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SAGGI STORICI - 18
a cura di
FRANCESCA BUCCI
FABRIZIO FABRIZI
a cura di
Francesca Bucci e Fabrizio Fabrizi
*** 3 ***
Il Convegno è stato organizzato dall’Opera Don Guanella (Servi della
Carità - Figlie di S. Maria della Provvidenza) in collaborazione con
l’Istituto Luigi Sturzo e la Libera Università Maria SS. Assunta - Lumsa
ISBN 88-7501-010-2
Contiene allegato
*** 4 ***
Alle religiose e ai religiosi
che in questo secolo hanno diffuso
la carità del Fondatore nella Città eterna
*** 5 ***
SIGLE ED ABBREVIAZIONI
20
E Epistolario di don Luigi Guanella
EC Enciclopedia cattolica, voll. 12, Città del Vatica-
no, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Li-
bro Cattolico, 1949-1954
LDP « La Providenza » (dicembre 1892 - ottobre 1895)
« La Divina Providenza » (novembre 1895 - mag-
gio 1899)
« La Divina Provvidenza » (giugno 1899 - ...)
SMC LUIGI GUANELLA, Opere edite ed inedite, vol. III,
Scritti morali e catechistici, a cura di Fabrizio Fa-
brizi, introduzione di Piero Pellegrini, Roma,
Centro Studi Guanelliani - Nuove Frontiere, 1999
SpC LUIGI GUANELLA, Opere edite ed inedite, vol. IV,
Scritti per le Congregazioni, introduzione di Piero
Pellegrini, schede introduttive, note e indici di
Bruno Capparoni, Roma, Centro Studi Guanellia-
ni - Nuove Frontiere, 1988
SSA/1 LUIGI GUANELLA, Opere edite ed inedite, vol. II,
Scritti storici e agiografici, t. 1, Scritti storici, a
cura di Bruno Capparoni e Fabrizio Fabrizi, Ro-
ma, Centro Studi Guanelliani - Nuove Frontiere,
1995
SSA/2 LUIGI GUANELLA, Opere edite ed inedite, vol. II,
Scritti storici e agiografici, t. 2, Scritti agiografici,
a cura di Bruno Capparoni e Fabrizio Fabrizi, in-
troduzione di Piero Pellegrini, Roma, Centro Stu-
di Guanelliani - Nuove Frontiere, 1997
21
DON LUIGI GUANELLA E I RELIGIOSI DI ALTRI ISTITUTI
ALEJANDRO DIEGUEZ
Essere arrivato a Roma, avervi portato le sue opere, per lui signifi-
cava aver trovato protezione all’ombra del Vicario di Cristo « quasi
pulcini sotto le ali del pellicano » 2.
Purtroppo alcuni di questi approcci, occasioni di conoscenza e
circostanze di incontro sembrano destinati a rimanere, allo stato dei
fatti, nella nebulosa dei meri ricordi, a causa della mancanza di fonti
atte ad approfondire e illuminare le piccole tracce rimaste. Eccone
alcuni esempi.
1
[LUIGI GUANELLA], I Pii Istituti, in LDP, aprile 1903, pp. 28-30.
2
LUIGI GUANELLA, Gli istituti religiosi, in LDP, agosto-settembre 1907, p. 119.
235
per ultimare i preparativi della sua attesa fondazione 3. Da sempre am-
miratore dell’abnegazione e dell’operosità di ordini come quelli bene-
dettino e trappista, che secondo lui avevano « salvato in altri tempi il
paese » prosciugando paludi e fecondando terre malsane e sterili 4, don
Guanella ritornerà poi alle Tre Fontane nei giorni 17, 18 e 20 febbraio
1912 per recuperare un « agnello sbrancato [...] al suo benedetto ovi-
le» 5, il confratello don Aurelio Bacciarini “fuggito” alla trappa in cerca
di una vita di maggior perfezione.
3
Cfr. [LUIGI GUANELLA], Col sudor della fronte, in LDP, giugno 1903, p. 46.
4
Cfr. [LUIGI GUANELLA], Come si fa il bene, in LDP, settembre 1902, p. 68.
5
Lettera di don Luigi Guanella a don Leonardo Mazzucchi, Roma, 18 febbraio
1912, AG, Como, E 1843; pubblicata in Epistolario « guanelliano » di Aurelio Bacciarini,
vol. I (1906-1917), a cura di Alejandro Dieguez, Roma, Nuove Frontiere, 1999, pp. 75-76.
6
Secondo un registro dell’arciconfraternita, l’iscrizione di don Luigi Guanella risale
al 9 febbraio 1900; cfr. Registro degli ascritti all’Arciconfraternita di Maria SS. della Divi-
na Provvidenza canonicamente eretta nella chiesa de’ SS. Biagi e Carlo a’ Catinari, Archi-
vio della Comunità di San Carlo ai Catinari, Roma, vol. 105/bis, f. 101 (ringrazio il pa-
dre barnabita Giuseppe Cagni e il dott. Giovanni Castaldo che con la loro cortesia han-
no reso possibile questo riscontro). Cfr. La Confraternita di S. Maria della Provvidenza
nelle nostre Case, in LDP, febbraio 1900, p. 13. Scriveva don Guanella nel 1909: « È ce-
lebre e divoto il Santuario della Madonna della Provvidenza tenuto in Roma dai Reli-
giosi Barnabiti e frequentato da tanto popolo. Da una piccola Cappella davanti alla
quale una madre desolata ottenne la grazia della guarigione del suo unico figlio cui si
doveva amputare una gamba, ne venne tre secoli or sono l’edificazione del tempio
grandioso di S. Maria della Provvidenza. Erettavi poscia un’Arciconfraternita ne venne-
ro poi innumerevoli e portentose grazie. Con immensa consolazione già da tempo è
stato concesso a noi di istituire una Confraternita filiale a quella di Roma e dipendente
da essa, sotto il titolo carissimo di S. Maria della Provvidenza aiuto dei cristiani. Tutti
quanti appartengono alle nostre Case e molti benefattori e divoti si gloriano di apparte-
nervi. Per ottenere le moltissime indulgenze, basta far inscrivere il proprio nome nel
registro della Confraternita e recitare una terza parte del Rosario nelle principali solen-
nità della Madonna. Si raccomanda altresì di portarne al collo la medaglia e conservar-
ne divotamente l’immagine ». LUIGI GUANELLA, A Maria Santissima della Divina Provvi-
denza, in LDP, maggio 1909, p. 52.
7
«Accompagno al solito nomi di nuovi ascritti. Mi raccomando alla carità delle pre-
ghiere della Arciconfraternita ». Lettera di don Luigi Guanella all’Arciconfraternita di S.
Maria della Provvidenza, Como, 25 febbraio 1906, Archivio barnabitico di San Carlo ai
Catinari, Roma. Nel 1911 don Guanella esortava suor Rosa Bosatta a « procurare la
moltiplicazione dei divoti [della Madonna della Provvidenza] e in fine del corr[ente] an-
no mandare l’elenco dei soci a S. Carlo de’ Catinari ». Lettera di don Luigi Guanella a
suor Rosa Bosatta, Roma, 16 novembre 1911, AG, Como, E 648.
236
— Nel dicembre 1906 don Guanella sta per stipulare il contratto
di acquisto col municipio di Roma dell’ex convento di San Pancrazio,
appartenuto ai carmelitani scalzi fino al 1870, quando venne incame-
rato. Don Guanella entra in contatto con l’ordine, che vantava un di-
ritto di prelazione, e si rivolse quindi a Pio X per chiederne l’approva-
zione; il papa inoltra l’istanza al padre Rinaldo Camillo Rousset, pre-
posito generale dei carmelitani scalzi e vescovo eletto di Bagnorea,
con speciale raccomandazione del Santo Padre, se (trattandosi di un’opera di
carità che assume un povero Prete che vive di carità) potessero rinunciare a
qualunque compenso pei loro diritti 8.
Padre Rousset risponderà chiedendo di combinare un incontro
con don Guanella e il cardinale Girolamo Maria Gotti, « pienamente al
corrente della questione » 9.
Risulta che Pio X avrebbe voluto affidare ai sacerdoti guanelliani
anche la basilica di San Pancrazio, che in quel momento era
mal servita da 2 o 3 religiosi e in questo senso scrisse al capitolo generale dei
Carmelitani radunato in quel tempo in Roma, ma questi rispose gentilmente
ed ossequiosamente come non fosse possibile acconsentire al desiderio del Pa-
pa avendo il capitolo deliberato di usare della parte del convento come semina-
rio delle missioni. Infatti fu raddoppiato subito il numero dei PP. addetti alla
basilica e più tardi furono mandati i chierici carmelitani futuri missionari 10.
8
Minuta autografa di Pio X a nome di mons. Giovanni Bressan, Vaticano, 30 no-
vembre 1906, ASV, Città del Vaticano, Arch. part. Pio X, b. 30, f. 65r.
9
Ibidem, ff. 442-446.
10
AG, Super Virtutibus, Summarium, p. 632 (teste don MARTINO CUGNASCA).
11
Cfr. ALEJANDRO DIEGUEZ, La famiglia Guanella: radici di natura e di grazia, in Ric-
chezza di figure storiche intorno a Don Luigi Guanella. Rapporti e contributi reciproci, a
cura di Alejandro Dieguez, Roma, Nuove Frontiere, 2000, pp. 55-57.
12
Padre Enrico Massara (Magenta, 31 luglio 1841 - Bergamo, 20 dicembre 1919)
« fu amico di don Luigi Guanella e rimase ammiratore delle sue virtù e delle sue Ope-
re ». Necrologia, in LDP, gennaio 1920, p. 11. Aveva scritto in occasione della consacra-
zione della chiesa di S. Giuseppe al Trionfale: «Don Guanella a nessuno di costoro chiu-
de la porta. Ei si dà tutto a tutti, e solo l’impossibilità materiale lo costringe a rifiutare
il suo concorso. Chi ha visitato le sue case a Como, a Milano, a Ferentino, lassù all’im-
boccatura del Gottardo, a... ed ora a Roma, dove, fuori Porta Trionfale, erige chiesa,
ospizio, oratorio, scuole, vede uno spettacolo curioso: preti, chierici, donne vecchie e
giovani, infermi, derelitti, infelici d’ogni qualità dalle peggiori alle infime, tutti vi trova-
no ricovero ». ENRICO MASSARA, Omnibus omnia factus sum, in LDP, marzo 1912, p. 41.
13
Padre Celestino Alisiardi (Cuneo, 29 maggio 1847 - Roma, 6 luglio 1931), appar-
tenente alla residenza del Gesù, « instancabile apostolo del confessionale fino agli ultimi
giorni della vita sua », confessore di Pio XI e di diversi membri del collegio cardinalizio.
237
segnante di teologia morale all’Università Gregoriana e consultore del-
la Congregazione dei Religiosi, da cui si fece consigliare in fase di re-
visione delle Costituzioni 14.
— Nel loro istituto di via Giusti, nei pressi di San Giovanni in La-
terano, le francescane missionarie di Maria accolsero per tre mesi due
suore guanelliane (una era proprio Paolina Bertani, che riferisce l’epi-
sodio) per frequentare i corsi di pedagogia scientifica sperimentale per
l’educazione dei bambini, tenuti in quella sede da Maria Montessori. A
causa dell’eccessiva distanza non potevano tornare a casa per il pran-
zo, così le francescane offrivano loro la refezione, ottenendo una gran-
de riconoscenza da parte di don Guanella 18.
« Amico ed ammiratore fu pure del nostro dolce padre Don Luigi Guanella, con cui con-
divideva l’alta stima per la memoria santa di Pio X, tanto da farselo collaboratore nel
raccogliere fatti prodigiosi attribuiti a quel santo Pontefice [...] con singolare modestia
di contegno tutto umile e negletto frequentava la nostra parrocchia in Roma, conceden-
do anche semplici e cari articoli intorno a S. Giuseppe per le pagine della nostra S. Cro-
ciata». Necrologia, in LDP, agosto 1931, p. 144. Cfr. anche La gloria di Pio X, in LDP, ot-
tobre 1914, p. 151, dove padre Alisiardi, intento alla raccolta documentata di grazie e
prodigi ottenuti per intercessione di Pio X, ringraziava don Guanella per avergli manda-
to un compendio della vita di Pio X, una relazione scritta dal commendator Canevelli e
degli indirizzi « onde, scrivendo io alle persone graziate, potrò avere altre relazioni di
grazie ad intercessione di papa Pio X ».
14
Cfr. AG, Super Virtutibus, Summarium, pp. 385-386 (teste don SILVIO VANNONI).
15
Cfr. AG, Super Virtutibus, Summarium, p. 699 (teste don MARTINO CUGNASCA).
16
« La Santa Missione tenuta dai R. P. Passionisti nella provvisoria Basilichetta, eb-
be all’inizio pochi uditori; ma poi andarono crescendo talmente che la chiesina non po-
teva contenerli tutti. A metà della Missione si collocò sull’altare una bella Madonna in
mezzo alla generale commozione. Moltissime furono le Confessioni e le Comunioni. La
processione di chiusa fatta sulle fondamenta della Chiesa riuscì toccante. Quei paraggi
risonanti per l’addietro d’imprecazioni, echeggiarono allora di Evviva Maria e videro at-
ti e udirono parole di pentimento e di viva pietà ». LUIGI GUANELLA, Ricovero di Pio X -
Roma, in LDP, aprile 1910, p. 53.
17
Cfr. LUIGI GUANELLA, A Roma!..., in LDP, gennaio 1912, pp. 2-4.
18
Il corso montessoriano costituì per le suore guanelliane un’occasione più unica
che rara: « A tutti è noto l’interessamento paterno di monsignore [Pescini] tanto che per
distinzione siamo chiamate le suore del papa; e ancora per voler suo, di tanto in tanto
dobbiamo andare in Vaticano a dare relazione del procedere del nostro corso. Siamo
raccomandate alla dottoressa Montessori stessa la quale ci permette di passare la gior-
nata con i bambini (ciò che non è di tutte) e che per noi è di grande vantaggio per la
pratica del metodo. Durante il corso abbiamo la visita di sua maestà la Regina madre e
noi, povere martorelle, dalla Montessori siamo scelte fra le tirocinanti a far parte della
lezione pratica e così passano anche i tre mesi di tirocinio e con speciale aiuto della di-
vina Provvidenza anche l’esito dell’esame finale è stato molto soddisfacente. Il compiaci-
mento dei detti monsignori interessati è grande, non meno quello dei nostri venerati
238
— Particolari rapporti di gratitudine ed amicizia legavano don
Guanella con la comunità delle oblate di Santa Francesca Romana. Da
loro ricevette diverse offerte: 500 lire, un sacco di fagioli, vestitini per i
bambini dell’asilo, e soprattutto quattro preziosi arazzi ricamati da
donna Maria Elena di Lapeyrière, presidente del convento morta il 23
febbraio 1911, con la finalità di finanziare la costruzione di un nuovo
tempio intitolato a sant’Elena nella zona di Monte Mario 19. Gli arazzi
furono donati verso la fine del 1912 e da quel momento l’epistolario di
don Guanella registra una serie di contatti interessanti: egli ringrazia e
manifesta il suo rimorso « per averle condotte con sì brutto tempo a
Monte Mario », incolpando il suo « debole della frettolosità » 20; annun-
cia il suo viaggio in America e chiede gli sia permesso prima di partire
« di celebrare altra volta nella Cappella stanza della Beata in atto di
preghiera e di ringraziamento» 21; manda saluti «a vista di New York»,
sperando nel compimento della chiesa di Sant’Elena 22; le invita a fare
« nella bella stagione [...] qualche visitina a S. Pancrazio e a M. Mario,
per godere il ristoro di una passeggiata al monte » 23; scusandosi per
aver mancato ad un appuntamento, invia un brandello della veste di
Pio X: « Eccolo il mancator di parola! Promisi di ritornare dopo la vi-
sita al S. Padre ma un telegramma mi richiamò ai primi di febbraio a
Milano. A quella vece d’una visita accompagno un brano della veste
usata da Pio X che come Ella sa è in fama di taumaturgo e che molte
grazie si ottengono usando con fede di oggetti appartenutigli. Sono
poi lieto riferire che il S. Padre benedice di gran cuore la casa tut-
ta » 24; manda a prendere un « plico memorie della B. V. del Conforto
come intelligenza di stamane » 25.
239
Il rapporto forse più importante, segnato da collaborazione, pro-
fonda amicizia e reciproca stima, è quello con don Luigi Orione. Di
lui don Guanella scriverà il 22 ottobre 1903, pochi giorni dopo aver
preso possesso della colonia di Monte Mario: « A breve distanza è il
caro amico D. Luigi Orione colla sua Colonia di S.a Maria che è un
uomo di Dio e ci presta immensi servizi » 26.
Lo spirito e i momenti salienti di questo intenso legame sono rie-
vocati nell’efficace sintesi di don Flavio Peloso nel presente volume,
cui si rimanda.
26
Lettera di don Luigi Guanella a mons. Giovanni Battista Baroni, Roma, 22 otto-
bre 1903, AG, Como, E 166.
27
Cfr. lettera circolare di don Luigi Guanella ai vescovi diocesani, Como, 14 maggio
1905, ACIVCSVA, Roma, C 46/1; la copia spedita a mons. Alfredo Peri Morosini, Como,
14 maggio 1905, in AG, Como, E 2124.
28
Normae secundum quas S[acra] Congr[egatio] Episcoporum et Regularium proce-
dere solet in approbandis novis institutis votorum simplicium, Romae, Typis S[acrae]
C[ongregationis] de Propaganda Fidae, 1901.
29
Claudio Benedetti (Falvaterra, 30 agosto 1841 - Roma 29 febbraio 1926), ordinato
sacerdote nel 1865, insegnò teologia morale nel seminario di Veroli, sua diocesi. Dopo
aver emesso la professione nella congregazione del Santissimo Redentore nel 1878, fu
nominato maestro dei novizi ed insegnò teologia dogmatica agli studenti della Provincia
Romana. Dal 1890 al 1922 ricoprì la carica di postulatore generale della congregazione,
lavorando con successo alle cause di san Gerardo Maiella, di san Clemente Hofbauer,
del beato Antonio Gianelli, di Gennaro Sarnelli, di Giovanni Nepomuceno Neumann, e
di altri religiosi liguorini come Cesare Sportelli, Paolo Cafaro, Domenico Blasucci, Ar-
mando Passerat. Fu inoltre consultore della Segnatura Apostolica e delle Sacre Congre-
gazioni dei Riti e dei Vescovi e Regolari (poi dei Religiosi), per quest’ultima contribuì
240
Sarà questo un incontro che segnerà una svolta soprattutto nella
mentalità di don Guanella, fino a quel momento portato a ragionare al
di fuori di ogni schema giuridico. Questo primo incontro, avvenuto
probabilmente nel mese di giugno 1907, viene descritto con ampiezza
di dettagli da due testimoni di eccezione.
Il primo è monsignor Attilio Bianchi, segretario particolare di
Pio X e amico di don Guanella, che lo accompagnò al primo appunta-
mento con il consultore:
Ricordo che una volta chiamato a Roma da p. Benedetti Redentorista consul-
tore della Congregazione dei Religiosi ed incaricato dal cardinal Ferrata pre-
fetto della Congregazione dei Religiosi per l’approvazione delle regole e siste-
mazione delle opere di don Guanella, il Servo di Dio ascoltò con tanta umiltà
e pazienza i gravi richiami di detto padre che si prolungarono per ben tre
quarti d’ora. Io era presente a quel colloquio e ne fui grandemente edificato
dal modo con cui accolse quelle riprensioni. Ricordo che il Servo di Dio disse
in quella occasione che avrebbe fatto tutto quello che gli era possibile. So poi
che p. Benedetti rilasciò una bellissima testimoniale colla quale dichiarava
che il Servo di Dio era veramente un santo 30.
