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CAPITOLO 1

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E GEOLOGICO DELL’ AREA

La storia del bacino lacustre di Atella è strettamente legata a quello del vicinissimo
apparato vulcanico del Vulture. L’area in questione si estendeva, infatti, ai piedi delle
pendici meridionali del vulcano. I numerosi studi avanzati durante un decennale lavoro di
ricerca, hanno potuto dimostrare che sia il riempimento sia lo svuotamento dell’invaso
fossero stati originati a causa dell’attività eruttiva del Vulture.

1.1 GEOGRAFIA E MORFOLOGIA DELL’AREA

Quella del Vulture è un’area , prettamente montuosa, che si estende nella parte nord della
provincia di Potenza, in Basilicata. Grazie anche alla scarsa densità di popolazione,
quest’area conserva un ricco patrimonio ambientale, dove i luoghi di tipo naturalistico sono
legati perlopiù alla presenza di boschi, sorgenti, torrenti sub-montani e aree da pascolo.

Essa si colloca all'interno di un ampio territorio che si distende all'estremo nord della
regione Basilicata, a sud del confine regionale segnato dal fiume Ofanto, dominato
dall'austero profilo del massiccio del Monte Vulture (1326 m), vulcano non più attivo già da
epoche preistoriche, ma che non può ancora, a rigore scientifico, definirsi spento.

Il suo maggiore Comune (in termini sia di estensione che di importanza storica) è Melfi ed
è, pertanto, denominata anche Melfese. Essa occupa la parte nord-orientale della
provincia di Potenza, all'intersezione del confine tra la Puglia e la Campania.

La zona comprende i comuni di Atella, Barile, Ginestra, Melfi, Rapolla, Ripacandida,


Rionero, Maschito, Venosa, Ruvo del Monte, Rapone e San Fele, alcuni dei quali di lingua
albanese (Ginestra, Maschito, Barile).
Anche se risulta un territorio non molto vasto, il Vulture mostra una grande varietà
morfologica. La media montagna, situata a sud-ovest, è rappresentata dalla dorsale del
"Monte Pierno - Santa Croce", la vetta più elevata della zona con i suoi 1407 metri.

L'area vulcanica comprende il Monte Vulture, rilievo isolato a forma conica, esteso per
circa 45.000 ettari e solcato da una serie di valloni. Alle pendici del Monte Vulture si trova
un cratere che contiene i due laghi vulcanici di Monticchio. Le colline argillose sono
composte da rilievi dalle forme sfumate, tra i 500 e gli 800 metri. Quest'area fa da snodo
tra la media montagna e la Fossa Bradanica. Quest'ultima è costituita dall'ampio solco del
Bradano, fatto di sedimenti sabbioso-argillosi del periodo Plio-Quaternario. Nei territori di
Melfi e Lavello vi è un fondovalle alluvionale, che si raccorda gradualmente all'Ofanto e al
Tavoliere delle Puglie.

1.2 CENNI GEOLOGICI SULLA BASILICATA

Per chiarire meglio quali siano stati gli eventi che abbiano generato una situazione
morfologica di questo tipo, illustrerò qui brevemente la geologia regionale.

La Basilicata di oltre 100 milioni di anni fa (tra Giurassico e Cretacico) appariva come
un’enorme distesa d’acqua. Le temperature tropicali, la cristallinità del mare e la profondità
non eccessiva del fondale, hanno permesso la formazione, in alcuni punti, di grandi
scogliere carbonatiche (la sedimentazione carbonatica era generata sia dall’accumulo di
piccoli organismi a guscio siliceo, sia dallo sviluppo di scogliere coralline) .

Alle latitudini in questione, sull’asse E-O e partendo da O, si trovava il fondale di un


oceano molto profondo, detto Liguride. Proseguendo verso E si trovava la piattaforma
carbonatica Campano-Lucana, un’altra depressione ancora più ad oriente formava il
bacino Lagonegrese, e subito dopo si incontrava la piattaforma carbonatica Apula.

