità dell'errore percentuale commesso:
−1
∆VL 1 ∆R3 ∆R3 /R
E% = − 1 = VS VS −1=
∆V 4 R 4 + 2∆R3 /R
1 ∆R3 4 + 2∆R3 /R
−1=
4 R ∆R3 /R
1 ∆R3
4+2 −1=
4 R
1 ∆R3
2 R
cioè l'errore percentuale connesso alla linearizzazione è pari a metà della variazione percentuale
della resistenza. Per dare un senso sico al risultato è possibile riferirsi a una condizione limite
come può essere lo snervamento di un metallo, che avviene per una deformazione dell'ordine del
0.3 ÷ 0.4% o 3000 ÷ 4000µε.
40 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Con questa deformazione e assumendo un fattore di conversione (gauge factor) pari a 2, l'errore
percentuale diventa:
1 ∆R3 1 1
E% = = kε = 2 · 4000 · 10−6 = 0.4%
2 R 2 2
Il ponte è quindi certamente utile quando si debba misurare la variazione di resistenza di un
estensimetro per deformazioni in campo lineare. L'errore rimane comunque limitato anche in
caso di deformazioni non lineari; la soglia per una dierenza pari all'1% è infatti 10000µε:
E% = 0.01 ⇒ ε = 2Ek% = 0.01 = 10000µε
L'analisi graca conferma i commenti eettuati.
Figura 2.7: a) Confronto relazione completa e linearizzata del quarto di ponte, b) Errore
percentuale per 10000µε
Come già osservato per il caso precedente se il ponte è bilanciato la tensione in uscita è inizial-
mente nulla Vo . Se poi si considera il caso di resistenze uguali e variazioni di resistenza piccole
rispetto alle resistenze in gioco, si ottiene:
VS ∆R3 ∆R1 ∆R2 ∆R4
∆V = + − −
4 R R R R
Infatti:
VS ∆R3 ∆R1 ∆R2 ∆R4
= + − −
4 R R R R
è immediato vericare che la relazione per il quarto di ponte è un caso particolare di quella
del ponte intero. Vale la pena osservare che i contributi di lati opposti hanno lo stesso segno e
quelli di lati adiacenti hanno segno opposto. Questo indica che operazioni elementari di somma
e sottrazione possono essere fatte direttamente per mezzo del ponte.
VS ∆R3 ∆R1 ∆R2 ∆R4
∆V = + − +
4 R R R R
Si possono quindi individuare due modalità di gestione del posizionamento delle variazioni di
resistenza sul ponte: su lati opposti o su lati adiacenti, secondo la necessità di combinare o
sottrarre contributi dello stesso segno o di segno opposto.
Posizionando le variazioni di resistenza su lati opposti, es. ∆R1 e ∆R3 , i loro contributi si
sommano.
42 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
VS
∆V = (∆R1 + ∆R3 )
4R
Posizionando invece le variazioni di resistenza su lati adiacenti, es. ∆R1 e ∆R4 , i loro contributi
si sottraggono.
VS
∆V = (∆R1 − ∆R4 )
4R
• ponte intero: G = 1
In uno strumento che sfrutti questo fenomeno è necessario predisporre un circuito primario, da
alimentare convenientemente, uno o più circuiti secondari nei quali rilevare la forza tensione
indotta e un modo per rendere il sistema sensibile alla grandezza da misurare. Il movimento
sembra essere un tipico campo d'applicazione, quindi trasduttori di posizione/movimento: muo-
vendo un elemento ferromagnetico si altererebbe la relazione tra circuito primario e secondario,
ottenendo un eetto dipendente dall'entità del movimento stesso e quindi dell'oggetto cui questo
cursore è collegato.
Per questa tecnologia sono necessari una alimentazione (variabile) e un condizionamento del
segnale più complessi rispetto ai casi precedentemente trattati:
2.1.5 Piezoelettricità
I piezoelettrici sono materiali, naturali o di sintesi, che presentano una asimmetria nella struttura
elettrica; questa particolarità determina un accoppiamento tra il comportamento meccanico e
quello elettrico: una sollecitazione meccanica, es. una pressione, determina la nascita di cariche
elettriche sulla sua supercie (fenomeno denominato diretto) e, dualmente, l'esposizione a un
campo elettrico, ne determina una variazione del volume. I due fenomeni sono noti come eetto
piezoelettrico diretto e inverso.
La denominazione combina il riferimento meccanico, dal greco piezo che signica schiacciare,e
quello elettrico.
Data la struttura del materiale, è possibile identicare una direzione preferenziale, detta di
Polarizzazione, che costituisce la direzione principale rispetto alla quale denire il comporta-
mento caratteristico di questi materiali che sono quasi isotropi dal punto di vista meccanico ma
fortemente anisotropi da quello elettrico.
Se la deformazione è dovuta a forze esterne la carica è a esse proporzionale; è il principio utilizzato
per realizzare trasduttori utili nella strumentazione: nel caso di una cella di carico un opportuno
recettore trasmette la forza al piezoelettrico distribuendola in modo da ottenere una pressione
relativamente uniforme; molto simile il caso di un sensore di pressione; in un accelerometro,
invece, si frutta una massa nota per realizzare una forza proporzionale alla accelerazione subita
dallo strumento.
Se il piezoelettrico è incollato a una struttura tale contrazione, per congruenza, esercita delle
forze distribuite lungo i bordi, permettendo di esercitare una azione di controllo con forze nel
piano:
Analizziamo il comportamento del materiale piezoelettrico per confronto con un materiale tra-
dizionale soggetto a un sistema di forze esterne di semplice compressione.
2.1. PRINCIPI FISICI DI TRASDUZIONE 45
Il carico esterno F viene applicato come una pressione uniforme, producendo quindi uno sforzo:
σ3 = −F/A.
Osservando il problema nella sua natura tridimensionale osserviamo che nel caso in esame la sola
componente di sforzo presente, con le convenzioni di gura, è appunto quella agente in direzione
x3 : {σ} = [0 0 σ3 0 0 0]T
E il legame costitutivo è genericamente scritto come:{ε} = [C]−1 {σ}
Le deformazioni conseguenti all'applicazione del carico sono quindi puramente assiali:
ε3 = 1/E σ3
ε1,2 = −ν/E σ3
γ12,13,23 = 0
È possibile determinare la nuova congurazione dell'oggetto, per es. lo spessore t0 = t+ t ε3 dx3 =
R
t(1 + σ3 /E).
Per il materiale piezoelettrico il comportamento meccanico è della stessa natura ma si ha in più
l'eetto piezoelettrico diretto che si manifesta con la generazione di campo elettrico a seguito
dell'applicazione del carico attraverso un operatore g che lega il campo elettrico allo sforzo
applicato: {} = [g]{σ}; dato che lo sforzo è denito con 6 componenti e il vettore campo
elettrico con 3, la matrice [g] ha dimensione 3x6 (è possibile denire la matrice di accoppiamento
meccanico-elettrico in modi diversi, questa è solo una delle possibili formulazioni comunque utile
ad apprezzare alcune caratteristiche del funzionamento di questi materiali).
I coecienti di tale matrice, gij , rappresentano quindi l'entità del campo elettrico indotto nella
direzione xi da uno stato di sforzo unitario σj nelle diverse direzioni.
In teoria la matrice potrebbe essere piena ma data la geometria dei cristalli, si rileva che la
maggior parte dei coecienti è nulla e che sono presenti solo 3 tipologie di accoppiamento
piezoelettrico:
• longitudinale (o "diretto") espresso dal coeciente g33 , si ha cioè generazione di campo
nella direzione dello spessore per carico applicato in tale direzione;
• trasversale, espresso dai coecienti g13 e g23 , si ha cioè generazione di campo nelle direzione
longitudinale, per carico applicato nelle direzioni trasversali;
• a taglio, espresso dai coecienti g25 e g16 , si ha cioè generazione di campo nelle direzioni
trasversali per un carico di taglio.
La struttura della matrice g è quindi:
1 g16
2 = g25
3 g31 g32 g33
46 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Poiché i valori reali dei coecienti possono essere dicili da ricordare, si riportano valori nor-
malizzati rispetto al coeciente di comportamento diretto 33. Si osserva che il coeciente
piezoelettrico trasversale produce un campo di minore entità rispetto a quello diretto (circa la
metà) mentre quello a taglio è signicativamente superiore (1.5 volte).
Tornando all'esempio, con solo carico applicato σ3 in direzione 3 , è presente solo una componente
di campo elettrico: e3 = g33 σ3 .
poiché si tratta di una grandezza locale, la sua integrazione lungo lo spessore ci porta alla
dierenza di potenziale che può essere rilevata ai capi di due elettrodi posti sulle superci
superiore ed inferiore del blocchetto piezoelettrico:
Z
∆V = e3 dx3
t
2.2 Strumenti
In questa sezione vengono discussi alcuni tipi di trasduttori che sfruttano i fenomeni precedente-
mente descritti, prendendo a riferimento alcune grandezze siche di interesse generale ma anche
del settore aerospaziale. Si ricorda che questa discussione non è in alcun modo da ritenersi
esaustiva ma solo esemplare: la discussione serve a evidenziare come siano necessari modelli per
la valutazione dapprima delle caratteristiche generali e poi di quelle metrologiche, in particolare
con riferimento alla possibilità di scostamenti dal comportamento nominale.
Potenziometro
Abbiamo visto che il potenziometro è un circuito elettrico che realizza la partizione di una
resistenza in funzione della posizione che un cursore mobile assume su di essa. Se alimentato
eettua una partizione della tensione di alimentazione, sempre in proporzione alla posizione del
cursore. Il trasduttore di posizione che sfrutta questo principio mantiene la denominazione ed è
noto come potenziometro.
48 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
La misura di un movimento rotatorio attorno a un asse può essere realizzata con la tipolo-
gia di potenziometro tipicamente impiegata come reostato: quello angolare. La funzione di
trasferimento è direttamente derivabile da quella dello strumento lineare per analogia.
L
x= Vo = SP ot Vo
VS
W
α= Vo
VS
Tipologie realizzative
Esistono sostanzialmente due tipologie realizzative per costruire la resistenza di un potenziome-
tro: a spire o a strato resistivo. Per capire le motivazioni che hanno portato alle due soluzioni
occorre chiedersi quali dovrebbero essere le caratteristiche di un buon trasduttore. L'esigenza
di una elevata sensibilità si declina con una elevata derivata dell'uscita rispetto all'ingresso; nel
caso di un potenziometro, essendo la relazione di funzionamento Rx = RLL x, della resistenza Rx
rispetto al movimento x, quindi del rapporto RLL . poiché la portata viene denita come requisito
di progetto, la caratteristica richiesta viene ottenuta grazie a una elevata resistenza complessiva
RL e poiché RL = ρL A , sono necessari una elevata resistività e una ridotta sezione.
Occorre discutere come, sicamente, si possa costruire una resistenza delle dimensioni del mo-
vimento che si vuole rilevare. Il conduttore più semplice è un lo; se utilizzato per costruire il
potenziometro, data la lunghezza pari alla portata, l'unico parametro di progetto è la sezione,
che non può essere troppo piccola per evidenti problemi di carattere elettrico (eetto Joule) e
meccanico (usura per strisciamento). La geometria del lo non è raccomandabile in quanto il
contatto con il cursore sarebbe molto piccolo, in ogni caso dovrebbe essere mantenuto nella geo-
metria nominale; è quindi necessario un supporto meccanico che, a garanzia del mantenimento
della forma del circuito, sul quale riportare uno strato resistivo, di pianta e sezione rettango-
lari. In questa maniera si riesce ad avere un rapporto Aρ uniforme per tutta la lunghezza della
resistenza. Il requisito comporta una sezione sottile e relativamente stretta per cui la soluzione
a strato resistivo comporta qualche limite: sono infatti possibili problemi di usura a seguito
dello strisciamento del cursore per la riduzione percentuale dello strato, elevata dato il ridotto
spessore.
É però possibile liberare la variabile di progetto lunghezza separando la lunghezza del re-
sistore da quella dello strumento. Questo può avvenire avvolgendo il lo attorno al substrato
meccanico. In questo modo se p è lo sviluppo di un singolo avvolgimento, n il numero di spire ,
la resistenza diventa RL = Aρnf ilo
p
. Si tratta della tecnologia di potenziometro a spire. In questo
modo la densità della resistenza può essere incrementata aumentando la sezione del supporto.
Il prezzo da pagare è la perdita della risoluzione che, virtualmente innita del potenziometro
a strato resistivo, diventa nita: per piccoli movimenti la lettura del potenziometro a spire è
costante no a quando il cursore non viene in contatto una nuova spira in quanto solo allora
l'inglobamento di un ulteriore intero avvolgimento cambia la resistenza sottesa dal circuito.
un cursore della stessa dimensione; inoltre richiede un attento allineamento, in modo da con-
sentire il movimento senza che si generino forze di attrito non dovute sulle guide del cursore e
sulla resistenza. É possibile eseguire misure lineari per grandi e grandissimi spostamenti con
potenziometri angolari a giri multipli che hanno dimensioni contenute: si tratta del potenzio-
metro a lo (wire potentiometer ). Questo tipo di strumento presenta una caratteristica molto
utile: il lo che collega il sensore e l'oggetto di misura applica una forza che agisce nella sola
direzione del movimento, quindi disaccoppia in termini di forza i due sistemi, mantiene invece
un accoppiamento di misura; è quindi comunque necessario un corretto allineamento .
Potenziometro reale
Il modello presentato è relativo allo strumento ideale: un potenziometro reale potrà avere un
comportamento in qualche modo diorme a seguito della realizzazione pratica.
É necessario sapere se vi sono ipotesi adottate nel modello, e quali sono, che nel caso reale vengo-
no a cadere. La loro conoscenza e la sensibilità dello strumento a questi scostamenti dall'idealità
forniscono informazioni utili per valutare la qualità della misura che stiamo eettuando.
Alcune discrepanze tra il caso reale e quello ideale, tipiche di un potenziometro sono:
• nel risolvere l'equazione del circuito elettrico abbiamo ipotizzato assorbimento nullo in
uscita;
• il cursore ha un movimento limitato da una qualche forma di necorsa meccanico che deve
essere regolato;
• la proporzionalità tra ingresso ed uscita potrebbe dierire, magari anche solo localmente,
dalla costante determinata semplicemente a partire dai valori globali di RL e L.
Per il potenziometro ideale la tensione in uscita varia linearmente con la posizione. Nella realtà la
linearità della legge di proporzionalità spostamento-tensione dipende dall'uniformità della densi-
tà della resistenza rispetto alla posizione. A valore medio costante (resistenza totale su lunghezza
ammessa del movimento) si possono avere valori locali leggermente diversi; questo comporta che
piccoli movimenti possano dare variazioni di resistenza/tensione leggermente diversi in punti
diversi del trasduttore.
Inoltre può non essere garantita agli estremi a causa della regolazione dei necorsa meccanici e
quindi la pendenza è corretta solo nella zona centrale.
2.2. STRUMENTI 51
Figura 2.27: Potenziometro - Eetti della regolazione del ne corsa meccanico
Sono numerosi i potenziometri in commercio, che dieriscono per corsa, caratteristiche siche
ed elettriche. I potenziometri lineari hanno una dimensione maggiore alla loro portata, mentre
quelli angolari sono particolarmente compatti.
Lo strumento si presenta con un solo cavo a 3 o 4 poli (se 4 due sono in corto)
Partitore di tensione con alimentazione indipendente: è il modello precedente, al quale
si aggiunge il generatore di tensione che alimenta la resistenza; l'uscita del sistema viene a
dipendere dalla tensione prodotta dall'alimentatore .
In questo caso si ha a che fare con due oggetti separati: il trasduttore e l'alimentatore. L'a-
limentatore è dotato della propria alimentazione di rete e presenta in uscita due connessioni
per le tensioni di riferimento e di alimentazione. Il potenziometro ha un cavo , sempre a 3 o 4
poli (se 4 due sono in corto); due di questi devono essere collegati all'uscita di alimentazione del
generatore di tensione e due forniscono l'uscita di misura. La sensibilità dello strumento dipende
da un elemento esterno al trasduttore. Per l'utilizzo saranno necessari due certicati di taratura
(potenziometro e alimentatore).
2.2. STRUMENTI 53
Lo strumento si presenta con due cavi: il primo per il collegamento alla rete dell'alimentatore
(a 3 poli, in alcuni casi solo a 2) e il secondo per rendere disponibile l'uscita di misura
La sensibilità dello strumento non dipende da elementi esterni allo strumento e un singolo
certicato contiene le informazioni utili dal punto di vista metrologico.
Alla base dello sfruttamento del principio sono un circuito primario, alimentato da una tensione
variabile (tipicamente una tensione alternata, valori tipici 1-10 kHz, 0.5-10 V), e due circuiti
secondari, sensibili all'eetto di induzione. Il usso magnetico prodotto induce forza elettro-
motrice nei secondari. Non essendo pratico muovere i circuiti per trasdurre un movimento, si
preferisce modicare la legge di accoppiamento tra circuito primario e circuiti secondari utiliz-
zando un elemento ferromagnetico mobile, al quale viene imposto il movimento da misurare. I
circuiti sono quindi realizzati in geometria cilindrica e al loro interno scorre un equipaggio mo-
bile realizzato in materiale ferromagnetico. Il usso magnetico prodotto dal circuito primario si
accoppia attraverso l'equipaggio mobile con gli avvolgimenti secondari, con un eetto che viene
a dipendere dalla posizione del nucleo; tale l'eetto viene reso simmetrico grazie alla geometria
dei circuiti secondari, in questo modo spostamenti uguali nelle due direzioni hanno lo stesso
eetto sui due circuiti secondari. Con il nucleo in posizione di simmetria le tensioni indotte sono
uguali e assumendo tale posizione come zero di misura, l'uscita di misura deve essere realizzata
con la dierenza delle due tensioni; in una rete elettrica un collegamento in serie somma la dif-
ferenze delle tensioni, avendo necessità di realizzare una dierenza è suciente un collegamento
54 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
in serie in opposizione, cioè collegando il polo positivo di un ramo con quello negativo dell'altro:
quindi in un LVDT con questo accorgimento l'uscita del circuito si azzera quando il cursore è in
posizione centrale: E1 − E2 = 0. Quando l'equipaggio mobile viene spostato da tale posizione
la dierenza delle tensioni indotte è proporzionale allo spostamento.
Ricordando che il circuito primario è alimentato con una tensione alternata, ovvero sinusoidale,
è evidente che anche l'uscita del sensore è una sinusoide modulata in ampiezza proporzional-
mente allo spostamento raggiunto (g.2.36A).
Figura 2.36: Evoluzione del segnale attraverso gli stadi di condizionamento di un LVDT
Per ricavare l'informazione dell'entità dello spostamento si può misurare il valore ecace del
segnale modulato (g.2.36B). Non è ancora nita: con il valore ecace si perde l'informazione
sulla direzione dello spostamento. É quindi necessario riconoscere la direzione e cambiare il
segno quando l'equipaggio mobile si muove in direzione negativa. La strumento richiede quindi
una circuiteria in grado di svolgere queste operazioni di condizionamento di segnale (g.2.36C).
É necessario un disegno accurato della geometria circuiti, un corretto rapporto tra la geome-
tria dei circuiti e la dimensione del cursore ferromagnetico, una accurata realizzazione della
densità delle spire dei circuiti secondari e un'attenta realizzazione per garantire la linearità di
funzionamento.
2.2. STRUMENTI 55
• nessun contatto tra le parti metrologicamente rilevanti (il cursore mantenuto sull'asse da
guarnizioni che ne permettono il movimento ma senza contatto tra circuiti primario e
secondari);
• robustezza meccanica e ambientale;
• basso attrito, quindi alta risoluzione;
• sensibilità elevata, grazie all'elettronica di condizionamento;
• vita a fatica virtualmente innita (con adeguata manutenzione), richiesta solo la sostitu-
zione delle guarnizioni;
• sensibilità incrociata praticamente nulla;
• zero di misura nel punto centrale.
Alcuni testi riportano come pregio la possibilità di una misura assoluta per la presenza di un
punto di zero. In realtà non essendo sempre possibile realizzare un corretto allineamento dello
zero strumento con la posizione di zero della prova, si ha spesso la necessità di dover ricorrere
a una misura dierenziale, quindi perdendo il vantaggio di un'uscita puramente proporzionale
con l'ingresso. Dal punto di vista dell'utilizzo un LVDT e un potenziometro richiedono le stesse
attenzioni di installazione.
56 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Dal punto di vista estetico un trasformatore dierenziale, sia lineare che angolare, si presenta
con un aspetto del tutto simile a quello di un potenziometro. Nel caso di circuiteria di condi-
zionamento integrata avremo due cavi: uno per l'alimentazione della circuiteria stessa e uno per
l'uscita di misura.
LVDT RVDT
Come appare dagli esempi di g.2.45, esistono in commercio numerosi modelli di estensimetro
(per materiale, substrato, dimensione, geometria della griglia) in grado di incontrare le esigenze
delle più varie applicazioni. In g.2.47 si riportano estratti di schede tecniche per evidenziare la
natura delle informazioni messe a disposizione dai produttori.
2.2. STRUMENTI 59
Con le convenzioni di g.2.49 e con le usuali ipotesi (ponte inizialmente bilanciato, resisten-
ze uguali e variazioni di resistenza piccole rispetto alle resistenze in gioco) la relazione di
funzionamento linearizzata del ponte è
VS ∆R1 ∆R2 ∆R3 ∆R4
∆V = − + −
4 R R R R
Vs ∆R Vs
∆V = = kε
4 R 4
Con le convenzioni di gura per una deformazione di estensione (ε positiva) la variazione di
resistenza è positiva per gli estensimetri 1 e 3.
In questa discussione si è assunto il ponte bilanciato, cioè : R1 R3 = R2 R4 .
Lecito chiedersi quale sia l'impatto sulla qualità di misura nel caso non venisse eettuata questa
operazione.
Sempre con le convenzioni di g.2.49, l'uscita a ponte scarico è:
R1 R3 − R2 R4
Vo = VS
(R1 + R4 )(R2 + R3 )
Per resistenze nominalmente uguali da 120Ω, di tolleranza 0.5%, e un'alimentazione da 5V , lo
sbilanciamento di tensione può però arrivare a essere dell'ordine di 7.5mV . Si tratta di un valore
piccolo, ma potrebbe non essere trascurabile rispetto alla misura attesa.
Per capire se questo eetto sia rilevante, ricaviamo il valore della deformazione che in un caso
ragionevole potrebbe determinare lo stesso sbilanciamento; invertendo la seconda relazione
dell'estensimetria per la misura di un quarto di ponte.
4
ε = ∆V
kVS
2.2. STRUMENTI 61
1. Ponte non bilanciato (misura dierenziale) Indicando con Vo la tensione iniziale e Vo0 la
tensione a deformazione avvenuta:
R1 R3 − R2 R4 R1 (R3 + ∆R3 ) − R2 R4
Vo = VS 6= 0 Vo0 = VS
(R1 + R4 )(R2 + R3 ) (R1 + R4 )(R2 + R3 + ∆R3 )
∆R3 = R3 kε3
possiamo scrivere:
R1 R3 − R2 R4 R1 R3 kε
Vo0 = VS +
(R1 + R4 )(R2 + R3 (1 + kε)) (R1 + R4 )(R2 + R3 (1 + kε))
R1 R3 − R2 R4
−
(R1 + R4 )(R2 + R3 )
La rimozione dell'oset non è perfetta a causa della presenza del contributo di deformazione
a denominatore del primo termine, assente in quello di compensazione.
Il legame tra ∆V e ε non è perfettamente lineare, ma nell'ambito delle approssimazioni
fatte questo rimane in genere trascurabile.
2. Ponte bilanciato
Comportamento puramente proporzionale con la deformazione, sempre nell'ambito delle
approssimazioni fatte:
VS
Vo = ∆V = kε
4
Bilanciando si evita:
• la lettura di zero;
• la misura dierenziale;
• di impostare il fondoscala di lettura sulla somma dell'oset e del segnale diminuendo
la risoluzione (in genere comunque trascurabile dato che lo sbilanciamento è piccolo).
62 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Tecniche di bilanciamento del ponte Vista l'utilità di avere un ponte bilanciato, ci chie-
diamo come ottenere tale proprietà.
La modica delle resistenze normalmente comporta solo piccole correzioni (es. caso di 4 esten-
simetri nominalmente uguali ma leggermente diversi per incertezze legate alla realizzazione).
Di fatto è suciente correggere la resistenza di uno solo dei rami del ponte.
Occorre quindi valutare se possa essere meglio aumentare uno dei due prodotti o diminuire
l'altro.
Per incrementare una resistenza si aggiunge una resistenza in serie:
REquiv = RA + RB
RA RB
REquiv =
Ra + RB
Supponiamo che sia necessario modicare la resistenza di un ramo di un 1% in aumento (caso
della serie) o in riduzione (caso del parallelo):
occorre quindi aggiungere in serie una resistenza di 1/100 di quella del ramo considerato.
• Caso del parallelo
RA RB
REquiv = = 0.99RA
RA + RB
REquiv (RA + RB ) = RA RB
RA REquiv 0.99RA
RB = = RA = 99RA
RA − REquiv (1 − 0.99)RA
occorre quindi aggiungere in parallelo una resistenza 99 volte più grossa di quella del ramo
considerato.
• completare un ponte;
• alimentarlo;
• bilanciarlo;
• leggere lo sbilanciamento sotto carico;
• fornire la misura in termini di microdeformazioni.
L
∆R = [ρ(T ) − ρ(TRif )]
A
La scelta del materiale può aiutare: la Costantana, una lega largamente impiegata per la realizza-
zione di estensimetri, presenta una modesta sensibilità a variazioni di temperatura non estreme,
quindi si potrebbe pensare sia possibile non preoccuparsi del problema, almeno no a che si
rimane in condizioni ambientali normali. Ci sono però altri problemi: l'estensimetro è sensibile
sia alla deformazione applicata al suo substrato, indipendentemente se di origine meccanica (εM
dovutaa uno stato di sforzo) o termica (εT dovuta a una dilatazione termica).
Vs Vs
∆V = kε = k (εM + εT )
4 4
.
In generale una variazione di temperatura rispetto a quella di installazione, genera una varia-
zione di lunghezza della griglia estensimetrica, ∆LEst = αEst ∆T LEst , ma anche della struttura
sottostante l'estensimetro, ∆LP ez = αP ez ∆T LP ez ,
In presenza di coecienti di dilatazione diversi, l'estensimetro subisce una deformazione mecca-
nica apparente pari alla dierenza delle due:
Figura 2.52: Variazione del fattore di sensibilità in funzione della temperatura e del tipo di
supporto
La compensazione degli eetti della temperatura sulla resistività possono essere corretti analiti-
camente, grazie a curve riportate in appositi diagrammi; dal loro esame si osserva come la cor-
rezione sia fondamentale per variazioni di temperatura estreme, mentre per le usuali condizioni
di prova a temperatura ambiente i coecienti correttivi sono praticamente unitari.
Per quanto riguarda la compensazione degli eetti di diversi coecienti di dilatazione termica,
cominciamo con la valutazione della loro rilevanza. Il problema potrebbe non essere partico-
larmente critico per prove a temperatura ambiente, per le quali la dierenza di temperatura
rispetto al momento di installazione dell'estensimetro è ridotta, tipicamente un massimo di 10◦ ;
inoltre trattandosi di un termine indipendente dal livello di deformazione meccanica ha un peso
relativo che si riduce con l'aumentare della deformazione misurata, quindi l'eetto percentuale
sui valori massimi di deformazione potrebbe essere contenuto. Un esempio può risultare utile: si
supponga di avere una dierenza di coecienti di dilatazione termica pari a 12 × 10−6 e una dif-
ferenza di temperatura di 10o C . La deformazione apparente sarebbe ε = 12 × 10−6 10 = 120µε;
un valore quindi non del tutto trascurabile che potrebbe essere una frazione importante di una
misura di deformazione in campo lineare (≈ 2000µε).
Il problema è certamente signicativo per prove estreme, come ad alta e a bassa temperatura. Si
deve tener presente che una alta temperatura può essere raggiunta su un velivolo anche soltanto
per essere rimasto parcheggiato al sole, mentre la temperatura di dispositivi non protetti può
scendere abbondantemente sotto lo zero durante voli in quota; in queste condizioni la dierenza
rispetto a quella nominale può facilmente superare i 30◦ ; quindi anche in condizioni operative
industriali si possono avere dierenze di temperatura di diverse decine di gradi.
Volendo compensare questo eetto, è necessaria una misura degli eetti termici, in modo da poter
rimuovere, analiticamente o meno, la componente residua presente nell'uscita dell'estensimetro;
tale compensazione può essere fatta con varie modalità:
∆RD 1 ∆RD
= kεT quindi εT =
R k R
Mentre quella dell'estensimetro di misura è:
∆RS
= kεT ot
R
poiché εT ot = εM + εT la misura della deformazione meccanica sarà data da:
1 ∆RS ∆RD
εM = εT ot − εT = −
k R R
Questa tecnica è quella comunemente nota come tecnica del provino morto (in inglese Dum-
my). L'operazione richiede l'utilizzo di due misure indipendenti. Conoscendo le caratteristiche
del ponte di Weathstone è possibile eettuare direttamente la compensazione: essa può avvenire
inserendo l'estensimetro del "morto" su un ramo del ponte adiacente a quello dell'estensi-
metro di misura (si veda la g.2.54).
Figura 2.54: Tecnica del morto- schema di ponte per la compensazione diretta
In questo caso avremo due rami occupati dagli estensimetri mentre sugli altri due non si hanno
variazioni di resistenza.
66 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
VS VS
∆V = k(ε1 − ε4 ) = kεM
4 4
e nalmente:
4 ∆V
εM =
k VS
In questo modo si realizza direttamente la compensazione nel ponte di misura principale.
Questa tecnica può risultare fondamentale nel caso di materiali compositi per i quali la dispo-
nibilità di estensimetri con coecienti di dilatazione termica compatibili può essere dicile (si
pensi alla bra di carbonio che ha un coeciente di dilatazione termica pressoché nullo) e altri
schemi di compensazione diretta resi impraticabili dalla anisotropia del comportamento, anche
in termini di coecienti di dilatazione termica (sempre nel caso della bra di carbonio nella
direzione trasversale il coeciente di dilatazione termica è quello della resina).
VS
∆V = kε
4
Ipotizzando per esempio l'uso di estensimetri con k = 2 e considerando un livello di deformazione
tipico di 1000µ (per un materiale metallico in campo lineare) e un'alimentazione di 5V , l'uscita
sarebbe:
5
∆V = 0.001 = 0, 00125V = 1, 25mV
4
Evidente la necessità di amplicazione, di un fattore minimo 1000 per avere tensioni facilmente
leggibili con un sistema AD. Si potrebbe essere tentati dall'utilizzare la tensione di alimentazione
come amplicatore; ricordando però che un estensimetro è prima di tutto una resistenza,
chiediamoci cosa succede quando è alimentato:
• L'alimentazione del ponte determina un usso di corrente lungo i rami e quindi il riscal-
damento degli estensimetri per eetto Joule
• Il calore viene dissipato per conduzione nella struttura sotto misura, in funzione delle sue
caratteristiche di conducibilità termica (oltre che dell'adesivo e del supporto) e delle dimen-
sioni dell'estensimetro stesso (supercie attraverso la quale per conduzione il calore viene
trasferito alla struttura) e della struttura (tipicamente lo spessore nella zona sottostante
all'estensimetro)
• Se il calore prodotto NON viene adeguatamente dissipato, l'incremento localizzato della
temperatura può portare a diversi problemi:
Deterioramento dello strato di adesivo,
Nascita di rumori di misura per eetti elettrochimici,
2.2. STRUMENTI 67
Deterioramento dell'estensimetro.
La tensione di alimentazione non può quindi essere utilizzata per amplicare il segnale ma deve
essere esclusivamente denita in funzione delle caratteristiche dell'estensimetro e delle condizioni
di impiego previste.
Il limite di tensione di alimentazione dell'estensimetro comporta un limite di corrente:
VLim
iLim =
REst
La congurazione del ponte vede normalmente l'impiego di resistenze nominali uguali. Questo
fa si che sul singolo ramo agisca una dierenza di potenziale pari a metà della tensione di
alimentazione del ponte.
VRamo VS
iRamo = =
RRamo 2RN om
Imponendo che la corrente sul ramo eguagli quella limite per l'estensimetro
iRamo = iLim
si ottiene la tensione massima di alimentazione del ponte che rispetti il limite del singolo
estensimetro:
VS VLim
=
2RN om REst
VLim
VS = 2RN om = 2VLim
REst
La tensione limite di alimentazione del ponte risulta quindi essere il doppio di quella del singolo
estensimetro.
VS = 2 VLim
Analizzando le relazioni di funzionamento del ponte sarà possibile stabilire la corretta tensione
di alimentazione del ponte che salvaguardi l'estensimetro. Vale la pena tenere presenti alcuni
suggerimenti di carattere generale:
I criteri di selezione
I criteri di selezione per la scelta di un estensimetro riguardano elementi quali:
e che l'estensimetro debba essere scelto nel catalogo da cui è stata estratta l'ultima delle g.2.47.
Si dovranno dapprima escludere tutti i modelli non compatibili con ciascuno dei diversi criteri.
Tra quelli che rimangono si potrà optare in funzione di ulteriori requisiti. Il risultato dell'ope-
razione è descritto in g.2.56: sono sono stati esclusi gli estensimetri per grandi allungamenti,
quelli con campi di temperatura non compatibili con la temperatura richiesta, quelli che non
soddisfano il limite di deformazione richiesto e il numero di cicli. Tra i modelli che risultano
compatibili (uno a precisione molto elevata, due elevata e uno moderata), in mancanza di ulte-
riori indicazioni, si può optare per quello a precisione moderata, verosimilmente più economico.
Le celle di carico possono essere suddivise in due categorie che, in funzione dell'ambito di uti-
lizzo, ne determina la tecnologia costruttiva: statiche e dinamiche; normalmente le prime sono
equipaggiate con estensimetri elettrici e le seconde con elementi piezoceramici.
Fondamentalmente una cella di carico statica (basse frequenze di utilizzo, tipicamente non
superiori a qualche decina di hertz, e portate da piccole a elevatissime) è costituita da un corpo
in metallo estensimetrato.
Le celle possono essere realizzate in varie forme in funzione di tipologia ed entità del carico da
misurare, tipologia delle applicazioni e condizioni ambientali.
La variabilità delle forme è notevolissima e sono in commercio anche dispositivi speciali per
applicazioni particolari, come perni e occhielli strumentati.
70 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Quando invece si deve scegliere una cella per una specica applicazione si tratta di denire i
criteri per eettuare la selezione tra numerosi prodotti, nominalmente equivalenti, reperibili in
commercio.
Si può optare per una cella che risenta prevalentemente di un eetto assiale invece che essionale
(o a taglio) del carico applicato, tenendo conto che, in genere, la essione amplica gli eetti
deformativi del carico, quindi una cella a essione ha, a parità di fondoscala, una sensibilità più
elevata di una che lavora in modo assiale e può essere preferibile. Il rovescio della medaglia è
che una cella essionale è più deformabile e ha una portata inferiore e/o un peso maggiore, dato
che strutturalmente è meno eciente.
2.2. STRUMENTI 71
• Celle di carico monocanale (serve eliminare gli eetti secondari dovuti a altre modalità di
carico: cella di carico assiale o essionale o a taglio)
• Provini per prove materiali (con i quali è necessario correlare la risposta meccanica di
deformazione con un particolare ingresso di carico: misura modulo elastico con prova di
trazione)
L'interesse è quindi per una congurazione di misura che compensi intrinsecamente gli eetti
non desiderati ed eventualmente amplichi quelli a cui si è interessati, tenendo conto della
geometria della struttura che consente di stabilire relazioni d'uguaglianza o opposizione tra
diverse misure.
Nel caso di una struttura allungata prende infatti signicato la separazione tra eetti di
carichi assiali, di essione e termici. Un carico longitudinale produce eetti uniformi nella
sezione, una modalità di distribuzione detta membranale, ed eetti linearmente variabili attra-
verso lo spessore della sezione quando non allineato con l'asse neutro della trave, modalità
detta essionale.
Può, essere presente anche una deformazione termica, tipicamente uniforme con caratteristiche
direzionali dipendenti dal materiale.
k k
S = VS ovvero, in termini di unità di alimentazione, SV =
4 4
Utilizzando i pedici A, F e T per indicare i termini assiali, essionale e termico, l'estensimetro
misura:
εM is = ε1 = εA + εF + εT
72 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Quindi la misura risente sia di un'eventuale essione che degli eetti termici. Ricordando però
le capacità del ponte, possiamo cancellare la componente essionale e raddoppiare quella assiale
inserendo in un ramo sommatore un estensimetro gemello ma posizionato sulla faccia inferiore.
Si tratta della congurazione a mezzo ponte di g.2.59 per la misura della deformazione assiale
con due estensimetri uguali su facce opposte e collegati su rami opposti, in questo caso 1 e 4.
VS k
∆V = k(ε1 + ε4 ) = VS εM is
4 4
In questo caso gli estensimetri misurano:
εM is = 2(εA + εT )
La misura è quindi compensata a essione ma risente ancora di eventuali eetti termici; la
sensibilità alla deformazione assiale (incluso l'eetto termico) del ponte raddoppia:
k k
S = VS ovvero SV =
2 2
Per rimuovere l'eetto termico abbiamo bisogno di una sua misura da inserire su lati sottraenti
del ponte. Consideriamo la congurazione di g.2.60 per la misura della deformazione assiale
con quattro estensimetri uguali, due per ciascuna faccia, uno allineato con la direzione di
carico e uno in direzione trasversale: notiamo che gli estensimetri in direzione trasversale mettono
in gioco una deformazione termica e una meccanica:
ε = −ν(εA + εF ) + αT ras ∆T
Inseriamo questi due estensimetri sui lati liberi del mezzo ponte, ottenendo un ponte intero.