Il secondo è lo stesso padre Benedetti che per il processo di beati-
ficazione di don Guanella consegnò al tribunale una minuziosa rela-
zione dei suoi rapporti con il sacerdote lombardo:
Per far capo al racconto, mi riporto al giorno, in cui, come ho detto, feci con
lui la prima conoscenza personale. Quel giorno la nostra conversazione fu
lunga. Mi dava egli una relazione sommaria dei due Istituti, e come io andavo
osservando, or sull’uno or sull’altro punto che bisognava correggere o miglio-
rare, egli sempre rispondeva: « E don Bosco? E Cottolengo? ». Per farmi così
comprendere che tutto ciò che aveva fatto, era stato per seguire le traccie di
questi due uomini di Dio. Per toglierlo dall’equivoco tenni questo ragionamen-
to. La S. Sede, distingue le opere pie dagli Istituti che devono dirigerle. Se
nulla contengono di male, loda ed approva le opere pie; ma mai concede un
decreto di approvazione, e neppure di lode, ad un istituto specialmente se è
241
religioso, se prima non vede che esso è posto su buon piede nel suo stato, sia
materiale, sia personale, sia economico, sia disciplinare; perché non vuole che
si dica, che essa abbia apposto le mani ad un ente morale ecclesiastico, che fa
ancora dubitare della sua saldezza e del suo retto procedere. Niuno vi è che
non ammiri le opere del B. Cottolengo e del Ven. don Bosco, ma niuno istitu-
to da loro fondato, fu dalla S. Sede approvato senza essere stato prima corret-
to, secondo le norme che essa tiene per approvarli [...] A questo ragionamento
cadde il suo equivoco, e d’allora in poi s’attenne sempre fedelmente e diligen-
temente alla via che gli veniva indicata 31.
Dunque, dal 1907 padre Benedetti fu per don Guanella non solo
un prezioso consigliere 32, ma anche confidente, compagno 33, e suo
“rappresentante”. Le 77 lettere che don Guanella gli dirige testimonia-
no come gli affidasse cause delicate quali, ad esempio, la soluzione di
vertenze con i vescovi; sottometteva inoltre al giudizio del redentori-
sta, come fosse un suo superiore, le varie ipotesi ed iniziative, anche
quelle dettate da circostanze straordinarie come i terremoti del 1908
e del 1915, quando voleva accorrere personalmente in soccorso delle
vittime:
La mattina seguente al terremoto di Messina in Calabria — ricordava padre
Benedetti — mi si presentò di buon’ora con la valigia in mano. Veniva dalla
stazione ferroviaria, aveva viaggiato tutta la notte con la intenzione di andare
subito in Calabria a raccogliere orfanelli: voleva sapere se io ne ero contento.
Fui contrario, perché temeva che quegli orfani, così tumultuariamente raccol-
ti, mettessero in scompiglio le case dei suoi Istituti, che in quel tempo doveva-
no procedere più cautamente per rendersi degni di approvazione. Egli per
virtù di docilità e prudenza si attenne al mio consiglio, ma il suo cuore non
restò soddisfatto [...] Avvenne poi il terremoto dell’Abruzzo, ed eccolo di nuo-
vo colla sua valigia in mano. Allora costernato, com’erano tutti in Roma, non
tanto per la forte scossa che vi si era sentita, quanto per le notizie dell’immen-
sa catastrofe avvenuta nell’epicentro, al primo vederlo gli dissi: « Sì, sì carissi-
mo don Luigi: va’ pure: fa tutto ciò che tu puoi » 34.
31
AG, Super Virtutibus, Summarium, pp. 122-123 (teste padre CLAUDIO BENEDETTI).
Per la testimonianza completa di padre Claudio Benedetti, cfr. Alcune notizie sul Servo
di Dio D. Luigi Guanella che il P. Claudio Benedetti..., Roma, 1 ottobre 1922, pubblicato
in appendice alla presente relazione.
32
Don Guanella ebbe da lui consiglio per la sistemazione delle sue congregazioni,
per la redazione delle regole in vista dell’approvazione pontificia e per l’istruzione dei
processi informativi sulla vita di Caterina Guanella e di suor Chiara Bosatta.
33
In diverse occasioni padre Benedetti fu vicino a don Guanella, ad esempio quan-
do lo accompagnò ad una visita al terreno dove sarebbe sorta la chiesa di San Giuseppe
al Trionfale, ricavando una favorevole impressione nel costatare come « in sì breve tem-
po, avesse saputo trovare il modo di provvedere alla educazione cristiana di quei fan-
ciulli abbandonati, e per mezzo di essi guadagnarsi il rispetto e la gratitudine dei loro
genitori, che per mancanza di aiuti spirituali, già erano caduti nell’indifferentismo reli-
gioso ». Ibidem, p. 119.
34
Ibidem, pp. 119-120.
242
3. Don Guanella “consigliere spirituale” di fra Agostino Gemelli
35
Agostino Gemelli (al secolo Edoardo) nacque il 18 gennaio 1878 e morì il 15 lu-
glio 1959 a Milano. Attivo nelle fila socialiste e convinto positivista, nel 1902 si laurea in
medicina a Pavia, sotto la guida del premio Nobel Camillo Golgi con una tesi sull’anato-
mia e l’embriologia dell’ipofisi cerebrale. Per gli obblighi di leva compie quindi un anno
di volontariato presso l’ospedale militare di Milano, esperienza che segna il momento
della sua repentina conversione. Entra tra i francescani nell’ordine dei Frati minori e
compie un lungo noviziato, dal novembre 1903 al novembre 1907. A Natale di quell’an-
no emette la professione religiosa e il 18 marzo 1908 celebra la sua prima Messa nel
santuario di Sant’Antonio di via Farini a Milano. Nel 1909 fonda la « Rivista di Filosofia
Neoscolastica », nel 1914 « Vita e Pensiero » e nel 1921 è tra i fondatori dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, realizzando un’opera lungamente desiderata dai cattolici ita-
liani. Cfr. GUSTAVO BONTADINI, Gemelli, Agostino, in DSMCI, vol. II, pp. 225-230.
36
AGOSTINO GEMELLI, La formazione intellettuale del sacerdote, in Enciclopedia del Sa-
cerdozio, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1953, pp. 196s., cit. in In alto!, in LDP,
settembre 1959, p. 115.
243
Dalla sua testimonianza per la causa di beatificazione di don Gua-
nella conosciamo altri particolari:
Il S. Padre con molta benevolenza mi suggerì di recarmi da don Guanella e
questo mi disse avendo saputo che mi recavo di sovente al Convento di Don-
go. Ricordo con precisione che avendo io osservato al S. Padre che i motivi
dei miei dubbi e le cause delle mie difficoltà erano di natura teologica, mentre
non mi constava che don Guanella fosse teologo, il Santo Padre mi interruppe
e mi disse: « Non ti hanno abbastanza rotta la testa i teologi? Tu hai bisogno
di un sacerdote di molta carità e di molto zelo, va’ a lui a mio nome e fai quel-
lo che lui ti dirà ». In conformità a tale consiglio mi recai a cercare don Gua-
nella, gli esposi il mio stato d’animo, ed egli, evitando i ragionamenti teologici
mi condusse a ragionare sul governo provvidenziale delle anime e a riconosce-
re che se la Provvidenza mi aveva assistito a superare molte altre difficoltà per
divenire religioso, non avrebbe mancato di assistermi ancora e di aiutarmi a
diventare sacerdote. In quell’occasione rilevai il profondo spirito soprannatu-
rale di Don Guanella, la sua grande umiltà, la dolcezza del suo animo, tanto
che si stabilì tra noi ad onta della differenza di grado e di età una spirituale
amicizia. E poiché uno dei modernisti più volte in onta delle mie repliche, cri-
ticava l’operato di Pio X come Pontefice, ne parlai a don Guanella ed allora
appresi dal suo labbro quanto amore, quanto spirito di obbedienza, e di devo-
zione aveva per il Vicario di Cristo e in particolare di Pio X. Tanto che torna-
to in udienza da Pio X lo ringraziai per avermi indirizzato a don Guanella e il
S. Padre avendo saputo da me che ormai io ero tranquillo concluse: « Non po-
teva essere diversamente perché don Guanella è un Santo sacerdote e certa-
mente ti ha ottenuto la grazia di una particolare assistenza divina » 37.
Padre Gemelli rimase sempre legato alla figura di don Guanella e
alle sue istituzioni; il 24 maggio 1926 lo troviamo alla Casa Divina
Provvidenza di Como per accompagnarvi, su incarico di Pio XI, il car-
dinale Camillo Laurenti (cfr. Documentazione fotografica nel presente
volume).
37
AG, Super Virtutibus, Summarium, pp. 776-777 (teste padre AGOSTINO GEMELLI).
38
Arturo Conelli (Milano, 23 settembre 1864 - Roma, 7 ottobre 1924), entrato nel-
l’Oratorio di Valdocco nell’ottobre 1877, fu accolto nella Società Salesiana da don Gio-
vanni Bosco nel 1881. Ordinato sacerdote il 26 marzo 1887, diresse la collana delle
«Letture Drammatiche», fu direttore dell’Istituto Leonino di Orvieto (1893-1898) e quin-
di del collegio Villa Sora a Frascati. Nel 1902 fu eletto ispettore delle case salesiane del
Lazio, dell’Umbria e delle Marche e mantenne l’incarico per un quindicennio; nel 1917
don Paolo Albera lo nominò direttore generale delle scuole salesiane e nel 1919 econo-
mo generale. Cfr. Dizionario biografico dei Salesiani, Torino, 1969, pp. 93-94.
244
Durante il pontificato di Pio X era più volte trapelata la voce di
una possibile nuova soppressione dei beni degli istituti religiosi. Sul
tavolo del papa periodicamente giungevano lettere allarmate di vesco-
vi che chiedevano conferma — così a settembre 1907 — della voce se-
condo la quale il governo italiano avesse già pronta una legge contro
gli ordini religiosi simile a quella approvata in Francia, e se quindi
fosse necessario « darsi le mani attorno a salvare se è possibile i beni
intestati a persone religiose » 39. Si temeva addirittura che da parecchi
anni la legge di conversione del patrimonio ecclesiastico fosse già
pronta e si aspettasse solo « il momento opportuno per farla passare,
magari alla chetichella! » 40.
Ma è soprattutto negli anni 1908-1909 che i timori sembrarono di-
ventare realtà. Il verbale del Consiglio superiore dei Servi della Carità
in data 22 giugno 1908 registra:
Il Superiore propone lo studio da farsi, per assicurare i beni delle due Congre-
gazioni maschile e femminile, da una probabile soppressione da parte del Go-
verno Italiano. Gli Avvocati radunati prima a Milano e poi a Piacenza, conclu-
sero nulla di positivo, non avendosi gli estremi tra i quali potrebbe essere con-
tenuta la detta legge. Poi avremmo ben poco a temere perché non ancora Con-
gregazione approvata, e poi poveri. Comunque uno studio è da farsi e da prov-
vedere per non essere presi all’improvisa. L’avvocato Patriarca di Roma, pro-
curatore della S. Sede, manderà modulo speciale di contratto, quale sta prepa-
rando per la Congregazione Salesiana. I RR. Padri Missionari di Rho e gli
Stim[m]atini si sono assicurati investendo tutti i loro beni nel Piccolo Credito
di Rho in modo di averne sempre la preponderanza, così d’essere sempre i pa-
droni. La Cassazione di Roma con ultima decisione, non intendendo legale
l’interposizione di III persona per lasciti ad Enti morali non riconosciuti ag-
grava la condizione di questi ultimi 41.
Verso la fine di quell’anno, don Guanella scriveva ad uno dei suoi
corrispondenti, don Luigi Ghinelli:
Qui si discorre molto di Società Anonima per assicurare i beni delle Congre-
gazioni e di qualunque ente ecclesiastico sui quali si teme l’oppressione laica.
Lei ne è informata? 42.
39
Pio X faceva rispondere: « finora non sono che timori, ma timori purtroppo ben
fondati, che forse non l’attuale, ma un Ministero più radicale possa proporre tal legge ».
Cfr. ASV, Città del Vaticano, Arch. part. Pio X, b. 39, ff. 102r-104r.
40
Cfr. ibidem, b. 91, ff. 1026-1028.
41
Verbali delle adunanze del Consiglio superiore della congregazione dei Servi del-
la Carità, I (1908-1925), adunanza del 22 giugno 1908, § 3, AGSC, Roma. Dal verbale
del 18 luglio 1913 risulta che don Guanella e i suoi consiglieri studiavano le moda-
lità concrete di attuazione di tale società. Al punto XVII di tale seduta infatti si legge:
« Si approva in massima di studiare la costituzione d’una società anonima per assicu-
rare fiscalmente il possedimento dei nostri beni esistenti nel Canton Grigioni ». Ibidem,
f. 30.
42
Lettera di don Luigi Guanella a don Luigi Ghinelli, Milano, 27 dicembre 1908,
AG, Como, E 1306.
245
Don Conelli, per conto dei salesiani, era impegnato in prima linea
nella ricerca di formule legali che permettessero la custodia del patri-
monio della congregazione. Nel gennaio 1910 si preoccupava di chie-
dere a Pio X conferma dei suggerimenti già da lui ricevuti « sulla con-
dotta consigliabile ai religiosi per salvare i loro immobili da eventuali
leggi eversive », e il papa faceva rispondere congratulandosi delle ini-
ziative intraprese « per mettere al sicuro il patrimonio dei salesiani » e
ribadendo il consiglio di continuare in queste operazioni, «anche a co-
sto di qualche sacrificio pecuniario » 43.
Nel marzo 1914 il sacerdote salesiano dava al papa notizie sul
funzionamento dell’ente sorto grazie ai suoi suggerimenti, una società
anonima la cui esistenza era perfettamente sconosciuta a tutti i mem-
bri della congregazione, eccettuati ovviamente lo stesso don Conelli e
il rettore maggiore don Paolo Albera:
Manco a dirsi che tutto il Consiglio di amministrazione, che figura di guada-
gnare il 10% sugli utili, effettivamente prende nulla, perché mentre riscuote con
una mano coll’altra ne rilascia subito offerta alle opere nostre; quindi al divi-
dendo, che si tiene basso per risparmio di tasse, si deve aggiungere anche tutto
quello che figura pagato al Consiglio. Un particolare curioso è che la sede della
società cioè il palazzo Patrizi è immediatamente attigua al palazzo Giustiniani
cioè alla Società Urbs, e le finestre della sala del Consiglio della Società Pro-
prietà Fondiaria danno sulle finestre della Società Urbs cioè della Massoneria! 44.
Per questo motivo il 17 maggio 1909 don Guanella si rivolge a lui
per chiedere consiglio « intorno al collocamento del valore delle nostre
povere Case presso il Banco di una Società anonima fondata recente-
mente, con Presidente laico, ma consiglio di ecclesiastici », e alla pos-
sibilità di « inventare società meno note » ma « egualmente sicure » 45.
Don Guanella si trova a Roma quando apprende della morte di
don Michele Rua, 6 aprile 1910, ed immediatamente esprime le pro-
prie condoglianze a don Conelli rinnovando la propria devota ammira-
zione per la sua famiglia religiosa:
Però io faccio voto e prego le anime elette di Don Rua come di D. Bosco per-
ché nella carità che le anima, alitino ancor sulle minime opere nostre di quel
soffio che poderoso animò mai sempre le Opere della ammirabile Congrega-
zione Salesiana 46.
43
ASV, Città del Vaticano, Arch. part. Pio X, b. 68, ff. 77-80.
44
Ibidem, b. 118, f. 562rv.
45
Lettera di don Luigi Guanella a don Arturo Conelli, Como, 17 maggio 1909, AG,
Como, E 923.
46
Lettera di don Luigi Guanella a don Arturo Conelli, Roma, 8 aprile 1910, AG, Co-
mo, E 924. Poco dopo scrive ancora a don Conelli: « Ringrazio sua carissima che sem-
pre più mi rafferma allo affetto ed alla venerazione della Congregazione Salesiana.
L’anima benedetta di D. Rua ci conforti in molte tribolazioni e l’esempio suo ne spinga
all’imitazione ». Lettera di don Luigi Guanella a don Arturo Conelli, Roma, 17 aprile
1910, AG, Como, E 925.
246
Un ulteriore contatto con don Conelli è attestato nel luglio di
quello stesso 1910: si tratta di un parere sul prezzo di vendita della co-
lonia di Monte Mario, per la quale è pervenuta una proposta di acqui-
sto, che il 28 luglio don Guanella comunica a Pio Leonori 47.
47
« Ecco che me ne scrive il R.mo P. Conelli ». Lettera di don Luigi Guanella all’ing.
Pio Leonori, Como, 28 luglio 1910, AG, Como, E 1668.
48
Luigi Zambarelli (Minturno, 27 giugno 1877 - Roma, 13 gennaio 1946) entrò tra i
religiosi somaschi all’età di quattordici anni e fu ordinato sacerdote dal 1902. Letterato
e scrittore, “padre dei ciechi” nell’Istituto Sant’Alessio sull’Aventino, sarà preposito gene-
rale del suo ordine dal 1926 al 1932. Cfr. ASV, Città del Vaticano, Congr. Riti, Processus,
5450, f. 1849; GIOVANNI ZAMBARELLI, Luigi Zambarelli sacerdote e poeta nella sua vita inti-
ma e familiare, Velletri, 1971.
49
ASV, Città del Vaticano, Congr. Riti, Processus, 5450, ff. 1849-1851. Il racconto di
padre Zambarelli si riferisce probabilmente alla primissima benedizione data da don
Guanella ad un oratorio improvvisato, poi rinnovata per la cappella allestita con i mezzi
procurati da Pio X come risulta dalla descrizione di suor Paolina Bertani: « Intanto si
sta preparando per la prima benedizione della cappella e per il santo sacrificio della
santa Messa. Una piccola campanella suona a distesa per circa mezz’ora ma nessuno
viene. L’orecchio di questo povero popolo non conosce questo suono e perciò non dà
247
La relazione di padre Zambarelli con don Guanella continuò sal-
tuariamente, fino a quando il sacerdote somasco ebbe a riceverne un
benevolo rimprovero, così ricordato:
Essendomi incontrato con lui gli raccontai che per mesi e mesi avevo cercato
ma sempre invano di poter collocare in un qualche ospizio di carità una pove-
ra vecchia di oltre 80 anni quasi cieca e malferma in salute, la quale eludendo
la vigilanza dei parenti voleva da sola girare per le vie di Roma esponendosi a
molti e gravi pericoli. Finalmente però risucii a collocarla presso le Piccole
Suore dei Poveri a San Pietro in Vincoli. Egli parve commosso a questo rac-
conto, e poi subito soggiunse: « E per girar tanto e per tanti mesi, non potevi
rivolgerti a me? Io l’avrei subito accettata e la Divina Provvidenza avrebbe
pensato anche a lei come agli altri ricoverati » 50.
Padre Zambarelli conclude la testimonianza sulla sua relazione
con don Guanella, durata fino a pochi anni prima della morte, notan-
do come dalla modestia e semplicità che trasparivano dalle parole e
dall’atteggiamento del sacerdote comasco « si sarebbe quasi detto che
fosse un sacerdote di pochi numeri [...] perché sapeva dissimulare e
la sua dottrina e la sua profonda virtù sotto il velo della vera umiltà
cristiana » 51.
ascolto e lascia suonare. Finalmente si vede arrivare un piccolo monello e poi una don-
netta e da ultimo un uomo. È da notare che questo è venuto con l’intenzione di ottenere
un portierato, proposta che ci fece ridere. Di quale portierato intendesse parlare noi cer-
to non lo sapevamo perché esisteva solo la famosa porticina imbrattata e tarlata, con un
cancello puntellato anche quello per non cadere. Ecco il reverendo Superiore. È accom-
pagnato dall’illustrissimo signor commendatore Giuseppe Canevelli, consigliere di Stato,
con la consorte e il figlio. Questo benemerito commendatore è di grande aiuto e consi-
glio al beneamato Superiore per le opere iniziate in Roma. Terminata la benedizione
della cappella, segue subito il santo sacrificio della Messa. Il reverendo Superiore ha già
indossato i sacri paramenti e sta per dar principio al santo sacrificio. Già la santa Mes-
sa è incominciata e una di noi si accorge che non vi è il campanello. Come fare? Si cor-
re alla vicina scuderia, si toglie dal collo della povera bestia il grosso campanello e si
corre perché è imminente il momento del Sanctus e della santa elevazione. Povero Ge-
sù! Il tuo apparire nell’ostia santa è annunciato dal suono di una campana fessa! Ma ciò
poco importa, anzi fortunato campanello che ci hai tolto da un grande imbarazzo... Ter-
minata la santa Messa, offriamo al reverendo Superiore una tazza di caffè preparato su
di una macchinetta che la previdente superiora tiene pronta per qualunque evento, per-
ché altri mezzi non esistono. La giornata è rigidissima, il Fondatore è intirizzito dal
freddo ma il suo volto è raggiante di gioia perché finalmente vede appagata la brama
del suo cuore per aver potuto celebrare il santo sacrificio in quel luogo tanto desolato ».
