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Introduzione
Discorso di Giovanni Paolo II…………………………………………………………
I. Indizione della assemblea nazionale sulla scuola cattolica (Card. Camillo Ruini)…
II. Documento Preparatorio (a cura del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica)…
IX. Una risposta profetica alla nuova domanda educativa (Cesare Scurati)………
XI. Per una cultura della qualità nella scuola cattolica: promozione e verifica.
Presentazione della prima ricerca nazionale del CSSC (Bruno Stenco)…
XIV. Presentazione dei laboratori (A cura del Centro Studi Scuola Cattolica)…..
Metodologia di lavoro per i laboratori………………………………………
Laboratorio N.1. Le riforme scolastiche. Scheda di lavoro…………………
Laboratorio N.1. Le riforme scolastiche. Sintesi del lavoro dei gruppi
(Rapporteur: Luciano Corradini)
Laboratorio N.2. I contenuti essenziali dell'offerta educativa. Scheda di lavoro…
Laboratorio N.2. I contenuti essenziali dell'offerta educativa. Sintesi del lavoro
dei gruppi (Rapporteur: Sira Serenella Macchietti)……………………..
Laboratorio N.3. Valorizzazione dei soggetti nella scuola. Scheda di lavoro…….
Laboratorio N.3. Valorizzazione dei soggetti nella scuola.. Sintesi del lavoro dei
gruppi (Rapporteur: Enrica Rosanna)……………………………………
Laboratorio N.4. Istruzione e formazione professionale. Scheda di lavoro………
Laboratorio N.4. Istruzione e formazione professionale. Sintesi del lavoro dei
gruppi (Rapporteur: Dario Nicoli)………………………………………..
Laboratorio N.5. Scuole cattoliche in difficoltà gestionali: proposte di soluzione.
Scheda di lavoro…………………………………………………………...
Laboratorio N.5. Scuole cattoliche in difficoltà gestionali: proposte di soluzione.
Sintesi del lavoro dei gruppi (Rapporteur: Francesco Ciccimarra)………..
Laboratorio N.6. Scuola cattolica, comunità cristiana e territorio. Scheda di lavoro..
Laboratorio N.6. Scuola cattolica, comunità cristiana e territorio. Sintesi del lavoro
dei gruppi (Rapporteur: Sergio Lanza)…………………………………….
PARTE V: LE CONCLUSIONI
XVI. Conclusioni Operative (a cura del Consiglio Nazionale Scuola Cattolica e del Centro
Studi Scuola Cattolica)
PRESENTAZIONE
SAPER ASCOLTARE LA SCUOLA CATTOLICA
PER CAPIRE CIO’ CHE ESSA CI CHIEDE
1. L’Assemblea si è svolta con ampia libertà di dibattito e di proposta non in una logica
rivendicativa contro qualcuno o qualche cosa, e neppure in una logica contrattuale fra poteri
forti, ma in una direzione promozionale dei diritti della persona e perciò di tutti i soggetti della
scuola cattolica come capace da una parte di potenziare la qualità educativa delle scuole e
dall'altra di fondare un progetto di democrazia sociale per tutti.
L’Assemblea ha quindi inteso riaffermare:
a) il diritto-dovere dell’Ente gestore di garantire la identità educativa delle proprie scuole;
b) il diritto-dovere dei docenti alla libertà di scelta professionale e didattica volta alla
promozione dell'insegnamento da una funzione più espositive e ripetitiva a una più interpretativa
e innovativa;
c) il diritto-dovere dei genitori non solo alla libera scelta della scuola per i propri figli, cosa che
dovrebbe essere in sé estremamente ovvia, ma anche e soprattutto a una presenza culturale
coerente con i propri convincimenti personali e con la loro esperienza di vita familiare;
d) il diritto-dovere degli alunni di compartecipazione attraverso l'espressione della domanda
educativa che va sempre più profondamente capita e anche meglio strutturata perché sia
maggiormente di stimolo all’insieme dei soggetti della scuola;
e) il diritto-dovere del territorio e perciò dei suoi mondi vitali di partecipare con la propria
identità alla creazione di cultura critica per la scuola;
f) il diritto-dovere del "sistema" di Scuola cattolica di interagire con tutte le altre scuole statali e
non statali e le altre agenzie formative al fine di concorrere al miglioramento degli esiti educativi
per un servizio qualificato alla società..
Tutto questo a fondazione di un diritto permanente e di uno completamente nuovo: quello
dello Stato a un intervento regolativo di garanzia e di promozione per fini di bene comune; e
quello di un sistema nazionale di valutazione, che sia autonomo rispetto alle strutture
ministeriali.
La centralità dei soggetti personali e della loro libertà concreativa di educazione si avvia
ad essere l’emblema distintivo della Scuola cattolica nel suo insieme.
Certo: il mondo giovanile che popola le nostre scuole ci fa avvertiti che la vera sfida che
attraversa il nostro tempo è la irrilevanza di Dio e la vera antitesi, oggi, della fede, non è
l’ateismo, bensì l’idolatria; tuttavia questo mondo giovanile ci propone anche il proprio bisogno
di sicurezza, di oggettività, la propria ricerca di spiritualità che, se è più un riflettere sulle proprie
esperienze interiori e non ancora ricerca di Dio, è pur sempre la scoperta oggettiva di un Altro
non riducibile a un idolo a cui servire, e neppure a una proiezione di se stessi a cui tutti debbano
servire.
E’ insomma un bisogno di dare consistenza e razionalità nuove al principio della soggettività ciò
che i nostri giovani oggi ci offrono nella scuola.
2
2. Presentare, quindi, gli Atti di una "Assemblea che continua" non è tanto sottolineare gli
elementi più rilevanti di un fatto concluso, per consegnare alla Storia un documento, ma significa
prima di tutto interpretare la voce collettiva del popolo di Dio che è nella scuola, per poter
proporre a tutta la comunità cristiana e alle persone interessate alla educazione un cammino da
percorrere assieme e quindi un qualcosa ancora da fare per tutti.
2.1. Pur nella difficoltà del momento presente, ma ogni presente ha le sue difficoltà, la Scuola
cattolica può veramente rappresentare un elemento di coagulo per la partecipazione della gente
comune ai problemi della vita associata e per quella edificazione della democrazia civile che
superi la semplice democrazia rappresentativa politica, e inneschi un processo virtuoso di
adeguamento della società ai problemi della qualità della vita.
L’Assemblea è stata uno evento esemplare per le persone di buona volontà educativa, e ha
trasmesso un senso di ottimismo perché ha messo in evidenza che non è solo la educazione ad
aver bisogno della scuola, ma è la stessa promozione della società civile e la riqualificazione
della politica che chiedono alla scuola di essere sempre più e sempre meglio se stessa.
2.2. L’Assemblea di piazza S. Pietro è stata una testimonianza di stima e di apprezzamento della
Scuola cattolica, e quindi ha espresso una convinzione tipica di popolo che la fede cristiana può
ancora dare molto a una educazione che è e deve rimanere di natura scolare. Infatti, proprio
perché attenta al dono gratuito della trascendenza è in grado non solo di organizzare la vita delle
persone, ma anche di offrire ad essa un supplemento di senso, e perciò di gusto e di gioia di
vivere.
La Settimana Sociale dei Cattolici Italiani e l’Assemblea Nazionale sulla Scuola cattolica sono
stati concorde nel vedere in questa capacità semantica del cattolicesimo, e quindi nell’offerta di
significati, lo specifico della presenza dei Cattolici nella vita pubblica.
Il binomio ragione-fede e ragione-vita può veramente essere generativo della specificità
educativa di qualsiasi scuola perché diventa elemento essenziale di una cultura fondata sulla
polarità "fatto da capire - mistero da vivere".
Quindi in qualsiasi scuola una razionalità trascendente può sempre trovare posto perché può
agire da criterio epistemologico e cioè verificativo del tipo di servizio che la razionalità delle
singole discipline può rendere alla persona umana.
2.3. Il dibattito interno all’Assemblea, specialmente nei laboratori, e la ripercussione
nell’opinione pubblica sono serviti a spazzare via tanti pseudo problemi che incrostavano e
appesantivano l’essenziale educativo della scuola, anche se permangono come mentalità di
persone o di gruppi particolari.
L’aver posto al centro la domanda educativa degli alunni ha significato superare definitivamente
anche nella scuola il primato dell’istituzione e della sua offerta a favore della persona e della sua
domanda.
Certo, percepiamo ancora forti e radicate resistenze alla libertà di intrapresa scolastica, ma esse
non possono più presentarsi come esigenze del fatto educativo in se stesso. Una scuola è valida
se è buona e ben fatta, e la fede dei credenti può essere strumento e mezzo per una "scuola
buona".
Ma soprattutto l’esperienza della Scuola cattolica ha dimostrato che si può fare una proposta
culturale che non si esaurisce nella scuola, ma è capace di fondare la libertà delle persone e
perciò di diventare da programma scolastico, programma sociale.
2.4. Infine, la scuola cattolica si è presentata nell’Assemblea come una scuola profetica e cioè
capace non solo di restituirci un passato, o di gestire meglio un presente, ma anche di superarli
come non definitivi per fare posto al "radicalmente nuovo" nella forma più positiva possibile.
3. Se volessimo quindi riassumere l’essenziale della Scuola cattolica di oggi dovremmo parlare
di un alto profilo di scuola che si concentra in due dimensioni nuove e in due aspirazioni
rinnovate
3
3.1. La Scuola cattolica ambisce ad essere scuola a dimensione profetica, cioè scuola dell’oltre
rispetto al presente e dell’oltre anche rispetto a se stessa;
3.2. la Scuola cattolica vuole essere scuola dialogante e quindi scuola in cui tutti i soggetti della
stessa possono realizzare una dinamica di richiesta-offerta e anche scuola in rapporto critico e
costruttivo con qualsiasi realtà che produca educazione o induca diseducazione.
3.3. Vorremmo, ed è il desiderio più forte che posso esprimere come Vescovo responsabile della
Commissione Episcopale per l'Educazione Cattolica, la Cultura, la Scuola e l'Università della
C.E.I, che la Scuola cattolica diventi un elemento costante e normale della ordinaria pastorale
della Chiesa.
3.4. Vorremmo che la Scuola cattolica, da fatto pedagogico, capace di una educazione più
completa dei propri alunni, diventi anche luogo di educazione permanente dei soggetti della
scuola stessa, e perciò luogo di protagonismo sociale, in cui i primi e più evidenti impegni siano
la costruzione dei corpi sociali intermedi e la ricerca e precisazione delle nuove funzioni della
politica e del tipo di presenza dei Cattolici in essa. Non è nelle nostre intenzioni un Cattolicesimo
padrone della Società civile e una Politica deprivata da impegni morali ed educativi, ma è certo
che occorre saper indicare un impegno per i Cattolici all’interno di questi due percorsi così come
essi si presentano nella coscienza contemporanea.
4. Il volume che sono lieto di presentare contiene gli atti dell'Assemblea Nazionale sulla Scuola
Cattolica che si è tenuta a Roma dal 27 al 30 ottobre 1999. Di questo evento essa segue i vari
momenti significativi ad iniziare dall'ultimo sul piano temporale che, però, è stato il primo a
livello di prospettive e della condivisione profonda e partecipata degli oltre 200.000 presenti:
l'assemblea di Piazza S. Pietro e il discorso di S. S. Giovanni Paolo II. L'evento è stato preparato
accuratamente sia mediante la predisposizione di un documento di lavoro, sia attraverso la
celebrazione di sei assemblee interregionali (Parte I). L'incontro si è aperto il 27 ottobre con la
introduzione di S. E. Mons. Nosiglia e gli orientamenti autorevoli contenuti nella prolusione di
S. Em.za il Card Ruini (Parte II). L'assemblea è entrata nel vivo con sette relazioni (Proff.
Verhack, Malizia, Grassi, Scurati, Garancini, Stenco e Zani) che hanno delineato le
caratteristiche della Scuola Cattolica come laboratorio profetico del nuovo (Parte III). Le
prospettive sono state discusse dalla tavola rotonda del 29 novembre con la partecipazione
dell'On. Belinguer, Ministro della Pubblica Istruzione, del Dott. D'Antoni, Segretario Nazionale
della CISL, del Dott. Fossa Presidente della Confindustria e del Dott.Romiti, Presidente di RCS
editori; a loro volta i laboratori (presieduti dai Proff. Corradini, Macchietti, Rosanna,
Colasanto, Ciccimarra e Lanza) hanno permesso di tracciare gli orientamenti per la Scuola
Cattolica del futuro (Parte IV). Da ultimo, S. E. Mons. Antonelli ha compiuto un primo tentativo
di sintesi conclusiva, mentre un bilancio completo con l'indicazione di proposte operative è
venuto dalla riflessione successiva del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica e del Centro
Studi. Ringrazio in particolare quest'ultimo per il lavoro di redazione del testo.
Da ultimo, va sottolineato che il volume non solo offre gli Atti dell'Assemblea, ma costituisce il
secondo Rapporto Annuale sulla Scuola Cattolica in Italia. Infatti, nessun altro evento del 1999
poteva rappresentare così efficacemente il cammino della Scuola Cattolica durante l'anno
trascorso.
5. Certamente l'impegno che gli Atti e il Rapporto prospettano sembra a prima vista un compito
immane, oseremmo dire impossibile, ma proprio per questo doverosamente fattibile almeno dai
credenti.
La fede in Dio, la speranza e la fiducia nell’umano, la capacità di collaborazione fra persone,
rappresentano quella ‘porta giubilare’ della Scuola cattolica, capace di mettere in rapporto
costruttivo l’interno della Scuola cattolica con tutto ciò che finora era apparso esterno o separato
da essa.
4
1
scente, del giovane, di reciproco sostegno con le famiglie, di
capacità di cogliere anticipatamente, con l'intuizione che viene
dall'amore, i bisogni e i problemi nuovi che sorgono col mutare
dei tempi. Un tale patrimonio vi mette nelle condizioni migliori
per individuare risposte efficaci alla domanda educativa delle
giovani generazioni, figlie di una società complessa, attraversata
da molteplici tensioni e segnata da continui cambiamenti: poco
capace, quindi, di offrire ai suoi ragazzi e ai suoi giovani chiari
e sicuri punti di riferimento.
Nell'Europa unita che si va costruendo, dove le tradizioni
culturali delle singole nazioni sono destinate a confrontarsi, in-
tegrarsi e fecondarsi reciprocamente, è ancora più ampio lo spa-
zio per la scuola cattolica, di sua natura aperta all'universalità e
fondata su un progetto educativo che evidenzia le radici comuni
della civiltà europea. Anche per questa ragione è importante che
in Italia la scuola cattolica non si indebolisca, ma trovi piuttosto
nuovo vigore ed energie: sarebbe ben strano, infatti, che la sua
voce divenisse troppo flebile proprio in quella nazione che, per
la sua tradizione religiosa, la sua cultura e la sua storia, ha un
compito speciale da assolvere per la presenza cristiana nel con-
tinente europeo (cfr. Lettera ai Vescovi italiani del 6 gennaio
1994, n. 4).
3. Cari amici della scuola cattolica italiana, voi sapete però per
esperienza diretta quanto difficili e precarie siano le circostanze
in cui la maggior parte di voi si trova ad operare. Penso alla di-
minuzione delle vocazioni nelle Congregazioni religiose, sorte
con lo specifico carisma dell'insegnamento; penso alla difficoltà
per molte famiglie di sobbarcarsi l'onere aggiuntivo che conse-
gue, in Italia, alla scelta di una scuola non statale; penso con
profondo rammarico ad Istituti prestigiosi e benemeriti che, an-
no dopo anno, sono costretti a chiudere.
Il principale nodo da sciogliere, per uscire da una situazione
che si sta facendo sempre meno sostenibile, è indubbiamente
quello del pieno riconoscimento della parità giuridica ed eco-
nomica tra scuole statali e non statali, superando antiche resi-
stenze estranee ai valori di fondo della tradizione culturale eu-
ropea. I passi recentemente compiuti in questa direzione, pur
apprezzabili per alcuni aspetti, restano purtroppo insufficienti.
Mi unisco, dunque, di cuore alla vostra richiesta di andare
oltre con coraggio e di porvi in una logica nuova, nella quale
non soltanto la scuola cattolica, ma le varie iniziative scolasti-
2
che che possono nascere dalla società siano considerate una ri-
sorsa preziosa per la formazione delle nuove generazioni, a
condizione che abbiano gli indispensabili requisiti di serietà e di
finalità educativa. E' questo un passaggio obbligato, se voglia-
mo attuare un processo di riforma che renda davvero più mo-
derno e più adeguato l'assetto complessivo della scuola italiana.
4. Mentre chiediamo con forza ai responsabili politici e istitu-
zionali che sia rispettato concretamente il diritto delle famiglie e
dei giovani ad una piena libertà di scelta educativa, dobbiamo
rivolgere con non minore sincerità e coraggio lo sguardo al no-
stro interno, per individuare e mettere in atto ogni opportuno
sforzo e collaborazione, che possano migliorare la qualità della
scuola cattolica ed evitare di restringere ulteriormente i suoi
spazi di presenza nel Paese.
Fondamentali, sotto questo profilo, sono la solidarietà e la
simpatia di tutta la comunità ecclesiale, dalle diocesi alle par-
rocchie, dagli istituti religiosi alle associazioni ed ai movimenti
laicali. La scuola cattolica rientra, infatti, a pieno titolo nella
missione della Chiesa, così come è al servizio dell'intero Paese.
Non devono esistere, dunque, zone di estraneità o di indifferen-
za reciproca, quasi che altra cosa fossero la vita e l'attività ec-
clesiale, altra la scuola cattolica ed i suoi problemi. Sono, per-
tanto, assai lieto che la Chiesa italiana si sia dotata, in questi
anni, di organismi come il Consiglio Nazionale della Scuola
Cattolica e il Centro Studi per la Scuola Cattolica: essi espri-
mono sia la sollecitudine della Chiesa per la scuola cattolica sia
l'unità della scuola cattolica stessa e il suo impegno di riflessio-
ne progettuale.
Assai importante, in concreto, è la realizzazione di efficaci
forme di raccordo tra le Diocesi, gli Istituti religiosi e gli Orga-
nismi laicali cattolici operanti nell'ambito della scuola. In molti
casi appare utile, o necessario, mettere in comune iniziative,
esperienze e risorse, per una collaborazione ben ordinata e lun-
gimirante, che eviti sovrapposizioni e inutili concorrenze tra
Istituti ed invece punti non solo ad assicurare la permanenza
della scuola cattolica nei luoghi dove essa è tradizionalmente
presente, ma anche a consentire suoi nuovi insediamenti, sia
nelle zone di maggiore povertà sia nei settori nevralgici per lo
sviluppo del Paese.
5. La capacità educativa di ogni istituzione scolastica dipende in
grandissima misura dalla qualità delle persone che ne fanno
3
parte e, in particolare, dalla competenza e dedizione dei suoi
insegnanti. A questa regola non sfugge certo la scuola cattolica,
che si caratterizza principalmente come comunità educante.
Mi rivolgo, perciò, con affetto, gratitudine e fiducia anzitutto
a voi, docenti della scuola cattolica, religiosi e laici, che spesso
operate in condizioni di difficoltà e con forzatamente scarsi ri-
conoscimenti economici. Vi chiedo di dare sempre un'anima al
vostro impegno, sostenuti dalla certezza che attraverso di esso
partecipate in modo speciale alla missione che Cristo ha affida-
to ai suoi discepoli.
Con lo stesso affetto mi rivolgo a voi alunni e alle vostre fa-
miglie, per dirvi che la scuola cattolica vi appartiene, è per voi,
è casa vostra e quindi non vi siete sbagliati a sceglierla, ad
amarla e a sostenerla.
Carissimi amici che siete presenti in questa Piazza e voi tutti
che condividete i medesimi intenti, concludiamo questa Assem-
blea Nazionale con un’umile preghiera al Signore e con un forte
impegno reciproco, perché la scuola cattolica possa corrispon-
dere sempre meglio alla propria vocazione e vedere riconosciu-
to il posto che le spetta nella vita civile dell'Italia.
Maria Santissima, Sede della sapienza e Stella dell'evange-
lizzazione, e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato il cam-
mino dell'educazione cristiana e della scuola cattolica guidino e
sostengano la vostra opera.
4
PARTE I
LA PREPARAZIONE DELL'ASSEMBLEA
1
all’impegno delle istituzioni nel riqualificare il sistema scola-
stico nazionale, ha costituito il Consiglio Nazionale della Scuo-
la Cattolica e il Centro Studi sulla Scuola Cattolica. L’uno e
l’altro hanno il compito di coordinare e promuovere la scuola
cattolica rendendo più espliciti al mondo civile e politico i ter-
mini giuridici e culturali necessari per giungere, attraverso la
legge paritaria, al pieno riconoscimento del servizio pubblico
che essa svolge.
L’avviato processo di integrazione europea provoca l’Italia a
confrontare il proprio assetto scolastico con quello degli altri
Paesi e ad adottare, in tema di parità scolastica, le soluzioni utili
a colmare le carenze che impediscono ai cittadini di fruire di
uguali opportunità dentro un sistema pubblico integrato. Altre
importanti questioni legate alla scuola sollecitano l’attenzione e
l’impegno della comunità cristiana: l’abbandono scolastico,
l’emarginazione sociale, la devianza giovanile, il numero cre-
scente di famiglie fragili e smarrite sul piano educativo, la
preoccupante eclissi delle forti tensioni ideali, l’esigenza di ri-
definire una adeguata mappa dei saperi trasmissibili alle giovani
generazioni.
Allo scopo di favorire nel Paese un’ampia e forte riflessione
sul rinnovamento della scuola e per migliorarne la qualità cul-
turale e spirituale, la scuola cattolica, quale parte integrante del
servizio scolastico nazionale, intende dare il suo specifico con-
tributo in collaborazione e dialogo con la scuola statale e con le
altre scuole non statali.
Di qui la proposta dei Vescovi italiani di convocare
un’Assemblea nazionale, che contribuisca a far maturare nel
nostro Paese l’idea che la scuola del futuro, intesa come istitu-
zione moderna e più adeguata a rispondere alle nuove istanze
socio-culturali, dovrà sollecitare i soggetti che la compongono e
la società civile ad un più responsabile coinvolgimento nella sua
diretta gestione. Da parte del mondo cattolico si tratta di offrire
un contributo qualificato e originale alle riforme in corso del
nostro sistema di istruzione e di formazione, nonché di rilan-
ciare, nel contesto del pluralismo culturale e istituzionale, la
scuola cattolica come laboratorio di una specifica proposta
educativa.
Il tema dell’Assemblea: “Per un progetto di scuola alle so-
glie del XXI secolo”, riesprime la convinzione della comunità e
della scuola cattolica stessa di voler continuare, in qualunque
2
situazione, l’impegno educativo verso tutti i ragazzi e giovani,
particolarmente verso i più svantaggiati, confidando nel con-
senso e nella fiducia delle famiglie e del popolo italiano.
L’Assemblea nazionale comporta una fase di intensa prepa-
razione che, nei prossimi mesi, sarà sostenuta anche da incontri
interregionali in cui si affronteranno gli argomenti centrali del
documento di base, predisposto dal Consiglio Nazionale della
Scuola Cattolica. È indispensabile che, fin da questo primo
momento, siano coinvolti tutti i soggetti interessati: famiglie,
docenti, alunni, comunità ecclesiale e civile.
Guardiamo a questa iniziativa con speranza cristiana, soste-
nuta dalla consapevolezza che Dio Padre, sul quale stiamo me-
ditando in questo ultimo anno di preparazione al Grande Giubi-
leo, non negherà il suo aiuto a chi glielo chiede con fede. Ci in-
coraggia nell’impegno quanto viene affermato nel recente do-
cumento della Congregazione per l’educazione cattolica “La
scuola cattolica alle soglie del terzo millennio”: “l’impegno
nella scuola risulta essere compito insostituibile, anzi diviene
scelta profetica l’investire nella scuola cattolica in uomini e
mezzi” (n. 21).
Camillo
Card. Ruini
Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana
3
DOCUMENTO PREPARATORIO
PRESENTAZIONE
“Per un progetto di scuola alle soglie del XXI secolo”. È il titolo della Assemblea
Nazionale sulla scuola cattolica che si svolgerà a Roma, presso l’Hotel Ergife (Via Au-
relia) nei giorni 27-29 del prossimo mese di ottobre e che si concluderà sabato 30 otto-
bre con una grande manifestazione-incontro in Piazza San Pietro con la presenza del
Santo Padre.
La proposta di un secondo incontro nazionale sulla scuola cattolica è maturata in
seno al Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica, è stata poi presentata alla Com-
missione Episcopale per l’educazione cattolica, la cultura, la scuola e l’università, riu-
nita a Collevalenza nel novembre 1998, e da questa approvata e incoraggiata. Succes-
sivamente è stata illustrata dal Presidente della Commissione, S.E. Mons. Egidio Ca-
porello, durante i lavori del Consiglio Permanente della C.E.I. che l’ha avallata.
Il Presidente della C.E.I., Card. Camillo Ruini, con una sua lettera ha indetto
l’Assemblea Nazionale e ha presentato il documento preparatorio, elaborato dal Con-
siglio Nazionale; esso costituisce lo strumento-guida per la riflessione e per la elabora-
zione dei contenuti e dei suggerimenti da far confluire nella Assemblea Nazionale.
+ Cesare Nosiglia
Presidente del Consiglio Nazionale
della Scuola Cattolica
1
1. PERCHÉ UN’ASSEMBLEA NAZIONALE SULLA SCUOLA CATTOLICA
1.1. Molteplici, anche se più o meno presenti e avvertite nella coscienza dell’intera
comunità ecclesiale e delle Chiese locali, sono oggi le ragioni che giustificano la con-
vocazione di una Assemblea sulla scuola cattolica dopo il primo Convegno Nazionale
del 19911. Tali ragioni chiedono di essere riconosciute come segni dei tempi, come ap-
pelli dello Spirito a far sì che la scuola cattolica nel nostro Paese sia sempre più fedele
ed efficace nel suo specifico servizio di evangelizzazione e di promozione umana e, allo
stesso tempo, capace di inserirsi con dinamicità e creatività nell’attuale cambiamento in
atto.
Il primo Convegno, nello spirito del documento La scuola cattolica, oggi, in Italia2,
contribuì a confermare il carattere ecclesiale della identità della scuola cattolica e i tratti
distintivi del suo servizio a Dio e all’uomo mediante la cultura e l’educazione. La scuola
cattolica, pur nella diversità delle sue molteplici forme gestionali e organizzative, volle
ricondurre alla comunità ecclesiale le ragioni fondanti del suo progetto educativo; da
parte sua, la comunità ecclesiale si pose in atteggiamento di ascolto e di servizio anche
costituendo gli organismi unitari della scuola cattolica presso la C.E.I.: il Consiglio Na-
zionale della Scuola Cattolica (CNSC) e il Centro Studi per la Scuola Cattolica (CSSC).
Occorreva quindi che la scuola cattolica si impegnasse con urgenza per dare alla propria
cultura e alle strutture una organizzazione scientificamente riconoscibile, dotandole di
efficacia operativa. Era cioè necessario incominciare a costruire “quel sistema integrato
di servizio scolastico, in cui le strutture predisposte dai pubblici poteri e quelle istituite
e/o gestite da soggetti diversi si integrano e si coordinano nell’unico fine comune di ga-
rantire alle nuove generazioni il necessario grado di istruzione e alle famiglie il supporto
per la loro missione educativa, in spirito di servizio e senza alcuna finalità di lucro”3. Il
fatto che le più evidenti concretizzazioni del primo Convegno, il CNSC e il CSSC, ab-
biano avuto un avvio lento e faticoso, e che la pastorale della scuola si trovi ad affronta-
re problemi sempre nuovi, rivelano quanto ancora resti da approfondire e da fare. Del
resto, il Papa, a conclusione di quel primo Convegno, affermava: “il primo impegno è di
essere scuola e quindi luogo di cultura e (…) tale scopo è da ricomprendere ininterrot-
tamente perché sia aderente a una realtà così mutevole e insieme bisognosa di intervento
competente, tempestivo e coraggioso”4. È necessario, quindi, riprendere l’iniziativa per
portare a compimento quanto delineato nel primo Convegno dai punti di vista sia eccle-
siale che civile e, nello stesso tempo, occorre individuare e tracciare nuove strategie di
azione.
1.2. Nella significativa assise ecclesiale di Palermo del 1995 si è detto che la comunità
cristiana deve incontrare i ragazzi e i giovani là dove sono5. L’accentuarsi della “com-
plessità” di un mondo giovanile i cui tratti appaiono oggi più che mai imprecisi, assimi-
labili a quelli di una nebulosa, con stratificazioni diverse e con percorsi differenziati,
con linguaggi e pratiche che si giustappongono, quando addirittura non si oppongono ed
escludono reciprocamente, interpella più che mai la responsabilità della comunità eccle-
siale. In questa fisionomia poco omogenea, variegata e sfaccettata si evidenzia il riflesso
della realtà sociale e culturale in cui concretamente si muovono i giovani, sempre più
carichi di insicurezze, di insoddisfazioni e di contraddizioni e attratti da modelli di vita
1 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La presenza della scuola cattolica in Italia. Atti del I Convegno nazio-
nale (Roma, 20-23 novembre 1991), La Scuola, Brescia 1992.
2
COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, oggi, in Italia (25 agosto 1983).
3 COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, oggi, in Italia, n. 78.
4 GIOVANNI PAOLO II, Discorso a conclusione del I Convegno Nazionale sulla scuola cattolica, n. 4 in
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La presenza della scuola cattolica in Italia, p. 13.
5 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia. Atti del III
Convegno Ecclesiale (Palermo, 20-24 novembre 1995), AVE, Roma 1997.
2
ispirati al consumismo, all’utilitarismo pragmatico ed alla fuga privatistica
nell’immediato. Non si può certo ignorare che, da una considerazione più attenta, essi
risultano anche portatori di valori educativi di tipo espressivo e solidaristico (spontanei-
tà, fraternità, ecc.) ed appaiono ricchi di energie e di esigenze ben più profonde di quello
che taluni avvenimenti di cronaca potrebbero indurre a credere.
“La scuola è indubbiamente crocevia sensibile delle problematiche che agitano que-
sto inquieto scorcio di fine millennio” e la scuola cattolica viene “a confrontarsi con
giovani e ragazzi che vivono la difficoltà del tempo presente”6.
Anche per queste ragioni i Vescovi italiani recentemente hanno esortato a “far cre-
scere l’attenzione attorno alla scuola, diffondere un’adeguata visione antropologica della
trasmissione del sapere, affermare gli spazi della libertà e del pluralismo, coltivare vo-
cazioni educative”7. E hanno invitato a rilanciare le associazioni e i movimenti, a raf-
forzare l’insegnamento della religione, a sostenere la scuola cattolica.
Dato che “il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni, che,
nate in questo secolo, saranno mature nel prossimo, il primo del nuovo millennio”8, la
scuola cattolica deve “essere in grado di fornire ai giovani gli strumenti conoscitivi per
trovare posto in una società fortemente caratterizzata da conoscenze tecniche e scienti-
fiche, (...) deve poter dare loro una solida formazione orientata cristianamente”9.
Per attuare questo impegno occorre considerare nuove situazioni rispetto alle quali
far maturare una consapevolezza più acuta e attenta.
3
adulti, con possibilità di utilizzare i locali della scuola intesa come “centro sociale”
aperto in orari pomeridiani, feriali e festivi. In questa linea molte agenzie potranno sti-
pulare convenzioni con il Ministero della Pubblica Istruzione e collaborare con la scuola
dell’autonomia per organizzare attività integrative, sportive e facoltative all’interno de-
gli edifici scolastici, durante gli orari curricolari ed extra-curricolari. La scuola cattolica
dovrà necessariamente inserirsi, con capacità creativa, in questo processo di cambia-
mento ormai pienamente avviato.
4
lica sia perché, su un piano più generale, la scuola è ormai rimasta l’unico ambito in cui
la maggioranza degli italiani può accedere al patrimonio sociale e alla memoria stori-
co-culturale della nostra civiltà sia perché, in modo particolare, la scuola cattolica è il
luogo peculiare in cui la comunicazione critica e sistematica della cultura, in ordine alla
formazione integrale della persona, viene coordinata con il messaggio della salvezza at-
traverso una riflessione che impegna la ragione in un confronto con la dimensione della
Trascendenza.
Per questo è necessario “presentare alla comunità ecclesiale e all’opinione pubblica
italiana, il volto di una scuola che intende dare il proprio specialissimo contributo al
rinnovamento scolastico in vista del terzo millennio e della unità europea, ponendo al
centro la persona dell’alunno, il riferimento primario alla famiglia e alla società”10.
Occorre quindi delineare alcune finalità “alte” per la scuola, e segnatamente per la
scuola cattolica del futuro, da proporre come quadro di riferimento di un’Assemblea cui
spetterà di indicare soluzioni operative, nella logica che caratterizza in modo peculiare
la nostra professionalità educativa: quella cioè di una più viva e convinta relazione di
reciprocità tra scuole chiamate a “lavorare assieme” e, specialmente se in difficoltà, ad
aiutarsi.
2.1. Una prima finalità viene chiaramente indicata dalle seguenti affermazioni tratte
dal documento La scuola cattolica, oggi, in Italia: “La Chiesa italiana ritiene perciò di
dover riconfermare da una parte la disponibilità della scuola cattolica ad essere fattore di
sviluppo dell’intero sistema scolastico italiano; e dall’altra, la necessità che i cattolici si
pongano davanti ai non facili problemi e alle prospettive che si presentano a tale sistema
come cittadini di questa Repubblica, senza rivendicare alcun privilegio se non i propri
diritti costituzionali, ma pronti a costruire le condizioni perché vengano effettivamente
attuati i diritti di tutti”11.
Senza presunzione, ma anche senza debolezze, la scuola cattolica vuole porsi come
forza trainante dei diritti di tutti offrendo, anche attraverso l’Assemblea Nazionale, un
contributo specifico/originale alla riforma in corso di tutto il sistema di istruzione e di
formazione del nostro paese. Possiamo esprimere questa intenzionalità con le stesse pa-
role usate dal Papa in occasione della recente beatificazione dell’avv. G. Tovini: “La
Chiesa richiama i capisaldi dell’etica e lo fa non con la pretesa di imporre una sua disci-
plina, quanto con la convinzione di riproporre una verità che tutti possono cogliere
nell’intimo di se stessi”.
Se la scuola cattolica elabora una sua proposta educativa, chiara, inequivocabile e
ben distinguibile, non è per separarsi o contrapporsi ad altri, ma perché sa che, soprat-
tutto all’interno dell’avviato processo di autonomia, la collaborazione educativa nasce
solo tra soggetti che sanno bene chi sono e a che cosa possono o non possono rinuncia-
re. Peraltro essa è consapevole di non svolgere il suo compito da sola e neppure per se
stessa, bensì di volersi porre al servizio dell’intera comunità nazionale e al confronto
con altre agenzie ed esperienze scolastico-educative.
La “società delle differenze” o società complessa, nella quale viviamo, deve poter
essere valorizzata come società pluralista anche nella sua capacità di produrre una of-
ferta educativa molteplice e differenziata che si incarna in istituzioni scolastiche e for-
mative diverse, dotate di una reale autonomia progettuale e gestionale, ma perfettamente
eguali e paritarie per la funzione pubblica che svolgono a tutto vantaggio della stessa
pluralità e vitalità sociale.
2.2. Una seconda finalità per la scuola cattolica, nel contesto dell’attuale società ita-
10 MONS. C. NOSIGLIA, Intervento al Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (25 giugno 1998).
11 COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, oggi, in Italia, n. 77.
5
liana, culturalmente policentrica, in cui l’identità cattolica ha cessato di essere fattore
condiviso, è quella di diventare laboratorio profetico del nuovo nella cultura e nel socia-
le e perciò di essere essa stessa radicalmente nuova. Per essere all’altezza di questa sfida
occorre veramente ripensare tutto il sistema della scuola cattolica italiana a fronte delle
nuove esigenze che la società nel suo insieme va continuamente ponendo.
In particolare, si dovrà riprogettare l’offerta formativa e culturale di base della
scuola cattolica in modo da fare sintesi tra vita, cultura e fede. E questa sintesi deve es-
sere resa visibile “facendo emergere all’interno stesso del sapere scolastico la visione
cristiana sul mondo, sulla vita, sulla cultura e sulla storia”12.
2.3. Nel contesto di una situazione generale in cui la scuola è chiamata ad elaborare
un “sapere per la vita”13capace di esprimere ed al contempo permeare i mondi vitali in
cui si svolge concretamente la vita del fanciullo o del giovane da educare, la scuola cat-
tolica non può non porsi il problema delle soggettività che la animano e delle loro fun-
zioni peculiari e qualificanti.
Ma, appunto, quali soggettività? Quale la specifica funzione di ognuna di esse nella
scuola cattolica? Come armonizzare, con il preesistente, il nuovo “insieme educativo”?
È necessario che il Convegno fornisca un proprio contributo di riflessione capace di de-
lineare la professionalità educativa dei soggetti, “secondo un più alto profilo (...), fa-
cendo sintesi tra competenze professionali e motivazioni educative, con una particolare
attenzione alla capacità di dialogo”14.
Si tratta di una preziosa sfida che sollecita le persone che animano la scuola cattolica
a riscoprire e rinnovare la coscienza della loro identità, ritrovando i “nuclei” ispiratori
fondamentali della loro professionalità educativa e riscoprendola come un modo di es-
sere che si costruisce, come una vera e propria vocazione. In questo orizzonte potrà cre-
scere anche la consapevolezza della grande ricchezza ecclesiale e culturale che scaturi-
sce dalla condivisione della comune missione educativa, pur vissuta secondo la specifi-
cità del ministero di ciascuno (sacerdote, religioso, laico).
3. LA PROPOSTA OPERATIVA
12 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, n. 14.
13 COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, LA CULTURA, LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ, Per la scuola,
Lettera agli studenti, ai genitori, a tutte le comunità educanti (29 aprile 1995), n. 8.
14 Ibid., n. 13.
15 GIOVANNI PAOLO II, Discorso a conclusione del I Convegno Nazionale sulla scuola cattolica, n. 4 in
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La presenza della scuola cattolica in Italia, p. 13.
6
3.2. I nodi culturali da affrontare e la conseguente articolazione dell’Assemblea
Nazionale
7
gnati nella tutela dei diritti dei cittadini, tanto da poter convergere in un “patto con la
società per la scuola”.
3.3.1. I tempi
Tutte le iniziative promosse per la scuola cattolica durante il 1998-99 dovrebbero
convergere sull’Assemblea.
Inoltre, sono previsti due momenti forti:
a) uno locale (primavera 1999) nelle principali circoscrizioni del paese (nord-ovest,
nord-est, centro, sud, isole) e nelle forme e nei modi che si riterranno più opportuni;
b) uno nazionale: incontro con il Santo Padre (sabato 30 ottobre) preceduto da due
giornate di lavori assembleari.
3.3.2. I partecipanti
Va assicurata la massima rappresentatività della scuola cattolica e del mondo eccle-
siale e una presenza proporzionata del sistema di istruzione e di formazione statale e
non statale laico e della società civile nazionale ed europea.
4. PROSPETTIVE
La scuola cattolica non intende rivendicare nulla per sé e non vuole ricercare garanzie
esterne. Ciò per cui desidera essere riconosciuta, è la sua capacità di promuovere una
qualificata offerta culturale ed educativa adeguata alla realtà socio-culturale di oggi,
come risposta alla domanda formativa che sale dai giovani e dai genitori. Volendo acco-
gliere appieno le istanze di questi soggetti e, d’altra parte, volendo muoversi in direzio-
ne di un rinnovamento della scuola cattolica si propongono per l’Assemblea due linee di
riflessione:
a) promuovere nella società civile la maturazione della consapevolezza che la forma-
zione scolastica è un bene relazionale da promuovere e valorizzare con ogni mezzo
perché costituisce un vero e proprio capitale sociale, di cui fruitore ed amministratore è
non già lo Stato come apparato istituzionale, bensì la società intesa come comunità di
persone che costituisce il mondo vitale del bambino o del giovane da educare;
b) lavorare dall’interno per migliorare l’offerta educativo-culturale, rendendo più vi-
tale e propositivo il soggetto educante naturale della scuola cattolica e cioè la comunità
di fede che fa esperienza di salvezza e che, anche per questo, si costituisce come luogo
di elaborazione culturale.
L'indagine in corso a cura del CSSC: “per una cultura della qualità nella scuola cat-
tolica: promozione e verifica”, svolta in sinergia con le varie iniziative di rinnovamento
ad opera delle Federazioni e Associazioni in vista di una crescita complessiva, rappre-
senta già un primo contributo in questa direzione.
L’idea basilare che regge tutto l’impianto è quindi quella di una scuola cattolica
nuova: nuova nella sua cultura di base perché fondata su una cultura ricca di valori, i
cui contenuti specifici vengono attinti da soggettività riconosciute; nuova nella sua
struttura “popolare” di scuola che nasce ed esprime la vita di una comunità e quindi
scuola che assume come suo compito primario non tanto o solo quello di trasmettere la
cultura consolidata, ma anche quello di trasformare in cultura critica per la scuola le
esperienze concrete dei mondi vitali dai quali essa trae origine, vita e alimento. Scuola,
quindi, non solo della comunità ecclesiale, ma anche della comunità civile.
8
5. CONCLUSIONE
9
ASSEMBLEE PREPARATORIE INTERREGIONALI :
LUOGHI, TEMPI E ORGANIZZAZIONE DEGLI INCONTRI
A cura del CENTRO STUDI SCUOLA CATTOLICA1
Proprio per il radicamento nel territorio tipico della scuola cattolica, l’Assemblea
nazionale ha preso avvio e ha avuto una sua prima concretizzazione nelle Chiese particolari.
Tutti gli incontri hanno avuto una forte e interessata partecipazione delle persone e hanno trovato
un’eco proporzionata sulla stampa e nelle TV locali.
Riassumiamo, quindi, gli elementi principali di questi incontri interregionali, che servono
a comprendere come a completare l’Assemblea Nazionale sia nella sua genesi, come nel suo
riscontro con le attese, le esigenze, e le disponibilità del popolo di Dio. La presenza di Mons.
Zani (direttore dell’Ufficio Nazionale per l'Educazione, la Scuola e l'Università della C.E.I.,
UNESU) a tutte le riunioni ha garantito una omogenea presentazione degli intenti
dell’Assemblea, e una più immediata coordinazione fra gli aspetti locali e quelli nazionali.
Per chiarezza seguiremo lo stesso schema per la presentazione di tutti gli incontri.
1.1.1.Premessa
Il convegno, progettato e già avviato come incontro fra le varie associazioni della scuola,
è stato integrato e arricchito degli elementi necessari per costituirlo anche come momento di
preparazione alla Assemblea nazionale. La partecipazione, quindi, veramente notevole, è risultata
anche piuttosto composita e complessa.