VS S
∆V = k(ε1 + ε4 − ε2 − ε3 ) = VS εM is
4 4
Esaminiamo le misure degli estensimetri (indicando con αLong ed αT ras rispettivamente il coef-
ciente di dilatazione termica longitudinale e quello trasversale):
εM is = ε1 + ε4 − ε2 − ε3 = 2(1 + ν)εA
La sensibilità del ponte diventa quindi:
k k
S = VS (1 + ν) ovvero SV = (1 + ν)
2 2
Congurazioni tipiche: carico essionale Un'altra applicazione tipica delle celle di carico
è quella che richiede la misura del solo eetto di deformazione conseguente alla presenza di una
essione: in questo caso si vuole misurare solo la componente essionale della deformazione,
evitando il contributo di una eventuale deformazione assiale o di una dilatazione termica.
Sappiamo già che con un solo estensimetro si rileva la combinazione delle componenti di defor-
mazione dovute all'azione assiale e alla essione. Per cancellare εT dalla deformazione totale
εtot = εF + εT o si leva direttamente εT , se disponibile, o si sottrae −εF + εT , ottenendo 2εF .
quanto si realizza con la congurazione a mezzo ponte di g.2.61 per la misura della defor-
È
mazione essionale con due estensimetri uguali su facce opposte e collegati al ponte su rami
adiacenti (i rami 1 e 2).
k k
∆V = VS (ε1 − ε2 ) = VS εM is
4 4
poiché la componente essionale cambia segno (ε1,F = −ε2,F ), mentre le componenti membranale
e termica sono uguali, la sottrazione del ponte porta alla cancellazione degli eetti assiali e termici
e al raddoppio di quelli essionali:
quindi la misura risulta essere compensata alla deformazione assiale e agli eventuali eetti termici
e la sensibilità del ponte è:
k k
S = VS ovvero SV =
2 2
In questo caso il ponte rimane incompleto ed è richiesta una centralina. Installando due esten-
simetri aancati su ogni faccia è possibile completare il ponte ottenendo un ulteriore aumento
del guadagno; con riferimento al ponte intero di g.2.62 la relazione di misura diventa:
k
∆V = VS (+ε1 − ε2 + ε3 − ε4 ) = V k εM is
4 4
Figura 2.62: Misura di deformazione in elemento allungato: misura di essione a ponte intero
Evitando di trascrivere le componenti assiale e termica, uguali su tutti gli estensimetri e quindi
compensate a coppie, si ha:
Cella a Flessione semplice Sono fondamentalmente delle travi incastrate da un lato e carica-
te sull'estremo libero funzionanti sul principio dei momenti ettenti. Non sono particolarmente
diuse a causa della loro elevata sensibilità al punto d'applicazione del carico e alla
loro bassa frequenza di risonanza che le rende poco adatte ad applicazioni dinamiche anche a
frequenze di sollecitazione relativamente basse.
Il modello a trave è una schematizzazione rozza, dato che non si tratta di un elemento snello,
ma funzionale per quanto rilevante.
Nella cella a essione l'azione interna dipende dalla posizione scelta per gli estensimetri, questo
porta alla dicoltà di rendere indipendente la misura dal punto di applicazione della forza.
Figura 2.65: Cella di carico a essione semplice: eetto della posizione del carico
Con riferimento al caso di g.2.65: il momento ettente dipende dal braccio e la cella è sensibile
sia alla forza che alla sua collocazione. Con un singolo ponte di misura a essione è impossibile
separare gli eetti della forza e del suo punto di applicazione:
P bh
εF less =
EJ
Per separare i due eetti sono necessarie misure. Ricordiamo che un mezzo ponte a essione
equivale a una misura di momento ettente nella sezione estensimetrata: possiamo
quindi considerare le relazioni tra i momenti in diverse sezioni per progettare il sistema di misura
e utilizzare uno o più ponti per realizzare la misura, come si vedrà nel proseguo.
76 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Per capire come strumentare convenientemente una cella di questo tipo esaminiamo lo schema
riportato in g.2.66.
Figura 2.66: Eetto della posizione del carico su una cella a essione
Ricordando che il taglio è la derivata del momento ettente, in una zona a momento
linearmente variabile la derivata può essere espressa in termini niti, quindi:
∆M M2 − M1
T = =
∆x x2 − x1
il carico applicato P può essere misurato come
M2 − M1
P =
d
Quindi con due misure di momento ettente saremmo in grado di scrivere il rapporto incremen-
tale, data la distanza d = x2 − x1 , ottenendo la forza P ; se richiesto è possibile determinare il
punto di applicazione del carico. Le due misure di essione possono essere realizzate con due
semiponti a distanza nota d, come descritto in g.2.67.
Figura 2.68: Congurazione dei ponti per doppia misura di essione dierenziale
In virtù della tipologia ( 12 ponte a essione) ciascun ponte fornisce la misura della deformazione
essionale:
Mh
ε3 = −ε2 = εFles =
EJ
EJ EJ 1
M = εFles =2 ∆V
h h kVS
Note le due misure di essione, MA (εA ), MB (εB ) si possono scrivere le due equazioni risolutive:
2.2. STRUMENTI 77
In alternativa è possibile installare i quattro estensimetri sullo stesso ponte realizzando diretta-
mente la dierenza richiesta: lo sbilanciamento è proporzionale esclusivamente al carico di taglio
P nella trave, è richiesta la misura della distanza degli estensimetri e non sarà possibile denire
il punto di applicazione del carico.
La congurazione di strumentazione della trave e del ponte sono quindi quelle riportate in
g.2.69: i due ponti a essione sono organizzati nel ponte intero in modo che i due estensimetri
posti sulla faccia superiore si trovino su rami adiacenti.
Figura 2.69: Congurazione di strumentazione della trave e del ponte per misura di essione
dierenziale
Tenendo conto della tipologia di ponte e della compensazione intrinseca di eetti diversi da
quello essionale, la deformazione in uscita dal ponte sarà:
2 2
εM is = (M1 h − M2 h) = dhP
EJ EJ
1 kdh
∆V = VS kεM is = VS P
4 2EJ
il cui guadagno è:
kdh
S = VS
2EJ
Questo tipo di cella è particolarmente utilizzato in sistemi di piccola e media portata quando è
richiesto un piano di pesatura insensibile al punto d'applicazione del carico.
Cella a essione con misura di taglio (semplice e doppio) Le celle a taglio semplice
sono utilizzate in sistemi di media portata ma richiedono basi di ssaggio molto robuste e ben
ancorate per sopportare gli elevati momenti ettenti che si creano.
Essendo celle a essione, non sopportano elevati carichi trasversali, a dierenza di queste misu-
rano la componente di scorrimento della deformazione a partire da due misure di deformazione
lineare sulle due facce del setto ottenuto realizzando due cave sui anchi della barra.
Figura 2.71: Cella a taglio semplice Figura 2.72: Cella a doppio taglio
Le celle a Doppio Taglio sono invece adatte ad alte portate, grazie al doppio vincolo, e orono
una gran praticità di montaggio. In questo caso si hanno 4 zone di misura tutte (il fondo delle 4
cave) con doppia misura di componenti di deformazione lineare a 45o . Nel ponte le misure sono
sommate.
Perni Sono disponibili anche perni con strumentazione integrata. Utilizzati, per es. su mezzi
di sollevamento e macchine operatrici, hanno il pregio di poter sostituire perni già in opera senza
richiedere alcuna modica (g.2.74).
2.2. STRUMENTI 79
Problemi di misura Abbiamo visto come non sia possibile agire sull'alimentazione per
aumentare la sensibilità di un ponte; possiamo però impiegare più estensimetri di quelli necessari.
Sensibilità nominale tipica in termini di ponte; con le usuali convenzioni:
Vs ∆R1 ∆R2 ∆R3 ∆R4
∆V = − + −
4 R R R R
Disponendo su ogni ramo due (o più) estensimetri uguali e sensibili alla stessa deformazione si
ottiene una crescita proporzionale di numeratori e denominatori:
VS VS
iramo = =
RRamo 2NEst REst
Riprendiamo il caso di una cella per carico assiale compensata a essione e termicamente:
Vs k
∆V = (1 + ν)ε
2
Onde rendere agevole la fase di installazione della strumentazione, può essere opportuno utiliz-
zare una sezione, limitatamente alla zona di misura, a pianta ottagonale (g.2.75):
La congurazione tradizionale sarebbe quella con gli estensimetri L1 e L5 su due rami opposti
(1 e 3) e T1 e T5 su quelli adiacenti (2 e 4), rappresentata nella gura di sinistra:
R1 = RL1 ; R3 = RL5 ; R2 = RT 1 ; R4 = RT 5
Sappiamo che questa congurazione compensa sia eventuali eetti essionali residui che termici;
inoltre abbiamo la libertà di scegliere una coppia di facce delle quattro disponibili, per incollare
gli estensimetri. Ma, grazie alla geometria scelta, si potrebbero installare 4 ponti interi, sfruttan-
do le coppie di facce opposte (gura b) e, anziché farne ponti indipendenti (sarebbero necessari:
4 alimentazioni, 4 canali e poi la media delle misure), è possibile utilizzare un unico circuito
ponendo sullo stesso ramo tutti gli estensimetri omologhi collegati in serie: L1,2,3,4 sul ramo 1,
L5,6,7,8 sul ramo 3, T1,2,3,4 sul ramo 2 e T5,6,7,8 sul ramo 4; questa congurazione è rappresentata
al centro.
Quindi:
R1 = RL1 + RL2 + RL3 + RL4 R3 = RL5 + RL6 + RL7 + RL8
R2 = RT 1 + RT 2 + RT 3 + RT 4 R4 = RT 5 + RT 6 + RT 7 + RT 8
Il ponte così ottenuto ha le stesse caratteristiche di misura di quello semplice ma con resistenza di
ramo quadruplicata. La tensione di alimentazione ammissibile risulterebbe quindi 4 volte quella
del ponte singolo. Un ulteriore vantaggio è costituito dal fatto di mediare le misure eettuare
con i ponti elementari, compensando dierenze dovute a leggeri eetti costruttivi. Se poi la
dimensione delle facce lo consente è possibile disporre due o più coppie di estensimetri su ognuna
(estensimetri rossi nella gura 2.75 di sinistra) in modo che, a parità di modello di estensimetro,
la tensione di alimentazione ammissibile risulti moltiplicata dal numero di estensimetri per ramo.
Per la congurazione nella gura di destra, si avrebbe una tensione di alimentazione ammissibile
pari a 8 volte quella limite dell'estensimetro.
Dalla misura di questa dierenza e dal peso specico del liquido si risale alla dierenza di
pressione:
• per l'equilibrio: ∆p = ρg h
Manometro di Bourdon
Il manometro di Bourdon è costituito da un elemento meccanico, tipicamente un tubo ricurvo,
che caricato da una pressione interna tende a distendersi; il movimento dell'estremo libero è
funzione della pressione e, con opportuni rinvii, può essere trasmesso a un indicatore che si
sposta su di una scala graduata, permettendo la lettura della pressione. Caratteristiche di
questa tipologia di trasduttore sono:
• la rigidezza del tubo rappresenta un parametro di progetto: una bassa rigidezza consen-
te uno spostamento elevato, quindi facilmente misurabile, ma potrebbe comportare un
comportamento non lineare;
• la presenza di parti in movimento, di collegamenti meccanici ed elementi di amplicazione,
può comportare eetti di isteresi, giochi, limiti di linearità, . . . ;
• il volume interno relativamente alto potrebbe determinare un'interazione con l'ambiente
di misura.
82 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
La sostituzione della lancetta con un misuratore della rotazione consentirebbe la misura auto-
matica. Come si apprezzerà nel capitolo seguente, manometri di questo tipo non si prestano a
rilevare variazioni rapide della pressione a causa dell'entità del movimento richiesto per avere
facilità di lettura; in questi casi è necessario far ricorso a trasduttori che forniscono un'uscita
elettrica a seguito di deessioni /deformazioni strutturali limitate.
Trasduttore piezoelettrico
Il trasduttore di pressione piezoelettrico non è altro che un trasduttore di forza: rileva la forza
prodotta da una pressione su di un'area la cui supercie è nota, a seguito dell'applicazione allo
strumento di un ingresso di misura; dato che il coeciente che scala forza e pressione è noto, il
passaggio è immediato. Le caratteristiche principali di questi trasduttori sono:
• altissime portate;
• volume interno virtualmente nullo;
• necessità di alimentazione e amplicazione;
• misura assoluta.
La pressione da misurare è applicata a una membrana sigillata sul contorno della cassa del
trasduttore; il trasferimento di carico al trasduttore è limitato dalla bassa rigidezza essionale
della membrana stessa, cosicché tutto il carico viene applicato all'elemento piezoelettrico di
trasduzione. La pressione agisce direttamente sul materiale piezoelettrico facendogli generare
carica elettrica.
q = Kp p Vo = Kq q = Kq Kp p = Sv p
2.2. STRUMENTI 83
u = Ka ∆p Vo = Ks u = Ks Ka ∆p = Sv ∆p
ε = Kd ∆p Vo = Kε ε = Kε Kd ∆p = Sv ∆p
dove: ε è la deformazione, Kd la costante elastica del trasduttore a diaframma (che lega pressione
a deformazione), Kε il guadagno deformazione-tensione del ponte, Vo la tensione in uscita e Sv
sempre la sensibilità nominale del trasduttore.
Un sensore di questo tipo può essere utilizzato per una misura di pressione assoluta ricorrendo
a una capsula, rigida e stagna, con il vuoto all'interno (barometro).
Tubo di Pitot
Il tubo di Pitot è un particolare strumento che permette di rilevare la pressione dinamica e può
quindi essere usato anche come sistema di misura della velocità di un uido, per esempio della
vena di una galleria o di volo di un aeromobile. Si basa sull'utilizzo combinato di due sonde di
pressione in grado di captare due pressioni caratteristiche del uido: quella di ristagno e quella
statica.
Il tubo di Pitot, che idealmente deve essere allineato con la direzione del vento relativo, presenta
due prese di pressione: una sul puntale (presa di pressione totale) e una sulla supercie laterale
del tubo (presa di pressione statica). In regime di corrente incomprimibile, ossia a bassi numeri
di Mach, la pressione di ristagno rilevata dalla presa frontale (quella sul puntale della sonda)
2.2. STRUMENTI 85
corrisponde alla pressione totale pt , ossia alla somma della pressione statica ps e della pressione
dinamica q = ρV 2 /2 :
ρV 2
pt = ps + = ps + q
2
Quindi, dalla dierenza tra la pressione di ristagno sul puntale e la pressione statica, rilevata
dalla presa disposta lungo il tubo in posizione opportuna, si ottiene la pressione dinamica, ossia
l'energia cinetica del uido per unità di volume. Note la pressione dinamica q e la densità del
uido ρ è possibile calcolare la velocità V :
r
2q
V =
ρ
La pressione dinamica può essere ottenuta direttamente con una misura dierenziale (es. uti-
lizzando un manometro dierenziale opportunamente collegato alle due prese); data la ca-
ratteristica della relazione pressione dinamica-velocità la legge di funzionamento non è più
lineare.
Generalmente i Pitot sono costruiti in modo da perturbare il meno possibile campo di moto
e garantire la lettura della eettiva pressione dinamica; l'approssimazione è accettabile e può
essere ulteriormente migliorata con una adeguata taratura.
Elementi di progettazione sono l'individuazione dei punti migliori per il rilevamento della pres-
sione totale e statica; la pressione statica deve essere quella del uido indisturbato e non deve
essere inuenzata dal campo aerodinamico indotto dal velivolo; inoltre le pressioni devono essere
misurate teoricamente nello stesso punto e nello stesso istante di tempo.
Nel caso di utilizzo su di un velivolo la misura deve essere, per quanto possibile, insensibile
all'assetto aerodinamico del velivolo stesso e a tal ne i tubi di Pitot sono realizzati con adeguati
accorgimenti o è prevista l'installazione multipla.
Accelerometri piezoelettrici
Gli accelerometri piezoelettrici sfruttano la proprietà dei materiali piezoelettrici di generare una
carica elettrica quando sono sottoposti a una forza variabile nel tempo.
86 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
q = Kp F = Kp ma Vo = Kq q = Kq Kp ma = Sv a
dove: q è la carica, F la forza , Kp la costante piezoelettrica (dipendente dal coeciente pie-
zoelettrico sfruttato e dalle dimensioni del cristallo), Kq il guadagno carica-tensione (q − V ) e
nalmente Sv la sensibilità nominale dell'accelerometro.
La tensione in uscita è direttamente proporzionale alla forza d'inerzia applicata al piezoelettrico
e quindi all'accelerazione, essendo nota la massa sismica. La taratura fornirà direttamente la
sensibilità Sv .
Gli accelerometri piezoelettrici potrebbero avere qualche dicoltà nel rilevare la componente
statica dell'accelerazione, come la gravità o un richiamata a fattore di carico costante, per via
della caratteristica intrinseca dell'eetto piezoelettrico. Occorre pertanto valutare attentamente
la scelta di questi trasduttori per misure di segnali con una componente di interesse a bassa
frequenza.
Esistono due modalità principali di realizzazione: una basata sulla compressione del cristallo
piezoelettrico e un'altra che sfrutta le forze di taglio.
Accelerometri piezoresistivi
Gli accelerometri piezoresistivi sfruttano l'abilità dell'omonima classe di materiali di modicare
la propria resistività elettrica quando sono soggetti a una pressione.
L'eetto piezoresistivo può essere sfruttato in diversi modi, per es. applicando due strati pie-
zoresistivi sulle facce superiore e inferiore di un elemento deformabile caricato a essione dalla
massa sismica, e collegandoli a un ponte di Wheatstone per la misura dell'eetto di trasduzione
con uno schema di strumentazione è del tutto analogo a quello di un estensimetro. La gu-
ra è da considerarsi rappresentativa del principio ma le soluzioni commerciali possono essere
signicativamente diverse.
2.3. MISURE ELEMENTARI DI GRANDEZZE ELETTRICHE 87
A dierenza dei piezoelettrici, i materiali piezoresistivi sono idonei, oltre che per misure dina-
miche, anche quelle statiche: la variazione di resistività è infatti una caratteristica statica del
materiale.
1. La corrente determina la nascita di una forza elettromotrice che provoca una rotazione
dell'equipaggio mobile.
• Indicare uno schema di strumentazione per ogni singolo punto di misura compatibile con
le indicazioni disponibili (non è richiesta la compensazione termica)
• Indicare la distanza massima dei cavi di collegamento alla centralina estensimetrica che
consenta di limitare gli eetti della loro presenza a una variazione del 2% delle misure;
si assumano estensimetri da 120Ohm, cavi di resistività per unità di lunghezza pari a
0.019Ohm/m
• Indicare una diversa architettura del sistema di acquisizione dati che permetta di avere
una stazione di visualizzazione e raccolta datia una distanza superiore alla lunghezza dei
cavi.
• Indicare come si potrebbe modicare la procedura descritta al secondo punto qualora fosse
richiesta la compensazione termica del ponte
Per semplicità si assuma il supporto di lunghezza L e realizzato, in acciaio, con sezione cilindrica
piena di diametro D costante. Si assuma, inoltre, che la forza aerodinamica sia applicata in
corrispondenza dell'asse neutro del supporto.
Si richiede di:
4. Si richiede di dimensionare il diametro D del supporto in modo tale che, oltre a resistere
al carico, garantisca una variazione di incidenza massima del modello inferiore a 0.25◦
Svolgimento
Punto 1
Dovendo utilizzare due ponti, uno per ogni componente di forza da misurare, possiamo separare
i due casi. Consideriamo per primo il caso della forza di portanza P nel piano x − z (vedi gura
2.90); il caso della forza laterale Q potrà poi essere trattato analogamente.
La forza P genera un momento lungo l'asse della trave che ha l'andamento 1 di gura 2.91.
Se consideriamo un generico concio di trave, abbiamo una distribuzione di sforzi come mostrato
in gura 2.92, dove la deformazione massima εf,A , che si ha nei punti più distanti dall'asse
neutro, può essere scritta come:
Dato che i due estensimetri collocati su facce opposte della trave leggono deformazioni dovute
alla essione uguali in modulo ma opposte in segno,ènecessario collegarli a lati adiacenti sul
ponte di Wheatstone. Risulta infatti:
ε1 = εf,A
ε2 = −εf,A
ε3 = ε4 = 0
∆V k k k (P xP ) D/2 k (P xP ) D
= (ε1 − ε2 + ε3 − ε4 ) = (2 εf,A ) = =
Va 4 4 2 E Iyy 4 E Iyy
Più convenientemente, potranno essere utilizzati 4 estensimetri (a coppie) in modo da completare
il ponte; in questo caso la sensibilità di ponte diventa:
∆V
= kεf,A
Va
Ricordando che:
• xP è nota in quanto scelta da noi per eettuare la misura (negli esercizi si può assumere
xP ' L);
• ∆V
Va è noto in quanto misurato;
• D/2, E, Iyy sono noti perché dipendenti dalla sezione (in questo caso circolare).
4 E Iyy ∆V
P =
k xP V a
Punto 2
La sensibilità rapporto tra la variazione dell'uscita e la variazione dell'ingresso - del ponte è data
da:
∆V 1 k
Sp = =
Va εf,A 2
Mentre la sensibilità nominale della bilancia è data da:
∆V 1 k xP D/2
Sb = =
Va P 2 E Iyy
Il suo valore eettivo verrà stabilito mediante una opportuna taratura.
In termini di unità di misura, quest'ultima risulta essere il rapporto tra i mV di sbilanciamento
del ponte e i V di alimentazione per unità di carico da misurare. In formule:
∆V 1 mV
=
Va P VN
92 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Punto 3
Nel caso in cui si voglia determinare non solo il modulo della forza ma anche il suo punto di
applicazione, è evidente la necessità di un'ulteriore msiura. È necessario realizzare due misure
di essione, concettualmente utilizzando quattro estensimetri in due mezzi ponte a essione, a
una distanza nota tra di loro. In questo modo con la misura di due momenti si è in grado di
risalire a modulo e posizione della forza.
Figura 2.94: Congurazione dierenziale (modello rappresentato con uno spessore maggiorato)
Misura 1
Se colleghiamo i quattro estensimetri delle stazioni A e B come in gura 2.94 e facendo riferi-
mento alla numerazione delle resistenze di gura 2.93, possiamo scrivere:
∆V1 k k k D/2 ∆M
= (ε1 − ε2 + ε3 − ε4 ) = (2 εf,B − 2 εf,A ) =
Va 4 4 2 E Iyy
4
πD
∆V1 2 E Iyy ∆V1 2 E 64 ∆V1 E π D3
∆M = = =
Va k D/2 Va k D/2 Va 16 k
∆M
∆M = P (xP + d) − P xP → P =
d
dove xP è la distanza, incognita, del punto di applicazione della forza dalla stazione A. La
dierenza tra i momenti può essere ottenuta con una sola operazione se si usa la congurazione
a ponte intero di gura 2.94 oppure è possibile calcolare separatamente i momenti nelle due
stazioni e sottrarli (usando dunque più punti)2 .
Misura 2
Noto il valore della forza basta scollegare, ad esempio, gli estensimetri 1 e 2 staccandone i relativi
cavi (e lasciando il compito alla centralina di equilibrare il ponte) e collegare quelli 3 e 4 a mezzo
ponte a essione. In tal modo possiamo determinare il momento MA (∆V2 risulta negativo,
dunque la distanzaèpositiva).
2
Ragionando in termini di incertezza di misura - argomento che viene di solito arontato a ne corso - è
preferibile utilizzare il ponte completo in congurazione dierenziale.
√ Detta uP l'incertezza di misura sulla forza,
nel caso delle due misure a mezzo ponte si ha u2P + u2P = 2uP , che risulta del 41 % circa superiore al caso
p
singolo.
2.4. ESEMPI DI APPLICAZIONE 93
∆V2 k k k (P xP ) D/2
= (ε3 − ε4 ) = (−2 εf,A ) =
Va 4 4 2 E Iyy
2 E Iyy ∆V2
xP =
k D/2 P Va A
Allo stesso modo si possono collegare solo gli estensimetri 1 e 2 e noto dalla prima misura il
valore della forza, ricavare la posizione:
MB 2 E Iyy ∆V2
MB = P (xP + d) → xP = −d= −d
P k D/2 P Va B
Punto 4
Le richieste per il dimensionamento del supporto possono essere identicate in una relativa alla
resistenza statica e una riguardante la rigidezza essionale.
Resistenza statica
Nei punti precedenti abbiamo visto come calcolare la portanza P . In generale tale forza sarà
applicata nel punto neutro del velivolo, posto a una certa distanza a dall'estremo del supporto,
a cui il modello è vincolato (vedi gura 2.95).
Il massimo momento ettente agente sul supporto sarà quindi all'incastro e, detta L la lunghezza
del supporto, varrà:
Mf,max = P (L + a)
Il supporto è una trave a sezione circolare costante, quindi il suo momento d'inerzia rispetto
all'asse neutro sarà:
π D4
Iyy =
64
Lo sforzo massimo agente sulla sezione all'incastro, che è evidentemente la più sollecitata, può
essere calcolato nel seguente modo:
Mf,max D/2 32 P (L + a)
σmax = =
Iyy π D3
Introducendo il vincolo che lo sforzo agente sulla sezione non sia mai superiore uno sforzo limite
σ assegnato, otteniamo:
r
3 32 P (L + a)
D≥
πσ
94 CAPITOLO 2. PRINCIPI DI TRASDUZIONE E PRINCIPALI TRASDUTTORI
Nella progettazione lo sforzo limite tiene conto di un opportuno coeciente di sicurezza, che per
una cella di carico risponde da logiche proprie. Ipotizzando che un coeciente di 1.5 sia su-
ciente, lo sforzo risulta quindi pari a σ = σsnerv /1.5. Supporre σ = σsnerv , benché normalmente
esatto, non è conservativo.
Rigidezza essionale
Il vincolo sulla rigidezza essionale richiede che la rotazione all'estremità della trave 3 sia inferiore
a una valore assegnato.
Per calcolare la rotazione all'estremità del supporto ci avvaliamo dell'equazione della linea
elastica che, trascurando gli eetti del taglio, può essere espressa nella forma:
Mf
y 00 =
E Iyy
Supponendo di porre un sistema di assi cartesiani con origine nell'incastro e asse x diretto come
l'asse della trave, possiamo scrivere il momento ettente dovuto alla portanza come:
Mf = P (L − x) + P a
P (L − x) Pa
y 00 = +
E Iyy E Iyy
Imponendo che tale valore sia minore della rotazione massima assegnata, si ottiene un altro
diametro per la trave:
s
0.25◦ π
64 P L L
y 0 (L) ≤ θ = [rad] → D ≥ 4
+a
180◦ πEθ 2
Per avere un'idea dell'importanza dei due vincoli nel dimensionamento supponiamo che P =
300 N e che il modulo di Young dell'acciaio sia 210 GPa e lo sforzo limite sia pari a 250 MPa.
Il diametro minimo in modo che la trave non si snervièpari a 21 mm circa (25 mm se si tiene
conto di un coeciente di sicurezza pari a 1.5). Mentre per garantire il vincolo sulla rigidezza
(si parla di vincolo sull'i ntrusività:, il valore minimo per il diametro risulta pari a 50.3 mm. Si
utilizza dunque quest'ultimo valore poiché soddisfa entrambi i requisiti.
3
Si faccia attenzione che la lunghezza da considerare è solo L, poiché l'elemento essibile è la sola trave di
supporto; il velivolo va considerato come un corpo rigido, ipotesi generalmente valida per modelli da galleria per
prove di tipo aerodinamico
2.5. QUALCHE QUESITO CHE RIMANE APERTO. . . 95
10 × U = 10 × K I
U (ω) = K I(ω)
Si potrebbe dire che il trasduttore è rappresentabile con un modello statico, privo di eetti
dinamici propri. Occorre però chiedersi come si possa arrivare, in generale a una relazione di
questo tipo e come se ne possano denire dei limiti di applicabilità.
Per potervi arrivare, occorre ricordare che un trasduttore, prima di essere parte di uno strumento
di misura, è un oggetto con caratteristiche siche proprie. Occorre quindi partire da un modello
più generale per capire come possa essere ridotto a quello di uso metrologico. perché uno stru-
mento possa essere convenientemente sfruttato per eseguire le misure è necessario garantire un
comportamento neutro rispetto all'ingresso da misurare; ciò signica che l'uscita di misura deve
riettere interamente ed esclusivamente la variabilità dell'ingresso senza l'aggiunta di contributi
a esso estranei. In particolare nel caso di ingressi tempo varianti, notoriamente rappresentabili
secondo Fourier con la sovrapposizione di più armoniche, di opportuna ampiezza, frequenza e
fase, lo strumento deve fornire una misura puramente proporzionale al solo ingresso desiderato,
senza che questa legge di funzionamento venga inuenzata da altre caratteristiche del segnale
in ingresso, in particolare dal suo contenuto in frequenza o dalla sua ampiezza. Occorre quindi
97
98 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
stabilire se esiste un campo di frequenze nel quale tale funzionamento è garantito o, usando
termini più opportuni, tale per cui la funzione di trasferimento rimane una costante, garantendo
un'uscita direttamente proporzionale al solo ingresso. Questo particolare intervallo di funziona-
mento verrà denito come banda passante dello strumento per quanto riguarda i suoi limiti in
frequenza e limite di linearità per quanto riguarda i valori massimi di ingresso. Note queste
condizioni si potrà procedere alla caratterizzazione sperimentale del funzionamento dello stru-
mento che avviene in condizioni statiche, cioè di ingresso di misura costante. Ciò consente una
separazione tra le caratteristiche dinamiche e statiche di uno strumento; lo studio delle prime
consente di individuare il campo di frequenze utile a ni metrologici; separatamente si procede
alla denizione delle seconde, sfruttando condizioni operative compatibili con le prime.
A tale scopo si potrebbe sostituire l'indicatore con un pennino per tracciare una curva su di un
nastro di carta, svolto a velocità uniforme. In linea teorica, basandoci sull'equazione di misura,
U = f (I), ridotto nel caso ideale di pura proporzionalità a U = K I , le oscillazioni registrate
dovrebbero essere esclusivamente dovute alla uttuazione della tensione in ingresso.
Come anticipato nel sommario, scopo di questo capitolo è comprendere se questa aermazione
sia vera e, eventualmente, sotto quali condizioni.
Per rispondere non possiamo considerare l'amperometro attraverso la sola legge metrologi-
ca, uscita proporzionale all'ingresso, dobbiamo invece vederlo e descriverlo come un sistema
dinamico a tutti gli eetti.
A determinare il movimento del pennino, oltre alla forza conseguente alla tensione in ingresso,
ci sono la reazione elastica, le forze di inerzia e quelle viscose. L'equilibrio in presenza di forze
dipendenti dal tempo, applicando cioè il principio di D'Alembert, è:
Intuitivamente, più i termini inerziale, J , e viscoso, C , sono piccoli rispetto a quello statico,
K , più la misura sembrerebbe ideale: la rotazione seguirebbe cioè direttamente l'andamento
del carico esterno. Lo smorzamento sembrerebbe quindi dover essere piccolo per evitare isteresi
ed eetti non-lineari. Ma anche il momento di inerzia dell'equipaggio mobile, asta che regge
il pennino, sembrerebbe dover essere minimo (es. corto, anche se così facendo si ridurrebbe
l'amplicazione, perdendo in risoluzione, e quindi, qualità di misura (si pensi alle dicoltà di
interpretazione della lettura con tacche vicine tra loro). Si tratta di considerazioni intuitive e
occorre arontare il problema in modo più rigoroso e generale; in particolare conviene adottare
l'analisi in frequenza (grazie alla trasformata di Fourier) come strumento di indagine. In questo
modo il problema viene trasformato da dierenziale ad algebrico, espresso nel dominio della
frequenza e risolto in termini di risposta armonica.
Come noto l'operatore jω è l'operatore di derivazione nel dominio delle frequenze. L'analisi si
semplica passando da un problema dierenziale ad un sistema algebrico lineare a coecienti
complessi:
−1
r(ω) = −ω 2 J + jωC + K
B(ω)
Per quanto ben noto in merito alla scomposizione di un segnale in termini di trasformata di
Fourier, la risposta a un ingresso puramente sinusoidale è un caso particolare ma suciente per i
nostri scopi e rappresentativo del comportamento di un sistema soggetto a un disturbo generico.
J 1
r(t) = .p cos(ωf t − θ)
K (1 − (ωf /ωn ) )2 + (2ζ(ωf /ωn ))2
2
√
2. smorzamento: ζ = C/Ccrit = C/ 2 K J
4. Il termine √ 1
costituisce il fattore di amplicazione dinamica, fun-
(1−(ωf /ωn )2 )2 +(2ζ(ωf /ωn ))2
zione del rapporto (ωf /ωn ) tra la frequenza per la quale si calcola la risposta e la frequenza
naturale.
2ζ(ωf /ωn )
5. angolo di fase tra r e B: θ = tan−1 1−(ωf /ωn )2
100 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
1. a causa del termine sinusoidale, la risposta è armonica con la stessa pulsazione della
forzante;
2. l'ampiezza varia in funzione sia del rapporto tra la frequenza propria e quella di eccitazione
sia del valore di smorzamento.
Dal nostro punto di vista sono di particolare utilità i coecienti che determinano la risposta
armonica, cioè ampiezza e fase della risposta.
B 1 2ζ
A= θ = tan−1 ω
− ωωn
p
K (1 − (ωf /ωn ) )2 + (2ζ(ωf /ωn ))2
2
ωn
Sono coecienti non dipendenti dal tempo e deniscono di quanto l'uscita dello strumento
si discosta dall'ingresso in funzione del rapporto tra frequenza di ingresso e frequenza naturale
del sistema.
Figura 3.2: Risposta in frequenza di un sistema dinamico, ampiezza (sinistra) e fase (destra)
La risposta in prossimità della risonanza è fortemente alterata e questo eetto dipende dal valore
dello smorzamento del sistema. Al contrario, la risposta lontano dalla risonanza è essenzialmente
indierente allo smorzamento se questi si mantiene <0.7 ÷ 1.0. Per frequenze basse il rapporto
delle ampiezze si mantiene praticamente unitario (dB = 0).
Per sistemi con smorzamento superiore a quello critico, >1, la risposta non presenta ampli-
cazione o sovraelongazione rispetto a quella statica: per altro si tratta di una condizione non
3.1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 101
Vale la pena osservare che se è vero che i sistemi reali sono sempre smorzati, quelli costituiti dal-
la sola componente strutturale sono spesso così poco smorzati che in prima approssimazione lo
smorzamento viene trascurato. In questa situazione la sovra elongazione massima della risposta
è spostata a valori di frequenza leggermente inferiori a quella di risonanza, in funzione dell'entità
dello smorzamento stesso: dall'esame del denominatore della funzione di trasferimento è eviden-
te lo spostamento del polo dovuto al termine (2ζ(ωf /ωn ))2 . Dal punto di vista matematico uno
smorzamento nullo comporterebbe una risposta di ampiezza innita alla frequenza di risonanza.
La dinamica del sistema esibisce il comportamento tipico di un ltro che altera i rapporti
di ampiezza e di fase tra i contenuti armonici dell'ingresso alle diverse frequenze; possiamo
concludere che:
Dal diagramma di fase del sistema non smorzato, ζ = 0, si può notare come il ritardo della
risposta si mantenga nullo sino alla risonanza, dove ha una variazione di 180◦ , per rimanere
costante a frequenze superiori.
La presenza di smorzamento modica l'andamento della fase su tutto il campo di frequen-
ze: anche per valori di smorzamento relativamente bassi la risposta viene ritardata in maniera
signicativa.
Si mantiene invece il passaggio per una fase di 90◦ in corrispondenza della risonanza.
Fin qui le considerazioni in termini di risposta di un sistema dinamico. Interpretiamo ora il
comportamento del sistema dinamico alla luce del ruolo di trasduzione che ci interessa analizzare.
3.1.4 Distorsione
Grazie alla teoria della trasformata di Fourier, sappiamo che un segnale tempo variante può
essere scomposto in una sommatoria, al limite innita, di componenti armoniche ciascuna con
propria ampiezza, fase e frequenza.
Anche un segnale in ingresso a uno strumento può essere interpretato come la combinazione di
sinusoidi, o toni.
É evidente come la misura ideale comporti che nell'uscita dello strumento ciascuna componen-
te armonica venga riprodotta in modo da mantenere la posizione in frequenza, il rapporto di
ampiezza e il ritardo di fase. Occorre quindi capire cosa comporti l'operazione di trasduzio-
ne dell'ingresso di misura nell'uscita e se questa operazione non possa invece introdurre eetti
diversi.
Ogni sinusoide dell'ingresso dà luogo a una componente armonica dell'uscita che unisce le carat-
teristiche del segnale di ingresso I(f ) con quelle del sistema, sintetizzate nel valore della funzione
di trasferimento alla frequenza considerate: U (f ) = F RF (f ) I(f ). L'armonica in ingresso viene
quindi trascritta nell'uscita modicata (si può usare il termine "ltrata") dalle proprietà dina-
miche che caratterizzano il trasduttore a quella frequenza. Tale alterazione è in linea generale
dierente da sinusoide a sinusoide.
Se il segnale in uscita non risulta essere una semplice scalatura dell'ingresso ma mostra una qual-
che alterazione si è in presenza di un eetto di distorsione del contenuto armonico del segnale
102 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
Distorsione di ampiezza
Consideriamo come ingresso allo strumento, da considerarsi un sistema dinamico noto, un segnale
costituito da una tre armoniche; le loro frequenze relative siano (0.1, 0.5 e 0.6) e le loro ampiezze
(1, 0.5 e 0.25); le fasi sono assunte nulle.
Essendo il fenomeno lineare analizziamo indipendentemente il contributo delle tre componenti;
al termine dell'analisi li sommeremo nell'uscita.
Esaminiamo gracamente come lo strumento alteri ciascuna delle tre componenti e come queste
si ricompongono nell'uscita del sistema.
Denito lo strumento in base alle sue caratteristiche fondamentali (frequenza propria, smorza-
manto critico e guadagno di risposta statica) possiamo considerare noti i diagrammi di risposta
in frequenza dello strumento e ricavare, da questi o dalle espressioni relative, il valore del rappor-
to di ampiezza per le tre frequenze che costituiscono il segnale e dei coecienti di amplicazione
2ζ(ω /ω )
dinamica, √ 1
2 2 2
e ell'angolo di fase, θ = tan−1 1−(ω f/ωnn)2 . Si ottengono i
(1−(ωf /ωn ) ) +(2ζ(ωf /ωn )) f
Figura 3.4: Distorsione d'ampiezza dei singoli toni (in frequenza e nel tempo)
Poiché il segnale è dato dalla somma delle tre risposte indipendenti otterremo una risposta che
ha una forma diversa dall'ingresso. Questo eetto prende il nome di distorsione d'ampiezza.