PAOLINA BERTANI, Piccola Storia della Fondazione..., cit., pp. 27-28.
50
ASV, Città del Vaticano, Congr. Riti, Processus, 5450, ff. 1851-1852.
51
Ibidem, f. 1852.
248
notrofio di Cantù, padre Edmondo Mitti, padre Gerardo Minessi e fra-
tel Pacifico Terraneo, arrestati la sera del 1º novembre 1909 sulla base
di accuse pretestuose e assolti dal tribunale di Como dopo due mesi di
prigionia 52.
Più o meno contemporaneamente le strade di don Guanella si in-
contravano a Roma con quelle di un altro religioso concezionista, pa-
dre Antonio Ludovico Sala 53, cui affidò per essere curati alcuni orfani
dell’istituto di Ferentino colpiti dalla tigna. Dalle pagine del suo bollet-
tino don Guanella esprime ammirazione per il futuro fondatore
dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata:
Il Padre Concettino che fu un tempo Chirurgo insigne [...] si occupò seriamen-
te di essi per tre mesi continui finiti i quali vispi, contenti e sani poterono es-
sere ricondotti a Ferentino coll’attestato di guarigione completa, rilasciato
dall’Ufficio medico microscopico del Municipio di Roma. Durante la cura an-
dammo più volte a vedere i nostri piccoli tignosi, e sempre rimanemmo edifi-
cati della carità e dello zelo con cui erano trattati dal Padre Sala e da’ suoi Re-
ligiosi, i quali curando il corpo si occupavano insieme dell’anima dei piccoli
sventurati. Non fa quindi meraviglia che all’Ospizio di Padre Sala corrano nu-
merosi e frequenti da tutte le parti ammalati, sicuri di uscirne completamente
guariti. Molte ovazioni sono fatte da ogni parte all’illustre operatore, e non
mancano quelli che ad esse aggiungano un: Peccato che siate frate! E lui di ri-
52
Cfr. LUIGI GUANELLA, Evviva!, in LDP, gennaio 1910, p. 11. I religiosi erano stati
accusati di aver contravvenuto alle disposizioni sulla pubblica igiene accogliendo « sen-
za tante indagini alcuni fanciulli ammalati », ma non era infondata l’ipotesi che vi fos-
sero « stati introdotti ad arte da quelli che non sognano altro che il crollo di ogni ope-
ra religiosa »; la vicenda si chiuse quando « il Tribunale di Como all’unanimità dei giu-
dici pronunciava sentenza di completa assoluzione ». Il trionfo della verità, in LDP, feb-
braio 1910, pp. 31-32. Cfr. pure AG, Super Virtutibus, Summarium, p. 729 (teste don
MARTINO CUGNASCA).
53
Dopo aver conosciuto Luigi Monti, Antonio Sala (Aicurzio, 30 aprile 1857 - Ro-
ma, 1 ottobre 1936) si recò nel 1879 a Roma, dove fu accolto nella comunità
dell’Ospedale Santo Spirito. Nel 1881 conseguì presso l’Università di Roma il diploma
di chirurgo-dentista, segnalandosi per la conoscenza dell’anatomia, della medicina ope-
ratoria e della clinica chirurgica. Nel 1891 il suo fondatore lo ammise alla professione
religiosa tra i Figli dell’Immacolata Concezione con il nome di fratel Ludovico. Nel
1889 i concezionisti furono estromessi dall’ospedale romano e il Sala si trasferì con i
confratelli nella cosiddetta “Vigna di San Giuseppe” in via delle Mura Vaticane, spe-
rimentando tecniche e metodi nuovi nella lotta contro le malattie dermopatiche, fre-
quenti tra la popolazione della campagna romana. Esercitò mansioni di assistenza
e direzione negli ospedali di Orte, Civita Castellana e Saronno. In seguito alla morte
di Luigi Monti nel 1900, il Sala fu per 20 anni vicario generale, a fianco di Girola-
mo Pezzini. Conclusi gli studi di filosofia e teologia, il 30 novembre 1904 venne or-
dinato sacerdote, primo nella sua congregazione. Frequentò in seguito a Vienna la cli-
nica del celebre dermatologo Ferdinand von Hebra, quindi il 27 febbraio 1912 chiese
ed ottenne il decreto prefettizio che lo autorizzava all’impianto ed esercizio di una ca-
sa di salute per le malattie dermopatiche in Roma, contrada Madonna del Riposo, vi-
colo delle Mura Vaticane n. 2. Cfr. FERRANDO SIMONI, Padre Antonio Ludovico Sala fon-
datore dell’I.D.I., in Antonio Ludovico Sala 50 anni dopo, I.D.I., Roma, 1986, pp. 5-16,
p. 49.
249
picco risponde: Non sapete che è appunto per amore di questa cara mia veste
azzurra che ho tanto studiato e sono riuscito a scoprire il rimedio contro la
malattia schifosa? 54.
Padre Sala aveva preso in particolare considerazione i malati di ti-
gna quando ancora la dermatologia aveva possibilità terapeutiche
molto scarse. Applicava ai piccoli malati di tigna, specialmente di ti-
gna favosa, un’efficace formulazione, da lui portata dalla Lombardia e
sviluppata al Santo Spirito, che ottenne una guarigione confermata
dall’attestazione dell’Ufficio di Igiene, e gradualmente ebbe ragione
della diffidenza della scienza medica ufficiale, che riteneva empirico il
suo lavoro. La cura consisteva nell’applicazione di diverse pomate
contraddistinte da un numero progressivo, secondo il loro effetto. Poi-
ché per padre Sala ogni malato aveva la sua dermatosi e ogni derma-
tosi aveva un suo trattamento specifico, l’applicazione delle sue tecni-
che non era facile e richiedeva la costruzione di una struttura atta ad
ospitare i vari malati durante la cura 55.
Proprio per la validità di tale metodo terapeutico (nel 1913 nella
sola provincia di Roma la tigna contava da sedici a diciottomila infet-
ti) Pio X promuove l’iniziativa del sacerdote dermatologo e nel 1913
elargisce 2500 lire per adattare alcuni locali del Ricovero Pio X a San
Pancrazio, perché siano adibiti « per la cura delle malattie contagiose
cutanee sotto la direzione del P. Sala dei Concettini » 56. Nell’archivio
delle Figlie di S. Maria della Provvidenza a Roma si trova la minuta
della lettera con cui don Guanella e suor Marcellina Bosatta accettano
l’assistenza alle « tignoselle » nel ricovero di San Pancrazio:
Pieni di ammirazione per le scoperte preziose in cura dei poveri tignosi e
congeneri, noi siamo intesi, anche nello intento di far cosa grata al Vaticano,
di curare le tignoselle e congeneri; ma queste devono essere presentate dal
Rev.mo Padre Sala, e dimorare ed essere curate sotto la sua intiera responsa-
bilità. Non si determina il tempo della cura, perché se per disgrazia si desse-
ro circostanze tali di pericolo alle Suore curanti, o comecchesia di contagio
ai nostri della Casa, noi non potremmo continuare la cura, né le leggi ce lo
permetterebbero. Accettiamo il compenso per la cura di L. 1,50 (lire una e
c.mi 50) almeno, giornalmente, per ogni malata [la retta giornaliera degli
ospedali di Roma era allora di lire 7,50], ovvero in più secondo le circo-
stanze; ma questa intelligenza, non s’intende che abbia la forza di contratto
duraturo, ma di contratto sospensivo e quasi ad experimentum come sopra
si è detto 57.
54
LUIGI GUANELLA, A Ferentino, in LDP, marzo 1910, pp. 41-42. Cfr. [LUIGI GUANELLA],
Appunti sulla storia della Casa di Provvidenza [1910-1911], ms., AG, Como, VIII a 5,
f. 49.
55
Cfr. FERRANDO SIMONI, Padre Antonio Ludovico Sala..., cit., pp. 29-30.
56
Cfr. ASV, Città del Vaticano, Arch. part. Pio X, b. 127, ff. 624r-627r.
57
Lettera di don Luigi Guanella e suor Marcellina Bosatta a padre Ludovico Sala,
Como, 20 marzo 1914, AFSMP, Roma, fondo Don Guanella, Epistolario, 3, b. 49.
250
In realtà i patti non furono rispettati con precisione, tanto che
si conserva un carteggio con monsignor Bressan, segretario particola-
re di Pio X, e con suor Giuseppina Carnago superiora del Ricovero
Pio X, relativo al mancato versamento della retta stabilita per la cura
delle malate 58.
58
Cfr. lettera di mons. Giovanni Bressan a padre Ludovico Sala, Vaticano, 2 aprile
1914; lettera di suor M. Giuseppina Carnago a padre Ludovico Sala, Roma, 3 aprile
1914, Archivio Concezionista, Roma.
59
Il 16 agosto 1904 don Guanella accompagnava i primi due sacerdoti francesi a
prendere possesso, « sine fustibus et lanternis », del convento; cfr. lettera di don Luigi
Guanella a don Giovanni Tam, Como, 11 agosto 1904, AG, Como, E 2555.
60
Cfr. Lettera di don Luigi Guanella [al card. Raffaele Merry del Val], Como, 9 ago-
sto 1911, ASV, Città del Vaticano, Segr. Stato, a. 1911, rub. 9, fasc. 3, prot. 52384.
61
« Mi piacque il Santuario del fiume a Ceccano e tanto mi piacque quel Mons. Ar-
ciprete. Ho constatato che i Padri Missionari del Sacro Cuore di Betteram che hanno
per iscopo l’ajuto dei Paroci e della gioventù sono un po’ scarsi di persone, ma se dal
Vaticano venisse loro l’invito allora più facilmente accetterebbero? Che le pare Monsi-
gnore? V. E. si adoprerebbe in argomento? Favorisca rispondermi posta corrente prima
che io parta da qui ». Lettera di don Luigi Guanella a mons. Domenico Bianconi, Roma,
3 gennaio 1912, AG, Como, E 449.
251
lettera del marzo 1913: « Domenica [2 marzo] fui a pranzo dai nostri
Missio[nari] Francesi: parlano sempre con trasporto di Traona; specie
P. Giovanni e Bergès » 62.
62
Lettera di don Luigi Guanella a don Giovanni Tam, Roma, 4 marzo 1913, AG,
Como, E 2583.
63
Vittorio Gregori (Viustino, 9 novembre 1881 - Roma, 11 agosto 1930) fu missio-
nario negli Stati Uniti dal 1904 al 1919 e per dodici anni parroco della chiesa del Sacro
Cuore di Gesù a Boston; cfr. AG, Super Virtutibus, Summarium, p. 340; notizie trasmes-
se dall’Archivio generale Scalabriniano.
64
« Don Luigi Guanella, condiocesano, compagno e amico di mons. Scalabrini, fu
chiamato con grato pensiero a far parte del Comitato dei festeggiamenti giubilari del-
l’Istituzione ricordata ». Nel XXV dell’Opera di Mons. Scalabrini, in LDP, giugno 1912,
p. 99.
65
Cfr. LUIGI GUANELLA, Appunti, in LDP, novembre 1912, p. 176; IDEM, Da Roma, in
LDP, dicembre 1912, p. 194.
252
pensiero. Io vivamente l’ho incoraggiato nell’intraprendere questo viaggio e mi
sono offerto a lui di fargli da guida e da compagno 66.
Il resto è ben noto. Don Guanella, che il giorno successivo aveva
udienza pontificia 67, riferì questo invito a Pio X il quale lo incoraggiò a
partire, lo benedì e il 2 dicembre 1912 gli rilasciò una lettera di presen-
tazione autografa da esibire ai vescovi nordamericani. La partenza fu
fissata per il 12 dicembre, lungo l’itinerario Torino - Parigi - Le Havre.
Padre Gregori fu una guida preziosa, «più che fratello, e quasi an-
gelo tutelare » nell’accompagnare tra case scalabriniane e vescovi ame-
ricani don Guanella, che da Boston il 31 dicembre 1912 scrisse:
In questa Casa dei PP. Scalabriniani si sta ottimamente e perfino deliziosa-
mente. Vi è da esercitarsi nel sacro ministero, e vi è da edificarsi con questi
ottimi ed operosi sacerdoti. Il lavoro vi è indefesso; e si dice che per il sover-
chio lavoro non a lungo possono protrarre la vita. Ne ho visitati parecchi nelle
varie case, giovani tuttavia ma affranti nella salute. I religiosi di mons. Scala-
brini godono fama edificante di buon esempio e di operosità 68.
Ma il viaggio o la fondazione in America era stata in realtà prepa-
rata da tempo. Già nel 1911 don Guanella aveva scritto agli scalabri-
niani chiedendo l’eventuale disponibilità per una fondazione a Boston,
ottenendo risposta che difficilmente si sarebbe potuto fare posto alle
congregazioni guanelliane, poiché in città operavano già due floridi
istituti femminili, ma egli aveva replicato di avere scopi diversi, cioè il
ricovero degli indigenti 69.
Ed è proprio su questa diversa concezione o finalità che sorgeran-
no dei malintesi con padre Giacomo Gambera, parroco della chiesa
della Addolorata a Chicago presso la quale venne ospitata la prima co-
munità di suore guanelliane 70; a tal proposito è chiarissima la testimo-
66
AG, Super Virtutibus, Summarium, pp. 341-342.
67
« Oggi con il consenso del S. Padre e con felice accompagnamento avrei data pro-
messa di partire per l’America sicuro ormai di disporre per voi martorelle un campo di
lavoro negli Stati Uniti ». Lettera di don Luigi Guanella a suor Marcellina Bosatta, Ro-
ma, 23 novembre 1912, AG, Como, E 609. « Jeri il S. Padre vedendomi accompagnato
dal R. Superiore degli Scalabriniani P. Gregori a Boston mi benedì perché in quella
città o dove meglio esperimentassi una fondazione femminile ». Lettera di don Luigi
Guanella a padre Claudio Benedetti, Roma, 24 novembre 1912, AG, Como, E 337.
68
LUIGI GUANELLA, Don Luigi Guanella in America, in LDP, febbraio 1913, p. 17.
69
Cfr. lettera di don Luigi Guanella all’ing. Aristide Leonori, Roma, 4 novembre
1911, AG, Como, E 1602.
70
«Ieri casualmente mi ripassò sott’occhio la sua dello scorso Agosto nella quale mi
accennava alla poca discrezione usata a Sua Eccellenza Mons. Arcivescovo con preten-
dere che alle Suore ed alle opere nostre fosse data una sistemazione autonoma. Al che
rispondo, che veramente la intelligenza con V.P. e con Sua Eccellenza, con accordo
mio personale, era che si desse ben presto assetto allo asilo e contemporaneamente al
Ricovero, cominciando dal grano di senape e che sua Eccellenza e lo stesso Presidente
dello Stato avrebbero aiutato perché si cominciasse subito, finché lo stato non provve-
desse diversamente. Con tale visione e non altrimenti io sollecitai l’invio di suore e di
Sacerdoti che Ella desiderava. Ma mi si fa sapere che di autonomia all’opera non se ne
253
nianza del provinciale scalabriniano padre Pacifico Chenuil in una let-
tera al suo superiore generale padre Domenico Vicentini, che mette in
risalto il contrasto, se non addirittura lo scontro, tra il progetto assi-
stenziale guanelliano e la mentalità efficientistica (anche in senso po-
sitivo) tipica degli Stati Uniti. Scriveva infatti il 13 febbraio 1914 pa-
dre Chenuil, inviando informazioni « precise ed esatte » riguardo alle
loro missioni:
In quanto all’opera del padre Guanella è sempre allo stesso punto. Il povero p.
Gambera è stato un semplicione nell’accettare quel prete e quelle monache in
casa. Da principio, a sentire gli articoli ampollosi ed esageratissimi dei giorna-
li, pareva che si trattasse di un’opera grandiosa, ma invece la triste realtà è
tutt’altra cosa. Da principio avevano circa 200 bambini che durarono solo po-
che settimane ed ora in media non superano gli ottanta dai 6 anni in giù e pa-
gano 5 soldi al giorno ed alcuni pagano 10 soldi pel mantenimento ecc. E dire
che il p. Gambera fece una grossa spesa per preparare i locali ecc. ed ora ci
vogliono 8 suore per custodire da 70 a 80 marmocchi! Per fortuna vi fu una
ottima famiglia che affittò villaggio alle suore per un prezzo modico e si con-
tenta solo della metà della pigione. Di più queste suore dovranno sudare chi
sa quanto prima di imparare un po’ d’inglese, tanto più che alcune sono abba-
stanza svelte, ma ve ne sono delle altre (cioè la maggioranza) che sono molto
indietro. Il Guanella conta sulla provvidenza e fa bene, ma qui pare che non
abbia consultato la provvidenza ed abbia voluto fare lui a modo suo. Quando
fu qui raccontava che in molti paesi gli chiedevano delle suore e che non pote-
va bastare nemmeno a tutte le domande. Qui invece non aspettò che il Vesco-
vo od altri gliele domandasse, ma venne lui stesso ad esibirle e tanto fece ed
insistette che riuscì ad interessare il p. Gambera alla sua causa. Quali sieno
poi stati gli accordi tra il p. Gambera e lui, nessuno lo sa. Ma intanto ora il
p. Gambera dice che ha già fatto abbastanza sacrifici e gli altri che per mezzo
di lui riuscirono ad aprirsi un buco in America incominciano a brontolare
perché non possono attuare i loro piani. Io credevo però che il padre Guanella
con quella sua posa di nuovo Cottolengo fosse un po’ più pratico nella sua fur-
beria e sapesse meglio scegliere i suoi soggetti quando si tratta di iniziare
parla, e allora io naturalmente devo rispettosamente insistere perché non incolga in ta-
luno di quei malintesi che possono essere pericolosi in lontane terre. Noti poi che la
mia alla quale Ella rispose in Agosto era appieno confidenziale e scherzosa più che al-
tro, ed Ella non avrebbe colto nel segno con darle molto seria considerazione. Le pare?
Non di meno chiedo veniam se involontariamente mancai. E piuttosto diamo luogo alla
massima fondamentale della autonomia. Conosco il personale che le ho inviato; dia il
punto in quo consistant e per loro mezzo la D. Provvidenza più che per caso Ella possa
credere — una casetta poche stanze in affitto furono sempre il principio delle opere no-
stre — e con questo cadono tutte le difficoltà di lingua, di stato che si adducono. Si è
parlato anche della facoltà di collettare e di uno stipendio che le Suore e don Giovanni
possono mettere a parte, e questo per noi è provvidenza sufficiente. Intendiamoci dun-
que da buoni lombardi e da fratelli buoni; Ella mi prepari, se crede, e un accordo alle
Suore ed a D. Giovanni se pure crede, un programma di azione e assicureremo in Chi-
cago l’opera nostra, e di Chicago città potremo estendere allo stato e non forse ad altri
stati dell’Alta e della Bassa America come ne tengo domande varie ». Lettera di don Lui-
gi Guanella a padre Giacomo Gambera, Como, 14 novembre 1913, AG, Como, E 1258.
254
un’opera nuova. Si figuri, che le suore rassomigliano a tante contadinotte ca-
late giù dalla montagna, il prete cioè il p. Giov[anni] Colombi non è molto
meglio né molto superiore a quelle operaie vestite da monache. Io credo che
anche da questo lato abbiano fatto un’impressione poco favorevole su Mons.