Il convegno è stato introdotto da un lucido e stimolante messaggio di S.E. Mons. Carraro,
vescovo di Verona, assente per la contemporanea canonizzazione di don Calabria a Roma. La
preparazione e la organizzazione sono state curate da Mons. Lanciarotta, responsabile scuola
della Conferenza Episcopale Triveneta, in collaborazione con Don Magagnini (FIDAE
Regionale) e la Dott.ssa Gerotto (AGeSC Regionale) che hanno assicurato la più ampia
rappresentanza delle varie componenti della Scuola Cattolica.
1.1.2. Articolazione
Sono stati affrontati vari aspetti delle tematiche dell'Assemblea Nazionale e cioè quelli:
– ecclesiale-pastorale: Mons. Zani (direttore dell'UNESU della CEI);
– culturale-pedagogico: Prof. Perrone (Presidente Nazionale FIDAE);
– economico-sociale: Ing. Versari (Presidente Nazionale AGeSC);
– professionale e storico: Don Magagnin (FIDAE regionale) e Dott.ssa Gerotto (AGeSC
regionale);
1
Il saggio costituisce una sintesi a cura del Centro studi per la Scuola Cattolica delle relazioni delle sei assemblee
interregionali preparate da Edmondo Lanciarotta, Carmine Brienza, Giuseppe Di Marzo, Francesco Guerello, Dante
Carolla, Anna Maria Biancolillo e Francesco Capodanno. Il merito dello scritto – e il ringraziamento del CSSC – va
tutto a questi ultimi, mentre eventuali carenze sono da addebitare esclusivamente al CSSC.
2
– politico-amministrativo: On. Treu (Ministro dei Trasporti), On. Galan (Presidente della
Regione Veneto), On. Delfino (Sottosegretario al Ministero Pubblica Istruzione), Dott.ssa Sironi
(Sindaco di Verona), Dott. Rossi (Consigliere regionale) e Dott. Buttura (consigliere regionale).
Moderatore dell'incontro è stato il Dott. Sferrazza (giornalista RAI).
Oltre agli interventi sopracitati, hanno dato il loro contributo anche l’On. Armellin
(Presidente regionale FISM), il Dott. Gandini (Presidente regionale FICIAP) ed il Prof. De Biasi
(Presidente del Forum delle Associazioni Familiari), arricchendo così la presentazione della
realtà delle scuole cattoliche presenti ed operanti nel Triveneto.
L'aspetto politico-sociale-amministrativo è stato predominante nel Convegno,
caratterizzato dal dibattito-confronto con le autorità locali della Regione Veneto. Si tenga conto
che le altre due Regioni (Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige) hanno una legislazione
autonoma.
L'aspetto ecclesiale–pastorale ha fatto da supporto al dialogo, schietto e libero, con i politici della
zona, che è stato promosso e realizzato dalle Associazioni, Federazioni, Organismi delle Scuole
Cattoliche
1.2.1. Premessa
Numerosi i convenuti, (350) accolti dal saluto del Vescovo ausiliare e vicario episcopale
per la Scuola Cattolica S.E. Mons. Merisi.
Il convegno è stato preparato e diretto dal P. Prof. Guerello.
1.2.2. Articolazione
1.3. Emilia, Toscana, Umbria, Lazio, Marche, Sardegna: Firenze, 8 maggio 1999
1.3.1. Premessa
Numerosi i convenuti (500). I lavori sono stati presieduti da Mons. Vincenzo Savio,
vescovo ausiliare di Livorno, e delegato Conferenza Episcopale Toscana (CET) per la pastorale
scolastica.
La preparazione e l’organizzazione del convengo è stata curata da Mons. Dante Carolla, delegato
regionale per la pastorale scolastica.
3
1.3.2. Articolazione
Il convegno è stato strutturato per relazioni tematiche tenute dal Prof. Don Malizia,
Ordinario di sociologia dell'educazione all’UPS di Roma, nonché Direttore del Centro Studi per
la scuola cattolica, sul tema: "Contributi essenziali della formazione nella Scuola Cattolica", e
dalla Prof.ssa Macchietti, Ordinario di Pedagogia Generale all'Università di Siena e Presidente
nazionale dell'Associazione Pedagogica Italiana, sul rapporto scuola/territorio.
Una comunicazione di Mons. Carolla sul CODISCA (=coordinamento diocesano della scuola
cattolica) ha chiuso la mattinata.
Nel pomeriggio la tavola rotonda si è incentrata sulla specificità delle tradizioni e dei
valori della Scuola Cattolica, ma anche sulla necessità dell’apertura alle esigenze e urgenze del
mondo contemporaneo.
Significativi gli interventi della Sig.ra Simboloni, presidente AGeSC di Livorno, di Padre Toia,
presidente FIDAE Emilia–Romagna, al Dott. Alessi, presidente FISM Toscana, e di Mons.
Fiacchini, responsabile pastorale scolastica di Emilia–Romagna.
1.4.1. Premessa
Il convegno ha visto la presenza di circa 500 fra genitori, dirigenti, docenti e alunni. E’
stato presieduto da Mons. Seccia, incaricato della Conferenza Episcopale della Puglia (CEP) per
la scuola, e ha visto la partecipazione di S.E. Mons. Menichelli, vescovo di Chieti e Vasto, di
S.E. Mons. Ciliberti, arcivescovo di Matera-Irsina, e dei Vescovi rappresentanti le Regioni
interessate.
Las preparazione e l’organizzazione del convegno è stata curata dalla Prof.ssa Biancolillo,
presidente FIDAE Puglia.
1.4.2. Articolazione
1.5.1. Premessa
1.5.2. Articolazione
1.6.1. Premessa
1.6.2. Articolazione
Le due giornate hanno ruotato attorno alla relazione introduttiva di mons. Zani, alla
presentazione del prof. Savagnone, direttore ufficio scuola della CESI, alle due relazioni del
Prof. Forte, Presidente Nazionale dell'AIMC, sul tema "Educare nella società complessa" e del
Prof. Luciano Corradini, Presidente Nazionale dell'UCIIM, sulla "Risposta della Chiesa al
problema educativo".
La tavola rotonda pomeridiana: "La scuola nel quadro dell’autonomia" ha visto
l’intervento del Prof. Timpanaro, Presidente regionale UCIIM, su "Le riforme"; del Fratel Prof
Rocca, Presidente regionale FIDAE su "Il rapporto con la società"; del Dott. Perrone, Presidente
regionale AIMC, su "Il rapporto con la comunità cristiana"; del Prof. Don Paternò, Presidente
regionale CONFAP su "La formazione professionale".
Ha svolto le funzioni di moderatore il prof. Capodanno.
La partecipazione del pubblico è stata molto attiva.Segnaliamo gli interventi dei Dott.:
Arcidiacono (Presidente provinciale AIMC di Siracusa), Barreca (Delegato per la Pastorale nelle
scuole pubbliche dì Palermo), Perni (Direttore dell'Ufficio Scuola della Diocesi di Catania),
Timpanaro (Presidente dell'UCIIM-Sicilia), Adernò (Delegato della diocesi di Catania),
Capodanno (dell'Ufficio regionale scuola, organizzatore del Convegno), Rocca (Presidente della
FIDAE-Sicilia), Lombardo (Responsabile per la pastorale scolastica della Diocesi di Siracusa),
Giunta (della FISM-Sicilia), Mangiapane (di Palermo), Grisanti (direttore dell’Ufficio scuola di
Cefalù), Aletta (IRC di Catania), Massari (delegata diocesi di Ragusa).
3. Un’altra caratteristica tipica della Scuola Cattolica è stata evidenziata dalla stessa capacità dei
convegni locali di dare maggiormente VOCE EDUCATIVA ai VARI SOGGETTI DELLA
SCUOLA E AD ALCUNI ELEMENTI EDUCATIVI TIPICI DEL TERRITORIO.
3.1. Ad esempio: la capacità di individuare "i valori educativi del Sud" può costituire una
indicazione per i contenuti educativi di qualsiasi Scuola Cattolica, ancorata ad una tradizione del
territorio.
3.2. La capacità già espressa da molte scuole di rendere presenti sia i genitori come i docenti e gli
alunni, in forme spontanee e in forme strutturate, e di ritenerli interlocutori ufficiali nelle varie
situazioni, può costituire una verifica e un esempio per casi analoghi.
Più in particolare, è stata presa in esame la presenza nella Scuola Cattolica di tre soggettività
specifiche: quella docente, quella dei genitori, e quella degli alunni.
6
3.3. Quanto alla paideia del Sud essa è stata individuata nella capacità di dare forma e sostanza
nella scuola ad alcuni elementi tradizionali della cultura regionale. La semplicità della lingua e
perciò la facilità di comunicazione in una società in cui c'è poco ascolto reciproco; la virtù della
lentezza in una società della velocizzazione ad oltranza; il senso della tradizione; il valore della
famiglia; la virtù dell’accoglienza; il senso del sacrificio: sono tutti elementi di preziosità
educativa che la Scuola Cattolica può accogliere e valorizzare, proprio perché più coerente con la
specificità di una educazione cattolica.
3.4. Analoga coerenza, anzi una quasi continuità, è stata riscontrata tra le esigenze di una
professionalità docente in crescita qualitativa, i costitutivi dell’educazione familiare da rendere di
natura scolare, il senso della domanda come prima fonte di formazione degli alunni stessi, e i
valori tradizionali dell’educazione di Scuola Cattolica.
Senza la presenza di un atteggiamento euristico, e cioè di ricerca e non di sola ripetizione e
chiarificazione, tipico della nuova professionalità docente, non si può fondare la caratteristica
profetica della Scuola Cattolica.
Senza la presenza della dualità coniugale, pensata e riflessa come cultura della scuola, diventa
difficile veicolare il rapporto immanenza/trascendenza, tipico della religiosità di una Scuola
Cattolica.
Senza la comprensione del significato che la domanda educativa assume in una educazione di
natura scolare, diventa difficile garantire il primato della persona come fine, e la funzione di
mezzo sia della cultura come delle strutture scolastiche.
In sostanza, è stato messo in risalto che la crescita di un soggetto esige e produce una
maggiore e migliore presenza degli altri soggetti, e quindi la Scuola cattolica costituisce un
sistema di soggetti che si educano fra di loro; il governo di essa è in una corretta e calibrata
gestione di queste autocrescite.
Anche la stessa tematica della parità è stata vista meno come rapporto tra istituzioni e più come
presenza delle libertà specifiche dei vari soggetti, e perciò più espressione di una democrazia
sociale che della sola democrazia politica.
4. Particolare importanza e urgenza sembrano assumere due esigenze relative alla comunicazione
fra Scuole Cattoliche:
4.1. conoscere le esperienze in atto nelle varie scuole e potersi porre in rete con esse;
4.2. conoscere le varie legislazioni locali per una loro trasferibilità.
Sono state segnalate le leggi regionali sul diritto allo studio di Toscana, Emilia e Lombardia, in
cui gli elementi di maggiore significatività sembrano essere il riconoscimento di un sistema
integrato e gli assegni per il diritto allo studio, in una proporzione progressiva sempre più vicina
alla spesa effettivamente sostenuta dalla famiglia.
5. In complesso si è trattato di convegni non tanto dominati da esperti, e ristretti agli addetti ai
lavori, quanto invece caratterizzati da un incontrarsi, senza eccessivi connotati di appartenenza,
tra persone appassionate delle problematiche educative della Scuola Cattolica, desiderose di
partecipare allo sviluppo delle potenzialità educative della stessa, e interessate a capire un po’ di
più l’attuale momento della scuola italiana.
Nella generale constatazione fatta dalla gente comune, che essa non si sente né
considerata né rappresentata dalle strutture ufficiali dello Stato e del mercato, la partecipazione
alla vita della scuola sembra costituire un primo abbozzo di formazione di quei corpi sociali
intermedi che costituiscono il tessuto connettivo della società civile. E’ evidente, quindi, che la
Scuola Cattolica può continuare ad esistere se i vari soggetti della scuola e quelli al momento
estranei ma complementari ad essa incominciano a verificare che è possibile confrontarsi con
proposte formative, e rispetto ad esse è praticabile una dinamica aperta di richiesta-offerta.
7
PARTE II
ORIENTAMENTI AUTOREVOLI
INTRODUZIONE AI LAVORI
S. E. MONS. CESARE NOSIGLIA
1
viamo e la sua valorizzazione come società pluralista stimola a
ricercare forme molteplici e differenziate di offerte educative
che si esprimono in istituzioni scolastiche diverse, dotate di au-
tonomia progettuale e gestionale, ma uguali e paritarie per la
funzione pubblica che svolgono. E' la nuova frontiera che appa-
re ineludibile, anche in prospettiva Europea, per la scuola ita-
liana. Su questa frontiera la scuola cattolica vuole collocarsi
come espressione di pluralità e vitalità sociale.
Alla luce di queste considerazioni è apparso subito con evi-
denza che l'Assemblea nazionale avrebbe dovuto differenziarsi
notevolmente dal primo Convegno sulla scuola cattolica del
1991. Il taglio di quell'assise lo ricordiamo era rivolto prevalen-
temente a riflettere e programmare un più stretto rapporto della
scuola cattolica con la comunità ecclesiale, nella prospettiva
dell'umanesimo cristiano.
Questo non significa che in quella circostanza non si sia al-
largato il campo a problemi che investivano la scuola in quanto
tale e il servizio educativo e culturale di qualità da offrire alla
nuove generazioni e al Paese. Il Papa nel suo discorso conclu-
sivo affermava in proposito: “Il primo dovere della scuola cat-
tolica è quello di essere scuola e quindi luogo di cultura. Tale
scopo va ricompreso ininterrottamente perché sia aderente a una
realtà così mutevole e insieme bisognosa di intervento compe-
tente, tempestivo e coraggioso”.
E' su questa linea che si è pensato l'attuale Assemblea quasi
collegandosi idealmente al primo Convegno per completarne
l'opera, questa volta focalizzando di più e con più ampiezza e
rigore, il versante propriamente scolastico e civile del servizio
della scuola cattolica nel nostro Paese.
Richiamo alcune sintetiche considerazioni che nell'incontro
del 25 Giugno 98 sono state fatte dal Consiglio Nazionale a
proposito del contenuto scelto per indicare il titolo dell'Assem-
blea :"Per un progetto di scuola alle soglie del XXI secolo".
“Il senso di questa Assemblea – si disse allora – è quello di
presentare alla comunità ecclesiale e all'opinione pubblica ita-
liana, il volto di una scuola che intende dare il suo specialissimo
contributo al rinnovamento scolastico in atto, ponendo al centro
del suo progetto culturale, la persona dell'alunno, il riferimento
primario alla famiglia, l'apertura alla complessità e pluralità
della società del nostro Paese e alla sua piena integrazione eu-
ropea.
2
Il tema dell'assemblea non potrà dunque essere ad uso inter-
no, ma proiettato fuori di sé per far cogliere quanto la scuola
cattolica sia 'scuola' di tutti e per tutti, pluralista e aperta ad un
costante dialogo e confronto con le altre istituzioni scolastiche e
l'intera società.
In questo quadro, il riferimento specifico e costitutivo a Gesù
Cristo e al suo Vangelo non solo non stempera questo impegno
civile, ma lo esalta, lo orienta sulle vie di una piena libertà e
umanizzazione dell'alunno, garantisce la giusta ed equilibrata
autonomia culturale e formativa, offrendo a tutta la scuola ita-
liana lo stimolo per un positivo confronto sul piano dei valori e
dei percorsi didattici che li promuovono e sostengono”.
E si aggiungeva ancora: “dovrà risaltare agli occhi di tutti
che ci siamo riuniti in assemblea per parlare di scuola, di tutta la
scuola italiana, dei giovani e dei ragazzi che la frequentano,
delle loro famiglie e delle loro concrete esigenze educative.
Il tema dell'assemblea non potrà dunque essere ad uso inten-
to, ma proiettato fuori di sé per far cogliere quanto la scuola
cattolica sia "scuola" di tutti e per tutti, pluralista e aperta ad un
costante dialogo e confronto con le altre istituzioni scolastiche e
l'intera società.
L'assemblea pertanto dovrà dare voce ai soggetti protagonisti
in prima persona della vita scolastica: famiglie, docenti e diri-
genti, responsabili e alunni. Sono loro infatti che giorno dopo
giorno gestiscono l'evolversi della scuola e ne sostengono re-
sponsabilmente il cammino.
Un incontro dunque propositivo che guarda al futuro, e in-
tende definire precisi impegni, sul piano della qualità dell'offer-
ta culturale che la scuola cattolica garantisce a tutti gli alunni,
mediante il suo progetto educativo.
Non potrà mancare il riferimento al necessario versante ec-
clesiale di cui la scuola cattolica è espressione e soggetto, ma in
una prospettiva culturale, nel senso che essa si pone come via e
strumento operativo di quel progetto culturale orientato in senso
cristiano che la Chiesa in Italia persegue con determinazione in
questi anni”1.
Queste premesse chiare e definite sono state riassunte nella
Lettera di indizione dell'assemblea del Cardinale Presidente
3
della C.E.I. quando si afferma tra l'altro: “l'Assemblea Nazio-
nale dovrà contribuire a far maturare nel Paese l'idea che la
scuola del futuro, intesa come istituzione moderna e più ade-
guata a rispondere alle nuove istanze socio-culturali, sollecita i
soggetti che la compongono e la società civile ad un più re-
sponsabile coinvolgimento nella sua diretta gestione”.
Non possiamo nasconderci che l'assemblea si celebra in un
preciso contesto storico e attuale che pone problemi nuovi già
rispetto ad appena un anno e mezzo fa, quando è stata pensata.
Ci troviamo di fronte a proposte legislative che riguardano
l'intero assetto istituzionale e culturale della scuola italiana.
E' un passaggio complesso e decisivo di cui l'Assemblea ter-
rà conto. In particolare per quanto riguarda il nodo ancora irri-
solto della parità che investe sempre più la stessa sopravvivenza
della scuola cattolica, ma più in generale la stessa presenza di
una scuola libera nel nostro Paese. Un altro aspetto fondamen-
tale è quello dei saperi comuni ed essenziali che dovranno so-
stenere i percorsi didattici e culturali dei nuovi cicli scolastici.
L'Assemblea non potrà affrontare tutti gli ambiti connessi
alle riforme in atto, ma sono certo che ribadirà che la scuola
cattolica non verrà mai meno, nonostante le sempre più com-
plesse e difficili condizioni in cui deve operare, al suo forte im-
pegno educativo e culturale verso tutti i ragazzi e i giovani del
nostro Paese, con una cura e attenzione speciale a quelli più
svantaggiati, perché ritiene che su questo terreno dell'educazio-
ne si misura l'amore più vero e autentico verso le nuove genera-
zioni e si dà il contributo più fecondo per il futuro della società.
Vorremmo che l'Assemblea costituisse anche un richiamo
forte alla comunità ecclesiale e all'intero Paese per mettersi con
maggiore impegno di fronte ai gravi problemi che la scuola de-
ve oggi affrontare e su cui necessita l'apporto congiunto di tutte
le componenti sociali e culturali: l'abbandono scolastico di tanti
alunni che alimenta poi la devianza giovanile e l'emarginazione
sociale, il numero crescente di famiglie fragili e smarrite sul
piano educativo, l'eclisse di forti tensioni ideali, l'esigenza di
ridefinire un'adeguata mappa dei saperi fondamentali da tra-
smettere alle nuove generazioni.
Tutto questo riporta al centro la questione educativa verso
cui occorre ristabilire quel consenso e quella cura necessaria da
parte di tutti i soggetti interessati: dalla famiglia, alla scuola, ai
mass media, alla cultura e alla società.
4
Per preparare bene il nostro incontro, abbiamo svolto in que-
sti mesi una serie di Seminari interregionali che hanno discusso
i temi portanti dell'assemblea offrendo stimoli e considerazioni
importanti, che saranno oggetto in questi giorni del lavoro nei
laboratori.
In particolare:
- Il tema delle riforme scolastiche e dell'apporto criti-
co-propositivo che il mondo cattolico in questa circostanza può
offrire, per definire un qualificato contributo alla elaborazione e
attuazione del processo di rinnovamento del sistema scolastico
italiano.
Senza presunzioni ma anche senza debolezze riteniamo che la
scuola cattolica possa porsi come forza trainante dei diritti di
tutti, dalle famiglie, agli alunni, ai docenti delineando anche
mediante questa Assemblea Nazionale, il suo servizio specifico
e originale a questa stagione di riforme, per salvaguardare e
promuovere quella identità di valori culturali e spirituali che
rappresentano il patrimonio più prezioso della scuola italiana e
che non vanno dispersi o sminuiti, pena lo scadimento e impo-
verimento della cultura e della tradizione umanistica del nostro
popolo.
- A tale tema è strettamente connesso quello della qualità
dell'offerta educativa della scuola che impone di ripensare tutto
il sistema della scuola cattolica italiana, riprogettandone la pro-
posta formativa e culturale di base, in modo da fare sintesi tra
vita, cultura e fede. E questa sintesi deve essere visibile facendo
emergere all'interno del sapere stesso scolastico la visione cri-
stiana sul mondo, sulla vita, sulla cultura e sulla storia. L'inda-
gine in corso a cura del Centro Studi "Per una cultura della qua-
lità nella scuola cattolica: promozione e verifica " ci offrirà uno
strumento decisivo al riguardo.
- Un altro tema che sarà oggetto di riflessione è quello della
valorizzazione dei soggetti che interagiscono nella scuola per
renderla vera comunità educante in un costante e proficuo dia-
logo e confronto circa le loro specifiche e complementari fun-
zioni. E' infatti sul piano della professionalità educativa dei vari
soggetti che si misura la reale attuazione dei valori indicati co-
me centrali e prioritari nel progetto scolastico.
- Una particolare attenzione vogliamo rivolgerla anche alla
formazione professionale su cui il mondo cattolico ha sempre
operato con grande serietà e competenza culturale.
5
La positiva e qualificata funzione educativa e culturale e non
solo tecnica e operativa di questa scuole che preparano tanti
giovani al lavoro, esige un pieno riconoscimento anche giuridi-
co e istituzionale, senza il quale si rischia di disperdere un pa-
trimonio di esperienza e di valori prezioso per il Paese, ma so-
prattutto, di non rispondere più adeguatamente alle concrete
esigenze e domande formative di tanti ragazzi e giovani che an-
dranno così ad alimentare la dispersione scolastica e la margi-
nalità sociale, con gravissime conseguenze per il loro futuro e
quello del Paese.
- Un ulteriore tema è quello delle relazioni fondanti e costitu-
tive della scuola cattolica, crocevia significativo verso la comu-
nità ecclesiale e verso la società civile .La riaffermazione della
scuola cattolica quale soggetto ecclesiale impone una riflessione
sul rapporto carismi, educazione e realtà istituzionali, come le
parrocchie ad esempio o i gruppi, nell'ambito delle Chiese loca-
li; la popolarità della scuola cattolica stimola a riflettere sulla
sua particolare soggettività sociale che ne colloca il servizio
dentro un tessuto di mondi vitali tra loro interagenti sul territo-
rio.
- Infine affronteremo il tema quanto mai spinoso ma attuale
delle scuole in difficoltà e delle iniziative dunque di comunione
e di compartecipazione attiva per offrire loro un sostegno e una
via di uscita dalla crisi in cui si dibattono.
La chiusura di una scuola cattolica impoverisce tutta la scuola
italiana di un apporto prezioso di cultura e di formazione che
andrebbe salvaguardato e promosso a vantaggio di tutti.
Queste tematiche così delicate e complesse saranno inqua-
drate dentro riferimenti culturali e valoriali che tengono am-
piamente conto del contesto europeo e delle nuove sfide che
esso, in questo preciso tempo storico che stiamo vivendo - l'ini-
zio del terzo millennio - impone alla scuola italiana. Ringrazio
fin d'ora e saluto i delegati delle scuole cattoliche dei Paesi Eu-
ropei che sono qui tra noi e in particolare il Prof. Ignace Ve-
rhack che svolgerà domani mattina la relazione portante su:
"L'educazione in dimensione europea. La prospettiva culturale".
Proiettare il discorso in chiave europea ci aiuterà a guardare
anche ai problemi di casa nostra con quel respiro ampio e aperto
che è stato sempre proprietà della scuola cattolica nel nostro
Paese e del suo progetto educativo e culturale.
La scuola e quella cattolica sono una risorsa decisiva per il
6
nostro continente che non può certo puntare solo sul fattore
economico o politico, ma deve mantenere e sviluppare con for-
za e determinazione, quel patrimonio di valori spirituali e cul-
turali che hanno la loro radice nel cristianesimo, fonte perenne
di civiltà che hanno nutrito la storia europea e ne rappresentano
l'anima più vera e feconda anche per il futuro.
L'Assemblea come sappiamo non si esaurisce in questi tre
giorni. Qui siamo chiamati a rendere pubblico e manifesto
quanto abbiamo riflettuto e vissuto in questi ultimi anni, ma con
una chiara prospettiva futura aperta al domani e non priva di
speranza; quella speranza a cui ci richiama il grande Giubileo
ormai alle porte e che il Santo Padre nel suo intervento in Piaz-
za San Pietro sono certo ribadirà insieme alle sue autorevoli in-
dicazioni per la vita e i compiti di tutta la scuola italiana.
Ringraziamo fin d'ora il Santo Padre per l'affetto che sempre
dimostra verso la scuola cattolica e le sue varie componenti e
per le forti prese di posizione in difesa dei suoi diritti fonda-
mentali, che non manca mai di far risuonare ad ogni occasione
in cui affronta il tema della scuola. L'incontro con il Papa in-
sieme a tutta la scuola cattolica italiana ed a una folta rappre-
sentanza della scuola statale e delle sue varie componenti. sarà
un punto di riferimento indispensabile per tracciare la via su cui
i cristiani che lavorano nella scuola potranno progettare il loro
qualificato servizio in questa decisiva stagione di rinnovamento.
In attesa di questo momento conclusivo e forte dell'Assem-
blea ci aspettano giorni intensi di lavoro, che mi auguro saranno
anche ricchi di mutua conoscenza, di reciproco ascolto, di fra-
ternità e di comunione.
ATTI_Nosiglia.doc
21/10/99 11.55
7
PROLUSIONE
1
esempio nei licei ed in vari indirizzi universitari, hanno dato
reali titoli di eccellenza al nostro sistema formativo, ma anche
le carenze ed i ritardi che lo affliggono, tra cui l’irrisolta que-
stione del pieno riconoscimento della parità tra istituzioni sco-
lastiche statali e non statali.
Né si possono dimenticare altre importanti emergenze che
hanno investito la scuola: l'emarginazione sociale, l'abbandono
scolastico, la devianza giovanile, il numero crescente di fami-
glie fragili e smarrite sul piano educativo, la preoccupante eclis-
si di forti tensioni ideali, l'esigenza di ridefinire una adeguata
mappa dei saperi trasmissibili alle giovani generazioni. Queste
problematiche, a cui si cerca di rispondere con la riforma del si-
stema scolastico italiano, sollecitano anche la scuola cattolica a
riproporre con rinnovato slancio il proprio specifico progetto
educativo, svolgendo un servizio aperto a tutti e concorrendo al
bene comune del Paese.
Per queste ragioni la Conferenza Episcopale Italiana ha co-
stituito il CONSIGLIO NAZIONALE DELLA SCUOLA CATTOLICA e il
CENTRO STUDI SULLA SCUOLA CATTOLICA, con il compito di
coordinare e promuovere la scuola cattolica e di rendere meglio
presenti al mondo civile e politico gli aspetti culturali e giuridici
dell’itinerario che deve portare, attraverso la legge paritaria, al
pieno riconoscimento del servizio pubblico che essa svolge.
2
la convinzione – già espressa dal Concilio – che “la scuola cat-
tolica (…) conserva la sua somma importanza anche nelle cir-
costanze presenti” 2 e che, pertanto, nel contesto dell’odierno
pluralismo culturale e sociale, la comunità cristiana è determi-
nata a continuare, anche attraverso la scuola cattolica, l'impegno
educativo verso tutti i ragazzi e i giovani, particolarmente verso
i più svantaggiati, confidando nel consenso e nella fiducia delle
famiglie italiane.
La nostra Assemblea si propone, dunque, come laboratorio di
una nuova progettualità educativa di ispirazione cristiana, ca-
pace di offrire un contributo qualificato e originale al rinnova-
mento del sistema scolastico del nostro Paese.
3
tradizione della scuola cattolica italiana e dell’originale contri-
buto formativo che essa, come espressione viva e dinamica del-
la comunità cristiana, è in grado di offrire oggi a tutta la società.
In questo senso, l’impegno formativo della scuola cattolica
italiana si intreccia naturalmente con quello della Chiesa che fa
pastorale ed elabora il progetto culturale orientato in senso cri-
stiano: è l’impegno ad operare nell’area delle idee e del costu-
me per contribuire, in dialogo con la società civile, ad elaborare
la cultura di oggi e di domani ed a rinvigorire il tessuto etico del
Paese, attorno a quel patrimonio di convinzioni e di valori uma-
ni e cristiani che costituiscono il patrimonio sociale e la memo-
ria storica della nostra civiltà.
Questo impegno è certamente reso più difficile da un pano-
rama culturale che si è complessificato e dilatato, e che, per la
sua stessa configurazione, tende a moltiplicare indefinitamente
le proposte di valore. L’eccesso di offerte e di proposte rischia
infatti di appiattire e deprimere la domanda, soprattutto perché
le differenti proposte vengono messe tutte sul medesimo piano,
quasi fossero indifferenti tra loro. Non stupisce, allora, che i più,
soprattutto tra i giovani, si lascino catturare dalla cultura
dell’indifferenza.
Non ignoriamo - anzi, seguiamo con viva attenzione e sincero
interesse, non disgiunti da qualche preoccupazione - gli sforzi
che il sistema scolastico italiano, anche provocato da questa si-
tuazione, sta compiendo per rinnovare la propria identità e pro-
gettualità formativa. E siamo convinti che l’esperienza della
scuola cattolica possa contribuire positivamente a questo sforzo,
anzitutto richiamando un importante criterio di discernimento,
cioè l’attenzione a capire le esigenze più profonde e più vere
delle nuove generazioni, mentre si elaborano le architetture del
nuovo sistema scolastico e le mappe dei nuovi saperi.
Un simile sforzo di attenzione è l’esatto opposto di una de-
magogica condiscendenza al vissuto e agli umori del mondo
giovanile. Esso nasce, invece, dalla consapevolezza che la
scuola va pensata e costruita non in funzione di se stessa, ma
per i bambini, i ragazzi e i giovani che ne sono “i protagonisti
centrali”. Ne consegue, allora, che “in una relazione responsa-
bilmente educativa, tocca alla scuola fare il primo passo per ac-
cogliere i valori e le attese del mondo giovanile”4.
4
Questa attenzione educativa rappresenta, da sempre, uno dei
tratti essenziali e quasi costitutivi dell’identità della scuola cat-
tolica. Essa è caratterizzata, infatti, dalla sua capacità di ascol-
tare, di accogliere e di farsi carico delle esigenze del territorio,
delle culture locali, dei “mondi vitali” e delle concrete persone e
famiglie, con i loro bisogni di crescita e di formazione.
Questa medesima sensibilità ed attenzione costituisce uno
dei principali criteri di riflessione e valutazione con cui guar-
diamo alle riforme scolastiche in atto nel nostro Paese. Scaturi-
sce da qui un preciso interrogativo: in quale misura le riforme
scolastiche sono congruenti rispetto alle esigenze formative
delle nuove generazioni?
5
che il Regolamento sull’autonomia didattica definisce il “piano
dell’offerta formativa”. Se, come è stato prospettato, la logica
dell’autonomia porterà alla cancellazione dei programmi mini-
steriali tradizionalmente intesi per far posto all’indicazione di
obiettivi formativi per le diverse aree disciplinari, si aprirebbe lo
spazio per una progettualità curriculare a livello di istituto; pro-
gettualità che dovrebbe certamente garantire l’offerta di una
cultura di respiro nazionale, resistendo alle possibili derive par-
ticolaristiche e localistiche, ma che potrebbe comunque stimo-
lare le istituzioni scolastiche ad una creativa e originale inter-
pretazione degli obiettivi formativi, per diventare produttrici di
cultura in un dinamico rapporto con il contesto sociale e territo-
riale di appartenenza: in concreto con le famiglie, le diverse ag-
gregazioni sociali – da quelle più informali a quelle più orga-
nizzate, – la stessa comunità ecclesiale con tutte le sue iniziati-
ve.
Potrebbe essere, questa, una via interessante per aprire la
scuola ad una maggiore dimensione partecipativa e per fare
dell’istituzione scolastica un soggetto più idoneo a promuovere
la crescita della comunità sociale nella quale essa opera.
Per la scuola cattolica tale spazio costituisce una grande op-
portunità di presenza e di servizio, anche in rapporto alla comu-
nità ecclesiale, che rappresenta un interlocutore particolarmente
qualificato, sia per le domande che pone all’istituzione scola-
stica sia per le risorse che può offrire. Rapportato alla scuola
cattolica, il “piano dell’offerta formativa” si concreta in un
“progetto educativo” che esprime l’identità dell’istituzione, la
sua peculiarità culturale ed educativa.
6
21 luglio scorso dal Senato della Repubblica e da sottoporre
all’esame della Camera dei Deputati. In realtà, eccetto che per le
scuole dell’infanzia, si tratta prevalentemente di provvedimenti
per il diritto allo studio, mentre sulla parità viene posta qualche
significativa affermazione di principio, ma non è possibile na-
scondere un netto arretramento rispetto ai contenuti della stessa
proposta di legge presentata dal precedente Governo e fatta ini-
zialmente propria da quello attuale. Oltre ad alcune ambiguità o
incongruenze normative che potrebbero rendere per certi aspetti
ancora più difficile il compito delle scuole non statali, risulta
particolarmente carente quella dimensione economica che è in-
dispensabile per una parità concreta ed effettiva. Così un pro-
blema sempre più urgente rischia di rimanere, ancora una volta,
in larga misura inevaso. E’ lecito dunque, anzi doveroso, chie-
dere qualche modifica incisiva, nonostante i molteplici ostacoli
che ben conosciamo.
Appare necessario in ogni caso, non solo per le ragioni di
principio che tante volte abbiamo illustrato, ma anche in rap-
porto alla fase di cambiamento che l’Italia e la scuola italiana
stanno attraversando, porre la questione della parità scolastica
come uno snodo fondamentale del rinnovamento del nostro si-
stema formativo. Un tale rinnovamento può essere infatti sinte-
ticamente rappresentato come il passaggio da una scuola so-
stanzialmente dello Stato ad una scuola della società civile,
certo con un perdurante ed irrinunciabile ruolo dello Stato, ma
nella linea della sussidiarietà.
Siamo consapevoli che un simile passaggio esige realismo e
gradualità, così da tener conto della situazione esistente, dei va-
lori e dei legittimi diritti in essa presenti, della storia concreta
della struttura formativa nel nostro Paese. Ma non è meno im-
portante saper guardare in avanti e rendere possibile, anche sul
piano scolastico e formativo, la valorizzazione di tutte le risorse
della nostra società, nella prospettiva di una piena libertà della
scelta educativa dei cittadini e delle famiglie e di una sana e co-
struttiva emulazione. E’ questa la via per rendere più agile e di-
namico, e in definitiva meglio in grado di rispondere all’attuale
domanda formativa, l’intero sistema scolastico italiano, ricono-
scendo senza riserve la funzione pubblica che svolgono in esso,
unitamente a quelle dello Stato, le istituzioni scolastiche non
statali.
Rientra nella logica di un simile approccio che la scuola cat-
7
tolica, nel rigoroso rispetto della propria identità, cerchi le più
ampie convergenze e collaborazioni con quelle forze culturali e
sociali che avvertono le ragioni storiche di un tale progressivo
cambiamento e sono disposte a promuoverlo in concreto. Risul-
terà più agevole, così, far comprendere a tutti che quella della
scuola libera e della parità scolastica non è soltanto una riven-
dicazione particolare e “confessionale” dei cattolici, ma è piut-
tosto una questione generale, di libertà civile e di pubblico inte-
resse. Questa nostra Assemblea intende pertanto contribuire a
promuovere un ampio movimento di cultura e di opinione, che
faccia maturare anche in Italia quei convincimenti e quelle scel-
te che sono da tempo presenti e operanti in grandissima parte
dell’Europa.
8
indefinita.
In proposito, occorre aver presente il rischio che il sistema di
istruzione e formazione che le riforme vanno delineando sia
concepito pressoché esclusivamente in funzione degli sbocchi
professionali e delle esigenze del sistema produttivo, per la
competitività dell’Italia nel contesto europeo ed internazionale,
caratterizzato dalla competizione globale dei mercati.
Le professioni e il lavoro devono certamente entrare in gioco,
con il loro peso specifico, nella progettazione del percorso sco-
lastico. Anzi, essi hanno senz’altro in sé una valenza formativa
e culturale, come testimonia anche la ricca e feconda esperienza
dei Centri di Formazione Professionale che costituiscono
un’espressione ed una componente assai rilevante della scuola
cattolica.
Ma, se nella società del futuro la conoscenza sarà la princi-
pale risorsa personale – e se, come si legge nella Centesimus
annus (n. 31), “la principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”
–, allora emerge con chiarezza che il riferimento alle compe-
tenze professionali è insufficiente a costituire una base antro-
pologicamente ed eticamente valida per l’opera formativa della
scuola. Non possono dunque essere lasciati in ombra gli aspetti
più propriamente umanistici e personalistici della formazione,
senza i quali sarebbe impossibile progettare “interventi di edu-
cazione, formazione ed istruzione mirati allo sviluppo della
persona umana”, come afferma l’art. 1 del Regolamento
sull’autonomia scolastica.
Non si tratta, dunque, di mettere in discussione l’attenzione
alle esigenze del mercato del lavoro, le emergenze della cosid-
detta “società cognitiva” e l’adeguazione agli standards euro-
pei. Ma è necessario chiedersi quale patrimonio di cultura si in-
tenda offrire alle giovani generazioni, nella prospettiva di una
sempre più stretta Unione Europea.
La complessità del nostro tempo esige senz’altro
l’acquisizione di competenze diverse, ma esige soprattutto una
particolare attenzione al risvolto antropologico, cioè alla que-
stione del progetto umano che sottende l’intero percorso forma-
tivo e che gli conferisce un senso, cioè un significato ed una di-
rezione. E proprio perché la cultura complessa del nostro tempo
è policentrica e tutt’altro che unitaria, la scuola deve operare af-
finché i saperi che trasmette non diventino strumenti di una ul-
teriore frantumazione dell’uomo.
9
Nella medesima linea, preoccupazione fondamentale di una
scuola che vive ed opera nell’epoca della complessità deve es-
sere quella di offrire non solo modelli, tecniche, metodi, strate-
gie conoscitive ed operative, ma anche convinzioni e valori da
scoprire, riconoscere ed apprezzare.
Così, tra le capacità da sviluppare occorre prevedere anche la
capacità di riconoscere il valore della persona e di affrontare “le
questioni di verità”, non solo logico-argomentative ma anche
personali, esistenziali e religiose.
Sotto questo profilo, l’ignoranza religiosa porta indubbia-
mente con sé un impoverimento della nostra stessa tradizione e
rende assai più difficile ai giovani acquisire la coscienza della
propria identità culturale. Molto opportunamente, dunque, la
Consulta Nazionale di Pastorale della Scuola ha affermato che
“sarebbe auspicabile l’individuazione della religiosità e della
eticità come orizzonti semantici dei 'saperi' stessi”.
Discende di qui anche l’esigenza di superare l’antitesi tra
educazione e istruzione, riguadagnando la consapevolezza che
in ogni processo formativo educazione ed istruzione sono dia-
letticamente intrecciate e che la scuola si costituisce precisa-
mente come luogo in cui si educa istruendo.
Proprio nella prospettiva di queste sfide ed emergenze la
scuola cattolica, con il suo peculiare patrimonio e la sua capaci-
tà progettuale, può offrire un prezioso contributo allo sforzo
complessivo di rinnovamento del sistema scolastico italiano, di
cui essa si sente parte integrante.
Nella scuola cattolica, infatti, la relazione scolare è realizzata
in un continuo e vitale intreccio di educazione ed istruzione ed è
finalizzata a “suscitare uomini e donne non soltanto preparati
intellettualmente ma di forte personalità, come è fortemente ri-
chiesto dal nostro tempo”5.
Nella medesima prospettiva si colloca un’altra sfida formati-
va, quella che sta sottesa alla diffusione delle nuove tecnologie
dell’informazione. E’ senz’altro opportuno, anzi indispensabile,
che la scuola del futuro abiliti le nuove generazioni all’uso in-
telligente delle tecnologie necessarie per vivere ed operare
nell’età della comunicazione. Ma la formazione scolastica alle
nuove tecnologie non può essere finalizzata solo alla loro otti-
mizzazione gestionale, così da indurre l’alunno a pensarsi come
10
un tecnocrate, interessato solo a gestire un sistema formale di
comunicazione, indifferente a ciò che comunica e a ciò che gli
viene comunicato.
Le nuove tecnologie devono pertanto essere presentate dalla
scuola come strumenti che possono contribuire in maniera
straordinaria ad ampliare gli orizzonti di comunicazione tra le
persone e tra le nazioni, come pure a migliorare la qualità della
vita ed a potenziare le capacità umane di tutti. Occorre, a tal fi-
ne, che la scuola contestualizzi questo tipo di istruzione nel più
ampio orizzonte di una formazione che sappia offrire alle gio-
vani generazioni ciò che nessuna rete telematica può dare, ma di
cui esse hanno una viva esigenza: la possibilità di sperimentare
una comunicazione interpersonale forte e coinvolgente.
Proprio in questa prospettiva, l’esperienza della scuola catto-
lica italiana sottolinea la necessità di riscoprire la dimensione
comunitaria della relazione scolare, soprattutto in un momento
come questo, in cui la scuola tende a perdere la sua caratteristi-
ca di esperienza comunitaria, riducendosi alla fruizione indivi-
dualistica e strumentale di un servizio in vista del titolo da con-
seguire.
Eppure, oggi forse più che in passato, i giovani – come dice
la lettera Per la scuola della C. E. I. – hanno necessità di “sen-
tirsi coinvolti in una comunità di persone che permette di vivere
la condivisione e la partecipazione di cui ciascuno ha bisogno”6.
Ed è in questo senso che diviene possibile pensare e realizzare
la vita scolastica come luogo privilegiato “per una nuova ed ef-
ficace formazione alla cittadinanza”7, dove agli studenti viene
offerta l’opportunità di apprendere e sperimentare i fondamenti
ed i valori essenziali dell’agire comunitario, con i suoi obblighi
e doveri, vantaggi e risorse.
Gli interrogativi che stanno davanti alla scuola alle soglie del
11
XXI secolo sono gravi e molteplici. Del resto la nostra società,
per la sua stessa struttura complessa, rischia di disperdere, af-
fievolire e quasi vanificare l’efficacia dell’azione educativa del-
le persone, delle famiglie, degli educatori, dei docenti, della
stessa Chiesa, portandoli a sentirsi impotenti ed a rinunciare
all’impegno.