3.1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 103
Nella gura sono confrontati il segnale originale e quello in uscita da un trasduttore la cui
frequenza di risonanza è troppo bassa rispetto alla massima frequenza contenuta nel segnale
d'ingresso, rosso. Si nota chiaramente l'introduzione di un errore legato al fatto che componenti
armoniche hanno attraversato lo strumento a una frequenza tale da non mantenere una corretta
scalatura con quella di frequenza inferiore.
Distorsione di fase
Dal punto di vista della fase lo strumento ideale dovrebbe avere smorzamento nullo (errore di
fase 0 sino alla risonanza) così da evitare ritardi variabili tra le diverse componenti armoniche.
Peraltro eetti dissipativi sono sempre presenti nei sistemi reali, quindi un errore di fase è ine-
vitabile, ma non solo: sebbene alti valori di smorzamento portino a uno sfasamento marcato,
in alcuni casi esso viene intenzionalmente introdotto, anche a valori elevati (> 0.5), in partico-
lare quando la componente strutturale dello strumento presenta caratteristiche di deformabilità
elevate. Tale scelta è dettata principalmente dalla necessità di evitare il danneggiamento del
trasduttore a causa di una risposta eccessivamente amplicata in prossimità della risonanza e
ha riessi sulla banda di frequenza in cui il guadagno, rapporto fra uscita ed ingresso, rimane
costante.
I coecienti di fase ottenuti ci dicono che più le armoniche si avvicinano alla frequenza di riso-
nanza, più ritardano (no a 90◦ in risonanza). I coecienti ricavati indicano un numero di gradi
relativamente piccolo per la prima armonica, abbastanza piccolo per la seconda e decisamente
signicativo (≈ 10% del periodo) la terza. Anche questa distorsione, che chiameremo di fase,
comporta un errore di misura.
Esaminando i diagrammi delle ampiezze si nota che il rapporto tra le ampiezze rimane pari a K
per un intervallo di frequenze più esteso per uno smorzamento circa ζ ≈ 0.6 ÷ 0.7.
Nel caso di ritardo lineare, nell'uscita si ha un ritardo delle due componenti proporzionale alla
frequenza:
Un errore di fase lineare ritarda di un angolo proporzionale alla frequenza tutti i contenuti
armonici. Tale sfasamento angolare si traduce in un ritardo temporale uguale per tutte le
componenti mantenendo quindi inalterata la forma del segnale. Il segnale è solo traslato sull'asse
dei tempi, come descritto anche in Figura [?].
L'eetto nale è semplicemente una ridenizione dell'origine del tempo; il rapporto temporale
tra le componenti rimane inalterato. La distorsione di fase può essere quindi evitata non solo se
lo strumento produce un ritardo nullo, o trascurabile, ma anche se ne origina uno lineare con la
frequenza.
Per leggi di sfasamento diverse si ha una distorsione nel tempo signicativa, pur in presenza di
contenuti armonici equivalenti in ampiezza.
È quindi evidente che nell'impiego di uno strumento deve essere evitata anche la distorsione di
fase.
Nei graci dei coecienti di risposta, si osserva un'alterazione della fase pressoché lineare con
smorzamenti prossimi a ζ = 0.6 ÷ 0.7. Nel caso sia necessario introdurre smorzamento come
salvaguardia dell'integrità strutturale, sarà opportuno avvicinarsi a questi valori.
3.1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 105
dn d dx
An q o + ... + A1 q o + A0 q o = B x qi
dtn dt dtx
Si denisce ordine dello strumento la dierenza tra l'ordine massimo e quello minimo di
derivazione della variabile d'uscita, qo .
I modelli utilizzati per la descrizione del comportamento dinamico di uno strumento sono sempre
a coecienti costanti e di ordine zero, primo o secondo.
Tale descrizione è solo un'approssimazione del reale comportamento dello strumento che risulta
da un lato rappresentativa nei limiti dettati dalle condizioni di utilizzo e dall'altro ne
ssa il campo di impiego.
Strumento di ordine zero: A0 qo = ...
Nei paragra seguenti aronteremo la scrittura delle equazioni costitutive, con l'aiuto di
considerazioni fenomenologiche, per alcuni tra i trasduttori più comunemente utilizzati.
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 107
VO = VLS x = Gx
Schema elettrico Equazione costitutiva
Nella relazione ingresso-uscita dello strumento non compare nessun termine dierenziato rispetto
al tempo, quindi si tratta di uno strumento di ordine 0. Il guadagno G è costante in frequenza:
ṼO (s) = G x̃(s) . La funzione di trasferimento così denita, analizzando esclusivamente il
movimento relativo tra cursore e pista resistiva (la cassa dello strumento) e il comportamento
elettrico, è però utilizzabile solo entro i limiti di validità dell'ipotesi di disaccoppiamento con il
comportamento meccanico che è stato trascurato: non si è considerato che il potenziometro è
in realtà un corpo continuo con inniti gradi di libertà; in particolare occorre chiedersi quando
avranno eetto i modi di vibrare del cursore (un'asta su vincoli mobili) e della cassa (vincolo
del cursore). Cioè si è assunto il movimento relativo come completamente rappresentativo e
che la dinamica interna dello strumento sia a frequenze abbastanza elevate, rispetto a quelle
che caratterizzano l'evoluzione temporale dello spostamento, da poter ritenere rigide le diverse
parti.
• Ta temperatura ambiente
• Ti temperatura interna
• h coeciente di scambio termico
• c calore specico del materiale del bulbo
• t tempo
• A supercie di scambio termico
• m massa del materiale del bulbo (trascurabile la massa del
materiale nella colonna)
Nel primo caso lo smorzamento è estremamente ridotto, visto che l'elemento deformabile è
monolitico e rigido. Nel secondo è invece opportuno introdurre uno smorzamento importante
per evitare la risonanza del sistema massa-molla.
È ora possibile procedere con l'analisi dell'equazione di equilibrio dinamico nel tempo:
d2 (v + u) du
M 2
+C + Ku = 0
dt dt
ũ(s) 1
=− 2
ã(s) (s + C/M s + K/M )
Equazione dinamica di secondo ordine a un grado di libertà che modella un solo aspet-
to della dinamica interna: la dinamica più lenta dell'oggetto accelerometro, la sola di
interesse metrologico.
Evidente la delicatezza di un accelerometro piezoresistivo realizzato come descritto: le frequenze
dei modi di ordine superiore (es quello torsionale) non potrebbe essere molto separato, quin-
di con possibili problemi di accoppiamento e risposta signicativa anche per un'accelerazione
trasversale, per es indotta da altre componenti di accelerazione.
d2 (v + u) du
M 2
+C + Ku = 0
dt dt
Dove:
u - Movimento relativo della massa sismica
v - Movimento della base
Equazione dinamica di secondo ordine ad un grado di libertà (massa, molla e smorzatore) che,
come sempre, trascura la dinamica a frequenze superiori dell'oggetto.
(M s2 + Cs + K)ũ = −M s2 ṽ
U scita : qo = u Ingresso : qi = v
ũ s2 M
=−
ṽ (M s2 + Cs + K)
ũ 1
=− C k
ṽ (i + sM+ s2 M
)
1. Scelta di forzanti signicative (gradino, rampa, sinusoide) per il calcolo della risposta;
2. Calcolo della risposta: Integrale particolare (dipendente dal caso specico) e generale
(dipendente dall'equazione omogenea associata).
o, sinteticamente:
A(s)q̃o = B (s)q̃i
Per cui la funzione di trasferimento dello strumento viene espressa come:
q̃o
H= = A(s)−1 B (s)
q̃i
distorsione o ritardo di fase. Lo strumento avrà un rapporto fra uscita e ingresso sempre pari a
una costante.
Esempi
Potenziometro Estensimetro
eo = ELb xi ∆R
R = k
Attenzione: sebbene l'estensimetro abbia sempre un modello di ordine zero, una cella di carico
che lo utilizza per realizzare un trasduttore di forza esibisce in genere un comportamento del
2◦ ordine. È importante in questo caso non confondere il modello dinamico complessivo dello
strumento cella con quello del semplice componente, estensimetro, che legge la deformazione.
Esempio tipico è il termometro, del quale è già stata scritta l'equazione costitutiva. In questo
caso il comportamento del sistema è denito da un'equazione dierenziale. La risposta sarà
ottenuta integrando, analiticamente o numericamente, questa equazione. Per lo studio delle
caratteristiche di funzionamento è opportuno eseguire questa operazione analiticamente.
Figura 3.15: Ingresso a gradino e risposta di sistema di primo ordine con costante di tempo
piccola e grande
Figura 3.16: Risposta normalizzata di sistema di primo ordine a ingresso a gradino (risposta ed
errore)
Minore è la costante di tempo, τ , maggiore è la prontezza dello strumento ovvero l'uscita rag-
giunge il valore asintotico in un tempo più breve. Come desumibile dal graco inferiore [?] (dove
il tempo è stato normalizzato rispetto alla costante temporale) dopo un tempo pari a 4 volte τ la
risposta ha raggiunto il circa 98% della risposta statica e potrebbe essere ritenuta a regime; per
essere entro uno scostamento dell'1%, l'attesa deve essere maggiore e, in generale, dipendente
dal livello di accuratezza che si vuole ottenere. Vista l'espressione della risposta al gradino, il
termine (e−t/τ ) rappresenta direttamente l'errore percentuale; quindi per lo scostamento dell' 1%
occorre risolvere l'equazione: e−t/τ = 0.01. Essa suggerisce un tempo di attesa pari ad almeno
4.61 volte la costante di tempo. Durante una taratura un'attesa inferiore tra l'applicazione di
114 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
qo
= 1 − e−t/τ
G qiST EP
qo t
1− = e− τ
GqiST EP
poiché il termine di destra è composto da elementi costanti, è opportuno introdurre una variabile
di appoggio: z = 1 − qo /GqiST EP e passare ai logaritmi: si ottiene infatti una relazione lineare
tra la nuova variabile di sistema z e il tempo: ln z = − τ1 t
1
a = ln z b=−
τ
Quindi il coeciente angolare della retta di regressione fornisce la costante di tempo: τ = −1/b.
Operativamente: acquisiti sperimentalmente i dati di ingresso e uscita in diversi istanti temporali
si procede con una regressione lineare e per poi determinare la costante di tempo come reciproco
della pendenza della retta ottenuta.
Risposta in frequenza La risposta in frequenza può essere espressa in forma adimensionale
come ampiezza e fase:
q̃o 1
θ = tan−1 (−ωτ )
(jω) : A= p
Gq̃i (ωτ )2 + 1
è interessante notare che si ha guadagno unitario per frazioni della costante di tempo piccole
(frequenze basse) e che in questo campo la legge di fase è lineare.
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 115
Normalmente strumenti di questa tipologia non sono adatti a misure dinamiche a causa della
limitata banda passante; salvo casi particolari devono essere utilizzati per misure statiche. Lo
studio dinamico può essere utile per modicare un sistema e migliorarlo rispetto a obiettivi
specici: nel caso di un anemometro a tazza una bassa inerzia dell'equipaggio mobile può portare
ad avere una maggiore reattività alle rache di vento ma può anche rendere la misura meno
stabile in presenza di uttuazioni della velocità del vento; al contrario un equipaggio più inerte
sarebbe meno sensibile a questo eetto ma richiederebbe tempi più lunghi per raggiungere il
valore di regime dopo l'instaurarsi di una raca.
s2
2ζs
+ + 1 q̃o = G q̃i
ωn2 ωn
da cui si deriva la funzione di trasferimento come:
q̃o G
(s) = s2 2ζs
q̃i 2 + +1
ωn ωn
l'integrale particolare sarà: qop = G qiST EP mentre l'integrale generale assume una delle seguenti
tre possibili forme, in funzione della tipologia delle radici dell'equazione caratteristica:
2. reali ripetute (sistema criticamente smorzato). Questo caso è di interesse in quanto limite
superiore del comportamento di un sistema sotto smorzato;
qo
ζ=1 G qiST EP = −(1 + ωn t)e−ωn t + 1
qo e−ζωn t
p
ζ<1 √
G qiST EP = − 1−ζ 2 sin( 1 − ζ 2 ωn t + θ) + 1
p
−1 2
θ = sin 1−ζ
Figura 3.19: Risposta in posizione al gradino di sistema di secondo ordine per smorzamenti
diversi
Sistema sottosmorzato.
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 117
Figura 3.20: Risposta al gradino (in accelerazione, velocità e posizione) di sistema di secondo
ordine sottosmorzato (0.2 e 0.02%)
Gli eetti dinamici possono essere considerati esauriti dopo un numero di oscillazioni naturali
che dipende dallo smorzamento del sistema: tanto più il sistema è smorzato tanto minore è tale
numero.
Osservazioni:
1. poiché dopo un certo numero di periodi caratteristici, dipendenti dal valore dello smor-
zamento, gli eetti dinamici sono trascurabili, si può dire che trascorso un certo lasso di
tempo, la risposta può essere considerata statica ovvero qop = G qiST EP ;
3. il concetto di velocità di risposta nel dominio del tempo è il duale di quello di banda
passante nel dominio della frequenza. Più uno strumento ha un'alta velocità di risposta,
ovvero di convergenza ai valori asintotici, più sarà in grado di leggere correttamente segnali
con veloci variazioni temporali ovvero ad alte frequenze;
4. un aumento dello smorzamento riduce le oscillazioni ma rallenta la risposta nel senso che
la prima intersezione al valore a regime viene ritardata. Un'indicazione numerica della
rapidità della risposta è data dal settling time ovvero il tempo che il segnale d'uscita
impiega per rientrare in una banda di ampiezza denita attorno al valore asintotico (error
band), per non uscirne più. Il valore ottimale dello smorzamento dipende dalla banda di
settling time scelta: scegliendo ad esempio il 10%, lo smorzamento che garantisce il più
rapido raggiungimento della condizione a regime, ovvero il minor settling time, è pari a
0.6. Tale condizione viene raggiunta in circa 2.4ωn secondi (vedere diagramma successivo).
118 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
Forma complessa:
q̃o G
(ω) = 2
q̃i
− ω
ωn + 2 ζjω
ωn + 1
Ampiezza:
q̃o 1
(ω) = s
G q̃i 2 2 2 2
1− ω
ωn + 4 ζωω2
n
Fase:
2ζ
θ = tan−1 ωf
ωn − ωωnf
2. il valore ottimale di smorzamento è funzione sia della risposta in ampiezza che di quel-
la in fase: la più estesa zona di ampiezza costante in frequenza si ottiene per valori di
smorzamento che variano tra 0.6 e 0.7;
(M s2 + Cs + K)x̃o = M s2 x̃i
Nel caso del piezoresistivo al moto in risonanza si oppone una rigidezza bassa (decisamente infe-
riore a quella del caso piezoelettrico), cosa che comporta una bassa frequenza propria, la risonan-
za del sistema risulta verosimilmente eccitabile dalle forzanti dinamiche; onde evitare problemi
di eccessiva sovra elongazione della risposta, potenzialmente critica per l'integrità strutturale
dello strumento, è opportuno introdurre uno smorzamento signicativo. Una possibile tecnica
consiste nel riempire la cassa dello strumento con un liquido di opportuna viscosità.
Per valutare comparativamente le due tipologie di strumentazione è utile analizzare gli elementi
sintetici della risposta dinamica: risposta in frequenza tipica, guadagno, fase e banda passante.
Abbiamo visto che la banda passante utile a ni metrologici può essere denita come regione a
guadagno unitario e fase nulla o lineare.
Figura 3.24: Confronto risposta in ampiezza normalizzata e fase di accelerometri ad alto e basso
smorzamento per frequenza normalizzata
Il confronto dei due strumenti evidenzia: frequenza di risonanza dell'ordine di 1000Hz per i
piezoresistivi, con uno smorzamento di 0.6 ÷ 0.7, contro 2 ÷ 3 decine di kHz per i piezoceramici,
dotati di smorzamento trascurabile (< 0.05) .
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 121
Se si indica uno scostamento massimo dal guadagno unitario, e.g. ≈ 1%, si ottiene una frazione
rispettivamente pari al 25.5% e al 10.0% per piezoresistivo e piezoceramico; occorre peraltro
tenere conto che a una minore frazione percentuale corrisponde una banda più ampia in assoluto
grazie alla più elevata frequenza propria.
Dicile reperire accelerometri piezoresistivi con banda passante superiore ad alcuni kHz ,
frequenze che sono invece normali per piezoceramici.
Figura 3.25: Confronto risposta in ampiezza normalizzata e fase di accelerometri ad alto e basso
smorzamento per frequenza reale
Occorrerà però tenere presente che il principio piezoelettrico non si presta molto bene a misure
statiche o in bassa frequenza.
Un commento sulla validità dei Modelli dinamici Occorre ricordare che i modelli di-
namici hanno un limite di validità, in quanto si assume che tutta la dinamica sia descritta dal
grado di libertà utilizzato ai ni metrologici. Questo è vero se le frequenze caratteristiche ad
esso associate sono ben separate da quelle del trasduttore (es la cassa). Per la maggior parte
dei trasduttori ciò non è un problema: ad esempio non ha senso utilizzare uno strumento come
l'accelerometro vicino o oltre la propria risonanza.
In altri casi ciò non è vero: il trasduttore di spostamento sismico viene utilizzato al di sopra
della frequenza di progetto con una banda nominalmente innita (G = 1 per f → ∞).
In questo caso il limite di impiego sarà dato da altre caratteristiche dinamiche, ad esempio
quelle del contenitore o delle molle di appoggio, che possono far deviare il comportamento dello
strumento dal quello del modello metrologico.
122 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
Accelerometro
Nel caso dell'accelerometro: Assumendo
M s2 u = Csu << Ku ≈ 0
evidentemente
M s2 u + Csu + Ku = −M s2 v = −M a
diventa
Ku = M a
V = CP iezo FEl
1
FEl = V = Ma
CP iezo
V = (M CP iezo ) a
Sismometro
Nel caso di un sismografo a frequenza sucientemente alta la massa sismica si ferma (guadagno
unitario); nell'equilibrio dinamico il contributo delle forze elastiche e viscose diventa trascurabile
rispetto a quello inerziale: essendo
Csu = Ku = 0
l'equilibrio dinamico
M s2 u + Csu + Ku = −M s2 v
si semplica in
u = −v
Utilizzando un LVDT, di sensibilità SLVDT , per la misura dello spostamento relativo u avremo:
un'uscita elettrica pari a: VOut = SLVDT u;
un'equazione di trasformazione meccanico/elettrico: v = − SVLVDTOut
;
una sensibilità di progetto dello strumento (il segno è ininuente): VOut = SLVDT u = −SLVDT v .
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 123
Esercizio 1
Testo
Il modello analitico di un anemometro a tazza, per uno specico intervallo di velocità, è dato
dalla seguente equazione:
Kv v − Ka ω = I ω̇
Nella quale sono state utilizzate le seguenti denizioni:
Si richiede di:
Svolgimento esercizio 1
Punto a
L'equazione dello strumento può essere riscritta nel seguente modo:
kv v − ka ω = I ω̇
I ω̇ + ka ω = kv v
I kv
ω̇ + ω = v
ka ka
Dividendo per il coeciente ka l'equazione caratteristica si può banalmente ricondurre
all'equazione di uno strumento del I ordine, cioè con i soli termini elastico e viscoso.
Punto b
L'equazione caratteristica di uno strumento del I ordine risulta:
dqo
A1 + A0 qo = B0 qi
dt
A1 dqo B0
+ qo = qi
A0 dt A0
∂
τ + 1 qo = G qi
∂t
Dove G è la sensibilità statica o guadagno a regime e τ la costante di tempo. Nel caso specico
abbiamo:
124 CAPITOLO 3. CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI
I
τ=
ka
e
kv
G=
ka
La funzione di trasferimento dello strumento risulta essere:
qo (s) G kv /ka kv
= = I =
qi (s) τs+1 ka s + 1
I s + ka
Punto c
Le condizioni iniziali per un ingresso a gradino sono dateda qo = 0 per t = 0+ . La soluzione
dell'equazione dierenziale è data dalla somma dell'integrale generale e dell'integrale particolare:
t
qo_gen = C e− τ
qo_part = G qi_step
E tenendo conto delle condizioni iniziali:
t
qo = G qi_step 1 − e− τ
La risposta al gradino è diagrammata in gura 3.27.
Esercizio 2
Testo
Uno strumento di secondo ordine (frequenza di risonanza 500 Hz) viene utilizzato per la misura
di un segnale con contenuto in frequenza superiore alla banda passante dello strumento stesso.
• Indicare e motivare, appoggiandosi alle equazioni che lo caratterizzano, un ragionevole
livello di smorzamento per lo strumento in funzione delle caratteristiche funzionali note.
• Nell'ipotesi di smorzamento pari al 60 % di quello critico, descrivere e commentare una
adeguata struttura del sistema di acquisizione digitale ed identicare la banda passante
del sistema.
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 125
Svolgimento esercizio 2
Punto a
La generica equazione che caratterizza uno strumento del secondo ordine è:
d2 qo dqo
A2 + A1 + A0 qo = B 0 qi
dt2 dt
I cui parametri caratteristici sono:
B0
G=
A
r0
A0
ωn =
A2
A1
ζ= √
2 A0 A2
Rispettivamente guadagno statico, pulsazione propria e coeciente di smorzamento.
Nel caso di sensore accelerometrico monoassiale, tipico sistema massa-molla-smorzatore, si ha:
M ẍ + C ẋ + K x = f
Con i 3 parametri:
1
G=
K
r
K
ωn =
M
C
ζ= √
2 KM
Volendo approfondire la derivazione dell'equazione costitutiva dei sensori di spostamento (as-
soluti) sismici sismografo e accelerometro partiamo dallo schema riportato in gura
3.28.
Scrivendo l'equilibrio delle forze agenti sulla massa M lungo la direzione trasversale1 , abbiamo:
(M s2 + Bs + Ks ) · xo (s) = M s2 xi (s)
2 B Ks
s + s+ · xo (s) = s2 xi (s)
M M
(s2 + 2ζωn s + ωn2 ) · xo (s) = s2 xi (s)
xo (s) s2 s2 /ωn2
H(s) = = 2 = s2
xi (s) s + 2ζωn s + ωn2 + 2ζ
2
ωn ωn s +1
(M s2 + Bs + Ks ) · xo (s) = M s2 xi (s)
xo (s) 1 1/ωn2
H(s) = 2
= 2 = s2
s xi (s) s + 2ζωn s + ωn2 + 2ζ
2
ωn ωn s +1
Le espressioni sono ottenute dividendo per la massa M e ricordando che lo smorzamento critico
per un sistema del second'ordine è:
B
ζ=
Bcritico
p
Bcritico = 2 Ks M
√
B 2ζ( Ks M )
= = 2ζωn
M M
Si nota che per il sismografo l'ingresso è lo spostamento xi , mentre per l'accelerometro è l'ac-
celerazione della base ẍi . Il guadagno statico, ovvero H(0), nel caso del sismografo è pari a 1,
mentre per l'accelerometro risulta 1/ωn2 .
Si può dimostrare che a frequenza nulla si ottiene la legge di Hooke (caso statico), infatti:
x(0) 1
H(0) = = 2 =G
f (0) ωn
3.2. MODELLI E CARATTERISTICHE DINAMICHE DEGLI STRUMENTI 127
xo (0) 1
= 2
s2 xi (0) ωn
xo (0) 1
2
=
M s xi (0) Ks
xo (0) 1
H(0) = =
f (0) Ks
Figura 3.30: Modulo della funzione di trasferimento al variare del fattore di smorzamento
Punto b
Ricaviamo il modulo della funzione di trasferimento:
H(s) 1
H(0) = s
2 2 2
1 − ωωn + 4 ζ ωωn
Sostituendo l'opportuno valore del coeciente di smorzamento, la pulsazione propria (50 02π rad
s )
e risolvendo la disequazione in funzione della pulsazione ω si determina la minima frequenza di
Nyquist. La frequenza di campionamento necessaria dovrà essere almeno pari al doppio della
frequenza trovata per il teorema di Shannon.
Per identicare invece la banda passante dello strumento occorre inizialmente denire l'errore
tollerabile. In questo svolgimento riterremo accettabile uno scostamento dell'ampiezza pari al
1%.
Partendo dalla funzione di trasferimento del sensore:
H(s)
H(0) ≤ 1 ± 0.01
ovvero:
1
0.99 ≤ s ≤ 1.01
2 2 2
1 − ωωn + 4 ζ ωωn
Bisognerà identicare la minima frequenza per cui il sensore misura l'ingresso con una distorsione
in ampiezza inferiore o uguale a 0.01.
Conclusioni
In questo capitolo abbiamo arontato il comportamento dinamico di un trasduttore o di uno
strumento con lo scopo principale di individuarne la banda passante, caratteristica fondamentale
per poterlo utilizzare in modo adeguato. Questa non solo ci indica l'intervallo in frequenza per
il quale i fenomeni dinamici stessi possono essere trascurati, ma ci fornisce indicazioni operative
da seguire durante l'operazione di taratura, durante la quale appunto si assume che gli eetti
dinamici siano del tutto esauriti. A esempio attendere almeno 5 ÷ 6 volte la costante di tempo τ
(uscita >99% del valore asintotico) prima di rilevare l'uscita di un trasduttore precedentemente
identicato come uno strumento del primo ordine.
Capitolo 4
129
130 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
e secondo cala a 3 e l'aereo risulta 3 volte peggiore dell'autobus anziché 8 volte migliore.
Figura 4.2: Dati sulla sicurezza del trasporto (ministero trasporti GB)
Questi elementi sono funzionalmente collegati da una linea che porta dal fenomeno sico al valore
della grandezza di interesse che determiniamo in termini di misura. Su questo percorso trovano
posto i diversi blocchi funzionali che costituiscono lo strumento.
Esaminiamo alcuni esempi.
Esempi elementari
Un caso che sembra essere più complesso potrebbe essere quello di un sensore di pressione
piezoelettrico; in realtà solo apparentemente, infatti la struttura è la stessa:
Schema generale
Nella pratica l'uso che si vuole fare del modello di strumento spesso può richiedere lo sviluppo di
schemi più complessi e ricchi di funzioni. Quello usato negli esempi precedenti può infatti non
essere suciente a mettere in evidenza tutte le connessioni e interazioni che possono avvenire
4.2. DALLO SCHEMA A BLOCCHI ALLO STRUMENTO GENERALIZZATO 133
all'interno dello strumento. Indipendentemente dal livello di dettaglio o dalla complessità che si
vuole raggiungere, le modalità di descrizione del problema rimangono comunque inalterate: lo
schema operativo prevede l'identicazione di una sequenza di operazioni eettuate da dispositivi
che, collegati in sequenza e/o in parallelo, conducono all'uscita del sistema.
Gli elementi sici tipicamente presenti in uno strumento sono di seguito descritti:
1. Il sensore primario è a diretto contatto con il fenomeno sico e ne estrae energia per
poter misurare. Opportuno ricordare che la misura ideale non esiste: la sola presenza
dell'osservatore (lo strumento) perturba il fenomeno e che l'esperimento (strumento/prova)
deve essere progettato e utilizzato in modo da minimizzare questi eetti).
2. Il sensore primario trasmette l'energia all'elemento di conversione che la trasforma in
una forma sica più conveniente.
3. L'insieme di questi due elementi costituisce il trasduttore
4. L'uscita del trasduttore può a sua volta essere elaborata a opera di un elemento mani-
polatore, che la modica al ne di ottenere una sua più facile gestione (es. amplicata
così da facilitarne la lettura).
5. Elementi di trasmissione possono essere presenti in diversi punti e servono a trasferire
una grandezza ai vari componenti. Un elemento di trasmissione è sicuramente necessario
per trasferire le informazioni all'elemento di presentazione per la loro visualizzazione.
6. L'elemento di presentazione serve inne per la visualizzazione dei dati all'utente o
alla memorizzazione degli stessi su vari dispositivi.
4.2.1 Applicazioni
Applichiamo queste denizioni a un manometro meccanico. In questo strumento la pressione
agisce sul pistone generando una forza che, vincendo la resistenza della molla di reazione, provoca
lo spostamento del pistone stesso. L'asta del pistone trascina un'estremità dell'ago indicatore
la cui punta, per eetto del rapporto dei bracci, si sposta in maniera amplicata sulla scala
graduata.
1. Il sensore primario è costituito dalla supercie del pistone: soggetta alla pressione, provvede
a trasformarla in una forza applicata al pistone stesso moltiplicando la pressione per l'area
(trasduttore);
2. l'asta del pistone trasmette la forza alla molla (elemento di trasmissione);
3. la molla di contrasto trasforma la forza in spostamento dividendo la forza per la rigidezza
(elemento di conversione);
4. l'ago indicatore, opportunamente incernierato, riceve in ingresso il movimento del pistone
ad un estremo e determina uno spostamento amplicato dell'altro estremo moltiplicando
per il rapporto dei bracci (elemento manipolatore);
5. la scala graduata consente attraverso comparazione la lettura del valore della pressione (ele-
mento di presentazione); necessita di una calibrazione preventiva per associare il corretto
valore di pressione alla posizione della lancetta.
Gracamente otteniamo:
La disponibilità delle relazioni funzionali tra i vari blocchi permette un'agevole discussione di
limiti e difetti dello strumento:
Il modello permette quindi di evidenziare elementi utili in termini di scelte di progetto e loro
inuenza sulla qualità dello strumento.
Analizziamo il modello funzionale che si è ottenuto identicando i guadagni dei singoli blocchi:
Figura 4.11: Identicazione delle funzioni di trasferimento nello schema dello strumento
4.2. DALLO SCHEMA A BLOCCHI ALLO STRUMENTO GENERALIZZATO 135
1
K=
A r1 f r2
Questo in termini nominali; il guadagno eettivo K deve invece essere identicato speri-
mentalmente sul singolo dispositivo strumentale come inverso della funzione di trasferimento
interna
s0 = F dT (P ) = (A r1 f r2 ) P.
Tutto questo, a meno di inevitabili imprecisioni di funzionamento ed entro i limiti di qualità
dello strumento.
Il blocco di trasduzione agisce trasformando la pressione in ingresso nell'uscita di spostamento s0
tramite la funzione di trasferimento GT = A r1 f r2 ; in questa fase sono attive le caratteristiche
di funzionamento istantanee dello strumento.
La misura della pressione riportata dallo strumento è l'uscita del blocco Misuratore: Pmis = Gs0
dove G è, nel caso più semplice possibile, una costante moltiplicativa. Il blocco di misura non
può che utilizzare un modello metrologico (funzione di trasferimento del misuratore) denito
tempo prima, no a un anno e più, attraverso una procedura sperimentale di identicazione in
condizioni operative controllate, quindi con possibili dierenze rispetto al momento di utilizzo.
Questo processo prende il nome di taratura.
Il risultato Pmis , teoricamente identico a P , si scosta tanto più dal valore reale quanto più le
funzioni di trasferimento di ogni singolo blocco operano in maniera diversa rispetto a quando è
avvenuta la taratura della scala di confronto tra spostamento e misura; più in generale rispetto
alla identicazione della funzione di trasferimento del trasduttore.
Ottenuto il modello dello strumento possiamo quindi:
Comportamento ideale
Lastrumentazione ideale è semplicemente modellabile come una relazione tra la grandezza da
misurare e la misura stessa ovvero come una funzione di trasferimento, rapporto, tra un ingresso
e un'uscita.
Figura 4.13: Modello generico di strumento Single Input Single Output (SISO)
Riprendiamo in esame il manometro a U, descritto in un precedente capitolo; pur non essendo uno
strumento moderno ci permette di mettere facilmente in evidenza alcuni aspetti interessanti.
4.2. DALLO SCHEMA A BLOCCHI ALLO STRUMENTO GENERALIZZATO 137
∆p = gρh + alat ρl
gρA(h1 − h2 ) − alat ρAl + A(p1 − p2 ) = 0
∆p = p1 − p2
h = h2 − h1
−gρh − alat ρl + ∆p = 0
h = (∆p − alat ρl)/gρ
∆p = gρh + alat ρl
Figura 4.14: Eetto di interferenza su manometro dierenziale
Quindi è possibile concludere che l'accelerazione trasversale produce un termine aggiuntivo
rispetto alla misura desiderata, il cui contributo si presenta inalterato nell'uscita dello strumento.
Eseguiamo la stessa analisi per una variazione locale dell'accelerazione di gravità. In questo caso
la struttura dell'equazione di equilibrio rimane inalterata e viene modicata la costante che lega
ingresso a uscita.
g 0 ρA(h1 − h2 ) − A(p1 − p2 ) = 0
∆p = p1 − p2
h = h2 − h1
−g 0 ρh + ∆p = 0
h = (∆p)/g 0 ρ
∆p = g 0 ρh
Figura 4.15: Eetto di modica su manometro dierenziale
In questo caso è quindi possibile concludere che la variazione della accelerazione di gravità,
g , comporta una modica della funzione di trasferimento. Si può quindi sintetizzare quanto
discusso stabilendo una classicazione degli ingressi:
Figura 4.16: Modello generico con ingressi di modica su funzione di trasferimento di Ingresso
Desiderato
In maniera ancora più generale si può ipotizzare che gli ingressi di modica possono operare sia
sulla funzione di trasferimento degli ingressi desiderati che su quelle degli ingressi di interferenza.
Figura 4.17: Modello generico con ingressi di modica su funzione di trasferimento di Ingresso
Desiderato e di Interferenza
4.3 Considerazioni
Inserendo nel modello di strumento generalizzato le dipendenze che le varie funzioni di
trasferimento presentano si completa la denizione del modello di strumento o sistema di misura.
Sarà quindi possibile procedere con:
Questo approccio può presentare alcune criticità, tra le quali la dicoltà di identicare tutti i
legami, da un lato, e un eccesso di dettaglio, dall'altro.
Un modello è uno schema generale che può essere utilizzato per la descrizione funzionale di un
sistema o di un problema.
Lo schema di analisi può essere applicato anche a uno strumento o a un sistema di misura; nello
specico, l'utilizzo di un approccio generale permette:
4.3. CONSIDERAZIONI 139
Occorre, però, tenere presente la validità intrinseca del metodo come strumento di analisi dei
problemi. Per quanto riguarda l'applicazione sperimentale, lo strumento generalizzato risponde
alla necessità di costruire un modello rappresentativo anche per la sperimentazione, comprensivo
degli strumenti e di tutte le componenti e i sistemi di prova.
Il modello di strumento generalizzato costituisce la struttura elementare di una catena di misu-
ra. In particolare, si è parlato dell'accoppiata trasduttore-misuratore: Questo esempio può esse-
re generalizzato all'insieme di oggetti che realizzano i passaggi che portano dalla grandezza analo-
gica di interesse alla sua misura, passando attraverso dispositivi intermedi utili al miglioramento
della qualità del risultato.
140 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
4.4 Taratura
Tra il funzionamento teorico e quello reale di uno strumento ci sono dierenze prevedibili
ma non facilmente quanticabili. Per questo motivo l'unica possibilità di poterci dare di
uno strumento deriva dalla identicazione sperimentale del suo funzionamento in condizioni
controllate.
Quindi è richiesta l'identicazione delle caratteristiche metrologiche di ogni singolo strumento/
trasduttore.
L'identicazione deve essere razionalmente organizzata e condivisa in termini procedurali: si
tratta dell'operazione di Taratura (in inglese Calibration ; il termine Calibrazione è spesso utiliz-
zato anche da noi in questa accezione, pur se il Vocabolario delle Misure ne sconsiglia l'utilizzo,
in quanto la Calibrazione è l'operazione in cui uno strumento di misura viene regolato in modo
da migliorarne l'accuratezza).
Le diormità dal comportamento ideale verranno usate per quanticare i motivi di aleatorietà
della misura e condurranno, in ultima istanza, alla denizione delle caratteristiche di incertezza
dello strumento.
Dal punto di vista metrologico lo strumento idealizzato viene ricondotto a un sistema singolo
ingresso - singola uscita (SISO, Single Input-Single Output) ssando le condizioni al contorno
di interferenza e modica.
La caratterizzazione dello strumento viene semplicata in quanto tutta l'uscita è riconducibile
all'ingresso di misura.
4.4. TARATURA 141
Quando possibile, la dipendenza dell'uscita del trasduttore dall'ingresso viene ridotta a un singolo
parametro (K ) detto coeciente di Taratura: nelle applicazioni più comuni il comportamento
del trasduttore è lineare, quindi il coeciente di Taratura è in realtà una costante e l'oset è
nullo. Il comportamento del trasduttore reale è quindi ricondotto a quello del trasduttore ideale
denibile da una relazione ingresso-uscita algebrica:
U scita(t) = K Ingresso(t)
U scita(t) = K Ingresso(t)
Ingresso(t) = K −1 U scita(t)
Nei casi più fortunati questi eetti non dipendono dal tempo e sono linearmente dipendenti dallo
scostamento da condizioni di riferimento:
U scita(t) = K + K 0 (M − M0 ) Ingresso(t) + a (I − I0 )
Lo strumento ideale è un modello metrologico; la discussione della sica dei trasduttori ha evi-
denziato come la maggior parte degli strumenti abbia caratteristiche assimilabili allo strumento
ideale solo per particolari modalità di impiego. Lo studio del modello dinamico di uno stru-
mento, modello più complesso del semplice SISO lineare utile a ni metrologici, ci ha consentito
di capire in quali condizioni si riduce al modello metrologico e quindi di denirne i criteri di
corretto utilizzo.
La denizione analitica delle caratteristiche dinamiche consente di capire alcune delle limitazioni
di utilizzo. La denizione sperimentale delle caratteristiche statiche permette di costruire il
modello metrologico (quasi-ideale) dello strumento. Le caratteristiche statiche deniscono la
qualità della misura, quindi valgono anche nelle applicazioni dinamiche.