Arcivescovo. Che siano gente pia, zelante ed alla buona, nessun ne dubita, ma
che abbian poi la capacità di aprire e condurre un’istituzione di carità di quel
genere in una città come Chicago di questo ne dubitiamo molto. Mons. l’ha
detto chiaro. Qui non si può andare giù alla carlona come nei dintorni di Co-
mo, qui bisogna che l’istituzione sia modernissima sotto tutti i rapporti, per-
ché una casa simile in un paese cosmopolita come questo, deve servire a tutti
e tutti, cattolici e protestanti, avranno il diritto di sorvegliarne l’andamento.
Perciò deve essere un’istituzione che onori la Chiesa. Se no è inutile metterci
mano. Per questo se ne dovrebbe incaricare la diocesi, e a questo fine Mons.
vuole che il personale sia capace e degno in tutto della sua fiducia. Invece si è
risaputo che il Guanella vuole avere lui il mestolo in mano. Ma per questo do-
vrà mandare lui i denari dall’Italia, perché qui Mons. rifiutò alle suore il per-
messo di andare a collettare in mezzo al popolo. Quindi è che in mezzo a tali
difficoltà dovrebbero essere riconoscenti al p. Gambera che li ospita invece
brontolano e credono di sacrificarsi per lui mentre è lui che si sacrifica per lo-
ro. Infatti 3 monache basterebbero per quel[l’]asilo ed invece ne mantiene 8.
P. Colombi viene pagato 35 scudi al mese ed ancora si lamenta e critica il po-
vero Gambera. Sono come tanti santocchi, ma non sono abbastanza pazienti e
colla loro impazienza fomentata dal loro fondatore riescono ad accrescere le
loro difficoltà e nulla più. Basta finisco questa lunga lettera presentandole i
miei rispettosi saluti con quelli degli altri miei confratelli 71.
Studi recentemente condotti sulla storia della fondazione guanel-
liana in America hanno dimostrato come questo germe, scaturito pro-
prio da un provvidenziale incontro romano, abbia saputo attecchire
solidamente nella cultura nordamericana e dare frutti duraturi 72.
9. Conclusione
71
Lettera di padre Pacifico Chenuil a padre Domenico Vicentini, Chicago, 13 feb-
braio 1914, Archivio generale Scalabriniano, Roma, EC 01 02 09 (segnalatami gentil-
mente da p. Giovanni Terragni, archivista generale dei Missionari di San Carlo, che qui
ringrazio).
72
Cfr. MARIA GIUSEPPINA CERRI, L’espansione missionaria guanelliana negli Stati Uniti
d’America, in Figlie di S. Maria della Provvidenza e Servi della Carità nei vent’anni succes-
sivi alla morte del Fondatore, a cura di Alejandro Dieguez, Roma, Nuove Frontiere, 2003,
pp. 321-360.
255
visite. È sempre disponibile a collaborazioni concrete, apre le sue case
(seppur con le dovute cautele) alle iniziative di altri istituti, come nel
caso del padre Sala, o si preoccupa di trovare per loro collocazioni
convenienti, come per i bétharramiti. Sono comunque rapporti che gli
permettono di essere sempre a stretto contatto con le problematiche
sociali ed ecclesiastiche più urgenti del suo tempo, affrontate attraver-
so le prospettive che vedevano all’opera le multiformi realtà della vita
religiosa, dall’assistenza all’emigrazione, dalla pastorale alla medicina.
Da queste frequentazioni, dagli appoggi ricevuti, don Guanella ri-
cava certo dei benefici, ma al contempo mette la propria persona (nel
caso di padre Gemelli) e le proprie opere al servizio di altri istituti e
della Chiesa (come i casi di padre Zambarelli e di padre Sala).
Il contatto diretto con l’esperienza di altre famiglie religiose, infi-
ne, costituì per don Guanella una chiara indicazione da seguire. Visse
egli per primo (e le sue opere con lui) quanto scrisse proprio da Roma
il 23 gennaio 1914: « I molteplici Istituti religiosi che in Roma son sta-
biliti da tutte le nazioni cattoliche [...] sono piccoli fari di luce e di ca-
lore vivificante » 73.
73
LUIGI GUANELLA, Impressioni religiose sull’alma città, in LDP, febbraio 1914, p. 21.
256
Sponda sinistra del Tevere, da via dei Pontefici al giardino dell’Istituto di Belle Arti, 1887
(Per gentile concessione dell’Archivio Storico Capitolino, n. 414, Album XX)
Il Tevere verso San Pietro visto da Palazzo Mattei in via Monte Brianzo, 1887
(Per gentile concessione dell’Archivio Storico Capitolino, n. 468, Album XXI)
Piazza e fontana di Termini, tra il 1888 e il 1901 [attuale piazza della Repubblica]
(Per gentile concessione dell’Archivio Storico Capitolino, n. 1709, Album LI)
Leone XIII
durante un concistoro
(Per gentile concessione
dell’Archivio Storico
Capitolino, n. 2488, XXV/a)
Chiesa della Madonna del Riposo all’inizio del XX secolo
J.M.J.A.
Veneratissimo Padre Disler
Io conobbi di nome il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, prima di
conoscerlo di persona. Non ne ricordo l’anno preciso, ma certamente
fu più anni prima del 1907.
Per dire come fu che lo conobbi di nome, premetto che in quel
tempo (come prima ed anche adesso), presso la Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari (ora dei Religiosi) era stabilita una Commissio-
ne di sei consultori, presieduti da un cardinale della medesima Con-
gregazione, i quali dovevano adunarsi ogni settimana per l’esame dei
nuovi istituti religiosi che si presentassero alla Santa Sede allo scopo
di riceverne il decreto, prima di lode, poi di approvazione dell’istituto,
e poi di approvazione o ad tempus, o definitiva delle Costituzioni, co-
me soleva e suole farsi ordinariamente. Io era allora uno di quei sei
consultori, e fu allora che il Servo di Dio presentò due volte all’esame
della Sacra Congregazione i suoi due istituti religiosi, quello maschile
dei Servi della Carità e quello femminile delle Figlie di Santa Maria
della Provvidenza.
Né l’una, né l’altra volta il Servo di Dio poté ottenere il decreto sia
d’approvazione, sia di lode, il che non deve fare alcuna meraviglia,
perché questo, che avvenne a lui, avveniva non di rado anche agli altri
fondatori di simili istituti, ed eccone la ragione. La Sacra Congrega-
zione sa ben distinguere tra le opere pie e gl’istituti, o religiosi o pii,
che si propongono di trattarle o dirigerle. Perché le opere pie siano lo-
257
date ed incoraggiate dalla santa Chiesa, basta che facciano il bene sen-
za mescolanza di male. Ma per gl’istituti, ossia per le società e congre-
gazioni, che devono moderare ed amministrare tali opere, questo non
basta. Esse, per essere approvate o semplicemente lodate con decreto
della Chiesa, siano maschili o femminili e specialmente se hanno i vo-
ti religiosi, devono essere ben organizzate in quanto ai soggetti, in
quanto al governo, in quanto al materiale sostentamento ed ordine
delle case, in quanto alla disciplina, e gli altri mezzi, che conducono al
conseguimento del fine proposto (sia primario, che consiste nella pro-
pria santificazione da raggiungersi specialmente coll’esatta osservanza
dei voti o semplici promesse e delle regole, che si chiamano Costitu-
zioni; sia secondario, che consiste nella trattazione delle opere pie che
l’istituto intraprende a dirigere e amministrare). Ecco perché la Sacra
Congregazione non concede mai il suo decreto ad un pio e religioso
istituto, se prima non ne abbia esaminato più volte lo stato, che essa
chiama personale, materiale, economico, disciplinare; ed allora così ve-
duto che esso dà sicurezza o almeno ben fondata speranza di consi-
stenza, perché non vuole che si dica essere andato o presto o tardi in
precipizio un istituto, a cui essa abbia apposto le mani, concedendogli
l’approvazione, o il decreto di lode.
Essendo già più anni che io facevo parte, come ho detto di sopra,
della Commissione per l’esame ed approvazione dei nuovi istituti, e
non ancora erano state compilate quelle norme che fissavano il modo
di organizzare gl’istituti che chiedevano l’approvazione della Santa Se-
de. Furono compilate allora per doppio scopo (presiedeva la Commis-
sione il cardinale Gotti): primo perché servissero a noi come di legge
interna, per privarci della libertà di mutare sistema nel fare le corre-
zioni alle Costituzioni presentate all’esame, come di tanto in tanto av-
veniva; secondo perché, stampate, si potessero dare ai Fondatori di
nuovi istituti per facilitare loro la via di presentarsi con speranza mag-
giore all’approvazione della Santa Sede. Intorno a quel tempo il Servo
di Dio aveva aperto presso la basilica di S. Pancrazio, una casa per po-
vere donne, o per senno o per età deficienti: aveva anche comprato dai
Canonici di S. Pietro gran tratto di terreno sul Monte Mario per fon-
darvi una colonia agricola.
A dirigere quella casa aveva posto buon numero delle Figlie di
S. Maria della Provvidenza, a dirigere questa colonia aveva posto qual-
cuno dei Servi della Carità. E queste fondazioni gli furono di sprone a
venire più spesso a Roma.
Fu in una di queste sue venute che egli rinnovò l’istanza presso il
congresso della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari per avere
il decreto, almeno di lode per i suoi istituti religiosi. Il Congresso di
detta Sacra Congregazione era allora formato dal cardinale Ferrata,
che ne era il prefetto, dal cardinale Giustini, che ne era il segretario, e
dal cardinale Giorgi che ne era l’uditore. Questi, dopo averlo udito col-
la loro solita urbanità, e dopo averlo encomiato ed incoraggiato per le
258
sante opere di carità da lui promosse, gli fecero comprendere che, per
ottenere il decreto desiderato per i suoi istituti religiosi, era necessario
di ordinarli secondo le norme tenute dalla Santa Sede, e per facilmen-
te riuscire a questo era espediente mettersi sotto la direzione di un uo-
mo esperto; e per questo scopo l’E.mo Ferrata con un suo biglietto lo
diresse a me. Quella fu la prima volta che io lo conobbi di persona. In
questa prima conversazione, che durò più ore, si parlò sommariamen-
te delle condizioni, in cui allora si trovavano i suoi religiosi istituti. E,
poiché io notava che essi in alcuni punti discordavano dalle norme da-
te dalla Santa Sede, o non erano a queste norme pienamente confor-
mi, egli mi rispondeva e tornava a rispondermi: « E don Bosco? e Cot-
tolengo? », volendomi così significare che tutto ciò che aveva fatto, era
quello che aveva imparato a fare presso don Bosco e presso la Casa
della Divina Provvidenza del Cottolengo. A toglierlo dall’equivoco, gli
dissi che altro sono le opere pie, altro gl’istituti religiosi che devono
dirigerle; che degne d’ogni elogio sono le opere sante suscitate da quei
due uomini di Dio, ma, per quanto mi era noto, niuno istituto religio-
so del Cottolengo era stato finallora approvato dalla Chiesa, e se que-
sta aveva già approvato le Costituzioni dell’istituto maschile di don
Bosco, l’aveva fatto dopo averle esaminate e corrette più volte, ma non
aveva ancora approvato né lodato le Costituzioni dell’istituto femmini-
le: in prova di che gli dissi che appunto in quei giorni queste Costitu-
zioni erano state da me esaminate per commissione della Sacra Con-
gregazione del Sant’Officio, la quale poi le rimise alla Sacra Congrega-
zione dei Vescovi e Regolari, affinché le correggesse secondo le norme
e le imponesse all’osservanza delle suore. Così fu fatto, senza che si
parlasse per allora di approvazione e di lode. Io era presente.
Allora l’equivoco del Servo di Dio cadde, e da quel giorno fino alla
sua preziosa morte, per ciò che riguardava l’organizzazione de’ suoi
religiosi istituti, egli nulla fece, se non per qualche involontaria distra-
zione, senza il mio parere, senza il mio consiglio. Tutte le volte che ve-
niva a Roma, non lasciava mai di venire da me: anzi il più delle volte,
arrivato a Roma, dalla stazione ferroviaria veniva colla valigia in ma-
no per dirmi qualche cosa più urgente e che, prima di ripartire, sareb-
be ritornato a discorrere a maggior agio. I nostri discorsi erano più o
meno lunghi a seconda del negozio che si trattava. Se io, seguendo
l’indole, talvolta era diffuso, egli sempre prudente, parco, ponderato;
se la foga del mio dire mi portava a qualche gesto smodato, a qualche
parola d’impazienza, a qualsiasi moto primo, egli sempre, nel venire,
nell’andare, nel conversare, in qualunque azione, in qualunque tratto,
umile, dimesso, paziente, mite, inalterabile, riconoscente, grato, esem-
plare tanto, che nei tanti anni che l’ho trattato, e sì frequentemente,
non potrei dire di aver notato in lui una menda da correggersi, un neo
che adombrasse il bel corredo delle sue virtù. Era un santo! Donde ap-
parisce che ciò che ho detto e andrò dicendo, tutto è di scienza pro-
pria. Se qualche volta dovessi alludere a cose udite o lette, ne farò spe-
259
ciale menzione. Mi limiterò a parlare delle cose riguardanti la regolare
formazione dei due religiosi istituti, che fu la materia del nostro trat-
tare e conversare, nonché di qualche altro affare, che l’amicizia sorta
fra noi ci rese comune. Delle altre azioni del Servo di Dio, che meglio
provano le sue virtù, diranno altri, che gli furono più lungamente vici-
ni e famigliari.
Per mostrare con quanta docilità e diligenza egli si volse ad ordi-
nare i suoi religiosi istituti secondo le norme dettate dalla Sacra Con-
gregazione dei Vescovi e Regolari, fa d’uopo parlare dei fatti più note-
voli da lui compiti e diretti a questo scopo.
Nella prima nostra conversazione che avvenne, se ben ricordo, nel
principio dell’anno 1907, fu stabilito che egli mettesse mano a correg-
gere le Costituzioni dell’uno e dell’altro istituto, che già esistevano, per
conformarle pienamente alle norme date dalla Sacra Congregazione, le
quali erano state già stampate, e per facilitargli il lavoro gli consigliai
di andare a comprarne una copia. Lo fece, e in data del 6 aprile 1907
mi scrisse da Milano: «Ora che sono terminati i lavori pasquali, mi per-
metto accompagnarle, come intelligenza, copia delle Regole delle Figlie
di Santa Maria della Provvidenza, e copia della Regola dei Servi della
Carità. A V. Paternità porgo preghiera istante, perché nello zelo suo vo-
glia apporre quelle postille che a dette Regole crederà del caso, onde
sieno approvate. Ella farà pure cosa grata allo Eminentissimo Sig.r
Cardinale Ferrata. Le due istituzioni porgono speciali preghiere al Si-
gnore perché largamente compensi la carità che è per farne».
Le Costituzioni erano ben fatte e non avevano bisogno delle mie
postille. Solamente mi sembrò troppo esteso il fine secondario dei due
istituti, cioè le opere pie che essi dovevano trattare o dirigere. Laonde,
rendendolo di ciò consapevole, gli suggerii di sopprimere la cura dei
poveri vecchi, tanto più che questo avrebbe condotto alla più netta se-
parazione dell’istituto maschile dal femminile. Egli, con lettera dello
stesso anno in agosto, me ne ringraziò, assicurandomi per parte sua e
di amendue gl’istituti della piena disposizione ad « ottemperare in tut-
to (sono sue parole) e più perfettamente che si possa a quanto si è di-
scorso e promesso ». Però in quanto alla soppressione della cura dei
poveri vecchi, affinché si veda come sapesse unire la prudenza alla do-
cilità e venerazione ai voleri della Santa Sede, e come sapesse tutelare
i diritti della carità verso i bisognosi (rifiuto della società o diseredati
della fortuna), voglio qui riportare tutto il brano della sua lettera: « I
vescovi vedrebbero mal volentieri che i Servi della Carità rassegnasse-
ro la cura dei vecchi bisognosi, e le Suore parimenti la cura dei mede-
simi vecchi; e come ai Vescovi R.mi così a noi ne sembrerebbe di po-
ter continuare assegnando locali affatto distinti e separati dai Servi
della Carità e questi servendo più che nella cura corporale, nella spiri-
tuale, non altrimenti praticando le suore in generale nell’Alta Italia e
nella Svizzera. In questo non credo dissenziente la stessa P.V. e allora
ci potremmo più facilmente accordare sull’indirizzo delle opere dei
260
due istituti ». Senza più insistere, lasciai le Costituzioni come erano,
rimettendone il giudizio alla suddetta Commissione, che le avrebbe
esaminate: e neppure in questo esame fu nulla mutato.
Si è fatto cenno della separazione tra i due istituti, e questo mi ri-
chiama alla memoria la raccomandazione che io gli feci su questo
punto. Mi rispose che la separazione già vi era, ma che l’avrebbe fatta
più recisa, come io gl’indicava. Raccolsi più tardi da una sua parola
che, per farla, aveva speso circa centomila lire, ed affinché si veda con
quanta fedeltà e prontezza, e con quanto spirito di sacrificio mise ma-
no all’opera e la compì, ricorderò qui alcuni fatti.
Incontrai un giorno un religioso il quale, sapendo della parte che
mi era stata affidata per condurre i due istituiti all’approvazione, mi
avvisò che nella casa di S. Pancrazio, dove erano le suore, si ricovera-
vano, non solo il Fondatore, ma anche or l’uno or l’altro dei Servi del-
la Carità che venivano a Roma, e che egli stesso aveva veduto di uno
di questi un’azione, che per se stessa non era un male, ma dava molto
a sospettare. Non era vero: e pensai dopo che tanto zelo provenisse da
altri motivi. Nondimeno ne resi consapevole il Servo di Dio, il quale in
data 13 agosto 1908 da Como mi scrisse: « Quanto a S. Pancrazio se
ne stia sicuro; il sacerdote sarà qui in settimana; ma non tema e tanto
meno creda per quei nostri di Monte Mario. Noi ci sacrifichiamo e
troppo spesso si ha in compenso malum pro bono. Ad ogni modo la
ringrazio ». Nella prossima sua venuta a Roma, a sua richiesta, gli
consigliai di tenere sempre chiusa la porta dell’ospizio dei padri che
metteva alla casa delle suore e conservarne seco la chiave, e che di più
per accedervi senza passare tra le suore vi facesse una scala esterna.
Dopo pochi giorni ebbi occasione di andare a S. Pancrazio e vi trovai
il muratore che aveva compita la scala, ed io stesso scesi per essa nel
tornarmene a casa. La separazione più netta era compita.
Quando era quasi compita la chiesa di S. Giuseppe a Porta Trion-
fale, volle che io andassi là per vedere se fosse perfetta la separazione
delle due case che dovevano sorgere ai lati della chiesa, una per i Ser-
vi della Carità, l’altra per le Figlie di S. Maria della Provvidenza. A mio
parere era perfetta, come oggi ognuno può constatarlo.
Che dirò poi del tanto suo insistere presso di me, perché io andas-
si in persona ad osservare le sue opere, e come egli le regolava? Il
giorno 23 agosto [1907] mi scriveva da Promontogno: «Io sono in visi-
ta alle case di Svizzera dove mi ristoro un poco anche nella salute. Ie-
ri ho potuto fare 25 Km. a piedi. Oh! se la P.V. potesse passare qual-
che settimana fra di noi! ». Da Roma il giorno 11 febbraio 1908: « Con
queste belle giornate non si sentirebbe di visitare meco Monte
Mario? ». Ed anche in Roma, ai 18 di aprile 1910, dal Ritiro dei RR.