La consapevolezza della ricca tradizione e della vitalità pro-
gettuale della scuola cattolica italiana ci consente però di guar-
dare a questi interrogativi, e in particolare ai travagli del sistema
scolastico, con un atteggiamento di sostanziale fiducia.
Lo stesso atteggiamento ci ha spinti a convenire qui e ad ini-
ziare i lavori di questa Assemblea Nazionale, con l’intento di
presentare “alla comunità ecclesiale e all’opinione pubblica ita-
liana il volto di una scuola che intende dare il proprio specialis-
simo contributo al rinnovamento scolastico in vista del terzo
millennio e della unità europea, ponendo al centro la persona
dell’alunno, il riferimento primario alla famiglia e alla società”8.
Dunque, il volto di una scuola “non solo della comunità eccle-
siale, ma anche della comunità civile”9.
Siamo convinti che l’esperienza e la vitalità della scuola cat-
tolica italiana costituiscano, anche oggi, una preziosa risorsa a
cui il nostro Paese ed il sistema scolastico non possono non
guardare con attenzione. Il nostro desiderio e la nostra offerta si
definiscono, dunque, all’insegna della più ampia disponibilità
alla collaborazione, con l’unico intento di contribuire ad affron-
tare problemi che sono di primaria importanza per l’intero Pae-
se.
Solo con questo atteggiamento, d’altronde, si può pensare di
non subire le trasformazioni in atto, ma di assumerle consape-
volmente e di orientarle verso l’obiettivo che da sempre caratte-
rizza l’impegno della scuola cattolica nel contesto del sistema
scolastico italiano: l’obiettivo cioè non di essere semplicemente
il riflesso di ciò che accade nella società, ma di essere luogo di
progettazione e di esperienza di un modo di vivere e di costruire
la società più integralmente umano.
Proprio nella tensione verso il conseguimento di questo
12
obiettivo emerge lo specifico della scuola cattolica: essa – come
ha chiarito il Concilio – mira come tutte le scuole alla comuni-
cazione critica e sistematica della cultura in ordine alla forma-
zione integrale della persona, ma “suo elemento caratteristico è
di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dal-
lo spirito evangelico di libertà e carità [e] di coordinare
l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvez-
za”10.
I cristiani impegnati nel mondo della scuola e le istituzioni
scolastiche nate ex corde Ecclesiae e vitalmente partecipi della
missione della Chiesa, che opera per la salvezza dell’uomo là
dove egli concretamente cresce e si realizza, sono coscienti che
nessuna educazione è completa se non ci aiuta a scoprire che
“Dio porta nel cuore la vita di ogni suo figlio”11.
Per questa medesima ragione ci dedichiamo all’impegno
educativo cercando di avere in noi “gli stessi sentimenti che fu-
rono in Gesù Cristo” (Fil 2, 5). Ciò significa saper vedere la
scuola ed ogni attività educativa anche come un luogo privile-
giato per rispondere alle nuove povertà che affliggono tante
persone.
Queste nuove povertà sono senz’altro socio-economiche: “il
numero crescente di immigrati, che hanno bisogno
dell’alfabetizzazione necessaria per inserirsi nella società ita-
liana, e che portano con sé bambini di età scolare; il legame
drammatico, soprattutto in alcune zone d’Italia e nelle periferie
urbane, tra evasione o abbandono scolastico ed emarginazione
sociale, devianza e delinquenza giovanile”. Ma sono anche cul-
turali e spirituali: “il numero crescente di famiglie fragili e
smarrite, sul piano educativo, incapaci di far fronte alla com-
plessità del rapporto con i figli; la preoccupante eclissi delle
grandi tensioni ideali, che porta al ripiegamento su orizzonti
sempre più angusti e consumistici”12.
In una società che conosce una profonda carenza di valori
capaci di giustificare l’esistenza e che, di conseguenza, espone i
più giovani alla dispersione e all’insignificanza delle scelte, è
grande il compito di una scuola che sappia sostenere il processo
attraverso cui il giovane elabora il proprio progetto di vita, lo
10 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Dich. Gravissimum educationis, n. 8.
11 COMMISSIONE EPISCOPALE DELLA C.E.I. PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, LA
CULTURA, LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ, Per la scuola, n. 2.
12 Ibid. n. 15.
13
accompagni nella ricerca e gli insegni a leggere la realtà con ca-
tegorie culturali illuminate dalla fede, valorizzando così la di-
mensione etica e religiosa della cultura e della vita.
L’impegno specifico che attende oggi la scuola cattolica e
che, per più di un aspetto, viene a coincidere con quello della
Chiesa italiana impegnata nel progetto culturale cristianamente
orientato, è anche quello, per usare le parole di Sant’Agostino,
di far sì che la fede pensi, cioè sappia tradursi in una proposta
culturale capace di rendere socialmente rilevante il messaggio
evangelico.
Ciò significa non aver timore di proporre alle giovani genera-
zioni una cultura credente che sia capace di rispondere alla do-
manda di senso e al vuoto etico del nostro tempo, di ridestare la
passione della verità e di ridare un centro alla frammentazione
delle esperienze.
Ciò significa anche saper offrire ai giovani, che si sentono
dispersi ed avvertono l’esigenza di ritrovare le motivazioni cul-
turali del vivere insieme, una scuola che sia luogo di elabora-
zione culturale di una esperienza di vita insieme; luogo di for-
mazione a quella che il magistero della Chiesa, da Paolo VI in
poi, ha definito la “civiltà dell’amore”, attraverso la partecipa-
zione ad una comunità scolastica che fonda sull’amore la pro-
pria unità e la propria attività culturale.
E’ questa l’offerta di cui la scuola cattolica italiana vuole far-
si portatrice ed è questo l’originale contributo che essa può dare
allo sviluppo culturale e sociale del Paese e dell’Europa, pro-
ponendosi e distinguendosi, nel contesto del sistema scolastico
italiano, come luogo di formazione integrale dell’uomo, ugual-
mente offerta a tutti, lasciando ciascuno libero nelle sue scelte
di vita.
Ad una scuola che ha questi intenti e questi fini non può
mancare, anzitutto, il sostegno convinto e fattivo dell’intera
comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni. Questa
nostra Assemblea si rivolge dunque in primo luogo ai cattolici
italiani, per chiedere loro di sentire la scuola cattolica come
propria e di farsi carico con animo sincero delle sue speranze e
dei suoi problemi.
14
15
PARTE III
La nuova Europa, l’Europa delle Nazioni, ha un’anima o non è per prima cosa un sogno di
mercanti1? Da qualche tempo questo interrogativo è al centro della riflessione dei cristiani sul futuro
dell’Europa2. Domanda di fondo, che può sembrare superflua a quanti hanno viva coscienza della
ricchezza del patrimonio culturale, filosofico e spirituale di questa porzione geografica del mondo
che chiamiamo convenzionalmente Europa. Infatti, dal punto di vista storico non è certamente
l’anima che mancherebbe ai popoli dell’Europa, le cui nazioni si sono impegnate nel nuovo e labo-
rioso processo di unificazione economica e politica. Del resto il Consiglio d’Europa, fin dalla sua
fondazione nel 1949, non ha mancato di assegnare una importanza prioritaria ai valori culturali, eti-
ci e spirituali dell’Europa. Tuttavia si può asserire con ragione che l’Europa attuale corre il pericolo
di “perdere la sua anima”, a motivo dello slittamento generalizzato e unilaterale sulla strada del be-
nessere basato sul consumismo e sul soddisfacimento dei bisogni materiali3. E’ un fattore di cui bi-
sogna seriamente tenere conto, ma non è propriamente quello che provoca l’interrogativo di cui so-
pra in quanti vorrebbero restituire all’Europa la sua anima.
La vera sfida è sorta, mi pare, a seguito dell’insuccesso dei progetti iniziali di unificazione
politica e militare avviati in Europa nel dopoguerra, per cui si è venuta affermando la convinzione
che soltanto un approccio economico avrebbe potuto garantire il consenso necessario e generaliz-
zato per motivare il processo di unificazione. La preoccupazione di dare un’anima all’Europa non
nasce dunque dalla mentalità, ritenuta esclusivamente tecnologica, della Commissione che ha sede a
Bruxelles, ma dall’insuccesso dei ripetuti tentativi di unificazione politica che l’hanno preceduta.
Nasce dalla constatazione che questa famosa “anima europea”, e cioè la coscienza di una comune
appartenenza culturale e spirituale, si è dimostrata incapace, o comunque non sufficientemente vi-
tale e determinante, a unire ciò che era stato dolorosamente lacerato dalle guerre e a fornire le basi
per una nuova Europa Unita. Da allora il processo di unificazione dell’Europa è stato dominato dal-
1
“L’idea di creare l’Europa nel senso di un organismo pieno di forze vitali, con una cultura autonoma, si è ridotto al
progetto di una comunità di interessi e il nome di Europa è usato soltanto come etichetta”. Reinhard Raffalt, Abendlän-
dische Kultur un Christentum. Saggio. Con prefazione di Nina Raffalt, R. Piper & Co. Verlag, München Zürich 1981, p.
25.
2
Basta dare uno sguardo sui titoli di alcune recenti pubblicazioni per rendersene conto. Per non citare che qualche
esempio: J. P. Bastian, J. F. Collange (Edd.), L’Europe à la recherche de son âme: les églises entre l’Europe et la na-
tion, Labor et Fides, Genève 1999; Donner une âme à l’Europe. Un défi pour nous, femme et dominicaines, Cahier 1
de l’Equipe “Espaces” au sujet des spiritualites, cultures e société en Europe. Bruxelles, Novembre 1997; B. Hume,
Remaking Europe. The gospel in a divided continent, SPCK, London 1994; P. Hünermann, dir., La nouvelle Europe.
Défi à l’Eglise et à la théologie (Association européenne des théologiens catholiques), Paris Cerf, 1994. E inoltre: J. M.
Domenach, Europe, le défi culturel, La Découverte, Paris 1990; e infine: P. Koslowski, Imaginer l’Europe: Le mar-
ché européen comme tâche culturelle et économique, Cerf, Paris 1992.
3
“Un’Europa in cui si esclude il sacro non sarebbe una patria per l’uomo, che dalla vita esige più del comfort. Tuttavia
solo un tale uomo sarebbe in grado di creare una nuova Europa – in quanto sa cosa potrebbe essere il nuovo”. (Raffalt,
o. c., p. 29).
2
le modalità successive di approccio unilaterale di tipo economico del mercato comune. L’obiettivo
della crescita economica è diventato la molla più importante dell’unità europea; il dogma “da cui
tutto il resto deriverebbe”, come si ripeteva e come tuttora si afferma in certi ambienti4.
Non sono mai mancati i critici a questo approccio unilaterale di tipo economico, non importa
qui se di natura pragmatica o ideologica . Nel 1992 Vaclav Havel asseriva che l’Unione Europea gli
dava l’immagine di un meccanismo di regolamentazione tecnica senza anima5. Ma non sono man-
cati critici neppure all’interno della stessa Europa. Così il 26 settembre 1995, Miguel Angelo Mar-
tinez, allora presidente del Consiglio Parlamentare dell’Europa, in un indirizzo di saluto al Cardina-
le Sodano affermava che l’Europa è molto più di un mercato e che la dimensione culturale ed etica
vi deve avere la priorità. A quanti obiettano che una cosa è il Consiglio Parlamentare e altra cosa la
Commissione di Bruxelles, si può rispondere facilmente citando un passo, di mano dello stesso
Jacques Delors, contenuto nella parte introduttiva del documento collettivo: “Inchiesta sull’Europa.
Gli incontri tra Scienza e Cultura”6. Le sue parole meritano di essere riportate: “Poiché le istituzioni
europee non sono capaci per se stesse di esprimere nei confronti dei cittadini un dinamismo tangi-
bile e poiché le mediazioni politiche dei nostri paesi non sono in grado di sostenere un progetto di
ampio respiro, non spetta forse ai filosofi, agli storici, ai politologi e agli uomini di scienza di dare
un senso all’Europa di oggi?”7. “E agli educatori”, aggiungerei da parte mia; perché dov’è possi-
bile raggiungere le giovani generazioni se non sul versante dell’educazione?
4
Cfr. la critica severa a questa nuova ideologia da parte di Riccardo Petrella nella conferenza: Ecueils de la mondiali-
sation. Urgence d’un nouveau contract social, (Les grandes conférences), Edition Fides/Musée de la civilisation, Mon-
tréal Quebec, 1997.
5
“Vaclav Havel ponders the Arts of Summitry and Writing" , in International Herald Tribune, 12 Sept. 1994.
6
Rennes, Editions Apogée 1994.
7
Lo stesso Jacques Delors chiedeva ai Vescovi di Francia riuniti a Lourdes nel 1989: “aiutateci a dare più anima e più
cuore all’Europa”.
8
Jean-François Collange, Identité, démocratie et éthos européen: églises et religions dans la construction de l’Europe,
in: L’Europe à la recherche de son âme: les églises entre l’Europe et la nation, pp. 219-220.
9
“Le Chiese non devono essere strumentalizzate per dare legittimazione e ratificazione morale ai processi
d’integrazione europea o alle politiche seguite dalle istituzioni europee o dai loro membri” (K. Jenkins, Vers une vrai
société civile européenne, in L’Europe à la recherche de son âme: les églises entre l’Europe et la nation, p. 207).
10
P. Valadier, “Eglise catholique et nations”, in L’Europe à la recherche de son âme, p. 103.
11
R. Brague, La voie romaine, p. 13.
12
p. 14
13
Citato in Cahier 1 di “Espaces”, p. 1.
3
que che le istanze spirituali, etiche e culturali possano incontrarsi, se si vuole un futuro veramente
umano per l’Europa14. Di fronte a questa sfida, l’educazione e l’insegnamento devono assumere un
ruolo formativo di primo piano – ruolo che d’altra parte può inserirsi molto bene nel desiderio che
hanno i giovani di viaggiare, di cambiare orizzonte e d’incontrarsi.
Per proseguire a vivere insieme e armoniosamente in una Europa unita, occorrerà trovare
una base convincente d’unità e di convivenza multinazionale nella diversità di lingue, culture e re-
gioni geografiche. Una società, afferma Paul Ricoeur15, non è vivibile che finché conserva i suoi
punti di riferimento, sia a livello di guida (punti di orientamento), che di norme che essa si dà. Il
grande problema attuale per la cultura europea consiste, secondo lui, nella perdita di memoria della
propria identità. Si potrebbe parlare qui, con A.G. Weiler (Nimega), di una “Geschichtslosigkeit”16.
Per lo storico olandese, la perdita di prospettiva storica ha origine in una specie di paralisi provocata
dalle nostre angosce totalitarie. Sono queste angosce che c’impediscono di prendere in mano la no-
stra epoca e il suo destino spirituale a livello di idea e di ispirazione creatrice. La concezione ideale
dell’umanità ha un passato storico, ma ancor più un avvenire. In questo stato mentale a-storico,
l’uomo contemporaneo cerca la salvezza in una società del benessere pianificata burocraticamente e
realizzata industrialmente. Così nel momento stesso in cui crede di sfuggire al pericolo totalitario
che lo ossessiona, cade, suo malgrado, in una nuova ideologia totalitaria, quella della soddisfazione
di tutti i bisogni umani in una società consumistica, pianificata razionalmente e realizzata scientifi-
camente con i mezzi spettacolari e continuamente in crescita della tecnologia moderna. Sono queste
le conseguenze di ciò che Paul Ricoeur intende per perdita della memoria. Secondo lui l’Europa non
è tanto da inventare o da costruire, ma da ritrovare. Da ritrovare:
- mediante la lingua: imparare la lingua dell’altro per capirlo meglio: è il modello della traduzione;
- mediante la memoria della cultura, delle ferite inferte all’altro, del suo vissuto: è il modello dello
scambio delle memorie;
- mediante la riconciliazione e finalmente mediante la vigilanza (perché quanto occorreva esorcizza-
re non si ripeta più): è il modello del perdono.
Bisognerebbe aggiungere a questo punto che l’identità storica è in costante evoluzione ed è
sempre rimessa in questione. Perciò la società non può vivere senza progetti comuni, che stimolino
una azione comune e una speranza condivisa.
Come dice bene il sociologo Jan Kerkhofs: “L’Europa perde le sue radici se ciascuno per-
segue il suo proprio ideale di benessere. Abbiamo bisogno di sfide comuni e di progetti che mobili-
tino tutti per un avvenire più umano”17. Ecco alcuni esempi di progetti e di forme d’impegno che
potrebbero unirci maggiormente. Sono anche esempi ai quali ci si potrebbe ispirare per dare un
contenuto idoneo alla dimensione Europea del progetto educativo della scuola cattolica:
- sviluppare l’apertura all’altro, l’accoglienza dello straniero, l’attenzione ai più deboli;
- estendere l’attenzione ecologica per la natura a quella per la società; l’impegno a favore della giu-
stizia sociale e contro tutte le forme di discriminazione, tra le quali la povertà è la principale;
14
Cfr. M. Andrésen, ibid., p. 9.
15
In una trasmissione protestante su FRANCE 2. Vedi anche il contributo di P. Ricoeur (Quel éthos nouveau pour
l’Europe?) in P. Kosloswki (Ed.), Imaginer l’Europe. Le marché européen comme tâche culturelle et économique, pp.
107 -116.
16
Evangile et culture européenne à la fin du XXième siècle, Conferenza non pubblicata, tenuta a Bruxelles (1 -6 -1985)
in preparazione al congresso di Pax Romana a Igls. Titolo originale: Christen Demokratische Verkenningen, 9/86, 371
- 377. Parzialmente ripreso in A. G. Weiler, Vernieuwing in trouw, “Welke historische opdracht hebben christenen
nu?”, Arbor, Baarn 1988, pp. 96 -105.
17
J. Kerkhofs, “L’Europe à une nouvelle croisée de chemins”, Lumen vitae, 1992/1.
4
l’impegno per favorire un clima di vita sociale di più alta qualità morale, nel rispetto della dignità
spirituale di ogni uomo come persona;
- cercare la via del dialogo e della riconciliazione là dove sono incombenti i conflitti. E’ l’impegno
per la riconciliazione tra i popoli e tra le religioni e per la soluzione dialogata e pacifica dei conflitti.
In altri tempi ogni cultura tendeva a ridurre, scacciare o annientare l’altro. Ancora oggi questa è la
legge non scritta del commercio internazionale, anche nell’Europa Unita. Perciò è già un grande ri-
sultato arrivare alla coabitazione più o meno pacifica di più culture dentro uno stesso spazio politi-
co. Parlare di riconciliazione tra le culture vuol dire abbandonare lo schema del predominio per en-
trare in quello del dialogo, dello scambio vicendevole. Ciò presuppone un clima di ascolto e la ri-
nuncia all’autogiustificazione18. Così, in materia di religione, il continente della divisione dei cri-
stiani – divisione che poi si è diffusa in tutto il mondo – dovrebbe diventare ora il continente della
riconciliazione. Come affermava il Cardinale Poupard: “Troppo spesso ingombrata e offuscata da
ciò che divide, la coscienza degli Europei finisce per dimenticare ciò che unisce”19.
Mi sembra che proprio attraverso queste forme d’impegno concreto, e altre simili che si
possono trovare, abbiamo la possibilità di fare in modo che la religione e l’eredità spirituale europea
non perdano importanza in Europa, lasciando spazio al vuoto spirituale20. Queste forme, e altre si-
mili, rappresentano il tentativo di tracciare delle direttrici lungo le quali il pensiero cristiano può
ancora esprimersi nella nostra società moderna, secolarizzata e pluralistica21.
Ci lamentiamo talvolta, non senza motivo, che un’Europa costruita sulla base di interessi
puramente commerciali e monetari non riuscirà mai a convincere e ad coinvolgere effettivamente i
cittadini a favore della nuova Europa. Difatti si può constatare facilmente, cifre alla mano, come
l’interesse per le elezioni parlamentari europee vada diminuendo sempre più; come gli euroscettici
siano sul punto di vincere la loro battaglia; come il legame affettivo tra l’Unione Europea e la sua
popolazione sia quasi inesistente – ad eccezione ovviamente di coloro che sanno meglio approfittare
dei vantaggi che essa procura. Forse in questi momenti di delusione ci si nasconde un po’ troppo fa-
cilmente dietro le belle frasi, tutte peraltro ben motivate, come ad es. quella del sindacalista Daniël
Guegguén: “Giammai si potrà costruire l’Europa senza il sostegno della gente che ci vive”. E’ ben
detto ed è profondamente vero: l’unione deve nascere da un’idea comune che possa essere condivi-
sa da tutti. Una comunità di cittadini “non si costruisce sulla base delle condizioni economiche e
sociali, quali che esse siano, e neppure con il semplice ricorso alla razionalità universale e astratta
dei diritti dell’uomo. Per farlo gli individui devono condividere un certo numero di comportamenti
e di credenze comuni”22. C’è bisogno cioè di un’idea. Ma dove siamo, noi cristiani, quando si tratta
veramente di testimoniare contro l’ingiustizia, di lottare contro la frode, contro la povertà, contro
l’esclusione sociale e contro le diverse forme di umiliazione della dignità umana? Non propongo il
quesito come atto di accusa, ma come argomento per una riflessione comune. Quale può essere il
nostro apporto reale, ideale e impegnato per il “bonum commune europaeum”? Abbiamo appreso
come gli organismi governativi siano incapaci di dare una specifica ispirazione culturale e morale
alla loro creazione, per cui (cito Jacques Delors) “l’Europa, malgrado tutto, è rimasta in misura
preponderante elitaria e tecnocratica”23. Apparentemente il fossato tra responsabili delle decisioni e
popolazione effettiva è diventato quasi insormontabile. Ma noi, cittadini di questa Europa, siamo
18
A. von Kirchbach, Cahier 1 “Espaces”, p. 34, 38.
19
P. Poupard, in Christianisme et culture en Europe. Mémoire, conscience, projet. Colloquio presinodale Vaticano, 28
- 31 ottobre 1991, Editions MaMe, 1992 p. 10.
20
Cfr. Cahier 1 “Espaces”, p. 13.
21
È quello che Theo Witvliet chiama “assiomi mediatori (principia media)”, in Que l’église soit l’église!, L’Europe à
la recherche de son âme, p. 217.
22
Jean-Pierre Bastian, Jean-François Collange, nella prefazione a: L’Europe à la recherche de son âme: les églises en-
tre l’Europe et la nation, p. 9.
23
Citato da K. J. Verleye, p. 13.
5
davvero coscienti che certe trasformazioni possono partire solo dalla base? Forse è sbagliato atten-
dersi tutto dalla politica, dimenticando l’appello che già nel 1949 lanciava P. H. Spaak: “Pungolate i
governi”. E’ a livello di base che la “rete” delle istituzioni scolastiche, dei centri di formazione, dei
movimenti, delle Chiese, delle associazioni religiose e filosofiche può dare un contributo insostitui-
bile al lavoro di costruzione di una Europa che è ancora in fase di gestazione24.
Qual è allora il nostro specifico apporto reale, ideale ed effettivo per il “bonum commune
europaeum”? Quali sono i nostri progetti alternativi, quando ci lamentiamo che l’Europa manca di
un’anima e che un’Europa basata unicamente sugli interessi economici e finanziari non riuscirà mai
a toccare il cuore e a convincere la popolazioni interessate? Cosa vogliamo intendere concreta-
mente quando affermiamo che l’unità dell’Europa non si farà che mediante una maturazione morale
e che l’apporto spirituale e morale delle Chiese vi sarà indispensabile? Non è certo tirando fuori
dall’armadio un cristianesimo vecchia maniera che potremo contribuire efficacemente a realizzare
l’idea di Europa che andiamo giustamente perseguendo. Come spiega bene il titolo di una pubblica-
zione della Commissione Pontificia per la Cultura, “Cristianesimo e Cultura in Europa. Memoria,
coscienza, progetto”25, abbiamo bisogno di una riflessione globale in tre tempi consecutivi: memo-
ria, coscienza, progetto. Magnifico trittico per un programma di educazione europea nelle nostre
scuole:
a. avere memoria dell’eredità culturale che i popoli d’Europa hanno in comune.
Questa eredità non è monolitica, ma storicamente complessa. E’ frutto di una tradizione a
più livelli – che purtroppo sono portatori anche delle molteplici tracce di lacerazioni che l’Europa
ha conosciuto nella sua storia. Quali sono gli elementi più importanti di questa eredità, che ancora
oggi possiede una grande forza di coesione tra i popoli d’Europa? Potremmo citare, con il Prof.
Weiler, le idee, i valori e le convinzioni seguenti:
- il senso profondo del valore intrinseco dell’uomo. Ci riferiamo qui allo sviluppo storico in Occi-
dente del concetto di persona umana – concetto che nella sua forma attuale è stato forgiato dagli
apporti rispettivi e complementari della teologia cristiana, del diritto romano e dell’umanesimo
moderno;
- il senso del valore della famiglia e dei rapporti di giustizia che devono essere instaurati nei gruppi
sociali;
- il desiderio di libertà e di autodeterminazione della propria esistenza, compresa quella familiare;
- una profonda diffidenza per ogni forma di autorità che non rispetti questa libertà fondamentale.
Per comprendere bene la profondità di radicamento di queste idee in Europa, conviene ri-
cordare che tutti i popoli d’Europa hanno conosciuto la feudalità da cui sono sbarazzati in seguito.
Tutti hanno conosciuto la struttura sociale degli stati generali del clero, della nobiltà e della borghe-
sia. Tutti hanno subito l’influenza del nazionalismo nascente, del Rinascimento, della Riforma, del-
la Controriforma, dell’epoca classica, dell’illuminismo e dell’industrializzazione moderna. Hanno
creato centri di studi teologici, filosofici e scientifici che sono le università. Malgrado le loro guerre
sanguinose, che sono diventate alla fine guerre mondiali, hanno costruito una comunità di reciproca
comprensione basata su:
- il senso di responsabilità nei confronti del proprio destino;
- la fiducia inalterata nella forza della ragione, che aiuta a risolvere i problemi materiali
dell’esistenza;
- l’etica interiorizzata del lavoro, in vista del benessere proprio e di coloro che hanno bisogno di di-
fesa e di protezione, a cominciare dai membri della famiglia;
- il senso della trascendenza, cioè di una forza dinamica che spinge l’uomo a volere sempre travali-
care le condizioni limitative della sua esistenza.
La presa di coscienza di ciò che concerne l’eredità culturale che i popoli d’Europa hanno in
comune dov’è possibile meglio che nella scuola? Bisogna dunque discernere e conoscere bene gli
elementi che costituiscono questa comune appartenenza, per poi assumerli e trasmetterli come
24
Cfr. K. J. Verleye, p. 23.
25
Colloquio presinodale Vaticano, 28 -31 ottobre 1991, o.c.
6
eredità. In tale ambito la scuola ha precise responsabilità da assumere, che non possono essere de-
legate senza pregiudizio ad altre istituzioni.
b. prendere coscienza, alla luce di questa eredità, delle sfide sociali, etiche e spirituali del
tempo presente.
Un recente rapporto, pubblicato dalla Commissione Europea, ci può aiutare a identificarli a
livello di scuola e di responsabilità educativa. Le prenderemo in considerazione fra un istante.
Questa frase è il titolo del rapporto europeo che ora vorrei prendere in considerazione26. Non
si tratta di sottoporre il documento ad una analisi esaustiva27, ma di andare alla ricerca delle possibi-
lità per l’insegnamento cattolico di contribuire alla costruzione e integrazione europea. Il documen-
to può servirci come punto di partenza, perché offre tutta una serie di raccomandazioni importanti
sul tema dell’educazione e dell’insegnamento in Europa. Parla dell’uomo, della società e della co-
struzione della cittadinanza europea. Lancia sfide che mettono l’accento sulle tensioni in atto
nell’ambito del ruolo educativo e che possono suscitare problemi. L’insegnamento cattolico, come
del resto il Rapporto stesso, non dispone di soluzioni preconfezionate per far fronte a tali problemi.
Ciò però non impedisce che le considerazioni siano importanti, e che meritino perciò la nostra at-
tenzione.
Secondo il Rapporto (mi servo della sintesi che ne ha fatta il Prof. Jonkers28), in Europa la
scuola deve tenere conto di tre importanti esigenze:
1. La necessità di rafforzare la competitività europea a livello economico, tecnologico e orga-
nizzativo.
2. La necessità di contribuire a trovare la soluzione ad alcuni problemi sociali: il multicultura-
lismo, la scomparsa di punti di riferimento sociale, l’individualismo crescente, il risorgere del fon-
damentalismo etnico e religioso, la povertà (quella antica non ancora vinta e quella nuova che ci
minaccia in modo crescente sul versante dell’emarginazione sociale) e l’esclusione (economica, so-
ciale e culturale).
3. La necessità di rispettare i principi fondamentali dell’educazione, di cui il Rapporto afferma
espressamente che vanno ben oltre l’utilitarismo(n.1029). Noi non possiamo che salutare con gioia
quest’ultima osservazione, in un’Europa che talvolta minaccia di naufragare nell’economicismo
puro e semplice. Il Rapporto peraltro insiste su questa terza raccomandazione formulando i tre
obiettivi seguenti: innanzi tutto lo sviluppo integrale della persona (n.13), poi la socializzazione, che
26
Gruppo di riflessione sull’educazione e la formazione, Rapport “Accomplir l’Europe par l’éducation et la forma-
tion”, Dicembre 1996.
27
Lavoro avviato dal Prof. Jonkers per il Comitato Europeo dell’Insegnamento Cattolico e di cui mi servo con grati-
tudine.
28
Vedi nota precedente.
29
I riferimenti sono ai numeri di paragrafo del rapporto: Accomplir l’Europe….
7
Da questa enumerazione appare chiaro che, benché il Rapporto sviluppi nell’insieme un ap-
proccio fortemente economico e tecnologico della formazione, nella dichiarazione d’intenti ricono-
sce l’importanza centrale alla scuola per l’umanizzazione dell’uomo. Sempre stando al Rapporto,
gli aspetti umani, quali l’etica, la cultura, la relazione con gli altri e l’attenzione per gli altri, devono
(ri)trovare il loro posto nell’insegnamento. Qui incontriamo di nuovo quanto abbiamo detto prece-
dentemente a proposito della ricerca di una “anima” per l’Europa. Il Rapporto constata che il modo
attuale di vivere va di pari passo con il “regredire della comprensione e realizzazione dell’uomo
nella sua totalità”, sebbene non rimpianga affatto il regredire di quelle “visioni unitarie dell’uomo
che sono state all’origine dei più sanguinosi conflitti che la storia abbia conosciuto”. La priorità de-
ve andare dunque all’umanizzazione dell’uomo e all’educazione integrale. Anche per noi questa è
senza dubbio una delle raccomandazioni più importanti, con la quale possiamo convenire senza ri-
serva. Priorità dell’umano; gli altri obiettivi dell’insegnamento, in particolare il rafforzamento della
competitività europea, il mantenimento del posto di lavoro e l’incentivazione all’utilizzazione dei
nuovi mezzi informatici, afferma il Rapporto, devono esserle subordinati. Ne consegue che la scuo-
la dovrebbe prima di tutto rafforzare e trasmettere ai giovani quei valori comuni che sono
d’importanza essenziale per l’umanizzazione. Tra di essi il documento elenca: i diritti dell’uomo e
la dignità umana, le libertà fondamentali, la legittimità democratica, la pace e il rifiuto della violen-
za, il rispetto dell’altro, lo spirito di solidarietà, lo sviluppo parallelo, le identiche possibilità per tut-
ti, il pensiero razionale, la conservazione del sistema ecologico e la responsabilità personale (p. 18 e
p.52). Anche in questa enumerazione riconosciamo chiaramente alcuni elementi e valori già evi-
denziati nella prima parte della nostra esposizione. Fin qui non abbiamo che la conferma e
l’incoraggiamento da parte della Commissione per quanto riguarda alcune convinzioni che sono le
stesse della Scuola Cattolica in Europa. Effettivamente non possiamo che essere tutti d’accordo cir-
ca i tre pilastri fondamentali sui quali dovrebbe poggiare ogni opera di formazione nella scuola:
1. - la preparazione alla vita professionale e al posto di lavoro;
2. - la socializzazione dell’individuo, mediante l’educazione alle regole di buona condotta morale e
ai valori e alle virtù di una cittadinanza democratica, leale e giusta;
3. - la formazione della persona in tutte le sue dimensioni, compresa la dimensione spirituale e reli-
giosa e l’impegno sociale di servizio per gli altri.
Deploriamo che il documento della Commissione passi sotto silenzio quella che noi chia-
miamo la dimensione spirituale e religiosa dell’uomo, cioè il rapporto della persona con la trascen-
denza divina. Tralasciamo tuttavia questo elemento di potenziale disaccordo per considerare le in-
tenzioni del Rapporto sotto un profilo positivo. La prima preoccupazione della Commissione Euro-
pea è quella d’identificare e promuovere quegli elementi che nel contesto degli atteggiamenti, valo-
ri, fini e convinzioni possono essere condivisi da tutti gli Europei per il fatto di appartenere ad una
identità storica comune. Essa propone questi valori agli educatori e ai formatori, con la richiesta
esplicita di difenderli e di promuoverli mediante gli strumenti propri della Scuola. Rispondendo po-
sitivamente a questo appello, questa potrà contribuire per la sua parte alla promozione dell’identità
europea e all’avvenire dell’integrazione europea, ben oltre i limiti di uno stretto economicismo che
la maggior parte di noi non può che deplorare. Certo, sappiamo per esperienza che la società con-
temporanea e il mondo politico troppo facilmente utilizzano per l’insegnamento un approccio se-
condo le tecniche e i criteri di qualità del social engineering. Ci si culla ancora nell’illusione che a
8
livello di qualità umane tutto si possa fabbricare come in officina e che tutto si possa costruire qua-
lora si disponga di una didattica nuova adeguata e di mezzi tecnologici e informatici appropriati.
Non occorre spiegare a degli educatori come tutto ciò appartenga piuttosto al mondo dei sogni e
manchi di realismo. Inoltre, non è indice forse di approccio troppo funzionalistico, si domanda il
Prof. Jonkers, quello di voler tradurre ogni problema della società in un nuovo compito per la scuola
– compito concretizzato a sua volta in tutta una serie di corsi specifici e funzionali? Ci si potrebbe
anche domandare se la volontà di costruire l’Europa mediante l’istruzione non sia indice del ritorno
di una concezione statalistica della Scuola, sostituendo il sogno europeo e le virtù democratiche
all’amore sacro della patria e alle virtù patriottiche del passato.
Tuttavia non è propriamente alla mentalità del “social engineering”, né al funzionalismo un po’
superficiale di cui è intrisa la maggior parte del Rapporto della Commissione, che la Scuola Catto-
lica deve far fronte in nome delle proprie convinzioni. Come formatori, non possiamo permetterci di
trascurare le esigenze odierne di formazione professionale e di competitività economica e tecnolo-
gica. Certo esse talvolta entrano in tensione con una formazione che si vuole innanzi tutto educa-
zione dell’uomo integrale, ivi compresa la dimensione etica e spirituale. Ma questa tensione non è
di per sé irrisolvibile. Il problema vero, mi sembra, deriva piuttosto dal modo in cui il Gruppo di ri-
flessione propone di risolvere uno dei problemi prioritari per l’Europa d’oggi e per il suo sforzo di
unificazione, nel momento stesso in cui questo sforzo va oltre il puro livello economico. E’ il pro-
blema della mancanza di una comune convinzione filosofica o confessionale condivisa unanime-
mente da tutti. Su questo punto un dialogo aperto ma fermo con il Rapporto s’impone. Potrebbe ri-
sultare costruttivo e stimolante per tutte e due le parti.
Dopo aver richiamato il fatto che, per la prima volta nella storia, l’integrazione europea non
sarà il risultato dell’egemonia politica o militare di una potenza dominante, ma di passi successivi
realizzati grazie ad un processo di decisioni democratiche, il Rapporto prosegue affermando che
essa “Si consoliderà quando saremo capaci di accettare tutti un insieme di regole e di principi di
comportamento, anche senza condividere necessariamente gli stessi valori. È all’interno di questo
quadro che gli individui si sentiranno liberi di perseguire i propri scopi”(n.53). Cosa sarebbero que-
ste regole di condotta, che non avrebbero fondamento nei valori comuni e all’interno delle quali
ogni individuo potrà perseguire i propri scopi individuali, che tuttavia potrebbero non essere rico-
nosciuti come valori dagli altri? Mi sembra che il Rapporto alluda qui alle regole d’ordine procedu-
rale di quella che definisce “una cultura politica democratica condivisa”(n.54). Sono dunque le re-
gole politiche della vita democratica che il rapporto vuole promuovere, per far fronte ai problemi
connessi con il pluralismo filosofico delle nostre società. Questa proposizione è anche il riconosci-
mento che l’Europa pluralistica attuale non dispone di un modello sociale e umano incontestato e
chiaro per tutti, che potrebbe servire come base o come obiettivo di riferimento per un progetto di
educazione a dimensione europea.
Quel che più conta, è che all’interno della tensione tra i valori d’ordine procedurale (le re-
gole di comportamento sociale e democratico) e i valori di contenuto, questi ultimi rischiano di es-
sere posti comunque in secondo piano, finendo con l’essere considerati convinzioni e stili di vita
privati e particolari, valori locali e perfino folcloristici. Rappresentano convinzioni che vanno certo
9
rispettate per quello che valgono, ma non dovrebbero più pesare sulla società in quanto tale, né sul
progetto educativo della scuola. D’ora in poi la scuola dovrebbe essere basata solo su ciò che unisce
e non su ciò che divide30. È su questo versante che le tesi politiche della democrazia liberale vanno
imponendosi sempre più nel mondo della scuola e nel progetto educativo. Le concezioni confessio-
nali sono percepite come ideologie particolari e non-democratiche, che pretenderebbero di occupare
lo spazio pubblico al quale appartiene la scuola, mentre in una vera democrazia esse dovrebbero ri-
tirarsi per garantire a tutti la libertà di scelta.
Forse non abbiamo ancora ben compreso la portata di questa problematica; non è questione
di respingerla o di negarla. Come diceva bene il Prof. Weiler, qualunque filosofia metafisica
dell’“unità” è attualmente sospetta, perché compromessa storicamente a motivo della sua alleanza
con le forze del fascismo e del totalitarismo. Come reazione a questo pericolo l’aspirazione odierna
dell’Occidente è verso il pluralismo in luogo dell’unità. Il sentimento è profondamente democratico
e anti-totalitario, anche sul piano morale (Questa tendenza si osserva anche nel campo
dell’educazione, dove molti educatori esitano a trasmettere valori morali e religiosi, per il timore di
cadere nell’indottrinamento e nella negazione della libertà altrui. La trasmissione è confusa a torto
con l’autoritarismo). Questo insieme di problemi e di tensioni rappresenta una sfida che va al di là
della stessa sopravvivenza della scuola cattolica in un contesto pluralistico e democratico, dal mo-
mento che la scuola vi è percepita come pertinente di diritto alla sfera pubblica (il che significa an-
che laica) e non al settore privato (cioè filosofico e confessionale).
Dobbiamo constatare che il Rapporto della Commissione Europea tende ad aggravare ulte-
riormente la difficoltà stabilendo da parte sua l’ideologia di base che, secondo esso, sarebbe la sola
capace di unire gli spiriti in una cultura e in una società divenute irreversibilmente pluralistiche. In
realtà il Rapporto rivela una netta propensione per la filosofia razionalistica dei Lumi. Se analiz-
ziamo con attenzione come vi è concepita l’umanizzazione dell’uomo, subito appare chiaro che essa
è identificata con l’autonomia dell’uomo ed opposta a ciò che viene chiamato l’autorità della dot-
trina metafisica e della Chiesa. Secondo il Rapporto, quest’ultima imporrebbe in modo autoritario i
propri interessi particolari, come era caratteristico dell’insegnamento organizzato dalla Chiesa nel
Medioevo e durante la Riforma (n.14 - n.16). E’ sempre molto istruttivo constatare come si è perce-
piti dagli altri. Il documento non nega tuttavia che durante quel periodo storico sono stati promossi
valori e virtù importanti entrati a far parte dell’eredità europea. Ma è merito dei Lumi aver liberato
queste idee dal loro quadro di riferimento tradizionale autoritario e metafisico e aver messo in pri-
mo piano lo spirito scientifico senza pregiudizi e la conoscenza razionale (n.20).
30
Cfr. l’assioma ambivalente del n. 9, dove si afferma di non rimpiangere il regredire di quelle “concezioni integrali
dell’uomo che sono state all’origine dei più sanguinosi conflitti che la storia abbia conosciuto”.
31
Emanzipation und Praxis. Die Aufklärung als europäisches Reformprogramm. Conferenza tenuta al colloquio “Eu-
ropas neue Einheit?” a Colonia l’11 giugno 1999.
10
criterio ogni tradizione metafisica e religiosa doveva essere legittimata. In fondo è ancora questa
patente di legittimità di tipo razionalistico che il Gruppo di riflessione sembra voler imporre
all’Europa Unita, da parte di un tribunale della ragione ritenuto inattaccabile. Si tratta di sapere se
questa esigenza di legittimazione razionale è davvero in grado di comprendere l’anima profonda
delle tradizioni culturali, spirituali e religiose dell’Europa e dunque se questo postulato di razionali-
tà è davvero capace di creare una base di unità e di coerenza nella pluralità di tradizioni e di culture
che caratterizzano l’Europa d’oggi. L’esempio seguente, che sarà anche la mia ultima considera-
zione, tende piuttosto a provare il contrario.
b. il problema dell’identificazione affettiva con il progetto europeo
Le regole d’ordine procedurale sono forse idonee a gestire situazioni di potenziale conflitto,
ma non sono in sé portatrici di senso, di motivazioni e d’entusiasmo quando si tratta di promuovere
la causa comune. Invece, affinché le regole democratiche possano essere accettate volentieri da
quanti sono impegnati in una causa comune, va tenuto conto della motivazione. È il tipo di ragio-
namento che potrebbe essere applicato al progetto attuale d’integrazione europea. Questo progetto
non si appoggia (non ancora, almeno) su un consenso spontaneo generalizzato, ma piuttosto su re-
gole d’ordine politico e sulla volontà e la consapevolezza di una élite intellettuale, che non ha tro-
vato ancora un contatto reale con la base. Ciò significa che dovunque in Europa occorre ricorrere
all’insegnamento per formare una coscienza europea. Ma come fare appello ai giovani e ai loro
educatori se questi non si sentono cointeressati da e per un progetto sensato, che vada oltre il solo
interesse economico? Perché possa nascere entusiasmo per il progetto europeo bisognerà fare ap-
pello alle risorse emotive di identificazione personale e comunitaria nel senso dell’Europa da co-
struire. E che altro sono queste risorse, se non le rispettive appartenenze all’una o all’altra tradizio-
ne culturale, nazionale e religiosa, a partire dalla quale le persone e le culture potranno riconoscersi
in modo più convincente nel progetto europeo? È proprio dall’incontro di queste diverse tradizioni
storiche che è nata la comune identità europea. Solo rispettando le diverse appartenenze e il loro si-
gnificato e valore specifico sarà possibile fare ricorso alle risorse motivazionali degli individui
cointeressati, sul piano della loro sensibilità culturale, affettiva e spirituale. E’ precisamente quello
che il pensiero razionalista dei Lumi non è mai arrivato a comprendere. Esso dimentica troppo fa-
cilmente che le verità puramente razionali e scientifiche non sono portatrici di senso e di emozione,
e rifiuta di fare appello al livello emotivo e più soggettivo delle appartenenze specifiche per ottenere
l’adesione al progetto comune. Rifiuta in partenza queste appartenenze, le giudica, impone ad esse i
propri criteri di verità, esige giustificazioni. È invece tra i teorici della democrazia liberale32 mo-
derna che possiamo trovare alcuni pensatori che lentamente cominciano a rendersi conto del pro-
blema con più chiaroveggenza. Questa evoluzione si può osservare presso John Rawls33 e Marcel
Gauchet34. L’idea è che la virtù della giustizia democratica (political fairness), necessaria al buon
funzionamento della democrazia moderna, ha bisogno di essere sostenuta dai gruppi socio-culturali
che costituiscono la società civile (civil society) e le cui rispettive filosofie (comprehensive systems)
sono ancora oggi le sorgenti di senso e di creatività culturale al livello da cui la politica deve neces-
sariamente astenersi per conservare la neutralità necessaria al processo di decisione democratica. Di
fronte a questo fondamentale bisogno di senso della società democratica contemporanea minacciata
dal nichilismo (e contestualmente in vista del progetto europeo), si potrebbe dire con Marcel Gau-
chet che il sentimento anticlericale, che tanto spesso caratterizza ancora oggi la coscienza repubbli-
32
In opposizione a quanti si rifanno ancora al pensiero repubblicano e laicista.