Questo assetto geologico si mantenne con una certa stabilità fino alla fine dell’Oligocene.
Intorno a 23 milioni di anni fa la situazione cominciò a mutare: sforzi tettonici con direzione
di applicazione circa O-E compressero la crosta su cui poggiavano le nostre unità di
bacino e piattaforma: gli strati presero a deformarsi, piegandosi e fratturandosi. Nel
frattempo, più ad est, la porzione di crosta che era in contatto con la piattaforma Apula (la
Placca Adriatica) si flesse per scorrere verso in mantello sotto la Placca Tirrenica. La
collisione di queste due zolle portò all’orogenesi degli Appennini che, a poco a poco,
presero quota fino ad emergere dalle acque degli antichi mari tropicali. Questo fenomeno
di orogenesi si è protratto fino a circa 1 milione di anni fa.

1.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’AREA E STUDI PRECEDENTI

Lo studio condotto da La Volpe e Rapisaldi e pubblicato nel 1977 sul Bollettino della
Società geologica italiana, è ancora oggi uno degli studi più utili sia per un’ analisi
geologica del versante meridionale del M. Vulture, sia per le ipotesi formulate a proposito
di genesi, sviluppo e svuotamento del bacino lacustre di Atella.

Le unità geologiche presenti nell’area oggetto di studio possono essere suddivise in due
porzioni:

- BASAMENTO

- PRODOTTI VULCANICI

Il basamento locale dei prodotti vulcanici è costituito da formazioni preplioceniche e da


sedimenti pliocenici. Le formazioni preplioceniche, nell’area oggetto di studio, sono legate
da rapporti tettonici e di difficile interpretazione. Esse sono rappresentate, in ordine
deposizionale, dal Flysh Rosso, dal Flysh Numidico e dalla Formazione di Gorgoglione.

Il Flysh Rosso è la più antica di queste formazioni, ed è caratterizzata localmente da


marne rosso fegato e rosate alle quali sono intercalate calcareniti, calciruditi e calcilutiti
torbiditiche di colore biancastro e grigio chiaro.

Il Flysh Numidico, che localmente è spesso 150 m, è formato da quarzareniti in strati e


banchi torbiditici in alternanza con strati di marne e siltiti verdine.

La formazione di Gorgoglione, la più recente delle tre, è data da un’alternanza di arenarie


grigiastre e argille siltose grigio azzurre in strati e banchi di spessore variabile. Il rapporto
arenaria argilla varia da 1:1 a 2:1. I meccanismi deposizionali di tipo torbiditico sono
testimoniati dalle sequenze di Bouma e dalle impronte di corrente.

I sedimenti pliocenici sono rappresentati dal basso verso l’alto da argille marnose, sabbie
e conglomerati. Essi rappresentano solo la parte superiore del ciclo sedimentario infra-
mesopliocenico, che nel suo ciclo completo è costituito in basso da conglomerati e sabbie,
nella parte mediana da siltiti grigio azzurre e nella parte alta da sabbie e conglomerati.

Nell’area esaminata, i primi prodotti vulcanici affioranti sono rappresentati da un deposito


massiccio, compatto, di colore bianco-giallastro, che contiene abbondanti pomici bianche
e pochi frammenti di rocce del Flysh. Depositi con questi caratteri sono stati interpretati da
Hieke Merlin (1967) come legati a meccanismi di messa in posto di tipo ignimbritico e da
La Volpe e Piccarreta (1972) come ignimbriti del tipo “sillar” con affinità trachitica. Ma in
loc. La Cupa, altre manifestazioni di attività vulcanica sono presenti anche in alcune lenti
sabbiose all’interno dei depositi ciottolosi alluvionali sottostanti a queste ignimbriti.

Sopra queste unità vulcaniche poggiano i cosiddetti “tufi scuri” riferibili, secondo Hieke
Merlin (1967 e 1971), al periodo tefritico-basanitico-foiditico dell’ attivtà del Vulture. La
suddivisione meno articolata, e a mio avviso più efficace, è quella proposta da La Volpe e
Piccarreta (1971), e cioè:

- I unità litostratigrafica, “cineriti sabbiose con intercalazioni di livelli pomicei e


scoriacei”;

- II unità litostratigrafica, “pozzolane straterellate di Rionero-Barile”;

- III unità litostratigrafica, “pozzolane e tufi con blocchi”.