∂I
= 0 k = 1, M
∂ck
Si ottiene quindi un sistema di equazioni lineari, avente come incognite i coecienti della funzione
di regressione
[H] {c} = {b}
La struttura della matrice dei coecienti e del vettore di termini noti dipende dalla tipologia
di funzione scelta per la regressione. Nelle sezioni seguenti viene discusso il caso polinomiale,
largamente impiegato nell'ambito sperimentale.
ei = yi − (c0 + c1 xi )
La soluzione è quindi:
PN PN 2
PN PN PN PN PN
i=1 yi i=1 xi − i=1 xi yi i=1 xi N i=1 xi yi − i=1 yi i=1 xi
c0 = PN P 2 c1 = P 2
2 N PN 2 N
N i=1 xi − i=1 xi N i=1 xi − x
i=1 i
N N
!2 N N
!2
X X X X
N xi 2 − xi = N x2 1− x 1 = N x2 N − (xN )2 = 0
i=1 i=1 i=1 i=1
144 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
∆i = yi − ȳi = yi − C(xi , M )
Nel caso di dati multipli (tipici delle misure di taratura) il diagramma può evidenziare problemi
qualità dei dati, come diverse caratteristiche di dispersione o punti anomali.
Si tratta di una misura della distanza tra modello e dati ed è nulla se i punti giacciono sulla
retta di regressione. Il suo valore assoluto non è però di grande utilità. Ci serve un indicatore
normalizzato, per es tra 0 ed 1. Abbiamo visto che nel caso di carenza di correlazione, il
coeciente lineare della regressione tende a 0 (c1 → 0); in questo caso lo scarto quadratico degli
errori tende allo scarto quadratico dalla media delle misure (sicuramente maggiore):
N
1 X
σy2 = (yi − ȳ)2
N
i=1
Un indicatore sintetico della qualità della regressione è la distanza percentuale tra le varianze
dei dati e la varianza corrispondente alla situazione di completa assenza di correlazione:
σy2 − σy,x
2
r2 =
σy2
146 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
r
2
σy,x
Ne viene derivato il coeciente di determinazione, r: r = 1 − σy2
. Con questa notazione
il parametro r assume valore unitario se i punti giacciono su un segmento di retta (scompare
il secondo termine a numeratore) e nullo se la loro distribuzione è casuale (il secondo termine
a numeratore tende al primo in quanto non sussiste alcun legame con l'ascissa). Nei graci
seguenti il parametro r è crescente elaborando i dati da sinistra verso destra.
Fattore r crescente
Figura 4.26: Evoluzione del fattore di regressione con la dispersione dei dati (r crescente da
sinistra a destra)
Una buona correlazione presenta un coeciente di regressione superiore a 0.98; per uno
strumento ci si aspetta un valore superiore a 0.99.
4.4.3 Trasformazioni
È noto che cambi di coordinate possono semplicare l'interpretazione dei dati (es. le coordinate
logaritmiche consentono di descrivere in termini lineari alcuni fenomeni come la scarica di un
condensatore o in generale la risposta esponenziale di un'equazione dierenziale di primo grado).
In questi casi si parla di regressione lineare con trasformazione.
Gracamente:
ln(y) = hx + ln(a)
poiché ln(a) è una costante, abbiamo ottenuto una relazione lineare tra x e ln(y).
Eseguendo quindi il logaritmo delle misure y , Y = ln(y), otteniamo un problema di regressione
nella forma lineare canonica
4.5. L'OPERAZIONE DI TARATURA 147
Y = C1 x + C0
Regressione su iperbole Anche una relazione iperbolica può essere gestita con questa
tecnica:
1
y=a
x
Applicando il logaritmo ad entrambi i termini otteniamo
poiché ln(a) = C0 è una costante, abbiamo ottenuto una relazione lineare tra w = ln(x) e
z = ln(y).
z = C0 − w
La relazione di taratura viene quindi risolta analiticamente rispetto all'ingresso ,I non noto, che
diventa la misura, M :
Si è ricavata la funzione di taratura che permette di risalire alla misura dell' Ingresso, cioè al
valore del misurando che ha prodotto una lettura (Uscita ). Si tratta di una relazione biunivoca
tra i valori forniti dallo strumento e i corrispondenti valori da assegnare al misurando. Se la curva
di taratura è una retta si parlerà di costante di taratura; in caso contrario il comportamento
non è lineare.
La gura seguente mostra una curva di taratura ottenuta mediante un singolo percorso di carico-
scarico. Sono riportati i dati relativi alla curva di Taratura vera e propria (pressione indicata/
pressione reale) e i valori della retta di regressione. Sono mostrate inoltre le informazioni inerenti
le condizioni ambientali in cui si è svolta la prova, temperatura, e le condizioni operative, livelli
di accelerazione e vibrazione.
4.5. L'OPERAZIONE DI TARATURA 149
Caso particolare: la situazione descritta è quella tipica del trasduttore, nel caso di uno stru-
mento, di un oggetto cioè che presenta la misura in termini omogenei con l'ingresso (es. una
bilancia, in cui la misura è espressa in unità siche), i coecienti che vengono così identicati
servono a correggere la lettura:
Pmisurato = k Pimposto + h
• I valori tipici, frazioni importanti di 1 mm, sono piuttosto elevati: più che una caratteristica
dello strumento è ipotizzabile una mancanza di precisione nel posizionamento sulle stazioni
di misura; la rappresentazione numerica dei dati di posizione, al centimetro, è infatti
inadeguata come riferimento di taratura.
Esempio di procedura MATLAB : Viene riportata una possibile procedura MATLAB per
l'elaborazione dei dati.
% calcolo regressione lineare tra In e Out}
c1=polyfit(In,Out,1); % calcolo regressione lineare}
va=polyval(c1,In); % calcolo uscite tensione}
subplot(211),plot(In,Out,'o',In,va) % diag. dati}
ylabel('Tensione V')}
subplot(212),plot(In,(va-Out)/5*100,'o') % diag.dev.tens.}
ylabel('Deviazioni %Vmax'),xlabel('Posizione cm')}
t1=[1/c1(1) -c1(2)/c(1)]; % relazione di taratura}
ef=polyval(t1,Out)-In; % calcolo dev di posizione}
figure,subplot(211)}
plot(Out,ef,'o') % diag. dev. posizione}
xlabel('Tensione')}
ylabel('Dev.posiz. cm')}
Gli ultimi due punti devono essere considerati parte integrante e fondamentale dell'operazione;
sono stati inseriti per completezza, anche se la loro discussione sarebbe prematura.
152 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
4.5.4 Raccomandazioni
Possono risultare utili alcune raccomandazioni:
1. Si eettua sempre una regressione totale su tutti i punti, anche quando si eseguono più
cicli;
2. Gli ingressi devono essere misurati a ogni ciclo, anche quando si operi con ripetizione delle
stazioni di misura.
Evitare l'utilizzo degli stessi dati per i diversi cicli di carico: l'imprecisione di riproduzione
dell'ingresso tra i vari cicli verrebbe vista come una mancanza di ripetibilità dello strumento
in Taratura (unico caso: bilancia con pesi calibrati).
3. IMPORTANTE: l'accuratezza dello strumento di riferimento deve essere un ordine
superiore di quella dello strumento da tarare: ur < 1/10 um .
Nel primo caso è necessario avere sia un elevato numero di punti nell'intervallo di variabilità
dell'ingresso che di ripetizioni della misura per uno stesso valore di ingresso, in modo da denire
accuratamente tutti i parametri caratteristici dello strumento.
Nel secondo caso per la verica della Taratura ci si aderà a un singolo ciclo con un discreto
numero di punti nell'intervallo di variabilità dell'ingresso; mentre per la valutazione dello stato
generale dello strumento saranno necessarie alcune ripetizioni delle misure in poche stazioni
sparse su tutto il campo di misura, per garantire il corretto funzionamento del dispositivo.
La Taratura quindi:
1. è un'operazione che permette di ottenere la relazione che lega l'uscita di uno strumento
con l'ingresso attraverso l'impiego di una misura nota, certa e precisa dell'ingresso stesso;
2. può essere applicata a uno strumento, a un sistema di misura o a un trasduttore singolo;
3. può avvenire tramite metodologia:
4.5. L'OPERAZIONE DI TARATURA 153
(a) diretta: le uscite dello strumento vengono confrontate con ingressi omogenei noti
(standard): es. peso calibrato, metro
(b) indiretta: se l'entità dell'ingresso di Taratura viene contestualmente misurata con
uno strumento preventivamente calibrato.
La sionomia autorizza senz'altro l'utilizzo di una regressione lineare (almeno in prima istanza).
I coecienti della retta di regressione sono: C1 = 0.2187 e C0 = −0.0343. La visualizzazione
dei dati e della retta di regressione evidenzia il comportamento globale; la distribuzione delle
dispersioni è omogenea e la tendenza media è evidentemente orizzontale.
Essendo stati eseguiti più cicli di ingressi è possibile trattare ciascuno in maniera indipendente
eseguendo regressioni separate anziché una regressione unica. Si può quindi procedere con la
valutazione dei valori medi e delle deviazioni standard dei coecienti di regressione ottenuti
per ogni ciclo:
Esempio 2 La tabella che segue contiene i dati di ingresso e uscita di uno strumento ottenuti
in condizioni controllate.
Input 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
Output 0.073 0.223 0.749 1.55 2.47 3.95 5.26 7.16 9.20 11.54
Si chiede di descrivere, motivare ed eettuare le operazioni per fornire una adeguata funzione
di taratura dello strumento.
4.5. L'OPERAZIONE DI TARATURA 155
3) Graco complessivo:
Senza l'analisi della sionomia dei dati avremmo potuto adottare una regressione lineare, per la
quale i coecienti sarebbero stati: C1 = 0.6385 , C0 = −2.1660
Una alternativa è quella di ricorrere a una trasformazione: vista la sionomia dei dati è possibile
riportare i dati√ad un andamento lineare, denendo una variabile di servizio come radice quadrata
dei dati: z = Out: la funzione di regressione torna a essere lineare: z = C0 + C1 In.
156 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
In questo caso risulta banale ottenere la curva di taratura; l'inversione della funzione di
regressione è quella lineare:
In = −C0 /C1 + 1/C1 z
√
ma, tenendo conto della trasformazione adottata (z = Out) , diventa:
√
In = −C0 /C1 + 1/C1 Out
Si può osservare che la curva interpreta fedelmente la distribuzione dei dati rilevati.
4.6. ALTRI IMPIEGHI SPERIMENTALI DELLA REGRESSIONE 157
• calcolare i singoli P
valori di rigidezza come rapporti individuali forza/spostamento e farne
la media: K = N1 Fi
si P P P
N si Fi −( si )( Fi )
• calcolare il coeciente angolare della regressione: K = N
P 2 P 2
si −( si )
Possiamo chiederci se le due metodologie possono essere equivalenti o meno e se la soluzione più
semplice possa nascondere dei trabocchetti.
Evidentemente nel caso ideale, yi = k xi . i coecienti della regressione diventano:
P P 2
P P P k N x 2−( xi )
N x i yi − ( x i ) ( yi ) i
A= P 2 P 2 = P 2 P 2 =k
N xi − ( xi ) N xi − ( xi )
x2i −
P P P 2 P
( xi ) xi ( xi )
B = ... = k P 2 P 2 =0
N xi − ( xi )
4.6.1 Esercizi
Costruzione della curva di correzione di uno strumento
Si supponga di dover costruire la curva di correzione della lettura di uno strumento di misura
della pressione; sono note le misure riportate in tabella:
mm mm
Si chiede di:
• valutare le dierenze rispetto al caso di una trave caricata a torsione con momenti torcenti
numericamente identici a quelli dati e rotazioni date dagli stessi numeri delle frecce espressi
in gradi.
Tempo Vs
s V
0 10,104
10 6,0680
20 3,6775
30 2,2326
40 1,3790
50 0,8186
Tabella dati
P.Nom 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
P.Mis 0.073 0.223 0.749 1.555 2.474 3.950 5.261 7.164 9.204 11.536
Tabella dati
Si chiede:
1. tenendo conto della sionomia dei dati disponibili, di indicare una procedura di utilizzo
dei dati per ottenere la funzione di calibrazione dello strumento;
2. individuare una adeguata forma di regressione;
3. ricavare la funzione di taratura;
4. ricavare la relazione di misura.
1. l'alimentazione non ha riessi dal punto di vista metrologico; in questo caso essa serve
a far funzionare una circuiteria interna e le indicazioni tipiche sono per un intervallo di
tensione relativamente ampio, es. 15 ± 1 V; casi tipici sono un trasduttore induttivo o
piezoelettrico.
2. l'uscita dello strumento dipende linearmente dalla tensione di alimentazione (è il caso
del potenziometro o di un ponte estensimetrico): in questa situazione l'alimentazione è
rilevante dal punto di vista metrologico in quanto modica direttamente il valore della
misura. Sono quindi necessari dispositivi di elevata qualità, in particolare in termini di
stabilità della tensione; serviranno altresì alcune cautele aggiuntive, quali l'attesa di un
tempo sucientemente lungo, prima dell'uso, in modo da consentire il riscaldamento della
circuiteria interna, garanzia di stabilità di funzionamento.
Banda passante La banda passante è la caratteristica operativa utile per garantire di acquisire
correttamente il valore delle grandezze da misurare indipendentemente dalla loro dinamica.
Figura 4.43: Funzionamento normale e corretto per gli eetti della deriva
In teoria, mappe di taratura dovrebbero essere disponibili per tutti i parametri che maggior-
mente inuenzano la sensitività. Nella pratica le curve di taratura per ingressi secondari spesso
non sono necessarie in quanto lo strumento viene progettato per essere immune da questi ef-
fetti. Ciò non signica che esso diventa insensibile alle interferenze o alle modiche, ma il loro
eetto è ridotto al livello degli errori caratteristici dello strumento. Non sempre è però possibile
rimuovere completamente questi eetti, per cui diventa necessario tenere conto della variazione
dei coecienti di taratura che ne consegue:
1. deriva dello zero (zero drift o oset): presenza di una lettura non nulla anche in mancanza
di ingresso (già battezzato: ingresso di interferenza);
2. deriva della sensibilità (sensitivity drift o scale-factor drift) (già battezzato: ingresso di
modica): variazione della sensibilità rispetto all'ingresso desiderato per eetto di un
cambiamento in un parametro non controllato.
Uno strumento sensibile alla temperatura ambientale, avrebbe una retta di taratura che cam-
bia la pendenza (con un eetto di "modica" della sensibilità) o l'intercetta, l'uscita a in-
gresso nullo (con eetto di "interferenza" sullo zero), rispetto alla taratura, tanto mag-
giori quanto maggiore è la dierenza tra la temperatura di funzionamento e di taratura.
4.7. CARATTERISTICHE STATICHE DEGLI STRUMENTI 163
Figura 4.44: Deriva di Sensibilità e zero Figura 4.45: Rappresentazione degli eetti
(oset) di deriva di sensibilità e zero
Essendo le derive conseguenti a un eetto sico, devono essere considerate fonti di errore si-
stematico e, se signicative, corrette mediante una adeguata taratura. Devono quindi essere
quanticate in termini di variazione dei coecienti di taratura per unità di variazione della
grandezza di modica rispetto alla situazione di riferimento.
Mutue interferenze tra variazioni simultanee di ingressi indesiderati, di norma, non vengono
considerate.
Vale la pena sottolineare che si tratta semplicemente di ulteriori tarature, eseguite in condizioni
ambientali, oltre che controllate, modicate; è quindi necessario disporre di un banco prova in
grado di variare indipendentemente della quantità desiderata ciascuna condizione e attrezzature
rilevare l'entità dei diversi ingressi (desiderati, di interferenza e di modica) con una qualità
adeguata.
Ciò consente di determinare le funzioni di taratura per diversi valori di un ingresso indesiderato
e costruire il legame che modica il funzionamento dello strumento.
Per la taratura dell'ingresso desiderato di uno strumento è necessario un campione, o uno stru-
mento, di riferimento che presenti un'accuratezza almeno 10 volte superiore a quello del trasdut-
tore sottoposto a taratura. Poiché in un trasduttore/strumento di qualità gli ingressi secondari
determinano una variazione della misura limitata, normalmente non è necessario disporre di una
particolare precisione sugli strumenti che misurano gli ingressi indesiderati in quanto l'errore che
si commette è piccolo in rapporto alla misura totale.
Esempio Un anemometro a tazza viene sottoposto a una serie di ingressi noti alla temperatura
di 40◦ C ; le misure, ottenute utilizzando la sensibilità nominale (97.0e − 3V /(m/s) ricavata a
20◦ C ), sono riportate nella seguente tabella:
In Out
0.00 0.084
1.50 1.625
3.00 3.178
4.50 4.663
6.00 6.393
7.50 7.962
9.00 9.513
10.50 10.996
12.00 12.555
Figura 4.46: Misure
La dierenza tra ingressi e uscite fa propendere per l'esistenza di una sensibilità alla tempe-
ratura. Se l'ipotesi fosse corretta sarebbe possibile individuare la legge di modica con una
regressione i cui coecienti correggono la sensibilità alla temperatura di taratura. I coecienti
della regressione lineare sono: C1 = 1.0441 e C0 = 0.0660, con un coeciente di correlazione
R = 0.99998. É quindi possibile commentare che nonostante la variazione di temperatura abbia
modicato del 4% circa la sensibilità, il comportamento dello strumento si mantiene lineare.
Il diagramma delle dispersioni percentuali non evidenzia criticità (un punto è leggermente
più lontano degli altri dal modello). La deviazione standard delle dispersioni percentuali va-
4.7. CARATTERISTICHE STATICHE DEGLI STRUMENTI 165
le 0.4609%.
La sensibilità eettiva a T = 40◦ C risulta essere più alta di quella nominale per un fattore pari
al coeciente di regressione:
ST 2 − ST 1 101.278 − 97.0 −3 V 1
D= = 10 = 0.2137 10−3
T2 − T1 40 − 20 m/s ◦ C
Analoghe considerazioni potranno essere fatte per il termine costante.
L'inversione del legame di regressione porta ai seguenti coecienti: C1 = 0.95780 C0 =
−0.06320; essi permettono di correggere la lettura, tenendo conto dell'eetto della temperatura:
Vcorretta = C1 Vindicata + C0
La correzione è quindi:
Si riportano le deviazioni dell'uscita di misura dopo la correzione: dal graco delle dispersioni cor-
rette (cerchi) è scomparsa la tendenza all'aumento delle deviazioni con l'aumento dell'ingresso
presente nei dati iniziali (quadrati).
% visualizzazione risultati
figure(1)
subplot(211) % grafico dati e curva di regressione
plot(x,y,'o',x,va)
text(max(x)/20,max(y)*.8,['R=' num2str(R)])
ylabel('Out')
subplot(212) % grafico deviazioni in unit\'{a uscita
plot(x,em,'o')
text(max(x)/20,.8,['dev.std=' num2str(std(em))])
ylabel('Deviazioni [%Out\_m\_a\_x]')
xlabel('In')
figure(2)
subplot(211) % grafico deviazioni in unit\'{a ingresso
plot(y,ef,'o')
xlabel('Mis(m/s)')
ylabel('Errore [m/s]')
figure (3) % confronto misure dirette e corrette
plot(x,[ y-x ],'s',x,[ miscor-x],'o')
legend('Dev.Iniz','Dev.Corrette','Location','NorthWest')
xlabel('In')
ylabel('Out')
1. Accuratezza;
2. Precisione;
3. Ripetibilità;
4. Riproducibilità;
5. Linearità e Isteresi.
Le modalità per la quanticazione di questi elementi diventerà più chiara alla luce della
discussione delle grandezze casuali.
ovvero: il valore reale del misurando ricade in un intervallo di dimensione pari all'accuratezza,
centrato nel valore misurato.
È curioso notare come il valore dell'accuratezza quantichi in realtà la mancanza di essa ovvero
l'inaccuratezza di uno strumento: quanto più elevata è la qualità di uno strumento tanto minore
è il numero che esprime la sua accuratezza.
Nella sua quanticazione occorre tenere conto del comportamento sull'intero campo di misura
dello strumento ed è normale indicarla in percentuale del fondoscala.
Dati, l'uscita media dello strumento ȳi per l'ingresso noto xi , la retta di taratura x0 = (y − b)/a
si determina lo scostamento della media per la stazione di misura i-esima
Precisione La Precisione (precision) è una misura del grado di dispersione dei dati attorno
al valore della media campionaria, ovvero deviazione standard. Essa è una caratteristica globale
che tiene conto genericamente di tutti i motivi di dispersione, cioè di una misura diversa a parità
di ingresso e quantica la dispersione di valori prodotta da variazioni casuali non ripetibili
e comprende simultaneamente tutti gli eetti conseguenti alla imperfetta realizzazione dello
strumento.
L'errore di precisione è stimato a partire dalla ripetizione di più misure a parità di grandezza di
ingresso per più valori distribuiti su tutta la portata:
Di = V alM edio − V alM is_i
per cui
eP rec = M ax (Di )
4.7. CARATTERISTICHE STATICHE DEGLI STRUMENTI 169
o
eP rec = DevStd (Di )
Se uno strumento produce misure con scarsa dispersione sarà possibile usare una sola misura
per denire l'accuratezza, in quanto il valore medio si sposterebbe di poco dalla singola misura.
L'errore di linearità è valutabile come il valore massimo delle deviazioni delle misure di tensione
dalla retta di regressione. Possibile dare due denizioni, una relativa allo scostamento massimo
e una rispetto a quello medio, per una determinata stazione di carico:
ELin = max (Eik ) = max (|(axi + b) − yik |) o [ELin = max (Eik ) = max (|(axi + b) − ȳi |)
172 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
cicli di carico e scarico regolari ovvero equi spaziati e svolti per gli stessi ingressi). Come negli
altri casi esistono due denizioni, relative allo scostamento massimo e a quello medio, per una
determinata stazione di carico:
EIst = max yi_Carico − yi_Scarico o EIst = max ȳi_Carico − ȳi_Scarico .
1. la percentuale del fondoscala viene adottata per denire il campo di linearità in prossimità
dello zero dove l'errore percentuale sulla lettura potrebbe essere alto;
2. l'errore in percentuale della lettura viene adottato per la rimanente porzione del campo di
lavoro.
174 CAPITOLO 4. IL MODELLO METROLOGICO DELLO STRUMENTO
|x̄ − xV ero |
CP = ± 100
P
Quindi per denire le Classi di Precisione si utilizzano i limiti di Accuratezza dello strumento.
Gli strumenti sono suddivisi in classi di precisione contraddistinte da un numero detto indice
di classe; alcune delle classi previste dalle norme CEI sono:
Gli indici di precisione rappresentano i limiti di errore percentuale, che uno strumento, appar-
tenente a tale classe, non deve superare, su tutto il campo di misura, nelle condizioni di
riferimento indicate dal costruttore.
Il sensore normalmente avrà l'indicazione di classe riportata sulla sua scheda tecnica (datasheet).
Le condizioni di riferimento deniscono i valori della temperatura dell'ambiente, della posizione e
dell'orientamento dello strumento, dei campi magnetici esterni, dell'umidità e in generale di tutte
quelle variabili che possono modicare il comportamento dello specico strumento. Esempio: un
amperometro di classe 0.2 portata 5 A in qualunque punto della scala non deve avere un errore
di accuratezza superiore a
0.2
CP = ± 5A = ±0.01A
100
Utilizzando lo strumento entro i limiti indicati dalle norme, ma al di fuori della condizione di
riferimento, l'errore di accuratezza dello strumento non potrà mai eccedere il doppio dell'errore
indicato dalla classe altrimenti il sensore non potrà essere denito come appartenente a tale
classe. Esempio: nel caso dell'amperometro precedente i limiti di utilizzo possono prevedere una
variazione della temperatura ambientale di ±10◦ C intorno alla temperatura di riferimento di
4.7. CARATTERISTICHE STATICHE DEGLI STRUMENTI 175
20◦ C . L'errore di accuratezza fra 10◦ C e 30◦ C non dovrà perciò essere superiore a ±2×(0.01A) =
±0.02A, anchè allo strumento venga attribuita una classe di precisione pari a 0.2. A queste
indicazioni potrà essere associato un livello di adabilità alla luce delle interpretazioni, possibili
solo in seguito, di carattere probabilistico. Esempio: un manometro avente 1 MPa di fondoscala
e una accuratezza dell' 1%F S fornirà misure accurate entro ±0.01 MPa per pressioni da 0 a 1
MPa.
Si noti che poiché l'incertezza è costante su tutto il campo di misura l'errore relativo rispetto
alla misura stessa si amplica per i valori più bassi.
È diusa una prassi semplicata e conservativa per la determinazione di tale indicatore: si
determina la massima deviazione ottenuta in fase di taratura dai valori di riferimento, assumendo
che questa sia comprensiva sia degli errori di modello (mancanza di accuratezza) che di precisione
(mancanza di ripetibilità della misura):
Ei = xi − a1 yi − ab e CP = max (|Ei |) /P .
nominale a 25◦ C è pari a 5deg/kP a (gradi di rotazione della lancetta/kPa) e la risoluzione della
scala graduata è 0.01kP a.
Le informazioni relative alle caratteristiche metrologiche di uno strumento possono essere rese
disponibili in formati diversi. Nelle gure seguenti sono riportate le schede di un produttore e
di unc entro di taratura.
L'ambiente sico è intrinsecamente continuo e dierenziato (ogni grandezza ha una propria unità
di misura), al contrario dell'ambiente di un elaboratore che ha alcune caratteristiche speciche:
181
182 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
L'uscita del trasduttore, una tensione continua, deve essere convertita in una forma digitale,
cioè in un numero binario per poter essere utilizzato da un calcolatore. L'operazione di Con-
versione analogico-digitale in sintesi si compone di due fasi distinte: il campionamento,
cioè la denizione di un passo temporale con cui fotografare il segnale in esame, e la quantiz-
zazione, cioè la traduzione, per ogni istante temporale di campionamento nel corrispondente
numero binario. Come anticipato, per semplicità espositiva, ci occuperemo innanzitutto della
quantizzazione, per poi focalizzare l'attenzione sul campionamento.
una possibile logica e le caratteristiche generali di funzionamento che deve avere il dispositi-
vo capace di svolgere questa funzione: il convertitore analogico digitale, Analog to Digital
Converter ADC, o più semplicemente A/D o AD.
Le caratteristiche fondamentali di questo ponte sono:
Volendo misurare una tensione, non c'è bisogno di un trasduttore, pertanto l'unico approccio
possibile è per confronto con una tensione di riferimento. Questo richiede la disponibilità, tra
gli altri, di un dispositivo in grado di generare un elenco di tensioni, di valore certo, stabile e
corrispondente a uno specico numero binario; si tratta del convertitore digitale/analogico, DAC
o DA.
Questo comporta avere un prestabilito numero di tensioni generabili e la loro distribuzione, un
metodo di identicazione compatibile con la logica del calcolatore, una tecnica per generare le
tensioni necessarie e una procedura per la gestione del processo.
Tornando ai punti chiave del ponte, potremo dire che:
1. l'utilizzo della codica binaria è imposto dal contesto: è quella su cui sono basati i circuiti
digitali degli elaboratori elettronici;
2. l'utilizzo della logica intera è dettato da esigenze di rapidità: si tratta della modalità più
semplice e veloce per la gestione di un'informazione numerica. Basta pensare alla banalità
delle operazioni di somma e prodotto:
Sinteticamente:
nBit−1
X
B(bi , 0 = 1 : nBit − 1) ⇒ D = bi 2i
i=0
3. l'impiego della logica intera con il sistema binario comporta un massimo numero gestibile:
per rappresentare il dato intero è necessario defnire a priori il numero di bit; stabilito
questo valore, il numero di possibili congurazioni è espresso in potenza di 2, nB = 2nBit ,
mentre i numeri rappresentabili vanno da 0 a BM ax = 2nBit − 1 ; ne consegue un numero
nito di valori con cui potrà essere operata la conversione. Connaturato con il sistema
abbiamo quindi un limite di risoluzione. Il numero di bit utilizzati per la codiche è
una caratteristica della architettura hardware del convertitore A/D: modicarla signica
sostituire l'intero sistema di acquisizione.
N bit Livelli
3 8
4 16
8 256
10 1024
184 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Dal punto di vista della misura, questa relazione ricostruisce la tensione a partire dal numero
binario:
VM is = B · Q ≈ VIn
è quindi la relazione di misura del trasduttore AD, e il quanto rappresenta la funzione di
trasferimento del misuratore associato al trasduttore.
La misura binaria viene invece determinata come:
VIn
B = int
Q
In questa equazione è stato inserito l'operatore di troncamento, necessario per aver B intero e
rappresentare matematicamente l'eetto della discretizzazione. La funzione di trasferimento di
quantizzazione, o di taratura nominale, è:
B .
= int
VIn Q
A causa del troncamento, tutte le tensioni che non dieriscono da B Q per più di mezzo quanto
daranno luogo alla stessa codica, B , e quindi alla stessa misura; se si preferisce: a un singolo
valore binario viene associato un intervallo di tensioni di ampiezza pari al quanto.
Possiamo utilizzare anche in questo caso il classico diagramma di taratura, riscontrando che il
trasduttore convertitore AD è dotato di una funzione di taratura a gradini, in maniera del
tutto analoga a un potenziometro a spire. Per enfatizzare gli aspetti del troncamento, viene
riportato il caso di un convertitore unipolare, a soli 3 bit con fondoscala di 10V. Il quanto è
pari a 1.25V (10V /23 ) ed entrando nel diagramma con una qualsiasi delle tensioni sottese a un
tratto orizzontale si ottiene sempre lo stesso livello in uscita. Con riferimento alla gura, tutte
le tensioni nell'intervallo 3.75 − 5V vengono codicate con il livello 011 e misurate con il valore
3.75V .
5.1. CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE 185
Dall'osservazione del graco si evince che la tensione di fondoscala di misura non viene raggiunta:
nBit FS 1
VM is_M ax = BM ax Q = 2 − 1 nBit = F S 1 − nBit
2 2
La portata eettiva in uscita è ridotta di un quanto.
La relazione di misura vista è valida per il campo di misura unipolare, cioè di misure solo
positive; nel caso di misure anche negative il limite inferiore del campo di conversione è non
nullo (VM in : VM ax ) e simmetrico (−VM ax : VM ax ). Abbiamo quindi una doppia denizione di
ampiezza del campo o fondoscala: il fondoscala di misura, che costituisce il massimo in valore
assoluto (usualmente simmetrico, che chiameremo Fondoscala di misura o, semplicemente F S ),
e la dimensione del campo di misura (distanza tra tensione massima e minima) VM in : VM ax ,
(che chiameremo Fondoscala di acquisizione o F SA) che, per quanto detto, pari a 2VM ax . Valori
tipici sono:
Nel caso di campo bipolare la relazione di misura deve essere corretta per tenere conto che
gli zeri dei due riferimenti non coincidono. Infatti per un ingresso nullo il numero binario è
B0 = BM ax /2, quindi nella relazione di misura dovrà essere inserita la traslazione dell'origine:
BM ax
VM is = B − · Q ≈ VIn
2
Nel caso bipolare dal punto di vista della risoluzione, a parità di numero di bit e di fondoscala
di tensione, si avrà un raddoppio dell'errore.
mentre l'errore di errore di quantizzazione, il cui valore massimo è pari a metà del quanto:
Q ≤ ±Q/2
1LSB = Q = F SM ax /2nBit
Nella tabella sono riportati alcuni esempi di valori rappresentativi allo scopo di ricordare gli
ordini di grandezza degli elementi in gioco.
Come evidente risoluzione migliora al crescere del numero di bit: un convertitore a 10 bit, con
una risoluzione di 1/1024 sul FS, sembrerebbe fornire un valore più che suciente per molte
applicazioni; peraltro è quasi impossibile trovare sistemi di acquisizione di utilizzo generale con
meno di 12 bit; i sistemi più diusi ne hanno almeno 14 o 16. Il requisito di progettazione alla
base di questa scelta è quello di rendere l'errore di quantizzazione trascurabile rispetto alle altre
fonti di errore.
2. un'unità logica di controllo che genera una serie di valori Bi , in modo da spazzare il campo
0 − 2nBit − 1, secondo una strategia di ricerca della tensione Vi uguale all'ingresso Vx ;
3. un comparatore che interrompa il processo quando |Vi − Vx | < Q/2;
4. un orologio che scandisca il ritmo di lavoro.
Come detto: nel caso più banale il convertitore le prova tutte, cioè esegue una ricerca lineare,
in questo modo necessitando un numero di cicli quanto più alto quanto la tensione da misurare si
avvicina al fondoscala; evidente come questa tecnica sia particolarmente poco eciente: dovendo
misurare due valori vicini al fondoscala si dovrebbe ogni volta scandire tutti i valori a partire dal
minimo. Una tecnica più sosticata, come una ricerca per bisezione, consentirebbe di ridurre i
tempi limitando il numero di cicli sempre al numero di bit.
Avendo visto che il funzionamento di un AD dipende dalla generazione di una tensione di con-
fronto, la qualità dell'operazione dipende in maniera diretta dalla qualità di generazione di questi
valori. Naturale chiedersi se questi eetti sono confrontabili con il limite di risoluzione. É quindi
necessario occuparsi del convertitore digitale/analogico che l'A/D utilizza.
Figura 5.6: Schema elettrico del circuito sommatore di un convertitore a resistenze pesate
n−1
X VR
VOut = R bi
Ri
i=0
n−1
X 1
VOut = VR bi
2N −i
i=0
É evidente come, soprattutto all'aumentare del numero di bit del convertitore, possa essere
complicato disporre di resistenze correttamente scalate per avere un comportamento ideale.
Cerchiamo di capire cosa può succedere simulando un convertitore costruito con resistenze reali,
cioè con componenti di caratteristiche che possono essere non nominali, anche se di poco.
Prendiamo in considerazione un DAC a 10 bit e ipotizziamo di avere resistenze non perfettamente
selezionate sui valori richiesti (deviazione standard dei 10 valori di resistenza ≤ 0.01%).
Il diagramma mostra la dierenza tra il valore teorico e quello prodotto dal circuito reale espressa
in frazione del quanto (la distanza tra le linee rosse è pari al quanto).
In questo caso l'errore di realizzazione è piccolo rispetto al quanto e utilizzando serie di
resistenze diverse l'errore rimane sempre ben al di sotto dell'errore di quantizzazione.
5.1. CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE 189
Figura 5.7: Errori di un singolo dispositivo Figura 5.8: Errori di più dispositivi
Si lascia al lettore ricavare le relazioni che deniscono la tensione in uscita dal circuito.
Commento nale Sono reperibili schede da 12,14,16 o anche più bit; con questi sistemi la
risoluzione non è più un problema e, nell'analisi del sistema, si terrà conto semplicemente delle
altre caratteristiche di qualità. Occorre però tenere conto che la conversione richiede tempo,
quindi un elevato numero di bit potrebbe signicare tempi di conversione lunghi, con potenziali
problemi di compatibilità con speciche esigenze di prova. A titolo di esempio: gli AD delle
schede audio dei PC sono a 20 bit ma hanno tempi di conversione relativamente alti: le frequenze
di acquisizione sono infatti di 44 kHz contro 1 o più MHz delle comuni schede di acquisizione
dati.
Il confronto tra comportamento eettivo e quello stimato con una regressione sui da-
ti consente di denire una fascia di non linearità la cui ampiezza denisce il massi-
mo scostamento della caratteristica reale da una retta e viene denominata non linea-
rità assoluta. Essa viene tipicamente espressa in percentuale del fondoscala in for-
ma lineare (AN L/F S ∗ 100) o sfruttando la denizione di deciBel (20log10 (AN L/F S)
). Si tratta di una valutazione di carattere globale, analoga all'accuratezza.
In termini locali, i punti adiacenti dovrebbero essere spaziati di un valore pari al quanto (indicato
con AD nel graco). Nel funzionamento reale i punti sono spaziati di un intervallo di ampiezza
diversa A0D ; questa discrepanza viene detta: non linearità dierenziale.
L'eetto è un'alterazione della sensibilità locale: a una assegnata variazione della tensione in
ingresso la variazione può non essere corretta e diversa in diverse posizioni del fondoscala.
Nel passaggio da analogico a digitale (in questo caso gli assi sono scambiati), le non linearità
del DAC possono produrre la sovrapposizione delle bande di conversione. In presenza di forte
non linearità dierenziale un gradino può essere totalmente assorbito da quelli adiacenti. In
questi casi, la tecnica di ricerca, basata sul funzionamento nominale, può essere ingannata, no
all'impossibilità di identicare un particolare gradino: la corrispondente tensione verrà sempre
attribuita a un altro livello e il suo codice non sarà mai presente nell'uscita. Tale fenomeno
prende il nome di missing code; la dichiarazione no missing codes è una tipica indicazione di
qualità per un sistema di conversione.
Le due opzioni hanno lo stesso scopo: quello di portare la tensione da rilevare in prossimità del
fondoscala di misura agendo sul segnale o sul convertitore in modo da mantenere l'errore relativo
sulla misura dello stesso ordine di quello sul fondoscala. Il peso dell'errore caratteristico viene
quindi ridotto e l'errore relativo si riduce di un fattore pari al fattore di amplicazione
Nella catena di misura si introduce un elemento che può essere a sua volta fonte di incertezza:
il guadagno è nominale e potrebbe essere non perfettamente stabile nel tempo.
Le schede sono dotate di amplicatori che consentono di adattare il fondoscala al campo di
escursione delle misure. Se non utilizzabili, o non adeguati, si ricorre all'amplicazione esterna.
Sulle schede tecniche dei convertitori è normalmente riportato un elenco di guadagni dispo-
nibili e un paio di fondoscala, unipolari e bipolari; in alcuni casi ne è proposto un elenco con,
evidentemente, gli stessi risvolti operativi.
5.1. CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE 193
Nel primo caso, una volta scelta la polarità, il modo più semplice per denire il guadagno è
dividere il fondoscala per la misura massima prevista e troncare il risultato al valore intero
inferiore:
G = int(F S/VM ax )
Nel secondo la scelta del fondoscala esaurisce la congurazione in quanto si scelgono
contemporaneamente la polarità e il fondoscala.