33
Cfr. soprattutto J. Rawls, Political Liberalism Columbia University Press, New York 1993, Introduction e Part Two
(Lect. IV, V, VI), e l’introduzione alla Paperback edition della stessa opera. E ancora: “The Idea of Public Reason Re-
visited”, The University of Chicago Law Review, 1977, 64 pp. 765 - 807.
34
M. Gauchet, La religion dans la démocratie. Parcours de la läicité, Gallimard, Paris 1998: “il potere politico [… ] ha
bisogno di riferimento alle finalità che lo superano[… ]per essere sostenuto” (p. 104). Le religioni sono chiamate, in-
sieme alle altre filosofie, a fornirli “secondo la loro capacità di proporre una concezione globale del destino dell’uomo”
(p. 105). “È la capacità di proporre una idea d’insieme del mondo e dell’uomo capace di giustificare in definitiva le op-
zioni individuali e collettive” (pp. 105 - 106).
11
cana, è veramente sorpassato dai fatti e dalle urgenze del tempo presente35. La democrazia non può
più permettersi di prendere le distanze dai portatori di senso, ai quali invece dovrà fare appello
sempre più, non soltanto in vista del benessere spirituale della società, ma anche per garantire la so-
pravvivenza di quelle virtù civiche sulle quali essa deve fare assegnamento per poter funzionare.
Come dicevo, bisognerà partire da queste considerazioni per impegnarci in un dialogo aperto ma
fermo con le tendenze illuministiche ed eclettiche di cui fa testo il Rapporto della Commissione eu-
ropea – conservando al tempo stesso una serena fiducia in noi stessi e nella nostra tradizione spiri-
tuale.
4. Conclusione
Perché l’Europa possa nascere è necessario che si stabilisca un rapporto nuovo tra le appar-
tenenze culturali e religiose da una parte e coloro che prendono le decisioni politiche e finanziarie
dall’altra. I gruppi culturali e religiosi dovranno riconoscere da parte loro che, sociologicamente
parlando, essi non sono i rappresentanti di un universo riconosciuto ugualmente da tutti allo stesso
modo. Questa pluralità rende di fatto necessaria, nella moderna società democratica, la neutralità
della gestione politica per quanto si riferisce alle diverse tradizioni filosofiche che la compongono.
D’altra parte coloro che prendono le decisioni politiche in uno Stato democratico che funzioni bene
dovranno adottare un atteggiamento molto più positivo verso i gruppi della civil society che nella
società sono i “fornitori” di quanto fa riferimento al riconoscimento di senso e alla coscienza dei
valori. Lo Stato (e per quanto la riguarda l'Unione Europa) ha diritto di decidere su tutto ciò che
deve garantire un consenso di base nella società. Ma deve anche le condizioni generali per per-
mettere ai diversi orientamenti filosofici presenti in essa di continuare ad assolvere la loro funzione
specifica come portatori di senso. Ne ha bisogno la stessa società, a cominciare dalle famiglie. Per
questa ragione la Scuola Cattolica deve continuare ad avere fiducia in se stessa e restare fedele alla
propria identità e ispirazione.
35
Si riferisce soprattutto alla sensibilità dei paesi di cultura latina. L’antagonismo tra laicità e religione è presente mag-
giormente nelle culture e nei paesi latini, a differenza dell’ambito culturale anglosassone o scandinavo, dove i rapporti
Chiesa-Stato non hanno seguito la stessa evoluzione “repubblicana”.
NUOVE ESIGENZE EDUCATIVE E SCUOLA CATTOLICA
SAPER ASCOLTARE LA DOMANDA PER CAMBIARE LA SCUOLA
GUGLIELMO MALIZIA
Per riuscire a disegnare le prospettive della scuola cattolica tra vita, cultura e fede, occorre prima
di tutto dimostrare grande attenzione nei confronti dei destinatari1. Non è solo questione di scelta etica o
psicologica, ma è espressione di reale sensibilità educativa il lasciarsi interpellare e farsi mettere in
discussione dall'universo giovanile, dalle famiglie, dal mondo del lavoro, dalle comunità locali e dalla
più ampia società civile con i loro tratti specifici, le loro attese, i loro problemi, il loro disagio. Oltre che
organizzare risposte e strutturare istituzioni, la scuola cattolica intende dare la parola ai soggetti, rendere
responsabili le persone delle scelte e della gestione e quindi come primo atto educativo innescare
all'interno un processo di partecipazione responsabile.
Va sottolineato che la domanda educativa, in particolare quella dei giovani, non evidenzia solo
rischi, difficoltà, preoccupazioni, ma mette in risalto anche opportunità e motivi di speranza e in questo
senso è possibile liberare risorse che si potranno rivelare preziose. La società italiana in transizione non si
presenta come una realtà omogenea e compatta, ma offre un panorama complesso e variegato di
situazioni e di dinamiche. Dalle interpretazioni scientifiche più accreditate e dall’esperienza dei soggetti
direttamente interessati emerge un quadro articolato, una mappa diversificata di risorse e di ostacoli che
operano in senso positivo o negativo ai fini della costruzione di personalità mature.
Mettersi in ascolto della domanda educativa è una condizione necessaria, ma non sufficiente;
l’analisi puntuale della situazione dovrà essere accompagnata dall'identificazione delle linee di tendenza
che la stanno caratterizzando al presente. Se la capacità di ascolto costituisce una delle principali risorse
educative della persona, è anche vero che la disamina deve farsi giudizio critico, in grado di mettere in
luce sia gli aspetti positivi sia quelli problematici o negativi e di indicare le vie da percorrere. In questa
opera di discernimento sarà importante lasciarsi illuminare dalla presenza e dalla parola del Signore.
L'intervento è diviso in tre parti principali. La prima cerca di raccogliere i segnali più rilevanti
che vengono dalla società in generale relativamente all'ambito sotto esame, mentre nella seconda si è
tentato di identificare le esigenze degli alunni e dei genitori delle scuole cattoliche utilizzando i risultati
di due indagini recenti. Alla fine una breve conclusione mira a focalizzare l'attenzione sulle istanze
principali della nuova domanda educativa. Veniamo senz’altro alla prima parte che ho suddiviso in
quattro sezioni.
2.1. I giovani tra disaffezione per la politica e impegno nel micro: il deficit di utopia
1
Desidero cogliere l’occasione per ringraziare quanti mi hanno aiutato a stendere questa relazione con consigli, correzioni e
integrazioni. La mia gratitudine va ai membri del Centro Studi per la Scuola Cattolica, in specie a P. De Giorgi, G. Monni e a
B. Stenco, ai genitori del Consiglio Direttivo dell’Agesc, in particolare a S. Versari, e ai professori C. Bissoli e C. Nanni. In un
certo senso si tratta di una relazione corale, ma se si troverà qualche dissonanza, questa è attribuibile solo al sottoscritto.
2
in un recente passato, non pare capace di suscitare particolari emozioni tra i giovani di oggi (Diamanti,
1999; Bassi, 1999; Garelli e Offi, 1997). Essi non si possono più definire un movimento collettivo o un
soggetto politico-sociale-culturale unitario, se mai lo siano stati; non si presentano come capaci o artefici
di grandi cambiamenti. In questo senso i tempi del mito giovanile paiono ormai definitivamente
tramontati. I giovani non contestano i poteri costituiti, paiono indifferenti rispetto alle sollecitazioni, pur
provenienti da personaggi di grande rilievo pubblico, di scioperare contro gli adulti, e non entrano in
conflitto né con i genitori, né con gli insegnanti. Quelli posti a fondamento della contestazione degli anni
’70 erano problemi reali e costitutivi dell’esistere di una generazione, ma la loro strumentalizzazione a
fini partitico-politici li ha privati di verità e, perciò, di efficacia educativa.
La drastica riduzione della natalità che ha caratterizzato l'Italia negli ultimi decenni ha fatto dei
giovani una generazione di figli unici a cui i padri e le madri hanno spesso comunicato la loro delusione
per il fallimento dei sogni e delle attese accarezzati lungamente durante gli anni 60 e 70. In molti casi il
mondo adulto con cui si sono relazionati principalmente - genitori, insegnanti, professori - era costituito
da persone passate in breve tempo dal massimo di esaltazione al massimo di disillusione; in aggiunta, di
frequente essi non hanno usufruito del contatto con fratelli e sorelle maggiori di cui abbiano potuto
condividere esperienze significative per la loro crescita. In questo senso si tratta di una generazione che
ha sofferto di una crisi di maestri che li ha lasciati del tutto "disincantati". Tuttavia, non li si può
considerare inattivi; al contrario, appaiono immersi in una costellazione di gruppi orientati alla socialità
e al servizio, limitatamente però alla sfera amicale o alla vita quotidiana, mentre risultano assai poco
interessati alla mobilitazione collettiva o a lanciare al mondo parole d'ordine rivoluzionarie e dirompenti.
In questo senso si possono definire una "generazione invisibile", ma l'espressione è ambigua
(Diamanti, 1999; Cavalli, 1999; Calvi, 1999). Essi sono invisibili solo per quegli adulti che hanno gli
occhiali appannati, che si sono costruiti delle immagini di ciò che dovrebbero essere i giovani di oggi
esemplate sui miti della loro giovinezza. Tra l'altro molti degli adulti hanno perso nei confronti dei
giovani la capacità di proposta e di ascolto. Questo esprime non solamente una sconfitta psicologica
dell’adulto, ma fa emergere chiaramente il fallimento della cultura che li ha fatti adulti: pensare la realtà
come razionalmente esistente solo se riportata o ridotta al pensiero del soggetto, capire un qualche cosa o
un qualcuno solo in quanto e per quel tanto che lo si riporta al soggetto conoscente, è proprio la
espressione tipica di quella razionalità incompleta e impersonale a cui la scuola cattolica vorrebbe
ovviare con l’abbinamento alla ragione di fede e vita. I giovani al contrario hanno una loro specificità,
anche se la differenziazione spinta di bisogni, attese, domande, problemi, propria dell'attuale società
complessa, rende meno preciso e meno chiaro il loro profilo. Più vera è la espressione citata se viene
presa come sinonimo di generazione "emarginata", "esclusa", "dimenticata".
Di fronte a un passato di cui la memoria tende a ricordare solo l'ultimo degli eventi evocato dai
mass media e in relazione a un futuro che appare perennemente incerto, l'attenzione prevalente di questi
giovani appare spostata sul quotidiano, mentre perdono di rilevanza la preoccupazione per l'avvenire,
l'impegno della progettualità, la costruzione del futuro personale e dell'umanità. La realtà che conta è il
proprio corpo e il presente, quanto fa capo al qui ed ora. Una sorta di pragmatismo sembra dominare sia
la conoscenza sia l'azione perché l'interesse è focalizzato sull'appagamento delle esigenze del momento.
Da più parti è stata denunciata la memoria corta di questa generazione, lo scarso interesse per la
storia, la mancanza di una cultura civica solida (Scalfari 1999; Cartocci e Parisi, 1997; Cartocci e
Negrini, 1998). A ciò si aggiunge non infrequentemente l'assenza di passione per la cultura, per il lavoro
metodico e approfondito e per la teorizzazione in genere. Se la costruzione dell'avvenire non pare
suscitare in loro grandi entusiasmi o stimolarne intensamente la creatività, diverso è il discorso quando si
tratta di navigare tra gli scogli del presente e del futuro prossimo. E’ qui peraltro che sembrano
dimostrare una consumata maestria nell'arte della flessibilità, nel sapersi adattare alle esigenze del
momento. I giovani appaiono navigatori sperimentati dell’immediato. Tutto ciò si accompagna alla
strategia della reversibilità, alla tendenza cioè a evitare in ogni campo scelte definitive per cui, tra l'altro,
3
le opzioni fondamentali, che un tempo si consideravano immutabili per tutta la vita, non sono più ritenute
necessariamente tali e non è più un fatto eccezionale che possano cambiare.
Nel tempo libero i giovani italiani mostrano interessi sostanzialmente coincidenti con quelli dei
loro pari età degli altri paesi dell'UE nel senso che, come loro, ascoltano musica, praticano lo sport e
guardano la TV (Censis, 1998a). Nello stesso tempo, però, si differenziano rispetto alla media dei loro
coeteani dell'UE quanto alla misura in cui partecipano ai consumi culturali e ricreativi che richiedono un
impegno più consistente di natura economica, come il cinema, gli spettacoli teatrali, i concerti, i
videogiochi, la multimedialità e la navigazione in Internet, i viaggi. In altre parole, i nostri giovani
appaiono svantaggiati in paragone con gran parte dei pari età dell'Europa quanto a opportunità di fruire
dei quei consumi culturali che vengono definiti di "cittadinanza" perché sembrano assicurare una qualità
della vita più elevata e garantire un esercizio più ampio ed efficace della socialità.
La Chiesa cattolica si dimostra capace ancor oggi di portare alla fede una parte considerevole2
delle nuove generazioni, almeno fino ai 14-15 anni (Pace, 1997; Cipriani, 1997; Midali e Tonelli, 1996;
Cesareo et alii, 1995). Dopo tale età per una parte dei giovani credere assume i contorni di una opzione
che non necessariamente si adegua agli orientamenti accolti nel periodo della socializzazione primaria.
La posizione delle nuove generazioni nei confronti dell'esperienza religiosa che esse fanno all'interno
della Chiesa si qualifica principalmente per due aspetti: da una parte sono animate da un bisogno sincero
di ricerca di senso, mentre dall'altra incontrano un notevole disagio nel seguire il modello normativo che
la Chiesa offre alla loro considerazione. Tali atteggiamenti aiutano a capire i motivi per cui i giovani
siano disponibili a credere sì, ma nel relativo, cioè senza fare riferimento obbligato a una istituzione di
salvezza. L'adesione da parte di una percentuale consistente delle nuove generazione, soprattutto del
gruppo di età 22-29 anni, a credenze altre (cfr. per esempio la New Age) attesta come per una sezione non
marginale del mondo giovanile non rappresenti più un problema credere al tempo stesso ad alcune verità
del cristianesimo e a principi propri di altre religioni. C’è nei giovani una strana, ma non assurda analogia
di comportamento verso la cultura come verso la religione: c’è curiosità intellettuale ma non impegno
metodico per la cultura strutturata; c’è desiderio di spiritualità, ma c’è anche indifferenza verso la sua
radicalità e diffidenza per la sua organizzazione in Chiesa.
Queste situazioni esprimono alla fin fine il bisogno dei giovani di avere tramite la scuola ciò che
essi in quelle loro situazioni e in questo nostro contesto sociale non riusciranno mai a conquistare, ma che
sentono necessari per diventare adulti: il bisogno di pensare, agire e vivere alla "lunga" e alla "grande"
e quindi saper pensare e lavorare a rete, distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario, arrivare
ad idee-forza che coagulino concetti ed esperienze e prendere i relativi impegni, abituarsi a pensare e a
operare altrimenti, non solo secondo i modi scontati e sulla base dei dati di fatto o dell'esistente, ma
lavorando anche sul possibile, sull'ipotetico e sull'utopico (Nanni, 1999). Così sul piano della fede va
sottolineata l’esigenza di ritrovare le ragioni del credere soprattutto nella Chiesa: a questo proposito è
necessario che, a livello di valori e di fronte alla crisi dei maestri, la scuola cattolica si sforzi di
riassumere con decisione il ruolo di "Mater et Magistra". Un altro compito importante da svolgere, che
emerge sempre dalle carenze elencate sopra in relazione alla cultura dei giovani, consiste nell'offrire sia
una formazione storica efficace che consenta loro di recuperare la memoria del passato, sia una
educazione civica adeguata che li aiuti ad uscire dal chiuso del privato o dall'entusiasmo per una
dimensione internazionale che può rimanere piuttosto lontana e astratta, al fine di calarli in maniera attiva
nella politica locale e nazionale. L'atteggiamento pragmatico così vivo nelle nuove generazioni va preso
come antidoto alla eventuale retorica di una formazione alla capacità di proporsi orizzonti ampi di
riflessione e di azione.
2
Secondo il IV rapporto Iard il "polo religioso" della fascia 15-17 anni sarebbe costituito dal 54,5% del relativo gruppo di età
(Quarto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia. Sintesi dei principali risultati, 1996, p.31; Buzzi, Cavalli e De
Lillo, 1997).
4
Nella gran parte dei casi i giovani palesano un atteggiamento di recupero del valore "famiglia"
dopo gli anni della contestazione che li hanno visti fortemente critici della istituzione primaria della
società (Ramella, 1999; Calvi, 1999; Tonolo, 1999; Donati e Colozzi, 1997; Malizia, 1995). Genitori e
figli sembrano ormai aver ritrovato un nuovo equilibrio nelle loro relazioni. La famiglia riacquista peso e
credibilità, è un luogo di sicurezza e di comunicazione, è l'istituzione che ottiene il massimo di fiducia da
parte dei giovani. Questa recuperata armonia generazionale non deve fare dimenticare né la tendenza
degli interessati a realizzare accordi taciti al ribasso per cui, pur di conservare un clima di convivenza
pacifica, i genitori rinunciano a stimolare i loro figli verso una formazione religiosa e morale più
impegnativa, né può nascondere i mutamenti profondi in corso all'interno delle nostre case.
Anzitutto va registrato il cambiamento silenzioso in atto nei rapporti tra i genitori e i figli. Il dato
che attira maggiormente l'attenzione è costituito dalla permanenza protratta dei figli nelle famiglie di
origine: ben il 38% della fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni vive ancora con i genitori (Calvi, 1999,
p.397). Le ragioni di tale andamento vanno ricercate senz'altro nella necessaria supplenza di tutela
esercitata dalla famiglia nei confronti dei giovani senza lavoro e nell'impossibilità di creare una nuova
famiglia, ma non solo: infatti, sono gli stessi genitori che cercano di trattenere i figli anche per il timore
della solitudine e d'altra pare questi ultimi non hanno grandi motivi per andarsene da casa dove fruiscono
di una abitazione decorosa, di un valido supporto emozionale, di un efficace orientamento scolastico e
professionale, di denaro, senza doversi sottoporre ai vincoli gravosi e alle imposizioni del passato. Ben
più serio: il fatto attesta dell'incapacità dei genitori a formare all'autonomia, alla vita indipendente,
all'esercizio della responsabilità, ad affrontare la dura lotta per la vita.
Le trasformazioni in atto all'interno delle pareti domestiche non riguardano solo i figli, ma
coinvolgono in misura eguale anche i padri e le madri. Anzitutto, va sottolineato che questi si sforzano
realmente di armonizzare le proprie esigenze personali con un servizio alla famiglia e ai figli che
vogliono rinnovato ed efficace. Benché fruiscano di una situazione di sicurezza e di benessere maggiori
che non le generazioni precedenti, gli attuali adulti devono confrontarsi con problemi che, seppur diversi,
non risultano meno gravosi di quelli dei loro genitori. Le donne, se da una parte risultano sempre più
presenti e attive sul piano occupazionale, vedono di fatto raddoppiato il loro lavoro anche a causa di una
latitanza dei mariti ancora notevolmente diffusa. A loro volta questi ultimi incontrano notevoli difficoltà
nel cercare di ridefinire le loro funzioni nella famiglia, tenuto conto che il ruolo maschile tradizionale è
stato raggiunto da una diffusa delegittimazione. Inoltre, padri e madri si impegnano a porre in atto nuove
forme di rapporto con i figli che siano più aperte e dialoganti del passato; da questo punto di vista, se essi
sembrano avere un certo successo nel dare affetto, calore e cure e nel garantire adeguate risorse e mezzi
economici, appaiono però spesso a disagio nel fornire ai loro figli identità e punti di riferimento valoriali.
In sintesi, la famiglia è in grave difficoltà nel realizzare la sua funzione di primo soggetto
dell'educazione, di un'educazione cioè capace di comunicare quella cultura antropologica ed esistenziale
che è anzitutto risposta alla domanda fondamentale sul significato di sé, degli altri e delle cose (Colozzi,
1999).
Contemporaneamente risulta anche problematico il rapporto tra la famiglia e la scuola (Donati,
1999). Infatti, esso si presenta anzitutto debole perché le due istituzioni, nonostante tutto, comunicano
sempre di meno e in modo sempre meno significativo fra loro, diminuendo continuamente gli aspetti
comuni che le collegano. Inoltre, tale nesso è distorto in quanto le strategie formative familiari e
scolastiche, invece di procedere in modo integrato fra loro, percorrono itinerari parzialmente o del tutto
diversi al punto che la scuola, lungi dal dare seguito alla educazione familiare, può anche muoversi in
direzione opposta e può anche capitare che essa debba difendere il suo ruolo proprio dalla intrusione
della famiglia.
5
La scuola pertanto dovrebbe offrire un aiuto maggiore alla famiglia nel senso di raccordare più
precisamente il proprio insegnamento ai temi e ai problemi che le famiglie ritengono più rilevanti.
Purtroppo la evoluzione dei rapporti tra scuola e famiglia sul piano normativo non ha facilitato nel nostro
paese le reciproche intese. Da questo punto di vista l'istanza prima e urgente va identificata nel
riconoscimento effettivo sul piano politico della libertà di educazione delle famiglie come un diritto
civile di tutti: senza di questo la famiglia non partecipa veramente alla vita della scuola e senza tale
partecipazione la proposta educativa della scuola incomincia proprio dal disimpegno nel politico e perciò
da una indifferenza al valore della democrazia. Tuttavia, la libertà di scelta da sola non basta; è
necessario che oltre a questa, le famiglie abbiano l'opportunità reale di partecipare alla elaborazione del
progetto educativo o del piano dell'offerta formativa, della scuola del proprio figlio, di collaborare alla
sua realizzazione e di verificare che esso venga veramente tradotto in pratica, sempre naturalmente nel
rispetto dell'autonomia didattica dei docenti.
Secondo la ricerca di Donati e Colozzi gli studenti dimostrano una concezione strumentale e
realizzativa della educazione scolastica (1997, pp.121-123). L’attenzione è concentrata in modo
prevalente sulla formazione che viene impartita dal tipo di istruzione che si frequenta e sul contributo che
questa offre alla propria crescita personale, mentre vengono trascurate le funzioni di socializzazione e più
in generale gli aspetti espressivi. Quanto alla educazione che si riceve a scuola, più del 70% riconosce
che questa forma ad assumersi delle responsabilità, ma solo il 10.1% ritiene che educhi a essere solidale
con i propri coetanei. Anzi una percentuale analoga è dell’opinione che la scuola spinga piuttosto a
pensare solo a se stessi.
Passando agli insegnanti, un quarto quasi degli intervistati ritiene di non averne trovato nessuno
che lo ha educato a riflettere sul proprio ruolo nella società e ad affrontare le problematiche della vita, il
14.3% dichiara che ve n’è stato uno solo e per la metà quasi degli intervistati sono stati unicamente
alcuni; solo il 13.8% riconosce presente questa abilità educativa in tutti i docenti. Un punto critico è
proprio costituito dalle difficoltà che i docenti incontrano nell'istituire modalità comunicative e clima
emotivo adeguati per fare dello studente l'effettivo protagonista dei processi di apprendimento (Cavalli e
De Lillo, 1993). In altre parole un nodo della scuola consiste nella sua capacità di sviluppare la
soggettività degli alunni che, non lo si deve dimenticare, sono ancora bisognosi di autonomia e di
riconoscimento.
Quanto al problema oramai strutturale della dispersione scolastica, anche negli anni '90 non si
può considerare una meta già conseguita quella dell'efficacia piena del sistema scolastico, misurata dagli
esiti ottenuti dagli alunni (Besozzi, 1997; Isfol, 1998; Censis, 1998b; Mion, 1999). Nei diversi livelli
dell'istruzione risultano ancora diffuse ripetenze, bocciature e abbandoni. Tra gli studenti si registra una
presenza consistente e articolata di itinerari discontinui e irregolari: secondo i dati dell'ultimo rapporto
Iard “quasi la metà dei giovani (44,9%) ha seguito percorsi accidentati” (Buzzi, Cavalli e De Lillo, 1997,
p.40). In proposito va ricordato che su 100 iscritti alla prima media il 4,7% abbandona la scuola senza
conseguire il titolo di licenza, il 16,7% lascia la secondaria superiore senza ottenere la maturità e il 31,3%
abbandona l'università senza raggiungere la laurea (Vinciguerra, 1998, p.302).
In sostanza, le scelte di acquisire o meno istruzione sono direttamente connesse con tutto un
complesso di elementi, individuali e strutturali, che interagiscono tra loro influenzando decisioni e
strategie. Tra questi fattori rientrano le risorse personali, la carriera scolastica regolare, l'appartenenza di
genere, il background culturale, le risorse economiche familiari, l'ambiente sociale, il funzionamento
della istituzione scolastica e la sua capacità di sostenere le opzioni di investire in istruzione. Pertanto,
all'interno della domanda sociale di istruzione si delinea un continuum di situazioni che mette in
6
evidenza una ripartizione non omogenea delle opportunità materiali e culturali e quindi una
diversificazione della capacità di funzionamento. In questa ottica, particolarmente svantaggiate risultano
le fasce deboli che, potendo contare unicamente su una gamma limitata di risorse, presentano una bassa
capacità di funzionamento sia nelle scelte che nella acquisizione di istruzione.
Anche se in una maniera non univoca e talora pure contraddittoria sembrano emergere all'interno
del sistema scolastico e di Formazione Professionale (FP) tre tipi di domande:
• Appare chiara l'esigenza di assicurare l'eguaglianza di opportunità per tutti, in particolare degli strati
più svantaggiati.
• L'atteggiamento in generale molto pragmatico dei giovani rinvia a una offerta di istruzione e di
formazione capace di integrare in maniera efficace gli alunni nella vita e in particolare nel mondo del
lavoro.
• Tutto ciò non sembra escludere una precisa domanda educativa: essa però nasce indirettamente dalla
cosiddetta incapacità relazionale degli insegnanti, una carenza che molto probabilmente si può
tradurre nella esigenza di una scuola più educativa.
Le ragioni del tasso eccezionalmente alto della disoccupazione giovanile vengono in genere
identificate in due fattori: il sistema di tutela forte assicurato alle classi centrali di età; il divario esistente
tra la domanda delle imprese e la formazione dei giovani che entrano nel mondo del lavoro (Anastasia e
Corò, 1999; Giovine, 1998). Di conseguenza, se si vuole correggere la anomalia appena accennata, si
dovrà intervenire sulle aspettative dei giovani per riallinearle con le esigenze del mondo produttivo
mediante l'adozione di strategie di orientamento culturale e istituzionale. Tale spiegazione, anche se può
senz'altro contare su una base adeguata di dati, non sembra però esaustiva perché non tiene conto di
alcuni elementi significativi della situazione che è, invece, opportuno sottoporre ad approfondito esame.
Invero gli aspetti di discontinuità che si riscontrano tra i comportamenti dei giovani e andamento
del mondo del lavoro non possono essere interpretati tutti e in ogni caso come una realtà negativa. Sotto
un certo punto di vista gli scarti esistenti vanno letti come indicatori del potenziale cambiamento che i
giovani sperimentano nei loro rapporti con la situazione occupazionale, e, quindi, possono rappresentare
criteri positivi di evoluzione della stessa società.
In primo luogo, la diminuzione costante della presenza dei giovani nel mercato del lavoro dipende
fondamentalmente dalla ricerca di una istruzione di base più solida a cui corrispondono una elevazione
continua dei livelli di scolarizzazione e l'allungamento dei tempi dedicati alla propria formazione. La
crescita della incertezza e della precarietà nella situazione lavorativa può rappresentare in un numero
ragguardevole di casi una occasione di apprendimento di abilità, di instaurazione di rapporti, di
preparazione imprenditoriale; essa, però è anche fonte di sconcerto e aongoscia e può alimentare nei
soggetti interessati un atteggiamento pragmatico per cui occorrerà lavorare educativamente in tale
ambito. Dal punto di vista dei giovani il lavoro autonomo non può essere considerato solo come una
modalità di auto-impiego per supplire la mancanza di alternative, ma costituisce anche lo sbocco positivo
di una maturazione sul piano imprenditoriale che rinvia all'acquisizione di competenze e di relazioni che
si possono conseguire unicamente con l'esperienza diretta della produzione. I mutamenti che si vanno
gradualmente imponendo sul lato dell'offerta (livelli più elevati di scolarità, domanda di valorizzazione
professionale, ricerca delle componenti espressive nelle occupazioni) offrono alle imprese un complesso
di indicazioni che contribuiscono a sospingerle verso un riposizionamento strategico.
Nel passaggio da una economia industriale ad una post-industriale si trasforma il senso e il
modo di lavorare, nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano "pelle", altri scompaiono
definitivamente (Malizia, 1999). In sintesi, le più significative esigenze connesse con i mutamenti che
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Come parte non trascurabile dell’intero sistema formativo del nostro paese, anche la scuola
cattolica è crocevia sensibile delle problematiche e delle attese che, come abbiamo visto, caratterizzano
la domanda dei giovani, dei ragazzi e delle loro famiglie in questo scorcio di fine millennio (Scurati,
1998; CSSC, 1999). I risultati del recente sondaggio effettuato dal Centro Studi per la Scuola Cattolica e
che ha coinvolto 656 studenti e 309 genitori conferma che essa è percepita come un’opportunità
formativa che arricchisce il complesso dell’offerta di istruzione e di educazione nel nostro paese e quindi
aumenta le possibilità realizzative dei giovani e quelle che gli adulti cercano a sostegno e integrazione
delle loro responsabilità di padri e madri3. Ci sono quindi domande che se rivolte alla scuola cattolica non
rappresentano solo un invito a un certo tipo di operatività e, quindi, a una maggiore efficienza, ma
entrano nella natura stessa della scuola cattolica e la provocano a una migliore e più esplicita identità. Ad
esempio, la missionarietà e la ecumenicità sono esigenze di una comunità ecclesiale, ma poste nella
scuola cattolica diventano un invito a ripensare la stessa cultura in termini di globalità e di universalità.
In effetti, tra i compiti che dovrebbero caratterizzare la scuola cattolica il 70,2% dei genitori e il
61,3% degli studenti colloca al primo posto quello dell’attenzione alla formazione della persona in tutte
3
Il sondaggio è stato effettuato durante i convegni interregionali, organizzati tra l'aprile e il settembre del 1999 in
preparazione dell'Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica (a Verona, Milano, Firenze, Bari, Roma e Acireale) e ha
raggiunto pressoché l'universo dei partecipanti.
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le sue dimensioni. C’è una diffusa consapevolezza che nel rapporto tra sistema formativo e sistema
economico, sociale e politico, l’incidenza del primo è determinante per lo sviluppo degli altri, a
condizione che le potenzialità, le attitudini, le risorse di ogni persona siano effettivamente valorizzate e
fatte crescere. Questa interpretazione si conferma anche dalla preferenza data a tale compito addirittura
rispetto a quella assegnata (21,2% degli studenti e 21% dei genitori) ad un altro fattore determinante per
una scuola nel suo confronto con il sistema produttivo, come quello dell’innovazione tecnologica e
metodologica.
Tale andamento trova una verifica in un'altra indagine, questa volta di natura qualitativa, condotta
sui genitori dell'Agesc4. Da parte degli intervistati si vorrebbe una scuola cattolica più attenta all'aspetto
formativo e cioè alla ricerca di significato per la vita e anche più incisiva nel creare gusto e interesse per
la cultura. I genitori hanno cioè l'impressione che la scuola cattolica sia troppo timorosa (forse per motivi
di iscrizioni!) nel pretendere “lavoro” e “fatica”; in sostanza essi sono preoccupati per l'abbassamento del
tono formativo e dell'impegno culturale dei propri figli.
E’ ovvio che la domanda di formazione globale non giustifica da sola la scelta (e l’esistenza) di
una scuola cattolica, ma il 70,2% dei genitori e il 39,6% degli studenti riconoscono e accettano le finalità
istituzionali qualificanti della scuola cattolica e le attribuiscono come compito quello di offrire la
possibilità di una sintesi tra cultura, fede e vita, soprattutto nel senso che, attraverso di essa, la persona
riceve un arricchimento integrale delle sue potenzialità e risorse strumentali, culturali e anche spirituali,
in grado di permetterle un valido e significativo inserimento sociale: ciò vuol dire che si cerca una scuola
cattolica che si qualifichi come servizio non autoreferenziale in rapporto a finalità di eccellenza
qualitativa o anche a quelle della socializzazione religiosa ed ecclesiale, ma impegnato nell’offrire vie
praticabili di promozione della persona nel quadro dei rapporti difficili tra il sistema formativo e quello
socio-economico e produttivo. Non a caso è giudicato come il più importante fattore di qualità della
scuola cattolica, per quanto riguarda il suo rapporto con il contesto esterno, l’integrazione con la realtà
socio-economica, culturale ed educativa del territorio e tale andamento è confermato dall'indagine
qualitativa sull'Agesc che insiste sull'apertura della scuola al sociale.
Ciò non deve intendersi nel senso di un puro e semplice adeguamento o adattamento di tipo
funzionalistico o, peggio ancora, di omologazione a una certa mentalità: è la maturità della persona nella
sua consapevolezza sociale, etica, religiosa che viene apprezzata, unitamente all’acquisto delle
competenze e delle abilità culturali e strumentali in grado di permetterle un efficace inserimento sociale.
La domanda pertanto si connota come richiesta di una formazione che dovrebbe essere
contemporaneamente integrale e funzionale (ma non passivamente) ad un inserimento nella vita attiva e
nella società. La scuola cattolica quindi non vede ridimensionato il livello ideale e valoriale della propria
offerta formativa e il tasso di “ispirazione cristiana e cattolica” della sua progettualità, ma piuttosto viene
interpellata perché li faccia diventare effettivamente fattori promozionali e motivazionali della persona,
proponendo un iter equilibrato nel rapporto tra formazione generale, formazione sociale e formazione
tecnica e professionale della persona. La richiesta delle famiglie potrebbe quindi condensarsi nella
esigenza per i propri figli di una forte competenza professionale nutrita di alta cultura umanistica e aperta
a prospettive spirituali significative in modo che la vita dei giovani risulti qualcosa di più godibile nella
sua pienezza.
E’ pur vero che nelle risposte al sondaggio si nota una tendenza da parte degli studenti a dare la
priorità, per quanto riguarda la maturazione religiosa, alla propria persona come soggetto psicologico e
sociale in crescita, piuttosto che alla religione storicamente e obiettivamente caratterizzata da certi valori
e appartenenze, ma ciò non indebolisce il senso di una richiesta educativa importante che viene rivolta
alla scuola cattolica in quanto capace di un’offerta formativa integrale. In questo senso la scelta della
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Nel settembre 1999 è stato applicata una intervista semistrutturata a tutti i componenti del Consiglio Direttivo Nazionale
dell'Agesc, in altre parole è stata realizzata una ricerca su testimoni privilegiati.
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scuola cattolica significa l’apprezzamento di una sua peculiare nota distintiva: può offrire un progetto
unitario di formazione rispetto ad un modello tradizionale di amministrazione e organizzazione
scolastica che spesso si presenta come “disintegrato” cioè poco coeso nella sua tensione educativa
interna e per questo poco efficace nel suo ruolo di interfaccia critica e di qualificazione rispetto al
contesto esterno.
Ciò è confermato dalle risposte date ad un quesito del questionario che chiedeva quanta
importanza si assegnasse, per la qualità della scuola cattolica, al grado di coesione/condivisione dei
valori culturali e religiosi che ne caratterizzano il Progetto Educativo: il 71,8% dei genitori e circa il
40% degli studenti assegnano un alto valore di importanza. A loro volta i genitori dell'Agesc accentuano
la ecclesialità della scuola cattolica e perciò la necessità della partecipazione della e alla Chiesa locale, e
in particolare l'incontro con i vescovi e l'associazionismo locale.
Questo riferimento alla formazione della persona come compito prioritario della scuola cattolica
riceve da parte degli studenti e dei genitori un’ulteriore conferma quando affermano che essa dovrebbe
essere individualizzata cioè effettivamente riferita all’accoglienza e al prendersi cura della singolarità
di ogni studente. Anche in questo caso si ribadisce che ciò che conta non è l’acquisizione di un titolo e
che non ci si accontenta di una scuola semplicemente ripiegata sull’espletamento dei suoi adempimenti
formali o burocratici.
Un altro aspetto significativo che caratterizza la domanda formativa nei confronti della scuola
cattolica riguarda il compito che le viene richiesto (44.1% degli studenti e 49.8% dei genitori) di
qualificarsi come ambiente comunitario che educa. La sottolineatura degli aspetti relazionali in un
contesto di effettiva partecipazione, aiuto, condivisione, accompagnamento, incoraggiamento,
valorizzazione è particolarmente evidenziata dagli studenti nel loro rapporto con il personale docente e
dirigente. Essi, pur riconoscendo l’importanza di una formazione socio-politica, etica e religiosa relativa
anche ai grandi temi della solidarietà e della giustizia mondiali, evidenziano il riferimento alla propria
realtà personale.
La consapevolezza del ruolo educativo della professionalità docente viene considerata la risorsa
più importante per la qualità della scuola cattolica dal 58,9% degli studenti unitamente ad una modalità
cooperativa di lavoro nel rapporto con gli allievi (72,1%): vi è qui sottesa la richiesta di una funzione
docente non semplicemente basata sulla detenzione di conoscenze e competenze rigidamente predefinite
e fissate. Un ruolo dell'insegnante, fondato sul possesso di un sapere concepito come qualcosa di
determinato da trasmettere cumulativamente, viene sentito come insufficiente sia rispetto alla sua
finalizzazione educativa, cioè al suo significato per lo sviluppo della personalità del giovane, sia rispetto
alla complessità che caratterizza la società dell’informazione e che richiede flessibilità, creatività e
adattamento costanti. Da parte dei genitori dell'Agesc c'è estremo rispetto della professionalità docente in
particolare degli insegnanti laici e viene esclusa qualsiasi intenzione di interferenza; al tempo stesso, è
avanzata la richiesta di una continua promozione qualitativa dei docenti, specialmente a una migliore
capacità relazionale, e si suggeriscono procedimenti di autovalutazione.
I genitori sembrano nutrire una grande fiducia, non solo di essere efficacemente aiutati dalla
scuola a svolgere i loro compiti educativi, ma anche di poter trovare in essa un nuovo spazio per essere
più attivi nell’esercizio delle loro responsabilità di padri e madri anche attraverso forme di
partecipazione alla stesura del progetto educativo della scuola, alla stessa gestione delle risorse e alla
condivisione delle scelte importanti. Nelle risposte dei genitori dell'Agesc l'istanza più presente è proprio
il bisogno di una loro presenza educativa specifica, anche se con regole e mediante strutture appropriate,
più che di una “partecipazione” che esprimerebbe solamente aggregazione alle specificità di altri
soggetti. In particolare si insiste che tra famiglia e scuola deve funzionare il principio di sussidiarietà e
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complementarità per cui la famiglia deve essere presente non solo nella formulazione del progetto
educativo, ma anche nella conduzione normativa, nella realizzazione operativa e soprattutto nella
verifica. Inoltre, si richiede che tale presenza sia strutturata in associazione, che questa sia unica e che sia
nazionale perché è l'associazione il luogo naturale nella scuola della educazione dei genitori. In
proposito, questi sottolineano quanto a volte possa risultare defatigante e logorante l'impegno nella
scuola cattolica a causa della autoreferenzialità della stessa in quanto si trovano costretti a dover
legittimare ogni volta la loro presenza come Agesc che in realtà dovrebbe essere ovvia e scontata per tutti
come facente parte dell’organico di una scuola in parallelo ai docenti e ai dirigenti. Un'altra difficoltà in
cui l'Agesc incappa è la problematicità di un dialogo per la non esistenza sull'altro versante di soggetti
strutturati. La proliferazione di associazioni aventi come centro di interessi la scuola cattolica,
accompagnata dalla mancanza di una associazione dei docenti, e la non chiara presenza di una
associazione di gestori, rendono confusi i rapporti tra i soggetti e poco strutturata la presenza della stessa
comunità educante. In tale lavoro i genitori riconoscono la necessità di disporre di un certo livello di
professionalizzazione che esplori soprattutto la possibilità di attuare funzioni di terzo settore nella scuola.
Questa nozione, presa nella sua più larga accezione, significa che i genitori assumono anche funzioni di
anticipazione della presenza di altri soggetti sociali.
Dall’insieme delle risposte al sondaggio non emerge un contesto di rapporti caratterizzato da forti
lacerazioni nelle relazioni tra adulti e giovani, tra studenti e docenti, tra studenti e genitori. I giovani si
manifestano non indisponibili alla condivisione di un progetto educativo che li aiuti ad uscire da una
condizione di marginalità e di precarietà personale e sociale, ma desiderano poter personalizzare valori,
modelli e stili di vita in funzione di significati (anche nuovi) che essi stessi stanno rielaborando come
riappropriazione di identità. Si nota una certa sofferenza/ansia da insicurezza da parte dei giovani nei
confronti di un contesto socio-economico e produttivo che richiede qualificazione, ma anche flessibilità e
capacità di adattamento: per questo motivo sottolineano pragmaticamente carenze nell’innovazione
tecnologica, nelle attrezzature, nei laboratori, nei sussidi didattici, nelle metodologie. Da una parte
sembrano credere che effettivamente la scuola li potrà aiutare e quindi si applicano e ne condividono le
regole, ma dall’altra sentono anche l’incertezza del futuro e l’importanza di valori quali l’amicizia,
l’affettività, la ricerca di senso, la conquista della propria identità. In ogni caso, però, non sembra trattarsi
di una situazione di marginalità tale da dar luogo a fenomeni diffusi di forti lacerazioni personali e
collettive.
