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La storia del bacino lacustre di Atella è strettamente legata a quello del vicinissimo
apparato vulcanico del Vulture. L’area in questione si estendeva, infatti, ai piedi delle
pendici meridionali del vulcano. I numerosi studi avanzati durante un decennale lavoro di
ricerca, hanno potuto dimostrare che sia il riempimento sia lo svuotamento dell’invaso
fossero stati originati a causa dell’attività eruttiva del Vulture.
Quella del Vulture è un’area , prettamente montuosa, che si estende nella parte nord della
provincia di Potenza, in Basilicata. Grazie anche alla scarsa densità di popolazione,
quest’area conserva un ricco patrimonio ambientale, dove i luoghi di tipo naturalistico sono
legati perlopiù alla presenza di boschi, sorgenti, torrenti sub-montani e aree da pascolo.
Essa si colloca all'interno di un ampio territorio che si distende all'estremo nord della
regione Basilicata, a sud del confine regionale segnato dal fiume Ofanto, dominato
dall'austero profilo del massiccio del Monte Vulture (1326 m), vulcano non più attivo già da
epoche preistoriche, ma che non può ancora, a rigore scientifico, definirsi spento.
Il suo maggiore Comune (in termini sia di estensione che di importanza storica) è Melfi ed
è, pertanto, denominata anche Melfese. Essa occupa la parte nord-orientale della
provincia di Potenza, all'intersezione del confine tra la Puglia e la Campania.
L'area vulcanica comprende il Monte Vulture, rilievo isolato a forma conica, esteso per
circa 45.000 ettari e solcato da una serie di valloni. Alle pendici del Monte Vulture si trova
un cratere che contiene i due laghi vulcanici di Monticchio. Le colline argillose sono
composte da rilievi dalle forme sfumate, tra i 500 e gli 800 metri. Quest'area fa da snodo
tra la media montagna e la Fossa Bradanica. Quest'ultima è costituita dall'ampio solco del
Bradano, fatto di sedimenti sabbioso-argillosi del periodo Plio-Quaternario. Nei territori di
Melfi e Lavello vi è un fondovalle alluvionale, che si raccorda gradualmente all'Ofanto e al
Tavoliere delle Puglie.
Per chiarire meglio quali siano stati gli eventi che abbiano generato una situazione
morfologica di questo tipo, illustrerò qui brevemente la geologia regionale.
La Basilicata di oltre 100 milioni di anni fa (tra Giurassico e Cretacico) appariva come
un’enorme distesa d’acqua. Le temperature tropicali, la cristallinità del mare e la profondità
non eccessiva del fondale, hanno permesso la formazione, in alcuni punti, di grandi
scogliere carbonatiche (la sedimentazione carbonatica era generata sia dall’accumulo di
piccoli organismi a guscio siliceo, sia dallo sviluppo di scogliere coralline) .
Questo assetto geologico si mantenne con una certa stabilità fino alla fine dell’Oligocene.
Intorno a 23 milioni di anni fa la situazione cominciò a mutare: sforzi tettonici con direzione
di applicazione circa O-E compressero la crosta su cui poggiavano le nostre unità di
bacino e piattaforma: gli strati presero a deformarsi, piegandosi e fratturandosi. Nel
frattempo, più ad est, la porzione di crosta che era in contatto con la piattaforma Apula (la
Placca Adriatica) si flesse per scorrere verso in mantello sotto la Placca Tirrenica. La
collisione di queste due zolle portò all’orogenesi degli Appennini che, a poco a poco,
presero quota fino ad emergere dalle acque degli antichi mari tropicali. Questo fenomeno
di orogenesi si è protratto fino a circa 1 milione di anni fa.
Lo studio condotto da La Volpe e Rapisaldi e pubblicato nel 1977 sul Bollettino della
Società geologica italiana, è ancora oggi uno degli studi più utili sia per un’ analisi
geologica del versante meridionale del M. Vulture, sia per le ipotesi formulate a proposito
di genesi, sviluppo e svuotamento del bacino lacustre di Atella.
Le unità geologiche presenti nell’area oggetto di studio possono essere suddivise in due
porzioni:
- BASAMENTO
- PRODOTTI VULCANICI
I sedimenti pliocenici sono rappresentati dal basso verso l’alto da argille marnose, sabbie
e conglomerati. Essi rappresentano solo la parte superiore del ciclo sedimentario infra-
mesopliocenico, che nel suo ciclo completo è costituito in basso da conglomerati e sabbie,
nella parte mediana da siltiti grigio azzurre e nella parte alta da sabbie e conglomerati.