Nei casi in cui il segnale possa eccedere i valori stimati, es. perché non può essere facilmente
tenuto sotto controllo, è necessario prestare attenzione alla saturazione (superamento del cam-
po di lettura) utilizzando un adeguato margine di sicurezza: sarebbe oltremodo seccante dover
ripetere l'esperimento nel caso di un segnale rilevante in saturazione.
Un altro problema tipico è costituito dalla presenza, nelle diverse misure da realizzare, di un
valore costante che obbliga ad adeguare il fondoscala al valore massimo (costante + ampiezza
variabile) per poi procedere con una elaborazione che fornisce il segnale depurato di un valore
costante elevato. Dalla gura che segue, nella quale è stato volutamente utilizzato un numero di
livelli di discretizzazione basso, risulta evidente che i livelli inferiori non sono utili alla descrizione
del segnale.
Schemi riassuntivi Si riportano alcuni schemi utili per sintetizzare gracamente il sistema
di conversione.
Misura in presenza di quantizzazione Questo schema sintetizza le funzioni svolte da un
convertitore analogico-digitale e identica le funzioni svolte a livello hardware e software.
194 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
5.2 Il Campionamento
Campionare un segnale signica fotografare il segnale stesso in una sequenza nita di istanti
costituita dai valori istantanei assunti dal segnale continuo in determinati tempi, detti di cam-
pionamento. L'intervallo che separa due successivi campionamenti è detto periodo di cam-
pionamento TC (TS da sampling time). Il reciproco del periodo di campionamento prende il
nome di frequenza di campionamento, fC (fS da sampling frequency).
Quindi il segnale digitalizzato è costituito da una funzione tempo discreta, limitata al
periodo di osservazione denito da un numero predenito di istanti e quantizzata, cioé a valori
discreti.
In assenza del segnale completo, l'esame dei soli dati campionati, potrebbe comportare un errore
di interpretazione: osservando solo le crocette, il segnale viene naturalmente interpretato come
evolvere alla frequenza inferiore possibile. Sembra di avere a che fare con una sinusoide di
una certa frequenza ma, in realtà la frequenza è più elevata ma non è adeguatamente campionata
e appare essere una armonica a frequenza inferiore. Questa ambiguità è nota come aliasing, dal
latino alias - sembrare.
L'errore nell'interpretazione del contenuto in frequenza del segnale originale è riscontrabile anche
nell'esperienza quotidiana: ne sono esempi le luci stroboscopiche nelle discoteche e le ruote di
carri e automezzi nei lm.
Il fenomeno può essere meglio visualizzato nel dominio delle frequenze: la rappresentazione
spettrale di un coseno è una linea collocata alla frequenza corrispondente alla pulsazione del
segnale. La sinusoide a frequenza maggiore dovrebbe essere collocata nella parte destra del
diagramma; al contrario, appare in quella a sinistra; nel secondo caso addirittura appare a
frequenza nulla.
Dimostrazione
Consideriamo la generica sinusoide di frequenza f , rappresentativa della dinamica di un segnale
da acquisire, campionata con passo TC = ∆t (frequenza di campionamento fC ): sin (2πf t).
Ampiezza e fase sono inessenziali per gli scopi della dimostrazione, per cui sono state scelte la
prima unitaria e la seconda nulla.
4. Analisi dei casi possibili e confronto tra la frequenza ricostruita f¯ e quella originale f : se
coincidenti il campionamento non ha introdotto ambiguità, se diverse il campionamento
ha modicato la frequenza del segnale.
t = k∆t
Ottenendo
f
=p+q
fC /2
Quindi la funzione sinusoidale si trasforma inne in:
sin (2πf t) = sin (π(p + q)k) = sin (πpk)cos(πqk) + sin (πqk) cos (πpk)
q fc
f1 = =q
2∆t 2
Si sviluppa ora il caso di p dispari:
cos(πk)sin(πqk) =
198 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
cos(πk)sin(πqk) − sin(πk)cos(πqk)
Poiché il secondo termine sin(πk) è identicamente nullo si ottiene: sin(2πf k∆t) =
sin (π(q − 1)k).
Inoltre poiché l'argomento è negativo, cambiamo segno per avere frequenze positive:
2∆t 1−q
sin(2πf k∆t) = −sin (π(1 − q)k) = −sin π(1 − q)k = −sin 2πk∆t
2∆t 2∆t
La funzione sinusoidale è sfasata di 180◦ (cambia il segno) e anche in questo caso si ha una
frequenza apparente:
1−q fC
f2 = = (1 − q)
2∆t 2
A dierenza del caso precedente la variazione rispetto a q è cambiata di segno, cioè per un
piccolo incremento della frequenza (p inalterato e q crescente) la frequenza apparente diminuisce.
Eettuando invece un campionamento con passo T C =0.0025s (f C =400 Hz) si ottengono i valori
p =5; q =0.125 .
Essendo p dispari:
1−q 1 − .125 .875
f2 = = = = 175 Hz
2∆t 2 × .0025 .005
In questo caso la sinusoide a 1025 Hz si è trasformata in una sinusoide a 175 Hz per il
campionamento a 400 Hz
L'eetto su un tono aetto da aliasing dipende dal rapporto tra la frequenza del segnale e la
frequenza di campionamento. Potremmo pensare a un metodo euristico per capire se c'è aliasing:
1. campioniamo il segnale a due frequenze diverse;
2. confrontiamo il contenuto in frequenza nei due casi;
3. se la forma dello spettro non cambia allora il campionamento è corretto altrimenti la
modica dello spettro evidenzia la presenza di aliasing.
Ma non avrebbe senso operare in questo modo: non solo il metodo Trial and error non è
eciente ma potrebbe non essere né ragionevole né possibile ripetere l'esperimento. In realtà
abbiamo dimostrato il teorema di Nyquist o Shannon o del campionamento:
un segnale sinusoidale campionato non ammette ambiguità di interpretazione se la
sua frequenza è inferiore o al più uguale a metà di quella di campionamento.
p nullo fApparente = q f2C = f
I casi sono 3: p pari fApparente = q f2C 6= f
p dispari fApparente = (1 − q) f2C 6= f
Quindi per non avere ambiguità di rappresentazione, cioè per evitare l'aliasing, p deve essere
nullo. Ne risulta un limite in frequenza al contenuto armonico del segnale perché non ci sia alia-
sing; questo limite può essere visto come la banda passante del campionamento ed è identicato
come frequenza di Nyquist:
1
fLim = fC = fN
2
Si ribadisce che i dati campionati senza rispettare il teorema del campionamento sono corretti
per quanto riguarda i loro valori nel tempo, mentre è il loro contenuto in frequenza che risente
della distorsione dovuta all'aliasing.
Riassumendo:
• Assegnata la frequenza di campionamento non si ha aliasing solo per i segnali a frequenze
inferiori alla frequenza di Nyquist.
• Il campionamento determina quindi la banda passante dello strumento sistema di
acquisizione dati: 0 − fN .
Il teorema del campionamento (di Shannon o di Nyquist) detta quindi la condizione
per evitare l'aliasing (condizione necessaria per un corretto campionamento): Se un segnale
è campionato con una frequenza almeno doppia di quella a partire dalla quale il contenuto
armonico si annulla allora il campionamento non introduce errori di aliasing nel contenuto
armonico del segnale.
A(f < fN ) 6= 0
A(f ≥ fN ) = 0
Avendo interesse per la banda no a 25 Hz campioniamo a 50Hz. Avendo commesso aliasing
sulla terza armonica, si ha la situazione rappresentata nelle gure seguenti:
Tempo
Blu: Segnale acquisito
Rosso: Segnale teorico bassa freq.
Verde: Segnale completo
Frequenza
Blu: Trasformata segnale acquisito
Rosso: Trasformata corretta
Ellisse verde: Aliasing
Nel diagramma nel tempo il segnale acquisito è stato rappresentato unendo i punti disponibili.
In quello in frequenza è evidente la distorsione dovuta all'aliasing in frequenza. Cerchiamo di
capire l'eetto di un ltraggio sulle frequenze in aliasing.
Filtraggio di segnale multitonale ideale Nei graci che seguono il valore dell'attenuazione è ri-
portato in forma Lineare (1 − Out/In) e in decibel ( 20log10 (Out/In)). É immediato osservare
come sia necessario raggiungere un livello di attenuazione relativamente alto (indicativamente
5.2. IL CAMPIONAMENTO 201
99dB, cioè circa 10−5 ) oltre il quale la qualità del risultato non migliora e che un'attenuazione
più spinta non porta a dierenze apprezzabili. L'errore percentuale rispetto al valore massimo
del segnale elaborato scende sotto l'1% quando il picco corrispondente al tono aetto da alias
diventa impercettibile.
Figura 5.31: Evoluzione dell'eetto del ltraggio su storia temporale e spettro del segnale
campione
Si può notare come quando l'errore scende sotto il livello del rumore (-95dB) l'errore di aliasing
tenda a confondersi con il rumore presente nel segnale trasformato. I graci in frequenza corri-
spondenti ad attenuazioni di 98, 99 e 99.5 dB sono praticamente uguali. É quindi inutile pensare
di migliorare la qualità del contenuto in frequenza attenuando il segnale molto al di sotto del
livello di rumore presente nel sistema. Otteniamo però un'indicazione importante: per ottenere
un segnale a banda limitata è suciente imporre un'attenuazione tale da portare l'aliasing resi-
duo a essere una frazione della peggiore disturbo presente nella misura; pretendere di attenuarlo
completamente comporterebbe solo di spostare a frequenze superiori la frequenza di Nyquist.
VOut
G = 20 log VIn
Ricordiamo che G = 0dB signica rapporto VOut /VIn unitario, cioè nessuna attenuazione, e che
G<0dB signica VOut /VIn <1, evidenzia l'attenuazione dell'ampiezza del segnale.
La legge (pendenza) di attenuazione dipende dall'ordine del ltro, tipicamente 6 ×
OrdineF iltro /Ottava o 20 × OrdineF iltro /Decade.
In realtà il modello asintotico vale per frequenze lontane da quella di taglio. Nella zona di
transizione esiste una regione di transizione, detta di roll-o che nel diagramma asintotico è
semplicata con uno spigolo vivo mentre si ha una variazione continua e regolare. Convenzional-
mente si denisce come frequenza di taglio di un ltro quella per cui l'attenuazione del segnale è
pari a -3dB (fattore di riduzione 0.7): l'attenuazione ha quindi inizio già prima della frequenza
di taglio, con modalità dipendenti dalla realizzazione del ltro stesso, e la banda utile per la
misura, a guadagno rigorosamente unitario, è ridotta.
Figura 5.34: Diagramma di funzionamento di ltro antialiasing reale; dettaglio della zona di
ginocchio
Le funzioni di trasferimento dei ltri anti aliasing sono in realtà ancora più complesse e dipendono
dalla tecnica di realizzazione. Nelle gure seguenti sono riportate alcune curve caratteristiche
reali:
Attorno alla frequenza di taglio il ltro ha un comportamento che dipende dalla modalità rea-
lizzativa (si veda il riquadro ingrandito). Ovviamente la qualità della misura non deve risentire
delle speciche caratteristiche del ltro nella zona di taglio. Quindi il comportamento nella zona
di roll-o determina il rapporto r banda passante/ frequenza di taglio utile a scopi metrologici
(si veda la linea verticale nel diagramma di sinistra a frequenza adimensionale inferiore a 1).
Nella gura è poi evidente come un ltro come il seven pole abbia un limite di attenuazione (ca.
-85dB). In realtà tutti i ltri reali presentano un'attenuazione massima legata alla loro qualità
intrinseca: se il guadagno è unitario con una uttuazione dello 0.1% non potremo pretende-
re un'attenuazione superiore a −100dB ; alle frequenze in cui nominalmente si avrebbe ancora
attenuazione, il ltro produce rumore.
204 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Volendo rappresentare questo fatto con il diagramma del ltro ideale avremmo l'andamento
riportato nella gura seguente:
Il livello di attenuazione limite si trova a un'attenuazione pari alla variabilità del guadagno in
banda utile (una sorta di spessore della linea che lo rappresenta).
Sarebbe quindi solo controproducente usare una frequenza di Nyquist più alta perchè l'alia-
sing residuo sarebbe lo stesso e ci troveremmo semplicemente con una richiesta di frequenza di
acquisizione superiore.
Gracamente:
L'attenuazione nominale dei ltri è espressa in dB/decade o dB/ottava attraverso l'ordine del
ltro. Si può quindi ricavare il moltiplicatore della frequenza di taglio in decadi o ottave:
dBAtt
Decadi: FN yquist = FT aglio · 10 dBF iltro
dBAtt
Ottave: FN yquist = FT aglio · 2 dBF iltro
Gracamente:
Il contributo armonico residuo darà ancora origine ad aliasing ma la sua ampiezza sarà
trascurabile in quanto confusa nel rumore preso come riferimento.
Esempio
Disponiamo di un ltro anti-aliasing a frequenza di taglio programmabile con attenuazione di
36dB/ottava e di una scheda di acquisizione dati a 12 bits unipolare, con errore di linearità 0.1%.
Si chiede a quale frequenza, espressa in multipli di quella di taglio, occorre campionare per
evitare l'aliasing.
Esistono diverse sorgenti di rumore. Ammettendo che il ltro sia ideale (in realtà anche i suoi
contributi di errore andranno conteggiati) sono disponibili due indicazioni:
Il rumore intrinseco del sistema, per gli elementi dichiarati, è quindi valutabile in 4 livelli, pre-
ponderante rispetto a 0.5 livelli della quantizzazione. Per evitare aliasing il contenuto armonico
dovrà essere attenuato al disotto del livello del rumore peggiore, in tensione: 4F S/2nbits . Me-
glio: a 1/4 di tale valore. Vedremo che così facendo l'aliasing potrà non essere conteggiato nella
denizione della qualità della misura.
Ammettendo una copertura del 100% del fondoscala, esprimiamo in dB l'attenuazione richiesta
rapportando il livello di errore al FS:
Rumore 1 nQ
= = 1/212 = 0, 000244
M isura 4 FS
Applicando la formula per il calcolo dei decibel: 20log10 (0, 000244) = −72.2dB .
L'attenuazione richiesta è quindi -72dB e data l'attenuazione del ltro di -36dB per ottava, sono
necessarie 2 ottave per ottenerla. Occorre quindi raddoppiare due volte la frequenza di taglio
e la frequenza minima di campionamento del segnale ltrato risulta:
fC = 2 × fT o × 2NOct = 8 ∗ fT
Gracamente:
Figura 5.41: Eetto del ltraggio antialiasing sulla trasformata del segnale
Esercizio Si supponga di dover misurare accelerazioni con una banda di 200Hz. Si dispone
di un PC dotato di una scheda di acquisizione dati con una risoluzione di 12 bits con indice di
accuratezza pari a 0.5%. Gli accelerometri disponibili, nella banda di interesse presentano un
indice di accuratezza pari a 1%. Come anti-aliasing si dispone di ltri di Butterworth di cui è
fornito il diagramma di funzionamento.
Si richiede di scegliere la minima frequenza di campionamento utile, compatibilmente con le
informazioni disponibili.
Per evitare aliasing si deve realizzare una banda limitata con un ltro passa-basso in modo da
ottenere una fmax , o fN yq , al di sopra della quale in contenuto armonico sarà trascurabile; poi
si sceglierà fc ≥ 2fmax .
Per denire fmax non si può fare solo riferimento alla massima frequenza di interesse: servono
anche le caratteristiche del ltro.
Il ltro comincia ad attenuare prima della frequenza di taglio (-3dB).
Un ltro passa basso lascia inalterato il segnale no a una frazione della freq. di taglio:
fU nit = fT ag Coef →fT ag = fU nit /Coef
Dall'analisi delle caratteristiche del ltro (Butterworth) si ricava un fattore non superiore a 0.8,
e la frequenza di taglio dovrà quindi essere ≥200/0.8 = 250.0Hz .
Attenuazione richiesta:
Analizziamo gli indicatori di qualità degli elementi che costituiscono il sistema.
1. risoluzione AD 12 bits
2. indice di accuratezza AD 0.5%.
3. accuratezza accelerometro 1%.
Frequenza di campionamento
Data la caratteristica del ltro, tenendo conto della pendenza in attenuazione e del livello
di attenuazione richiesto, si deciderà la frequenza di Nyquist con un ulteriore fattore mol-
tiplicativo. Poiché il ltro garantisce una attenuazione richiesta di 52dB da circa 2.2 volte la
frequenza di taglio (come da gura), avremo:
Potendo presumere una adeguata attenuazione del contenuto armonico oltre questa frequenza,
per il teorema di Nyquist la frequenza di campionamento dovrà essere: fC = 2 × fN yquist =
1100Hz . La frequenza di campionamento è, in questo caso, circa 5.5 volte la frequenza di
interesse.
Variante: del ltro può essere noto l'ordine. Questa informazione fornisce una regola per la
denizione della capacità di ltraggio:
#dB/Ottava = 6 × Ordine o #dB/Decade = 20 × Ordine.
Nel nostro caso essendo l'ordine 8, usando le decadi si ha: #dB/Decade = 20x8 = 160
La frequenza di Nyquist sarà quindi collocata a:
dBAtt
52
FN yquist = FT aglio · kN dove kN = 10 dBF iltro = 10 160 = 100.325 = 2.114
Il valore è leggermente inferiore a quello stimato dal graco del ltro e la frequenza di
campionamento diventa:
fC = 2 · FT aglio · kN = 2 · 250 · 2.114 = 1057Hz
fC = 2 · fN = 2 · fT aglio · 10 dB/Dec
Poiche l'incognita è dBAtt :
fT aglio
dB/Dec = dB/Att / log10 2
fC
e poiché dB/Dec = 20Ord, l'ordine minimo del ltro AA risulta essere:
dB/Dec
dBAtt fT aglio 52 250
Ord = = / log10 2 = / log10 2 = 2.6
20 20 fC 20 5000
210 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Portando a un valore intero il risultato si ha 3, o più spesso 4 per ordini di ltro pari.
Possiamo fare qualche considerazione preliminare riprendendo gli elementi signicativi del con-
testo: il mondo del computer è intrinsecamente discreto e, in maniera del tutto analoga a quanto
avviene nel tempo, il contenuto in frequenza di un segnale campionato non può che essere de-
scritto con un vettore di termini complessi, grazie alla trasformata discreta di Fourier (DFT)
caso particolare della Trasformata di Fourier. La frequenza è quindi un dominio discreto fi per
il quale è possibile individuare le caratteristiche fondamentali di ampiezza e passo. L'estensione
della trasformata digitale di un segnale campionato con frequenza fC , è denita dal teorema
del campionamento: [−fM ax : +fM ax ] con fM ax = fN = fC /2 La trasformata discreta è una
funzione complessa con parte reale simmetrica e immaginaria antisimmetrica; questa proprietà
deriva dal fatto che anche la storia campionata può essere considerata una variabile complessa
con la caratteristica di avere la parte immaginaria nulla. Poiché la nestra di osservazione è
costituita da N + 1 valori, dall'istante 0 all'istante N ; evidentemente il numero di frequenze
discrete sarà pari a tale valore, dato che trasformando le informazioni non è possibile
cambiarne il numero, e distribuito nel campo [−fM ax : +fM ax ].
Abbiamo quindi N + 1 valori di frequenza, N/2 negativi, N/2 positivi e uno nullo, spaziati di:
∆f = 2fM ax /N . Sostituendo alla frequenza massima (Nyquist) la sua espressione in funzione
del passo di campionamento otteniamo: ∆f = fNC = N1∆t = TOss 1
Quindi, quanto più a lungo si osserva un fenomeno tanto meglio sarà possibile risolvere il
dominio della frequenza, cioè distinguere contenuti armonici molto vicini uno all'altro.
Azione nel tempo Eetto nel dominio delle frequenze
Riduzione tempo di campionamento Ampliamento campo di frequenze analizzato;
Riduzione risoluzione in frequenza
Aumento nestra di osservazione Aumento risoluzione in frequenza
É immediato osservare che si possono presentare situazioni per le quali linee spettrali del segna-
le non trovano corrispondenza nell'elenco di frequenze disponibili per la loro rappresentazione
in frequenza. In una simile situazione si può ipotizzare che l'operatore di trasformata di Fou-
rier sia costretto a utilizzare le frequenze adiacenti per descrivere l'energia del tono mancante,
verosimilmente con una alterazione della forma dello spettro.
Possiamo anche adottare un'altra ottica. Una acquisizione priva di aliasing è condizione ne-
cessaria per poter dire di aver campionato correttamente un segnale. Possiamo chiederci se sia
anche condizione suciente. La risoluzione in frequenza fornisce un'informazione circa la discre-
tizzazione del dominio ma nulla dice su possibili eetti di alterazione dello spettro del segnale
acquisito.
212 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Le considerazioni sono di validità generale: quanto dedotto per un segnale armonico varrà per
ogni linea spettrale di un segnale più complesso. Utilizziamo l'algoritmo FFT di Matlab in
grado di fornirci il contenuto in frequenza di un segnale campionato:
fs=50;, ff=8;
t=[0:1:60]/fs; ,
s=sin(t*2*pi*ff);
subplot(211), plot(t,s,'-x')
title(sprintf('segnale sin(2*pi*\%d*t), fs=\%d',ff,fs))
ylabel('Funzione'), xlabel('Tempo [s]')
st=abs(fft(s));
subplot(212), stem([0:1/(length(t)/fs):fs/2],2*st(1:end/2+1))
xlabel('Frequenza [Hz]'), ylabel('Trasformata')
Figura 5.49: Storia temporale del segnale campionato e ampiezza della trasformata
Variamo i parametri dell'acquisizione per valutarne l'eetto, a parità di numero di punti. Co-
minciamo dell'aumento della frequenza di campionamento; la gura seguente è stata ottenuta
aumentando la frequenza di campionamento a 120 Hz.
Proviamo ora ad agire sul tempo di osservazione, preso 5 volte più lungo con la frequenza iniziale.
Figura 5.52: Confronto dell'eetto di diusione dell'energia per i due tempi di osservazione
L'aumento del tempo di osservazione sembrerebbe aver portato a un miglioramento della si-
tuazione; verichiamo il risultato ripetendo l'analisi aumentando progressivamente il numero di
punti, quindi la risoluzione in frequenza; sovrapponendo gli inviluppi delle diverse analisi, si
ottiene il graco riportato (scala logaritmica per asse y).
Figura 5.54: Acquisizione con tempo di osservazione multiplo della periodicità del segnale
Ciò accade quando il tempo di osservazione coincide con un multiplo intero del periodo proprio
del segnale: TOss = kPS . In questa situazione la frequenza del segnale coincide con una
5.2. IL CAMPIONAMENTO 215
Figura 5.55: Eetto del leakage sulle armoniche per numero d'ordine e per frequenza
Questo signica che in termini assoluti l'eetto del leakage può essere connato in un intervallo
di frequenze stabilito a priori, sia in termini di frequenza che di numero di armoniche interessate,
denendo in maniera coerente il tempo di osservazione.
216 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Nella gura seguente sono riportate le ampiezze della trasformata dei tre segnali originali (sini-
stra) e dopo la nestratura (destra) in scala logaritmica: l'eetto del leakage sulle curve rossa e
verde è evidente nella gura di sinistra; in quella di destra risulta altrettanto evidente la ridu-
zione di questo eetto a fronte dell'introduzione di un errore sulla curva blu. Nel complesso la
situazione è comunque migliore.
Figura 5.58: Confronto trasformate senza e con nestratura (scala ordinate logaritmica)
Si nota che la stima del contenuto armonico del segnale soggetto a leakege è migliore in presenza
della nestratura mentre peggiora quella del segnale correttamente campionato.
L'utilità della nestratura, una volta che sia stato introdotto un leakage eccessivo, è evidente
nelle gure seguenti. A sinistra il segnale è rappresentato nel dominio temporale: in alto il
segnale e la sua porzione acquisita, al centro la funzione di nestratura e in basso la funzione
"nestrata"; a destra sono riportate le trasformate:É evidente che senza la nestratura l'errore
dovuto al leakage impedisce di cogliere la presenza delle armoniche superiori cosa che non succede
con la nestratura.
Una curiosità: è possibile fare un'analogia tra il leakage e l'eetto sfuocato in una fotograa
dovuto a un'ottica di scarsa qualità, non in grado di leggere linee troppo sottili e/o troppo
vicine: il risultato è una immagine morbida senza dettagli ni e con linee dai contorni sfumati.
I fotogra professionisti, pur utilizzando lenti di ottima qualità, che permettono di leggere i
dettagli più minuti, quando realizzano ritratti possono mettere una calza di nylon sull'obiettivo
per ridurre rughe troppo evidenti.
Scelta della risoluzione in frequenza Occorre capire con quale criterio si può denire una
corretta risoluzione in frequenza, ricordando che alta risoluzione in frequenza signica in realtà
un numero piccolo, che rappresenta la minima distanza in frequenza dei punti nello spettro. Il
criterio più è alta meglio è! è certamente conservativo ma potrebbe comportare problemi (es.
la necessità di gestire una mole elevata di dati). Dobbiamo chiederci come sia possibile denire
razionalmente questo parametro. Consideriamo alcuni possibili requisiti:
Possiamo ottimizzare la copertura del FS amplicando il segnale con il guadagno 10 (100 e 1000
porterebbero a saturazione) ottenendo 55.1%.
Elementi per la qualità della misura La risoluzione nel caso bipolare in esame e con il guadagno
adottato è:
F SM ax − F SM in (10V ) − (−10V )
Q= N
/guadagno = /10 = 0.488mV
2 212
In termini di deciBel: 20log(1/212−1 ) = 20log(0.488mV /(10V /10)) = −72dB .
L'errore massimo sulla misura di accelerazione è:
Q [mV ]/2 0.488 mV /2
00
= = 0.0025 g
Sensibilit [mV /g] 95 mV /g
Caratteristiche dinamiche
Frequenza di campionamento fC
Per evitare aliasing si deve realizzare una banda limitata con un ltro passa-basso in modo da
ottenere una fmax , o fN yq , al di sopra della quale il contenuto armonico sarà trascurabile; poi
si sceglierà fc ≥ 2fM ax .
Per denire fmax si deve fare riferimento alla massima frequenza di interesse, ma anche alle
caratteristiche del ltro antialiasing a disposizione a al livello di attenuazione necessario.
5.2. IL CAMPIONAMENTO 221
Data la caratteristica del ltro, tenendo conto della pendenza in attenuazione e del livello
di attenuazione richiesto, si deciderà la frequenza di Nyquist con un ulteriore fattore molti-
plicativo. L'unico rumore presente è quello legato alla quantizzazione, normalmente signicati-
vamente inferiore agli altri errori di misura; per questo motivo non viene applicata la riduzione
di 12dB dell'attenuazione richiesta. Il ltro garantisce una attenuazione di 72dB (la risoluzione
dell'A/D) da quasi 3 volte la frequenza di taglio, quindi: fN yquist = 3 × 1.25 × fM ax = 375Hz
Potendo presumere una adeguata attenuazione del contenuto armonico oltre questa frequenza,
per il teorema di Nyquist la frequenza di campionamento dovrà essere almeno: fC = 2 ×
fN yquist = 750Hz .
La frequenza di campionamento risulta essere circa 7 volte la frequenza di interesse. Abbiamo
saturato gli elementi del blocco funzionale Acquisitore dinamico relativamente alla regolazione
del ltro e della frequenza di campionamento.
Risoluzione in frequenza ∆f
222 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Tra i vantaggi del collegamento diretto al bus interno del computer si possono citare:
• costo e dimensioni contenuti: il dispositivo di acquisizione dati non richiede un proprio
contenitore, né una propria alimentazione (questa viene fornita direttamente dal PC);
• maggiore velocità di trasferimento dati dall'acquisizione al PC.
Tra i vantaggi del collegamento esterno al computer, si possono indicare:
• completa indipendenza dei sottosistemi;
• la possibilità di misure remote.
Per la realizzazione di tutte le funzioni di coordinamento e di gestione dell'acquisizione sono
necessari altri componenti; in particolare con riferimento a due problematiche: il tempo nito,
necessario per eettuare la conversione, e la necessità di eettuare misure su più trasduttori.
Il primo è legato al tempo richiesto da un convertitore AD per quantizzare la tensione in ingresso,
il secondo alla necessità di acquisire informazioni da più trasduttori simultaneamente, decine o
anche centinaia.
5.3. I SISTEMI DI ACQUISIZIONE DATI 223
Fin qui il comportamento nominale. Problemi legati alla relizzazione pratica delle circuiteria
del S/H sono una progressiva perdita di carica del condensatore, che porta a una caduta o
aevolimento della tensione in uscita, in inglese droop, e una perdita di carica iniziale
all'apertura dell'interruttore; in inglese pedestal.
224 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Nel caso sia necessario eseguire più misure, è possibile ricorrere a due soluzioni: 1) replicare
l'intera linea di acquisizione per ogni canale (sistema a convertitori multipli) o 2) usare ripetu-
tamente una sola linea di acquisizione, collegandola ciclicamente a uno dei segnali di ingresso
(sistema a commutazione). Riguardo la frequenza di acquisizione valgono le regole già
discusse nel caso di un singolo canale.
La soluzione a convertitori multipli è concettualmente banale, richiedendo solo la sincronizza-
zione delle operazioni eseguite sulle diverse linee per avere misure simultanee, ed evidentemente
più costosa, richiedendo la replica del dispositivo più complesso.
Nel caso di sistema a commutazione, tale operazione è realizzata da un dispositivo detto Mul-
tiplexer (sinteticamente MUX), che collega ciclicamente una delle linee di ingresso con una
singola linea di misura. Si riporta un esempio di architettura di sistema di acquisizione dati
a commutazione, dove il Multiplexer è stato inserito immediatamente a valle dei trasduttori
(ltrati dai circuiti di condizionamento) e provvede a collegare uno degli ingressi di misura con
la linea di acquisizione, composta da Amplicatore, circuito di mantenimento e convertitore.
In questo caso l'architettura è, entro certi limiti, variabile e gli elementi possono essere organizzati
diversamente, cosa che, a parità di dati acquisiti, comporta possibilità operative e prestazioni
dierenti. Gli unici elementi che, invariabilmente, mantengono la posizione sono: il convertitore,
in ultima posizione, e il ltro antialisaing, in prima. Per poter valutare correttamente un sistema
di acquisizione, occorrerà conoscere non solo le caratteristiche dei componenti elementari, ma
anche l'architettura secondo la quale questi sono stati assemblati.
Analizziamo le prestazioni del sistema costruendo la linea del tempo che ne descrive il
funzionamento, sulla quale vengono riportati i tempi caratteristici delle singole operazioni:
• congurazione MUX (tM U X );
• congurazione amplicatore (tG );
• carica e apertura SH (tSH );
• conversione (tAD = 1/fAD ).
Il collegamento sequenziale dei canali in ingresso con un unico convertitore comporta un ritardo
rispetto al primo canale proporzionale al numero di canali:
In alcune applicazioni questo ritardo può costituire un problema. Con un sistema di acquisizione
a convertitori multipli, la sincronizzazione delle operazioni porta naturalmente alla simultaneità
delle misure eettuate sui canali attivi. Per riuscire a eettuare misure contemporanee su tutti
i canali anche con un sistema a commutazione è possibile utilizzare una batteria di mantenitori,
uno per ciascun canale, posta a monte del multiplexer, attivati simultaneamente.
228 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Anche l'amplicatore può essere posizionato a monte del multiplexer. Cerchiamo di valutare
l'eetto di questa modica dell'architettura. Lo spostamento di componenti a monte del
multiplexer ha l'evidente eetto di portare i relativi tempi di funzionamento fuori dal ciclo
sui canali: i mantenitori devono essere attivati una volta sola per ogni ciclo di lettura mentre
non sarà necessario riprogrammare gli amplicatori in quanto il guadagno rimane invariato per
tutta l'acquisizione. L'architettura del sistema diventa quella di gura e risulta essere la più
prestante per l'architettura a singolo convertitore.
Figura 5.82: Linea del tempo per sistema a mantenitori e amplicatori multipli
Il tempo di un ciclo di acquisizione, cioè il tempo necessario per ripresentarsi al primo canale,
diventa:
Poiché il mantenitore viene attivato all'inizio di ogni ciclo di acquisizione, non vengono introdotti
ritardi tra le misure sui diversi canali: l'acquisizione è, di fatto simultanea.
Ovviamente il mantenitore adatto a essere posizionato prima del multiplexer avrà caratteristiche
signicativamente diverse da quello immediatamente a monte del convertitore, in quanto dovrà
5.3. I SISTEMI DI ACQUISIZIONE DATI 229
essere in grado di mantenere congelato il segnale per un tempo molto più lungo, pur garantendo la
stabilità della tensione: infatti se in quest'ultimo caso il tempo di mantenimento richiesto è legato
alla sola velocità di conversione, nel primo viene a dipendere, oltre che dalla componentistica
aggiuntiva, dal numero di canali del sistema.
5.3.6 Esempio
Si devono acquisire 12 canali a 10'000 Hz con una scheda il cui convertitore A/D ha velocità
massima di 300kSamples/s.
Sono richiesti 12×100 000 = 1200 000 campionamenti al secondo, requisito che sembra compatibile
con la prestazione nominale dell' A/D (3000 000Samples>1200 000)
Per sapere se la scheda è adatta, non è detto che ciò sia suciente: occorre conoscere o avan-
zare ipotesi sull'architettura della scheda. Ipotizzando un'architettura con amplicatore
e mantenitore singoli, le azioni da eseguire a ogni campionamento sono:
Supponiamo che per la loro esecuzione siano necessari 10 microsecondi complessivi (informazioni
da ricavare da una scheda tecnica). L'intervallo temporale che intercorre tra due acquisizioni
successive di uno stesso canale tiene conto del tempo di acquisizione e di questi ritardi:
A questo tempo corrisponde una frequenza di acquisizione di 6250Hz; quindi la prestazione del
sistema di acquisizione non soddisfa i requisiti di prova.
5.3.7 Software
Ogni componente della scheda di acquisizione deve essere istruito su come e quando fare quello
che gli chiediamo: deve cioè essere programmato. I comandi sono comunicati alla scheda
mediante la scrittura di codici particolari in apposite posizioni della memoria, dette registri. Sono
disponibili linguaggi di programmazione classici (Visual BASIC, C++, FORTRAN, Matlab, ...
230 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
) e linguaggi graci (LabView, HPVEE) che facilitano la realizzazione di sistemi complessi con
un interfaccia graco che facilita la gestione delle operazioni.
La facilità di gestione delle interfaccia grache, non deve far sottovalutare l'importanza della
comprensione di tutto quello che sta loro dietro e che nascondono.
Le tensioni amplicate risultano essere: Va = 0.1, 1.0, 5.0, 10.0, 50.0, 100.0V
Il guadagno limite si trova per V a ≤ V F S , quindi Va ≤ 5V cioè G = 50. Alternativamente:
Gmax = F S/V max = 5/0.1 = 50 Frequenza di taglio La banda di interesse si estende no a
5000 Hz. Occorrerebbe avere informazioni più precise sul comportamento del ltro attorno alla
frequenza di taglio (-3dB). Per un ltro di Butterworth 8◦ Ord. sono disponibili i diagrammi di
ampiezza e fase
Se ne deduce una frazione di guadagno unitario inferiore a 0.2fT ; un valore inferiore porterebbe
anche a 0 la dierenza di fase.
Quindi: fT = fInt · kF = 5000 · 5 = 25000Hz
Frequenza di Nyquist Campionamento Le indicazioni di imprecisione sono:
1. AD 14 bit, linearità 1%
2. S/H accuratezza mantenimento 0.2%
3. microfoni capacitivi accuratezza 1%
4. Banco ltri livello rumore/segnale 0.1%
232 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Tempo di osservazione
É richiesto di identicare la frequenza di rumori tonali con un errore massimo di 1Hz.
Questa operazione non può che essere eettuata analizzando il contenuto in frequenza del segnale
e individuando la frequenza attraverso il culmine della risposta in corrispondenza dei valori
massimi
Può essere opportuno avere una risoluzione in frequenza pari ad 1/10 di quella richiesta per
poter leggere agevolmente il valore massimo e risalire quindi alla frequenza.
La risoluzione in frequenza di prova dovrà essere quindi 0.1 Hz. Dato il legame tra risoluzione
in frequenza e tempo di osservazione, ∆f = 1/TOss , a questa risoluzione corrisponde un tempo
di osservazione di 10s
Verica compatibilità del sistema di acquisizione
La frequenza di campionamento richiesta è pari a 105700Hz mentre le caratteristiche rilevanti
del sistema di acquisizione sono:
Non è noto se il siatema abbia amplicatori multipli ma, per coerenza con la disponibilità di
mantenitori multipli, si adotta questa ipotesi. Il tempo di ciclo è quindi:
cui corrisponde una frequenza massima di lavoro pari a: 13514Hz . Dato che questa prestazione
è molto ingeriore alla richiesta, il sistema non è compatibile con la prova.
Figura 5.85: Funzione sinusoidale reale nel tempo e sua rappresentazione in frequenza con scala
logaritmica: le armoniche superiori non sono apprezzabili nella rappresentazione temporale
Nel caso di una grandezza denita nel tempo possiamo avere interesse a rappresentarla in diversi
domini:
In questa sede l'interesse è limitato al passaggio tra i domini tempo e frequenza. Abbiamo
già largamente sfruttato le possibilità oerte dall'analisi in frequenza, insite nel fatto che la
funzione f (t) = a cos(ω0 t + ϕ) ammette una rappresentazione sintetica (spettrale) basata su
tre elementi: ampiezza a , pulsazione ω0 e fase ϕ. Nel dominio trasformato l'informazione è in
una forma che:
Non si deve pensare che si tratti di qualcosa di esotico: quasi tutti noi non facciamo più caso, o
almeno non più di tanto, a un arcobaleno.
234 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
In realtà il prisma ottico che scompone un fascio di luce bianca in fasci di luce coerente separa
componenti di luce di lunghezza d'onda dierenti.
Figura 5.88: Funzionamento della decomposizione di luce bianca nelle componenti elementari
Opera in maniera analoga alla trasformata di Fourier quando decompone un'onda quadra nelle
sue componenti elementari:
un dominio B ed esiste un'altra trasformata, detta inversa, che permette il passaggio dal dominio
B al dominio A.