Le osservazioni petrografiche, per ciò che concerne queste tre unità, si sono limitate
all’esame al microscopio dei proietti inclusi, delle pomici e delle scorie.

La I unità litostratigrafica è la meno rappresentata in zona ed è costituita da ceneri fini


bianco-giallastre, in strati e banchi, alternate a lenti di pomici con matrice scarsa o assente
ed a straterelli di ceneri grosse e grigio-nere. Durante la messa in posto dei piroclasti di
questa unità non ci devono essere stati lunghi periodi di stasi dell’attività vulcanica: non
sono state infatti osservate né significative superfici di erosione né paleosuoli.
La II unità litostratigrafica è costituita da una fitta alternanza di strati e banchi di ceneri
grosse e fini intercalate con piroclastiti più grossolane ( da 2 a più di 32 mm). Le ceneri
fini, di colore da marrone a grigio-biancastro, sono costituite principalmente da ceneri
vetrose, che in genere raggiungono un certo grado di coerenza. Le ceneri grosse, di
norma incoerenti, sono di colore grigio-nero e a luoghi presentano strutture a lamine
incrociate di probabile origine eolica. La frequente ripetizione di ceneri grosse scure e
ceneri chiare in strati di uguale dimensione rappresenta uno degli elementi più
caratteristici di questa unità. Le piroclastiti grossolane, della classe compresa tra 2 e 32
mm, sono rappresentate da scorie, frammenti di lave e più raramente da pomici. Le
piroclastiti costituite da frammenti > di 32 mm sono poco frequenti e rappresentati da
qualche banco di pomici e da pochi strati di scorie. Nella zona di Rionero-Barile sono
frequentemente attestati strati di un particolare tipo, costituiti da pomici bianche nella parte
inferiore e da scorie nere in quella superiore, già interpretati da La Volpe e Piccarreta
(1971) come espressione di “esplosioni pliniane”.

Le piroclastiti di questa unità sono da mettere in relazione a numerosi atti esplosivi di


modesta energia: la loro lunga durata è testimoniata dallo spessore dei depositi, mentre gli
svariati periodi di quiescenza lo si deduce dalle frequenti superfici di erosione. È
opportuno inoltre precisare, che durante la messa in posto delle piroclastiti di questa unità,
nella zona in questione avvenne la nascita e l’evoluzione del Bacino lacustre di Atella.

La III unità litostratigrafica è caratterizzata da una sequenza di lahars intercalati da


piroclastiti in genere grossolane e frequentemente rimaneggiate. I lahars costituiscono
banchi che solo in casi eccezionali superano i 2-3 m, e sono formati da blocchi di lave a
spigoli abbastanza vivi da dimensioni molto variabili (da pochi cm fino a 70-80 cm) e di
composizione diversa. La matrice, da equivalente a prevalente, non è classata e neppure
in corrispondenza dei blocchi più grossi si riscontrano strutture da carico; in alcuni punti è
pedogenizzata. I caratteri tessiturali di tali depositi fa chiaramente intendere che essi si
siano formati per fenomeni di trasporto di massa.

L’intensa attività esplosiva del periodo precedente, portò probabilmente in tempi molto
brevi alla formazione di un edificio vulcanico dai fianchi molto ripidi ed instabili. Le
successive manifestazioni, esplosive ed effusive, le frequenti piogge che
accompagnavano le eruzioni e forse anche qualche eruzione freatica attraverso ipotetici
crateri-lago, determinarono il distacco di porzioni dei depositi accompagnati da frane e/o
colate di fango.
I depositi limnovulcanici, anche dette tufiti di Atella, affiorano con discreta continuità nelle
zone di basso morfologico immediatamente a sud-est del fianco meridionale del M.
Vulture, e sono state inquadrate stratigraficamente da La Volpe e Rapisardi (1977) tra i
prodotti della II unità litostratigrafica. Inoltre, i depositi limnici terminano bruscamente
senza facies che indichino processi di riempimento del bacino, e le piroclastiti sovrastanti
sono riferibili alla II unità litostratigrafica. Nel loro complesso questi depositi sono costituiti
da un’alternanza di strati di tufiti grigio-chiare a grana fine e ultrafine con strati scuri a
grana grossa. I caratteri sedimentari di questi depositi sono tipici di un ambiente
subacqueo a bassa energia, mentre i livelli con caratteri fluviali sono invece episodici e
localizzati.