Sopra queste unità vulcaniche poggiano i cosiddetti “tufi scuri” riferibili, secondo Hieke
Merlin (1967 e 1971), al periodo tefritico-basanitico-foiditico dell’ attivtà del Vulture. La
suddivisione meno articolata, e a mio avviso più efficace, è quella proposta da La Volpe e
Piccarreta (1971), e cioè:
Le osservazioni petrografiche, per ciò che concerne queste tre unità, si sono limitate
all’esame al microscopio dei proietti inclusi, delle pomici e delle scorie.
L’intensa attività esplosiva del periodo precedente, portò probabilmente in tempi molto
brevi alla formazione di un edificio vulcanico dai fianchi molto ripidi ed instabili. Le
successive manifestazioni, esplosive ed effusive, le frequenti piogge che
accompagnavano le eruzioni e forse anche qualche eruzione freatica attraverso ipotetici
crateri-lago, determinarono il distacco di porzioni dei depositi accompagnati da frane e/o
colate di fango.
I depositi limnovulcanici, anche dette tufiti di Atella, affiorano con discreta continuità nelle
zone di basso morfologico immediatamente a sud-est del fianco meridionale del M.
Vulture, e sono state inquadrate stratigraficamente da La Volpe e Rapisardi (1977) tra i
prodotti della II unità litostratigrafica. Inoltre, i depositi limnici terminano bruscamente
senza facies che indichino processi di riempimento del bacino, e le piroclastiti sovrastanti
sono riferibili alla II unità litostratigrafica. Nel loro complesso questi depositi sono costituiti
da un’alternanza di strati di tufiti grigio-chiare a grana fine e ultrafine con strati scuri a
grana grossa. I caratteri sedimentari di questi depositi sono tipici di un ambiente
subacqueo a bassa energia, mentre i livelli con caratteri fluviali sono invece episodici e
localizzati.
Gli strati a grana ultrafine e fine sono costituiti principalmente da lamine parallele chiare e
scure alternate di spessore variabile da 1 mm a 1 cm, mentre sono decisamente
subordinate le strutture a lamine ondulate ed incrociate.
La facies di spiaggia aperta presenta caratteri del tutto analoghi a quelli descritti per la
facies lacustre distale: strati di tufiti a grana fine ed ultrafine in lamine parallele alternati a
strati di tufiti grossolane in genere gradate.
La facies di battigia è data da tufiti grossolane e molto grossolane che presentano strutture
a lamine inclinate ed incrociate; raramente si notano piccoli canali di erosione.
Le alternanze di queste quattro facies sono da porre in relazione a oscillazioni del livello
delle acque del lago: le condizioni di temporanea emersione sono testimoniate anche dalla
presenza di rari piroclastiti da caduta in ambiente subaereo (loc. Meandro di Atella e Serra
S. Marco).
Un altro carattere che potremmo definire tipico delle tufiti di Atella è la presenza di livelli
interessati da fenomeni di slump (frane di materiali piroclastici in ambiente subaereo) e di
livelli fossiliferi. In loc. S. Marco sono stati persino rinvenuti frammenti di ossa di
mammiferi in una lente sabbiosa che si trovava nella parte più alta dei depositi
limnovulcanici.
Posteriori all’attività del Vulture, sono invece alcuni depositi alluvionali e depositi
travertinosi, che non si descriveranno perché non pertinenti alla materia trattata in questa
tesi.
Il Vulture, unico edificio vulcanico quaternario ad essere collocato sul versante orientale
degli Appennini meridionali, poggia su un substrato sedimentario costituito da sedimenti
marini e continentali di età triassico-miocenica e da più giovani conglomerati marini e
continentali di età plio-pleistocenica. Esso sorge dunque tra le valli dell’Ofanto ad ovest,
del suo affluente Fiumara di Atella a sud, e della Fiumara dell’Arcidiaconata ad est.
Nella ricostruzione dell’attività vulcanica sono state individuate sei distinte unità vulcano-
stratigrafiche generalmente separate da superfici erosive e/o da paleosuoli (La Volpe e
Principe,1991; Brocchini et al., 1994).
All’UVS Fara D’Olivo (ca. 740 ka), la più antica, sono riferibili due coltri ignimbritiche di
moderata estensione aerale, dello spessore massimo di 20 m, e subordinati depositi di
pyroclastic surge.
A questa fase di attività vulcanica ha fatto seguito un periodo di stasi lungo circa 70 ka,
durante il quale l’area in cui sarebbe sorto l’edificio sembrerebbe essere stata interessata
dalla fase erosiva di clima freddo Flaminia (Mindel).
Nei successivi 100 ka si assiste alla costruzione del vulcano composito, cui concorrono tre
Unità Vulcanostratigrafiche: Masseria Boccaglie, Rionero/Barile, Vulture-S.Michele.