Generalizzando l'approccio, funzioni (segnali) elementari composte da contributi tonali (sinusoi-
dali discreti) possono intuitivamente essere analizzati nel dominio delle frequenze e si può pen-
sare di trattare contenuti in frequenza continui a patto di utilizzare un numero sucientemente
elevato di armoniche elementari.
La Serie e l'Integrale di Fourier forniscono il modello matematico rigoroso per eseguire
l'operazione.
f (t) = f (t + kT ) con k = 1, 2 , . . .
Un segnale di questa natura ammette una rappresentazione attraverso il noto sviluppo in Serie
di Fourier:
Forma reale Forma Complessa
P+∞
f (t) = +∞ −jnω0 t
P
f (t) = a0 + n=1 an cos(nω0 t) + bn sin(nω0 t) n=0 cn e
1
Rπ
a0 =R 2π −π f (t)dt
π Rπ
can = 2π1
R π−π f (t) cos(nω0 t)dt cn = 1
2π −π f (t)e−jnω0 t dt
1
bn = 2π −π f (t) sin(nω0 t)dt
Abbiamo quindi uno strumento, operativo e analitico, per arontare il problema del
passaggio dal dominio del tempo a quello della frequenza:
Da tener presente che la matematica dell'integrale di Fourier non è specica per i domini tempo
e frequenza: può essere utilizzata anche in altri contesti.
Trasformata diretta:
R +∞ R +∞
H(f ) = −∞ h(t)e−j2πf t dt in Frequenza H(ω) = −∞ h(t)e−jωt dt in Pulsazione
Il contenuto di informazioni passa inalterato attraverso questa trasformazione che è reversibile.
Trasformata inversa:
R +∞ R +∞
h(t) = −∞ H(f )ej2πf t df in Frequenza h(t) = 1
2π −∞ H(ω)ejωt dω in Pulsazione
236 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
Le funzioni coinvolte sono continue, complesse e innite nel tempo e in frequenza (-∞ <t <
+∞ , -∞ < f < +∞). Nonostante la denizione (-∞ < f < +∞), la rappresentazione tipica in
frequenza è solo per valori positivi.
Caratteristiche generali dell'integrale di Fourier sono:
1. si applica a funzioni continue nel dominio del tempo;
2. genera funzioni continue nel dominio delle frequenze;
3. se f(t) è reale (come nelle nostre applicazioni) vale la simmetria hermitiana: F (ω )=F* (-ω )
(parte reale simmetrica e parte immaginaria antisimmetrica)
4. si applica sia a funzioni periodiche che non periodiche;
5. come la serie non può essere applicato direttamente alle logiche di un elaboratore.
h(t) = cos(2πf0 t)
i punti di zero sono equispaziati, fK = kT1 0 , il primo è a una frequenza pari all'inverso della
dimensione temporale della scatola. Interessante perché può essere interpretata come una nestra
di misura che limita l'osservazione del tempo ad un intervallo nito.
Funzione impulso :
La funzione impulso è identicamente nulla su tutto il dominio ad eccezione del punto di
denizione t 0 =0, ove ha ampiezza A.
h(t) = A δ(t − t0 )
H(f ) = A
Una forzante impulsiva, dal punto di vista sperimentale, rappresenta la forzante ideale per lo
studio di un sistema dinamico, in quanto eccita uniformemente l'intero spettro delle frequenze.
La realizzazione pratica non consente di ottenere questo risultato e, in funzione dei tecnicismi di
implementazione, la forzante avrà uno spettro più o meno limitato ma comunque non innito.
Funzione costante nel dominio temporale:
La funzione costante ammette come trasformata una funzione impulso collocata a frequenza
nulla.
h(t) = A
H(f ) = A δ(f − f0 )
Il contenuto armonico è nullo su tutto lo spettro ad eccezione di una sola linea spettrale in
corrispondenza della frequenza nulla. L'ampiezza di tale termine è pari al valore medio della
funzione.
Rappresentazione numerica Abbiamo già messo in evidenza come la scala logaritmica con-
sente di rendere visibili termini che in una scala lineare sarebbero appena percettibili. Questo
approccio trova la sua formalizzazione nell'uso del Bel (da Alexander Bell suo ideatore), denito
come logaritmo del rapporto tra il valore in esame e uno di riferimento specico. Peraltro è più
comunemente utilizzato il decimo di Bel: deciBel (dB).
L'utilità della scala logaritmica, e quindi dei deciBel per evidenziare la presenza di minimi
contributi in frequenza risalta dalla gura seguente, nella quale sono confrontate una rappresen-
tazione lineare e una logaritmica delle tre componenti armoniche (ampiezza 1, 0.01 e 0.001) di
un ipotetico segnale.
5.5. REVISIONE DEI CONCETTI FONDAMENTALI DELL'ANALISI IN FREQUENZA 239
Occorre ricordare che si tratta di operatori nonlineari, quindi non si sommano né se ne possono
fare i prodotti! Occorre prima riportare i valori in decibel ai corrispettivi lineari, sommarli o
moltiplicarli, e poi ricalcolare i decibel della somma. Particolarmente ecace in questo senso
analizzare la somma di due suoni entrambi di ampiezza 90 dB: suono che si ottiene ha una
presisone sonora di 93 dB: il raddoppio del segnale porta a un incremento di 3dB. Si riportano
alcuni valori tipici che potrebbe essere opportuno memorizzare.
Valori tipici
dB Rapporto dB Rapporto
˙
10log(W/W ref ) di Potenza ˙
20log(V /V ref ) di Segnale
20 100 40 100
10 10 20 10
3 2 6 2
0 1 0 1
-3 1/2 -6 1/2
-10 1/10 -20 1/10
-20 1/100 -40 1/100
Costante
Sinusoide
Costante+sinusoide
Cioè:
Ḣ(ω) = jω H(ω)
Le conseguenze nell'analisi dei sistemi dinamici lineari sono ben note, l'equazione di equilibrio di
un sistema dinamico mẍ(t) + kx(t) = p(t) trasformata in frequenza diventa (−ω 2 m + k)X(f ) =
P (f ).
Questa equazione è facilmente risolvibile: non occorre integrare le equazioni dierenziali di
equilibrio dinamico, semplicemente si risolve, per tutte le frequenze di interesse, un sistema
lineare a coecienti complessi con ingresso il valore che la trasformata del carico assume per la
specca frequenza.
Inoltre il sistema dinamico lineare può essere riscritto con una relazione ingresso-uscita lineare
in frequenza:
X(f ) = H(f )P (f )
Avendo introdotto la funzione di trasferimento del sistema H(f ), funzione complessa della
frequenza dipendente da caratteristiche siche del sistema:
1
H(f ) =
(−ω 2 m + k)
Dalla denizione si può ricavare una procedura sperimentale per la misura della funzione di
trasferimento: essa infatti non è che la risposta a un ingresso unitario in frequenza:
Se: P (f ) = 1 allora: H(f ) = X(f, P (f ) = 1)
e sapendo che la trasformata di una costante è un impulso, possiamo dedurre che P (f ) unitario
signica una forzante impulsiva nel dominio del tempo.
Quindi la funzione di trasferimento di un sistema lineare coincide con la trasformata della risposta
impulsiva del sistema stesso.
Vale la pena di ricordare che la trasformata di Fourier coincide con l'intersezione della
trasformata di Laplace con il piano immaginario, o parte reale di s nulla.
Figura 5.97: Spettro di un segnale Figura 5.98: Segnale con tono principale
accelerometrico o armonica base e armoniche superiori
a frequenza multipla
Figura 5.99: Confronto tra misure in un Figura 5.100: Confronto tra misure in un
elicottero in volo e in un mock-up a terra elicottero in volo e in un mock-up a terra
(Accelerazione) (Rumore)
5.5.8 Il funzionamento
Per dare un'interpretazione funzionale all'operatore trasformata, applichiamo la tecnica a un
segnale elementare perfettamente noto: un segnale sinusoidale.
h(t) = A cos(2πf t)
θ = 2πf t
242 CAPITOLO 5. ACQUISIZIONE DATI CON IL COMPUTER
e utilizzando una forma di elaborazione algebrica in notazione esponenziale, cioè facendo uso dei
fasori, la sinusoide può essere riscritta in termini esponenziali;
A A iθ
h(t) = A cos θ = (cos θ + i sin θ + cos θ − i sin θ) = e + e−iθ = v1 + v2
2 2
Una sinusoide può essere interpretata come la somma di due vettori controrotanti nel piano
complesso.
v1 , v2 . Gracamente l'operazione di combinazione delle due entità a determinare il segnale
sinusoidale è rappresentata nel graco di destra della gura seguente; in ogni istante i due
vettori si trovano in posizione simmetrica rispetto all'asse immaginario, quindi le due componenti
immaginarie si cancellano mentre quelle reali si combinano dando luogo alla sinusoide.
Quindi l'integrando della trasformata di Fourier, per il caso della sinusoide, può essere scritto
come:
¯ A iθ A i(θ−θ̄)
h(t)e−i2πf t = e + e−iθ e−iθ̄ = e + e−i(θ+θ̄)
2 2
Possiamo quindi osservare che la moltiplicazione per l'esponenziale di trasformazione equivale a
una rotazione dei due vettori controrotanti dai quali è composto il segnale (delle n componenti
armoniche nel caso di un segnale più complesso).
Calcolando la trasformata per la frequenza f¯ l'esponenziale applica a ciascuna delle componenti
armoniche che compongono il segnale all'istante t una rotazione all'indietro t pari all'angolo
spazzato, a partire dal tempo zero, da un segnale armonico di frequenza f¯
Z +∞
¯
H(f¯) = h(t)e−i2πf t dt
−∞
θ̄ = −2π f¯t
.
Da queste relazioni sembrerebbe derivare un vincolo sul numero di istanti temporali che dovrebbe
essere dispari (2N F +1): utilizzando un numero pari di punti sembrerebbe impossibile descrivere
una funzione trasformata con un punto centrale per la frequenza nulla. Questo non è un problema
in quanto il coeciente associato all'ultima frequenza non è complesso ma reale; quindi la sua
parte immaginaria non deve essere calcolata.
Nella tabella seguente è riportata una progressione intuitiva delle approssimazioni:
Trasformata Eetto Equazione
R +∞ Rt
Diretta Limitazione H(f ) = −∞ h(t)e−j2πf t dt ≈ tIF h(t)e−j2πf t dt ≈
PN −1
Discretizzazione k=0 h(t k )e
−j2πfi tk ∆t=H̄(fi )
R +∞ R +f ax
Inversa Limitazione h(t) = −∞ H(f )ej2πf t df ≈ −fMMax H(f )ej2πf t df ≈
PN/2
Discretizzazione i=−N/2 H̄(fi )e
j2πfi tk ∆f = h̄(t )
k
Per comodità conviene fare riferimento alle posizioni nei vettori dei coecienti e non ai valori
delle frequenze:
N/2
X
h̄(tk ) = H̄(0) + 2 H̄(fi )ej2πfi tk ∆f
i=1
fC 1 ik
ik =
N fC N
Quindi l'esponente di trasformazione dipende solo dai numeri d'ordine di tempo e frequenza
e dal numero di punti della storia temporale: l'operatore Trasformata non sa che si tratta di
un legame tempo-frequenza.
La discretizzazione introduce evidentemente delle approssimazioni e ci interessa identicare le
condizioni per cui si può garantire che: H(f ) ≈ H̄(fi ).
Se il contenuto in frequenza è discreto le trasformate, integrale e discreta, potranno coincidere
solo nel caso di segnali periodici: per denizione solo lo spettro di segnali periodici è discreto; da
qui il problema del Leakage. In questo caso, l'algoritmo della DFT coincide con quello della serie
di Fourier in quanto l'integrale sul periodo è correttamente determinato con una sommatoria!
Quindi la DFT è esatta solo nel caso di segnali periodici. Nel caso di segnali generici la limitazione
dell'osservazione comporterà qualche eetto distorsivo sul risultato
for k=0:N-1
c=0;, s=0;
for j=0:N-1
ang=2*pi*(j*k)/N; −1
NP
c=c+x(j+1)*cos(ang); Im(H(fi )) = h(tk ) sin(2πfi tk )∆t
k=0
Forma Reale s=s-x(j+1)*sin(ang); NP−1
end Re(H(fi )) = h(tk ) cos(2πfi tk )∆t
RE(k+1)=c; k=0
IM(k+1)=s;
end
Per dare senso sico alla rappresentazione occorrerebbe spostare la seconda parte del diagramma
in modo da collocare alla sinistra dello zero i valori corrispondenti alle frequenze negative e a
destra quelli per frequenze positive. Spesso vengono diagrammati solo i primi N/2 + 1 punti,
eventualmente, raddoppiando i termini relativi a frequenze non nulle.
Occorre inoltre denire il vettore delle frequenze discrete corrispondenti ai valori della trasfor-
mata in modo da dare senso sico al diagramma. Essendo pratica comune esaminare soltanto il
semi-spettro a frequenze positive, l'elenco delle frequenze discrete è determinato moltiplicando i
valori 0-NPunti/2 per la frequenza di Nyquist; se Fs è la frequenza di campionamento, l'istruzione
Matlab per generare il vettore delle frequenze è: Fs/2*linspace(0,1,NPunti/2);
Per la corretta rappresentazione in frequenza occorre quindi:
Sono riportate due curve con dierente risoluzione in frequenza (0.5 e 0.25 Hz)
5.5. REVISIONE DEI CONCETTI FONDAMENTALI DELL'ANALISI IN FREQUENZA 247
Si riporta per completezza un esempio di programmazione Matlab per la costruzione del dia-
gramma in frequenza dell'ampiezza di una trasformata di Fourier discreta.
Incertezze di Misura
6.1 Preambolo
Le normative danno indicazioni sulle modalità operative per il calcolo delle incertezze di misura
basate su alcune denizioni. Si potrebbe quindi ritenere possibile basarsi semplicemente su
queste per essere operativi.
Esaminiamo brevemente come tali incertezze sono classicate. Si sottolinea che quanto riportato
nel resto del presente paragrafo è destinato esclusivamente a giusticare la successiva trattazione
degli argomenti di elementi di probabilità, statistica e propagazione degli errori. In seguito, le
denizioni di incertezza verranno arontate in maniera organica.
249
250 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
nella quale le incertezze standard delle variabili xi , sia di tipo A che ditipo B, vengono utilizzate
per propagare il loro eetto sulla variabile derivata.
6.1.2 Considerazioni
Appare evidente come sia impossibile, allo stato attuale delle conoscenze arontate no a questo
punto, utilizzare in modo opportuno e soprattutto comprendere il signicato delle diverse incer-
tezze. In particolare, è evidente come sia necessario occuparsi di alcuni elementi fondamentali
di probabilità e statistica, nonché di propagazione degli errori, al ne di poter comprendere i
termini della questione e nalmente essere in grado agire in modo consapevole.
A tutti questi aspetti è destinato il resto del capitolo.
Richiami Alcuni elementi interessanti dal punto di vista statistico sono un patrimonio relati-
vamente consolidato; per esempio alcune grandezze "statistiche" quali media, varianza, regres-
sione lineare e coeciente di correlazione sono di comune impiego e programmate in tutte le
calcolatrici.
Nell'ambito delle misure, media e deviazione standard di una serie di dati, radice quadrata dello
scarto quadratico medio (a sua volta detto varianza), sono largamente utilizzate, anche senza
una reale conoscenza del loro signicato; la media come stima più adabile della misura, in
assenza di altre informazioni e la deviazione standard come indicatore di dispersione, avendo la
stessa dimensione sica della misura e essendo tanto maggiore quanto più lontani sono i dati dal
valore medio.
v
N u N
1 X u1 X
x̄ = xi ; S=t (xi − x̄)2
N N
i=1 i=1
A qualcuno sarà capitato di osservare che talvolta viene utilizzato a dividere il termine N − 1;
si tratta in questo caso della Deviazione stdandard campionaria, usata soprattutto quando
il numero di elementi è ridotto.
Possiamo dare un'interpretazione sica a queste due denizioni: la media di una se-
rie di valori è interpretabile come il calcolo della posizione del baricentro di sistema
di particelle di uguale massa disposte lungo una linea in posizioni identicate dai dati:
la coordinata del baricentro xCG è infatti valutata come rapporto tra i momenti statici di ordine
1 e di ordine 0 delle masse, che si dimostra coincidere con il valor medio dei dati:
N N N N N
! !
X X X X X
xCG = xi mi / mi = m xi / m 1 = xi /N
i=1 i=1 i=1 i=1 i=1
Allo stesso modo la varianza (quadrato della deviazione standard) è il momento di inerzia bari-
centrico rapportato alla massa totale; se si preferisce, il rapporto tra i momenti statici di ordine
2 e di ordine 0 delle masse.
PN 2m /
PN
P ICG /M = i=1
P (x i − x CG
) i i=1 mi =
N N 1 N
m i=1 (xi − xCG )2 / m i=1 1 = N i=1 (xi − xCG )2 = S 2
P
252 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
A parità di massa un momento di inerzia maggiore indica una dimensione maggiore del cor-
po. Nelle misure una varianza maggiore è sintomo, a parità di valore medio, di una maggiore
dispersione dei dati.
Evidentemente una analogia formale non basta: sono necessari concetti più robusti.
e poi elaborare opportunamente i dati ottenuti per ricavarne un modello matematico del
fenomeno.
Posizioniamo un sistema in grado di misurare l'altezza delle onde nel sito previsto per l'instal-
lazione della piattaforma. Non ci interessa sapere come può essere fatto ma solo cosa produce:
essendo interessati non al prolo ma ai valori estremi, avremo bisogno di un registratore che
memorizzi i valori dell'angolo all'inversione del movimento verticale della boa. Al termine del
periodo di osservazione, rappresentativo (se interessano le onde più alte non avrà senso misurare
solo d'estate) e "omogeneo" (non avrà senso confrontare direttamente onde invernali ed estive),
avremo ottenuto qualcosa del genere:
Il diagramma mostra la successione delle misure nel tempo. Il graco non evidenzia un anda-
mento o una sionomia, non ha "tendenze" riconoscibili; esso non fornisce informazioni utili per
il semplice motivo che il fenomeno non è dipendente dal tempo, di fatto unica variabile di con-
trollo in questa rappresentazione. Nella fattispecie, l'altezza delle onde dipende da altri fattori
(es. velocità del vento) che non sono controllabili.
Bisogna allora adottare una strategia di elaborazione che si concentri sulla sola grandezza esa-
minata e non su cosa abbia prodotto la variazione. Quantomeno che elimini il tempo dalla
rappresentazione.
Facciamo un esempio di uno strumento di registrazione naturale. Si tratta della pista di un
comune aeroporto civile in una fotograa aerea.
L'informazione registrata è lo spessore della gomma lasciata sulla pista: esso è in relazione al nu-
mero di contatti avvenuti nei diversi punti della pista. Con un'informazione come questa sarebbe
possibile dierenziare lo spessore de manto della pista: dove il contatto non avviene, realizzare
254 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
una pista con resistenza ai carichi verticali uguali ai carichi massimi richiesti sarebbe inutile
(sempre che le normative lo permettano), dato che si tratta di una zona in cui normalmente non
avviene il primo contatto dei velivolo in atterraggio.
Introduzione del concetto probabilistico con sistemi discreti Un caso discreto, a tutti
noto, può essere d'aiuto: l'esito del lancio di un dado a 6 facce. La familiarità con il problema
consente di mettere a fuoco alcuni aspetti formali.
Non si deve pensare che si tratti di un problema concettualmente diverso; gli elementi costitutivi
del problema casuale sono infatti gli stessi e l'unica vera dierenza è costituita dal fatto che nel
caso del dado i possibili esiti sono 6 mentre nel caso continuo non si potrà parlare di stati o
esiti precisi ma di intervalli di valori che può assumere la variabile casuale, il cui numero andrà
denito.
Peraltro la visualizzazione degli esiti di processi casuali discreti e continui è del tutto analoga.
Figura 6.5: Confronto tra misure di un processo casuale discreto (esito dei lanci di un dado a 6
facce) e continuo (altezza delle onde)
E se nel caso del dado a 6 facce l'esistenza di 6 stati è evidente, nel caso della somma di 4 dadi
o del lancio di un ipotetico dado a 24 facce, i risultati sono molto meno facilmente identicabili.
Figura 6.6: Esito del lancio di 4 dadi a 6 facce e di un singolo dado a 24 facce
Nel caso banale del dado a 6 facce si possono avere solo 6 possibili esiti. Il concetto di analisi
dell'ampiezza in questo caso si declina con il conteggio dei valori da 1 a 6 lanciando ripetutamente
il dado.
Dopo N lanci avremo: n1 n2 n3 n4 n5 n6 evidentemente con N
P
i=1 ni = N
è naturale normalizzare i dati al numero di lanci, così da poter confrontare analisi condotte in
maniera diversa; si ottiene: nN1 + nN2 + nN3 + nN4 + nN5 + nN6 = 1
Il rapporto nNi prende il nome di Frequenza relativa (alle N realizzazioni) fi = nNi con 0 ≤ fi ≤ 1
è risaputo che per il Dado Ideale è lecito aspettarsi valori di frequenza relativa uguale per tutti
gli esiti e pari al reciproco del numero di stati, 1/6, non c'è infatti nessun motivo per ritenere
un esito più probabile di un altro (a meno di non ipotizzare che il dado sia truccato).
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 255
In assenza di ipotesi, ci si può limitare ad osservare l'evoluzione delle frequenze relative dei sei
possibili stati con il numero di lanci: con pochi lanci il conteggio sarà fortemente dipendente
dalla casualità del processo ma con il crescere dei lanci i valori delle frequenze relative si
avvicinano alla previsione teorica.
Figura 6.7: Confronto di frequenze relative delle uscite di un dado a 6 facce per 4 sequenze di
lanci
Peraltro il valore 1/6 è una proprietà asintotica: fi = 1
NF = lim ni
e occorre molta pazienza
N →∞ N
per una verica sperimentale anche al solo 1%: 100 0.0700 - 0.2400
1k 0.1570 - 0.1750
10k 0.1605 - 0.1691
50k 0.1634 - 0.1705
100k 0.1642 - 0.1689
1000k 0.1656 - 0.1671
Risulta anche evidente il signicato probabilistico in termini predittivi della frequenza di
realizzazione che è stata osservata: se è stata rilevata una frequenza relativa dell'esito i , è ra-
gionevole supporre che eseguendo M osservazioni sullo stesso fenomeno, il numero di rilevamenti
pari a i sarà mi =M
La frequenza relativa esprime un concetto di probabilità dell'evento: Pi = fi = nNi
La Probabilità è quindi la quanticazione numerica della possibilità di un evento.
è interessante analizzare la dipendenza dei risultati dal numero di lanci, in termini di frequenze
relative e di valore medio: nella gura sono rappresentati i valori estremi di frequenza relativa
(graco superiore) e il valore medio all'aumentare del numero di lanci.
256 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Figura 6.8: Convergenza di frequenze rela- Figura 6.9: Convergenza di frequenze rela-
tive e valore medio con il numero di lanci tive e valore medio con il numero di lanci
(valori assoluti) (errori relativi)
Il valore medio non ha particolare senso nel caso specico in quanto, se anche è un numero
reale convenzionalmente derivato dalle informazioni disponibili, esso non è un esito possibile
del processo casuale discreto. Si tratta peraltro di un evidente indicatore di convergenza: gli
scostamenti rispetto al valore di regime si riducono molto prima delle frequenze relative al di
sotto di un valore di convergenze. La cosa è esemplicata dai graci degli errori percentuali:
Nell'ambito della probabilità discreta il valore medio dei possibili esiti è indicato come valore
atteso (identicato con la lettera E) e denito coma la somma pesata dei valori dei possibili
stati con le rispettive frequenze relative:
N N PN
sk k=1 sk
X X
E= sk fk = =
N N
k=1 k=1
1 1 1 1 1 1 21
E =1 +2 +3 +4 +5 +6 = = 3.5
6 6 6 6 6 6 6
Questo valore coincide con la media dei lanci. L'indicatore "media" è un parametro sintetico
rappresentativo del fenomeno casuale.
Vale la pena osservare che solo l'attribuzione di un valore ai sei stati, valore convenzionalmente
coincidente con la numerazione dal primo all'ultimo, consente l'applicazione della denizione
di frequenza relativa. Nella fattispecie si sarebbe potuto identicare le facce con una lettera,
ma sarebbe stato più complicato giocare con più dadi. Si riporta di seguito il listato Matlab
utilizzato per generare i precedenti diagrammi. Procedura Matlab (lancio_dadi2.m):
L'andamento delle frequenze relative nel campo è una caratteristica intrinseca del fenomeno:
per i sei eventi del lancio di un singolo dado la probabilità è la stessa per tutti.
Consideriamo un processo casuale più complesso, dato dalla somma dell'esito del lancio contem-
poraneo di 2,4,8 e 16 dadi e analizziamo per i 4 casi i risultati dopo 100000 lanci (il programma
visualizza l'evoluzione con il numero di lanci).
Figura 6.10: Distribuzione degli esiti del lancio di più dati (dopo 100000 lanci)
A partire da un fenomeno casuale a frequenza relativa costante si hanno risultati con diversa
sionomia e nonostante le dierenze dei casi la curva rossa (che verrà spiegata nel seguito)
interpreta piuttosto bene la distribuzione.
Questa rappresentazione, presentata con le barre in orizzontale solo per collegare visivamente il
`numero di eventi con l'intervallo, è detta Istogramma.
L'istogramma è la rappresentazione della distribuzione sul campo di misura della frequenza di
eventi di una variabile continua, contati per intervalli (classi) contigui; esso indica i campi con
eventi più frequenti: in termini di modello probabilistico questi sono i campi più probabili.
Operativamente per ottenere la distribuzione dei dati:
Per la determinazione del numero di intervalli, avendo N dati (N>40; N < 40 istogramma non
signicativo), si possono utilizzare diverse formule:
Il risultato è molto diverso, ma non deve preoccuparci: in teoria un istogramma sarebbe corretto
solo con un numero innito di punti e comunque, non essendo "statistici" e non dovendo denire
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 259
Figura 6.14: Confronto delle regole per la denizione del numero di intervalli
Modulo Matlab per lo studio della ripetibilità della sionomia di un fenomeno casuale:
% codice Matlab
close all
npt=10000;
nrip=20;
for k=1:nrip
ddd=randn(npt,1);
[hhh xxx]=hist(ddd,[-5:.25:5]);
stem(xxx,hhh/npt);
hold on
end
hold off
Le curve non sono perfettamente sovrapposte ma sono simili: la forma della distribuzione è
rappresentativa del fenomeno sico che produce la casualità. Questa forma consente di co-
struire un modello matematico probabilistico della grandezza casuale; opportuni parametri
ne consentiranno una descrizione sintetica; essi verranno approssimati grazie a un approccio
statistico.
Complementi: Probabilità - caso discreto Il concetto di probabilità ci è già noto per altra
via e sotto una forma leggermente diversa.
La probabilità (A) di un evento discreto esprime il peso dell'evento in rapporto a tutti gli
eventi possibili ed è ottenuta dividendo il numero di evenienze del tipo di interesse (m), o esiti
positivi, per il numero totale di soluzioni possibili (N), cioè dei possibili esiti.
260 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Esempio: c'è il 50% di probabilità che il lancio di una moneta dia testa.
Esempio: se lanciamo due dadi la probabilità di ottenere un doppio 1 è 1/36 in quanto c'è una
sola possibilità dell'esito voluto a fronte di 36 possibili eventi (6 indipendenti per ciascun dado).
La probabilità discreta è un numero, compreso tra 0 ed 1, che esprime la possibilità del-
l'occorrenza di un evento relativamente a tutte le nite possibilità dello spazio matematico
indagato.
P (a ≤ x ≤ b) P (a ≤ x ≤ b)
= = P (a ≤ x ≤ b)
P (−∞ ≤ x ≤ +∞) 1
Densità di probabilità Abbiamo visto che il numero di eventi per ogni intervallo non è
un'informazione particolarmente signicativa e che l'uso della frequenza relativa consente di far
emergere l'aspetto probabilistico del modello. Per i problemi discreti il numero di stati è un dato
del problema. Non così nel caso continuo: un campo o una suddivisione diversa renderebbero
non confrontabili analisi diverse:
La frequenza relativa, grazie alla normalizzazione, rende confrontabili gli istogrammi a parità di
numero e dimensione dei sottointervalli. Per ottenere un risultato invariante è necessaria
una ulteriore normalizzazione: rispetto alla dimensione del sottointervallo.
Normalizzando la frequenza relativa rispetto all'ampiezza degli intervalli si ottiene una funzione
indipendente dal numero di osservazioni e di intervalli: ciò equivale a denire una funzio-
ne continua, costante a tratti, di pari integrale, cioè di pari probabilità per l'intervallo di
riferimento.
La frequenza relativa è un singolo numero, rappresentativo della probabilità di un evento discreto:
P (x = xi ) = fi
Nel caso continuo essa è rappresentativa di quanto succede nell'intervallo di riferimento in termini
complessiviP (xi ≤ x ≤ xi+1 ) = fi
Necessario abbandonare questo concetto per tornare al modello continuo imponendo il
mantenimento della probabilità sull'intervallo
R xi+1 occorre denire una funzione continua p(x) il cui valore integraleP (xi ≤
Per ogni intervallo
x ≤ xi+1 ) = xi p(x)dx
Dovrà essere uguale alla probabilità corrispondente alla frequenza relativa p(x)
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 261
p(xi ≤ x ≤ xi+1 ) = pi
R xi+1
Condizione di equivalenza di probabilità tra frequenza relativa e xi p(x)dx = ni
N
integrale di una funzione continua. R xi+1
xiR p(x)dx =
x
Introducendo l'ipotesi di densità costante nell'intervallo i-esimo: pi xii+1 dx =
pi ∆x = nNi
Il valore della densità (uniforme) dell'intervallo è quindi: pi = nNi ∆x
1
Figura 6.16: Confronto di frequenze relative e di densità di probabilità al variare della base
close all
npt=10000;
for k=1:20
ddd=randn(npt,1);
[hhh xxx]=hist(ddd,[-5:.25:5]);
stem(xxx,hhh/npt);
hold on
set(gcf,'Position',[680 718 560 260]);
end
hold off
figure
vpt=[5000 10000 25000 50000];
for k=1:length(vpt)
npt=vpt(k);
ddd=randn(npt,1);
[hhh xxx]=hist(ddd,fix(sqrt(npt)));,xlim([-5 5])
subplot(212), plot(xxx,hhh/npt/(xxx(2)-xxx(1)),'+'); , hold on,xlim([-5 5])
subplot(211), plot(xxx,hhh/npt,'+');, hold on
set(gcf,'Position',[680 718 560 260]);
end
hold off
Vale la pena fare una precisazione sulle modalità di rappresentazione di frequenze relative e
densità di probabilità usate per disegnare gli istogrammi.
262 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Frequenza relativa: Pi = hi
Densità di probabilità: Pi = pi ∆x
Caratteristiche La tabella riassume le caratteristiche che una funzione deve possedere per
poter essere impiegata come densità di probabilità:
L'integrale della funzione di densità di probabilità p(x) della grandezza x, pesata per la grandezza
stessa, ne fornisce il valore atteso(expected value). Solo in alcuni casi esso coincide con il valore
più probabile.
Valore atteso (momento di ordine 1): E(x) = µ = −∞
R∞
x p(x) dx
L'integrale della funzione di densità di probabilità p(x) della grandezza x, pesata per il quadrato
della distanza tra la variabile x e il suo valoreRatteso, ne fornisce la varianza:
Varianza (momento di ordine 2): V = σ 2 = −∞ ∞
(x − µ)2 p(x) dx
Essendo l'integrale di p(x) unitario per denizione, senza modicare la denizione di valore
atteso:
Z ∞ Z ∞
E(x) = µ = x p(x) dx/ p(x) dx
−∞ −∞
Ritroviamo il rapporto tra i momenti statici di ordine 1 e 0 della funzione di densità di probabilità
equivalenti all'espressione per il calcolo del baricentro di un continuo di densità uniforme:
il valore atteso di una variabile descritta mediante la sua densità di probabilità è dato dal
baricentro della stessa.
La varianza è in analogia con il momento di inerzia baricentrico:
Z ∞ Z
2
V =σ = 2
(x − µ) p(x) I= (x − xCG )2 m(x) dx
−∞ L
La dierenza rispetto al caso della media e della varianza di una serie, discreta e nita, risiede
nella continuità della funzione che rende necessaria la formulazione integrale.
Abbiamo concluso che: il valore medio di una serie è un'approssimazione del valore atteso della
grandezza casuale che ha prodotto i dati.
Variabili casuali Si può ora denire in maniera più sistematica il concetto di variabile
casuale:
1. Una variabile casuale è il modello matematico di una grandezza il cui accadimento è
descrivibile solo in termini di comportamento e non di valore.
2. Per esse i modelli deterministici non sono validi e la grandezza non è direttamente
prevedibile
3. La previsione può avvenire in senso probabilistico a partire dal comportamento sintetizzato
nella distribuzione di probabilità ed espresso in termini di parametri sintetici: il
valore atteso e la varianza (o la deviazione standard che ne è la radice quadrata)
unitamente alla forma della densità di probabilità descrivono il processo casuale.
L'incertezza di una misura è considerata una variabile casuale a valore medio nullo e centrata
sulla stima della misura.
È stato osservato che il comportamento di alcune classi di problemi è abbastanza bene descritto
da alcune leggi. Distribuzioni di interesse ingegneristico e applicazioni tipiche sono:
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 265
6.2.2 Esempi
Esempio 1 Si consideri un cuscinetto a sfere la cui vita è esprimibile mediante la seguente
legge di densità di probabilità della rottura:
0 x < 10 kh
f (x) = 200
x3
x ≥ 10 kh
f(x) =
0 x < A/2
1/A −A/2 ≤ x ≤ A/2
0 x > A/2
Figura 6.22: Densità di probabilità uniforme
+∞
A/2
A/2
x2
Z Z
1
µ= xf (x)dx = x dx = =0
−∞ −A/2 A 2A −A/2
R +∞ R A/2
σ 2 = −∞ (x − µ)2 f (x)dx = −A/2 (x)2 A1 dx =
A/2 2
x3 1 2
3A = 12 A = 13 A2 ⇒ σ = √13 A2
−A/2
0 x < −a
1
1 + xa −a ≤ x ≤ 0
p(x) = a
1
a 1 − xa 0 ≤ x ≤ +a
0 x > +a
Z ∞ Z −a Z 0 Z a Z +∞
1 x 1 x
µ= x p(x) dx = x 0 dx + x + 2 dx + x − 2 dx x 0 dx =
−∞ −∞ −a a a 0 a a a
a a
0− + +0=0
6 6
Z ∞ Z a Z 0 Z a
2 2 2 2 1 x 2 1 x
σ = (x − µ) p(x) dx = x p(x) dx = x + 2 dx + x − 2 dx =
−∞ −a −a a a 0 a a
a2 a2 a2
+ =
12 12 6
a
σ=√
6
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 267
Z σ Z a
1 x
P (−σ ≤ x ≤ σ) = p(x) dx = 2 − dx = ... = 0.65
−σ 0 a a2
Z b
I = f (x )dx = integral(fun, xmin, xmax)
a
Rb
Una regola importante: I = a f (x )dx = F (b) − F (a)
Se dobbiamo calcolare ripetutamente l'integrale denito di una funzione su intervalli diversi può
essere conveniente determinare la funzione integrale una volta per tutte: poi si potrà operare
con semplici dierenze.
La funzione di distribuzione cumulativa (Cumulative distribution function) permette di
valutare la probabilità che una variabile x descritta dalla funzione di densità di probabilità f(x),
assuma valori minori od uguali ad un valore assegnato, x̄ , avendoR eseguito l'integrazione una
x̄
volta per tutte in forma analitica. Denizione: F (x ≤ x̄) = F (x̄) = −∞ f (x)dx ≡ P (x ≤ x̄)
Se P (x ≤ a) = F (a) si possono dimostrare le seguenti relazioni:
P (x > a) = 1 − F (a)
Z b
P (a ≤ x ≤ b) = f (x)dx = F (b) − F (a)
a
Vantaggi:
Esempio
R 4 Determiniamo la probabilità cumulativa del lotto di cuscinetti dell'esempio 1.
x R x
F (x) = −∞ f (s)ds = −∞ 0 ds = 0 per x ≤ 10
Rx
F (x) = −∞ 200
s3
ds = 1 − 100
x2
per x > 10
268 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Figura 6.24: Soluzione graca del problema: in alto f (x) e i nbasso F (x)
Per 15 k ore si ha una probabilità di 0.55 mentre per 20 k ore si ottiene 0.75 e la probabilità
dell'intervallo sarà data dalla dierenza dei valori:
P (15 ≤ x ≤ 20) =
F (20) − F (15) =
0.75 − 0.5556 = 0.1944
Esempio 6 Si vuole garantire, con l'80% di probabilità, la vita di un cuscinetto dello stesso lot-
to; si deve determinare il valore atteso che soddis l'esigenza. Procedimento senza Funzione
di Densità cumulativa: R∞
Serve denire x̄ per cui P (x > x̄) = x̄ f (x)dx = 0.80
100 ∞
Z ∞
200 100 100
P (x ≥ x̄) = 3
dx = − 2 = 0− − 2 = 2
x̄ x x x̄ x̄ x̄
Imponendo la richiesta: P (x > x̄) = 0.80 q
100
x̄2
= 0.8 e svolgendo i calcoli si ottiene x̄ = 100
0.8 = 11.18
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 269
x̄
100 x̄
Z
200 100
P (x ≤ x̄) = 3
dx = − 2 = − 2 + 1
10 x x 10 x̄
s
100 100
F (x ) = 0 per x ≤ 10 F (x ) = 1 − 2 per x > 10 o x =
x 1 − F (x )
Volendo garantire la probabilità di 80% di vita utile si ricerca la probabilità equivalente di vita
in termini complementari:
F(x)=1- 80% = 20%
E applicando la soluzione della distribuzione cumulativa per F(x)=20% si ottiene x=11.18
Occorrerà quindi dichiarare circa 11 ore.
Gracamente il procedimento è rappresentato nella gura seguente: x̄
270 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
1. funzione simmetrica, per poter essere utilizzata nella denizione di errori a media nulla;
2. valori centrali più probabili.