Gli strati a grana ultrafine e fine sono costituiti principalmente da lamine parallele chiare e
scure alternate di spessore variabile da 1 mm a 1 cm, mentre sono decisamente
subordinate le strutture a lamine ondulate ed incrociate.

La sedimentazione di questi tipo di tufiti è prevalentemente da riferire a momenti di stasi


dell’attività del Vulture. Durante questi periodi le acque dilavanti erodevano ed
elaboravano più o meno intensamente il materiale piroclastico, portando alla riduzione
della dimensione dei clasti ed alla loro alterazione. Questo materiale trasportato nel bacino
si distribuiva in gran parte dell’invaso, formando notevoli accumuli nelle zone distali.
Inoltre, alcuni di questi strati presentano una marcata plasticità e sono formati quasi
esclusivamente da minerali del gruppo delle argille.

I termini a grana grossa mostrano un colore da grigio scuro a marrone, e si presentano in


alcuni luoghi come lamine da 1 a 5 cm di spessore, in alternanza con le tufiti fini ed
ultrafini, mentre altrove in strati spessi fino a 1 m. La matrice è scarsa o assente, ed in
alcuni termini sono dispersi proietti lavici, rare pomici e scorie, di dimensioni variabili da 3
a 10 cm ca. Fra le strutture sedimentarie si osserva una gradazione granulometrica
prevalentemente diretta, ma anche inversa. I caratteri tessiturali e le strutture sedimentarie
fanno ritenere che le tufiti a grana grossa siano pervenute nel bacino per caduta diretta;
ma si riconoscono anche alcuni strati con strutture da corrente, come lamine incrociate
ondulate, che rappresentano la deposizione del materiale trasportato dagli immissari
durante i periodi di piena. La matrice è assente o scarsa.
L’insieme dei caratteri appena descritti sono riferibili alla facies distale (ossia quella più
interna al bacino), predominante nella zona, ma abbiamo notizia anche di (ordinate
dall’interno all’esterno del lago) facies di spiaggia, di battigia e di retrospiaggia.

La facies di spiaggia aperta presenta caratteri del tutto analoghi a quelli descritti per la
facies lacustre distale: strati di tufiti a grana fine ed ultrafine in lamine parallele alternati a
strati di tufiti grossolane in genere gradate.

La facies di battigia è data da tufiti grossolane e molto grossolane che presentano strutture
a lamine inclinate ed incrociate; raramente si notano piccoli canali di erosione.

La facies di retrospiaggia è costituita da depositi grossolani formati da piroclastiti


rimaneggiate con ciottoli di tufiti e subordinatamente di rocce del substrato sedimentario.
Sono frequenti le lenti di ciottoli e di pomici. I fenomeni di erosione hanno prodotto
numerosi canali e piccoli gradini di erosione dai quali risultano franati pezzi di tufiti di
dimensioni diverse.

Le alternanze di queste quattro facies sono da porre in relazione a oscillazioni del livello
delle acque del lago: le condizioni di temporanea emersione sono testimoniate anche dalla
presenza di rari piroclastiti da caduta in ambiente subaereo (loc. Meandro di Atella e Serra
S. Marco).

Un altro carattere che potremmo definire tipico delle tufiti di Atella è la presenza di livelli
interessati da fenomeni di slump (frane di materiali piroclastici in ambiente subaereo) e di
livelli fossiliferi. In loc. S. Marco sono stati persino rinvenuti frammenti di ossa di
mammiferi in una lente sabbiosa che si trovava nella parte più alta dei depositi
limnovulcanici.

Posteriori all’attività del Vulture, sono invece alcuni depositi alluvionali e depositi
travertinosi, che non si descriveranno perché non pertinenti alla materia trattata in questa
tesi.