PP. Passionisti, dove si era raccolto per i soliti annuali suoi esercizi
spirituali: « Sento viva riconoscenza per il favore fattone in visitare le
minime opere nostre di S. Giuseppe e di Monte Mario. Venga anche
a San Pancrazio col suo venerando Confratello (era il Servo di Dio
261
P. Antonio Losito, morto in gran fama di santità). Farà gran piacere a
quella piccola Comunità. Venerdì scorso il Sig.r Prefetto e la figlia del
Sig.r Giolitti visitarono l’Ospizio Pio X e ne promisero ampio appog-
gio ». Ai 23 maggio 1912 da Milano: « La P.V. nella prossima estate ci
farebbe lieti di sua presenza per qualche soggiorno nelle case no-
stre? ». E poi in un’altra lettera del 20 giugno seguente: « Io non smet-
to la fiducia che V.P. con tanto frutto ci possa visitare a Milano ed a
Como ». Potrei aggiungere tante altre preghiere che al medesimo sco-
po mi fece a voce. Ma perché tanto insistere perché io visitassi le case
de’ suoi istituti e le opere pie che vi si esercitavano? Non si può parla-
re di ostentazione, perché non parlava mai di sé, né del bene che face-
va se non per necessità, o per desiderio di maggior bene. Sarà pure
stato per mostrarmi l’incessante sua gratitudine che io non meritava,
ma la ragione primaria era per avere una parola di assicurazione che
le cose, e specialmente la più netta separazione, come egli le andava
regolando, fossero conformi alle norme e non portassero difficoltà
nell’approvazione che ardentemente desiderava.
Ho detto che la desiderava ardentemente, perché tanta era la sua
fede che a questa approvazione annetteva tutte le benedizioni del cielo
sopra i suoi istituti. Però soggiungo che tanto era disposto a fare sem-
pre la divina volontà, che né la negata approvazione, né altro l’avrebbe
smosso dalla sua pazienza, dalla sua rassegnazione. In prova di che,
narro questo fatto. Per un certo equivoco o malinteso degli officiali
della segreteria della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari mi
fu riferito che non erano in regola alcuni documenti da lui spediti. Per
questo gli scrissi una lettera che, per mio difetto, era alquanto risenti-
ta, e soggiunsi che, facendo così, s’arruffava sempre più la matassa,
rendendo vana la speranza dell’approvazione. Da Como con lettera del
5 dicembre 1907 mi rispose: « In quanto alla matassa delle nostre ope-
re penso: 1º. quanto a me di non aver fatta cosa meno che retta
nell’intenzione e non punto difforme dai consigli avuti personalmente
dalla P.V.; 2º. la risposta poi del 21 agosto io l’ho interpretata nel sen-
so che non allora e tosto tosto, ma nei mesi seguenti si sarebbe tratta-
ta la causa dei due istituti; 3º. imagino che tal consiglio di quella lette-
ra sia venuto dall’E.mo Sig.r Card. Ferrata il quale nella trattazione
non voleva escludere Mons. Giorgi che primo vi appose le mani. Con
questo si chiariscono gl’incidenti in contrario e, come le esposi già, se
il Signore le regole le vuole approvate ancora da Roma tanto meglio, e se
meno od ancor si debba differire, continueremo come già fin qui, e spe-
riamo che Iddio buono ci continui benedire... ». Così scrivono i santi!
Quella diligenza ed accuratezza che don Luigi Guanella aveva usa-
ta per compilare le Costituzioni e separare i due istituiti secondo la
mente della Santa Sede, l’usò egualmente per fornire gli altri elementi
che la Sacra Congregazione richiede prima di procedere all’esame.
Mandò o curò che mandassero la storia compendiata dei due isti-
tuti; lo stato di essi materiale, personale, economico e disciplinare; le
262
testimoniali commendatizie dei vescovi; la supplica regolarmente sot-
toscritta. Così era compito il fascio d’atti che si chiama posizione, da
rimettersi alla segreteria della Sacra Congregazione, che l’avrebbe poi
mandata ad un consultore per averne il suo voto. Io non poteva esibir-
mi a fare questo voto, perché la decenza e la consuetudine portava che
lo facesse un consultore il quale non fosse membro della commissione
di esame. Ma dopo qualche giorno ebbi questa lettera del Servo di
Dio, che allora si trovava a Roma: « Ho conferito stamane coll’E.mo
Cardinale Ferrata e casualmente con Mons. Giorgi e con Monsignore
che occupa il posto lasciato da Mons. Giorgi (Mons. La Puma) insi-
stentemente ho parlato delle Regole nostre e tutti furono concordi a
che Ella, Padre Rev.mo, facesse da relatore e da competente in argo-
mento e mostrarono così il miglior volere possibile. Se fa uopo parlerò
anche a Mons. Bressan... ».
Non vi era uopo: feci il voto, lo chiusi, opinando che all’istituto
femminile, il quale non lasciava a desiderare, si potesse concedere il
decreto anche di approvazione ad tempus, ma che per l’istituto ma-
schile si dovesse ancora aspettare, perché ancora troppo giovane, scar-
so di soggetti, senza voti che pure erano in progetto, bisognoso di un
governo e noviziato più regolare. Ne fu riferito alla commissione, che
accolse la mia opinione, ma nel congresso fu deciso di sospendere il
decreto anche per l’istituto femminile... Perché?... In quel tempo av-
venne lo scandalo della Fumagalli di Milano: se ne impossessarono i
giornali antireligiosi, che la proclamarono fondatrice riconosciuta
dall’autorità ecclesiastica (quando invece per ordine del Vicariato era
stata espulsa anche da Roma), e così se ne menò scalpore per tutta
l’Italia. Questo fatto determinò il prelodato congresso ad andare più
lento nell’approvare gl’istituti di donne. Tal rigore poi cessò, e resone
avvertito dal Servo di Dio, andammo insieme al cardinale Ferrata. Do-
po pochi giorni egli, ai 20 ottobre 1908, mi scriveva da Como: « Or ora
abbiamo ricevuto il decreto pontificio di approvazione ad septennium
dell’istituto di Santa Maria della Provvidenza. Di questo insigne bene-
ficio porgiamo tutti vive azioni di grazie a Dio, e parimenti ringrazia-
mo ecc... ».
Se tanto lo consolò l’approvazione dell’istituto femminile, non per
questo decadde di animo per la differita approvazione del maschile.
Ne riconobbe le ragioni e si rassegnò, come era suo costume, alla vo-
lontà di Dio. E tanto più si rassegnò, perché dalla sua parte aveva fat-
to quanto poteva, come provano i fatti seguenti. Aveva udito da me
che l’istituto non avrebbe ottenuto l’approvazione, se prima non fosse
aumentato il numero dei soggetti, non si fosse regolarmente stabilita
una casa di noviziato, non si fossero emessi i voti e scelti i consiglieri
pel governo generale dell’istituto e non si fosse meglio ottenuta la se-
parazione, di cui si è già parlato. In quanto all’aumento dei soggetti
ed al noviziato non era cosa da ottenersi in pochi mesi o in qualche
anno: mancavano le vocazioni; ma in quanto alle altre cose il giorno
263
30 marzo 1908 mi scrisse da Milano: «Le do buona nuova che, confor-
me sue istruzioni e desiderio della Sacra Congregazione, sabato scorso
28 corrente, premessi voti perpetui da circa venti sacerdoti e taluni
triennali, si è formato il primo Consiglio o Capitolo superiore, e tutto
riuscì con edificazione come le dirò più particolarmente all’atto di tra-
smetterle copia degli atti come intelligenza. Dirò allora di altre spese
fatte per continuare sempre più netta la separazione dei due istituti ».
E poi, venuto a Roma, il giorno di S. Filippo, nello stesso anno, dalla
casa di S. Pancrazio mi scrisse: « Fanno oggi 42 anni dalla mia sacra
ordinazione e pregola benedire a me ed a queste opere nostre nelle
quali confido siavi lo spirito del Signore, e che però, quando Dio nella
sua misericordia vorrà, spero che i due istituti raggiungeranno la pro-
pria meta. Godo ripeterle per la pura verità, e per dovere di carità che
non solo l’istituto femminile ma bensì anco il maschile, benché infe-
riore di età e di sviluppo, molto mi danno di conforto e di speranza ».
Ma tutto questo non bastava per approvarlo: ed egli, rassegnato, volse
le sue cure zelanti per migliorarlo.
Non abbandonò però le sue cure per l’istituto femminile già ap-
provato. Pensò che gli sarebbe riuscito utile un cardinale protettore:
lo chiese, e subito lo ottenne. « Giorni fa (così mi scriveva da Como ai
18 giugno 1909) ho umiliata domanda a Sua Santità per avere un car-
dinale protettore in favore delle Figlie di S. Maria della Provvidenza, e
l’ottenni bentosto come a rescritto di cui le accompagno copia. Di que-
sto augusto favore noi ne siamo altamente compresi e ne scriveremo
tanto al S. Padre, quanto all’E.mo Sig.r Cardinale il quale scrivendo
espone che sarà pure di fatto protettore dei Servi della Carità. Noi ne
profitteremo rispettosamente... ».
Ne profittò in primo luogo per ottenere da lui ciò che ardente-
mente desiderava e non aveva potuto ottenere da altri, che cioè qual-
cuno dei cooperatori dell’approvazione dei suoi istituti andassero sul
luogo (a Como, a Milano, altrove) per vedere se le cose da lui regolate
fossero secondo la mente della Santa Sede. Infatti, non trascorse mol-
to tempo ed ebbi una sua lettera, scrittami da Como ai 19 settembre
1909, la quale diceva: « Le do buona nuova che l’E.mo Card. Ferrata
ha visitate le nostre case di Milano, di Saronno, di Como, e che ne ad-
dimostrò compiacenza e soddisfazione. A Como dimorò nella Casa
Madre di Santa Maria dal lunedì al sabato, ieri, finché partì alla volta
di Bergamo. Ci ha lasciati esempi ed ammaestramenti salutari che
cercheremo di ben adempiere... ».
E qui, se si ricercasse la ragione di tanta benevolenza del cardina-
le Ferrata, allora Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Re-
golari, e dei suoi alti ufficiali, si troverebbe principalmente nella gran-
de stima che ne faceva. Quel vederlo, nel trattare con lui, sempre umi-
le ed ossequioso, sempre animato da retta intenzione, sempre ansioso
di promuovere la gloria di Dio e la salute spirituale e temporale del
prossimo, specie se bisognoso, e sempre riconoscente ed incessante-
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mente grato per qualunque beneficio, per qualunque favore, l’avevano
persuaso che egli trattava con un santo.
Arrogi, che non era solo il cardinale Ferrata che avesse di lui sì
bella opinione, ma erano altri cardinali che ebbero occasione di cono-
scerlo, era lo stesso sommo pontefice Pio X. Questi, quando era libero,
l’ammetteva all’udienza a qualunque ora, gli accordava le grazie che
poteva senza uscire dalla normalità, avvisava i suoi famigliari di acco-
glierlo benignamente; amava di conversare con lui e talvolta, per solle-
varsi e per sollevarlo graziosamente, degnavasi perfino scendere a
qualche lepidezza. Perché? Perché era persuaso, come si raccolse dalle
sue parole ripetute più volte, che don Luigi Guanella era un uomo di
Dio, faceva molto bene e sempre con retta intenzione e con fervore.
Mi ricordo che quando il Servo di Dio mi contava queste cose,
non per vanto, di che non dava mai il minimo segno, ma per tenermi
al corrente di ciò che poteva giovare ai suoi istituti, dall’aspetto, dalla
voce, da ogni mossa mostrava di avere l’animo compreso di confusio-
ne, di gratitudine e di profonda venerazione per tanta bontà del Santo
Padre, che egli riteneva un santo. E neppure in questo andava lontano
dal vero.
Procedevano le cose di questo tenore placido e normale, quando
un giorno ad ora tarda venne a me mons. Bianchi, chierico segreto di
Sua Santità per dirmi che il Servo di Dio gli aveva scritto di venire su-
bito a darmi avviso che la Congregazione aveva imposto al suo istituto
maschile un visitatore apostolico. Caddi, come suol dirsi, dalle nuvole!
Ma dissi a mons. Bianchi di rispondergli che stesse tranquillo, perché
il visitatore apostolico avrebbe potuto giovargli, non mai nuocergli.
Qualche giorno dopo, a rendermi ragione della cosa che mi sembrava
incredibile, andai alla segreteria della Sacra Congregazione, che allora
aveva già preso il nome di Sacra Congregazione dei Religiosi, ed ivi da
un monsignore, che era membro del Congresso settimanale e che ave-
va preso parte nella decisione dell’affare, seppi quanto segue: un sog-
getto dello stesso istituto aveva mandato un ricorso, che io non curai
di vedere, ma dove probabilissimamente sarà stata esposta la mancan-
za d’un regolare noviziato a quella di una più esatta disciplina. Il car-
dinale prefetto che era, non più l’E.mo Ferrata, ma l’E.mo Vives, im-
pressionato da questo ricorso opinò che a porre rimedio si dovesse
mandare un visitatore apostolico. Gli altri membri del congresso, tutti
nuovi per l’avvenuta mutazione dei dicasteri pontifici, nulla sapevano
del detto istituto, e perciò non si opposero alla sentenza del cardinale.
Questi nella prima udienza la propose al papa, il quale (come disse il
cardinale) a prima giunta ne restò turbato, ma poi soggiunse: « Sì, va-
da pure un visitatore, ma scrivete al cardinale arcivescovo di Milano
che lo scelga lui, e sia una persona prudente e benigna». L’arcivescovo
di Milano scelse l’arciprete di quel duomo, mons. Balconi.
Ora, se mi si domandasse perché tale ricorso fu fatto, non da un
estraneo, ma da un soggetto dello stesso istituto, risponderei: qualche
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soggetto di tal fatta si trova sempre in ogni istituto: non poteva man-
care in quello di don Luigi Guanella, il quale per la estensione delle
sue opere pie si trovava nella necessità di seguire anche in questo la
via tenuta dal venerabile don Bosco, che non aveva difficoltà di acco-
gliere anche quelli che fossero usciti da altri istituti, salvo la libertà di
mandarli via qualora non si portassero bene. Se inoltre mi si doman-
dasse perché fu così corrivo il cardinale Vives a mandare un visitatore,
risponderei: perché non conosceva ancora, come aveva conosciuto il
cardinale Ferrata, chi fosse don Luigi Guanella, che cose avesse fatte e
come le andasse facendo. Eppoi è cosa nota, che il povero cardinale
Vives, o per troppo lavoro mentale, come dissero alcuni, o per malat-
tia ereditaria, come dissero altri, fu colpito di demenza, di cui fin da
allora dava segni e dopo qualche tempo morì.
Al contrario si potrebbe domandare: perché Pio X si turbò alla
proposta di mandare un visitatore al Guanella? Perché lo conosceva,
conosceva le sue grandi opere e come le andava regolando. Che se poi
consentì che il visitatore fosse mandato per mostrare di non fare privi-
legi, volle che questi fosse prudente e benigno per non mettere tra le
angustie quello che aveva conosciuto retto nell’intenzione e santo
nell’azione. Si potrebbe puranco domandare: perché il pensiero di
mandare il visitatore non passò mai nella mente del cardinale Ferrata,
neppure allora che l’istituto si trovava in maggiore bisogno? Perché
questi conosceva bene come procedevano le cose, che il cardinale Vi-
ves non conosceva affatto per essere recente nel suo nuovo ufficio.
Intanto il Servo di Dio, rassicurato della risposta di mons. Bian-
chi, restò tranquillo sotto la guida del visitatore apostolico che, dopo
alquanti giorni, accompagnò a Roma e venne a presentarlo, e dopo
averlo presentato egli, con quella delicatezza, che gli era propria, uscì
fuori dalla stanza del mio ufficio per lasciarci a discorrere con mag-
giore libertà. Questo discorso si può compendiare così. Nell’istituto
fondato e diretto da don Luigi Guanella, non vi è bisogno d’inquirere,
correggere ed emendare, ma solamente di aiutare. Lo aiuto deve esse-
re rivolto all’erezione, per quanto si può, sollecita di un noviziato nor-
male, alla formazione del governo generale più valido dell’istituto, alla
cura di promuovere maggior numero di buone vocazioni, dalle quali
cose dipende la più esatta disciplina; e per quanto è possibile (per non
resistere all’impulso divino) a frenare, almeno per qualche tempo,
quella facile propensione (che pur fu data dal cielo) ad abbracciare
nuove opere di soccorso, il che richiederebbe gran numero di soggetti
che l’istituto ancora non ha. Che le cose fossero subito incamminate
in questo senso, lo dedussi da questa lettera che il Servo di Dio mi
scrisse ai 23 maggio 1912 da Milano: « Le do lieta nuova che ieri, assi-
stendo il Visitatore Apostolico mons. Balconi, con brevità e con rego-
larità pari, si venne alla elezione del Consiglio superiore dei Servi del-
la Carità nella persona dello scrivente e dei sacerdoti: I. Aurelio Bac-
ciarini; II. Silvio Vannoni; III. Alippi Salvatore; IV. Leonardo Mazzuc-
266
chi, che pur sarebbero anche di mia perfetta soddisfazione, come degli
altri. Speriamo in Domino anche per un passo più vicino per l’appro-
vazione dell’istituto ».
Questa speranza di fare sempre meglio un passo innanzi per avvi-
cinarsi all’approvazione era stimolata anche da una certa vessazione
che egli allora sopportava, e la vessazione era questa: non avendo an-
cora un noviziato e uno studentato regolare, faceva educare ed istruire
i giovani in una certa diocesi, dal cui vescovo essi poi venivano ordi-
nati. Questo vescovo poi pretendeva di potere disporre di questi giova-
ni da lui ordinati in favore della sua diocesi, sottraendoli così allo isti-
tuto che ne aveva grande bisogno. Falsa pretenzione; perché, se egli
aveva il diritto di ordinarli o di dare le dimissorie perché fossero ordi-
nati in altra diocesi, non aveva il diritto di chiamarli a sé per servizio
della sua diocesi; se conservava la sua giurisdizione su la casa esisten-
te nella sua diocesi, questa giurisdizione non si poteva estendere fino
al punto di estrarne i soggetti per assoggettarli a sé. Che ne sarebbe
degli istituti sorgenti, se i vescovi avessero questo diritto? Quale giusti-
zia vi sarebbe, se i vescovi si potessero impossessare di soggetti educa-
ti ed istruiti a spese degli istituti?
Mosso da questa pretenzione, che non respinta avrebbe posto
l’istituto nell’impossibilità di aumentare i soggetti, il che allora tanto si
desiderava, il Servo di Dio in tre lettere scrittemi da Como mi accen-
nava un rimedio da porsi. In quella del 5 dicembre 1907 diceva: « Oc-
correrebbe un privilegio per le sacre ordinazioni ed a questo provve-
derà come sopra la bontà del Signore, insieme con la bontà del S. Pa-
dre e con quella che certamente continuerà a prestare Lei Padre Reve-
rendissimo ». Nell’altra del 18 giugno 1909: « Noi ne profitteremo (del
cardinal protettore) rispettosamente anche per un privilegio che vor-
remmo supplicare dal Santo Padre, per ordinare nostri sacerdoti e per
confermarci gli ordinati dacché il vescovo attuale consacrante di N.N.
minaccia sottrarci altri soggetti importanti a noi necessari ». Nella ter-
za del giorno 20 dello stesso mese, dopo avermi dato notizia che il
cardinale protettore dell’istituto femminile aveva confermato di farsi
pure protettore di fatto dei Servi della Carità, soggiungeva: « E qui tor-
na il buono. Come il Vescovo di N. minaccia sottrarmi un diacono che
ordinerebbe sacerdote a fine luglio, soggetto che a noi interessa massi-
mamente, così sono in forse se mi convenga fare un viaggio a Roma
tantosto ed ottenere dal S. Padre: 1º. il privilegio di esenzione dall’or-
dinario di N. di almeno 14 fra i 17 sacerdoti colà ordinati: 2º. e sovrat-
tutto di ottenere l’esecuzione dalla giurisdizione suddetta per un certo
numero di altri candidati ad ordinare e per un limitato periodo di an-
ni finché l’istituto sia rinfrancato. Che ne pensa la Paternità Vostra
R.ma? Sarà una vera carità un suo consiglio e appoggio in argomento.
Devo venire di presenza o si può supplire scrivendo? ».