Più che un ruolo particolare ed esclusivo di recupero di situazioni difficili o di prevenzione
secondaria e terziaria di reali condizioni di rischio, alla scuola cattolica, come componente attiva del
sistema formativo del nostro paese, si sta assegnando un’attività promozionale della persona che sia in
grado di valorizzarne le risorse e di attrezzarla in vista di compiti che richiederanno adattamento,
apprendimento continuo e capacità di auto-gestirsi, di diventare “imprenditrice di se stessa”. Ovviamente
non mancano, soprattutto da parte dei genitori, richieste che assegnano alla scuola cattolica anche
compiti di assistenza, di sicurezza, di garanzia rispetto a pericoli obiettivi (droga, devianza giovanile,
violenza) o addirittura di delega a fornire servizi collegati a necessità di custodia nel tempo libero e di
animazione culturale mediante l’allargamento dell’offerta formativa anche al tempo
extrascolastico/formativo.
Se la domanda delle famiglie e degli studenti si orienta verso la scuola cattolica come spazio
formativo dove effettivamente essi si sentono protagonisti di un progetto culturale propositivo e in grado
di contribuire alla promozione umana, sociale e professionale della persona, diventa ancor più
incomprensibile il mancato sostegno economico da parte dello Stato e quindi il non riconoscimento della
finalizzazione pubblica del suo servizio: difficilmente lo Stato potrà da solo affrontare i problemi
educativi di una società complessa come l’attuale, senza una strategia che tenda a coordinare e a
valorizzare tutte le risorse formative in un quadro generale sinergico e in grado di favorire i rapporti
reciproci di complementarietà e di rispetto delle diversità. Studenti e genitori concordano nel volere una
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scuola cattolica che sia accessibile a tutti, nel rispetto della libertà di educazione e che si possa pervenire
alla parità economica, cioè che il costo per la sua frequenza non sia, per le famiglie, superiore a quello
della scuola dello Stato. In proposito va notato che tra i genitori dell'Agesc appare molto sentito il
problema economico delle rette e delle aggiunte successive. Le famiglie, anche di estrazione
medio-borghese, avvertono una capacità economica inferiore rispetto anche a un recente passato e sono
in reale difficoltà quando hanno più figli. In conclusione, quindi, i genitori esprimono un netto dissenso
anche culturale verso qualsiasi legge sulla parità che non riconosca loro due diritti costituzionali: quello
di essere pari giuridicamente ed economicamente a tutti gli altri genitori di qualsiasi altra scuola e quello
di poter disporre di una scuola diversa da quella di Stato proprio per poter gestire il loro diritto-dovere di
scelta educativa e, perciò, la loro libertà civile. Ma anche una parità giuridica ed economica senza
differenziazione culturale-educativa non creerebbe democrazia scolastica, ma sarebbe l’ennesima
espressione di uno statalismo paternalistico che cerca di risolvere problemi suoi e sempre alla stessa
maniera e, cioè, mediante la capacità di condizionamento delle persone, delle istituzioni e delle forze
sociali che in qualche modo e per qualche loro motivo stanno al gioco.
4. Osservazioni conclusive
A mio parere la disamina fin qui condotta ha fatto emergere i seguenti orientamenti della
domanda educativa:
1) al primo posto si situa – e proprio su indicazione convergente di alunni e genitori della scuola cattolica
– l'attenzione alla formazione della persona in tutte le sue dimensioni. In altre parole si tratta di
potenziare nell'attività educativa i processi di personalizzazione in modo da educare soggetti
cristianamente solidi, maturi, consapevoli e capaci di assumere responsabilità sociali, e professionali
conformi alla propria vocazione. Di fronte al disincanto dei giovani questa esigenza va letta tra l'altro
come educazione alla capacità utopica o creativa. Con essa non si intende naturalmente un sogno
irrealizzabile, né un comodo pretesto a un alibi per sfuggire a responsabilità immediate, ma ci si
riferisce a un'immaginazione prospettica, capace di individuare nel presente potenzialità trascurate e di
elaborare un progetto lungimirante di trasformazione della società. Inoltre, dinanzi alla tentazione dei
giovani di cercare rifugio nella cerchia sociale più stretta o in un vago "planetarismo", la scuola cattolica
dovrà impegnarsi nella formazione ai valori e ai contenuti della cittadinanza e dell'appartenenza a un
territorio nell'ambito di una comunità nazionale e internazionale.
Genitori e studenti attribuiscono alla scuola cattolica il compito di offrire in maniera efficace la
possibilità di una sintesi tra cultura, fede e vita: questo viene inteso, come si è osservato sopra, nel senso
che attraverso tale sintesi la persona realizza lo sviluppo integrale delle sue potenzialità e riceve risorse
strumentali, culturali e spirituali in grado di permetterle un valido e significativo inserimento sociale.
Inoltre, la maturazione cristiana andrà favorita non solo come crescita della propria personalità in quanto
soggetto psicologico e sociale, ma anche in relazione alla fede in una religione storicamente e
obiettivamente caratterizzata da determinati valori, in particolare facendo acquisire le ragioni del credere
anzitutto alla Chiesa, come mistero, comunione e istituzione. Infine, di fronte alla crisi di maestri,
occorre che gli educatori e le educatrici della scuola cattolica non si limitino a fare da fratelli e sorelle
maggiori, anche se di questo c'è bisogno in famiglie in cui prevale la tendenza al figlio unico, ma è
necessario che essi ritornino ad essere anche maestri, padri e madri;
2) i genitori sembrano manifestare una grande fiducia nella scuola cattolica, non solo nel senso che essa li
possa aiutare validamente a svolgere i loro compiti educativi, ma anche che essa sia disponibile a offrire
loro maggiore spazio per svolgere la responsabilità di padri e di madri: i genitori vedono cioè nella scuola
un luogo per una loro educazione permanente. Pertanto, le istituzioni formative della Chiesa dovranno
assicurare loro un ruolo protagonista e attivo nella vita delle scuole. Nel coinvolgere i genitori non è
sufficiente dare la parola e servirsi della loro consulenza, ma occorrerà fornire opportunità reali che li
12
mettano in grado di esercitare un proprio peso decisionale nell'azione formativa, in particolare nella
elaborazione del progetto educativo. I genitori sentono la verità della più recente affermazione circa una
loro presenza nella scuola: “Culla della vita e dell’amore, la famiglia è anche fonte di cultura” e quindi
desiderano un particolare rapporto strutturato che abbia momenti formativi comuni, ma anche una
finalizzazione usabile nel momento curricolare (Pontificio Consiglio della Cultura, 1999, p.488). Infine
pare necessario promuovere nelle scuole attività specifiche per soli genitori in forma programmatica e
continuativa; tali iniziative dovrebbero riguardare non solo l'ambito ricreativo e culturale, ma soprattutto
quello educativo.
La scuola cattolica dovrebbe essere la scuola del patto educativo tra soggetti responsabili adeguatamente
strutturati, cioè tra l'associazione dei gestori in quanto responsabili ultimi della identità, quella dei
docenti in quanto responsabili ultimi della trasmissione di cultura consolidata e quella dei genitori in
quanto portatori del rapporto ragione-vita. Da ultimo, bisognerebbe che venisse tradotto in pratica diffusa
e probabilmente anche affermato dall'Assemblea Nazionale quanto dichiarato dal Papa nel suo discorso
all'Agesc dell'8 giugno dello scorso anno “La presenza organizzata dei genitori all'interno della scuola
cattolica costituisce elemento fondamentale per la piena realizzazione del progetto formativo” (p.8).
Sostanzialmente i genitori sentono di far parte di un cammino in cui la scuola cattolica si avvia ad essere
matrice della libera scuola della libera società in cui tutti i soggetti diventano corresponsabili in toto della
globalità del prodotto educativo di una scuola, in cui lo Stato assume sempre più funzioni di stimolo,
garanzia e supplenza, in cui il Mercato offre sbocchi professionali e in cui la verifica del prodotto sia
affidata ad appositi ed autonomi istituti di certificazione. Ai genitori cioè sembra estremamente ovvio
che anche la scuola si strutturi come le normali attività in cui essi sono impegnati professionalmente e
quindi sia già nel suo stesso modo di funzionare una preparazione alla vita, anzi sia essa stessa vita;
2) tre domande specifiche sono rivolte alla scuola indirettamente nel senso che nascono da altrettanti
suoi limiti: di relazionalità, di efficienza e di equità. Da questo punto di vista la scuola cattolica potrebbe
essere particolarmente attrezzata a dare una risposta efficace per l'esperienza acquisita nei molti secoli
della sua esistenza. In effetti, si tratta di:
- qualificarsi sempre più come ambiente comunitario che educa in un contesto di vera partecipazione,
aiuto, condivisione, accompagnamento, incoraggiamento e valorizzazione;
- rinverdire la tradizione di eccellenza e di serietà di studi che ha da sempre caratterizzato le scuole dei
religiosi;
- estendere la capacità dimostrata in tanti modi dalla FP di ispirazione cristiana di una attenzione
personalizzata ed efficace a giovani particolarmente difficili o bisognosi di recupero.
Questa presenza così rilevante della FP è avvertita come educativa della scuola cattolica in quanto
consente a molti giovani di accostarsi alla comprensione del lavoro come fonte di cultura e in quanto
costituisce un richiamo permanente a considerare il lavoro manuale come parte integrante del momento
educativo scolastico. In questa ipotesi è intensamente sentita l’esigenza che la scuola cattolica conservi e
potenzi il suo carattere di popolarità e proprio per questo si strutturi in un sistema unitario e al tempo
stesso articolato di strutture;
4) in una società caratterizzata da un'economia post-industriale bisogna educare i giovani a essere
autonomi, attenti, solidi, rapidi, disponibili al cambiamento, pragmatici; si devono anche possedere
capacità di lavoro, abilità di farsi valere, creatività e prontezza di decisione. Sul piano formativo diviene
cruciale l'acquisizione di una preparazione culturale e occupazionale elevata e della capacità di
autoformazione continua. Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predomina
il lavoro pensato, fatta cioè di competenze più avanzate, di conoscenze più teoriche, di caratteristiche più
spinte di riflessività, di libertà, di risposta, di adattamento e di controllo. Perciò, si esige una educazione
più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche più sofisticate, capacità di
pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ricorrente, possesso di abilità organizzative,
progettuali, e di innovazione, capacità di sapersi relazionare con gli altri e di saper affrontare il
13
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14
ONORATO GRASSI
1
identità e con tutto il suo patrimonio umano e culturale,
all’esigenza educativa dei giovani e, indirettamente, dell’intera
società.
1. L’URGENZA EDUCATIVA
Nella storia del pensiero cristiano è stata sempre sottolineato,
con accenti diversi e in contesti culturali differenti, il paradosso
implicito nell’azione educativa: un’azione che un uomo compie
verso un altro, di norma più giovane, mediante la quale si in-
staura una dipendenza che ha come scopo la completa libertà.
Libertà che l’altro, il giovane, conquista compiendo un cammi-
no, che può essere solo suo, verso qualcosa che supera la stessa
relazione interpersonale.
Come la salute ha la sua causa principale (“principale
agens”) nell’organismo e l’azione del medico è coadiuvante di
questa, osservava Tommaso1, così la conoscenza non è infusa
dal maestro nell’allievo, ma è sempre una conquista
dell’intelligenza dell’allievo. Il maestro conduce l’allievo, of-
frendo strumenti e mostrando l’ordine dei procedimenti, in quel
cammino che però solo lui può e deve compiere. Sebbene
l’insegnamento non sia esclusivamente ricondotto alla sola fun-
zione di suggerimento e indicazione, come in Agostino2, il me-
desimo valore della soggettività umana è ugualmente sottoli-
neato e confermato. Quella stessa individualità e originalità
della mente umana che, in tempi a noi più vicini, John Henry
Newman ha posto al centro della sua concezione educativa, op-
ponendosi radicalmente all’empirismo e all’utilitarismo.
Il maestro, dunque, non educa a se stesso, ma chiede di esse-
re seguito per aprire ad altro. E questo qualcosa d’altro è la
realtà: la realtà del mondo che sta intorno a noi e del mondo
che siamo noi stessi. Entrare in rapporto con la realtà, nella sua
totalità, è lo scopo dell’educazione. E la realtà presiede tutto il
cammino educativo, suscitandolo all’inizio, sostenendolo e ve-
rificandolo nel suo sviluppo, compiendolo alla fine. Questo
2
elemento di obiettività salvaguarda l’educazione da qualsiasi
tentazione “manipolatoria”, ma anche la contraddistingue mo-
ralmente, come onestà nel riconoscimento del dato, come ri-
spetto dell’altro, come tensione verso uno scopo.
In ciò la figura dell’adulto o del maestro non scompare, come
avrebbe voluto molta pedagogia d’oltre oceano, ma emerge co-
me testimonianza di un già vissuto rapporto col reale e come
comunicazione di un’ipotesi convincente per affrontarlo. “Si
educa attraverso ciò che si dice, di più attraverso ciò che si fa,
ancor più attraverso ciò che si è”, diceva Ignazio di Antiochia,
individuando l’elemento primario dell’educazione, condiviso da
autori di diverse correnti e epoche. Basti pensare alla conclu-
sione di quella amara analisi della “diseducazione” della scuola
fatta da Pasolini, che appunto termina con queste parole: “Se
qualcuno invece ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che
col suo essere”. Educa, dunque, chi è impegnato seriamente con
la vita, così da ricercarne in ogni cosa il senso, da scoprire di
ogni cosa il valore, da tentare di ogni problema che si presenti
una soluzione. E quanto più questo impegno sarà vibrante e at-
tuale, nel presente (“Nulla è più duro che essere figliastri del
tempo, scriveva Vasilij Grossman, e non c’è sorte più pesante
che sentirsi uno che non vive più il proprio tempo”3), tanto più
la parola detta, il giudizio espresso, l’invito rivolto risulteranno
persuasivi e affascinanti. Caratteristiche queste, persuasività e
attrattiva, della vera autorevolezza, che è oggetto di un rico-
noscimento prima di essere una funzione o un ruolo.
In questo prospettiva si comprende la centralità educativa
della famiglia e se ne intuisce la potenzialità costruttiva, ove
essa sia intesa non solo come ultima barriera di una disperata
quanto inefficace resistenza, ma come fattore propositivo e
propulsivo di un’esperienza positivamente umana.
3
con la scopo da raggiungere.
Sotto questo aspetto, mi permetto di richiamare due fattori,
relativi, il primo, a quel che possiamo definire il “primo passo”
di un cammino educativo, e, il secondo, al fine o risultato da ot-
tenere.
Se l’educazione è un rapporto con la realtà reso possibile o
favorito dalla comunicazione che di sé una persona fa ad
un’altra, nel senso suo più pieno e originale esso si configura
come esperienza della realtà. Il termine indica sia la partecipa-
zione attiva ad un fenomeno, dunque un vissuto, sia la consa-
pevolezza dello stesso. Nell’esperienza ciò che ci sta di fronte
perde, ai nostri occhi, la sua immediata estraneità e, pur rima-
nendo altro da noi, entra in qualche modo nella nostra coscien-
za, dando luogo ad una conoscenza. Non si tratta evidentemente
di mettere alla prova un dato, come in un “esperimento”, ma di
vivere una relazione con esso in modo da comprenderne il va-
lore e il senso. Nell’esperienza è perciò implicata innanzitutto
l’intelligenza umana, come capacità di indagare la realtà senza
trascurare nessuno degli elementi e dei particolari che la for-
mano e la costituiscono.
Il termine “esperienza” ha assunto significati diversi nella
cultura contemporanea. Alcune sue versioni, come nel
neo-empirismo e nel pragmatismo, ne hanno fatto la base del
soggettivismo e del relativismo. Ciò può essere stata la causa di
una certa diffidenza, in ambito cattolico, verso questa parola.
Occorre perciò comprenderla nel suo vero significato e rivalu-
tarla come elemento fondamentale del processo educativo. Si
potrà così scoprire come essa possa rappresentare oggi, dopo
che i “comuni terreni” di un tempo (culturali, politici, economi-
ci) sono scomparsi, il reale punto di incontro tra maestro e
alunno e la strada paradigmatica della comprensione e della
conoscenza della realtà.
È a questo proposito che prende importanza un secondo
punto di metodo, che vorrei ora richiamare.
Il cammino educativo si caratterizza come formazione di una
coscienza critica. Ciò lo distingue dalla pura informazione no-
zionistica ed anche da ogni forma di indottrinamento. Giunto
alla maturità colui che è stato prima bambino e poi ragazzo de-
ve essere in grado di giudicare, con criteri adeguati e conoscen-
ze sicure, quel che nella vita gli si presenta. Altrimenti sarebbe
costretto al silenzio e all’inattività oppure dovrebbe assumere da
4
altri – solitamente da chi prevale in un determinato momento o
contesto – opinioni e valutazioni, con grave dissesto della sua
personalità.
Purtroppo talune tendenze attuali, molto inclini alla specia-
lizzazione e alla formazione tecnica, sembrano sottovalutare
l’importanza di questo che rimane pur sempre l’obiettivo prin-
cipale di una scuola. Né sembrava raggiungerlo l’impostazione
laicista e razionalista – a dir il vero più in voga un tempo di og-
gi –, fautrice di quella scuola “neutra” i cui negativi esiti han-
no di molto superato i pur apprezzabili benefici. D’altra parte
l’apparente formalità e asetticità delle riforme che stanno inve-
stendo la scuola italiana cela l’insidia di una forte trasforma-
zione ideologica della visione dell’uomo e della società, con
prevedibili conseguenze sulla formazione umana e intellettuale
delle nuove generazioni.
Il problema potrebbe essere posto in questi termini: come è
possibile offrire al ragazzo un’ipotesi di spiegazione della realtà
non riduttiva, tantomeno “ideologica”, che sia utile alla forma-
zione della sua coscienza e del suo pensiero?
Il primo passo è la lealtà verso il dato della persona nel con-
testo storico e culturale in cui è cresciuta e vive. Se è vero che la
cosiddetta “globalizzazione” tende a far sparire ogni traccia di
cultura, gettando una “sottile vernice sull’identità umana che
entra in conflitto con i tesori del mondo”4, una scuola deve es-
sere elemento di discontinuità e di rottura, favorendo al suo in-
terno la conoscenza di quel patrimonio umano e intellettuale
che si è costituito nel tempo e che ha assunto i connotati di una
“tradizione”. Essa è quella struttura unitaria di senso, di valori,
di linguaggi, di significati, di costumi e di abitudini in cui la
persona vive e che affonda le sue radici nel passato. “Richia-
marsi alla tradizione, ha scritto A. McIntyre significa affer-
mare che non possiamo identificare adeguatamente né la nostra
posizione né quella degli altri nei conflitti del tempo presente,
se non situandole nel contesto di quella storia che le hanno fatte
essere ciò che ora sono diventate”5. Per questa ragione, H. G.
5
Gadamer reputa un errore madornale limitare la nostra cono-
scenza al Novecento, “perché il senso della cultura[…]è di im-
parare a pensare[…]a formarsi un giudizio. E questo ci proviene
dal dialogo con i classici” 6 . Proporre il passato è perciò una
forma di grande lealtà verso i giovani, che offre loro la possibi-
lità di prendere consapevolezza di quel che essi sono nel conte-
sto e nel tempo in cui si trovano e li dota di una ipotesi inter-
pretativa, quella maturata e tramandata nella loro cultura, come
solida base per affrontare nuovi problemi e situazioni.
Ma per non correre il rischio del “passatismo” e del “tradi-
zionalismo”, la tradizione necessita di un solido aggancio col
presente. In un duplice senso. Anzitutto, dalla parte di chi la
propone, il valore di una tradizione è attestato dal fatto che essa
vive in un’esperienza presente, ossia in persone e attraverso
forme del nostro tempo, come pertinente risposta alle aspettati-
ve umane e espressione ragionevole di un approccio alla realtà.
Chi comunica una tradizione, o è implicato in essa, oppure è
difficilmente credibile. In secondo luogo, dalla parte di chi ri-
ceve, la tradizione deve poter essere sottoposta ad una verifica.
E’ questo il momento più delicato del cammino educativo, che
coincide normalmente con un'età dello sviluppo del ragazzo, ma
che di per sé ha un valore che travalica la semplice dimensione
soggettiva. Nella verifica, infatti, il dato consolidato si incontra
sia con le esigenze originarie dell’uomo, che nel bambino prima
e nell’adolescente poi affiorano e si impongono nel loro nitore e
senza le incrostazioni della vita adulta, sia con nuovi paradigmi,
concettuali e pratici, che la società propone e, molto spesso,
impone. Una cultura ha così proprio nella scuola uno dei suoi
più alti momenti di verità; in quel sottile, talvolta impercettibile,
passaggio che avviene nella coscienza di un ragazzo, una cultu-
ra è messa alla prova ed è chiamata a mostrare tutta la sua vali-
dità e la sua “tenuta”. Nel ragazzo diviene “problema” ciò che
per il contesto famigliare e educativo in cui è vissuto e cresciuto
si presenta come consolidato e normalmente accettato. Tale
“divenire problema” sollecita la ragione a definire i contorni di
una risposta soddisfacente, vale a dire adeguata e pertinente alla
6
natura dell’io umano, e a valutare, di tutto ciò che è stato rice-
vuto, quel che deve essere conservato e quel che va abbando-
nato. Si attua in tal modo quella dimensione della critica che
consiste nel ricercare le ragioni e la verità di ogni cosa, secondo
quel programma per l’intelligenza umana che san Paolo ha mi-
rabilmente sintetizzato nell’espressione “vagliate ogni cosa,
trattenete il valore”. Favorire questa “educazione critica”, che si
distingue sia dalla “dubbiosità” sia dall’accettazione passiva,
causa di troppi dualismi e ipocrisie, anche intellettuali, è com-
pito di una scuola che, come “luogo di cultura ai fini
dell’educazione”7, aspiri a rendere i giovani liberi e maturi nella
società di oggi e in quella che sapranno costruire.
3. EDUCAZIONE E ISTRUZIONE
7
pericolo dell’intellettualismo e, in pari tempo, caratterizza in
senso proprio ogni singola disciplina, sia per il contenuto (og-
getto formale), sia per il metodo, sia infine per il linguaggio.
Nella scuola le discipline “scientifiche”, la cui divisione pe-
raltro difficilmente segue i canoni di un’oggettiva organizza-
zione, confluiscono in insegnamenti curricolari, ossia materie,
che spesso raggruppano discipline distinte. La non corrispon-
denza biunivoca è inoltre marcata dal fatto che le discipline
scolastiche fanno di norma riferimento ad un sapere consolidato
e che il loro destinatario è, in fondo, parte integrante del loro
insegnamento (contenuti e metodi che si comunicano devono
essere sempre commisurati alla persona in crescita, ossia alla
categorialità del discente).
Tuttavia, pur con queste differenze, alcune delle quali po-
trebbero trovare soluzione diversa da quella attuale – si pensi ad
esempio ad un più proficuo e continuativo rapporto del mondo
scolastico con il mondo universitario e della ricerca –, le disci-
pline conservano una loro precisa specificità e funzione. Con-
fondere gli approcci, i metodi e i linguaggi, sarebbe un errore
grave, che segnerebbe una caduta intellettuale e limiterebbe no-
tevolmente le possibilità di conoscenza dei vari aspetti sotto i
quali la realtà si offre a noi. Purtroppo alcune tendenze volte al-
la destrutturazione disciplinare rendono questo pericolo assai
attuale. Non è questione solo “tecnica”. Infatti, nella concezione
delle discipline e delle materie di insegnamento entrano in gioco
la qualità e la finalità stessa della formazione che la scuola pro-
pone.
Se la scuola europea ha in gran parte seguito, almeno per
quanto riguarda l’istruzione superiore, il modello americano,
attuando, congiuntamente alla “democratizzazione” (vale a dire,
obbligatorietà e gratuità), quella che è stata definita la decon-
cettualizzazione dell’istruzione, la scuola italiana è chiamata a
scegliere non solo se imboccare definitivamente questa stessa
strada, ma anche se buttare al macero il patrimonio educativo e
didattico, con le forme che lo hanno contraddistinto, finora ac-
cumulato9. Si tratta, in altri termini, di scegliere fra una scuola
9 Sulle trasformazioni della scuola italiana, si vedano, fra gli altri, G. Ferroni, La
scuola sospesa, Einaudi, Torino 1997 e L. Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta
andando la scuola?, Feltrinelli, Milano 1998. A proposito dei possibili nuovi scenari
della scuola quest’ultimo afferma a p. 18: “La grande maggioranza degli studenti
della nuova scuola finirà semplicemente con l’assumere l’uno o l’altro degli infiniti
8
ridotta alla educazione del “buon cittadino” e una scuola rivolta
all’intelligenza, all’affettività ed anche alla “genialità” dei gio-
vani, fra una scuola che prepari “futuri consumatori”, per i quali
le competenze richieste sono assai ridotte, o “specialisti”, con
un bagaglio di soluzioni già pronte, e una scuola che, senza tra-
scurare gli aspetti applicativi, offra gli strumenti concettuali e
culturali per affrontare criticamente e risolvere originalmente i
problemi. Né sarebbe accettabile un sistema scolastico compo-
sto, per la maggior parte, da scuole di massa dequalificate, e,
per una élite, da scuole di alto livello (come le prep-schools ne-
gli Stati Uniti). Tantomeno sarebbe auspicabile, se così fosse,
che la scuola cattolica compisse la sua funzione nel soddisfare
l’esigenza di questa nicchia di mercato. Per altro verso, occorre
considerare che la qualità e la finalità della formazione scola-
stica non possono dipendere, se non in minima parte, dalle di-
sposizioni e dalle leggi in materia. Giustamente è stato scritto
che “la qualità della scuola non è e non sarà frutto di buone in-
tenzioni, di proclami ministeriali, delle prediche dei provvedito-
ri e dei presidi”10 . Se la pluralità dell’offerta formativa potrà
senz’altro produrre vantaggi sul piano dell’istruzione, è altresì
evidente che il valore di una scuola trova nel rapporto fra inse-
gnante e alunno il suo punto centrale e vitale. Una scuola, infat-
ti, ha nella figura dell’insegnante il suo momento più pieno di
realizzazione, giacché attraverso la sua opera si rendono presen-
ti e attuabili l’identità e il progetto della scuola stessa. Signifi-
cativo a questo proposito è il fatto che in molte riforme scola-
stiche dei paesi dell’Est Europa, dopo la fine del comunismo, la
figura dell’insegnante abbia preso il posto centrale che, prece-
dentemente, era riservato alle programmazioni dello Stato.
Mettere bene a fuoco la figura dell’insegnante è certamente uno
degli obiettivi principali di una scuola che guardi al futuro.
Operare in modo che da un ruolo quasi impiegatizio e burocra-
tico egli passi, o ritorni, a quello di una piena professionalità
può essere un compito che la scuola cattolica, nel quadro della
proposta complessiva e istituzionale che rappresenta, si impe-
gna ad assolvere fin da ora.
Sull’altro versante la soggettività dell’alunno costituisce
ruoli di mediazione tra produzione e consumo nati per alimentare il mercato distri-
buendo in rivoli minimi parte della ricchezza che sgorga da poche sorgenti lontane e
inaccessibili”.
10 D. Antiseri, su “ Il Sole 24ore” del 7 luglio 1999.
9
l’elemento di recezione “attiva” e dinamica. L’alunno è al cen-
tro della scuola, in quanto costruttore, sin dai primi anni, di una
sintesi personale del sapere che apprende. Ed è al centro perché
quanto nella scuola avviene mira allo sviluppo delle sue facoltà
e delle sue doti, alla valorizzazione delle sue capacità e dei suoi
interessi, al rispetto dei suoi tempi di apprendimento e di for-
mazione intellettuale, sia categoriale che logica.
10
tamento umano e politico riaffermando la sua missione educa-
tiva. Oggi più che in ogni altra epoca la questione educativa è il
primo e fondamentale problema di una “politica” che abbia a
cuore gli interesse degli uomini.
11
UNA RISPOSTA PROFETICA ALLA NUOVA DOMANDA EDUCATIVA
CESARE SCURATI
1. Curricolo
E’ in gioco, in primo luogo, l’idea stessa di curricolo, che oscilla da una polarizzazione di
tipo idiosincratico – curricolo come ipotesi, viaggio, percorso, avventura formativa – ad una di tipo
nomotetico – curricolo come tracciato prescritto, linearità applicativa, progettualità discendente,
ortodossia rigorosa, – che equivale a dire da un’accentuazione dei caratteri di flessibilità, relativa
indeterminazione e relativa imprevedibilità degli esiti ad una sottolineatura dei tratti di
predeterminazione, esecutività ed assoluta prevedibilità dei risultati.
E’ chiaro che il tono della profeticità può essere istituito e svolto soltanto in presenza di
un’accorta capacità di "manovra" pedagogica e didattica nel vasto terreno di decisione e di azione
che si stende fra i due poli sopraindicati, nel quale possono trovare spazio sia la consistenza della
proposta e la serietà dell’impegno richiesto, sia la lievità e la vicinanza psicologica dell’ingaggio,
dell’accompagnamento e dell’amicizia.
Le successive indicazioni ci consentiranno di specificare il contenuto distintivo di questo
punto in ordine ai caratteri della significatività, della selezione, della congruenza e della
ostensibilità.
Vediamo i relativi passaggi.
1.1. Significatività
1
Cfr. C. Scurati (Ed.),Una qualità allo specchio, La Scuola, Brescia 1998.
2
consapevolezza delle componenti essenziali della concezione cristiana dell’uomo e della sua
esistenza;
3) rispetto all’inserimento produttivo nella cultura attuale: un curricolo è significativo nella misura
in cui consente di sviluppare gli apprendimenti sociali che permettono un inserimento attivo e
dinamico con la cultura del presente ed i suoi immediatamente prevedibili sviluppi;
4) rispetto alle possibilità di successo personale: un curricolo è significativo in quanto persegue
l’acquisizione delle capacità, delle abilità e delle attitudini più efficaci al fine di garantire delle
prospettive di affermazione nei contesti dell’agire sociale
5) rispetto all’autorealizzazione personale: un curricolo è significativo nel senso di svolgere un
accompagnamento progressivo alla scoperta di sé ed alla costruzione consapevole dei propri
orientamenti e delle proprie scelte
Non si tratta – come è facile vedere – di alternative o di posizioni reciproca- mente
escludentisi in assoluto; ma è pur anche vero che esse riflettono delineazioni e prospezioni
educative non esattamente sovrapponibili fra di loro.
Il tono della profeticità si determina, a questo riguardo, non in nome di un criterio di
esclusione o di eliminazione o di unilateralizzazione o di accostamento sommatorio ma, piuttosto,
in nome di un principio di ordinamento gerarchico secondo valori del progetto educativo, della
struttura organizzativa, dei comportamenti didattici conseguenti e dell’invito ad accedere alla
proposta formativa. Le scale di priorità e di importanza devono essere chiare, non concessive alle
mode ed ai bisogni superficiali e, soprattutto, coerentemente praticate nei fatti.
O. Réboul ha svolto delle riflessioni sulla relazione fra “educazione e sacrificio” che mi pare
non siano estranee al nostro argomento2.
“Credo” – egli dice – “che il presupposto di qualsiasi educazione sia l’esistenza, da qualche
parte, di una perla molto preziosa, o, meglio, "senza prezzo", che esige, ma anche che illustra come
"valga la pena" di consacrare a essa il nostro tempo, i nostri sforzi, in una parola noi stessi: essa
chiede il sacrificio, ma lo giustifica […] imparare è scoprire qualcosa di differente: una dimensione
nuova rispetto a quella che si conosceva fino a quel momento, qualcosa che ci rende "diversi"”; è
per questo, allora, che “educare qualcuno significa fargli capire che non si può avere niente per
niente, senza sforzo, senza il rischio di uno smacco: il sacrificio, lungi dal negare valore a ciò che si
abbandona, lo presuppone”. Il tutto, però, a condizione che il sacrificio, per chi lo compie, sia
“libero, capito e voluto”, “giustificato” e “riempito con il valore che si vuol raggiungere”.
Quanti "sacrifici" curricolari, allora, si è disposti a compiere per raggiungere il tesoro della
significatività ?
La risposta ad una domanda così scomoda non può essere certamente facile; ma, non di
meno, sia l’una che l’altra non appaiono evitabili.
1.2. Selezione
Di fronte al compito della costruzione curricolare sono possibili due fondamentali approcci:
quello enciclopedico-cumulativo e quello strutturale-selettivo (detto diversamente, quantitativo e
qualitativo).
Se ci ricolleghiamo, ad esempio, al quadro precedentemente illustrato, non è difficile trovare
gli esempi delle soluzioni possibili nell’uno e nell’altro senso. Vediamo una semplice tabella
indicativa:
2
O. Reboul, I valori dell’educazione, Ed. Αncora, Milano 1995, pp. 60-62.
2
3
Mi pare fuori discussione che il tratto "profetico" si evidenzia lungo il tracciato della strada
qualitativa, il che postula un impegno fondamentale di selezione secondo ragioni e,
conseguentemente, di rinuncia all’abbondanza degli "elenchi" contenutistici a favore di una
riduzione mirata secondo obiettivi preferenziali. Selezionare, infatti, significa concentrare
l’attenzione progettuale e l’esercizio di apprendi- mento su ciò che conta di più, che ha più
possibilità di organizzare la mente, che resiste meglio alle prove dello scorrere del tempo e
dell’intervenire dei cambiamenti. Vuol dire – se è possibile un riferimento diretto alla lezione
evangelica – poggiarsi sulla roccia di ciò che permane e resiste piuttosto che sulla sabbia di ciò che
ingombra e viene dimenticato.
La posta in gioco, pertanto, consiste nell’aprirsi la strada per una possibilità concreta di
"parola" profonda e di rafforzamento stabile delle potenzialità autonome della persona. In termini
operativi, la questione principale non è – come invece viene trasmesso da una sempre fiorente
tradizione di stampo illuministico-istruttivistica – di includere (non tralasciare, inglobare, esaurire)
ma piuttosto – in una visione di responsabilità formativa – di escludere (tagliare, ridurre,
essenzializzare, semplifica- re): ovviamente, senza banalizzare e senza impoverire.
Non possiamo permetterci, in sostanza, né delle saturazioni né delle ridondanze esornative;
il "segno" da seguire è quello di una essenzialità giustificata.
1.3.Congruenza
3
4
1.4.Ostensibilità
4
5
faremo ancora riferimento più avanti - “è di funzionare come agenzie di affari, e i dirigenti non
devono operare come proprietari di imprese commerciali”3.
Credo che sia vero e, soprattutto, che sia importante ricordarselo.
2. Sviluppo professionale
Anche in questo caso, si impone una scelta fra i numerosissimi spunti che potrebbero venire
individuati. Mi limito allora a due temi, quello della collegialità e quello dell’innovazione, la cui
portata permette, d’altronde, degli sviluppi di raggio sufficientemente ampio.
2.1. Collegialità
Non è facile trovare, al di là delle consuetudini verbali ormai consolidate persino nei
documenti amministrativi, un senso realmente professionale all’idea di "collegio" e, di
conseguenza, al suo corrispettivo di "collegialità". Tutt’al più, si può incontrare chi è disposto ad
ammettere un potenziale incremento sul piano dell’efficienza, ma è difficile che si vada oltre
questo.
Mi preme mettere in vista, invece, che la vera novità consisterebbe nel connettere l’idea
della collegialità all’assai meno consueto tema della trascendenza professionale e questo, a sua
volta, alle prospettive inerenti all’apprendimento in età adulta.
La collegialità, da questo punto di vista, appare la forma privilegiata nella quale si realizzano
le possibilità ed i valori dell’apprendimento professionale adulto come apprendimento dai pari in un
processo di reciprocità eccedente. E’ attraverso l’impiego tecnico e morale della collegialità, infatti,
che il sapere professionale può costruirsi mediante la cumulazione condivisa di competenza e di
saggezza, di esperienza e di conoscenza, trasmissibile anche ad altri, che consente la costruzione
della professionalità come dato culturale e storico in crescita e sviluppo continui.
Il valore profetico consiste, al riguardo, nell’applicazione della categoria del "prossimo", e
quindi anche di quella della "carità", in un contesto di scambi non invidiosi, vale a dire di
reciprocità leale, in cui l’apprendimento assume gli aspetti del sostegno indiretto e dell’esempio; in
una parola, della solidarietà amichevole per la condivisione di un cammino comune.
Le collegialità difficili o faticose o stentate sono sempre l’indicatore, pertanto, di un clima
umanamente povero, culturalmente difensivo, relazionalmente intristito, tecnicamente dispersivo,
cioè di una umanità e di una professionalità ripiegate, appassite ed impaurite e, soprattutto, incapaci
di continuare ad apprendere; ma non è tutto, nel senso che il riferimento etico va integrato con
qualche considerazione di or- dine più tecnico, relativa alle nuove consapevolezze circa le
potenzialità professionali di impiego degli insegnanti.
Rimane sempre acceso lo scontro fra chi ritiene che un insegnante non debba fare altro che
insegnare e chi, invece, afferma che questo, pur restando la primaria fra le sue funzioni, non
esaurisce l’intera portata dei suoi compiti e dei suoi ruoli. Ora, le prospettive connesse
all’autonomia, e le relative conseguenze ed implicazioni sul piano della conduzione e della
partecipazione alla direzione, offrono ulteriori argomenti alla concezione "non ristretta"
dell’insegnamento, com’è apparso chiaro, ad esempio, da un’interessante comunicazione presentata
alla Conferenza Annuale dell’ATEE (Association for Teacher Education in Europe) svoltasi a
Lipsia nel settembre 1999, nella quale V.Collinson ha affrontato il tema dello sviluppo
professionale e delle abilità per i nuovi ruoli degli insegnanti (Professional Knowledge and Skills
for Teachers Changing Roles), mostrando che questi si vanno espandendo al di là del la- voro in
classe per assumere contenuti sempre più vicini a quelli di direzione e di management, che si
esplicano soprattutto nel senso della conduzione di altri insegnanti e dell’interazione con altri adulti.
Analizzando il campo, infatti, si trovano con sempre maggior frequenza insegnanti che fanno da
3
T.J. Sergiovanni, Leadership for the Schoolhouse, Jossey-Bass, San Francisco 1996 p.84.
5
6
"mentore" alle reclute, che progettano e realizzano piani curricolari, che impiantano laboratori e
seminari, che prendono parte a decisioni, che risolvono problemi, che aiutano altri colleghi, che
coordinano dei gruppi, che assistono i dirigenti, che dirigono dei dipartimenti, che operano da
specialista disciplinare, che curano i rapporti fra la scuola e la famiglia, che lavorano come
formatori, che realizzano piani di educazione individualizzata.
In definitiva, – si sostiene – diventa evidente che chi insegna e chi svolge funzioni di ordine
direttivo (organizzativo, manageriale) deve possedere attitudini e capacità molto simili. Ad
esempio:
• motivazione • disposizione all’innovazione • capacità di procurare risorse • autoriflessività •
pensiero anticipativo • rapporti con organizzazioni di ampio respiro • curiosità • apertura mentale •
flessibilità • rispetto per l’evidenza • capacità di ragionamento e di giudizio • capacità di
orientamento • abilità di ricerca • valutazione di alternative • abilità nella soluzione di problemi •
continuo rinnovamento • desiderio di aiutare gli altri • capacità di collaborazione • apprendimento
continuo • autoconoscenza • abilità nelle relazioni interpersonali • capacità di comunicazione •
consapevolezza politica • ottimismo • pazienza•• persistenza • abitudine a definire obiettivi
Collegialità, allora, vuol dire articolazione, rispetto delle capacità, ottimizzazione delle
risorse, soddisfazione delle aspirazioni ed esercizio dei talenti nel servizio agli altri. In definitiva:
ricchezza.
2.2. Innovazione
Cominciamo con qualche osservazione relativa alle esperienze in atto da non pochi anni
In primo luogo, non pare che si possa negare la confusione ricorrentemente verificabile fra
innovazione e riforma, nel senso che ci si è ormai abituati ad aspettare effetti di riforma (che non
sono possibili) dalle esperienze di innovazione e, di converso, a credere che le deliberazioni di
riforma siano presso che ineluttabilmente accompagnate da condizioni di innovazione. In secondo
luogo, ci si è affidati ad una singolare accezione di natura burocratico-amministrativa della
sperimentazione – la cui validità appare connessa al rispetto di adempimenti più che a quello di
criteri –, che viene poi utilizzata, a sua volta, come surrogato dell’innovazione o come sostituto
della riforma. E’ bene chiarire, invece, che si tratta di tre nozioni ben distinte fra di loro:
l’innovazione, infatti, si regge sulla qualità professionale degli operatori e sulla flessibilità
complessiva del sistema, la riforma sul consenso politico e la solidità amministrativa e la
sperimentazione sulla robustezza teorica delle ipotesi e la correttezza procedurale dei metodi.
La soluzione, quindi, non consiste certo nel sovrapporle e confonderle, ma piuttosto nel
distinguerle per integrarle. In particolare, è il caso di approfondire l’analisi relativa all’innovazione.
Nel suo fondamento ultimo, l’innovazione indica il processo tecnico-morale – è
un’accoppiata che abbiamo già usato e che può anche essere assunta come leimotiv di tutto il
discorso – mediante il quale si avverte la possibilità di una tensione al cambiamento migliorativo e
si pongono in atto procedure razionali per la concretizzazione di questa tensione in forme di
progettualità operativa, realizzazione convalidante e valutazione ponderativa. Essa, quindi, si
collega alla spinta interiore al perfezionamento sulla base di una convinzione autonoma (non di
un’obbligazione legale o amministrativa) di natura scientifica e professionale, connessa ad
un’istanza deontologica di collaborazione alla ricerca del meglio. Ancora, l’innovazione è la
modalità attraverso la quale la professione in atto collabora alla costruzione continua delle proprie
condizioni di miglioramento, resistendo, con questo, alle tensioni negative dell’obsolescenza
scientifica e dell’entropia istituzionale.
Su tutto questo, però, influiscono ancora fortemente per lo meno tre fattori contrastanti,
identificabili nella prevalente visione "oggettivistica" dell’insegnamento come trasmissione della
solidità e della certezza, nella quasi esclusività del libro di testo come strumento didattico (che si
trascina con sé una predominante immagine di condensazione cristallizzante del sapere) e nella
6
7
concentrazione, nella formazione degli insegnanti, sugli aspetti di carattere acquisitivo rispetto a
quelli di carattere problematico-operativo: l’insegnante è orientato in larga prevalenza alla
dimensione riepilogativo-chiarificativa piuttosto che a quella euristica. Il punto centrale da sol-
levare, allora, è costituito dall’immissione nei curricoli di un principio di legittimità
dell’esplorazione.