1.4 STORIA ERUTTIVA DEL M. VULTURE

Il Vulture, unico edificio vulcanico quaternario ad essere collocato sul versante orientale
degli Appennini meridionali, poggia su un substrato sedimentario costituito da sedimenti
marini e continentali di età triassico-miocenica e da più giovani conglomerati marini e
continentali di età plio-pleistocenica. Esso sorge dunque tra le valli dell’Ofanto ad ovest,
del suo affluente Fiumara di Atella a sud, e della Fiumara dell’Arcidiaconata ad est.

Nella ricostruzione dell’attività vulcanica sono state individuate sei distinte unità vulcano-
stratigrafiche generalmente separate da superfici erosive e/o da paleosuoli (La Volpe e
Principe,1991; Brocchini et al., 1994).

All’UVS Fara D’Olivo (ca. 740 ka), la più antica, sono riferibili due coltri ignimbritiche di
moderata estensione aerale, dello spessore massimo di 20 m, e subordinati depositi di
pyroclastic surge.

A questa fase di attività vulcanica ha fatto seguito un periodo di stasi lungo circa 70 ka,
durante il quale l’area in cui sarebbe sorto l’edificio sembrerebbe essere stata interessata
dalla fase erosiva di clima freddo Flaminia (Mindel).

Nei successivi 100 ka si assiste alla costruzione del vulcano composito, cui concorrono tre
Unità Vulcanostratigrafiche: Masseria Boccaglie, Rionero/Barile, Vulture-S.Michele.

L’UVS di Masseria Boccaglie (660-650 ka ca.) è caratterizzata da una sequenza di pumice


and ash pyroclastic flows di piccolo spessore, di pyroclastic surges e di depositi pliniani di
caduta, con dispersione prevalente a SE. La presenza di questi depositi di ceneri fini
testimonia il verificarsi di processi di interazione acqua-magma. L’esistenza di brevi fasi di
stasi è testimoniata dalla parziale umificazione di alcuni dei livelli cineritici.

Durante l’UVS di Rionero/Barile (650-620 ka ca.) si assiste ad una più intensa costruzione
dell’edificio, ad opera di un’attività esplosiva pressoché continua. Brevi stasi sono
documentate dalla presenza di numerose superfici erosive, ma non dalla formazione di
paleosuoli.

A partire dall’UVS Vulture-S.Michele (620-560 ka ca.) l’attività eruttiva diventa


alternativamente effusiva ed esplosiva. Durante le fasi di inattività vengono a formarsi
alcuni paleo suoli. I prodotti più cospicui in questa fase sono depositi di block and ash
flow. Questa attività parossistica, che corrisponde alla distruzione della parte sommitale
dell’edificio vulcanico, sembra legata ad episodi di interazione del magma con acque
superficiali, forse laghi intercraterici.
Fa quindi seguito un lungo periodo di stasi di 80 ka ca. che coincide con un episodio di
caldo umido (testimoniato dalla presenza rilevante di faune calde nel vicino bacino di
Venosa) durante cui si forma un possente paleosuolo dello spessore massimo di 1,5 m.

La ripresa dell’ attività magmatica avviene per riattivazione di alcune sacche di magma
interessate da un importante evento tettonico che portò al ribassamento della porzione
meridionale dell’edificio di 100 m ca.

Le ultime manifestazioni di attività vulcanica hanno luogo 130 ka fa ca. all’interno della
caldera di collasso facente centro nei Laghi di Monticchio.

1.5 IPOTESI SULLA GENESI DEL BACINO LACUSTRE DI ATELLA

Come già accennato precedentemente, la formazione del bacino di Atella è da inquadrare


cronologicamente nel periodo che vide la messa in posto delle piroclastiti della II unità
litostratigrafica.

Per quanto concerne l’età, secondo alcuni Autori il bacino dovrebbe essersi estinto circa
520-530 ± 30 ka (Cortini, 1975; Segre, 1957; La Volpe e Rapisardi, 1977), mentre altri
Autori (Brocchini et alii, 1994) collocano la sua esistenza tra 660 e 560 ka, entrando
ancora essa ancora dentro la III unità litostratigrafica (Di Muro, 1997).