Requisiti utili:
Densità di probabilità gaussiana Una funzione che risponde ai requisiti descritti è f (x) =
exp −x2 . Essa non può però essere adottata come espressione di una Densità di Probabilità
in quanto non è a integrale unitario. Inoltre non è espressa in funzione di una variabile indi-
pendente signicativa. Si deve a Johann Carl Friedrich Gauss [Braunschweig, 30 aprile 1777
Gottinga, 23 febbraio 1855; matematico, astronomo e sico tedesco, che ha dato contributi
determinanti in analisi matematica, teoria dei numeri, statistica, calcolo numerico, geometria
dierenziale, geodesia, geosica, magnetismo, elettrostatica, astronomia e ottica] l'introduzione
di una espressione utile al nostro scopo, tuttora nota come Distribuzione Gaussiana.
La distribuzione di probabilità Gaussiana è denita dalla seguente espressione:
2 !
1 1 x−µ
g(x) = √ exp −
σ 2π 2 σ
In essa, oltre alla grandezza x, compaiono due termini che permettono di regolarne la forma: il
primo, µ, colloca il punto centrale della funzione, il secondo, σ , regola la distribuzione attorno
al valor medio: tanto maggiore è σ tanto più bassa e ampia sarà la campana, tanto minore è σ
tanto più la funzione sarà stretta attorno al suo valore centrale. La rappresentazione graca è
riportata in gura:
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 271
Figura 6.28: Densità di probabilità gaussiana per diverse deviazioni standard e valore medio 2
Essa è simmetrica centrata sul valore medio µ dove assume valore massimo pari a:
1
pmax = p(µ) = √
σ 2π
valore che, per la struttura della funzione, coincide con il coeciente moltiplicativo necessario
per rendere unitario l'integrale, come richiesta una funzione di densità di probabilità.
La funzione poi, presenta un esso a distanza ±σ dal valore medio.
Per la simmetria della funzione il valore centrale della funzione coincide con il valore atteso delle
x e si dimostra che il parametro di distribuzione σ coincide con la deviazione standard della
variabile x.
La funzione di densità di probabilità gaussiana descrive in modo soddisfacente l'andamento
di una gran parte degli errori casuali presenti nelle misure. In particolare essa rappresenta cor-
rettamente la dispersione di dati sperimentali, conseguenza di fattori casuali, quando l'evenienza
di deviazioni positive e negative di pari entità è egualmente probabile, con misure vicino al valore
medio più probabili.
Le curve rosse sono le gaussiane di pari valore medio e deviazione standard. Le curve di densità
di probabilità si sovrappongono alla frequenze relative in quanto l'intervallo dell'istogramma è
sempre unitario.
Figura 6.29: Confronto tra frequenze relative del lancio di 2,4,8,e 16 dadi a 6 facce con gaussiana
di pari valore medio e deviazione standard
Inoltre, anche se gli errori individuali non seguono esattamente questa distribuzione, il risul-
tato della combinazione di diverse fonti di errore ha una distribuzione tendente a quella
gaussiana.
272 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Vale la pena sottolineare che si tratta pur sempre di un modello matematico e non sico: essendo
la gaussiana una funzione non limitata, garantisce una probabilità, seppur minima, che avvenga
la misura di un valore estremamente lontano dal valore medio (anche se ciò è sicamente poco
probabile). In questo senso può essere considerata conservativa.
Z z1
Pf (z < z1 ) = f (z)dz =
−∞
z1
z2
Z
1
√ exp dz = F (z1 )
2π −∞ 2
Viene adottata una precisione nita, tipicamente 4 o 5 cifre signicative; concordemente con
questa limitazione, valori estremi nella tabella presentata inferiori a -3.7 non sono riportati in
quanto sarebbero nulli; allo stesso modo sono omessi i valori per z superiore a 3.7 in quanto, per
gli arrotondamenti, sarebbero unitari. Per ottenere il valore della cumulativa per un assegnato
valore di z si opera nel modo seguente:
1. dato il valore z se ne ricava il valore troncato al primo decimale ed il relativo resto (per
z=-2.47 z0=-2.4 e resto -0.07);
2. si ricerca nella prima colonna i valore troncato al primo decimale (in questo caso z0=-2.4);
3. si individua la colonna corrispondente al resto, in questo caso la terza essendo il resto
-0.07;
4. il valore della funzione cumulativa da utilizzare è quello individuato dall'incrocio di riga e
colonna.
Quindi per z=-2.47 I(z=-2.47)=0.0068. L'utilizzo della forma completa ricalca lo schema generale
di impiego delle funzioni cumulative:
Figura 6.33
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 275
Figura 6.36: Rappresentazione graca della ricostruzione della funzione cumulativa totale
Dal punto di vista operativo questo comporta dover dierenziare i due casi di estremi di
integrazione con segno concorde o meno.
Esempio 7 Sono date la media di una serie di misure (0.644) e la corrispondente deviazione
standard (0.098). Ritenendo ragionevole l'ipotesi di distribuzione normale, qual è la probabilità
che una lettura fornisca una misura compresa tra 0.5 e 0.7?
Cioè P (0.5 < x < 0.7)?
Gracamente il problema si pone nei termini rappresentati a sinistra in gura;
Poichè l'intervallo abbraccia lo zero, il procedimento andrà impostato per determinare le due
aree identicate nella gura di destra e, se si dispone della tabella cumulativa per soli z positivi
l'area verde verrà determinata per simmetria nel semipiano delle z positive.
Si entra quindi nella tabella con i valori z=0.57 e z=|-1.47| ottenendo 0.2157 e 0.4292
rispettivamente; in termini di densità cumulativa T(z1 )=0.2157 e T(absz0 )=0.4292.
Esempio 8 Si vuole conoscere la probabilità che una misura, di una grandezza a distribuzione
gaussiana, a media 0.644 e deviazione standard 0.098, siano maggiori di 0.8.
280 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
0.8 − 0.644
P (0.8 ≤ x ≤ ∞) = T (∞) − T = T (∞) − T (1.5918) = 0.5 − 0.44408 = 0.056
0.098
Esempio 9 Si vuole conoscere la probabilità che una misura cada in un intervallo attorno al
valore medio pari a due volte la deviazione standard.
Il problema è esprimibile come: P (x̄ − 2σx < x < x̄ + 2σx )?
Dalla denizione della variabile z si ottiene che essa denisce un intervallo attorno alla media in
termini di deviazione standard:
x − x̄
z= ⇒ x = σx z + x̄
σx
P (x̄ − 2σx < x < x̄ + 2σx ) = P (x̄ − 2σx < σx z + x̄ < x̄ + 2σx ) =
= P (x̄ − 2σx < σx z + x̄ < x̄ + 2σx ) = P (−2 < z < +2) =
= T (2) + T (−2) = 0.4772 + 0.4772 = 0.9544
P (−∞ ≤ z ≤ 1) = P (−∞ ≤ z ≤ 0) + P (0 ≤ z ≤ 1) =
= .5 + .3413 = .8413 = 84.3%
b) Cilindro sia misurato con D ≥ 4.005 in;
Il problema di rottura in termini probabilistici è denito come la probabilità che lo sforzo agente
superi quello limite del materiale, quindi deve essere espresso in termini di UNA SOLA VA-
RIABILE CASUALE denita come dierenza delle due grandezze casuali: la variabile casuale
che denisce il problema è data dalla dierenza tra lo sforzo di rottura e quello applicato; essa
identica l'esubero di resistenza:
IS = σR − σA
E il problema probabilistico consiste nel determinare la probabilità che esso sia negativo, cioè
che non ci sia un esubero di resistenza:
P (IS < 0)
Data la sua denizione ci interessa sapere la probabilità che essa sia positiva, se ci interessa
sapere quanti provini dovrebbero essere in grado di resistere, o negativa, se siamo interessati
alla probabilità di cedimento. La dierenza di due variabili casuali, come capiremo meglio nel
proseguo del corso, ha come valore medio la dierenza dei valori medi e come varianza la somma
delle varianze:
Quindi:
La variabile casuale di interesse, distanza tra lo sforzo di rottura e quello applicato, è una
gaussiana, ed è completamente denita come:
IS = 80 ± 25.0M P a
IS = −∞ ⇒ z1 = −∞
IS = 0 ⇒ z2 = 0−80
25.0 = −3.2
Quindi:
P (−∞ < z < −3.2) = T (−∞) − T (−3.2) =
T (∞) − T (−3.2) = 0.5 − 0.4993 = 0.0007 = 0.07%
C'è quindi una probabilità, piccola ma non nulla, quanticata in un provino ogni 1400, che
il materiale venga sollecitato ad un livello superiore al suo limite di resistenza nonostante lo
sforzo nominale applicato sia abbondantemente inferiore a quello previsto dal modello di rottura.
Ovviamente sotto l'assunzione che il modello gaussiano sia rappresentativo delle due popolazioni.
Per rispondere alla prima domanda occorre trovare il k tale per cui l'intervallo ±kσ sottende
un'area corrispondente alla probabilità assegnata attraverso il livello di condenza.
Nel caso della seconda domanda, occorre valutare quale probabilità è associata all'intervallo ±k
σ.
Problema a), che intervallo occorre assumere se è necessario conseguire un certo livello di
condenza?
Se l'intervallo di condenza è simmetrico occorre trovare il valore pari alla metà del livello
richiesto nella tabella e dedurre il parametro z corrispondente, se non è simmetrico P-50%.
Se ci interessa un livello di probabilità del 90% per il caso simmetrico dovremo cercare 0.45
(P/2), che si ottiene per 1.64 ≤ z ≤ 1.65, nel caso asimmetrico 0.40 (P-0.5), cui corrisponde 1.28
≤ z ≤ 1.29.
6.2. ELEMENTI DI PROBABILITÀ 285
Il processo casuale Occorre cercare di farsi un'idea del comportamento di processi casuali. Si
sfrutta la disponibilità del processo gaussiano randn (Normally distributed pseudorandom num-
bers) disponibile ad esempio in Matlab, per simulare tale comportamento. Vale la pena ricordare
che il comportamento esatto può essere osservato solo in termini asintotici, utilizzando numeri
elevati.
Analizziamo come variano gli istogrammi all'aumentare della dimensione del campione per un
processo casuale gaussiano. Nelle gure seguenti sono stati riportati i limiti superiori e inferiori
degli istogrammi calcolati per 1000 campioni di dati casuali a distribuzione gaussiana, ciascuno
composto da 20 50 100 e 1000 eventi. (chkIstCas.m) La gura grigia rappresenta l'inviluppo
dei valori massimi e minimi dei campioni utilizzati per costruire ciascun graco. Il rettangolo
rosso identica gli estremi dei corrispondenti valori medi, così come quelli verdi rappresentano
288 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
le distanze dal valore medio pari al massimo e al minimo delle deviazioni standard campiona-
rie. Osservando che i valori medi, espressi nella stessa unità di misura della variabile casuale,
assumono valori distribuiti su un campo ridotto, è naturale ipotizzare che questo parametro sia,
a sua volta, una grandezza casuale; ragion per cui se ne è tracciato l'istogramma (in nero con
linea puntinata sotto il rettangolo rosso). È stata utilizzata una variabile normale a valore medio
nullo e deviazione standard unitaria, in modo che il valore medio di un campione rappresenti
direttamente un termine di errore percentuale, essendo rapportato a un indicatore di variabilità
attesa (la deviazione standard) unitario.
Proviamo a esplicitare la dipendenza dei risultati dalla dimensione del campione; eseguiamo
questa analisi per due diversi processi casuali: gaussiano, o normale, e uniforme.
Nel graco si mostra il diagramma di stabilizzazione di media (Primo gruppo di graci) e de-
viazione standard (secondo gruppo di graci) per due tipologie di distribuzioni di probabilità
(destra uniforme, a sinistra gaussiana) con l'aumentare della dimensione del campione utilizza-
to. Nei diagrammi relativi al valore medio sono riportati: il valore medio dei dati utilizzati di
ciascun campione, e i valori esatti di valore medio e deviazione standard. Nei diagrammi della
deviazione standard oltre al valore del campione e a quello esatto, è riportata una linea che
identica una distanza pari a un errore del 5% di quest'ultimo.
Al crescere del numero degli eventi sia la media che la deviazione del campione tendono a stabiliz-
zarsi identicando i parametri dell'intera popolazione, infatti le escursioni rispetto al valore teori-
co sono sempre più contenute; inoltre i due processi esibiscono lo stesso comportamento regolare.
6.3. ELEMENTI DI STATISTICA 289
Misura come parametro statistico Esaminiamo alcuni graci che riportano gli istogram-
mi corrispondenti a 20 campioni di numero crescente di eventi; vogliamo comprendere il fe-
nomeno, al di là della rappresentatività della realizzazione di una misura. Si osservi che,
anche quando gli istogrammi sono signicativamente diversi, i valori medi e le deviazioni
standard sono poco variabili. Si vede inoltre che all'aumentare del numero di eventi di cia-
scun campione la dispersione di media e deviazione standard diviene sempre più contenuta.
I risultati
P sono caratterizzati da:
x̄ = N1 N x
q i=1Pi
S = N 1−1 N i=1 (xi − x̄)
2
Valore medio e deviazione standard, come già mostrato, sono due variabili casuali; come tali
saranno dotate di una densità di probabilità caratteristica (presumibilmente legata a quella che
caratterizza il processo ma probabilmente anche all'operazione di misura) e ognuna può essere
descritta mediante il proprio valore medio e la propria deviazione standard.
In questo caso si hanno le informazioni per
determinare la media dei valori medi e la loro
dispersione in termini di deviazione standard
dei valori medi:
¯= M 1 PM
x̄ x̄k
q k=1
1 P M ¯ 2
Sx̄ = M k=1 (x̄ − x̄k )
Oltre che un valore medio delle deviazioni stan-
dard e la deviazioni standard delle deviazioni
rispetto alla loro media:
1 PM
S̄Sk = M k=1 Sk
q P
1 M 2
Figura 6.63: Rappresentazione graca dell'ana- SSk = M k=1 (S̄Sk − Sk )
lisi statistica di misurazioni multiple
Quindi possiamo denire due nuove popolazioni, indipendenti, di grandezza M , pari al numero
di esperimenti, alle quali aeriscono i valori assunti da media e deviazioni standard.
A noi interessano in particolare:
Siamo in particolare interessati a capire se esista una relazione tra media e deviazione standard
dei valori medi da un lato e media e deviazione standard dei dati di un singolo esperimento
dall'altra.
Media e deviazione standard della media Proviamo a simulare l'operazione. Data una
popolazione a distribuzione gaussiana (µ=0,σ =1), si sono svolti 12 esperimenti basati su 500
campioni contenenti un numero di eventi crescente da 50 a 1000. L'istogramma per uno dei
gruppi di campioni avrà l'aspetto di seguito riportato.
292 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
1. Distribuzioni delle medie: si vede una distribuzione centrata sul valore nullo, media di
tutte le misure disponibili, con dispersione decrescente.
2. Distribuzioni delle deviazione standard: attestate sul valore unitario, con dispersione
decrescente.
3. Deviazione standard delle medie: minore di quella dei dati e regolarmente decrescente
all'aumentare del campione.
È quindi ipotizzabile un legame tra la deviazione standard dei dati e quella delle medie che tenga
conto del numero di eventi che costituiscono il campione.
Figura 6.68: Andamento di deviazione standard del processo e del valore medio con la dimensione
del campione
L'andamento suggerisce una diminuzione della deviazione all'aumentare della dimensione del
campione. Vogliamo quindi individuare empiricamente la legge tra deviazione standard dei dati
del campione e deviazione standard della media del campione.
Poiché quest'ultima diminuisce all'aumentare della dimensione del campione, mentre la devia-
zione standard dei dati campionari rimane invariata, è possibile supporre che la relazione tra le
due veda il numero di eventi nel campione n a denominatore del rapporto σ dati /σ media
Un coeciente proporzionale all'inverso del numero di misure tuttavia porta a una eccessiva
diminuzione (linea verde), mentre un coeciente proporzionale all'inverso della radice quadrata
porta alla corretta interpretazione dell'andamento della deviazione della media in funzione del
numero di dati presenti nel campione.
σ S
σx̄ = √ ≈ √
n n
Peraltro si può vericare che non è necessario che la popolazione sia a distribuzione gaussiana
per ottenere i risultati presentati relativi alla media di una popolazione: per una distribuzione
uniforme gli andamenti sono analoghi.
294 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Ripetendo l'esperimento M volte (k=1:M) possiamo organizzare i dati in una matrice di valori
xki con la convezione di inserire i dati dell'esperimento k-esimo nella riga corrispondente (l'indice
ki si riferisce alla misura i-esima del k-esimo esperimento). Per ciascun esperimento avremo un
valor medio e una deviazione standard,
v
N u N
1 X u 1 X
x̄k = xki Sk = t (xki − x̄k )2
N N −1
i=1 i=1
Utilizzando tutti io dati disponibili è possibile eettuare una valutazione globale di tutte le M
x N misure:
1 1 PM PN
x̄M N = M N k=1 i=1 xki
2 1 1 PM PN 2
SM N = M N k=1 i=1 (xki − x̄M N )
Valore medio dei valori medi I valori medi x̄k costituiscono un insieme di variabili casuali
indipendente che possiamo ipotizzare gaussiano, quindi caratterizzato da un valore medio e da
una deviazione standard mx̄ , Sx̄ . Vogliamo identicare questi due parametri.
L'operatore di media dei valori medi è lineare ovvero la media dei valori medi coincide con la
media di tutte P le valutazioni fatte in tutti gli esperimenti.
M PN
x̄M N = M 1 1
N k=1 i=1 ki =
x Partendo dalla media globale e separando le
P due sommatorie
M N M
1 1 1
Possiamo riconoscere la denizione del valor
P P
M k=1 N i=1 xki = M k=1 x̄k
medio dell'esperimento k-esimo x̄k
1 PM
M k=1 x̄k = mx̄ Ottenendo la denizione della media dei valori
medi
x̄M N = mx̄ Come volevasi dimostrare
Se N è sucientemente grande le deviazioni casuali della media sono già compensate in un
6.3. ELEMENTI DI STATISTICA 295
singolo campione di dati, quindi si può ritenere che i valori medi associati ai diversi esperimenti
siano equivalenti:
mx̄ ≈ x̄k ∀k
In particolare possiamo utilizzare i risultati del primo esperimento: mx̄ ≈ x̄1 ; non c'è quindi
nessuna necessità di ripetere l'esperimento!
Deviazione standard dei valori medi Cerchiamo un risultato analogo per la deviazione
standard dei valori medi, Sx̄ ; cerchiamo una relazione che la leghi alla deviazione standard
totale e, possibilmente, con la deviazione standard di una sola serie di dati.
Abbiamo visto che anche la deviazione standard del campione, analogamente al valore medio, si
stabilizza con l'aumento del numero di dati.
1 1 PM PN
Deviazione standard di tutti i dati: SM2
N = MP N k=1
2 2
i=1 (xki − mx̄ ) ≈ Sk
M
Deviazione standard dei valori medi: Sx̄2 = M1
k=1 (x̄k − mx̄ )
2
Il termine quadratico della seconda relazione può essere sviluppato in termini di media delle
deviazioni delle singole misure dalla media globale:
x̄k − mx̄ = Introduciamo la denizione P di valor medio
della serie k-esima x̄k = N1 N i=1 xki
1 PN
N
N
i=1 xki − N mx̄ = Introduciamo il rapporto unitario N N per
bilanciare il peso dei due termini
1 PN 1 PN
N i=1 xki − N i=1 mx̄ = Bilanciamo la strutturaPscrivendo PNN come
sommatoria N mx̄ = mx̄ N i=1 1 = i=1 mx̄
1 PN
N i=1 (xki − mx̄ ) Riportiamo inne la sottrazione all'interno
della sommatoria
Avendo ottenuto
N
1 X
x̄k − mx̄ = (xki − mx̄ )
N
i=1
possiamo P sostituire questo risultato nell'espressione della deviazione standard delle medie:
M 1 PN
Sx̄2 = M1
(x̄ k − m x̄ ) 2 sostituzione di x̄k − m x̄ = (x ki − mx̄ )
k=1 2 N i=1
M N
1 1
Spostamento di N1 fuori dalla sommatoria e sviluppo
P P
M k=1 N i=1 (xki − mx̄ )
P del quadrato
1 1 PM N 2
M N2 k=1 i=1 (xki − mx̄ ) +
PN PN
i=1 j=i+1 2(x ki − m x̄ )(x kj − m x̄ )
Si ottiene una relazione elementare tra la deviazione standard delle medie e quella totale:
1 2
Sx̄2 ≈ S
N MN
Con le stesse ipotesi di stabilizzazione dei risultati e assumendo che le singole serie di dati
producano una misura adabile della deviazione standard dei dati
M
1 X
SM N ≈ Sk ≈ Sk ∀k
M
k=1
La stima del misurando, intesa come media dei valori medi, è quindi una grandezza per la quale
si può adottare l'ipotesi di distribuzione gaussiana.
La stima è basata direttamente sul valore medio campionario. Stima = x̄ ¯ ≈ x̄
La dispersione della misura può essere valutata a partire dalla deviazione standard campionaria.
Sx̄≈ √1N S
Lo scostamento della misura dal valore nominale può essere normalizzato usando la deviazione
standard e rientrando nello schema di densità di probabilità normale. z = x̄−µ σx̄
Si potrà dunque utilizzare la tabella di integrazione della funzione di densità di probabilità nor-
male, con le medesime procedure operative sviluppate per una distribuzione di valori, per stimare
l'intervallo di condenza sotteso dal parametro z. La stima del misurando, intesa come media
dei valori medi, è quindi una grandezza per la quale si può adottare l'ipotesi di distribuzione
casuale, caratterizzata da:
valore mediox̄¯∼= x̄, deviazione standardSx̄≈ √1N S .
24.86 ≤ µ ≤ 25.14
In denitiva la resistenza media avrà un valore di: 25 ± 0.14Ω. Con un livello di condenza
pari al 90%, cioè il valore medio della popolazione di resistenza avrà una probabilità del 90% di
essere compreso nell'intervallo tra 24.86 e 25.14 Ω.
La misura della resistenza è data dal valore medio delle Ri ma sempre da intendersi come
approssimazione del valore medio della popolazione.
Variabile gaussiana: mx̄ ≈ x̄ = R̄ (media= mx̄ , deviazione standard= Sx̄ )
6.3.2 Denizioni
Prima di proseguire può essere utile riassumere gli elementi introdotti e ssare qualche denizione
di raccordo con la letteratura:
Popolazione (Population). La popolazione è l'insieme che contiene tutti gli oggetti, misure,
osservazioni, ecc.., analizzate, per le quali possono essere espresse alcune generalizzazioni. Se
consideriamo una serie di misurazioni della stessa grandezza cosa si può dire? Si può sostenere
che la popolazione sia costituita da tutte le misure disponibili, ma avremmo potuto farne altre,
o meno, allora quale sarebbe la popolazione?
298 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Γ( v+1
2 )
R∞
f (t, v) = v+1 Γ (z) = 0 tz−1 e−t dt
√ 2 2
vπ Γ( 2 ) 1+ tv
v
La distribuzione t può essere utilizzata, analogamente a quella normale, per stimare l'intervallo
di condenza della media a partire da un certo numero di misure, quando queste non sono
sucienti a giusticare l'utilizzo diretto dell'estensione con ipotesi gaussiana.
Il modo di procedere è del tutto analogo a quello utilizzato con la distribuzione normale: una
volta scelta la curva corrispondente ai gradi di libertà in questione (v ), possiamo denire la
probabilità che t cada nell'intervallo: −tα/2 e + tα/2 .
P −tα/2 ≤ t ≤ +tα/2 ?
Anche in questo caso all'intervallo nel parametro t ne corrisponde uno per la grandezza valore
medio; sostituendo la denizione di t si ottiene infatti:
x̄ − µ S S
P −tα/2 ≤ √ ≤ +tα/2 = P x̄ − tα/2 √ ≤ µ ≤ x̄ + tα/2 √
S/ n n n
Anche in questo caso sono disponibili funzioni cumulative in forma tabulata; le tabelle tengono
conto dei gradi di libertà e del livello probabilistico di interesse:
Il livello probabilistico può essere espresso in termini di probabilità P (80, 90, 95, 98e99) o di
corrispondente signicatività; questa può essere espressa sia in termini di α = 1 − P che di α/2,
facendo riferimento alle semi-code esterne all'area di interesse.
Figura 6.75: Riferimento alle code per la denizione del parametro α/2
S
µ = x̄ ± tα/2 √
n
Figura 6.76: Valori della distribuzione t per alcuni valori di gradi di libertà e livello probabilistico
La trattazione fornisce risultati praticamente sovrapponibili a quelli ottenuti con l'utilizzo della
funzione di densità normale, quando si utilizzano numerosi eventi.
Figura 6.77: Andamento del coeciente t-Student al variare del numero di gradi di libertà e del
coeciente di copertura α (P=1-α) confrontato con i valori asintotici di z
Lo schema per arontare il problema probabilistico elementare (una singola variabile) visto in
precedenza può ora essere completato inserendo il percorso per l'utilizzo di t-student.
6.3. ELEMENTI DI STATISTICA 301
Esempi
Esempio 1 Si vuole valutare il tempo medio di guasto di schermi VCR con un intervallo di
condenza del 95%, partendo da 6 misure del tempo di guasto, pari a ore:
1250, 1320, 1542, 1464, 1275 e 1383
Si chiede di stimare la media e l'intervallo di condenza della media per un livello di condenza
del 95%.
Soluzione: Il valor medio e la deviazione del tempo di guasto valgono:
1250 + 1320 + 1542 + 1464 + 1275 + 1383
x̄ = = 1372h
6
v
u n
u 1 X
S=t d2i = 114 h
n−1
i=1
Esempio 2 Il risultato dell'esempio precedente non soddisfa dei requisiti commerciali; è neces-
sario limitare l'intervallo di condenza sulla media a ±80 ore, sempre con un livello di condenza
pari al 95%; cosa è possibile fare?
Soluzione: L'intervallo di condenza è dato da: IC = ±tν,α/2 √Sn
Si tratta di un dato determinato da due componenti: numero di misure (attraverso n e t) e
deviazione standard campionaria. Con più misure, a parità di S, il denominatore sarebbe più
grande e il numeratore più piccolo
302 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
2.571 × 114 2
n= = 13.42 ' 14
80
Occorrerebbe quindi acquisire altre 8 misure e vericare che la nuova statistica rispetti il requisito
IC ≤ 80 con probabilità del 95%.
In realtà poiché con 14 misure la t si riduce (2.13 contro 2.571), l'intervallo si ridurrebbe più del
richiesto: necessario iterare per ottenere il numero di misure corretto.
Si noti comunque che in tutto il procedimento il valore di S rimane costante per ipotesi.
Esempio 2 bis In realtà non è necessario assumere costanti sia S che t. Il risultato dipende
anche dal numero di misure, non solo dalla loro dispersione
Abbiamo ottenuto IC = t5,α/2 √5+1 S
= 120 mentre vogliamo IC = t5,α/2 √5+1
S
= 120; se isoliamo
la deviazione standard S , il solo termine che è necessario mantenere costante (sino a che non
potrà essere migliorato da nuove informazioni) otteniamo
t t
IC = S √5,95%
5+1
= 120 e CID = S √ν,95%
ν+1
= 80
t
In teoria occorrerebbe risolvere rispetto a ν l'equazione non lineare √ν,95%
ν+1 S ; la soluzione però
= 80
non è banale data la presenza di funzioni di ν sia a numeratore che denominatore.
Questa struttura suggerisce anche di lavorare non separatamente su gradi di libertà e coeciente
t
di student, ma sul rapporto √ν,95%
ν+1
.
Eseguendo il rapporto degli intervalli di condenza otteniamo:
t tn−1,α/2
ICD S n−1,α/2
√
n
√
n
= t5,α/2 = t5,α/2 = 0.667
IC6 S 6√ √
6
1. in luogo della colonna dei coecienti tν,α/2 si introduce un rapporto tra elementi coerenti
t √
tra di loro √ν,α/2
ν+1
; equivale a modicare la colonna della tabella dividendola per ν + 1,
con una sorta di normalizzazione dei coecienti al numero di gradi di libertà disponibili
2. si lavora con la tabella normalizzata del punto 2), ulteriormente normalizzata con il suo
t t t
valore nel punto di partenza, valore noto, cioè √v,α/2
v+1
/ √5,α/2
5+1
= √v,α/2
v+1
/1.0496
t
Aggiungiamo quindi a quella usuale una colonna con i coecienti √ν,α/2ν+1
nella quale si riportano
solo i coecienti della seconda a partire da quello utilizzato (ν ≥ n − 1) e un'altra colonna nella
quale sono riportati i coecienti della precedente ulteriormente normalizzati rispetto al primo:
t t
√ .
√ν,α/2 / 5,α/2
ν+1 6
6.4. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI DI MISURA 303
La posizione nella terza colonna del primo coeciente inferiore a 67% identica il numero di
misure richiesto.
In questo modo la riduzione richiesta è ottenuta con 9 = 8 + 1 misurazioni in totale, quindi
solo 3 in più rispetto a quelle già disponibili, contro le 8 richieste con la prima soluzione. In
questo modo la sola ipotesi necessaria è che la deviazione standard dei dati, S , rimanga costante.
Un'ipotesi che andrà comunque vericata dopo l'acquisizione delle ulteriori misure previste.
σ F 1
E= =
ε a · b Ls
disponendo delle misure di forza, spostamento e dimensione della sezione, oltre ai relativi
indicatori di incertezza,
F = Fmis ± uF s = smis ± us
L = Lmis ± uL a = amis ± ua
b = bmis ± ub
Il problema si può anche presentare in forma inversa: determinare le incertezze ammissibili sulle
dimensioni se si desidera ottenere una assegnata incertezza sul volume di un cilindro calcolato
come
d = dmis ± ud
V = π d2 h/4 uh , ud → uV ≤ ε
h = hmis ± uh
Nell'ambito della sperimentazione, data la linea di misura (es. composta da trasduttore-
amplicatore- ltro- AD a n bit, . . . ) il problema di misura diretto si formula come: note
le caratteristiche di tutti i componenti, come prevedere l'incertezza della misura nale; mentre
quello inverso sarà espresso come: scegliere i componenti in modo da garantire dispersione della
misura inferiore a un limite assegnato.
In realtà non è necessario avere un unico esperimento che generi contemporaneamente tutte
le misure dirette. È possibile ipotizzare che ogni variabile venga misurata con uno specico
esperimento e che questo fornisca un numero diverso di misure. In questo caso la popolazione
della grandezza derivata sarà ottenuta eseguendo tutte le permutazioni possibili. Si riporta lo
script MATLAB per l'implementazione di questa analisi:
VMP=mean(P);
STDP=std(P);
Il secondo metodo genera una popolazione più ampia, è stato quindi adottato per la preparazione
dei risultati di seguito riportati: sono state utilizzate 20 valutazioni per ogni lato (ipotizzando
una distribuzione uniforme di ampiezza 0.5) con complessive 8000 valutazioni del perimetro.
A sinistra sono riportati le lunghezze dei lati 1,2,3 nelle prime tre gure e i perimetri ottenuti con
tutte le possibili combinazioni nella quarta, nelle gure di destra sono riportati i corrispondenti
istogrammi (in blu) confrontati con le distribuzioni di probabilità di pari deviazione standard
(uniforme per i dati e gaussiana per il perimetro).
Si osserva come l'istogramma della funzione perimetro sia regolare, nonostante gli istogrammi
delle singole misure di lato siano evidentemente una cattiva stima della distribuzione uniforme
utilizzata per generare i dati; inoltre la densità di probabilità determinata per il perimetro è
ragionevolmente approssimata dal modello gaussiano di pari valore medio e deviazione standard.
306 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Figura 6.79: Misure e distribuzioni delle lunghezze dei lati e del perimetro
Questo approccio è alla base del Metodo Montecarlo, del quale si riassumono i punti elementari:
1. Note o ipotizzate le distribuzioni di ogni variabile indipendente si genera un numero elevato
di valutazioni di ciascuna
2. Con le popolazioni di variabili indipendenti si genera un campione corrispondente a un
esperimento che utilizzi i dati disponibili.
3. Si identica la sionomia della dispersione mediante l'istogramma
4. Si caratterizza la popolazione risultato di questo processo mediante valor medio (non
utilizzato) e varianza.
5. La varianza viene utilizzata per denire la dispersione della grandezza dipendente.
Sono disponibili tecniche più ranate della semplice generazione dei dati e dell'analisi statistica
di tutte le possibili combinazioni, ma per gli scopi del corso quanto riportato è ritenuto suciente.
A completamento del discorso fatto, si fa presente che esiste il teorema del limite centrale
(J.W. Lindeberg 1922) , il quale aerma che Una somma di variabili aleatorie indipendenti e
identicamente distribuite (con funzioni di densità di probabilità uguali) di media µ e varianza
σ 2 , indipendentemente dalla distribuzione di partenza, al tendere del campione all'innito, tende
a distribuirsi come una variabile casuale normale .
La dimostrazione del teorema e la sua applicazione rigorosa è al di là degli scopi del presente
corso. Ma di fatto con la simulazione si superano gli stringenti vincoli di validità del teorema.
L'unica ipotesi richiesta è la simmetria delle distribuzioni dei parametri indipendenti rispetto al
valor medio: funzioni non simmetriche sarebbero indicative di un errore sistematico.
sulle singole variabili indipendenti; ma questo non dipende dal metodo: si tratta della qualità
delle informazioni a disposizione. Esiste un solo vero limite, peraltro molto importante e non
si tratta di un limite concettuale ma applicativo: il metodo è adatto soltanto alla soluzione dei
problemi diretti.
È quindi necessario uno strumento alternativo, magari più limitato per alcuni aspetti, ma più fa-
cilmente utilizzabile. Formalizziamo il processo di simulazione introducendo in maniera esplicita
le deviazioni dai valori nominali della grandezza derivata.
La varianza si esprime con una struttura quadratica: Sx2 = N1 {∆x}T {∆x} che si basa sulle
deviazioni e non sui valori eettivi.
xi = x̄i ± ui Q = f (xi ) i = 1 : m
Come fare per conciliarli? La risposta è nota dai corsi introduttivi di Algebra: la linearizzazione.
∂Q ∂Q
Q = Q0 + dx1 + ... + dxm
∂x1 0 ∂xm 0
La linearizzazione della relazione Q consente di introdurre nel modello deterministico gli eetti
che un cambiamento delle variabili indipendenti xi , i=1:m ha sulla grandezza derivata. La
linearizzazione da sola non sarebbe suciente: ammesso di sostituire i termini dierenziali con
l'indicatore di dispersione, non sapremmo come combinarli: infatti risulterebbe:
L'ecacia della soluzione è messa ancor meglio in evidenza dalla scrittura diretta in termini di
deviazione della variabile Q rispetto al valore di riferimento:
∂Q ∂Q
∆Q = Q − Q0 = dx1 + ... +
dxm
∂x1 0 ∂xm 0
La dimostrazione della formula di Radice della Somma dei quadrati prende avvio da queste
considerazioni:
Applichiamo lo schema visto per il calcolo della varianza alla variabile Q espressa mediante la
linearizzazione
Per la linearizzazione, la Pdeviazione dal valor medio della grandezza Q è: ∆Q = Q − Q̄ =
∂Q ∂Q M ∂Q
∂x1 dx 1 + ... + ∂xM dx M = i=1 ∂xi dxi
308 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Per poter valutare la deviazione non servono né il valore medio di Q né i valori individuali delle
grandezze xi
Suciente un'ipotesi della dispersione delle grandezze rispetto al proprio valore medio, cioè le
deviazioni ∆xi , cioè serve la distribuzione di probabilità. Per applicare la formula della varianza
serve quindi un vettore di deviazioni di Q. Simulando la ripetizione dell'esperimento scrivendo
direttamente le deviazioni per ciascuno di essi, la riga diventa una matrice
..
.
Dxk
[Dx] =
..
. N xM
Con formalismo immutato si ottiene direttamente il vettore delle deviazioni sempre come
prodotto tra una matrice di deviazioni e un vettore di derivate:
.. ..
. . Q
/.1 x
..
{∆Q} = ∆Q = Dx = [Dx] Q/x
. k . k
.. ..
Q/M x
2
T
SQ = Q/x [Cx ] Q/x
Il risultato è un prodotto simmetrico il cui nucleo è costituito dalla Matrice di Covarianza [Cx ]
delle variabili xi .
La matrice di covarianza è piena, di ordine pari al numero di variabili indipendenti (M x M)
I termini della matrice di Covarianza vengono deniti come:
varianza se diagonali Si2 ≈ N1 N 2
i,k − x̄i ) (o auto-covarianza)
P
k=1 (x
e di covarianza se extra-diagonali Si,j
2 ≈ 1 N
P
N k=1 (xi,k − x̄i ) (xj,k − x̄j )
Possiamo dare un'interpretazione sica alle covarianze:
1. Rappresentano l'interazione delle deviazioni dei diversi termini dello sviluppo ovvero una
misura di quanto le due variabili cambino insieme, siano cioè dipendenti tra loro.
2. Quando sono auto-covarianze (i=j) il risultato è la varianza, forma quadratica sempre
positiva.
3. Quando sono covarianze (i6=j) gli scostamenti delle due variabili dai rispettivi valori medi
si combinano algebricamente e la sommatoria sulle N misure, questo può comportare
cancellazione.
6.4. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI DI MISURA 309
L'espressione della varianza delle variabile Q si riduce alla somma dei termini diagonali:
N
2
T X 2
SQ ≈ Q/x [diag(Covx )] Q/x = Q/xi Sxi
i=1
La deviazione standard di Q è quindi data dalla Radice della somma dei quadrati, universalmente
nota come RSS da Root of Sum of Squares.
v
uN
uX 2
RSS = t Q/xi Sxi
i=1
eetto potrebbe essere evidenziato con un diagramma delle deviazioni e quanticabile con una
regressione lineare: il coeciente angolare rappresenta la relazione tra le due grandezze. In
gura sono rappresentati i due casi di incertezze non correlate (sinistra) e correlate (destra) in
maniera signicativa.