Era più conveniente trattare la questione a voce, e la trattammo
nella prossima sua venuta. Allora fu detto: 1º. non essere cosa facile
267
ottenere l’esenzione dal vescovo locale in quanto all’ordinazione, per-
ché era lo stesso che ottenere il privilegio di dare le lettere dimissoria-
li per qualunque vescovo, che la Santa Sede non concede, se non ad
istituti già esenti o almeno approvati; 2º. non essere necessario un tale
privilegio per frenare l’ingiusta pretenzione di quel vescovo, ma basta-
re ricorrere alla Santa Sede; 3º. non essere neppure necessario ricorre-
re per mezzo della Sacra Congregazione, il che avrebbe urtato quel ve-
scovo, cui si stava soggetto, ma bastare a lui, che libero accesso aveva
al Vaticano, dire una parola al papa. Così fece, e il papa rispose che
avrebbe fatto scrivere a quel vescovo. In tal modo finì quella vessazio-
ne. Ma si sarebbe potuta rinnovare o in quella o nelle altre diocesi.
Come provvedere? « Dio provvederà » egli diceva, e Dio provvide, e
provvide in modo straordinario! Però prima di passare oltre, non vo-
glio omettere un fatto che meglio rivela qual era l’animo di questo uo-
mo di Dio. Nel tempo di questa controversia avvenne che quel vescovo
fosse sacrilegamente oltraggiato, ed in modo molto villano e selvaggio.
Inorridito a tanto misfatto venne a raccontarmene la causa e l’autore
principale, magnificando in paritempo la dottrina, lo zelo e le altre
belle qualità dell’oltraggiato. Era addoloratissimo!
Ho detto che Dio provvide in modo straordinario; o per meglio
intenderlo, è mestieri ricordare che l’istituto allora stava in via di più
normale formazione: aveva un visitatore apostolico che l’aiutava a
raggiungerla, ma tale formazione non era affatto raggiunta; cosicché
era vana speranza quella di ottenere un decreto non dico di approva-
zione ma anche di lode, il quale ha la forza d’innalzare l’istituto che
prima si trovava nella condizione di diritto diocesano, a quella di di-
ritto pontificio; il che importa che i vescovi non possano più nulla ag-
giungervi, nulla togliervi, nulla mutarvi, perché tutto questo appartie-
ne alla Santa Sede. Nondimeno ciò che ho detto essere vana speran-
za, Dio per consolare il Servo suo fedele fece, eziandio con mia mera-
viglia, che diventasse una realtà. Infatti il giorno 20 giugno 1912 egli,
che si trovava in Roma, mi scrisse: « Il sig. card. Ferrata e il sig. card.
Vives pure pare che presto ci diano approvata la Congregazione dei
Servi nostri ». E da Como il giorno 1 agosto: « Domani in voto ed au-
gurio e ringraziamento per l’approvazione dell’istituto come si spera
dal collegio dei cardinali in congresso plenario, mi porto al Congresso
Mariano di Treviri ». Finalmente ai 23 dello stesso mese da Pianello
Lario: « Godo riferirle che di questi giorni giunse per bontà del con-
gresso cardinalizio e del S. Padre il Decretum laudis del nostro povero
istituto, salva la dipendenza del visitatore apostolico per istituire novi-
ziato e vita religiosa più regolare. Deo gratias! ». Dio aveva provveduto
in modo straordinario.
Tutte queste sono le cose, almeno le primarie, che riguardano la
formazione e l’approvazione dei due istituti, e che dimostrano come il
Servo di Dio procedesse in questa faccenda con zelo e con prudenza,
sempre e docilmente per quella via che gli veniva indicata, allo scopo
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di uniformarsi pienamente ai voleri e desideri della Santa Sede. Se-
nonché io ho avvertito fin dal principio che egli trattò con me puranco
di qualche altro affare. Dirò di questo brevemente.
Sul principio della nostra conoscenza personale egli mi mandò da
Como una copia della vita stampata della sua sorella Caterina morta
varii anni prima in odore di santità. La lessi, mi piacque, lo ringraziai
ed aggiunsi: « Che bel modello sarebbe questo per le giovani dei nostri
tempi! ». Queste parole lo fecero riflettere, e, nella prossima sua venu-
ta a Roma, mi domandò se mai credessi di probabile riuscita l’intra-
prenderne la causa di beatificazione. Risposi di sì. Ne parlò poi col
cardinale Ferrata, che l’incoraggiò ad intraprenderla. Ne parlò ezian-
dio col sommo pontefice Pio X, il quale gli disse: « Provateci ». E vera-
mente non avrebbe potuto dirgli altrimenti se non un ignorante, il
quale, dopo averne narrate le virtù che costituiscono la santità, esce
fuori a dire di averne avuta opinione di donna virtuosa, ma non di
donna santa; oppure un eccentrico, che, vanamente gonfio della sua
erudizione, viene a sentenziare « Qui non vi è santità », perché ignora
che puranco nei santi si può trovare qualche neo che a sentimento dei
saggi non offusca la loro santità.
Intanto il Servo di Dio fece presso la curia vescovile di Como la
domanda del processo informativo, e non è a dire con quanto zelo
curò che fosse costruito regolarmente e portato a fine senza molto ri-
tardo. Me ne informava spesso con le sue lettere, dicendomi che si
diffondevano le immagini ed esemplari della vita della Serva di Dio,
che si costituiva il tribunale, si esaminavano i testimoni, che le cose
procedevano regolarmente, che il processo era finito e se ne portava il
transunto a Roma.
Nel tempo che si costruiva questo processo, chiese un giudizio
sulla causa, che intendeva intraprendere, della Serva di Dio Chiara
Bosatta, una delle prime suore e sorelle della confondatrice dell’istitu-
to femminile, ed a questo scopo fece esaminare la vita e gli scritti di
lei. Della santità di questa egli aveva un concetto anche più alto, per-
ché per molti anni egli stesso l’aveva diretta nello spirito. L’esame del-
la vita e degli scritti portò che il giudizio fosse conforme a questo suo
concetto. Nella costruzione del processo, che poi fu aperto, egli usò le
stesse premure, come si è detto del primo.
Avrebbe desiderato di fare lo stesso per un giovanotto allievo del
suo istituto, di nome Alessandrino Mazzucchi, di cui già esistevano le
immagini e cenni della breve vita stampata. Un angelo di purità e di
pietà; ma per una età così tenera la prudenza consigliava di non ci-
mentarsi in una causa, se prima Dio non avesse dato un segno che la
vuole.
Maggiore fu poi la sua premura per riuscire a fare introdurre una
causa antica, desiderata dalla Lombardia, quella cioè del Servo di Dio
arciprete Nicolo Rusca, che fu ucciso dagli eretici nei primi tempi del-
la pseudoriforma. Me ne parlò prima a voce, e poi il 22 dicembre 1909
269
mi scrisse da Milano: « In augurio delle Sante Feste le do fausta noti-
zia che ... la curia di Como gareggia con quella di Lugano per avere il
primato nella trattazione della causa del Servo di Dio Nicolò Rusca ».
E poi ai 10 gennaio 1910 da Como: « Le vie si spianano tanto bene an-
che per la causa del Servo di Dio Nicolò Rusca del quale mi permetto
accompagnarle talune copie della vita ». Ma non bastando leggere la
vita per dare un giudizio, gli fu detto essere necessario trovare docu-
menti che dessero punti d’appoggio per provare il martirio. Allora, ri-
tornato a Milano, trovò subito persona abile che si occupasse di que-
sto, di modo che il giorno 22 dello stesso mese poté scrivermi: « Le co-
munico che riguardo al Servo di Dio Rusca le cose si preparano ma-
gnificamente ». Dietro questa assicurazione l’avvocato poté metter ma-
no a compilare gli articoli per potere poi a tempo opportuno aprire il
processo. Egli lo seppe, scrisse: « Odo che il Sig. Avvocato nipote pre-
sto avrà pronti gli articoli del Servo di Dio Rusca e ne sono ben lieto».
Ma intanto i necessari documenti non si vedevano. Egli sollecitava chi
aveva promesso di trovarli, e ne ebbe assicurazione che gli studi erano
incominciati. Laonde al 1º di marzo 1910 scrisse da Como: « Si sono
incominciati gli studi per appurare la causa del Servo di Dio arc. Ru-
sca per vedere come convenga aprire il processo ». Il Servo di Dio, do-
po tanto insistere, morì, e questi studi non erano compiti.
Ora sarebbe tempo di scendere a discorrere delle singole virtù del
Servo di Dio eroicamente esercitate. Ma l’ho già avvertito che mi sarei
limitato alle cose a me note di scienza propria. Faranno dunque gli al-
tri la storia della sua vita, del modo come visse e delle grandi cose che
operò per santificare se stesso e per santificare gli altri. Quantunque le
abbia udite narrare (non da lui che non parlava mai di sé) e le abbia
lette, pure dirò solamente di quelle che ei fece trattando con me.
Primamente egli viveva di FEDE. Se parlava, se operava, tutto era
animato dalla santa fede. Le sue intraprese, i suoi viaggi, le sue priva-
zioni, i suoi sacrifici e la sua inalterabile pazienza sempre prendevano
le mosse e sempre erano accompagnate e regolate dalla sua gran fede.
Notai più volte che, se il mio discorso si svolgeva a cose mondane, egli
non lo gustava; taceva e col suo silenzio mi richiamava a parlare di
cose che fossero di gloria di Dio e di salvezza del prossimo. Oh quante
cose in particolare, che egli fece a gloria di Dio e a salute del prossi-
mo, potranno riferire gli altri che trattarono più lungamente e più da
vicino. Io non sono nel caso di farlo, perché le conosco solamente in
generale. Ma basterà ricordarne alcune, di cui volle rendermi consape-
vole prima d’intraprenderle e dopo averle intraprese.
Incominciamo dalla parrocchia di San Giuseppe a Porta Trionfa-
le. Aveva già comprato, come si è detto, il terreno su Monte Mario per
stabilirvi una colonia agricola, ed aveva aperta in S. Pancrazio una ca-
sa per povere donne deficienti che poi col consenso del papa chiamò
« Ricovero Pio X »; quando un giorno venne a dirmi che si sentiva ispi-
rato d’innalzare presso Porta Trionfale una Chiesa, dedicata a S. Giu-
270
seppe in commemorazione di Sua Santità Pio X, come s’era fatto in
S. Gioacchino per Leone XIII, e che tanto più era inclinato a far que-
sto, perché in quella regione sarebbero sorti, come si prevedeva, nuovi
quartieri popolati, e che intanto vi erano in povere capanne varie fa-
miglie operaie, che per mancanza d’assistenza religiosa si davano in
mano dell’anarchia. Come non applaudire ad un pensiero così santo e
così generoso? Dopo qualche giorno, il 30 gennaio 1908, mi scrisse da
S. Pancrazio: « Oggi si è concluso col Santo Padre che desso accetta
l’intestazione e vuole la Chiesa a Porta Cassia [i.e. ossia] Via Trionfale,
e allora ne porsi nuova al Sig. avvocato fratello e feci domanda alla
Banca del terreno che credo in breve ci sarà concesso e ne parleremo.
Intanto mi porto a Ferentino... ». E poi il giorno 11 febbraio: « Oggi
con divota funzione decorata da sacerdoti famigliari del S. Padre, ab-
biamo inaugurato l’Oratorio della Madonna di Lourdes. Ho firmato
acquisto terreno a Porta Trionfale metri quadrati 7400 a L. 10 ». Quin-
di il 30 Marzo da Milano: « In occasione dell’onomastico del S. Padre
ho pure inviato lire 18.000 e disegni della nuova Chiesa erigenda capa-
ce di almeno 3000 fedeli». Ed anche da Milano il 5 aprile: «Nel prossi-
mo Maggio godo fiducia di provvedere anche alla prima pietra di fon-
dazione della Chiesa Santuario di S. Giuseppe ». Infatti ai 24 maggio
mi scriveva da S. Pancrazio : « Sono giunto a Roma ieri. Qui a Roma
pare che prenda buon indirizzo la costruzione della Chiesa di San
Giuseppe per la quale tengo 4 disegni per tempio capace di 3000 ed
oltre fedeli, perché il S. Padre scelga a sua volta ».
Vi fu allora un qualche ritardo, perciò il 22 agosto mi scrisse:
«Son qui di corsa a sollecitare gli inizi della Chiesa di S. Giuseppe che
non tarderanno assai se anche V.P. ne raccomanda al glorioso Patriar-
ca ». Allora egli si apparecchiava per andare al Congresso eucaristico
di Londra puranco allo scopo di chiamare il concorso degli altri popo-
li per le costruzioni della chiesa di S. Giuseppe come si era fatto per
quella di S. Gioacchino. Però il 12 Settembre mi scrisse da Londra:
« Congresso splendido. Affari Chiesa pochi: ma Deus providebit... Qui
seminat in lacrimis... ». Dio provvide ma non per questa via; perché,
quantunque mi avesse scritto da Como nell’ottobre: « Il mio viaggio a
Londra finora poco ha fruttato, ma si coltiverà la seminagione fatta
con oltre 5000 circolari a stampa sparse nelle Chiese e nella sala del
Congresso »; pure alla fine del seguente ottobre mi scriveva da Milano:
« Le do nuova del famoso e finora poco utile viaggio a Londra ». Non-
dimeno nella stessa lettera soggiungeva: « Quamprimum sarò pur io
con una cinquantina di mila lire per iniziare le fondamenta della Chie-
sa di San Giuseppe della quale porterò pure a V.P. copia del disegno ».
Di fatti non passò molto tempo e furono gittate le fondamenta. Fu un
lavoro difficoltoso perché a circa un metro di profondità si trovò ac-
qua che scolava dalle rocce di Monte Mario. Superate le difficoltà
dall’egregio ingegnere (Leonori) che presiedeva, si fabbricò per vari
mesi e, dopo una sospensione pel necessario riposo della fabbrica, il
271
Servo di Dio, venuto a Roma, il primo giorno di aprile 1910 mi scris-
se: « Sono giunto ieri... Verrò... Martedì si riprendono i lavori della
Chiesa di S. Giuseppe che si spera condurla al tetto nel corrente anno.
Già sono commesse le dieci colonne del granito di Baveno che saran-
no speciale ornamento del tempio ». Al mese di febbraio 1911, condot-
ta la fabbrica al tetto, le colonne, già arrivate a Roma, s’innalzavano.
« Sono per ripartire (così nella sua lettera)... le accludo viglietto mio,
che peraltro non occorre, perché a S. Giuseppe, piacendole, onori la
manovra dell’innalzamento delle colonne della Chiesa che si continua
nella corrente settimana ». Ai 28 di agosto scriveva da Como: « La
Chiesa di S. Giuseppe si viene coprendo e si crede funzionarla pel Pa-
trocinio di S. Giuseppe 1912 ». Al 16 gennaio 1912: « La Chiesa e le
due case ai fianchi della stessa, vengono molto bene in modo comple-
to di luce elettrica, di lavanderia, di fognatura ecc. Il tutto costituirà
un piccolo modello di locali utili per il ministero spirituale delle ani-
me. Così il Signore ne benedica... ». Quindi, ai 23 maggio 1912, scri-
vendomi da Milano, aggiungeva: « Pare che nella prima domenica di
luglio si eriga in parrocchia la chiesa di S. Giuseppe, dove mi scrivono
che si comincia a fare un po’ di bene ». E fu così, perché già ai 20 di
giugno per lettera m’avvisava: « Sono qui per assistere alla immissione
del nuovo parroco di S. Giuseppe il nostro don Aurelio ». E finalmente
ai 23 di agosto da Pianello Lario (Como) mi rendeva consapevole che
« il S. Padre per conto proprio stava edificando due grandiosi oratorii
maschile e femminile ai fianchi della chiesa parrocchiale di S. Giusep-
pe ». Ecco come fu che in tempo, per quanto era possibile, brevissimo
sorse là, dove non erano che campi nudi con poche capanne di paglia
o di frasche abitate da povere famiglie senza assistenza religiosa che
dai maligni venivano tirate al vizio, sorse quella chiesa con tante belle
opere annesse, le quali danno gloria a Dio e salvezza delle anime. E si
noti che ciò che ho detto della chiesa di S. Giuseppe e delle opere an-
nesse, va detto di tutte le chiese ed opere che il Servo di Dio suscitò
altrove, perché questo era il suo sistema. Lo inferisco dalle sue lettere
e potrà essere confermato da altri che lo videro e me lo riferirono.
Ora chi considera tutte le circostanze onde egli promoveva e por-
tava a compimento queste numerosissime opere di culto di Dio e di
eterna salute degli uomini, non tarderà e conoscere qual uomo di fede
egli fosse e di fede eroica. Dico eroica, perché tutte queste cose egli
non poteva fare senza incontrare molte e gravi difficoltà, principal-
mente difficoltà di lunghi e frequenti viaggi, di contraddizioni ad ogni
passo, di spese senza mezzi; e le faceva con prontezza, con alacrità,
con trasporto e pieno contento dell’animo suo, le quali cose sono ap-
punto quelle che danno alle azioni la nota di eroicità.
Ma io nel racconto ho dimenticato una circostanza, che mi pare
la più bella per mostrare con quanto zelo il Servo di Dio correva ad
appagare quella sete che sentiva di portare l’uomo a Dio. Era passato
poco tempo, forse qualche mese, da che aveva comprato il terreno nel-
272
la via Trionfale, quando venne a pregarmi e ripregarmi che andassi
con lui a vederlo. Andammo in una carrozzella, e giunti là per quelle
vie allora poco praticabili, vidi alcune donne sedute fuori le capanne e
rattoppare robe delle loro famigliuole, le quali, a vederlo, lo salutava-
no con riverenza, e udii una che, dopo averlo guardato, abbassò gli oc-
chi commossa, esclamando: « Benedetta quella mamma che t’ha fat-
to!.. ». Stupii! Entrammo nel terreno acquistato che era già recinto, di-
viso in due parti. Nella prima sorgeva una casipola vecchia, nell’altra
una casipola nuova. Entrammo nel pianterreno della vecchia, che sarà
stata una stalla. Era pulito: vi sedevano intorno in panche rustiche ma
nette una ventina di bambini ben lavati e pettinati, in veste modesta
ma monda, i quali al nostro apparire, al cenno della suora che li reg-
geva, si alzarono e intonarono una canzoncina. Importa poco se si ac-
cordassero tra loro, ma io vidi che tutti erano di buona cera, sorriden-
ti, giulivi. Passammo poi il muro di separazione e nello spazio dell’al-
tra parte vidi maggior numero di fanciulle di diversa età, giocando si
rincorrevano l’un l’altra sotto lo sguardo d’una suora che moderava le
loro corse. Nel pianterreno della nuova casipola trovai che bolliva in
una grande caldaia riso, se non erro, con legumi. E mentre il Servo di
Dio mi spiegava come in fretta in fretta avesse dovuto fare innalzare a
mattoni quella casupola per ricoverarvi provvisoriamente alcune sue
religiose, ecco i bambini che, finita la scuola, vengono correndo e s’at-
taccano alla veste della suora che mesce a ciascuno la sua porzione di
minestra. Ecco perché, pensai tra me, quella buona donna al solo ve-
derlo esclamò commossa: « Benedetta quella mamma che t’ha fatto! ».
Ritornai a casa pieno d’ammirazione al pensiero di tanto bene già ini-
ziato in sì breve tempo. Ma chi oggi considera che là nel luogo intorno
alle due casipole allora acquistato, sono due belle case religiose, orato-
rii, cortili, sale, teatri, per tenere i giovani lontani dal vizio, e tutto
questo ai fianchi di un tempio, decoroso e grandioso, dove si raccolgo-
no in funzioni, in sermoni, in pie congregazioni di tutte le specie, in
frequenza dei santi sacramenti, eccetera, oltre tremila persone, tutta
gente che, per la maggior parte strappata al vizio e all’anarchia, ora è
rivolta al culto di Dio, alla propria ed altrui eterna salvezza, dovrà pu-
re confessare che l’uomo che fece tutto questo, uomo povero, dimesso,
senza fasto di scienza e di eloquenza, già molto inoltrato in età, coi
soli mezzi che gli venivano dal cielo, doveva essere un uomo di molta
fede, inconcussa, sempre viva, inalterabile.