Invece il prof. Borzatti von Löwenstern, che, come già affermato, conduce le ricerche nel
Bacino di Atella da quasi un quarantennio, ritiene che la vita del lago, non molto lunga
(come invece ipotizzato per il vicino lago di Venosa), si debba collocare verso la seconda
metà della glaciazione mindeliana, in un arco di tempo che va dai 600 a non più di 550 ka.

Gli stadi iniziali della formazione di questo bacino sono caratterizzati da episodi più
marcatamente fluviali, come dimostrano, ad esempio, le lenti di ciottoli in loc. Meandro
d’Atella.

Lo studio dei depositi limnici indica che agli stadi flaviolacustri iniziali, è immediatamente
seguito l’instaurarsi di un vero e proprio lago il quale, se pur con svariate variazioni del
livello delle acque, non ha mai avuto lunghi periodi di essiccamento.
Questi depositi della fase limnica si sono formati in seguito alla deposizione quasi continua
sia di detriti di natura vulcanica trasportati dai corsi d’acqua, sia di piroclastiti pervenute nel
bacino per caduta diretta durante le esplosioni. Per quanto riguarda la posizione dei
depositi rispetto alla linea di riva, le facies prossimali sono presenti in fasce molto ristrette,
perciò la maggior parte del deposito è da ritenersi appartenente alla facies distale.

Nel loro complesso, i depositi limnovulcanici affiorano a quote comprese tra 395 e 530 m
s.l.m. e sono leggermente inclinati (max. 10°) verso l’asse della Fiumara di Atella. L’analisi
degli spessori delle tufiti ha inoltre permesso di tracciare l’andamento del bacino in
direzione NO-SE, nella zona compresa tra Torrente di Rosa, affluente della Fiumara di
Atella, e Castel Lagopesole.

Circa la genesi del bacino, La Volpe e Rapisardi (1977) proposero le seguenti ipotesi:

- Supposto un decorso della paleofiumara di Atella-Stroppito simile a quello attuale


(Segre,1958), la formazione del bacino sarebbe da imputare a sbarramento dovuto
al forte accumulo di piroclastiti nel tratto in cui essa incideva i conglomerati
pliocenici;

- Ammesso che la paleofiumara Atella-Stroppito costituisse il tratto iniziale del


paleofiume Bradano (Piccareta & Ricchetti, 1970), più verosimilmente lo
sbarramento potrebbe essersi prodotto nella zona di Castel Lagopesole per effetti
di origine tettonica, che secondo alcuni avrebbe provocato un’inclinazione del
terreno verso NNE formando la conca lacustre del sistema Venosa-Basentello.

La mancanza di termini di chiusura nella successione lacustre e l’andamento della F.ra


d’Atella attuale, indussero i suddetti Autori a ritenere che, in entrambe le ipotesi
proposte, l’estinzione del bacino fosse avvenuta per svuotamento dovuto a fenomeni di
erosione regressiva della stessa fiumara di Atella.

Le indagini seguenti, succedutesi nel territorio pressoché senza interruzioni fino ad


oggi, non hanno però confermato queste ipotesi.
Se la fiumara dello Stroppito-Atella avesse avuto un corso simile a quello odierno,
l’origine del bacino non sembrerebbe essere legata ad uno sbarramento della valle
della fiumara stessa da parte di accumuli di piroclastiti o di lahars, bensì piuttosto ad
uno sbarramento localizzato poco prima che il corso d’acqua passi sotto all’ attuale
Toppo dell’Orno per poi confluire nel Fiume Ofanto dopo pochi chilometri. In realtà, non
si è rilevata nessuna testimonianza di uno sbarramento di questo tipo da parte di
materiali piroclastici, ma questo può essere dovuto all’erosione regressiva delle acque
della fiumara, la quale può aver asportato gran parte dello sbarramento. Tuttavia, è da
tener conto sia il fatto che in caso di sbarramento causato dai forti accumuli di
piroclastiti, i depositi limnici avrebbero dovuto appoggiarsi sopra di esse (mentre i
suddetti depositi si trovano a contatto con i sedimenti pliocenici), sia il fatto che tutte le
piroclastiti eiettate dal Vulture sembrano essersi accumulate ad est dell’edificio
vulcanico stesso (spinte forse dai forti venti occidentali), mentre la località
summenzionata appare essere troppo ad ovest per essere stata interessata da notevoli
accumuli di tufi. Allora, una spiegazione plausibile potrebbe essere che in quel tratto
fossero stati gli stessi terreni conglomeratici terziari ad essersi sollevati, in seguito ad
una tettonica legata ad un improvviso evolvere del vulcano stesso.