Analizziamo un altro esempio: consideriamo il caso di 3 grandezze misurate ciascuna con con
500 ripetizioni; la matrice [Dx] è una 500 × 3 e la covarianza una matrice di ordine 3.
I graci superiori della gura seguente sono ottenuti generando deviazioni casuali per tutte le
misure, mentre le gure inferiori sono ottenute generando le deviazioni della misura 3 sommando,
a pari peso, deviazioni casuali appositamente generate e le deviazioni della variabile 1.
I diagrammi mostrano che:
1. le deviazioni delle variabili 1 e 2 non sono correlate nel primo caso (nessuna tendenza)
6.4. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI DI MISURA 311
2. esiste una evidente tendenza nel secondo, pur in presenza di una correlazione soltanto
parziale: solo una parte delle deviazioni è spiegata dal modello lineare
Figura 6.81: Simulazione delle deviazioni di 3 grandezze: 1-2 scorrelate, 1-3 correlate al 50%
6.4.4 Applicazioni
Esempio 1 Nel caso del cilindro: V = π d2 h/4d = dmis ± ud h = hmis ± uh
V=82033 mm3 wV ?
d = 32 ± 1 mm (±3.13%)
Assumendo i seguenti valori:
h = 102 ± 1 mm (±0.98%)
(i termini wi sono deviazioni std)
s 2 2
∂V ∂V
uV = × ud + × uh
∂d ∂h
p √
(2πdh/4 × ud )2 + (πd2 /4 × uh )2 uV = 2628694 + 646814= 5189.8mm3 ( ±6.33%)
Esempi: commenti Come deducibile dal confronto dei termini sotto radice, se si vuole miglio-
rare il risultato, occorre ridurre l'incertezza del diametro in quanto il suo contributo è dominante
rispetto a quello dell'altezza.
Poiché i singoli termini sono moltiplicati per il fattore di sensibilità il contributo maggiore,
non necessariamente l'incertezza maggiore, tende a dominare il risultato.
La RSS è una relazione che in maniera generale, permette di mettere in evidenza sia l'errore
dovuto alla singola misura, sia il peso di questa sul risultato.
Per la sperimentazione l'analisi del peso dei singoli termini che concorrono a determinare l'in-
certezza è fondamentale per ridurre nella maniera più eciente il margine di errore associato a
una misura:
1. se un'incertezza ha un peso elevato sarà opportuno tenerla sotto controllo e agire sul
termine con peso maggiore darà il miglioramento più signicativo
2. conviene agire sulla qualità dello strumento con il contributo peggiore piuttosto che pensare
di migliorare tutti gli strumenti della catena di misura.
Come spesso succede le cose semplici nascondono delle insidie di interpretazione. Le percentuali
sono operatori relativi ed essendo adimensionali, formalmente possono essere sempre combinate,
ottenendo però risultati, se non sbagliati, concettualmente di diverso signicato quando i termini
di riferimento non sono omogenei: sono quindi necessarie alcune attenzioni. Consideriamo due
casi: nel primo il riferimento di diverse fonti di errore è comune (il fondoscala di un unico
strumento), nel secondo i riferimenti sono indipendenti, è il caso di più strumenti che forniscono
le misure per il calcolo di una grandezza dipendente.
314 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
Caso di un singolo strumento con diverse fonti di aleatorietà Si tratta del caso in
cui uno strumento viene analizzato, individuando le diverse fonti di errore che contribuiscono
alle sue caratteristiche di qualità. É il caso di un sistema di conversione analogico-digitale o
un potenziometro con alimentazione integrata, per i quali la struttura della propagazione é
una produttoria; i motivi di aleatorietà sono tutti riferiti, o sono riferibili, a un unico valore
di riferimento, il fondoscala dello strumento per cui la RSS sará calcolabile come radice della
somma dei quadrati delle incertezze percentuali. Consideriamo per semplicitá, ma senza ledere
la generalitá, il caso di due fonti di aleatorietá:
• fonte 1: indicatore di aleatorietà percentuale x1%
• fonte 2: indicatore di aleatorietà percentuale x2%
In entrambi i casi le percentuali sono da intendersi
q riferite al fondoscala dello strumento.
La propagazione sarà scritta come: wS% = x1% + x22% e, coerentemente con la denizione di
2
x1% e x2% , sarà valida solo per una misura al FS dello strumento; in Unità Fisiche il valore
della propagazione sarà: wS = wS% F S/100U F . Per determinare la propagazione wM per
una generica misura M è necessaria un'ipotesi per proiettare wS lungo tutto il fondoscala di
misura. Applicare wS% a valori inferiori al FS (wM = M wS% ) signica ipotizzare un errore
con andamento lineare sul campo di misura; si tratta di un'ipotesi azzardata, anzi, normalmente
irrealistica in quando comporterebbe un errore assoluto che diminuisce con la misura, suggerendo
quindi l'eettuazione di misure piccole rispetto alla portata dello strumento. Si tratta di un
comportamento non coerente con l'osservazione sperimentale. É molto più diuso assumere un
errore uniforme sul campo di misura (wM = wS ) per cui l' Errore relativo per una misura M,
caratterizzata da fattore di copertura R = M/F S (es 1/10), è dato da: wM % = wS /M 100 da
cui wM % = wS% F S/100/(RF S)100 = wS% /R cioé è dato dall'errore relativo al FS amplicato
dal fattore di copertura.
Caso di una misura indiretta derivata da misure dirette Si tratta del caso in cui viene
analizzato un sistema di misura composto da più strumenti le cui uscite sono utilizzate per
il calcolo di una grandezza derivata, Q = Q(xi , wxi ); assumiamo, anche in questo caso, che
la struttura della propagazione sia una produttoria, per cui la RSS è calcolabile come radice
della somma dei quadrati delle incertezze percentuali e che, per semplicità, ma senza ledere
la generalità, alla misura concorrano due strumenti, ciascuno con le proprie caratteristiche
metrologiche, siche e di utilizzo:
Esempio: calcolo del lavoro compiuto da una forza Il lavoro è calcolato a partire da
misure di forza e spostamento realizzate con un dinamometro e un LVDT le cui caratteristiche
rilevanti sono riportate nella tabella seguente:
• Usare come riferimento i valori massimi teorici porta al risultato massimo, verosimilmente
conservatovo, forse troppo;
• Riferire le percentuali alla misura eettiva porta al valore minimo che potrebbe risultare
poco conservativo;
• Usare le percentuali riferite ai valori eettivi porta al valore intermedio di stima della
propagazione.
Utilizziamo l'approccio di simulazione per vericare quale procedura conviene utilizzare, cioè
con un risultato più coerente con la valutazione numerica del fenomeno. Si riporta il codice
Matlab:
Simul. RSS
Lavoro medio 179986 180000
DevStd lavoro 2025.4 2019.6 (ul)
Err% 1.124 1.122 (ul%mis)
Possiamo provare ad applicare questo procedimento al calcolo dell'incertezza del valore medio
T
di un numero di misure. Organizzando in un vettore le grandezze{x} = a b c ... l'ope-
PN
razione di somma diventa una sommatoria, S = a + b + c + ... = i=1 xi , che come operatore
coincide con il calcolo della media delle N grandezze, a parte la mancanza della divisione per il
numero di misure. Applicando lo stesso procedimento all'operatore di media, cioè trattandolo
come una generica funzione cui applicare la RSS, otteniamo:
v
u
u1 X N 2
∂ x̄
ux̄ = t × ui
N ∂xi
i=1
S
u= √
ν+1
dove
v
u N
u 1 X
S=t (xi − x̄)2
N −1
i=1
Quindi l'incertezza standard di tipo A è data dalla deviazione standard della media campionaria
di una variabile misurata.
Risulta evidente come si tratti di un approccio alla denizione dell'incertezza di una misura
statica, che consente la ripetizione delle misure, applicabile ad un sistema di misura esistente. Il
suo impiego tipico risiederà nella valutazione delle caratteristiche di un nuovo sistema di misura
o nella verica periodica della sua funzionalità.
5. espressione della misura come media delle misure aetta da un'incertezza data dallo scarto
tipo della media, accompagnata dal numero di dati utilizzati o dai gradi di libertà: x =
m ± u(ν = N − 1)
L'incertezza viene rappresentata con una deviazione standard stimata, e denita incertezza
standard o tipo, pari alla radice quadrata della varianza stimata.
In questo caso non sono disponibili misure o non è possibile procedere con la ripetizione delle
stesse. Si tratta quindi di una procedura che troverà applicazione nella fase di progetto di un
sistema di misura e in tutti i casi nei quali non è possibile procedere con la ripetizione delle
misure.
Per poter operare è necessaria una ipotesi di distribuzione della variabile in oggetto.
5. espressione della misura come valore atteso aetto dall'incertezza tipo, accompagnato da
un numero di gradi di libertà innito:
x = m ± u (ν = ∞)
Tipo A Tipo B
Misure xi N.A.
Distribuzione misure Normale HP: p(x)
R∞
Deviazione standard processo σx = Sx σx = (x − µ)2 p(x) dx
−∞
Misure disponibili N 1
Distribuzione misura Normale Normale
Deviazione standard misura σm = Sx × α σm = Sx × α
α √1 √1
N N
Gradi di libertà N-1 ∞
k = tν,%
tenendo conto sia del livello duciario richiesto, %, che del numero di gradi di libertà, ν .
6.5. DEFINIZIONE DELLE INCERTEZZE DI MISURA 321
nella quale le incertezze standard delle variabili xi , sia di tipo A che di tipo B, vengono
utilizzate per propagare il loro eetto sulla variabile derivata.
o
Z∞
V =σ = 2
(x − µ)2 p(x) dx
−∞
322 CAPITOLO 6. INCERTEZZE DI MISURA
nute con campioni poco numerosi quali N<30) non possiamo considerare egualmente signicativi
i diversi contributi, né gaussiano il risultato.
A livello normativo si richiede di lavorare direttamente sull'incertezza combinata, senza cercare
di rendere coerenti tra loro i livelli probabilistici dei singoli contributi.
Si richiede di pesare il contributo dei diversi elementi che compongono l'incertezza della gran-
dezza derivata tenendo conto che il livello di qualità delle diverse incertezze è legato al numero
di gradi di libertà utilizzati per caratterizzarle:
N-1 per Tipo A e innito per Tipo B.
Si pesano i contributi dei singoli termini che concorrono a denire il numero di gradi di libertà
equivalenti dell'incertezza combinata utilizzando la formula di Welch-Satterthwaite:
m
P ∂Q 2 2 m 2
Ui2
P
∂xi ui uQ 4
i=1 i=1
ν ' m
4 = m 4 = m
P ∂Q 1
P Ui P
Ui4 ν1i
∂xi ui νi νi
i=1 i=1 i=1
Essa pesa la rilevanza del contributo dell'incertezza di una singola variabile alla qualità totale
rapportandolo al proprio numero di gradi di libertà.
Per ottenere l'intervallo di condenza dell'incertezza combinata, estesa al livello di condenza
desiderato, si moltiplica lo scarto tipo per k.
Si denirà poi il fattore di copertura k secondo una distribuzione normale o t-Student, in funzione
del risultato ottenuto, al solito se i gradi di libertà risultano essere in numero maggiore e o minore
di 30-40.
• elencare tutte le misure con le relative incertezze tipo e l'associato numero di gradi di
libertà: ui , νi
• propagare le incertezze tipo calcolando l'incertezza tipo combinata della variabile
dipendente applicando la RSS: uQ νQ
• determinare il numero di gradi di libertà equivalenti che caratterizzano l'incertezza tipo
combinata con la formula di Welch-Satterwhaite: νQ
• determinare il fattore di copertura, per il livello duciario richiesto, come per una variabile
casuale a distribuzione gaussiana z% se νQ ≥ 30 ÷ 36 altrimenti utilizzando il parametro
t-Student corrispondente ai gradi di libertà equivalenti e al livello probabilistico richiesto:
t%,ν se νQ ≤ 30 ÷ 36
• calcolare l'incertezza combinata estesa al livello duciario richiesto: UQ% = kνQ % · uQ
La procedura di calcolo per l'estensione dell'incertezza combinata può essere sintetizzata nella
gura seguente:
6.5. DEFINIZIONE DELLE INCERTEZZE DI MISURA 325
1. Si supponga che uno strumento a display digitale dia il risultato: 11. Il signicato della
lettura 11. è che il valore in ingresso è 10.5 < x < 11.5; non possono essere avanzate ipotesi
sulla probabilità dei valori nell'intervallo in quanto tutti i valori sono equamente probabili
in tale intervallo; la funzione distribuzione di probabilità è costante nell'intervallo e nulla
fuori. Si opterà quindi per una distribuzione uniforme centrata nel valore e di semiampiezza
metà della risoluzione.
4. Nelle caratteristiche tecniche di uno strumento di misura viene dichiarato che l'accuratezza è
paria una percentuale δ del FS.
L'accuratezza esprime l'estremo superiore dell'errore che si commette nell'utilizzo dello strumen-
to calibrato; in mancanza di altre informazioni, è lecito assumere una distribuzione di probabilità
uniforme e quindi esprimere l'incertezza tipo come:
1 δ
u= √ FS
3 100
• le coppie A-B e B-C sono mutuamente compatibili, avendo A-B la fascia azzurra e B-C la
fascia rosa in comune;
• le coppie A e C non sono compatibili perché non ci sono elementi comuni nei loro intervalli.
Capitolo 7
329
330CAPITOLO 7. GESTIONE DELLA PROVA E PROBLEMATICHE DI INSTALLAZIONE
Nel procedimento si assume che le misure x non siano aette da incertezza; in alcuni casi ciò è
del tutto naturale, a esempio in calibrazione quando il riferimento deve essere più preciso dello
strumento in calibrazione (tipicamente 1/10), quindi di incertezza trascurabile.
Sviluppiamo l'incertezza sul coeciente lineare:
PN PN PN
N i=1 xi yi − i=1 yi i=1 xi
A= PN P 2
2 N
N i=1 xi − x
i=1 i
N N
!2
X X
2
N xi − xi =
i=1 i=1
N N
!2
X 1 X
N xi 2 − N 2 xi =
N
i=1 i=1
N
!
X
2 2
N xi − N x̄ = ∆
i=1
N
∂ num(A) 2
σ 2 X
2 y
σA =
∆ ∂yk
k=1
N
P
∂ x i yi
i=1 i = k xk
=
∂yk i 6= k 0
N
P
∂ yi
i=1 i=k 1
=
∂yk i 6= k 0
Inne:
N N
!
∂ num(A) X 1 X
= N xk − xi = N x k − N xi = N (xk − x̄)
∂yk N
i=1 i=1
∂ num(A)
Quindi, poiché: ∂yk = N (xk − x̄)
7.1. GESTIONE DELLA PROCEDURA SPERIMENTALE 331
N 2 N N
∂ num(A)
= N2 (xk − x̄)2 = N 2 xk 2 + x̄2 − 2xk x̄ =
P P P
∂yk
k=1 Nk=1 k=1
N N
2 2 2
P P P
=N xk + x̄ − 2x̄ xk =
k=1
N k=1 k=1
= N2
P 2
xk + N x̄2 − 2N x̄2 =
k=1
N
2
P 2 2
=N xk − N x̄ = N ∆
k=1
2 = σy 2
PN ∂ num(A) 2 PN ∂ num(A) 2
Poiché: σA ∆ k=1 ∂yk e k=1 ∂yk = N∆
Finalmente otteniamo:
σ 2 N N 1
2 y
σA = N ∆ = σy2 = σy2 N
= σy2 N
∆ ∆
xi 2 − N 2 x̄2 xi 2 − N x̄2
P P
N
i=1 i=1
Cioé:
v
u 1
σA = σy u
uN
xi 2 − N x̄2
tP
i=1
yi = f (xi ) + εi = (a0 + a1 xi ) + εi = ŷ + εi
Dove εi è l'errore, deviazione del singolo punto di misura dal modello regressivo: esso rappresenta
la variabilità totale dei dati non spiegata dal modello regressivo che produrrebbe la stima
ŷ a fronte della misura yi
La discrepanza deterministica tra il comportamento del sistema ed il modello di regressione
adottato vale εM od (x) detto anche errore di adattamento.
Le incertezze sperimentali, di carattere casuale, dovute a condizioni non controllate che
determinano una dispersione nei dati εM is (µ = 0)
Quindi yi = εM od (xi ) + εM is_i
332CAPITOLO 7. GESTIONE DELLA PROVA E PROBLEMATICHE DI INSTALLAZIONE
N M
!
1 X 1 X
S12 = (yi,k − y i )2
N −1 M −1
1=1 k=1
dei coecienti della regressione risulta migliore, tenendo conto anche della necessità di una stima
delle incertezze?
• Si può dimostrare che usare due o più volte la stessa ascissa equivale ad utilizzare un solo
punto con misura pari al valore medio dei singoli dati;
• L'aggiunta di punti in una singola stazione di misura ha come primo eetto il migliora-
mento, in presenza di imprecisioni di misura, della valutazione di quel valor medio ma non
modica i coecienti;
• Le ripetizioni servono più a stabilire la ripetibilità delle misure che non a migliorare la
stima dei coecienti della regressione;
• A parità di informazioni le tre procedure forniscono, a parità di dati, gli stessi risultati;
• La soluzione A accomuna in un solo indice gli errori di dispersione e di adattamento;
• Nella soluzione B il calcolo della dispersione dei coecienti medi fornisce solo una indica-
zione della loro aleatorietà, poiché si basa su un numero assai limitato di dati stocastici
(numero di ripetizioni); quindi può essere utile solo per capire l'entità del problema;
• La procedura C mette a disposizione una stima della dispersione sulle singole stazioni prima
dell'eettuazione della regressione, fornisce quindi l'indicazione di precisione o ripetibilità
dello strumento.
Una procedura raccomandabile per una calibrazione comprensiva della stima di tutti i parametri
di qualità (principale):
Qualora si operi con ripetizione, gli ingressi devono essere misurati ad ogni ciclo e trattati come
punti indipendenti (di fatto rientrando nell'opzione A).
Procedura raccomandata per la calibrazione di verica:
Con questi valori si può valutare l'incertezza equivalente sulle sole misure di forza e quindi
l'incertezza sulla rigidezza
q
σF (equiv) = σF2 + (kσS )2
σk = σF CRegr
1. preliminare: valutazione eseguita a priori delle caratteristiche del sistema di misura, basata
sui dati nominali e modelli analitici; denisce la qualità anche nel caso di misure dinamiche
(misure non ripetibili)
2. prototipale: determinazione sperimentale dell'incertezza di misura considerando anche
l'eetto dell'utilizzo reale; la qualità del risultato viene a dipendere dalla possibilità di
ripetizione delle misure.
Partendo dalla totalità e complessità, il sistema di acquisizione deve essere scomposto nei singoli
elementi in modo da caratterizzare l'incertezza complessiva a partire dalle fonti di incertezza
individuali. Deve essere disponibile una adeguata caratterizzazione della qualità individuale dei
singoli componenti.
Questa decomposizione, con l'identicazione delle possibili fonti di incertezza, non riguarda solo
l'apparato strumentale vero e proprio ma deve considerare anche eventuali fasi di elaborazione
dei dati.
Il processo di stima complessiva dell'errore di misura deve quindi tenere conto di una suddivisione
non solo sica (in componenti) ma anche logica, in almeno tre fasi distinte cronologicamente
consecutive:
Gli elementi barrati sono stati rimossi in quanto di interesse del livello ma inessenziali ai ni
della valutazione complessiva.
Risoluzione 14 bit
Campo di misura 0 − 10V o ±5V (±0.05V )
Linearità di conversione 0.5%F S
7.2. ANALISI DI INCERTEZZA DI UN SISTEMA DI MISURA 339
Conosciamo due relazioni utili per la denizione della misura di tensione, per i due fondoscala
unipolare e bipolare:
Per valutare la qualità del sistema occorre determinare la propagazione delle fonti di incertezza
sulla misura di tensione, wV _mis , nei due casi. Analizziamo indipendentemente i tre contributi.
Caso unipolare uB 1
uB% = ± √ 3 2N bit
0.5 1
= ±√ 3 214
= ± 3.052E−5
√
3
V
Caso bipolare u 1 0.5 1 6.103E−5
uB% = ± √3 2N bit−1 = ± √3 213 = ± √3 V
B
Dobbiamo chiederci chi veicola questa informazione nella relazione di misura (Vmis = Q · B =
FS
2N bit
B ). Il Quanto è la sensibilità del trasduttore e, in analogia con un potenziometro, conviene
separare la tensione dal fattore di conversione, responsabile della linearità di trasduzione: SB =
1
2N bit
; e possiamo vedere il termine 2N1bit come la sensibilità nominale di conversione, mentre SB
è la sensibilità reale, alla quale possiamo associare tutti i difetti di realizzazione; poiché nella
relazione di misura compare la sensibilità del trasduttore è necessario trasformare l'errore di
linearità uLin in errore di sensibilità, cioè in termini di possibile escursione della pendenza di
conversione; visto che il fondoscala è un moltiplicatore della scala di conversione può essere utile
riferirsi a un fondoscala di trasduzione unitario:
1
uS _B = · uLin = SB · uLin%
2N bit
da cui è immediato ottenere che
uS _B SB · uLin%
uS _B% = = = uLin%
SB SB
Vale la pena osservare che, a rigore, il fondoscala percentuale (o unitario) non è esattamente
tale, in quanto i massimo valore raggiungibile dalla codica è in realtà 1 − Q/2 ma questo
è compensato dal fatto che l'estremo destro dell'ascissa non è 2N bit 2N bit−1 . Gracamente
l'operazione è descritta nella gura seguente:
340CAPITOLO 7. GESTIONE DELLA PROVA E PROBLEMATICHE DI INSTALLAZIONE
Figura 7.9: Proiezione incertezza di linearità sul coeciente angolare della conversione numero
binario/tensione
Per ricavare l'incertezza in unità siche è necessario conoscere la tensione di misura; in assenza
di informazioni il valore sarà riferito al fondoscala. Per VM is = 10V :
2 2 2
10 0.05 0.5/100 10 0.5
u2VM is =10V = √ + 10 √ + 14
√ =
10 3 3 2 −1 3
da cui
0.07071
uVM is =10V = √ V
3
uVM is 2
= (uM is% )2 =
VM is
2 2 2
1 1 1
uF S + uSB + uB =
FS SB B
(uF S% )2 + (uLin% )2 + (uB% )2 =
Ovviamente si tratta di un valore indipendente dalla misura eettiva, da riferirsi tipicamente
al fondoscala e scalabile alla generica lettura mediante il rapporto di copertura (R = Vef f /F S )
in quanto l'errore, assunto costante sul campo di misura, avrà peso relativo sempre maggiore
quanto minore la frazione utilizzata della portata strumentale, quindi:
. Nel caso in esame, e sempre per il fondoscala unipolare, raccogliendo la radice quadrata di 3
si ha: 2
√
2 2 2 0.5
(uM is% ) = (0.5/10) + (0.5/100) + / 3=
214 − 1
da cui: √ √
(uM is% )2 = 0.007071/ 3 = 0.7071/ 3%
Calcolando l'incertezza in unità siche al fondoscala avremo:
√ √
u10V = 0.7071/ 310/100 = 0.07071/ 3V
Ancora una volta, assumendo l'incertezza costante sul campo di misura, per una misura generica
otterremo una incertezza percentuale amplicata dal rapporto di copertura; considerando ancora
1/10 del fondoscala avremo una amplicazione pari a 10:
e nalmente: √ √
u%1V = 0.7071 · 10/ 3% = 7.071/ 3%
Esempio 1 Anche un singolo strumento può essere inteso come un sistema di misura in cui
più apparati, dato un certo ingresso, interagiscono per fornire un'uscita, aetta da incertezza.
In questo senso uno strumento è la prima parte della catena di misura a cui manca l'acquisizione
ed il trattamento dei dati.
Esempio 1: consideriamo un semplice sistema di misura, costituito da un trasduttore di pressione
e da un voltmetro per la lettura dell'uscita dal trasduttore. Le rispettive caratteristiche nominali
siano:
Voltmetro Risoluzione 100 µV Range ±5psi
Trasduttore Accuratezza <0.01%Lettura Sensibilità 1 V/psi Alimentazione 10 V dc ±1%
Uscita max ± 5 V Linearità ≤ 2.5 mV/psi Ripetibilità ≤ 2.0 mV/psi Risoluzione ∼ =0V
342CAPITOLO 7. GESTIONE DELLA PROVA E PROBLEMATICHE DI INSTALLAZIONE
Da questa analisi si ricava l'elenco delle informazioni necessarie in termini di valori (lettere
maiuscole) e incertezze (lettere minuscole).
Tali informazioni devono essere ricavate dai dati disponibili o, in carenza, denite con adeguate
e ragionevoli ipotesi. Vediamo come procedere.
Voltmetro Risoluzione 0.10 mV (Tipo B) Accuratezza <0.01%Lettura (Tipo B)
Le informazioni disponibili portano a dire che entrambi sono di tipo B a distribuzione uniforme.
Gli elementi della propagazione di pertinenza del Voltmetro sono:
GV olt = 1
uGV olt = 0.01%
√
3
Assumendo per tutti distribuzione uniforme, l'incertezza viene calcolata con la RSS:
q √ 2 √ 2
GT rasd = 1 V /psi uGT rasd = 2.5/ 3 + 2.0/ 3 =
q
(1.443)2 + (1.155)2 = ±1.848 mV /psi
7.2. ANALISI DI INCERTEZZA DI UN SISTEMA DI MISURA 343
T
q √ 2 √ 2
u = 3 × 2.5/ 3 + 3 × 2.0/ 3 =
q
(4.3301)2 + (3.4641)2 = ±5.5453 mV
Si procede applicando la RSS per accumulare tutti gli eetti e determinare l'incertezza tipo.
Successivamente con la formula di Welch-Satterthwaite si determinano i gradi di libertà
equivalenti.
Si decide di conseguenza in base al numero di gradi di libertà eettivi se propagare usando Gauss
o t_Student.
Nella RSS si combinano tutte le incertezze riportate a 1 sigma
r
√ 2 √ 2 √ 2 √ 2
u= 0.5/ 3 + 2/ 3 + 1/ 3 + 1/ 3 + 1.52 + 0.52 = 2.141◦ C
7.2. ANALISI DI INCERTEZZA DI UN SISTEMA DI MISURA 345
m 2
P
S2
√ 2 √ 2 √ 2 √ 2 2
i (0.5/ 3) + (2/ 3) + (1/ 3) + (1/ 3) + 1.52 + 0.52
i=1
ν= m = √ 4 √ 4 √ 4 √ 4 = 76.8 ≈ 77
Si4 (0.5/ 3) (2/ 3) (1/ 3) (1/ 3) 1.54 0.54
P
νi ∞ + ∞ + ∞ + ∞ + (20−1) + (10−1)
i=1
Il risultato è largamente maggiore di 30, quindi è consentito adottare l'ipotesi di una distribuzione
gaussiana per l'incertezza della grandezza propagata.
Per ottenere il livello di condenza richiesto, del 95%, si utilizza di conseguenza il fattore di
copertura 2:
U = k · u = 2 · 2.14 = 4.28◦ C
carico applicato, F;
spostamento, s;
dimensioni della sezione, b,h;
Figura 7.13: Dimensioni del problema lunghezza di inessione, L.
Si supponga che l'acquisizione dei dati venga eettuata utilizzando 5 stazioni di carico e scarico
e 3 ripetizioni (30 punti).
Il trattamento dati previsto risulta:
Dobbiamo fornire modelli per la determinazione del valore del modulo elastico e per la stima
della sua incertezza: il problema ammette più soluzioni.
3
Relazione principale: E = Fs L3J
346CAPITOLO 7. GESTIONE DELLA PROVA E PROBLEMATICHE DI INSTALLAZIONE
Si ha:
1
Mθ + xCT T DF +0·F 32D F
θ= l= 2 4 (L + 12 a) = (L + 21 a)
GJ d
Gπ 64 Gπd4
quindi: G = 32
D 1
F
π d4 (L + 2 a) θ
La relazione è organizzata in modo da separare il carico di prova e il suo eetto dalle misure che
invece non ne dipendono e dalle costanti
Nelle ipotesi di comportamento lineare il rapporto F su θ è una costante e tipicamente determi-
nato come coeciente angolare della retta di regressione corrispondente ad un elenco di misure;
in fase preliminare si può procedere come se fossero indipendenti.
Potendo applicare la RSS essendo le variabili misurate aette da incertezze scorrelate, scriveremo
dapprima:
L0 = L + 21 a
G = Cost D d−4 L0 F θ−1
Quindi:
u2L0 = u2L + 21 u2a ⇒ uL0 %
u2G% = u2D% + (−4)2 u2d% + u2L0 % + u2F % + (−1)u2θ% =
u2D% + 16u2d% + u2L0 % + u2F % + u2θ%
Si può quindi osservare che è necessario prestare particolare attenzione alla qualità della mi-
sura del diametro della barra in quanto determinante nella propagazione delle incertezze sulla
grandezza desiderata.
Esempio: misura della velocità Tra i trasduttori utilizzati per prove di caduta carrello ci
sono quelli per il rilievo della corsa e dell'accelerazione della slitta di caduta. Si richiede di:
1. denire una procedura numerica per il calcolo della velocità della slitta al momento del
contatto con il terreno;
2. denire una procedura per la stima dell'incertezza tipo associata a questo dato.
1. i trasduttori;
2. le elaborazioni numeriche per il calcolo della velocità a partire dai dati di accelerazione o
spostamento;
Avendo a disposizione solo trasduttori che leggono spostamento o accelerazione vi sono due
possibilità per ottenere la velocità desiderata:
Zt
Integrazione dell'accelerazione v = v0 + a dt
t0
ds
Derivazione dello spostamento v=
dt
Considerazioni di carattere generale relative ai due metodi di elaborazione dei dati sono:
La derivazione amplica gli errori col proseguire del calcolo generando sul lungo periodo risultati
non validi;
L'integrazione cancella gli errori casuali ma si presta ad eetti di deriva, cioè ad accumulo di
errori.
Considerazioni di carattere generale sui sensori:
Spostamento: sensibilità trasversale molto bassa
Accelerazione: sensibilità trasversale relativamente alta
L'incertezza viene linearmente accumulata nel tempo: quindi si ha che l'incertezza strumentale
viene amplicata dal tempo trascorso dall'inizio della misura, con una sorta di eetto di "deriva"
di integrazione.
7.2. ANALISI DI INCERTEZZA DI UN SISTEMA DI MISURA 349
Derivazione La derivazione al tempo i-esimo dello spostamento misurato dal trasduttore allo
scopo di ottenere la velocità prevede l'approssimazione numerica della derivata. Un metodo
largamente usato è quello delle dierenzenite:
ds si − si−i ∆si
vi = ≈ =
dt
i ∆t ∆t
Assumendo ws i = ws
√
si ottiene w∆si = w∆s = 2ws
La propagazione delle incertezza sulla misura di velocità è:
2 2 2 " √ #2
∂ ∆s i ∂ ∆s i ∆s i 2
wV2 (i−esima mis) = wt + w∆s = wt + ws
∂∆t ∆t ∂si ∆t ∆t2 ∆t
La diminuzione del passo di campionamento migliora l'approssimazione della velocità (rende
"istantanea" la misura) ma amplica l'errore di misura: compare a denominatore nell'espres-
sione dell'incertezza. Inoltre tale diminuzione amplica l'incertezza sul tempo. Il contributo
dell'incertezza sullo spostamento non si accumula ma rimane costante nel tempo.
Lecita chiedersi la validità dell'assunzione wsi = ws .
Regressione in nestra mobile
Per limitare l'amplicazione dell'errore dovuto ad un piccolo passo di campionamento si può
eettuare una regressione lineare a nestra mobile e utilizzare il coeciente angolare della ret-
ta: si ottiene l'espressione della velocità come derivata analitica del polinomio di regressione:
s=mt+n
v=m
Quindi la misura al tempo i-esimo è semplicemente: vi = m.
Nel caso di regressione lineare, le incertezze sulla misura di spostamento e del tempo si propagano
indirettamente attraverso l'incertezza del coeciente angolare:
wV = wm
Occorre pertanto analizzare gli eetti di tre elementi:
- dimensione della nestra mobile (n. punti × passo campionamento)
- posizione della nestra rispetto al tempo di calcolo (O(p) > 1)
- incertezza delle misure
Figura 7.17
Si richiede di calcolare:
x(t
Z 2)
I= f (x)dx
x(t1 )
N −1
X (fk+1 + fk )
I≈ (xk+1 − xk )
2
k=1
o ancora:
N
X −1
Ak
k=1
Per un'analisi degli eetti di installazione non è suciente conoscere i soli modelli di funzio-
namento dei trasduttori ma è richiesto un esame razionale dell'intero insieme della prova che
comprende sia le caratteristiche che le modalità di messa in opera degli strumenti.
7.3.1 Esempi
Eetti spaziali
Posizionamento delle prese di pressione di un tubo di Pitot Un eetto di installazione
spaziale, tipico del campo aeronautico, è quello che aigge il sensore del sistema di misura della
velocità di volo di un aeromobile, il tubo di Pitot.
7.3. EFFETTI DI INSTALLAZIONE 351
La geometria del velivolo altera il campo di usso aerodinamico da cui deriva la necessità di un
corretto posizionamento del sensore per garantire la correttezza della misura.
Le assunzioni che permettono di derivare la velocità del velivolo a partire dalle misure di pressione
svolte dal Pitot valgono in teoria solo per un usso allineato con la sonda. Nella realtà sia il punto
di lettura della pressione totale che quello della statica si spostano in funzione dell'incidenza.
Entro certi limiti un'adeguata calibrazione può essere suciente per mantenere questo errore
entro limiti accettabili altrimenti può essere necessario uno schema più complesso in cui le prese
vengono separate.
Si è spesso portati a ritenere che alla base delle scelte ingegneristiche riguardanti un aeromobile
ci siano considerazioni sulle condizioni di esercizio in volo. Per quanto riguarda la progettazione
del sistema di misura della velocità di volo esistono requisiti operativi che hanno sempre a che
fare con l'esercizio ma non in fase di volo.
che concerne gli estensimetri. L'estensimetro fornisce una variazione di resistenza proporzionale
al valore medio della deformazione nell'area da lui coperta per cui dovrebbe essere instal-
lato in zone a deformazione uniforme: l'eetto di media sulle deformazioni è comunque
generalmente trascurabile viste le dimensioni del sensore.
Per applicazioni speciali sono disponibili estensimetri di dimensioni particolarmente contenute,
spesso in schiere.
La mancanza di uniformità della deformazione nel punto di installazione è più critico nel caso
di estensimetri a griglia multipla (rosette) che leggono la deformazione idealmente nello stesso
punto ma in direzioni dierenti.
Con una rosetta a griglie separate la zona di installazione deve essere realmente a stato di sforzo
uniforme; con una rosetta a griglie sovrapposte il problema è in parte risolto Quest'ultima solu-
zione può però introdurre una dipendenza della lettura dalla posizione nello spessore delle griglie:
gli elementi esterni sono soggetti a una deformazione leggermente decrescente con la distanza
dalla supercie a causa della diusione della deformazione, dal valore imposto all'incollaggio a
quello che si ha sulla supercie esterna: con uno spessore limitato l'eetto è trascurabile.
Anche per griglie semplici il posizionamento non è sempre un'operazione agevole. Si riportano le
immagini di alcune installazioni reali per dare un'idea delle dicoltà di corretto posizionamento
e, in particolare, allineamento.
Figura 7.27: Strumentazione di un elicottero (la prima dopo una prova distruttiva)
7.3.2 Intrusività
Tutto ciò che determina una modica della misura o una variazione della grandezza da misurare
può essere classicato come intrusivo. Per come è stata denita l'intrusività riduce la quali-
tà della misura pertanto deve essere contenuta entro limiti accettabili dato che, normalmente,
non può essere totalmente eliminata.
In fase di progetto, tra tutte le cause di incertezza, dovranno essere considerate anche quelle
relative all'intrusività del sistema di misura e del suo allestimento.
Limitazioni sull'intrusività si possono tradurre in speciche di dimensionamento dei vari
elementi.
In fase di utilizzo occorrerà vericare il rispetto dei vincoli di progetto.
Una volta individuata una possibile modalità di intrusione, si deve costruirne un modello capace
di descriverle e integrarlo con quello dell'esperimento; in questo modo si è in grado di predirne
l'eetto sulle grandezze di riferimento; il confronto con il comportamento nominale permetterà
di stabilire l'entità di questo disturbo. La stima viene realizzata con l'usuale formula di errore
relativo:
V aloreprevisto − V aloreideale
ErrIntrus =
V aloreideale
nei quali entra in gioco la massa della zona di applicazione dell'accelerometro: in questo caso la
variazione di massa potrebbe non essere trascurabile, portando alla nascita di modi di vibrazione
locali a frequenze relativamente basse. Nel caso di prove dinamiche di strutture aeronautiche è
buona norma posizionare gli accelerometri in punti della struttura dotati di discreta rigidezza,
a esempio sul rivestimento in corrispondenza di una centina o di un longherone e non nel mezzo
di un pannello sottile.
Un altro eetto di intrusività di cui risentono gli accelerometri, questa volta sulla misura, è dovu-
to alla metodologia di ssaggio del sensore alla struttura. Il sistema di ssaggio funge da molla,
più o meno rigida, alterando le caratteristiche dinamiche del sistema accelerometro+ssaggio
rispetto a quelle del solo accelerometro, in quanto si ha una molla in serie all'accelerometro che
lavora per la massa totale dell'accelerometro: il trasduttore è quindi diventato un sistema a due
gradi di liberà con eetto sulla banda passante della misura.
Esempi: cella di carico L'inserimento di una cella di carico per la misura delle forze
trasmesse a un elemento strutturale o tra due elementi può originare due forme di intrusività:
1. modica della massa del sistema;
2. modica delle rigidezze/cedevolezze del sistema.
Solitamente è quest'ultimo eetto ad essere più rilevante in quanto, per come lavora una qualsiasi
cella di carico, essa deve essere installata direttamente nei percorsi di carico ovvero mettendo in
serie la sua rigidezza a quella delle altre parti della struttura indagata.
Perchè non ci sia intrusività i comportamenti statico e dinamico del sistema sotto m