Il tema profetico, infine, consiste nell’elaborazione della categoria della speranza in forme di
razionalità dimostrativa diffusibile; che è, poi, il solo modo accettabile con cui una professione
continuamente ricrea se stessa e cammina nella storia della cultura.
3. Sviluppo organizzativo
Le note più recenti parlano sempre più frequentemente di sviluppo comunitario da una parte
e di circolazione della leadership dall’altra: seguiamo la pista.
Mentre anche le scuole cattoliche sono preoccupate di mettere in evidenza i loro tratti di
organizzazione efficace ed efficiente secondo i parametri che sono ormai diventati presso che
popolari, è oggi possibile incontrare una letteratura che appare invece rivolta a porre in evidenza il
carattere fondamentale della scuola come comunità morale.
Riprendiamo il riferimento ai frequenti contributi di T.J.Sergiovanni sul tema 4 . “Le
comunità si organizzano” – egli afferma – “attorno a relazioni ed idee; crea- no strutture sociali che
collegano le persone in unità e le tengono collegate ad un insieme di valori ed idee condivise. Le
comunità si definiscono in base ai loro centri di valore, sentimenti e convinzioni che costruiscono le
condizioni necessarie per creare il senso del "noi" distinto da quello individuale dell’"io". Nella
comunità i membri creano la loro vita insieme agli altri che hanno le medesime intenzioni. Tanto le
organizzazioni che le comunità devono affrontare il problema del controllo ma, invece di fondarsi
sulle norme esterne, le comunità fanno più leva sulle norme, gli scopi, i valori, la socializzazione
professionale, la collegialità e l’interdipendenza spontanea. Appena le connessioni comunitarie
intervengono nelle scuole, esse sostituiscono i sistemi formali di supervisione, valutazione e
formazione del personale”5.
Detto questo, chiediamoci quali sono i "segni" che individuano più specificatamente la
qualità di una scuola come comunità educativa. La risposta può evocare una ben lunga e corposa
serie di rimandi, la cui considerazione complessiva consente di individuare alcuni fondamentali
principi come:
– la globalità – la scuola si configura come una “sfera vitale” (Pestalozzi), un luogo non
frammentato e giustappositivo di interventi settorialisticamente disposti:
– la simultaneità – la disposizione educativa dei vari soggetti si distende secondo una sintonìa
naturale-spontanea di orientamenti, atteggiamenti e dislocazioni operative:
– lo stile – esistenza di un rimando immediato fra tutte le ‘regioni’ in cui
un’istituzione-organizzazione formativa si articola e si rifrange;
– l’integrazione – le diversità e le articolazioni interne all’istituzione si dispongono secondo una
logica sinergica di sostegno e di completamento reciproco;
– l’unità-differenziazione – il funzionamento dell’istituzione si distende e si realizza accogliendo e
testimoniando senza difficoltà le caratteristiche dell’organizzazione ‘biologica’ dell’organismo
vivente.
Quanto agli attori, se ci si colloca dalla prospettiva dell’alunno la comunità risponde al
bisogno di confrontarsi con una coerenza progettuale e con una differenziazione produttiva, di
4
Cfr: T.J.Sergiovanni, Moral Leadership, Jossey-Bass, San Francisco 1992; Id. Building Community in Schools,
Jossey-Bass, San Francisco 1994; Id, Leadership for the Schoolhouse, o.c.
5
Id., Leadership for the Schoolhouse, o.c. p.47-48.
7
8
interagire realmente con i propri pari e con gli adulti docenti, di comunicare a fondo con la scuola
come ambiente educativo di apprendimento; da quella dell’insegnante, al bisogno di confrontarsi
con le proprie competenze e con quelle degli altri, integrandosi in un gruppo di produzione
pedagogica; da quella dei genitori, al bisogno di confrontarsi con una proposta educativa
consapevole, di avere opportunità di colloquio critico, di poter praticare una dinamica aperta di
richiesta-offerta; da quella del dirigente, al bisogno di esplicare possibilità e funzioni di sintesi
orientativa, di intervenire in processi decisionali relativi a contenuti di realtà, di far prevalere le
qualità di operatore culturale e pedagogico su quelle di amministratore in senso burocratico.
Il valore profetico aggiunto si ritrova nella forza costruttiva della "semplicità" intesa come
linguaggio coesivo profondo non formale.
Gli assunti fondamentali su cui si appoggia questa prospettiva sono ricavati da una visione
nella quale la leadership sta a significare l’insieme dei processi che abilitano i partecipanti a
costruire e scambiare significati in vista della condivisione dei fini del- la scuola ed ha a che fare
con i processi di apprendimento che conducono al cambiamento costruttivo, motivo per cui essa
avviene fra partner e si costruisce in senso collettivo; inoltre, ciascuno ha il potenziale ed il diritto di
operare come leader: la leadership è un lavoro complicato e difficile, che ciascun membro della
scuola è in grado di imparare in quanto saper condurre è uno sforzo condiviso, collettivo, che sta a
fondamento della democratizzazione della scuola. Per questo, si richiede la ridistribuzione del
potere e dell’autorità, nel senso che i dirigenti hanno bisogno di delegare esplicitamente la loro
6
Id., ibid., p.93.
7
Id., ibid., p.14.
8
Id., ibid., p.22.
9
Seguiamo gli sviluppi elaborati da L.Lambert, Building Leadership Capacity in Schools, ASCD, Alexandria (Virg.)
1998.
8
9
4. Parlar di scuola
Al di là delle diatribe e dei dibattiti in corso, si avverte una domanda più generale: cosa
chiedere, in fin dei conti, alla scuola, cosa aspettarsene ?
9
10
10
11
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
O’Keefe J. - T.McLaughlin - B.O’Keefe (Edd.), The Contemporary Catholic School, Falmer P., London 1996.
Scurati C., Pedagogia della scuola, La Scuola, Brescia 1997.
Id., Realtà umana e cultura formativa, La Scuola, Brescia 1999.
11
RIFORME E ASPETTI COSTITUZIONALI
GIANFRANCO GARANCINI
L’indicazione di “aprire concrete piste di operatività” mi vede
particolarmente attento, e concorde. Non che creda che improv-
visamente, si siano sciolti tutti i nodi e che sia giunto il mo-
mento di raccogliere i frutti di un lungo lavoro e di un lungo
confronto. Credo, al contrario, che la strada sia ancora lunga e
accidentata e che gli ostacoli siano ancora alti e aspri, proprio
perché la loro consistenza non è fatta di dati e di regole ogget-
tive, bensì di pregiudizi ideologici e di opposizioni viscerali e
(ormai) fuori dal tempo. In questi ultimi tempi, poi, proprio
perché si sono viste concrete possibilità di apertura verso solu-
zioni ragionevoli, razionali e ragionate, l’animosità vete-
ro-risorgimentale e anti-libertaria si è fatta più vivace, e quanti
sono (indebitamente) titolari di un potere di interdizione politica
e parlamentare, pur essendo in altri campi e per altre materie
marginali e residuali rispetto alla maggioranza di governo,
hanno ripreso fiato proprio nel nostro settore, gabellando per
“ideale” la loro preconcetta “ideologia”.
Credo, tuttavia, che per noi, qui, sia comunque il momento
delle scelte, sia che la risposta istituzionale e normativa sia po-
sitiva (e staremo a vedere come), sia che essa sia negativa, come
molti (ancora troppi?) si augurano.
Proprio per questo mi permetterò, dal profondo di una espe-
rienza e (perché no?) di una militanza ormai venticinquennali,
di indicare alcune linee di metodo, di operatività, ben sapendo
che il diritto è strumento, e guai se (guai quando, come non in-
frequentemente è successo nel corso della storia) si propongono
e si scambiano gli strumenti come fini; guai se, come potrebbe
accadere, e sembra che stia accadendo, proprio nel campo
dell’istruzione, si pongono le strutture come fini, o peggio an-
cora come fonti di umanizzazione e di umanità.
1. SUL METODO
1
ciale, quale quello nel quale da ormai più di cinquant’anni sia-
mo e ci sforziamo di rimanere, qualsiasi riforma, ma soprattutto
quella che coinvolge e comporta interventi sulla crescita e sulla
personalità, sui diritti della persona umana sia come singolo sia
come inserita nelle sue formazioni sociali, non può non tener
conto del principio di sussidiarietà, sia in senso verticale (fra le
diverse strutture istituzionali), sia soprattutto in senso orizzon-
tale (fra le formazioni sociali, fatte di persone e tenute insieme
dalla loro storia, che qualificate a loro volta dalla loro storia e
dalla loro “serietà” operativa, sono l’espressione più vicina alla
persona di quella che ci siamo abituati a chiamare “società civi-
le”).
D’altronde, e forse proprio per questo, intendiamo dire la no-
stra, anche da questo punto di vista minoritario (ma solo quanto
ai numeri) della scuola cattolica, su tutta la problematica del
sistema d’istruzione e formazione italiano. Intanto perché ce ne
sentiamo parte integrante e in maniera integrale (in ragione di
una storia, di una popolarità, ma altresì di una scelta democrati-
ca che non vogliamo mettere in discussione, né che sia messa in
discussione); e poi perché sono profondamente convinto che la
questione della riforma della disciplina della scuola cattolica (e,
più in generale della scuola non statale) non si risolve se non nel
contesto stesso della riforma dell’intero sistema d’istruzione e
di formazione italiana, statale e non statale, in quanto parte in-
tegrante dell’unico servizio pubblico (in senso oggettivo e te-
leologico).
C’è, da questo punto di vista, qualche motivo di discussione
e di crisi. Quello più radicale (nel senso che investe le radici del
rapporto formativo e anche educativo) riguarda la cosiddetta
“riforma dei cicli”. Essa sembra più orientata a costruirsi sulla
centralità dell’istituzione e della sua struttura, lasciando emer-
gere una “eventualità” della considerazione della persona (degli
allievi, dei genitori, degli insegnanti, degli operatori tutti del
settore) che non convince; più preoccupata dell’apprendimento
che dell’insegnamento; dell’assistenza che della cultura;
dell’organizzazione che della pedagogia. E sembra che il meto-
do normativo privilegiato sia quello della delega al Governo e
alle istanze amministrative, piuttosto che quello dell’assunzione
di responsabilità diretta da parte del Parlamento, pur in una ma-
teria che coinvolge direttamente i diritti primari delle persone e
dei cittadini e che pertanto potrebbe vedere insufficienti (o
2
tardivi) i controlli in ordine al rispetto della delega; un metodo,
questo, che forse penalizza la pur necessaria trasparenza del
confronto, che in questi campi è, insieme, condizione essenziale
di consenso e di successo.
2. SUI CONTENUTI
Ma qual è il problema? E’ il solito, antico problema se lo
Stato sia per l’uomo o l’uomo per lo Stato. E la risposta: “lo
Stato è per l’uomo” sta alla radice stessa della modernità (con le
sue premesse di libertà, di socialità, di democrazia) e della au-
tentica laicità che – proprio perché rifiuta qualsiasi coinvolgi-
mento e asservimento del “pubblico” a qualsiasi clericalismo, di
qualsiasi segno e colore sia – vede impegnate le istituzioni ad
assicurare le condizioni di integrata libertà per tutti (si legga
l’articolo 3 della nostra Costituzione).
Nel nostro campo, ad onta di tutti i tentativi di asservimento
e strumentalizzazione in vario modo camuffati, sempre e ancor
più oggi vale quella scelta fatta dai Costituenti (o.d.g. Dossetti
del 9 settembre 1946 nella prima sottocommissione della
Commissione dei Settantacinque) con cui si affermò, insieme
con il principio democratico lo stato sociale delle autonomie,
“al servizio” della persona umana e delle sue formazioni auto-
nome, sociali e territoriali. Il primato, dunque, spetta alla società
e non alle strutture, che ne sono il (pur necessario, proprio per
questo e con questa funzione) braccio operativo; all’educazione
sull’apprendimento, alla cultura sulla scolasticità.
Lascio la discussione scientifica e tecnica agli esperti. E tut-
tavia: quello che è in gioco non è un privilegio di qualcuno o,
peggio, di una qualche parte, ma è una concezione integrale e
integrante della scuola e della cultura. E altresì della Costitu-
zione di un Paese, della sua forma istituzionale. Parole come
autonomia, pluralismo, confronto, la stessa parità cambiano ra-
dicalmente di significato e di impatto sociale e operativo, a se-
conda che ci si metta nell’una o nell’altra ottica.
Quelle stesse parole (con le loro implicazioni concrete e
operative, oltre che culturali) diventano oggi occasione di fare
politica, per affermare un principio, e un metodo, di sussidia-
rietà che non sia frainteso come “sostituzione”, che non sia ri-
dotto a “decentramento”, ma che riprenda, vivifichi, affermi il
3
valore costitutivo (e “costituente”) della libertà e
dell’autonomia dei soggetti. Di molti falsi problemi ci si è libe-
rati nel corso di questi ultimi anni e di questo va dato atto. Il
concetto di sistema integrato si viene facendo strada con buona
sicurezza; c’è un riconoscimento di pariteticità (anche se non di
parità) di fatto, di cui siamo protagonisti e che ci consente di far
sentire ovunque la nostra voce.
Ma sembrano recuperi marginali di un metodo, per così dire,
“beneducato”, che però non si sposta in modo significativo dalle
posizioni precostituite. Rimangono infatti e/o riemergono
durezze vecchie e nuove: verso la famiglia, che qualcuno vor-
rebbe ancora contrapporre ai figli, caricandola delle difficoltà
relazionali e sociali odierne, quando essa è rimasta in tutti que-
sti anni di difficoltà quanto meno ammortizzatore sociale ed
economico di primaria, indispensabile importanza; verso una
corretta visione del pluralismo non già come concessione oc-
troyée dell’autorità, ma come via di costruzione “dal basso”
della nuova società dell’oggi: verso il multiculturalismo, la
multietnicità, la multireligiosità della melting pot italiana di og-
gi, di cui sembra aversi da più parti paura, mentre è condizione
oggettiva di sviluppo e di composizione di diverse e complesse
libertà.
Riemergono concezioni del rapporto società/Stato che ave-
vamo creduto superate, e vittoriosamente, per il bene di tutti,
con lo “spirito della 142”.
Lo stesso “mitico” art. 21 della legge numero 59 del 1997 (la
madre di tutte le riforme che vanno sotto il nome di “Bassanini”
ha trovato traduzione nella linea della riforma/riorganizzazione
della pubblica amministrazione, e molto meno in quella del ri-
conoscimento di una autonomia istituzionale e di autogoverno.
L’autogoverno delle comunità, principio costitutivo e “bandie-
ra” di tante conquiste che questo Paese aveva fatto insieme,
sembra lasciare il posto - un posto che nella riforma della scuola
non era mai riuscito a conquistarsi, comunque, ad una (forse)
efficiente autarchia degli uffici che, però, svela la dimenticanza
di un valore: quello della scuola come comunità educante
orientata all’allievo e alla valorizzazione della sua personalità,
della sua libertà. Certo: autonomia non è né può essere anarchia;
ma abbiamo troppo lunga esperienza in questo campo perché ci
si possa rinfacciare di essere così ingenui da crederlo, e così
machiavellici da operare in tal senso. Ma anche qui ci pare
4
emergere l’antico conflitto fra lettere e spirito, soprattutto in or-
dine a quelle che tempo fa avevamo chiamato “riforme che non
costano” e che, tuttavia, ancor oggi non trovano attuazione a
riprova di quanto possono i preconcetti oscurare la razionalità
delle persone e delle istituzioni.
Già. Le norme. L’articolo 33, quarto comma, della Costitu-
zione resta, certo, un faro per la parità: una parità da ricono-
scere, non da concedere; da normare per restituirla e poterla
esercitare, non da limitare per congelarla in un mero riconosci-
mento giuridico che è già tutto nella Costituzione; da rendere
effettiva per tutti i cittadini, non da lasciare al distorto gioco di
ricchezza/povertà. In una concezione vecchia di Stato assisten-
ziale e non sociale (fondato sulla sussidiarietà e non sulla di-
pendenza della società rispetto alle istituzioni); di democrazia
adesiva e non effettiva; di (come qualcuno arriva a dire) Stato
etico e non democratico, la questione della parità – o, meglio,
della uguaglianza nell’esercizio dei diritti e delle corrispettive
libertà – non sarà mai risolta. La verità è un’altra: una persona
oggi non si qualifica per ciò da cui dipende, né per le tecnicalità
“riflesse” e “meccaniche” che possiede, ma perciò a cui ha ri-
conosciuto e ha scelto di appartenere; per ciò che è, per la sua
capacità di decidere, per la sua capacità di coniugare sé e le co-
se; per la sua cultura. Non solo, dunque, per la sua capacità di
apprendere, ma per la sua capacità di “essere con”. La stessa
Unione Europea (libro bianco sulla formazione del 1995) ha di-
stinto fra coloro che sanno interpretare (nel senso di capire il
significato e il valore delle cose), coloro che sanno utilizzare, e
coloro che sono emarginati in una società che li assiste: in altre
parole, fra coloro che sono autori della propria vita, coloro che
ne sono attori, coloro che ne rimangono soltanto spettatori.
La parità, pertanto, è un’esigenza di democrazia e di plurali-
smo, di umanità. Parole vecchie, ci si dice. Ma ci sono parole
dette secoli e secoli fa che ancora oggi conservano intatta la loro
vitalità. Parole nuove, invece, come tutte le parole del diritto, se
riescono ad incontrare la storia.
Ho ritrovato nei laboratori di questa assemblea parole glorio-
se, come territorio, che vent’anni fa utilizzammo per affermare
una rilettura e una riscrittura dell’impianto istituzionale capace
di dare senso e voce alle autonomie locali; parola oggi ancora
nuova, nel momento in cui essa torna ad essere capace di indi-
care la platea della società, fatta di persone e formazioni sociali,
5
che pone domande alle istituzioni alle quali riconosce valore,
significato, necessità, proprio a misura che essi siano in grado e
disponibili a fornire risposte.
Non voglio interferire. Anzi, ascolterò con interesse e parte-
cipazione i lavori dell’assemblea e ne leggerò con particolare
acribia le conclusioni.
Ma lasciatemi dire: mai come ora, in queste riforme che ri-
mettono in gioco tutta la scuola nei suoi molteplici aspetti, nei
suoi complessi e intrecciati impianti, nelle sue diverse soggetti-
vità, mai come ora deve levarsi la voce di tutti a tutela e promo-
zione dei diversi diritti richiamando con forza il ruolo delle
istituzioni quale è affermato nell’articolo 3 della Costituzione,
soprattutto in nome di quelli che nella attuale situazione non
sono in grado di far valere e di dare piena realizzazione alle
proprie scelte e ai propri diritti. Non sono, a preoccuparmi, le
famiglie che - pur facendo sacrifici, riescono a realizzare la loro
scelta per la scuola non statale e la scuola cattolica in particola-
re, ma le famiglie che, pur volendo, non riescono a potere; non
sono, a preoccuparmi, quegli insegnanti che – con dedizione e
spirito di sacrificio - riescono ad accettare e a rendere compati-
bile con il loro bilancio una retribuzione notevolmente inferiore
pur a parità di funzioni svolte, ma quegli insegnanti che – per
comprensibilissime ragioni – non riescono a far quadrare il loro
bilancio con la retribuzione contrattualmente ricevuta dalle
scuole non statali e, contro la loro scelta si rivolgono ad altre
agenzie o ad altre occupazioni.
3. SULL’OPERATIVITA’
Non dimentichiamo mai di trovarci all’interno di un sistema.
Guardiamoci dalla pericolosa, perniciosa, luciferina illusione di
“salvarsi da soli”.
Questo vale per la scuola cattolica, in primo luogo. Essa, al
suo interno, deve trovare la forza e l’accortezza per darsi stru-
menti di collegamento, per coordinarsi, pur nell’attuale emer-
genza e nelle attuali ristrettezze, la propria vocazione educativa,
risalente nei secoli. Essa, nel confronto con le istituzioni, deve
essere capace di individuare e coltivare tutte le sinergie possibili
con quanti si trovano nella stessa situazione. Non solo nello
specifico scolastico, ma altresì anche in ordine alla applicazione
6
più ampia del principio di autonomia nei rapporti fra società e
istituzioni. Occorre essere consapevoli che la partita è a tutto
campo e che è in gioco non solo e non tanto una (pur importan-
te) contingente questione tecnico-istitutzionale, bensì tutta inte-
ra una certa visione dell’uomo e della società. Essa, nello stesso
contesto ecclesiale deve essere in grado di mettere in opera tutto
il potere di convincimento e tutti gli strumenti per affermare il
proprio problema come problema di tutta la Chiesa che è in Ita-
lia.
Questo vale per i cattolici, in secondo luogo. Il problema è di
tutti e investe lo spazio dei diritti di tutti. O il mondo cattolico,
senza gelosie interne e senza paure esterne, comprende il pro-
blema della scuola (e non solo della scuola cattolica) come pro-
blema cruciale di tutta la società italiana, oppure rischia di con-
dannarsi ad una (pur ingiusta) marginalità, all’accusa di preten-
dere privilegi di parte (o, peggio, di ceto). La scuola, invece, la
formazione della persona, è un bene di tutti, è il futuro per
l’intera società italiana, a prescindere dalle libertà e dalle cultu-
re che vi si esprimono.
Questo è il messaggio: riprendere a fare politica così, a parti-
re dai diritti e dalle libertà, da un impegno aperto perché siano
affermati gli strumenti per rendere effettivi diritti e le libertà di
tutti. Questo è il segno più profondo e più cattolico della auten-
tica laicità. E’ ancora “moderno” l’ammonimento di Tertulliano
che, di fronte alle istituzioni romane che pretendevano per
l’imperatore una qualificazione divina che a mente dello stesso
diritto romano non gli competeva, le ammoniva che, forse, la
storia avrebbe giudicato i cristiani – leali sudditi dell’imperatore
e cittadini dello Stato romano, ma testimoni della contradditto-
rietà di un imperatore-dio e di uno Stato che pretendeva di es-
sere esso stesso, in quanto Stato, religioso ed etico – “più roma-
ni dei romani” nel senso di più fedeli interpreti della Costitu-
zione romana, nel suo autentico spirito laico e di diritto.
Insomma: l’impegno che con questa assemblea la scuola cat-
tolica è chiamata a rinnovare è quello perché si realizzi effetti-
vamente lo stato di diritto personalistico, sociale, delle autono-
mie.
7
1
BRUNO STENCO
Il Centro Studi per la Scuola Cattolica (CSSC) svolge attività di studio, ricerca,
sperimentazione e valutazione nei diversi settori scientifici e operativi rilevanti per le proprie
finalità istituzionali ed è chiamato ad effettuare in qualità di Osservatorio, un monitoraggio
costante e tempestivo sulla situazione della scuola cattolica in Italia, sulle opportunità e sulle
priorità che si prospettano3. In questa cornice di attività, il CSSC ha avviato da un anno la sua
prima indagine nazionale "Per una cultura della qualità nella scuola cattolica: promozione e
verifica" che vorrebbe fornire un contributo significativo in ordine alla crescita del bene comune
ecclesiale e civile delle nostre istituzioni scolastiche e formative.
Va subito precisato che nella realizzazione delle ricerche e di questa in particolare il ruolo
del CSSC è anzitutto di promozione e di mediazione in quanto si pone, sul piano tecnico e
metodologico, come interfaccia tra le diverse istanze della Scuola Cattolica, per consentire, a
garanzia per tutti, che la qualità sia da tutti verificata a livello di istituto e in vista della delineazione
di un sistema complessivo. Il CSSC esclude, pertanto, qualsiasi intento omologante rispetto ad
un’idea predefinita di qualità imposta e verificata dall’esterno o al di sopra dei soggetti della Scuola
Cattolica e cerca di darsi un’impostazione metodologica adeguata per una valutazione della qualità
che sia espressione dei soggetti della Scuola Cattolica. Per tali motivi il CSSC intende favorire lo
sviluppo delle precedenti ricerche svolte nel campo della qualità della Scuola Cattolica e trovare le
modalità più adeguate di raccordo escludendo indebite sovrapposizioni. Nell’ottica di un sistema
scolastico che si va costituendo come sistema di “autonomie”, l’istanza promozionale è strumento
di garanzia delle autonomie stesse. Inoltre, nella prospettiva del riconoscimento della parità della
Scuola Cattolica come scuola libera non statale in un sistema scolastico che ne integri l’apporto, la
promozione e verifica della qualità-identità ecclesiale della Scuola Cattolica diventa salvaguardia di
ciascuna singola istituzione.
In relazione alla qualità dell'offerta educativa nella scuola cattolica, la ricerca si propone allo
stesso tempo scopi promozionali e di verifica:
a) diffondere una cultura della qualità nella prospettiva della formazione permanente;
b) riconoscere la qualità esistente nelle scuole cattoliche valorizzandola a vantaggio dell’intera
comunità educativa ed ecclesiale;
c) elaborare criteri e indicatori di qualità in cui le scuole cattoliche si riconoscano;
d) elaborare ipotesi che riguardino la dinamica di rilevamento degli indicatori di qualità in ordine
sia all’autovalutazione di istituto e al monitoraggio della qualità stessa sia alla predisposizione di un
sistema di valutazione della qualità nella scuola cattolica;
1
Con l’espressione “Scuola Cattolica” si intende tutta la scuola cattolica in Italia, inclusi la scuola materna autonoma di
ispirazione cristiana e i Centri di Formazione Professionale di ispirazione cristiana (cfr. C.E.I., Statuto del Centro Studi
per la Scuola Cattolica, in “Notiziario C.E.I.”, 10 ottobre 1996, n. 7, p. 241).
2
La ricerca è condotta da un gruppo formato da: B. Avataneo, A. Basso, G. Bocca, P. De Giorgi, M. Castoldi, M.
Gutierrez, G. Malizia, S. Marconi, G. Monni, D. Nicoli, B. Stenco, D. Vicentini. Coordinano le attività G. Malizia e B.
Stenco. La presente sintesi è stata redatta da B. Stenco.
3
Cfr. C.E.I., o.c., p. 242.
2
Le finalità sono state tradotte in obiettivi all’interno di tre sottoprogetti, che tengono conto
delle caratteristiche dei diversi livelli o sottosistemi formativi:
– la scuola materna;
– la scuola elementare, scuola media inferiore, scuola media superiore;
– la Formazione Professionale.
4
OCSE, Gli indicatori internazionali dell’istruzione. Una struttura per l’analisi, Armando, Roma 1994.
3
– Nella seconda fase (attualmente in corso) la ricerca si sviluppa come indagine sul campo e
consiste nella realizzazione dei tre sottoprogetti (materna, elementare/media/media superiore,
formazione professionale) finalizzata alla validazione del modello di analisi della qualità elaborato
tenendo conto delle parti comuni e delle parti specifiche di ogni sottoprogetto;
– Nella terza fase (giugno - dicembre 2000) si prevede di pervenire alla elaborazione di una
proposta di indicatori di qualità, di criteri per un sistema di valutazione che sia tavola di confronto
per le Scuola Cattolica, di parametri per la certificazione e l’accreditamento dei CFP e/o degli Enti
di FP di ispirazione cristiana e di indicazioni sulla qualità della SC presso il CSSC; l’ipotesi verrà
presentata per l’approvazione al Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica.
La specificità metodologica dei tre sottoprogetti è stata messa in relazione a diversi livelli di
valutazione della qualità del servizio scolastico. Questi ultimi possono essere rappresentati lungo
un asse, in rapporto al progressivo distanziamento verso l’esterno della scuola/CFP nella
definizione del modello di qualità. In base a tale criterio possiamo riconoscere i seguenti livelli :
– l’autoanalisi di Istituto, in quanto processo che prende l’avvio da un’idea condivisa di qualità da
parte dei diversi attori che compongono la comunità educante;
– il monitoraggio basato su indicatori, in quanto l’analisi della qualità si svolge in rapporto a
parametri quali/quantitativi in relazione ai quali è possibile rilevare e posizionare ciascuna
istituzione;
– l’accreditamento interno, in quanto percorso di analisi della qualità che mira a verificare la
conformità tra le modalità di funzionamento e gli esiti della singola agenzia formativa da una parte
e, dall’altra un modello di riferimento autodefinito, dato ad esempio dall'Associazione a cui si
aderisce (come la FISM o la CONFAP);
– l’accreditamento esterno, in quanto percorso di analisi della qualità che mira a verificare il
rispetto di alcuni standard minimi normativamente definiti - sul piano delle strutture, del
funzionamento e/o degli esiti – come condizione per l’accesso a finanziamenti e/o alla distribuzione
4
di risorse; il modello di qualità assunto a riferimento, infatti, viene definito da una fonte normativa a
livello locale o nazionale (ad esempio MPI o Regioni);
– la certificazione esterna, in quanto percorso di analisi della qualità che mira a verificare la
conformità tra le modalità di funzionamento e gli esiti della singola agenzia formativa e un modello
di riferimento definito da una fonte normativa esterna (vedi ad esempio le norme internazionali
ISO).
All’interno delle categorie proposte, i tre sotto-progetti si collocano (cfr. Tav. 3) con le seguenti
specificità :
– il sottoprogetto relativo alla FISM muove da una struttura di analisi della qualità predefinita per
verificarla con le scuole coinvolte e delineare una base di riferimento per un possibile modello di
accreditamento interno;
– il sottoprogetto riguardante la FIDAE-CNOS/Scuola-CIOFS/Scuola prende l’avvio dalle
ricerche sull'autovalutazione della qualità già realizzate per arrivare a delineare un sistema di
monitoraggio basato su indicatori, il quale possa rappresentare una base di riferimento per modelli
di accreditamento interno;
– il sottoprogetto sui CFP della CONFAP parte da un’analisi di esperienze di certificazione e di
accreditamento esterno realizzate o in corso di realizzazione da parte di Enti di Formazione
Professionale per strutturare un possibile modello di accreditamento interno.
AUTOANALISI DI
ISTITUTO
MONITORAGGIO
BASATO SU INDICATORI
ACCREDITAMENTO
INTERNO
ACCREDITAMENTO
ESTERNO
CERTIFICAZIONE
ESTERNA
che compongono le comunità scolastiche e formative, ma anche sui punti dove si orientano
unanimemente e con maggior consapevolezza le loro attese.
Ad esempio, tra le caratteristiche che maggiormente dovrebbero qualificare la scuola
cattolica ‘l’attenzione alla formazione della persona in tutte le sue dimensioni’ riceve il maggior
numero di segnalazioni (1422 pari al 70.7% dei soggetti), con una accentuazione significativa sia da
parte del personale docente (78.6%) e dirigente (77.3%) delle scuole/CFP che dei genitori (70.2%) e
anche degli studenti (61.3%); anche ‘la sintesi educativa tra la cultura e la fede’ (1169 segnalazioni
pari al 58.1% dei soggetti) e ‘la scuola come ambiente comunitario che educa’ (51.6%) vengono
indicati come tratti ideali qualificanti, confermando sostanzialmente quei 'criteri cardinali' di scelta
degli indicatori posti alla base della ricerca sulla qualità.
La Scuola Cattolica quindi non vede ridimensionato il livello ideale e valoriale della
propria offerta formativa e il tasso di “ispirazione cristiana e cattolica” della sua progettualità, ma
piuttosto viene interpellata perché li faccia diventare effettivamente fattori promozionali e
motivazionali della persona considerata anche nella sua singolarità. Sta nella capacità di coniugare
veramente evangelizzazione e promozione umana, la possibilità, oggi, della scuola cattolica di
rispondere ai bisogni attuali dei giovani e delle famiglie rimanendo contemporaneamente fedele ai
suoi principi ispirativi.
Certamente su questa via carica di incoraggiante speranza, la scuola cattolica è invitata a
migliorare la qualità della sua offerta formativa rispetto alle seguenti principali carenze riscontrabili
dall'esame dei risultati del sondaggio: si denunciano principalmente lo ‘scarso interesse da parte
delle famiglie’(38.9%), l‘isolamento della scuola/CFP nel territorio’(35.6%) unitamente a limiti
circa ‘la dotazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie’(31.1%) e anche con riguardo
all’‘inadeguatezza dei laboratori’(24.2%), alla ‘carenza di collegialità nelle decisioni’(23.3%) e
allo ‘scarso funzionamento degli organi collegiali di partecipazione’ (23.7%).
Tutto questo non deve scoraggiare. Anzi la scuola cattolica può e deve raccogliere la sfida:
avendo ben chiaro lo scopo, “La persona di ciascuno, nei suoi bisogni materiali e spirituali, è al
centro del magistero di Gesù: per questo la promozione della persona è il fine della scuola
cattolica”5, essa saprà trovare anche con più determinazione le risorse personali e materiali.
La ricerca sulla qualità dell'educazione e della formazione nella scuola cattolica intende,
attraverso la promozione di una più diffusa e consapevole capacità di autovalutazione della
propria offerta formativa e da parte di tutti i soggetti che la compongono, porsi al servizio di una
sua rinnovata presenza nel nostro paese: contribuire cioè a capire e a precisare, coniugando
Vangelo, educazione e cultura, quale dono di carità essa possa fare nell'attuale fase storica per la
riforma e l'edificazione del sistema scolastico e formativo italiano.
5
Giovanni Paolo II, Discorso al I Convegno Nazionale della Scuola Cattolica in Italia, in “L’Osservatore Romano”, 24
novembre 1991, p. 4.
CHARTA AUREA EDUCATION
A.VINCENZO ZANI
A partire dalla convinzione più volte espressa dal magistero di Giovanni Paolo II che, nella
linea del Concilio, ribadisce come la “via della Chiesa è l’uomo”, la scuola, intesa come luogo della
trasmissione critica del sapere, fonte continua di domande, interlocutore esigente e nello stesso tempo
chiave di lettura dei fenomeni che caratterizzano il nostro mondo, è terreno privilegiato di impegno
per la comunità cristiana.
Nel nostro Paese, in questi anni segnati dalla complessa fase di cambiamento in atto, il dialogo
tra Chiesa e scuola si fa ancora più urgente e coinvolge la responsabilità di tutti. Oggi, più che mai, è
necessario riaffermare con chiarezza le nuove responsabilità educative della scuola, ridefinendo lo
scopo specifico di questa istituzione e ricuperando il valore della solidarietà che sembra possedere un
significato simbolico eminente. Infatti la scuola stessa ha perduto la sua caratteristica di esperienza
comunitaria per ridursi ad una fruizione individualistica e strumentale di un servizio, solo in vista del
titolo da conseguire. Anche la scuola cattolica spesso non è esente da questa pericolosa deriva.
La “grande riforma” in corso non si giudicherà dalla complessità e dalla ingegnosità della sua
architettura, ma dalla capacità che avrà di promuovere realmente i ragazzi, intercettando i loro
bisogni, interpretandone le domande, sviluppando pienamente le loro potenzialità intellettive e
relazionali.
La scuola cattolica non si sente estranea al mutamento, anzi è sollecitata ad entrare pienamente
nel cambiamento avviato e, al di là della questione centrale legata al problema della legge paritaria,
deve rispondere a questa sfida rilanciando la propria specifica offerta educativa. Potrà essere di
grande utilità anche riscoprire la genesi di molte scuole cattoliche e fare memoria del grande
patrimonio di valori e di finalità pedagogiche che caratterizza la molteplicità dei carismi e delle
esperienze ispiratrici che hanno dato vita alle nostre scuole.
Dopo il primo Convegno sulla scuola cattolica del 1991, la C.E.I. ha dato vita al Consiglio
Nazionale della Scuola Cattolica per favorire il coinvolgimento organico dei numerosi soggetti che
concorrono allo sforzo educativo della comunità cristiana, quali i genitori, gli studenti e gli allievi, la
diocesi e le parrocchie, i gestori, il personale dirigente, docente e non docente; al contempo ha
costituito il Centro Studi con lo scopo di offrire alla comunità ecclesiale, a livello scientifico e
operativo, un approfondimento dei problemi relativi alla presenza e all’azione della scuola cattolica in
Italia. Nella fase successiva all’Assemblea Nazionale del 1999 ci dovremo misurare con una serie di
obiettivi concreti, tra i quali i più urgenti sono: il passaggio dall’attuale realtà di scuola cattolica
presente sul territorio nazionale ad un vero e proprio sistema della scuola cattolica che va dalla scuola
materna alla formazione professionale di ispirazione cristiana; l’elaborazione di un qualificato e
specifico piano educativo globale capace di competere con il resto della scuola italiana; l’avvio di un
sistema interno alla scuola cattolica di valutazione della qualità; la costituzione di un Fondo nazionale
per la scuola cattolica.
Lo scopo di questa comunicazione è di fornire alcune essenziali indicazioni sui passi finora
compiuti per dare vita al Fondo nazionale che sarà denominato “Charta Aurea Education”.
Tutti i gestori possono testimoniare che nella tradizione della scuola cattolica, nonostante le
note difficoltà economiche che gravano sui bilanci ordinari, da sempre si provvede ad accogliere i casi
bisognosi e a risolvere i disagi di molte famiglie che, non potendo sostenere i costi, domandano di
poter far frequentare la scuola cattolica ai loro figli. Quante esperienze si potrebbero raccontare,
suggerite dalla intraprendenza e dallo spirito di solidarietà, volte ad aiutare chi è in difficoltà:
associazioni di ex alunni, borse di studio, diverse forme di cooperazione. In alcune diocesi si sono
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costituite Fondazioni per sostenere economicamente le nostre scuole e promuovere una cultura e una
sensibilità sociale nuove intorno a questa tematica.
Si può dire che l’acuirsi di questo problema ha fatto nascere, in modo crescente negli ultimi
anni, molte iniziative che hanno visto coinvolto il laicato e diverse associazioni, sempre più convinti
della urgenza di questo impegno, inteso come una modalità di attuare la solidarietà nel nostro tempo.
La stessa comunità cristiana si fa spesso carico di queste situazioni di “sofferenza”; è il caso
soprattutto delle scuole materne parrocchiali o di scuole che, lasciate dalle Congregazioni religiose,
passano alla gestione diocesana o di cooperative di genitori.
In questa prospettiva, da alcuni anni la C.E.I., in collaborazione con il Banco Ambrosiano
Veneto, ha promosso uno studio per creare un Fondo nazionale di sostegno alle scuole cattoliche,
appunto la “Charta”. L’idea nasce dall’esigenza di ottenere fonti di finanziamento autonome,
realizzando un tipo di organizzazione in grado di provocare la partecipazione dei singoli cittadini e
delle famiglie, catalizzare l’interesse di gruppi industriali e commerciali e sviluppare la capacità di
generare risorse economiche per una forma di autofinanziamento. Il Fondo intenderebbe agevolare la
realizzazione di progetti educativi finalizzati ad innalzare la qualità della scuola, ad introdurvi
elementi innovativi e “competitivi”, senza che ciò aggravi ulteriormente gli oneri finanziari a carico
delle famiglie. Il progetto, al momento, è in uno stato molto avanzato e si intende fermamente
proseguire in questa direzione: è stato costituito il Comitato, che successivamente diverrà
Associazione con il compito di coordinare tutte le attività inerenti il progetto; sono stati definiti il
profilo e le caratteristiche della “Charta”; siamo in attesa di una risposta dal Ministro delle Finanze
circa le incombenze di tipo tributario da assolvere per eventuali detrazioni a favore degli utilizzatori.
Passo ora ad elencare alcuni elementi di fondo che ci aiuteranno a comprendere le ragioni
dell’operazione “Charta Aurea”.
1. Vi è un primo elemento di carattere socio-culturale che fa da contesto generale in cui si colloca la
nostra iniziativa. La dilatazione e la regolamentazione del “Terzo settore”, cioè lo spazio sociale tra il
mondo politico e quello economico/produttivo, costituiscono un possibile nuovo modo d’essere delle
istituzioni accanto o oltre la formalità dello Stato e del mercato, e in esso una più chiara affermazione
di importanti principi della vita associata, come il principio di sussidiarietà. È certamente necessaria
una più approfondita elaborazione sul piano culturale e giuridico di questo concetto così da poterlo
codificare in uno Statuto e tradurlo in forme istituzionali.
Opzioni ormai note come la “Banca etica”, il “bilancio familiare etico”, i “cooperatori di
impresa”, un “azionariato scolastico” dei genitori, docenti e forze del territorio, prefigurano tutta una
serie di modalità nuove di essere cittadini e prospettano anche per la scuola cattolica la possibilità di
una “azione politica” e di una riflessione sociale e culturale diversa rispetto alla situazione
tradizionale.
Questo “spazio sociale”, se sarà gestito correttamente anche sotto il profilo della iniziativa
economica, permetterà alla scuola cattolica di essere libera e più competitiva all’interno di un sistema
scolastico integrato e di proporsi come soggetto che sa rispondere in modo significativo alle domande
che emergono dalle famiglie e dal contesto territoriale.
2. La C.E.I. non promuove il Fondo nazionale per la scuola cattolica per ragioni confessionali, ma per
ribadire la dignità culturale, educativa, professionale e sociale della proposta che fa la scuola
cattolica; ad essa sono chiamati a contribuire in primo luogo i cattolici, ma anche gli altri cittadini,
consapevoli di offrire al Paese il loro qualificato contributo di cultura e di educazione a favore dei
giovani. Un servizio che dice riferimento ai principi e ai valori cristiani e umani, aperto a tutti i
cittadini e in quanto tale servizio pubblicamente riconosciuto e sostenuto.
Sulla base di queste convinzioni è possibile, a nostro avviso, costruire un sistema, un modello
di Fondo economico nazionale, che dovrà rispettare alcuni criteri guida fondamentali:
- la libertà di scelta da parte delle famiglie e dei soggetti interessati. Non possiamo certo
imporre niente a nessuno, ma solo coinvolgere, motivare e indirizzare a rendere concretamente
operabile il sistema con l’apporto del maggior numero possibile di soggetti;
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riscontrabile nello stile della condivisione e della solidarietà che si può esprimere con la costituzione
del Fondo nazionale “Charta Aurea Education”.
PARTE IV
LE PROSPETTIVE
L'Assemblea composta da soggetti della scuola, della Scuola Cattolica e della comunità
cristiana si è posta in ascolto della società civile e dei rappresentanti delle istituzioni.
L'emergere della cosiddetta società "cognitiva", da una parte, pone al centro l'istanza della
informazione e della formazione mentre, dall'altra, tende a promuovere una cultura e una razionalità di
tipo funzionalistico, attenta alle esigenze professionali e del sistema produttivo, per la competitività
dell'Italia e dell'Europa nel contesto internazionale e nella competizione globale dei mercati.
Occorre promuovere nella società civile la maturazione della consapevolezza che la formazione
scolastica è un bene relazionale da sviluppare e valorizzare con ogni mezzo perché costituisce un vero e
proprio capitale sociale di cui è fruitrice l'intera società.
La Tavola rotonda ha preso le mosse da un filmato che in modo efficace e diretto ha mostrato
all'Assemblea i molti volti di una scuola libere.