Durante l’UVS di Rionero/Barile (650-620 ka ca.) si assiste ad una più intensa costruzione
dell’edificio, ad opera di un’attività esplosiva pressoché continua. Brevi stasi sono
documentate dalla presenza di numerose superfici erosive, ma non dalla formazione di
paleosuoli.
La ripresa dell’ attività magmatica avviene per riattivazione di alcune sacche di magma
interessate da un importante evento tettonico che portò al ribassamento della porzione
meridionale dell’edificio di 100 m ca.
Le ultime manifestazioni di attività vulcanica hanno luogo 130 ka fa ca. all’interno della
caldera di collasso facente centro nei Laghi di Monticchio.
Per quanto concerne l’età, secondo alcuni Autori il bacino dovrebbe essersi estinto circa
520-530 ± 30 ka (Cortini, 1975; Segre, 1957; La Volpe e Rapisardi, 1977), mentre altri
Autori (Brocchini et alii, 1994) collocano la sua esistenza tra 660 e 560 ka, entrando
ancora essa ancora dentro la III unità litostratigrafica (Di Muro, 1997).
Invece il prof. Borzatti von Löwenstern, che, come già affermato, conduce le ricerche nel
Bacino di Atella da quasi un quarantennio, ritiene che la vita del lago, non molto lunga
(come invece ipotizzato per il vicino lago di Venosa), si debba collocare verso la seconda
metà della glaciazione mindeliana, in un arco di tempo che va dai 600 a non più di 550 ka.
Gli stadi iniziali della formazione di questo bacino sono caratterizzati da episodi più
marcatamente fluviali, come dimostrano, ad esempio, le lenti di ciottoli in loc. Meandro
d’Atella.
Lo studio dei depositi limnici indica che agli stadi flaviolacustri iniziali, è immediatamente
seguito l’instaurarsi di un vero e proprio lago il quale, se pur con svariate variazioni del
livello delle acque, non ha mai avuto lunghi periodi di essiccamento.
Questi depositi della fase limnica si sono formati in seguito alla deposizione quasi continua
sia di detriti di natura vulcanica trasportati dai corsi d’acqua, sia di piroclastiti pervenute nel
bacino per caduta diretta durante le esplosioni. Per quanto riguarda la posizione dei
depositi rispetto alla linea di riva, le facies prossimali sono presenti in fasce molto ristrette,
perciò la maggior parte del deposito è da ritenersi appartenente alla facies distale.
Nel loro complesso, i depositi limnovulcanici affiorano a quote comprese tra 395 e 530 m
s.l.m. e sono leggermente inclinati (max. 10°) verso l’asse della Fiumara di Atella. L’analisi
degli spessori delle tufiti ha inoltre permesso di tracciare l’andamento del bacino in
direzione NO-SE, nella zona compresa tra Torrente di Rosa, affluente della Fiumara di
Atella, e Castel Lagopesole.
Circa la genesi del bacino, La Volpe e Rapisardi (1977) proposero le seguenti ipotesi:
Il sito del Cimitero di Atella costituisce la porzione sommitale di un pianoro che si trova
una decina di chilometri a sud del Vulture, in corrispondenza della sponda destra della
fiumara di Atella, circa 90 metri al di sopra dell’attuale alveo.
I livelli maggiormente ricchi di resti fossili manufatti litici preistorici sono risultati alcuni
depositi interpretati come frane, che avrebbero interessato resti di frequentazioni
umane in prossimità delle coste di un paleolago.
Già alla fine degli anni ’90 erano stati avanzati degli studi allo scopo di porre in
relazione le sequenze stratigrafiche dei vicini siti di Loreto e Notarchirico (nel bacino di
Venosa) con l’attività eruttiva del M. Vulture (Bonadonna et al., 1998; Lefèvre et al.,
1999).
La posizione di questo sito, a stretto contatto con il Vulture, ha fatto sì che la distanza
tra di essi fosse continuamente percorsa da flussi piroclastici e colate di lava durante le
fasi di attività eruttiva. Inoltre, l’area, non solo risulta sottovento rispetto alla principale
direzione di dispersione dei lapilli e ceneri da caduta, ma le intense rimobilitazioni che
hanno interessato i depositi incoerenti sia durante che dopo le eruzioni, portò spesso
ad una loro ridistribuzione in facies colluviali, lahariche e fluviali.
L’UVS Fara d’Olivo, con i suoi depositi ignimbritici, rappresenta la base della serie
esaminata (Di Muro, 1999) ed affiora in corrispondenza dell’attuale F.ra di Atella,
immediatamente a sud del sito.
Risalendo verso il pianoro su cui si trova il cimitero, si possono individuare livelli
vulcanici e vulcanoclastici attribuibili alle unità comprese tra la UVS Masseria Boccaglie
(650 ka ca.) alla base e la UVS Masseria Granata (480 ka ca.) alla sommità.