Se si osserva la morfologia attuale del territorio, la fiumara appare deviata dalla


presenza del vulcano subito dopo l’abitato di Atella, ma prima della nascita del Vulture,
essa avrebbe potuto anche confluire nell’Ofanto senza deviare verso ovest. In
sostanza, l’impressione che si ha è quella che il corso della fiumara continuasse in una
direzione parallela alle direttrici appenniniche. Perciò, il corso sarebbe stato intercettato
direttamente dalla nascita dell’apparato vulcanico, il quale si impostò quasi nella parte
centrale della valle della stessa fiumara. Questa valle poi, scomparve man mano che i
prodotti vulcanici si accumularono nell’area, cambiandone definitivamente la
morfologia. In questo caso lo sbarramento sarebbe stato prodotto da materiali lavici o
piroclastici, ma in una località purtroppo oggi difficile da individuare proprio perché
l’antico corso vallivo dovrebbe essere sepolto sotto sedimenti di notevole importanza.
Per quanto riguarda, poi, la scomparsa del bacino, le sue cause sono difficili da
ipotizzare. Una maggiore piovosità in piena epoca glaciale (Mindel), pare assai poco
probabile. Sembrerebbe più realistico pensare che furono proprio le ingenti quantità di
materiali eiettati dal Vulture a riempire il bacino ed a innalzarne le acque sino al livello
di soglia dello sbarramento, costringendole a tracimare. Fu un evento certamente
improvviso, rapido e di notevole portata, vista la repentinità con cui si svuotò l’invaso.

1.6 LA STRATIGRAFIA SOTTOSTANTE IL CIMITERO DI ATELLA

Il sito del Cimitero di Atella costituisce la porzione sommitale di un pianoro che si trova
una decina di chilometri a sud del Vulture, in corrispondenza della sponda destra della
fiumara di Atella, circa 90 metri al di sopra dell’attuale alveo.

I livelli maggiormente ricchi di resti fossili manufatti litici preistorici sono risultati alcuni
depositi interpretati come frane, che avrebbero interessato resti di frequentazioni
umane in prossimità delle coste di un paleolago.

Già alla fine degli anni ’90 erano stati avanzati degli studi allo scopo di porre in
relazione le sequenze stratigrafiche dei vicini siti di Loreto e Notarchirico (nel bacino di
Venosa) con l’attività eruttiva del M. Vulture (Bonadonna et al., 1998; Lefèvre et al.,
1999).

La posizione di questo sito, a stretto contatto con il Vulture, ha fatto sì che la distanza
tra di essi fosse continuamente percorsa da flussi piroclastici e colate di lava durante le
fasi di attività eruttiva. Inoltre, l’area, non solo risulta sottovento rispetto alla principale
direzione di dispersione dei lapilli e ceneri da caduta, ma le intense rimobilitazioni che
hanno interessato i depositi incoerenti sia durante che dopo le eruzioni, portò spesso
ad una loro ridistribuzione in facies colluviali, lahariche e fluviali.

Lo studio della successione clastica sottostante i livelli dello scavo archeologico ha


permesso di correlare questi ultimi alle Unità Vulcanostratigrafiche (UVS) proposte da
La Volpe e Principe (1990) per il Vulture.

L’UVS Fara d’Olivo, con i suoi depositi ignimbritici, rappresenta la base della serie
esaminata (Di Muro, 1999) ed affiora in corrispondenza dell’attuale F.ra di Atella,
immediatamente a sud del sito.
Risalendo verso il pianoro su cui si trova il cimitero, si possono individuare livelli
vulcanici e vulcanoclastici attribuibili alle unità comprese tra la UVS Masseria Boccaglie
(650 ka ca.) alla base e la UVS Masseria Granata (480 ka ca.) alla sommità.

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