Sono intervenuti: l'On. Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione, il Dott. Sergio
D'Antoni, Segretario Nazionale della CISL, il Dott. Giorgio Fossa, Presidente di Confindustria, il Dott.
Cesare Romiti, Presidente della Società RDS-Editori e il prof. Etienne Verhack, Segretario del Comité
Européen pour l'Enseignement Catholique. Ha moderato la tavola rotonda il Prof. Lorenzo Ornaghi,
Pro-rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Si riportano, per ordine alfabetico degli intervenuti, le comunicazioni quantitativamente più
consistenti che sono state riviste dagli autori stessi.
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La scuola è un bene in sé. Siamo invece talora indotti a misurare il valore di quanto
apprendiamo in termini per così dire utilitaristici. Certo, la scuola deve essere inserita nella società e
quindi non può ignorare che chi studia dopo dovrà lavorare. Così pure, la scuola ha anche una
essenziale funzione propedeutica all'inserimento nel mondo del lavoro, a maggior ragione in una fase
storica in cui si viene profondamente modificando il sistema produttivo. Sarebbe però sbagliato
esaurire in questo compito tutto il ruolo della scuola.
La scuola, bisogna dirlo con forza, è qualcosa di più. La scuola è un bene in sé, perché la cultura è un
bene in sé, un bene che si riverbera nel benessere del singolo individuo e dell'intera società. E questo
tanto più in una fase in cui – come in questa sede ha già ricordato nella sua prolusione il cardinal
Camillo Ruini – “la società si presenta strutturalmente complessa e culturalmente policentrica” e
richiede di conseguenza alla scuola una adeguata capacità di orientamento e di interpretazione. Tutte le
grandi scelte della vita portano il segno della propria cultura: dall'innamorarsi al trovare moglie o
marito, a essere padre, madre, figli; in una parola, a esercitare il difficile “mestiere di vivere”. In una
stagione di grandi trasformazioni, quale è quella che stiamo vivendo, la scuola non può dunque certo
tirarsi indietro o restringere il proprio compito ad aspetti settoriali, siano essi quello di registrare in
modo meramente notarile i livelli dell'istruzione o, peggio ancora, quello di essere una sorta di grande e
moderno ufficio di collocamento.
Vorrei poi aggiungere che, – e mi si perdonino le inevitabili semplificazioni – senza cultura,
senza memoria e senza spirito critico non c'è vera libertà né vera democrazia, perché senza memoria e
senza spirito critico si vanificano almeno due aspetti che ritengo essenziali: la garanzia dei diritti della
persona umana in tutte le sue identità storicamente determinate, e l’uguaglianza delle opportunità nel
rispetto delle diversità e dei talenti. Se la cultura latita, alla fine anche una democrazia “merita di
morire”: prendono difatti il sopravvento quel rampantismo arrogante e quella protervia corporativa che
della libertà individuale e della solidarietà sociale sono appunto le incolte (e pericolosissime)
degenerazioni. Un Ministro della Pubblica Istruzione non può allora non aspirare a far sì che una
formazione “umanamente ricca” diventi il tratto distintivo non di un'élite privilegiata, ma dell'insieme
della società. La scuola che sarà, dovrà essere innanzitutto la scuola della cultura non solo per alcuni,
ma per tutti.
Coloro che entreranno nella scuola di domani – quale che sia il tempo impiegato, il percorso intrapreso
e il livello raggiunto – dovranno insomma uscirne avendo consolidato un patrimonio di conoscenze e
competenze, da allargare e spendere consapevolmente durante l'intero corso della loro vita. Una
democrazia, matura ed esigente, che voglia sconfiggere i rischi di un elitarismo tecnocratico o di una
deriva consumistica priva di valori, richiede allora una formazione diffusa, e comporta dunque che a
tutti sia garantito il bagaglio culturale capace di connotare la qualità dell'esistenza e del lavoro in una
società in continua evoluzione.
Questo ambizioso obiettivo si fonda sulla convinzione che la scuola sarà veramente tale non
solo se garantirà a tutti la opportunità di studiare, ma se sarà pure capace di garantire a ognuno la
possibilità di apprendere secondo i propri talenti, la propria vocazione e le proprie capacità. Gli allievi
saranno condotti cioè a un traguardo che non sarà necessariamente lo stesso per tutti, ma per tutti sarà
di piena cittadinanza nel mondo degli adulti e nella complessiva società civile. Questo e non altro
significa vincere la scommessa, già scritta nella nostra Costituzione, di una scuola per tutti e per
ognuno e di essere al tempo stesso una scuola di qualità. Una istruzione diffusa e una scuola di qualità
non stanno in contraddizione tra loro.
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2. Una politica scolastica seria deve basarsi prima di tutto sull'efficientismo e sulla tecnica o sulla
formazione integrale della persona?
Mi pare un'antinomia assolutamente forzata. L’efficacia del sistema formativo non è in antitesi
con la formazione integrale della persona. La scuola deve istruire (e l’istruzione non può prescindere
dalla considerazione degli aspetti tecnici del sapere) e nello stesso tempo deve educare: è in questo
preciso senso che “forma” le giovani generazioni. E qui di nuovo concordo con le parole del cardinal
Ruini quando osserva che “formare” non significa certo adagiarsi in una “demagogica condiscendenza
al vissuto e agli umori del mondo giovanile”, bensì valorizzarne la naturale vitalità, identificarne le
esigenze forti, dare loro risposte convincenti attraverso un percorso scolastico capace di essere al tempo
stesso culturalmente rigoroso e umanamente coinvolgente.
Il processo innovativo avviato ha l'ambizione di porre all'ordine del giorno del Paese una
riforma dell'intero sistema. Si tratta anzi della prima riforma organica che viene concretamente avviata
nella storia oramai cinquantennale dell'Italia repubblicana. Il riordino dei cicli si presenta come
un’architettura ordinamentale che ha quale suo principale carattere distintivo quello di essere segnata
da una forte dimensione unitaria, all'insegna della continuità e non più delle cesure. In tale contesto,
miriamo a costruire dei curricoli caratterizzati da una logica progressiva. L'obiettivo è cioè quello di
costruire dei percorsi formativi in grado di accompagnare gli allievi dalla scuola dell’infanzia alla
conclusione dell'intero ciclo scolastico, superando in questo modo accavallamenti, ridondanze e
ripetizioni.
Ma per ribadire quanto ho appena detto, desidero sottolineare che la logica progressiva dei
curricoli sarà orientata in modo calibrato al raggiungimento delle competenze, vale a dire al
padroneggiamento criticamente compiuto delle conoscenze e alla loro utilizzazione teorica e pratica in
contesti diversi. La tensione a costruire un'armonica identità personale degli allievi porrà pertanto
equilibratamente l'accento sia sull'insegnamento sia sull'apprendimento. In questo modo i curricoli,
nella loro stessa costituzione, intrecceranno in una unica valenza formativa finalmente integrata il
momento dell'istruzione e quello dell'educazione. Sembra questo il modo concreto di superare annose
antinomie: penso alla separatezza tra il sapere e il saper fare, tra la cultura umanistica e quella
scientifica, tra le esigenze dell'efficienza e l'aspirazione a una formazione ricca della persona.
3. Una scuola dell'autonomia, che non può essere una scuola dell'autosufficienza, come può
coagulare le risorse diverse della scuola e del territorio per essere una scuola di qualità?
Innanzitutto, sento l'obbligo di ricordare sommessamente che, dopo anni e anni di chiacchiere e
di tentativi infruttuosi, siamo stati noi a rendere l'autonomia scolastica una realtà concreta e operante.
L'autonomia – lo ribadisco una volta di più – non è certo un fine ma uno strumento, un nuovo modo
di essere del nostro sistema formativo. Essa ha quale sua caratteristica fondamentale la flessibilità, vale
a dire, in estrema sintesi, la capacità di adattarsi di volta in volta alle specifiche esigenze di ogni
insegnante, di ogni allievo e di ogni singola scuola. Ciò, naturalmente, non significa che il Ministero
della Pubblica Istruzione, il quale pure viene trasformando profondamente il suo secolare ruolo
dirigistico, voglia abbandonare le nostre scuole a una spontaneità anarchica. La sfida ingaggiata è stata
quella di cominciare a trasformare il quadro normativo e istituzionale attraverso l'esercizio di una
duplice responsabilità.
La prima – affidata al Ministero – consiste nell’indicare in modo chiaro gli obiettivi generali e specifici
del sistema nazionale di istruzione e le modalità di valutazione dei suoi esiti; la seconda – affidata alle
scuole – risiede nella possibilità di scegliere liberamente le metodologie e gli strumenti per raggiungere
gli obiettivi prefissati. E’ quanto prevedono l'articolo 21 della Legge 59 e le sue norme attuative, prima
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4. E questo come è conciliabile con l'esigenza della scuola di essere soprattutto tale, cioè luogo del
sapere? Come, insomma, conservare alla scuola respiro e identità?
Il Piano dell’offerta formativa, che le scuole possono sperimentare già da quest'anno, costituirà
la schietta espressione della loro identità culturale, progettuale e metodologica. E’ a partire da questo
fondamentale documento che ci si potrà fare un'idea di come in quella scuola si vive, si studia e si
lavora. Potremo così non solo valutare contenuti, metodi didattici e sbocchi del percorso curricolare che
viene seguito in una data scuola; ma di quella scuola potremo anche apprezzare l'offerta di spazi e di
opportunità extracurricolari, le iniziative di recupero e di approfondimento, l'utilizzazione delle
strutture nel tempo di lavoro e di studio e in quello “libero” e “disinteressato”, le modalità dei
comportamenti individuali e collettivi. In breve, il clima complessivo.
Proprio al Piano dell'offerta formativa viene difatti affidato il delicato compito di integrare
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5. E a proposito di parità?
La partita del terzo millennio si gioca sul grande tavolo della “risorsa umana", che – lo si
sottolinea da tempo anche a livello europeo – si presenta sempre di più come la risorsa davvero
strategica. Non si possono dunque non condividere le parole qui pronunciate dal cardinal Ruini quando,
richiamando la Centesimus annus, ha ricordato che “1a principale risorsa dell'uomo è l’uomo stesso”.
Le grandi sfide internazionali che attendono il Paese – quelle della cosiddetta “società conoscitiva”–
vanno dunque ingaggiate sul terreno di una cultura fondata non solo sulla “memoria” del patrimonio
consolidato, ma anche sulla possibilità di acquisire quella che oramai comunemente si definisce
l’intelligenza duttile. Questa si esprime soprattutto nella capacità di imparare a imparare. Solo la
formazione di una tale capacità può infatti consentire ai giovani del nostro tempo di essere all'altezza (e
di esserlo in una prospettiva di lungo periodo) della accelerazione crescente dei processi culturali,
che investono le società mature.
Alla vigilia del nuovo millennio si sta insomma radicando una duplice consapevolezza:
l’istruzione è destinata a divenire sempre di più la grande risorsa strategica del futuro prossimo venturo
e si fa quindi pressante l’esigenza di portare l'intero sistema formativo del Paese all'altezza di una fase
storica che pone davvero “problemi ignoti ad altre età”. Al tempo stesso, abbattuti vecchi steccati,
sembrano stemperarsi le annose contrapposizioni in nome delle quali orgogliose certezze e riduttivi
integralismi si sono misurati anche nel campo delicatissimo della scuola in cui, al contrario, ci si
deve adoperare per un’armoniosa crescita delle nuove generazioni.
Siamo di fronte cioè – questa almeno è la mia convinzione – all’esaurimento del tempo nel quale le
rigidità di uno Stato accentratore e le tentazioni di privati alla ricerca di spazi esclusivi, potevano
determinare un quadro di quérelles e di conflitti, non degni di un Paese maturo e civile quale è l'Italia.
Si è aperta difatti la prospettiva di un sistema educativo pubblico, fondato sulla flessibilità e sulle
autonomie, alle cui finalità partecipino tutte le attività di istruzione. Ed è allora augurabile che nel suo
ambito scuole statali e scuole non statali – in un quadro di regole comunemente assunte secondo i
valori della Costituzione – possano contribuire insieme a una educazione “umanamente ricca” dei
giovani italiani e, oramai, non solo di essi. La complessa stagione cui andiamo tutti incontro, richiede
oggi lo sforzo di prefigurare un processo formativo nel quale il pieno rispetto del pluralismo e il
riconoscimento spassionato delle diversità siano sempre in grado di integrarsi con la tensione a
trasmettere e a ricercare quei valori vecchi e nuovi che rendono l'esperienza di ciascuno di noi
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Trovo che sia la scelta del tema, sia il modo come Sua Eminenza il cardinale Camillo Ruini ha
posto la questione nell'introdurre queste giornate, ci abbiano offerto una visione complessiva di alto
livello, e tutta calibrata sui veri problemi che abbiamo di fronte. Risponderò alle due questioni che mi
sono state poste, limitandomi a fare una premessa.
Tutti conveniamo ormai – responsabili, esponenti di governo, della società, del sindacato,
dell'impresa – sull’importanza di quell'elemento discriminante che è il sapere.
Siamo di fronte ad una grande questione aperta nel mondo, di distribuzione equa della ricchezza, del
sapere e del potere. E mentre tutti conveniamo sulla necessità di puntare verso una distribuzione del
sapere come fonte di accrescimento umano – ma insieme conoscitiva e di efficienza – ci troviamo di
fronte ad una situazione che rischia di portare la ricchezza in poche tasche, il sapere in poche menti, il
potere in pochi centri decisionali. C’è una contraddizione palese tra questa esigenza che tutti sentiamo e
i comportamenti reali, le discriminazioni, a seconda delle situazioni, delle circostanze.
Il Paese non sfugge anch’esso a questa contraddizione. C’è come una specie di scarto tra i grandi
pronunciamenti, su cui ci ritroviamo tutti, e i comportamenti, le azioni, gli obiettivi, i risultati che se ne
ricavano. Occorre individuare perciò una linea su cui ci si possa ritrovare, per impegnarsi ad ottenere
una distribuzione equa, per parlare del sapere consentendo a tutti di poter effettivamente esercitare
questa possibilità.
Facciamo l'esempio della formazione professionale. Qui tra le parole e i fatti c'è uno scarto
impressionante. Noi abbiamo concluso un accordo importante a fine dicembre. L’accordo portava
l'obbligo formativo a diciotto anni, come riconoscimento pieno di una possibilità di formarsi anche
attraverso esperienze lavorative; e sottolineo "di formarsi", quindi mettendo questo vincolo come
elemento decisivo. E dando così secondo me un segnale migliore di una legge sull'obbligo scolastico
che, a mio giudizio, è assolutamente insufficiente, in quanto dopo trent'anni di discussione, abbiamo
partorito questo topolino del passaggio dell'obbligo dai quattordici ai quindici anni. Il che non mi pare
un grande risultato.
Abbiamo impiegato trent'anni. Eravamo l'unico Paese in Europa ad avere i quattordici anni, resteremo
adesso l'unico ad avere i quindici.
Dopo una grande fatica noi abbiamo conquistato uno strumento legislativo, la cosiddetta Legge Treu,
che veniva dopo un altro accordo fatto tra il Governo e le parti sociali. In essa è contenuto il famoso
art.17, il quale ha prodotto un danno terribile, perché è rimasto inapplicato, dando luogo ad una disputa
tra il Governo, la Corte dei Conti, ecc. In sostanza, è bloccato ogni processo di rinnovamento nella
formazione professionale; con conseguenze di impressionante allontanamento dall’Europa, perché,
mentre oggi in Italia solo il 5% della popolazione frequenta attività di formazione professionale, in
Germania siamo al 30%, in Francia al 20-25%.
Al tempo stesso. si è determinata una situazione veramente incredibile. Noi abbiamo, proprio nel
settore della formazione professionale, una forma di parità che si è potuta fare perché era il muro basso
della formazione.
Il risultato finale però è che non si produce il livello di formazione professionale che tutti noi
vorremmo, perché il famoso articolo 17 prevedeva la possibilità di fare la ricognizione degli istituti, di
avere la possibilità della riforma degli enti, di avere un meccanismo di adeguato controllo di qualità.
Alla fine, il risultato è ancora una volta questo: lo sport preferito è parlar male della formazione
professionale e dire che essa serve solo ai formatori, e non fare nulla per cambiare questa situazione.
Tutto ciò è assolutamente aberrante!
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Nel filmato che abbiamo visto si citava giustamente una delle esperienze storiche fondamentali della
formazione professionale, quella dei Salesiani e di Don Bosco. Io penso che su questo terreno c'è un
ritardo impressionante; bisogna puntare tutto sul recupero e sull’applicazione di questa legge, sugli
assetti ivi previsti, sulla determinazione ivi contenuta.
Vorrei aggiungere inoltre che io non sono persuaso neanche riguardo alla impostazione futura
con questa riforma dei Ministeri, che finisce per separare un po' l'attività del mondo del lavoro
dall'attività di formazione professionale e quindi allontana ambiti che invece andavano sempre più
coordinati. Non ce l'ho con i Ministri singolarmente, però è un fatto che il Ministero del Lavoro e il
Ministero della Pubblica Istruzione, da vent'anni, non riescono a mettersi insieme per un loro
programma di formazione professionale. Provengono di qui molte delle conseguenze negative che
abbiamo di fronte.
Noi abbiamo preso un'iniziativa che è chiamata "Forma", per mettere insieme tutti gli istituti,
religiosi e non religiosi, della formazione professionale. Credo molto in questa scelta. Si tratta di fare
in modo che l'iniziativa produca oggi, in una logica di sussidiarietà, prima un dibattito e poi dei veri
risultati, e metta in moto un processo che sia in grado di realizzare quanto andiamo dicendo.
Io sono molto d'accordo con le parole del cardinale quando, con grande delicatezza, nella sua
prolusione fa emergere in tutta la sua importanza il concetto vero di sussidiarietà.
C'è uno strano dibattito nel mondo tra il liberismo e la socialdemocrazia che sembra non tenere conto
dei principi molto forti e radicati nella dottrina sociale della Chiesa. i quali, se fossero applicati,
potrebbero rendere questo dibattito non dico inutile (che sarebbe fondamentalismo, presunzione,
integralismo) ma sicuramente molto meno nuovo di quel che appare.
Su un punto non c'è dubbio: lo Stato non può realizzare tutto ciò che gli viene chiesto di fare.
Altrimenti il livello della tassazione diventerebbe intollerabile. D'altra parte, tutta questa materia non si
può lasciare al puro scambio tra individui, e ai loro rapporti di forza, perché le ingiustizie e le
diseguaglianze diventerebbero spaventose.
C’è dunque, qui sì, una "terza via", un problema di rapporto tra lo Stato e la società civile, che si
organizza per intervenire là dove lo Stato non arriva.
Se questo principio lo accettiamo fino in fondo, sono convinto che anche le dispute su versanti come
quelli della parità, di un sistema formativo molto più adeguato, probabilmente subirebbero una svolta in
positivo. Usciremmo infatti da una vecchia impostazione inadeguata perché ancora frutto di una
concezione assolutamente sbagliata. Se noi possiamo fare la sanità, se noi possiamo fare l'assistenza,
se noi possiamo svolgere compiti dello Stato, oggi lo facciamo in una logica di sussidiarietà attraverso
dei sistemi particolari che sono stati appositamente studiati. E se possiamo fare previdenza individuale,
attraverso la detrazione fiscale, non si capisce per quale ragione lo stesso principio non si debba
applicare al sistema scolastico italiano.
Io sono però anche difensore della scuola pubblica, e il mio problema è che si può trovare oggi,
attraverso il sistema che ho indicato, un rapporto di equilibrio, in cui è il sistema pubblico, nel suo
complesso, che ne riceve una vera spinta a funzionare bene e dovunque.
L'autonomia, per come la vivo io, presuppone un cambiamento profondo anche del sistema
contrattuale; perché l'autonomia significa legare anche una quota di salario, di stipendio ai risultati
della formazione; significa anche introdurre criteri nuovi. Dobbiamo fare una battaglia culturale per
ottenere criteri nuovi che siano tali da garantirci. E non è vero che i criteri di qualità non siano
valutabili quando parliamo di assetti formativi.
Certo, è più facile valutare il numero delle merci, ma è possibile valutare anche la qualità, se riusciamo
a mettere in piedi un sistema in grado di dare condizioni di reciprocità, condizioni di obiettività, che ci
possano portare a questi risultati.
Sono convinto che dobbiamo realizzare tutte questi obiettivi importanti in un clima di fiducia, di
rispetto, di spinta generale a cambiare.
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Vedo troppi profeti di sventura in giro che non ci aiutano, e che presentano questo mondo a venire a
tinte fosche. Ho avuto un vero piacere nell'ascoltare la prolusione e l'insieme del dibattito in queste
giornate, perché ne è emersa una volontà chiara di cambiare con uno spirito di ottimismo e di crescita,
pure in presenza di difficoltà obbiettive e nella consapevolezza della complessità dei problemi aperti. Si
delinea l'immagine di una società non ripiegata in se stessa, che vuole crescere, cambiare, avanzare. E’
bene che sia così. Tanto più che da ogni parte ci giungono i lamenti di tanti opinion leaders, di maestri
di sventura, gente che non smette di vedere nero, e dice che andremo sempre peggio. Questo
atteggiamento è di sicuro il più devastante per qualsiasi opera di riforma. Quando si dice
continuamente: “I figli staranno peggio dei padri”, quale risultato si pensa di ottenere? Ogni figlio si
dovrebbe convincere che, per avere speranze lui, suo padre dovrebbe stare peggio. Pensateci! E come
potrebbe essere in questa situazione fiducioso sul futuro? E' assurdo!
Vent’anni fa, trent’anni fa si stava peggio di ora, non ci sono dubbi, eppure in casa, a scuola, in
famiglia, all'oratorio salesiano, dovunque andavi, ti dicevano: “Impegnati, studia, vedrai, lavora,
cambierai, migliorerai, starai meglio di come sei stato fino adesso”. Era questo uno stimolo a cambiare,
ad impegnarsi per ottenere un nuovo status.
Oggi invece ci spiegano tutto il contrario. Mentre i nostri genitori ci stimolavano agli studi, ad ottenere
una laurea, a migliorare, ad avere fiducia nel futuro, caricandoci di motivazioni, è difficile trovare chi
stimola un giovane ad andare avanti carico di speranza e volontà.
Ma io dico ancora di più: che occorre una svolta in positivo, concorrendo insieme a suscitare
energie morali nelle nuove generazioni, per dare a tutti le motivazioni e le condizioni di un futuro
migliore. E per fare fino in fondo, e sempre meglio, il proprio lavoro. In questo caso insegnare, per chi
insegna, imparare per chi impara, costruire uno società più giusta per tutti noi.
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Una scuola libera è condizione di progresso civile. La nostra Costituzione all’art. 33 dichiara
solennemente la libertà dei genitori nella scelta della scuola per i propri figli. Eppure in Italia, unico
Paese nel panorama delle Nazioni più avanzate, la scuola è ancora un monopolio dello Stato. Anche la
Legge sulla parità recentemente approvata al Senato, si muove ancora in una logica statalistica. La
scuola italiana non sarà davvero libera fino a quando non verrà approvata una Legge su una vera parità
scolastica.
Gli ultimi quattro Governi hanno inserito nei loro programmi il richiamo all’esigenza di
realizzare finalmente anche in Italia la parità tra scuole statali e scuole non statali, che ormai esiste in
tutti i Paesi europei. Più o meno tutti i premier nei loro discorsi di insediamento hanno usato
argomentazioni simili. Hanno sottolineato l’esigenza di costruire un’Italia più libera, di superare
antiche contrapposizioni tra laici e cattolici, di consentire alle famiglie la scelta della scuola per i propri
figli, di permettere ai meno abbienti di accedere alle scuole non statali. E di migliorare per questa via
anche la scuola statale elevandone il livello qualitativo e selezionandone i costi. Ma finora pregiudizi
ideologici hanno impedito di varare una Legge sulla parità scolastica di indirizzo europeo.
Sulla parità scolastica si gioca oggi una grande battaglia di civiltà: quella tra una concezione
statalistica e autoprotettiva e una concezione che, accanto allo Stato, dia spazio alle comunità
intermedie, alla famiglia e ai cittadini. Come nei principali Paesi industrializzati anche in Italia i
genitori devono avere libertà di scelta della scuola per i propri figli. E ogni scuola deve avere il diritto
alla libertà di scelta dei docenti, ovviamente sulla base di regole rigorose che ne assicurino la qualità.
Finanziare l’apprendimento degli studenti anche nella scuola non statale è conforme alla Costituzione e
permette di non discriminare i meno abbienti che non sono in grado di pagare due volte l’istruzione:
– una prima volta, con l’imposizione delle tasse (ogni famiglia italiana, che lo sappia o no, paga
all'anno mediamente 4 milioni per finanziare la scuola dello Stato anche quando non ne usufruisce);
– una seconda volta, con le rette alle scuole non statali liberamente scelte.
Occorre perciò che la Camera migliori e approvi celermente una Legge sulla parità che rispetti alcune
condizioni europee. I punti irrinunciabili da recepire e sancire sono almeno tre:
– un sistema efficace di controllo;
– un sostegno finanziario come il credito d'imposta per le famiglie che optano per la scuola non statale;
– una scuola libera di scegliersi, anche premiandoli economicamente, i docenti più capaci e motivati.
Un Paese che guarda al proprio futuro deve puntare alla qualità del suo sistema educativo, eliminare
sprechi e diseconomie, allargare il numero dei cittadini che hanno accesso all’istruzione. La riforma
della scuola, perché essa possa essere veramente utile ed efficace, deve affrontare i punti critici del
nostro sistema educativo e saper preparare i nostri figli al futuro sempre più complesso che deriva dalla
globalizzazione delle economie e dalla rivoluzione tecnologica.
L'Italia ha bisogno di una scuola moderna e competitiva sul piano internazionale, ma anche
pensata per gli studenti e loro “amica”. Una scuola più giusta, più capace di istruire, di selezionare, di
motivare allo studio, di gratificare i professionisti che vi lavorano. In una parola, abbiamo bisogno di
un servizio pubblico di qualità, formato da scuole statali e non statali. Qualità dei processi
organizzativi, degli insegnanti, dell’apprendimento dei ragazzi.
Il nostro Paese ha un rapporto studenti/insegnanti di 1 a 10: il più alto del mondo. Con una
simile percentuale la scuola italiana dovrebbe produrre risultati eccellenti. Invece abbiamo il tasso di
laureati e diplomati più basso tra i Paesi industrializzati. E manteniamo gap qualitativamente anche
peggiori nella preparazione matematica e scientifica. Non è una questione di scarsa quantità di risorse.
11
Il nostro Paese spende per la scuola quanto i suoi principali partner. Ma evidentemente spende male.
Bisogna spendere meglio. Dobbiamo voltare pagina rispetto al passato.
Finora le riforme scolastiche sono state concepite più che per soddisfare le esigenze degli studenti e
della società, per sostenere l'occupazione degli insegnanti. Non vedo infatti quale altra ragione possa
giustificare la moltiplicazione del numero dei maestri nella scuola elementare. O l'immissione in ruolo,
nella scorsa estate, di 24 mila insegnanti precari.
Bisogna procedere in direzione opposta. Occorre creare una scuola che sia al servizio degli studenti e
premi il lavoro e la professionalità dei docenti. Solo di recente con l'ultimo contratto – che offre
incentivi agli insegnanti migliori – si è intravisto qualche spiraglio. Ma è necessario andare oltre.
Ritengo che a questo fine possano trarsi utili indicazioni dalle esperienze di impresa per la familiarità
con i processi riorganizzativi e innovativi, e con gli obiettivi di efficienza. Dobbiamo soprattutto far sì
che la scuola diventi un reale trampolino di lancio per il mondo del lavoro.
Questa impostazione è stata alla base dell'impegno che Confindustria e le sue Associazioni
hanno riservato – e continuano a riservare – ai temi dell'istruzione e della formazione. Sarebbe troppo
lungo soffermarmi sull’insieme delle proposte che abbiamo formulato in questi anni. Voglio però
sottolineare alcuni degli aspetti più significativi del nostro ultimo Rapporto, dedicato alla Scuola del
2000.
Per una scuola più moderna è necessario ridefinirne le finalità sulla base dei quattro pilastri che
l'Unesco considera essenziali perché un'educazione sia efficace: sapere; saper fare; saper essere; saper
essere con gli altri. Su queste fondamenta occorre realizzare:
– una riforma del Ministero della Pubblica Istruzione, prevedendo un'Authority indipendente di
valutazione del sistema scolastico;
– una riforma dei cicli che semplifichi i programmi e individui le méte educative di ogni indirizzo;
– una vera parità tra scuole statali e non statali;
– un'efficace integrazione tra scuola e formazione professionale;
– un piano pluriennale di riqualificazione degli insegnanti e nuovi contratti che incidano sulla
motivazione del personale.
Se vogliamo imprimere una svolta storica alla scuola italiana dobbiamo sconfiggere lo statalismo
monopolistico in cui hanno finora dominato lo spreco e la mancanza di controlli di qualità. Le scuole
statali che funzionano non hanno nulla da temere da una forte iniezione di libertà.
La liberalizzazione e l'autonomia dell'istruzione garantiranno condizioni trasparenti di concorrenza in
cui tutte le scuole, statali e non, potranno convivere in un sistema che possa finalmente dirsi europeo.
12
Se si pensa alle sfide del nuovo millennio c’è qualcosa di paradossale nella situazione della
scuola italiana. Sia sul piano dei fatti sia su quello delle idee.
Non vorrei dilungarmi in una descrizione della società che si sta preparando. E’ sufficiente
indicare come finora questa si sia rapidamente evoluta, anche in Italia.
Nel 1970 il prodotto interno lordo proveniva per il 19,0% dall’agricoltura, per il 39,1% dall’industria e
per il 41,9% dal terziario.
Oggi il contributo dell’agricoltura al pil è pari al 7,9%, quello dell’industria al 28,3% e quello del
terziario al 63,8%.
Questi soli numeri bastano a indicare come si siano spostati i pesi dalle attività tradizionali, manuali, a
basso valore aggiunto, verso quelle sofisticate ed evolute, a più alto contenuto tecnologico. Dalla
cultura contadina con un’economia agricola e poi dalla civiltà urbana e dall’era industrializzata si è
passati ormai alla cosiddetta società postindustriale. Dalla proprietà fondiaria, piuttosto statica, e da
quella immobiliare (l’economia castrense o cittadina) si è arrivati nel volgere di pochi decenni alla
rivoluzione industriale e imprenditoriale, delle macchine, assai più dinamica. E ora si approda alla
ricchezza delle idee, al capitale dell’innovazione, nella società dei saperi e delle conoscenze.
A fronte di questa determinante, straordinaria innovazione, si può costatare il cammino della
nostra società in termini d’istruzione.
In 30 anni gli analfabeti sono scesi dal 5,2% della popolazione al 2,1%, e gli Italiani in possesso di sola
licenza elementare sono scesi dal 71,4% al 45,4%; mentre i possessori di licenza media sono più che
raddoppiati salendo dal 14,7% al 30,7%, quelli di diploma di scuola superiore sono quasi triplicati: dal
6,9% al 18,2%, e i laureati sono ancora raddoppiati, passando dall’1,8% al 3,6%.
Ma sono cifre che nei confronti degli altri Paesi industrializzati risultano assai penalizzanti. Prima di
dare una dimensione a questo divario è opportuno tuttavia focalizzare meglio i termini di confronto.
Cercando di non tediare troppo con i dati analitici, vale la pena passare dalla generalità dei cittadini alla
fascia più giovane della popolazione, quella compresa fra i 25 e i 44 anni, in modo da considerare
proprio i progressi compiuti negli anni più recenti, e valorizzare il trend attuale.
Ebbene, in queste nuove generazioni i diplomati dal 18,2% della media nazionale si elevano al 45,0% e
i laureati dal 3,6% a un più confortante 10%.
Eppure il 45% dei nostri diplomati è assai poco di fronte all’89% della Germania, all’88% degli Stati
Uniti, all’82% della Gran Bretagna, e all’80% della Francia.
Così come appare ancora troppo modesto il 10% di lauree conseguite contro il 35% degli Usa, il 24%
inglese e tedesco, il 20% francese.
Soltanto se si prendono in considerazione singole leve, per esempio quelle diplomatesi nel 1996 (e che
quindi hanno compiuto 18 anni per l’Italia, contro quelle di 16 o 17 anni negli altri Paesi, dove si esce
prima dalla scuola dell’obbligo, nella quale sono naturalmente compresi i centri di formazione
professionale), certe distanze si riducono.
Ecco il primo aspetto un po’ paradossale della situazione italiana: quello sul piano dei fatti.
Siamo davvero entrati nell’era della globalizzazione e ci troviamo ormai sulla soglia della comunità
telematica, con tutte le nuove sfide che la competitività internazionale di questo fine-secolo
preannuncia. In realtà però questi appuntamenti non sembrano essere per noi, non rappresentano il
nostro immediato futuro.
La prima autentica sfida per noi e per la nostra scuola è infatti ancora quella vecchia: recuperare il gap
di formazione e preparazione che separa il Paese dagli altri partner dell’Unione Europea e dalle altre
13
settarie? Sostenere la possibilità di tale "balcanizzazione" vorrebbe dire che l’idea stessa di società
aperta e cioè di democrazia sta scomparendo.
La Società aperta è appunto aperta a più visioni del mondo, filosofiche e religiose, a più valori, a più
partiti, a più proposte per la soluzione dei problemi e delle esigenze, a scale differenti di necessità e
priorità sia individuali sia comuni, alla massima quantità di critica.
Essa è chiusa soltanto per gli intolleranti.
Forse che si sono "balcanizzate" le società tedesca, olandese, francese, inglese o spagnola dove esiste la
libertà d’insegnamento e di apprendimento? E’ lecito chiedersi a chi giova la libertà?
L’ostacolo sostanziale sta piuttosto nel fatto che il medesimo articolo 33 individua nella scuola
di Stato il presidio essenziale della libertà d’insegnamento e dell’autonomia del processo formativo,
fino quasi a scambiare o identificare il concetto di Stato con quello di libertà. E non colloca pertanto la
scuola pubblica e quella "privata" sullo stesso piano di parità. Fissa infatti in un unico e stesso soggetto
tutte le figure coinvolte in questa funzione. Identifica cioè il garante della prestazione (la scuola
dell’obbligo è uguale per tutti) sia con l’erogatore finanziario – secondo gli obblighi fissati dalla
Costituzione – sia con il suo possibile organizzatore, che diventa anche il pressoché unico gestore, dal
momento che l’accesso al privato è considerato eventuale.
Quando gli ideologismi hanno il sopravvento, si dice, i morti seppelliscono i vivi. Per affrontare
il XXI secolo con le qualità formative che le sue sfide impongono, occorre compiere questo salto
culturale.
Anche perché, prendendo a prestito un’espressione usata da un commentatore, la formulazione
dell’articolo 33 della Costituzione italiana appare “birichina” e può effettivamente prestarsi a fare da
paravento a un assetto istituzionale anomalo, quasi un alibi per una discriminazione latente, strisciante.
Dire infatti, come fa il dettato costituzionale, che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed
istituti di educazione “senza oneri per lo Stato” è un eufemismo.
Prima di tutto perché dà adito a una certa ambiguità, in quanto sembra far capire che la scuola statale
sia senza oneri. Invece come tutti sanno c’è un onere, e anche sostanzioso, sostenuto per le scuole
pubbliche dallo Stato: 72 mila miliardi, comprendendo l’Università e la formazione professionale...
Uno studente infatti costa un certo ammontare di risorse: 7,8 milioni per ogni allievo nella statale
dell’obbligo e 9,2 milioni nella secondaria superiore. Che il suo iter avvenga in una scuola o nell’altra
non muta l’onere complessivo.
In secondo luogo perché lo Stato altro non è che il complesso di tutti gli Italiani. Se quindi questo
onere è sostenuto da tutti coloro che pagano le tasse, anche da quanti non hanno figli da inviare a
scuola, non appare chiaro in virtù di quale principio debba essere limitata la libertà dei cittadini e venga
imposto alla scuola non statale un completo autofinanziamento.
Non si vede inoltre perché mai, così come lo Stato finanzia in vario modo un gran numero di attività
private marcatamente a carattere ideologico e svolte a fini di profitto – dall’attività cinematografica a
quella editoriale, alle più diverse cooperative culturali – non possa alla stessa maniera finanziare anche
l’insegnamento impartito dai privati.
Vi sono tuttavia anche quattro ordini di motivi specifici che devono far tendere a uniformare la
situazione italiana a quella degli altri principali Paesi.
1) Nessuno nega il fatto che la pluralità dell’offerta formativa possa attivare una competizione
positiva e la ricerca di un più alto livello qualitativo da parte della scuola statale. Tutti pensano in
sostanza a un gioco a somma positiva fra Stato e privato, volto a migliorare l’istruzione pubblica.
Sembra essenziale ricordare che la competizione è il grande principio che ha animato ed anima non
solo l’economia di mercato, ma la vita stessa della democrazia, il progresso delle conoscenze,
l’avanzata della scienza. La storia del Paese è emblematica: migliaia di iniziative e opere sociali
(ospedali, cooperative, scuole) formano il paesaggio delle nostre città e l’ossatura di gran parte delle
attuali istituzioni. Non si è più semplicemente cittadini perché si dispone di servizi e soluzioni, ma
15
Si propone al contrario per rispondere a tutte le sollecitazioni del rapporto tra persone, famiglia ed
educazione che la società esprime attraverso la scuola.
Quanto si chiede oggi al potere, ossia al Parlamento e al Governo, è una trasformazione: una
riforma legislativa e soprattutto culturale, di cui sono più che evidenti le implicazioni economiche e
umane.
I passaggi fondamentali, dopo quanto è stato detto, appaiono tre.
Rottura del monopolio non vuol dire scomparsa dello Stato. Vuol dire alzare il livello del
servizio pubblico; vuol dire pluralità d’offerta; vuol dire razionalizzazione dei costi.
Per questo non giova credo ad alcuno pensare alla parità come un compromesso, uno scambio politico
o un baratto, anche perché la soluzione al monopolio non può essere il duopolio. Non è il caso di
ricorrere a scorciatoie e scappavia.
Da una parte si parla di orgoglio repubblicano della scuola per tutti. Dall’altra parte si invoca la
liberalizzazione totale.
Se si vuole passare a un cosiddetto sistema misto, la chiarezza deve essere appunto massima, con
definizione di diritti e doveri, standard e requisiti, risorse e finalità.
La scuola attuale, come mostrano i dati riferiti, si è anche fabbricata gli operatori e gli utenti a
lei omogenei, che non chiedono una formazione seria. In realtà richiede soprattutto il pezzo di carta.
E’ difficile che nasca la competizione se i singoli istituti non hanno l’incentivo a offrire un servizio
migliore e ad attirare così nuovi studenti.
Il valore legale del titolo di studio impone invece necessariamente che gran parte del curriculum
scolastico venga deciso, per tutti, dal centro, e che gli standard richiesti siano commisurati su questo
scopo primario.
Ma c’è di più. Se l’obiettivo finale è la conquista del pezzo di carta più che la miglior preparazione
possibile, si apre una strada maestra per chi cerca la via più agevole e sicura e meno faticosa per
raggiungere questa meta conclusiva.
C’è poi una conseguenza indiretta, ma non secondaria. Abolendo il valore legale si metterebbero fuori
gioco gli istituti (statali e non) che, pur offrendo un servizio pessimo, prosperano solamente perché
garantiscono, sempre e comunque, il “pezzo di carta” alla cui emissione sono abilitati a tutti gli effetti.
Quello del valore legale del titolo di studio è il nodo gordiano della scuola italiana.
Già Luigi Einaudi, nella sua solitaria “Predica inutile” per l’abolizione del valore legale dei
titoli, aveva segnalato che – al di là della questione “finanziaria” – l’integrazione nel sistema di
istruzione pubblico comporta necessariamente per le scuole "private" l’obbligo di assoggettarsi a
regolamenti governativi.
Senza voler individuare la negatività di questa attività regolatrice nel rischio di omologazione che essa
comporta e che appare contraddittoria rispetto al pluralismo dell’offerta scolastica, si deve tuttavia
ammettere che per questo l’influenza della sfera pubblica sulle scuole "private" rischia a tutti gli effetti
di ampliarsi ancora di più e di espandersi ulteriormente. Come hanno dimostrato d’altro canto
esperienze passate.
La scuola libera (anche nella formula ora corrente di sistema pubblico integrato) pone insomma
17
problemi che concernono la piena libertà delle scuole "private", che è pure costituzionalmente protetta.
L’unico sistema in grado di salvaguardare autonomia, rispetto delle garanzie costituzionali e
qualità è allora quello dell’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema scolastico, cui affidare il
giudizio indipendente su affidabilità e validità di tutti gli istituti, statali e non.
Nello stesso senso si dovrebbe presupporre un più oggettivo, meno discrezionale o centralizzato ruolo
finanziario dello Stato. Per esempio attraverso l’assunzione delle spese del personale insegnante, o il
riconoscimento di eventuali agevolazioni finanziarie direttamente alle famiglie, cui spetterebbe la
responsabilità e libertà di scelta della scuola in cui “scontare” questo aiuto, credito fiscale o bonus o
voucher che si voglia.
Negli ultimi anni, rispetto alle condizioni politiche e all’inerzia precedente, sono stati compiuti
passi molto importanti, sotto diversi titoli come: nuovi esami di Stato per la scuola secondaria
superiore, laurea per i futuri maestri, specializzazione dei docenti di scuola secondaria con un corso
post-lauream, soppressione degli istituti e delle scuole magistrali, innalzamento dell’obbligo scolastico,
riordino dei cicli, riforma degli organi collegiali, introduzione dell’autonomia prima con il Pei
(progetto educativo di istituto) e poi col Pof (Piano dell’offerta formativa)...
E anche sotto l’aspetto della corrispondenza d’intenti fra Ministero della Pubblica istruzione e Murst,
ossia dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica.
Ma le missioni della scuola del Duemila impongono ancora maggiore chiarezza.
Non si possono raccogliere le nuove sfide se non si vince l’ultima, introducendo pari dignità e
competitività a tutti i protagonisti dell’educazione e del suo mercato.
PRESENTAZIONE DEI LABORATORI
1
un sapere per la vita aperto al Trascendente e alle esperienze dei
mondi vitali e anche per questo nei laboratori ha valorizzato i
soggetti personali più che la loro rappresentatività associativa e
istituzionale.
Lo sguardo all'interno della scuola cattolica come scuola
della comunità cristiana è stato posto soprattutto mediante i
lavori del Laboratorio 5 dedicato al problema delle scuole
cattoliche in difficoltà gestionale e del Laboratorio 6 rivolto ad
approfondire le questioni connesse con la sensibilizzazione di
tutta la comunità cristiana.
Il lavoro dei Laboratori collocato tra la Prolusione del Card.
Ruini e le relazioni degli esperti da una parte e della tavola
rotonda tra le parti sociali e il Governo dall'altra, ha contribuito
a gettare il ponte non solo tra l'ideale e la realtà, ma anche tra
autorità e cittadini, tra paese legale e paese formale.