Io non ho mai convissuto col Servo di Dio, non ho mai viaggiato
con lui da poter ridire le manifestazioni della sua fede nella celebra-
zione della santa Messa, nella recita del divino Ufficio, nelle orazioni
comuni o private. Però bastava entrare con lui in una chiesa o in una
cappella che conserva il SS.mo Sacramento, per vederlo cambiare
aspetto, raccogliersi, genuflettere e pregare con tanta riverenza da po-
ter dire che egli non solo credeva, ma sentiva la presenza di Gesù sa-
cramentato. Io non so quanto e come predicasse per confermare e av-
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vivare la fede, ma so che a questo scopo faceva spesse, solide e toccan-
ti conferenze ai suoi religiosi, alle sue religiose, a tutti i suoi ricovera-
ti, ai sodalizi da lui eretti; stampava opuscoli; favoriva e promoveva
periodici cattolici. Era dolente delle vittorie, sebbene effimere, dei mi-
scredenti, si rallegrava al trionfo dei cattolici. In Lombardia era sorta
un’empia persecuzione contro i religiosi concettini, che pur facevano
tanto bene. I cattolici la vinsero con calda e frequente dimostrazione,
ed egli da Como con lettera del 10 gennaio 1910 mi scriveva: « Accom-
pagno copia articoli e fogli sparsi in molta copia pel trionfo dei Con-
cettini pei quali anche ieri a Cantù sì ebbe un comizio pubblico ap-
plauditissimo ». Erano anche manifestazioni della sua fede quella
profonda sua umiltà di cui parlerò in appresso, la calda e tenera divo-
zione ai divini misteri, a Gesù sacramentato, al Sacro Cuore di Gesù,
alla Vergine santissima, ai santi, come si faceva palese nel suo parlare
e nel suo scrivere. Per meglio vederlo basterebbe dare un’occhiata
all’elenco dei suoi istituti ed opere, che sempre intitolava o a Gesù o a
Maria o a qualche santo che maggiormente venerava. E non era pu-
ranco manifestazione di fede la sua devozione ossequiosa al romano
pontefice, ai principi della Chiesa, ai vescovi e sacerdoti, di cui già più
volte ho fatto cenno? Anzi relativamente ai vescovi, ho già detto di
uno che lo vessava con ingiuste pretese e che, ciò nonostante, egli ve-
nerava per altre belle doti e principalmente pel sacro carattere di lui.
E posso aggiungere altri esempi.
Il vescovo di altra diocesi, che io ben conosceva fornito d’ottime
qualità, lo aveva invitato ad aprire nella sua diocesi una casa per un
certo pio ricovero promettendogli di concorrere validamente alle spe-
se, ma poi non mantenne, almeno in parte, le sue promesse. Se ne dol-
se con me, e gli suggerii d’interporvi la mediazione di monsignor Ro-
sa, sostituto della Concistoriale. Dopo alquanti giorni ebbi questa sua
lettera, scrittami da Arcisate (Como) ai 7 giugno 1913: «Per la penden-
za di (detta diocesi) ho scritto a Mons. Rosa che io per amor di pace
rinuncio ad ogni pretesa e rimetto a Mons. Vescovo di disporre una
sommetta qualsiasi per ristorare il pavimento della parrocchiale di
Laureana di Borrello (diocesi di Mileto, Calabria) che è poco meno di
una stalla e dei lavori eseguiti ne avrei dato relazione a mezzo di
Mons. Morabito (vescovo di Mileto). Così scrissi, ma non ne avremo
manco risposta e sarà quel che Dio vuole. Io ne sono tanto tanto am-
mirato e pazienza per amor della pace ». Ma dopo questo fatto, io non
vidi più quel vescovo, che si degnava venire a trovarmi a Roma, quan-
do vi capitava, ed anche in Napoli, quando egli era là per i soliti suoi
bagni annuali. Rividi però come prima per più anni don Luigi Guanel-
la, che non mai mosse lamento del fatto e continuò a parlare con som-
mo ossequio di quel vescovo per quell’alta venerazione che sentiva dal
sacro carattere vescovile.
Una simile controversia l’ebbe col vescovo di Ferentino: ma questi
fu più equo. L’aveva insistentemente invitato a portarsi là, tanto che il
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30 gennaio 1908 da S. Pancrazio mi scriveva: « Mi porto a Ferentino a
quel benedetto Vescovo che proprio mi vuole ». Lo scopo dell’invito
era per affidare al suo istituto maschile l’Orfanotrofio maschile Macio-
ti, a cui fu poi unito, senza confonderli, un ricovero per i poveri defi-
cienti. Qui le solite larghe promesse, ma non tutte mantenute. Ricordo
che quel vescovo, mons. Bianconi, venne anche a discorrere con me e
si mostrò, come ho detto, più equo. E per questa sua equità da una
parte, e dall’altra per quella rispettosa deferenza del Servo di Dio ver-
so i sacri pastori dell’anime, la controversia fu ben composta, e la
nuova fondazione fin d’allora prese buon piede. Il 18 giugno 1909 mi
scriveva da Como: « Fui a Ferentino: quella casa promette benino as-
sai ». Finalmente era mirabile vedere che, mentre gli eretici nella Sviz-
zera (dove erano già sorte varie sue case) tentavano ogni mezzo per
fare proseliti e le sette maligne in Italia (dove le sue case erano in
maggior numero) erano riusciti a cacciare il Crocifisso dai tribunali e
dalle scuole, egli con zelo indefesso erigeva chiese cattoliche tra gli
eretici e devotissimi santuari tra le logge massoniche. Ben lo sanno
coloro che cooperavano con lui e lo potranno riferire dettagliatamen-
te. Io mi limito all’uno e all’altro fatto che appresi dalle sue lettere. Nel
mese di agosto 1907 mi scriveva da Promontogno: « Io sono in visita
alle case di Svizzera dove mi ristoro un poco anche in salute. Ieri ho
potuto fare 25 Km. a piedi; oh! se V.P. potesse passare qualche setti-
mana fra di noi ». Accludeva un avviso a stampa, che annunziava
l’inaugurazione solenne del campanile della chiesa cattolica da lui pre-
cedentemente eretta. Ai 26 gennaio 1913 egli si trovava a Boston, e
dirò perché. Di là mi scrisse: « A Vasington [i.e. Washington] visitam-
mo il monte del Calvario che riprodurremo, come le dissi, nel nostro
santuario a Como. Non forse una ricchissima famiglia che sarà a Ro-
ma in aprile da Cincinnati visiterà i famosi ricami donati delle ve-
nerande suore di S. Francesc[a] e allora forse si potrà iniziare il fac-
simile della chiesetta di S. Elena come al Calvario in Gerusalemme ».
Il motivo della sua andata agli Stati Uniti d’America fu questo.
Era venuto a Roma da Boston uno dei padri scalabriniani i quali, co-
me è noto, vanno in America principalmente per assistere gli emigran-
ti italiani affinché non perdano la fede. Questo padre, di nome Grego-
ri, gli disse che ancora lui avrebbe reso un gran servizio alla fede cat-
tolica, se avesse aperto là qualche casa delle sue suore, e s’offrì ad ac-
compagnarlo all’America. Egli accettò e dalla chiesa di S. Giuseppe il
24 novembre 1912 mi scrisse: « Ieri il S. Padre, vedendomi bene ac-
compagnato dal R. Superiore degli Scalabriniani, P. Gregori a Boston,
mi benedì perché in quella città, o dove meglio esperimentassi una
fondazione femminile». Arrivato a Boston, trovò là e altrove buone ac-
coglienze. « Il Sig. Card. O’Connell e il Vescovo di Providence mi ac-
colsero festosi e tengo inviti per più luoghi dell’Unione, onde alle no-
stre martorelle (con tal nome chiamava le sue suore) non mancherà
lavoro ancor qui ». Così mi scrisse, e poi in altra lettera: « Per vero la
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D. Provvidenza pare che ci apra più vie a Chicago sovratutto ed anche
a S. Louis e non forse qui a Boston: indi da cosa nascerà cosa. Mons.
Bonzano e l’E.mo Gibbons ci vollero a pranzo. Il P. Gregori Scalabri-
niano mi è compagno e guida indivisibile, senza di lui avrei potuto
ben poco ». Dopo poco tempo, ritornato in Italia, spedì agli Stati Uniti
un gruppo di suore, e ricordo che mandò la superiora a chiedere, co-
me egli diceva, la mia benedizione. Scoppiò subito la guerra fatale,
egli passò a miglior vita, e dopo ciò io seppi solamente che quelle suo-
re colà facevano molto bene. Intanto mi pare si possa conchiudere che
mal non m’apposi quando dissi: « Egli viveva di fede ».
Se tanta fu la sua fede, non minore fu la sua SPERANZA. Parlo di
quella speranza che fu la base delle sue intraprese, la guida ed il soste-
gno per raggiungere la meta di quella missione che Dio gli aveva affi-
data. La missione affidatagli da Dio era di raccogliere il rifiuto della
società, vecchi cadenti, orfani derelitti, gobbi, storpi, ciechi, scemi
deformi ed invalidi di ogni sorta dell’uno e dell’altro sesso, i quali ave-
vano anch’essi un’anima da salvare. Per fare questo era necessario che
sorgessero case per ricoverarli, religiosi istituti per dirigerli, laboratori
per educarli o esercitarli, oratorii, cappelle, santuari, chiese per santi-
ficarli. Ma i mezzi? Egli non li aveva. Quindi totale diffidenza delle
sue forze e per conseguenza pieno abbandono nelle mani della divina
Provvidenza. Fu per questo che profittò d’un piccolo drappello di zitel-
le, già riunite al santo scopo dal suo antecessore nella parrocchia, e ne
fece il primo nucleo del suo istituto femminile, che chiamò delle Figlie
di S. Maria, ma della Provvidenza. Incominciò poi, per formare l’istitu-
to maschile, ad adunare sacerdoti e laici che chiamò Servi della Ca-
rità, ma di quella carità che avrebbe suscitata la divina Provvidenza.
Per questa stessa ragione egli volle che ognuno dei suoi Ricoveri
portasse il titolo di Casa della Divina Provvidenza. Tutte le volte che,
trattando con me, gli faceva notare di non abbracciare più opere di
beneficienza, che sarebbero state superiori alle forze che aveva a sua
disposizione, la sua risposta era sempre questa interrogazione: « E la
divina Provvidenza?... ». Ebbi da lui più lettere. In quelle che alludeva-
no ad opere compite, sempre vi erano ringraziamenti alla divina Prov-
videnza; in quelle che alludevano ad opere da compiersi, sempre vi
erano invocazioni alla divina Provvidenza.
Dalla sua parte, la divina Provvidenza non lasciava mai deluso il
suo servo fedele. Molte furono le opere da lui compi[u]te, e diranno gli
altri che furono tante da restarne stupiti. Donde gli vennero i mezzi per
sostenerne le spese? Ho già detto che quando mise mano alle opere di
Porta Trionfale nel Congresso eucaristico di Londra diffuse più mi-
gliaia di circolari per invitare a concorrere con le loro oblazioni a que-
sta grand’opera i cattolici d’altre nazioni. Ne raccolse poco o nulla, tut-
tavia fu tosto dopo quel tempo che egli scriveva: «In occasione onoma-
stico S. Padre ho inviato lire 18.000 e disegni », e poco tempo dopo:
«Quamprimum sarò pur io con una cinquantina di mila lire per inizia-
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re le fondamenta della Chiesa di San Giuseppe », e poi in un’altra let-
tera: « Già sono commesse le dieci colonne del granito di Baveno » e
così di seguito, e finalmente ad opera compita in altra lettera: « Il San-
to Padre per conto proprio sta edificando due grandiosi oratorii ma-
schile e femminile ai fianchi della Chiesa di S. Giuseppe ». Donde tan-
to soccorso da sostenere, senza fare debiti, sì grandi spese che oltre-
passano il milione?... Egli l’aveva già scritto da Londra: «Deus provide-
bit... Qui seminat... ». Egli aveva seminato: aveva seminato con la sua
preghiera e colla fiducia ferma e costante, perciò aveva raccolto, per-
ché Dio aveva provveduto.
E in conferma di ciò narro un altro fatto che ha più del meravi-
glioso. Discorreva con me, un giorno, che faceva le mie meraviglie
per aver trovato nel ricovero di S. Pancrazio lunghe file di letti ben
assestati, ben forniti e netti, ciascuno dei quali aveva nella testiera
una targa portante il nome della benefattrice che l’aveva donato. Le
mie meraviglie erano per lui, che in breve tempo avesse saputo gua-
dagnarsi l’aiuto di tante persone benefiche. « Eppure, ei mi rispose,
non ho trovato ancora in Roma, come ho trovato altrove, persone be-
nefiche che largheggiassero di più per i miei poverelli ». Gli feci riflet-
tere che tali persone a Roma non mancavano, perché la maggior par-
te delle opere di beneficienza che vi sono furono da esse erette o sono
da esse sostenute, e gli citai per esempio la signora contessa Cerasi, la
quale per opere di beneficienza aveva già speso parecchi milioni...
Tacque e si licenziò da me. Poi seppi che la notte aveva pregato. La
mattina seguente venne a dirmi: « Le porto buona nuova. Sono stato
alla signora contessa Cerasi, le ho esposto quello che si fa e si intende
di fare a Porta Trionfale, e senza darmi tempo a ripetere la preghiera,
mi ha risposto: “Sì, sì: ci voglio stare pur io a questa bella opera”; mi
ha consegnato un biglietto pel suo nepote, che mi desse cinquantami-
la lire. Ho trovato il nepote malato, che mi ha detto di non potermele
dare sul momento, le avrebbe date quanto prima ». Così fu. Aveva
dunque il Servo di Dio una speranza in Dio pura, piena, ferma, conti-
nua, anche nelle cose difficili a sperarsi, il che è quanto dire una spe-
ranza eroica.
La speranza, dicono i dottori, è effettiva dell’amore. Imperocché
chi spera ottenere del bene che non può conseguire con le proprie
forze, ama colui che gli somministra le forze per conseguirlo. Se que-
sto è vero, come è verissimo, bisogna dire che nel cuore di don Luigi
ardeva la CARITÀ VERSO DIO in alto grado, come d’alto grado era la sua
speranza.
Manifestazioni di questa sua carità verso Dio erano lo orrore che
aveva del peccato, gli atti di religione, gli esercizi di pietà, e soprattut-
to le opere che fece ad onore e gloria di Dio, perché probatio dilectio-
nis exhibitio est operis. Però lascio a parlare di tutte queste cose a co-
loro che conoscono tutta la sua vita e quello che in essa operò. Io mi
restringo a dire una sola cosa, cioè della sua piena e perpetua confor-
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mità alla divina volontà, nella quale sostanzialmente consiste la carità
verso Dio. Se si dimise dalla parrocchia, per dedicarsi al soccorso dei
più miserabili, fu per seguire la via a cui Dio lo chiamava. Se andò a
Torino prima di intraprendere questa via, fu per non errare nel modo
di seguirla e fare la divina volontà. Quando poi seppe che la via era
buona per le opere, ma non per i due istituti, si mise nelle mie mani
come un bambino per conformarsi ai desideri della Santa Sede, nei
quali riconobbe la divina volontà. Chi era io da meritare tanta stima?
Sarebbe passata a chiunque la voglia di professarmela: a lui no. Sia
nel parlarmi, sia nello scrivermi, si mostrava sempre disposto a segui-
re i miei suggerimenti. Se rileggo le sue lettere vi trovo scritto: «Siamo
tutti animati per ottemperare in tutto e più perfettamente che si possa
a quanto si è discorso e promesso » (agosto 1907). « Quanto a me pen-
so di non aver fatta cosa meno che retta nella intenzione e non punto
difforme dai consigli avuti personalmente da V.P. » (5 dicembre 1907).
« Feci quod iussisti et faciam postero quod jubeas semper » (13 aprile
1908). « Ringraziamo tutti la bontà che ella sempre ne ha usata e la
preghiamo continuarcela » (18 giugno 1909). « Che ne pensa la P.V.
Rev.ma? Sarà una vera carità un suo consiglio e appoggio in argomen-
to » (20 giugno 1909). « Quale sorpresa! La P.V. già mi ha inviato il la-
voro compiuto e quale prezioso lavoro! » (25 gennaio 1910). « Le ac-
compagno Superiora Generale e nepote... Vengono per ossequiare e
ringraziarla... e per raccomandarsi alla continuazione della sua prezio-
sa assistenza » (11 novembre 1910). « Sono edificato della sua diligen-
tissima attenzione. Si farà come lei suggerisce » (16 gennaio 1912), ed
altre simili espressioni. Ma perché tanta fiducia in me? Perché si sape-
va affidato a me dai superiori, e nella volontà dei superiori riconosce-
va sempre, come si doveva, la volontà di Dio. E qui si noti che questo
suo conformarsi alla divina volontà non si limitava solamente alle co-
se prospere, ma si estendeva puranco alle cose avverse.
Non mancherà chi dica della sua pazienza e rassegnazione nelle
varie e diuturne contraddizioni che incontrò ad ogni passo nei primi
anni delle sue sante intraprese, io ricorderò qualche fatto di cui ho
già parlato. Quando per malinteso gli scrissi che difficilmente avrebbe
potuto ottenere l’approvazione che desiderava, egli mi chiarì il malin-
teso, ma relativamente all’approvazione rispose: « Come le esposi già,
se il Signore le regole le vuole approvate ancora da Roma tanto me-
glio, e se meno od ancor si debba differire, continueremo come già
fin qui, e speriamo che Iddio buono ci continui benedire ». Quando la
sua speranza di raccogliere nel Congresso eucaristico di Londra un
soccorso abbondante per la nuova chiesa di S. Giuseppe restò delusa,
non si smarrì, disse: « Deus providebit », e riposò sicuro nella divina
volontà. Quando previde che quel vescovo, il quale non aveva mante-
nuto le sue promesse, non avrebbe neppur risposto alla modesta sua
lettera, aggiunse subito: « Sarà quello che Dio vorrà ». Essendo le cose
così mi pare che niuno possa dubitare che la sua carità, or più or me-
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no intensa, fosse giunta al più alto grado a cui poteva giungere su
questa terra: perché, se la nostra perfezione consiste con l’unione con
Dio, questa unione si compie con la piena conformità della nostra vo-
lontà colla divina.
Dalla carità verso Dio non può andare disgiunta la CARITÀ VERSO IL
PROSSIMO. Sarebbe superfluo parlare della carità che don Luigi Guanel-
la esercitò verso il prossimo. Parlano le sue opere varie e molteplici, le
quali sono tutte rivolte al soccorso spirituale e corporale dei miserabi-
li. E qui si deve anche apprezzare che i miserabili soccorsi da lui era-
no e sono quelli rifiutati da altri, il che cresce il merito della sua ca-
rità. Rammento due fatti che mettono in più rilievo quella sete arden-
te che lo faceva correre a quegli infelici che avevano bisogno di più
pronto soccorso. Il terremoto aveva fatto quell’immane disastro, che
tutti ricordano, nelle Calabrie. La mattina di buon’ora del giorno se-
guente mi si presenta con la valigetta in mano. Veniva dalla stazione
ferroviaria: aveva viaggiato tutta la notte. « Che di nuovo, don Luigi,
che di nuovo? ». « Se nulla ha in incontrario, mi disse, vado subito in
Calabria ». « No, don Luigi carissimo, no ». La ragione del mio no era
perché in quel tempo egli si trovava nella necessità di moderare il nu-
mero delle opere di beneficienza e di aumentare piuttosto il numero
dei soggetti che dovevano dirigerle. Oltreché non avrebbero portata
molta confusione quei disgraziati così tumultuariamente raccolti? Ri-
conobbe, secondo il suo solito, anche in questo la volontà di Dio e si
rattenne. Però la sua sete non era appagata. Pensò al modo di non an-
dare incontro agli inconvenienti che io gli aveva fatti prevedere, e per-
ciò il 4 gennaio 1909 mi scrisse da Milano: « Ho fatto le mie esibizioni
a Roma, a Milano, a Como, per ricoverare qualche orfano o vecchio
sopravvissuti ai disastri di Calabria, e non forse, anche per questo do-
vrò recarmi presto all’alma città ».
Non so o non ricordo la conclusione di questo affare, ma dopo
qualche tempo venne a dirmi che monsignor Morabito, vescovo di Mi-
leto in Calabria, l’aveva pregato di mandare le sue suore a dirigere un
orfanotrofio eretto in quella diocesi da una certa signora. Anche in
questo fui di parere contrario, perché mi sembrò inopportuno che
quelle suore fossero separate dall’altre a tanta distanza, quanta è quel-
la che corre da un capo all’altro dell’Italia. Fu ancora di questo parere
Sua Santità, Pio X, il quale peraltro pregato e ripregato da monsignor
Morabito, finalmente disse al Servo di Dio: « Vedete un po’ se potete
contentarlo ». Egli lo contentò con suo pieno trasporto: si recò anche
lui in Calabria donde mi scrisse quella lettera, che ho citata di sopra,
di aver cioè domandato al vescovo di mancata promessa almeno « una
sommetta qualsiasi per ristorare il pavimento della parrocchiale di
Laureana di Borrello che è poco meno di una stalla ». Non basta. Per
lo stesso terremoto, quell’altro apostolo della carità, il P. Beccaro
dell’ordine dei Carmelitani scalzi, da Milano era accorso in Calabria,
donde aveva riportato seco buon numero di orfanelli, per allogare ed
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educare i quali aveva comprato un latifondo con prato, bosco e bestia-
me. Dopo alcuni anni, non so per quali ragioni, voleva disfarsene, e
propose al nostro Servo di Dio di prendere tutto a sé. Questi sempre
proclive al soccorso del prossimo, avrebbe voluto accettare: il mio pa-
rere fu contrario; fui pregato ad acconsentire anche per parte dei su-
periori dell’ordine, e stetti fermo. Questa mia fermezza proveniva dal
pensiero non essere prudente prendere su di sé una cura di cui gli al-
tri non senza valide ragioni avrebbero voluto disfarsi, e tanto più que-
sto pensiero si aggravava perché mi avevano detto che quegli orfani,
venuti un po’ su negli anni, vuoi per indole, vuoi per educazione nati-
va, si erano resi tracotanti.
Non fu così quando pochi anni dopo avvenne il terremoto di
Avezzano negli Abruzzi. Allora quando lo vidi venire, come l’altra volta
colla valigetta in mano: « Sì, sì, gli dissi, va pure, carissimo don Luigi,
e fa quanto puoi ». Imperrocché a Roma, dove s’era propagata la scos-
sa non senza qualche danno, tutti eravamo commossi; commozione
crescente per le notizie d’ogni minuto che descrivevano sempre più di-
sastrose le ruine. Andò, e da Ferentino ai 18 gennaio 1915 mi scriveva:
« Sono anch’io col Parroco Bacciarini in visita ai colpiti del terremoto
negli Abruzzi e qui nel Lazio. Abbiamo ricoverate alcune orfane e co-
stituito un comitato di soccorso nella parrocchia di S. Giuseppe. Spe-
riamo di fare un po’ di bene». Poi mi disse che altre orfane e orfani gli
erano stati affidati dalle autorità ecclesiastiche e civili. Ciò basta per
conoscere di qual tempra era la carità di don Luigi Guanella verso Dio
e verso il prossimo.
Dopo aver discorso delle virtù teologali, posso aggiungere qualche
cosa su le virtù morali, cardinali e connesse. Viene prima la PRUDENZA.
Che la prudenza fosse una delle sue doti apparisce dal modo come
corrispose alla divina vocazione. Andò a Torino ad apprendere le le-
zioni già date da quei due celebri maestri, il beato Cottolengo e il ve-
nerabile don Bosco. Si valse a mettere mano all’opera di quelle poche
vergini, alquanto già addestrate dal suo santo antecessore, il parroco
don Carlo Coppini. Le diresse così saggiamente da cavarne ottime di-
rettrici, e tra esse non mancò chi si spingesse tanto nella via della san-
tità da poterne con certa speranza d’esito felice intraprendere la causa
di beatificazione e canonizzazione. Quando vide la necessità di un isti-
tuto maschile che cooperasse a raggiungere meglio lo scopo della sua
carità, rivolse subito la mente a formarlo e lo formò. Se non ne otten-
ne subito l’approvazione della Santa Sede, era troppo presto per otte-
nerla. Furono però lodate le sue opere. Per gl’istituti doveva mettersi
per altra via che non era quella che egli diceva d’aver imparata a Tori-
no. Conosciuta quest’altra via, si attenne a questa fino alla morte. Non
ignoro che ebbe molte critiche e fu tacciato d’imprudenza; ma quale
dell’opere di Dio è sorta per mezzo degli uomini santi senza critiche?
Io ne conosco quattro e ne voglio parlare. Una diceva: « Fa molte ope-
re buone, ma fa anche molti debiti ». L’altra diceva: « Che ne sarà di
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tutte queste opere dopo la sua morte, che non può essere lontana? »
La terza: « Fa molte case, ma sono piene di squallore ». La quarta:
« Per far numero, accoglie nel suo istituto, senza avvedutezza, anche i
frati sfratati ». Esaminiamole separatamente.
1. In quanto ai debiti, ne fu trattato quando si doveva presentare
alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari lo stato economico
dei due istituti. Egli sarebbe stato disposto a liquidarli, ma i tempi
erano tali che la prudenza e le stesse istruzioni della Santa Sede consi-
gliavano di lasciare le cose come stavano, affinché, nel caso avverso,
tutta la preda non andasse in bocca al lupo.
2. In quanto alla previsione della sua morte non lontana, fu da me
interrogato come si sarebbe provveduto a tante belle opere che avreb-
be lasciate. Mi rispose: « Non sono io che reggo le belle opere; è la di-
vina Provvidenza che non muore mai », e poi aggiunse: « Ancorché io
morissi oggi, pure non mancherebbe l’uno e l’altro dei miei che fareb-
bero meglio di me ». Egli morì e il fatto provò che aveva detto il vero.
3. In quanto a qualche frate sfratato che accoglieva nel suo istitu-
to, non era nuovo il caso che un religioso uscito o dimesso da un isti-
tuto entrasse e fosse ammesso in un’altro. Anche il venerabile don Bo-
sco faceva così, salva sempre la libertà di mandarlo via nel caso che la
sua condotta non fosse buona, Se poi alcuno si reputasse più prudente
col dire: « Cautus ero, nullum malum admittam », a questo avrebbe già
risposto sant’Agostino così: « Ubi cognoscis quem forte vis excludere?
Ut cognoscatur malus, intus probandus est, et probari, nisi entraverit,
non potest. Repelles omnes malos? Omnes nudis cordibus ad te ve-
niunt? » (Enarr. Ps., 99 M. 10).
4. Finalmente non vale la pena di ribattere la critica su lo squallo-
re delle case, perché questa fu fatta alla mia presenza da una signora
tedesca, una buona signora, la quale faceva parte del Comitato roma-
no, dal Servo di Dio promosso a prò del Ricovero di S. Pancrazio, ed
io credo che essa volesse alludere piuttosto a quel certo naturale ri-
brezzo che si prova nell’entrare in una casa piena di vecchi e cadenti,
di sceme o deformi. E in verità, quando le dissi di aver visitato il Rico-
vero di S. Pancrazio e di essere rimasto ammirato per avervi trovato
sale, letti, vesti, utensili ed altri mobili, tutto di condizione modesta,
ma pulito e netto, essa tacque: perché comprese che per trovare splen-
dore di sofà e poltrone, di cortinaggi e tendine, bisogna andare agli
educandati o collegi di signorine di alto rango, e comprese ancora che
bisognerebbe attribuirlo ad insipienza, non a prudenza, se mai queste
belle cose si trovassero nei ricoveri di povera gente, che non ne ebbe
mai l’uso, né v’ha speranza che sia per averlo.
Colla prudenza del Servo di Dio andava sempre unita la schietta
semplicità. Nei parecchi anni che l’ho trattato, non ho potuto mai udi-
re da lui una parola, non ho potuto mai scorgere in lui un atto, un ge-
sto, un segno qualunque che sapesse di falsità, di doppiezza, di simu-
lazione o di scusa. Pio X, come ho già ricordato, per sollevarsi un mo-
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mento dalle alte e continue premure, volentieri e non di rado scendeva
a conversare piacevolmente con lui, perché lo sapeva a tutta prova ret-
to nell’intenzione e semplice nell’azione. Per questa rettitudine e sem-
plicità il cardinale Ferrata ne volle essere protettore di fatto. Così il
cardinale Ferrari, il cardinale Valfrè di Bonzo, il cardinale Laurenti, i
vescovi, i sacerdoti e laici di qualunque grado, dopo averlo conosciuto,
lo stimavano molto, l’amavano.
Passando a parlare della sua GIUSTIZIA, sarebbe fuori di luogo trat-
tenersi su la giustizia in senso stretto, perché egli era tale che per
amor di pace cedeva anche i suoi diritti. Si può solamente far cenno
della sua giustizia in senso lato: e in questo senso basta dire che egli
era sempre pronto e fedele a rendere a ciascuno il suo, a Dio l’onore
dovutogli, ai superiori la riverenza e l’obbedienza, agli eguali l’amici-
zia, ai sudditi la bontà e la dolcezza, ai nemici il perdono, ai benefat-
tori la gratitudine. Dalle cose dette di sopra già bastantemente appari-
sce quanto ei fece ad onore e gloria di Dio, quale riverenza ed obbe-
dienza professasse al romano pontefice, al cardinale protettore, al visi-
tatore apostolico, ai vescovi, a tutti quelli che riputava suoi superiori;
come fosse piacevole e dolce coi sudditi, coi suoi ricoverati, con tutti,
e come fosse facile a dimenticare le offese. Ma quante cose potranno
dire gli altri che conversarono con lui per molti anni!...
A me in modo speciale è noto il suo sentimento di gratitudine, e
non mi sembra inopportuno darne un’idea con brevità. Io prestai per
più anni a misura delle povere mie forze la mia assistenza a don Luigi
Guanella nelle cose in cui esso la richiedeva. La prestai volentieri,
sempre attirato dal corredo delle sue virtù non comuni. Se non che
l’assistenza prestata a lui, io, o per dovere del mio ufficio o per com-
missione dei superiori, era solito prestarla ad altri. Tutti superiormen-
te al mio merito mi ringraziavano e la cosa finiva così. Egli ai tanti
ringraziamenti univa regali, e per renderli più accettevoli sapere tro-
var modo gentile di presentarli. Per esempio, mandava gli Amaretti di
Saronno, chiedendo perdono di tanta confidenza (8 giugno 1907);
mandava dolci per gli augurii di Natale e di Pasqua, mandava miele
di Bormio, « specialità pei raffreddori a cura del freddo insistente »
(1 marzo 1910); mandava un « calice d’argento in disegno bizantino
che pur pregava si ricevesse per questa nostra Chiesa » (23 dicembre
1908). Provai più volte a farlo desistere dal mandare regali: gli dissi
eziandio essere più conveniente applicarne il prezzo ai suoi ricoverati,
e mi rispose: « Non dubiti, ché la divina Provvidenza non fa mancar
nulla ai miei poveri ricoverati ». Finalmente gli scrissi di essere stato
tentato a respingergli il regalo, di non averlo fatto per timore di non
offenderlo, che però l’avrei fatto se la cosa si fosse rinnovata, e con-
chiusi in questi termini: « Vostra Paternità sta innalzando una gran
fabbrica; se potessi anch’io mettere un sassolino a questa fabbrica, ne
sarei bastantemente rimunerato ». D’allora sino alla morte si contenne
dai regali e si profuse maggiormente nell’espressioni di gratitudine.
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Dell’eroicità della sua TEMPERANZA non ho dubbio. Io non so se era
di quelli che, per sottomettere la carne ricorreva all’astinenza, ai digiu-
ni, ai cilizî, ai flagelli, anzi credo che il farlo sarebbe stato ostacolo e
percorrere la via che Dio gli aveva indicato; ma so che per la gloria di
Dio e pel bene del prossimo lavorava incessantemente di giorno e di
notte, faceva frequenti viaggi diurni e notturni, se poteva anche a pie-
di, nulla curandosi di cibo o di riposo. Discorreva un giorno con me,
venuto allora dalla stazione ferroviaria, suonò il mezzogiorno; pensai
che fosse ancora digiuno, perché aveva viaggiato tutta la notte, l’invi-
tai a pranzo: accettò. Mangiando con lui m’accorsi che ne aveva gran-
de necessità. Soddisfece a questa necessità e poi basta. Non era questa
la maniera che teneva cogli altri. Voleva che fossero trattati se non
splendidamente, decorosamente. Quando mi scrisse che i lavori di
Porta Trionfale erano felicemente compi[u]ti, mi scrisse ancora: « Si
farà come lei suggerisce, ma vorrei che nondimeno partecipasse al
modesto simposio a Santa Marta, come si pregherà a suo tempo ». A
tal simposio non potetti intervenire ma v’intervennero, anch’essi invi-
tati, l’avvocato e il procuratore delle cause da lui intraprese, i quali mi
dissero di essere stati trattati gentilmente e decorosamente.
Se avveniva che entrasse con me nella casa delle suore e delle ri-
coverate, io vedeva che queste si ricomponevano a riverenza, egli assu-
meva una modesta serietà ma sempre dolce e paterna. Era lo stesso,
se trattava colle signore del Comitato o con altre benefattrici. Si sareb-
be detto che il femmineo sesso era per lui un libro aperto che egli non
sapeva leggere. E veramente non è senza grande ammirazione che ri-
cordo come in tanti anni di nostra conversazione non udii dalla sua
bocca un motto che fosse meno castigato, non vidi uno sguardo, un
gesto, una mossa qualunque che disconvenisse al sacro suo carattere.
Se il discorso cadeva sopra qualche scandalo pubblico, lo lamentava,
ma rifuggiva dal parlarne. Quando avvenne lo scandalo di Milano, del
quale ho già fatto menzione, riprovò lo scalpore che ne menarono i
tristi, difese l’innocenza di un sacerdote ritenuto reo, ma non fece pa-
rola dei fatti che furono causa di tanto scandalo. Ma già lo sappiamo:
il privilegio di tanta purità di corpo e di mente è proprio degli uomini
profondamente umili: e don Luigi Guanella era tale.
Non profondevasi in espressioni di umiltà, ma sentiva la sua nul-
lità. Il suo tratto, il suo, parlare era senza fasto, le sue parole senza
ombra di vanto. Non parlava mai di sé, se non per necessità delle cose
che si trattavano. Quando trattò con me, aveva già fatto molte e belle
opere: io non le avrei conosciute se non le avessi lette nella relazione
che gli fu d’uopo presentare alla Sacra Congregazione dei Vescovi e
Regolari. Se mi parlava e mi scriveva delle cose che andava facendo,
se m’invitava ad andare a vederle, non era per farne mostra, ma per
essere assicurato che andavano bene secondo la mente della Santa Se-
de, affine di conseguire il santo suo scopo, quale era quello di ottenere
l’approvazione apostolica. Del resto di ciò che aveva fatto e che anda-
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va facendo, nulla attribuiva alle sue industrie, alle sue fatiche, tutto al-
la divina Provvidenza.
Questa bassa stima che aveva di sé lo rendeva nel tratto, nell’ince-
dere, nel parlare, nel vestire sempre dimesso. Ho detto che egli aveva
facile accesso al Vaticano, dove i prelati lo riverivano, e il papa lo rice-
veva paternamente, anzi amichevolmente. Ebbene egli ne usciva, come
vi era entrato, tutto umile e dimesso, e poi, per tenermi al corrente di
tutto, veniva senza una nube di vanità a raccontarmi tutto, ma sempre
compreso di venerazione ed obbedienza alla Santa Sede. Né questo fa-
rebbe molta meraviglia, se non si fosse umiliato altrettanto con me,
che avrei dovuto prostrarmi a baciargli i piedi. Non riceveva mai una
sua lettera dove non trovassi scritto: «Le bacio la sacra destra... Preghi
per tutti noi e ci benedica... La ringrazio come sempre e le sono in Do-
mino obbligatissimo servo... Feci quod jussisti... » e cose simili. Ho no-
tato che era anche dimesso nel vestire. In tutti gli anni che trattò con
me la sua veste era sempre quella, di prezzo modesto, di lungo uso,
ma legale e netta. Una sola volta lo vidi venire con un cappello nuovo,
e poiché celiando gli dissi che si era messo in alta tenuta, egli sorrise e
tacque: immaginai che glielo avessero comprato perché tenesse più
conveniente compagnia al cardinale Ferrata, che pochi giorni prima
era stato a Como, a Saronno e poi a Milano. Fu puranco in questa cir-
costanza che per la prima ed ultima volta potei udire dal suo labbro
una parola di allusione alle contraddizioni e persecuzioni da lui sof-
ferte pel passato, perché mi disse: « Adesso poi, dopo aver veduto i
miei poveri istituti messi su buon piede, e specialmente per aver vedu-
to venire il cardinale protettore a visitarli, tutti mi si sono voltati in fa-
vore: anzi (soggiunse sorridendo) hanno voluto nominarmi persino ca-
nonico onorario! ». Questo sorriso diceva abbastanza quanto l’animo
suo fosse alieno dall’aspirare a titoli onorifici ancorché ecclesiastici.
Resterebbe a parlare della FORTEZZA, ma quando coloro che lo san-
no di scienza propria avranno riferito le molte e gravi difficoltà che
superò con animo generoso per iniziare le sue opere benefiche e per
dar corpo ai due istituti che dovevano dirigerle, quando avranno rife-
rito la sua invitta pazienza e la sua salda costanza nel tollerare non so-
lo incommodi e fatiche, ma anche dileggi, contraddizioni e persecu-
zioni che gli venivano dai nemici della religione di ogni specie, dai
malevoli di ogni fatta, dalle stesse autorità di ogni ordine e di ogni
classe, per impedire il progresso di dette sue opere e di detti suoi isti-
tuti, la sua fortezza di animo sarà già palese. Da parte mia posso sola-
mente aggiungere che in tutte le cose che ho narrate, fossero prospere,
fossero avverse, egli restava sempre con animo imperturbato, con cal-
ma inalterabile, sempre pronto al sacrificio, non mai scoraggiato, ap-
poggiato sempre alla divina Provvidenza, sempre rassegnato alla divi-
na volontà. Semper idem!
Ecco, veneratissimo Padre procuratore, le notizie che ho creduto
opportuno mandare a lei e che io ho ricordate.
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Forse potrei, pensando, ricordarmi di altre, ma ho scritto già trop-
po e per la parte mia questo basta.
Su la verità di esse non ho dubbio, e quante volte fosse necessario
o utile sarei pronto a giurarle.
I brani delle sue lettere che ho citate, per vedere se siano o no,
esatti, può collezionarli colle lettere stesse, che io affido a lei affinché
possa regolarmente presentarle nel caso che si facesse la perquisizione
legale degli scritti del Servo di Dio. Colle lettere autografe vi sono an-
che le copie, così ella è in piena libertà di consegnare o quelle o que-
ste, dopo averle fatte autenticare, colla preghiera però di restituirmi
quelle che non avrà consegnate.
Se mi restituisse gli autografi, mi farebbe cosa grata, perché vi è
tra i miei confratelli chi desidera ritenerle per reliquie. In quanto a me
basterebbe ritenere di lui quella opinione che già ne aveva prima della
sua morte, cioè quella di un santo. Questa stessa opinione oggi è dive-
nuta universale. Come di un santo si parla di lui nei giornali, negli al-
tri periodici, nelle conferenze ed eziandio nelle prediche.
Si parla di frequenza giornaliera al suo sepolcro e di grazie rice-
vute a sua intercessione. Circa un anno fa mi fu mostrato un fascio di
relazioni scritte sopra molte sanazioni che i fedeli avevano ottenute ri-
correndo alle preghiere di lui. Tra queste ve ne erano almeno tre che
presentavano le note di sanazioni veramente miracolose.
Perciò sono persuaso che, intraprendendone la causa, essa avrà
esito felice.
Accolga i miei ossequi e mi raccomandi al Signore.
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