2
METODOLOGIA DI LAVORO PER I LABORATORI
3
Si tratta di un fatto ecclesiale con finalità di salvezza e con
prospettive di razionalità trascendente e ricerca di significato
ottenuto in forma deduttiva, ma anche di un fatto sociale con
finalità laiche, contenuti di razionalità immanente e ricerca di
significato per via induttiva.
Si tratta di un fatto istituzionale che esige la presenza delle
associazioni ma che non è finalizzato ad esse ed alla loro
promozione, perché ha primariamente lo scopo di rendere
protagonisti i soggetti personali della scuola.
Si tratta di sapere usare come primaria risorsa educativa
tipica della scuola i contenuti culturali e i criteri di
formalizzazione delle varie discipline, ma si tratta di non
dimenticare che risorsa educativa fondamentale è anche la
partecipazione alla gestione delle strutture istituzionali.
Si tratta, come è ovvio, di sapere usare i linguaggi rigorosi e
specifici del sapere scientifico, ma si tratta anche di recepire
come risorsa educativa, avente valore culturale, i linguaggi
giovanili a comunicazione più rapida; come ormai
comunemente si usa dire, la forma è il contenuto e, inoltre in
questo caso, i contenuti non sono solo quelli assertivi. Occorre
quindi incominciare a tenere conto delle capacità comunicative
di questi linguaggi, ma occorre anche delineare le “regole” e
non solo i contenuti del sistema di scuola cattolica.
Si tratta di prestare un’attenzione specifica anche nella
scuola, a una domanda di spiritualità che non è ancora domanda
religiosa, ma è fortemente sentita, anche se non chiaramente
espressa: certamente non è solo domanda di competenze
cognitive.
In conclusione si tratta anche per la scuola cattolica di sapersi
collocare nella società complessa con quelle semplificazioni
sufficienti a padroneggiare meglio i problemi, ma anche senza
quelle riduzioni imposte che mortificano la varietà delle risorse.
Il titolo stesso dell’Assemblea traluce questa sottesa
complessità e quindi anche il compito dei laboratori esige un
grande equilibrio e l’attenzione ad evitare sbilanciamenti facili.
4
naturale, e cioè una comunità che fa esperienza di salvezza
mediante la fede nel Cristo risorto, diventa ovvio il punto
nodale di questa Assemblea e cioè una ricerca per individuare i
singoli soggetti di questa comunità (gestori, dirigenti, docenti,
genitori, alunni e altri soggetti sociali del territorio) e i loro
diritti-doveri di cittadinanza nella scuola cattolica, e questo in
base a un diritto nativo e non per l’appartenenza previa a
qualche istituzione. È la funzione che la persona esercita nella
vita che la abilita al diritto di essere un generatore di cultura
anche nella scuola e per la scuola, ed è l’impegno di tradurre
l’esperienza di vita in funzioni educative di natura scolare, che
costituisce nuovo e ulteriore motivo di esistere per la scuola
cattolica.
L’Assemblea non è quindi una semplice riflessione sulla
scuola cattolica per una migliore chiarezza concettuale sulla sua
identità e perciò per una più comprensibile efficienza educativa,
ma la valorizzazione dei soggetti operanti nella scuola cattolica
per renderli capaci, tutti e ognuno, di una presenza educativa
specifica e diretta.
Essendo pertanto l’attività educativa una attività connaturale
all’essere umano in quanto tale lo spazio dato ai laboratori, il
dibattito proposto dalla tavola rotonda, ma prima ancora la
stessa scelta degli invitati all’Assemblea, assumono un valore
simbolico e cioè quello di porre in comune gli elementi capaci
di promuovere una scuola della società civile, come ha detto il
card. Camillo Ruini all’incontro promosso dalla rivista
“Liberal”, il 2 luglio u.s. Si tratta insomma, per la scuola
cattolica, di un ricupero di laicità per una più pura e corretta
ecclesialità.
L’Assemblea si configura così primariamente come un
dialogo tra persone impegnate nella scuola o interessate ad essa
sia pure da punti di vista diversificati, perché ha come obiettivo
di mettere assieme, per la finalità di produrre cultura nella
scuola e per la scuola, sia i tradizionali soggetti professionali
della scuola (docenti, dirigenti, gestori), sia i nuovi soggetti
sociali della stessa come ad esempio, i genitori, le strutture del
territorio, i mondi vitali, i soggetti portatori della cultura della
mondialità ecc.
Questo non contro né fuori, ma antecedentemente a tutti i
connotati di appartenenza associativa. Le associazioni di
appartenenza e le competenze accademiche specifiche hanno il
5
compito prezioso e insostituibile di animare, preparare e
assistere queste presenze, ma non di sostituirsi ad esse.
In sintesi si intende svolgere una Assemblea di soggetti della
scuola cattolica e della comunità cristiana, direttamente o
indirettamente partecipi di essa, che, proprio per questo
rapporto operativo e vitale con il mondo della scuola, possono
esprimere bisogni reali, attese urgenti, speranze mai sopite e
tutto quel mondo di microsperimentazione didattica che forse è
il vero nucleo forte della scuola cattolica e che può suggerire
meglio prospettive di senso e fattibilità concrete e immediate.
6
strutturate, ma anche circa le problematiche rimaste aperte e
quindi le idee e principi, le convinzioni da ulteriormente
approfondire e le iniziative da programmare e da porre in atto.
7
coscienza collettiva circa la educazione nella scuola cattolica in
un contesto culturale e istituzionale pluralistico.
Una conclusione riguardante le proposte operative e le scelte
da compiere relative all’argomento di ciascun laboratorio.
Nella formulazione delle proposte è necessario tenere
presente che queste andranno successivamente strutturate come
itinerario di un post-assemblea che continuerà anche nella
scuola, nella comunità cristiana e sul territorio. E’ bene ribadire
nuovamente che la scuola cattolica non intende parlare solo di
se stessa, ma desidera offrire il proprio contributo specifico a
tutta la scuola italiana e presentarsi come una realtà viva e
capace di svolgere un autentico servizio educativo a tutto il
Paese. La comunità cristiana, che opera nel territorio, potrà
offrire i luoghi e gli spazi per attuare quel discernimento
comunitario che consente di accogliere le nuove sfide che
attraversano l’intero mondo scolastico, promuovere nuove
vocazioni e assumere la responsabilità nel campo educativo.
8
LABORATORIO N. 1
SCHEDA DI LAVORO
1. Nel sistema di istruzione e di formazione del nostro paese è
in corso da qualche anno un ampio e profondo processo di
rinnovamento che ci impone di misurarci con una vasta gamma
di decisioni e di proposte. Si è avviato un volume imponente di
iniziative legislative di riforma che coprono non solo gli aspetti
istituzionali, ma anche quelli pedagogico-didattici, gestionali e
di vita scolastica. La scuola nel suo insieme, sia come
istituzione sociale di formazione, sia come luogo di processi di
insegnamento/apprendimento, sia come ambiente sociale di
vita, ne è globalmente coinvolta; altrettanto vale per la
formazione professionale (=FP). L’avvio di incisive riforme
educative non è un fenomeno solo italiano, ma riguarda tutti i
paesi, iniziando da quelli dell’Unione Europea (=UE) che sono
impegnati a realizzare decisi interventi per incrementare la
capacita di apprendere dei cittadini, in una prospettiva di
educazione permanente e in rapporto all’attuale sviluppo
scientifico e tecnologico informatico.
I. PROBLEMATICHE
9
l’innovazione tecnologica e per la riqualificazione dell’edilizia
scolastica e soprattutto restringe al minimo lo spazio per misure
di incentivazione economica e professionale dei docenti,
essenziale per la riuscita di qualsiasi riforma e in particolare per
la realizzazione dell’autonomia. Un altro rapporto del tutto
inadeguato è quello tra spese di funzionamento e risorse per il
diritto allo studio. In relazione a quest’ultimo l’impegno da
parte dello Stato e degli Enti locali è veramente irrisorio e si
colloca ai livelli più bassi in Europa.
10
5. Spostando l’attenzione sugli aspetti organizzativi, vale la
pena richiamare la eredità del passato che condiziona il
processo riformatore, anche se la situazione è in fase di
cambiamento: il modello tradizionale è rigido e centralizzato,
non è previsto un sistema premiante per i dirigenti e gli
insegnanti, i primi mancano di poteri e di responsabilità e si
limitano a verificare le procedure formali ma non il
conseguimento dei risultati educativi; è riscontrabile una
notevole mobilità dei capi di istituto e del corpo insegnante con
una rotazione del 30% all’anno; talvolta, può succedere che la
loro presenza in una scuola abbia il carattere della casualità in
quanto la comunità educativa non li può scegliere.
11
delineare un sistema che, svolgendo un compito educativo
rivolto a minori, non può non tenere conto degli orientamenti
delle famiglie e delle comunità locali.
L’elevazione dell’obbligo scolastico a 15 anni era un atto
dovuto che, però, si è consumato con la marginalizzazione della
FP e con l’introduzione di un “monoennio” che ha aumentato la
confusione e moltiplicato i problemi. Un giudizio favorevole
va, invece, espresso a riguardo della norma che prevede
l’introduzione dell’obbligo di istruzione o di formazione fino al
diciottesimo anno di età a conclusione del quale tutti i giovani
potranno acquisire un diploma di scuola secondaria superiore o
una qualifica professionale. Tuttavia anche in questo caso la FP
non sembra svolgere un ruolo proprio per cui viene confermata
la sua subalternità.
L’art. 21 della legge Bassanini, n. 59/97, e i regolamenti
attuativi segnano un passo molto significativo verso la
realizzazione dell’autonomia degli istituti nel nostro sistema
scolastico la quale non dovrebbe limitarsi ad essere un semplice
decentramento.
Dopo il recente voto al Senato sulla parità scolastica, pur
riconoscendo gli aspetti di carattere giuridico in prevalenza
positivi e gli apprezzabili interventi di carattere economico in
favore della scuola materna ed elementare, va espresso il
disappunto per una legge che non promuove la piena parità
giuridica ed economica che consenta a tutte le famiglie,
soprattutto a quelle delle fasce più deboli della società, una
scelta di libertà da attuarsi a parità di condizioni senza
discriminazione alcuna.
II. PRINCIPI
12
sviluppo, della protezione dell’ambiente, della tutela dei diritti
umani, della mondialità, mentre la educazione spirituale e
religiosa è riconosciuta come parte essenziale dell’offerta
formativa.
III. PROPOSTE
13
prospettiva va colmata la preoccupante lacuna rilevata nel
Documento di lavoro del MPI sui contenuti essenziali per la
formazione di base.
14
Realizzare un sistema significa prevedere un coordinamento
tra diverse strutture educative che consenta di valorizzare i
rapporti di complementarità esistenti e di favorire transizioni
complesse, in vista della realizzazione di sinergie generali e
della creazione di una vera coerenza formativa.
Il rinnovamento dell’educazione di base dovrà soddisfare i
bisogni formativi fondamentali: questi riguardano “sia gli
strumenti essenziali di apprendimento (lettura, scrittura,
espressione orale, calcolo, risoluzione dei problemi) sia i
contenuti educativi fondamentali (conoscenze, attitudini, valori,
atteggiamenti) di cui l’essere umano ha bisogno per
sopravvivere, per sviluppare le sue facoltà, per vivere e lavorare
con dignità, per partecipare pienamente allo sviluppo, per
migliorare la qualità della sua esistenza, per prendere decisioni
illuminate e per continuare ad apprendere”3. Più in particolare,
bisognerà disegnare una scuola di base che tenga conto della
specificità della preadolescenza e al tempo stesso disegni un
processo di insegnamento/apprendimento non più a stadi ma a
spirale e di carattere comprensivo.
A livello secondario dovranno essere previsti non solo gli
indirizzi tradizionali che privilegiano l’astrazione e la
concettualizzazione, ma anche quelli che intrecciano attraverso
formule di alternanza la formazione con l’attività professionale.
La possibilità offerta a tutti di riprendere gli studi nel corso
della vita in attuazione dei principi dell’educazione permanente
toglie ogni definitività alle opzioni assunte nell’adolescenza
sotto l’eventuale influsso di condizionamenti sociali negativi,
permettendo di correggerle.
3J. DELORS et alii, L'éducation. Un trésor est caché dedans, Unesco/Odile Jacob,
Paris 1996, p. 20.
15
innovazione consiste nella necessità di introdurre i giovani alla
cultura dell’informatica.
16
sta trasformando in un sistema complesso di attività che
richiede una nuova articolazione di funzioni e di figure
professionali.
I. PREMESSA
17
necessità di un più forte coordinamento ecclesiale, sia a livello
nazionale sia a livello diocesano, da un lato per concorrere ad
una gestione il più possibile integrata delle scuole cattoliche, da
collegarsi anche con scuole statali, nell’ambito delle previste
“reti”, dall’altro per trovare intese a livello di consulte
diocesane per la pastorale scolastica, che andrebbero costituite
in tutte le diocesi, in vista di una presenza culturalmente e
organizzativamente efficace delle associazioni, nelle scuole
statali e non statali; tanto più nel clima di autonomia e in
relazione agli spazi che si aprono per presenze organizzate di
genitori, studenti, docenti.
A partire dal materiale prodotto dai gruppi, presenterò una
sintesi degli elementi di analisi e di proposta emersi negli
interventi e raccolti dai diversi coordinatori, permettendomi di
aggiungervi una considerazione conclusiva che ripercorra
alcuni dei punti nodali della riflessione assembleare.
18
esigenze di tipo funzionale, che centrano l’attenzione sulle
competenze, sulle procedure e sulle quantificazioni, a scapito di
una preparazione umana, culturale e professionale che dovrebbe
essere intensa e profonda, per i docenti e per gli studenti, dato
che l’Europa richiede persone e cittadini, e non solo lavoratori.
Si rischierebbe in tal modo di compromettere con una mano, per
via burocratica, quell’autonomia che si riconosce con l’altra.
Anche nei nuovi esami di stato si notano aspetti riconducibili ad
una concezione meccanica della valutazione, basata più
sull’istruzione che sull’educazione.
19
competenza e spirito di servizio. Ciò vale in particolare per le
dimensioni culturali, etiche, estetiche, igieniche, espressive,
comunicative, civiche e politiche della convivenza scolastica e
in particolare per l’insegnamento della religione cattolica. A
questo proposito si raccomanda la positiva conclusione dell’iter
parlamentare relativo allo stato giuridico degli insegnanti di
religione. Si ritiene infine necessario che l’Agenzia nazionale di
valutazione del sistema scolastico sia distinta e indipendente
rispetto all’Amministrazione e non parte di essa.
2. Parità scolastica
20
favore delle attività promosse dalle scuole non statali
(aggiornamento del personale direttivo e docente, nuove
tecnologie, biblioteche, miglioramento delle strutture
didattiche…)
Si nota che le esperienze educative e didattiche delle scuole
cattoliche hanno avuto influssi positivi sulla dinamica del
cambiamento della scuola statale (progettualità, tempo pieno,
ampliamento delle offerte formative, continuità educativa…).
Un gruppo chiede che non venga trascurato l’istituto della
scuola “paterna”, valorizzando in questo settore il possibile
intervento dell’associazionismo familiare, riprendendo in esame
il possibile inserimento delle cooperative scolastiche nella
legislazione relativa alle ONLUS.
21
cambiamento, per un mondo scolastico già affaticato da
processi che lo investono con un’intensità e un’estensione mai
prima sperimentate, in carenza di forti motivazioni ideali.
22
statale e non statale, come “formazione sociale” in cui “si
svolge la personalità” dell’uomo, in cui si promuove “il pieno
sviluppo della persona umana” e in cui si pongono le premesse
per la vita stessa della democrazia.
Principi etico-giuridici riconosciuti anche dalle leggi
ordinarie e deontologia professionale sono le fondamenta su cui
si regge il diritto/dovere di educare la persona umana in ogni
tipo di scuola, in base ai criteri congiunti dalla promozione
dello sviluppo della personalità dei giovani e del rispetto della
loro coscienza morale e civile. Basti pensare ai decreti delegati
e ai recenti decreti presidenziali sull’autonomia e sullo statuto
delle studentesse e degli studenti. Si tratta di valori che hanno
corso il rischio di essere oscurati e che sono tornati alla luce
anche per il contributo fornito dai cattolici in diverse sedi,
parlamentari e ministeriali. Bisognerà tenerne conto in fase di
attuazione amministrativa e professionale di queste norme.
E’ innegabile che la Costituzione, affidando prioritariamente
alla Repubblica il compito di istituire scuole per tutti gli ordini e
i gradi, deroghi in questo caso al principio di sussidiarietà, in
considerazione della rilevanza attribuita alla fruizione del bene
istruzione, che non apparve sufficientemente garantito da diritto
riconosciuto a enti e privati di istituire scuole. Questo però non
significa negazione della pari possibilità, per le scuole non
statali, di educare e d’insegnare con piena legittimità, e cioè di
concorrere alla realizzazione delle finalità costituzionali, sulla
base di premesse pedagogiche diverse, ma non opposte a quelle
che caratterizzano le scuole istituite dallo Stato.
Il riconoscimento di questa pari possibilità è però attenuato
dall’affermazione del “senza oneri per lo Stato” (art.33,
emendamento Corbino), che taluni, contro l’interpretazione che
ne diede lo stesso proponente, interpretano come clausola
ideologica insuperabile, una sorta di supremo non expedit
laicista, da leggersi sine glossa; mentre altri l’interpretano come
dato indubbiamente limitativo, da leggersi però nel combinato
disposto di tutti i principi e di tutte le norme costituzionali, e in
riferimento alle contingenti preoccupazioni dei costituenti,
oggi di fatto superate dal mutato contesto culturale, economico,
sociale, giuridico nazionale, regionale e soprattutto europeo.
L’espressione scritta rimane, finché non si trovi una
maggioranza per modificare anche su questo punto la
Costituzione, ma il suo significato originario si è ormai
23
storicamente consunto.
I convenuti all’Assemblea ecclesiale, per parte loro, ne hanno
proclamato implicitamente l’obsolescenza, condividendo
l’impegno espresso dalla relazione Ruini a “far comprendere a
tutti che quella della scuola libera e della parità scolastica non è
soltanto una rivendicazione particolare e "confessionale" dei
cattolici, ma è piuttosto una questione generale di libertà civile
e di pubblico interesse”. Resta la considerazione politica delle
risorse disponibili, in rapporto alle condizioni di bilancio
(debito pubblico, percorso di risanamento, prospettive di
stabilità dell’euro), al rischio chiusura di scuole non statali e
alla comprensione, da parte delle forze politiche, dell’utilità, per
la libertà e per le casse dello Stato, di interventi “a sgravio”, per
evitare oneri propri, che sarebbero ulteriori rispetto a ciò che lo
Stato già spende per la scuola. Del resto lo stesso Presidente
della CEI ha scritto nella relazione introduttiva ai lavori:
“Siamo consapevoli che un simile passaggio esige realismo e
gradualità, così da tenere conto della situazione esistente, dei
valori e dei legittimi diritti in essa presenti, della storia concreta
della struttura formativa del nostro paese”.
La Chiesa da tempo valorizza particolarmente un tipo di
scuola che presenti un elevato livello di coerenza fra curricolo
scolastico, valori cristiani e diritto delle educativo delle
famiglie, ma non ha mai negato la pari possibilità di educare e
d’istruire con piena legittimità, e cioè di concorrere alla
realizzazione delle finalità educative proprie della Chiesa e
delle famiglie cattoliche, anche da parte delle scuole istituite
dallo Stato, sulla base delle premesse pedagogiche formulabili
in ambito “pluralistico”, fondato sui valori costituzionali.
Questo reciproco riconoscimento, della Repubblica e della
Chiesa, in ordine al valore educativo di diverse proposte
scolastiche, non contrastanti in linea di principio, si
accompagna all’idea che nessuno dispone di formule
pienamente risolutive delle difficoltà che s’incontrano in
famiglia come nella concreta azione delle scuole statali e non
statali. Per questo si fa lentamente strada la consapevolezza che
non è con gli steccati e con l’orgogliosa difesa di formule
esclusive che si può tentare di concorrere a formare persone,
cittadini e lavoratori all’altezza dei tempi, ma con l’impegno a
mobilitare risorse umane ed economiche là dove fioriscono
libertà e responsabilità, secondo una visione ampia e articolata
24
della cultura, dell’educazione e della scuola. Più che il modello
astratto mette conto esplorare e migliorare i modelli concreti di
scuole esistenti, che a volte possono rivelare sorprese a chi non
li conosca da vicino.
Educare, insegnare e farsi discepoli non significa lasciar
correre, ma neppure esercitare sui giovani qualche forma di
dominio, neppure per portarli a quel Gesù, non ha potuto
raccogliere Gerusalemme sotto le sue ali, come fa una chioccia
con i pulcini, perché ha rifiutato mezzi “risolutivi” di
conversione e di convinzione.
25
LABORATORIO N. 2
SCHEDA DI LAVORO
I. PROBLEMATICHE
26
documento La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio
definisce come una nuova sfida: “Si tratta in particolare della
crisi dei valori, che soprattutto nelle società ricche e sviluppate,
assume le forme, spesso esaltate dai mezzi di comunicazione
sociale, di diffuso soggettivismo, di relativismo morale e di
nichilismo. Il profondo pluralismo, che pervade la coscienza
sociale, dà vita a diversi comportamenti, in taluni casi così
antitetici da minare una qualunque identità comunitaria. […] Il
fenomeno della multiculturalità e di una società che diventa
sempre più multirazziale, multietnica e multireligiosa, porta con
sé arricchimento, ma anche nuovi problemi”6.
In altre parole i giovani portano nella scuola la cultura del
frammento che pone seri problemi al sistema di istruzione e di
formazione. È anche vero che caratteristiche come la
provvisorietà, la reversibilità, l’a-centricità e l’autorealizzazione
possiedono al tempo stesso potenzialità indiscusse per la cultura
della scuola e della scuola cattolica.
27
significato umano e ponendolo al servizio dello sviluppo
individuale e sociale.
II. PRINCIPI
28
gestione del sistema formativo e di costruzione del tessuto
educativo locale; essa implica la scelta della progettualità, della
flessibilità, della collaborazione, della promozione del privato
sociale, per ovviare alle inadeguatezze del gigantismo degli
apparati amministrativi della scuola. Se poi l’obiettivo non è
solo quello di un apprendimento significativo, ma il
raggiungimento di una dimensione educativa ancora più
profonda e personale allora il coinvolgimento non solo degli
studenti, ma anche dei docenti e dei genitori diventa
indispensabile. Si tratta infatti di arrivare a distinguere tra ciò
che nella scuola si riesce a definire sul piano del “sapere” e del
“conoscere” in senso scientifico-razionale e ciò che invece
coinvolge il “sentire” sul piano affettivo e valoriale; si tocca in
questo caso lo strato profondo degli atteggiamenti e delle
esperienze e ciò implica una partecipazione attiva di tutti i
membri della comunità anche in quella fase della elaborazione
del curricolo in cui si scelgono e si organizzano i contenuti.
29
di sviluppare competenze procedurali e del riferimento alla
pluralità dei linguaggi, essi rispondano anche: alle esigenze del
pluralismo, del rispetto delle differenze, della ricerca di
un’identità comunitaria; al processo di responsabilizzazione in
ordine alla propria formazione personale e sociale; al
superamento dell’eccesso nozionistico e della frammentazione
disciplinare.
– È fondamentale individuare i contenuti essenziali e specifici
della scuola cattolica nel rapporto tra fede, vita e cultura.
La peculiarità della scuola cattolica consiste nel
coordinamento tra cultura e messaggio della salvezza
finalizzato alla maturazione umana e cristiana dei giovani, cioè
alla formazione della personalità cristiana. La Congregazione
per l’Educazione Cattolica individua questa specificità nella
“dimensione religiosa”: “Il concilio autorizza dunque a
sottolineare, come caratteristica specifica della scuola cattolica,
la dimensione religiosa: a) nell’ambiente educativo; b) nello
sviluppo della personalità giovanile; c) nel coordinamento tra
cultura e Vangelo; d) in modo che tutto sia illuminato dalla
fede”7.
Dal punto di vista dei contenuti curricolari, nel contesto del
rapporto tra fede e cultura, alcuni principi orientativi su cui
riflettere sono i seguenti.
– La continua tensione a collegare sapere scientifico-razionale
e fede, per cui non si dà separazione tra apprendimento ed
educazione, tra nozione e sapienza, non potrebbe avvenire
correttamente nella scuola se non sulla base di una razionalità
non preconcettualmente chiusa o nel riduzionismo scientista e
nichilista o in una posizione di rigorosa (e impossibile)
asetticità cognitiva, ma invece aperta alle istanze più profonde
dell’uomo che cerca la verità. La ragione, incorporata ed
espressa nello statuto epistemologico delle singole discipline, e
perciò una razionalità immanente ma in costante fieri, dovrebbe
sempre porsi in rapporto e lasciarsi interpellare da una profezia
sull’“oltre” rispetto alla stessa ragione e questo proprio per una
educazione integrale della persona.
– Limitando il discorso agli elementi di specificità culturale
30
dei contenuti essenziali, cioè qualificanti il rapporto
fede-cultura, va precisato che esso non si esplicita e non è di
competenza esclusiva dell’insegnamento religioso come
disciplina curricolare. La dimensione religiosa consiste in una
ispirazione intrinseca della struttura del curricolo alla luce
della fede. Pertanto i contenuti dell’offerta formativa della
scuola cattolica dovrebbero radicarsi in un’antropologia forte:
l’antropologia evangelica. A motivo di questa loro ispirazione,
essi consentono ad ogni persona di diventare libera, attivamente
partecipe della vita della comunità, aperta al dialogo con l’altro
e con il Trascendente, capace di vivere quei valori che
realizzano la sua autentica vocazione di creatura così come Dio
l’ha voluta. Infatti è nel riferimento esplicito al Cristo e al suo
messaggio evangelico che i valori umani trovano la loro piena
realizzazione e unità. È questa la valenza in più che la scuola
cattolica deve poter offrire ai suoi alunni per non omologarsi e
per proporsi nei confronti della scuola dell’autonomia con un
chiaro progetto educativo che la caratterizzi nel territorio.
– Nella costruzione di un curricolo caratterizzato dalla
continua interazione tra sapere epistemico e “mondi vitali” tutte
le componenti della comunità scolastica sono coinvolte in
quanto esse stesse participi dei medesimi valori, credenze e
tradizioni. Se il soggetto naturale educante è una comunità che,
facendo esperienza di salvezza attraverso la fede nel Signore
risorto, è impegnata a tradurla incarnandola nella dimensione
religiosa del curricolo, allora si deve anche precisare che non è
solo il soggetto docente a venirne coinvolto in forza
contemporaneamente della sua competenza professionale e
della sua testimonianza di fede. Occorre approfondire come alla
costruzione della dimensione religiosa del curricolo debbano
necessariamente contribuire anche tutti quei soggetti che
portano nella scuola significati, valori ed esperienze dei
“mondi vitali” di appartenenza e di riferimento, da cui ogni
scuola trae origine e significato.
III. PROPOSTE
31
dovrebbe soffermare l’Assemblea sono i seguenti:
a) nella prospettiva di un sistema formativo policentrico:
– il rilancio della cultura generale, della formazione al lavoro,
della ricorrenza tra studio e lavoro;
– l’integrazione (evidenziare i contenuti comuni) e la
diversificazione (evidenziare i contenuti specifici) a livello di
scuola secondaria tra indirizzi di scuola secondaria e tra scuola
secondaria e formazione professionale;
– la diffusione del canale post-secondario non universitario;
– la definizione di criteri generali per la revisione dei curricoli
tenendo conto dei punti elencati. Il principio della policentricità
potrà essere favorito se, sia sul piano strutturale che su quello
dei contenuti curricolari, si consentirà il passaggio degli
educandi tanto orizzontalmente che verticalmente, da un livello
all’altro del medesimo istituto, da un istituto all’altro, da un tipo
di educazione all’altro;
– la generalizzazione delle nuove tecnologie dell’informazione
nella scuola e l’introduzione dei giovani alla cultura
dell’informatica; più che prevedere una nuova materia è
questione di assicurare una nuova dimensione ai processi di
insegnamento/apprendimento attraverso la “media education”;
b) nella prospettiva di una scuola che sappia effettivamente
trasmettere una identità comunitaria in un contesto pluralistico
e multiculturale:
– sviluppo e sperimentazione da parte della scuola cattolica
del curricolo dei valori comuni, con particolare attenzione
all’educazione civica, all’educazione socio-politica,
all’educazione interculturale, all’educazione alla mondialità e
ai grandi temi dell’umanesimo planetario: pace, ambiente,
consumo, tempo libero, sessualità ecc.;
– approfondimento del curricolo sull’educazione ai valori
etico-sociali comuni in un contesto sociale e quindi anche
scolastico pluralistico; tale tipo di formazione è possibile, anzi è
facilitato nell’ambiente educativo della scuola cattolica
caratterizzata da un preciso Progetto Educativo;
c) nella prospettiva di evidenziare il contributo culturale
specifico della scuola cattolica nel rapporto tra fede, cultura e
vita e come espressione dell’intera comunità cristiana:
– verifica (alla luce della condizione giovanile di fronte alla
dimensione religiosa della vita) del lavoro educativo e culturale
e dei suoi esiti in ordine all’obiettivo della “formazione umana
32
e cristiana” degli studenti/allievi;
– verifica dell’insegnamento religioso nella scuola cattolica;
– rapporto tra la professionalità docente e le istanze educative
provenienti dai “mondi vitali” in particolare dei genitori;
– sperimentazione di una ipotesi processuale, articolata nelle
seguenti fasi:
* deduzione dei contenuti specifici da uno o più ambiti
scientifici attraverso una corretta impostazione epistemica
(scienza come assieme di assiomi, di regole deduttive di ordine
semantico e sintattico, di esperienze “chiave”);
* loro selezione mediante una lettura antropologica
cristiana;
* collocazione “cognitiva” dei medesimi, che sia rispettosa
della integralità della conoscenza umana (razionale,
intellettuale, per intuizione estetica, etica…, per
contemplazione…..).
– stesura di un documento sui contenuti dell’offerta educativa
della scuola cattolica che possa servire da avvio ad un dibattito
nelle scuole cattoliche e nei centri di formazione professionale.
33
della cultura della nostra società multiculturale.
In particolare è stata richiamata l’attenzione sulle
problematiche della famiglia, sulla devianza giovanile e sulle
ipoteche del centralismo e del burocraticismo che hanno
caratterizzato e continuano a caratterizzare la vita della scuola.
È stato denunciato, inoltre, il rischio di una graduale perdita
di libertà e di democrazia e non è mancato chi ha parlato del
pericolo di un pur lento, ma progressivo scivolamento verso lo
“Stato etico”
Per quanto riguarda la scuola cattolica alcuni interventi
hanno fatto riferimento al pericolo di appiattimento sul modello,
e non solo organizzativo, della scuola statale.
II. PRINCIPI
34
III. CONTENUTI
IV. PROPOSTE
Si propone di:
– recuperare il significato e il valore dell’esperienza di una
scuola cristianamente orientata e della sua tradizione, intesa
come memoria e consapevolezza delle radici culturali, ideali e
sociali;
– elaborare una teoria generale della conoscenza fondata sul
nesso tra fede e cultura e di riflettere sullo statuto
epistemologico delle discipline (scopi, metodi, procedure,
educatività, ecc.);
– coltivare la formazione in servizio dei docenti sul piano
35
disciplinare, pedagogico, didattico, organizzativo e spirituale
per favorire l’acquisizione di una più chiara consapevolezza
dell’identità della scuola cattolica;
– fare della scuola un luogo di educazione permanente per tutti
i membri della comunità educante, compresi i genitori;
– favorire relazioni e rapporti interistituzionali, ad esempio
progettazioni e collaborazioni da mettere in rete fra scuole
cattoliche ed altre istituzioni educative (in particolare si è fatto
riferimento alla scuola statale);
– accogliere ed educare con differenziata adeguatezza i soggetti
in difficoltà e in situazione di handicap, testimoniando la
premura per ogni persona;
– arricchire di contenuti e di significati i curricoli scolastici,
prevedendo anche esperienze formative extrascolastiche e
specifici incontri per affrontare questioni di attualità, di forte
spessore esistenziale e di grande rilevanza sul piano etico;
– contribuire a riaffermare che la parità scolastica è un bene
comune, che può concorrere a far crescere la democrazia, il
pluralismo e la cultura dell’educazione.
36
LABORATORIO N. 3
I. PROBLEMATICHE
37
determinato felici esperienze. Oggi, il mutato contesto
socio-culturale e tecnologico pone nuove sfide che esigono
nuove forme di organizzazione delle relazioni.
II. PRINCIPI
38
l’unità costitutiva della persona dell’educando, richiede
contributi diversificati, ma convergenti.
Infatti sono diversi i doni, come sono diverse le mansioni e le
competenze richieste dalla programmazione e dalla gestione
della vita della scuola, ma ogni dono e ogni compito vanno
rispettati e fatti convergere armonicamente nel servizio
educativo11.
6. La scuola è luogo di formazione e di educazione, è una
comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale che tende
a promuovere la persona in tutte le sue dimensioni. Nella
comunità scolastica lo studente ha diritto ad una formazione
culturale e professionale qualificata, ha diritto alla
partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola.
III. PROPOSTE
39
attraversano tutte le istituzioni ci rendono avvertiti che non si
può porre attenzione alle strutture senza promuovere e
valorizzare le persone che a queste danno vita e che le sanno
rinnovare in coerenza con i principi che le fondano.
In questa prospettiva è importante sostenere i protagonisti
della comunità scolastica e in particolare: a) i giovani e gli
studenti tutti; b) le famiglie; c) i docenti e i dirigenti; d) i
responsabili delle istituzioni pubbliche del territorio.
40
11. Per i docenti ed i dirigenti della scuola cattolica, sia
ecclesiastici sia laici, si tratta di riscoprire secondo un profilo
più alto il proprio ruolo di educatori che esige una sintesi tra
competenze professionali e motivazioni educative, con
particolare attenzione alla capacità di dialogo e di ascolto tra le
diverse componenti che animano la scuola. Spetta ad essi essere
interlocutori accoglienti e preparati, capaci di motivare i giovani
ad una formazione integrale e di porsi come testimoni seri e
credibili della responsabilità e della speranza di cui la scuola
cattolica è investita nei confronti della società.
41
infatti, rimotivato e vanno attualizzate le ragioni che la
sostengono alla luce dell’attuale contesto culturale.
Particolarmente importanti sono due aspetti relativi al
“sistema” della scuola cattolica: a) la qualità dell’offerta
formativa; b) la valutazione della qualità dell’offerta formativa.
42
LABORATORIO 3. SINTESI DEL LAVORO DEI GRUPPI13
I. PREMESSA
43
educativo nella scuola, sollecitate e sostenute dalle autorità
civili e religiose. Ci sembra infatti siano, purtroppo, ancora
poche quelle che hanno fatto propria l’esigenza di tale impegno.
II. PROBLEMI
III. PRINCIPI
44
scuola. E’ rendendo operativo nella pienezza tale principio che
si fa dell’autonomia un vero strumento per realizzare la libertà
di educazione.
Attivare una scuola come comunità di dialogo, di ricerca, di
esperienza e potenziare il protagonismo responsabile di tutti i
soggetti perché ciascuno si senta coinvolto in prima persona a
portare l’onore e l’onere della sua vitalità e a potenziarne la
missione culturale ed educativa.
Approfondire e attualizzare le ragioni e le motivazioni
fondanti la scuola cattolica come “comunità umana che si apre e
riceve in dono la comunione nuova”.
IV. PROPOSTE
45
I giovani che hanno partecipato ai tre laboratori avrebbero
desiderato una presenza numerica maggiore e più
rappresentativa di giovani in questa assemblea. Noi li
ringraziamo per essere qui. Ci avete regalato il vostro
entusiasmo e la vostra voglia di vita. Grazie.
46
Direttore-Preside come coordinatore dell’attività didattica,
interprete delle motivazioni ideali, punto di riferimento
significativo dello svolgimento dell’offerta formativa.
47
“noi non conosciamo la nostra statura finché non veniamo
chiamati ad alzarci”.
Questa Assemblea è un invito per ciascuno di noi ad alzarsi
per conoscere la propria statura di educatrice e di educatore
cristiano e a vivere fino in fondo il gaudio e la responsabilità di
questo dono.
48
LABORATORIO N. 4
SCHEDA DI LAVORO
I PROBLEMATICHE
49
(long life learning) in una prospettiva di vera continuità;
– si impone l’urgenza di una alfabetizzazione di massa ai
nuovi “saperi sociali” (comunicazione, economia, tecnologie,
organizzazione...) in modo da rendere tutti in grado di
partecipare attivamente al nuovo contesto socio-economico;
– è necessario che il sistema di istruzione-formazione non
operi solo nel senso della diffusione di informazioni e neppure
di mero addestramento mirante ad eseguire, nel lavoro, una
determinata funzione, quanto piuttosto in direzione della
promozione - nell’individuo - di una motivazione positiva nei
confronti del lavoro, non considerando la professione un
accessorio, bensì una dimensione fondamentale della
personalità, che va sviluppata nel contesto dello sviluppo
integrale di quest’ultima in una prospettiva di autonomia e
libertà”.
II. PRINCIPI
50
avvenire secondo una prospettiva ad un tempo pluralistica ed
integrata, con particolare riferimento a:
– la collocazione paritaria e coordinata del sistema di
formazione professionale con quello scolastico, sia in ordine
alla realizzazione dell’obbligo d’istruzione anche nelle
istituzioni formative a tempo pieno (almeno fino al 15° anno di
età), sia in ordine all’interazione con la scuola nel suo insieme,
– la creazione di canali formativi successivi (iniziale e
superiore) dove siano presenti percorsi alternativi tali da
consentire a ragazzi, giovani ed adulti una effettiva libertà di
scelta,
– un’ampia e tempestiva concertazione tra i Ministeri della PI
e del Lavoro e gli Assessorati Regionali competenti, oltre che
tra le parti sociali e le realtà formative, al fine di delineare le
condizioni di un sistema aperto, continuo, interconnesso, di
qualità, in grado di corrispondere ai diritti di ciascun cittadino e
di esercizio del compito educativo-formativo delle diverse
formazioni sociali.
51
portare ad un diritto formativo piuttosto che ad un obbligo,
rappresentando quest’ultimo un’impostazione superata, inadatta
ad affrontare le nuove situazioni. Accanto a ciò, si impone
inoltre di dar vita ad una strategia di “seconda chance”, atta a
favorire l’acquisizione di una adeguata formazione da parte di
chi non ha potuto o non è stato in grado di usufruire di una
prima chance oppure che per svariati motivi ha abbandonato la
scuola conservando di essa una concezione negativa, in modo
da immettersi nuovamente in percorsi educativi fondamentali
per la loro realizzazione umana e professionale;
–l’autonomia degli organismi: non vi è possibilità di sviluppare
progetti educativo-formativi adeguati alle nuove sfide se non in
presenza di una responsabilità reale da parte degli enti formativi
al fine di meglio corrispondere alle caratteristiche del contesto
locale in coerenza con la propria proposta formativa.
L’autonomia – in una prospettiva di impresa sociale di servizi -
è la chiave per elaborare una strategia formativa ed un curricolo
nel quale l’allievo possa effettivamente riconoscersi, per
sviluppare una “managerialità educativa e sociale” da parte
delle figure direttive ed una professionalità adeguata delle
figure intermedie e dei formatori ed infine per creare legami
arricchenti tra il Centro ed i soggetti che operano nel contesto,
in una logica di reciprocità;
– la concertazione e la strategia di rete: la domanda di
formazione deve essere individuabile mediante momenti di
intesa e di concertazione per evitare l’autoreferenzialità degli
organismi erogativi. Inoltre vanno create le condizioni perché si
sviluppino forti occasioni di cooperazione tra scuola-centro di
formazione e impresa, tra questi e le strutture dei servizi e tra i
vari attori presenti nel territorio;
– la qualità dell’educazione-formazione: è fondamentale lo
sforzo orientato a definire i requisiti di accreditamento di tutti
gli organismi che intervengono nel sistema
educativo-formativo. Ciò deve rappresentare lo stimolo per
operare non solo in una logica di aderenza a requisiti minimi,
ma anche di vero e proprio sistema-qualità della formazione.
Solo in questo modo l’accreditamento e, in generale, le nuove
logiche di regolazione del sistema formativo, potranno
rappresentare un’occasione di qualificazione del sistema - nella
prospettiva di un autentico “successo formativo” - e non un
ulteriore filtro burocratico-formale da superare nel modo più
52
utilitaristico ed indolore possibile.
III. PROPOSTE
53
una visione antropologica personalistica e comunitaria,
prestando particolare attenzione al valore delle differenze
(culturali, etniche, religiose, di condizione personale …) intese
come risorse preziose per uno sviluppo veramente umano;
− giungere ad una modalità stabile di aggregazione degli Enti
anche a livello regionale in chiave non soltanto di
rappresentanza ma anche di elaborazione culturale e progettuale
oltre che di vera e propria cooperazione formativa, in stretto
raccordo con l’Associazione nazionale di recente creazione, che
si traduca in azioni significative volte alla promozione della
formazione professionale di ispirazione cristiana sotto il profilo
culturale ed anche progettuale.
Sul piano delle azioni di promozione si sollecita la
definizione di una strategia che ponga gli Enti in condizione di
continuare ad offrire un servizio rispondente alle linee di
sviluppo, anche di tipo europeo, con le seguenti linee d’azione:
− sviluppare un’intesa tra Enti di formazione professionale e
Coordinamento delle Regioni su un’ampia gamma di interventi
volti a dare attuazione alle norme sul diritto/obbligo formativo
attraverso la strutturazione di un organico sistema di offerta di
formazione iniziale e secondaria; tale intesa dovrebbe
prevedere:
− l’attivazione di un’ampia sperimentazione della
nuova formazione professionale iniziale secondo il modello
“Lucisano” recentemente approvato, sulla base di linee-guida
unitarie,
− l’attivazione di un’offerta formativa di formazione
superiore (FIS) nella quale emerga il ruolo essenziale – di
indirizzo e di gestione - del sistema regionale di formazione
professionale,
− la creazione di un dispositivo consensuale tra le
regioni in materia di accreditamento degli organismi formativi,
distinto in filiere nelle quali emerga la particolare valenza
educativo-formativa propria della formazione iniziale e della
formazione speciale,
− la definizione di una rete di organismi che operano
stabilmente nei sub-territori regionali in modo da garantire
l’effettiva risposta al diritto formativo dei cittadini,
− l’individuazione di fonti finanziarie certe per tali
interventi, considerando unitariamente le fonti dirette regionali,
il Fondo sociale europeo, il contributo degli utenti;
54
− la definizione di una strategia comune in tema di
integrazione con la scuola con particolare riferimento
all’obbligo di istruzione, al riconoscimento e trasferibilità dei
crediti formativi, oltre che su obiettivi specifici la cui
perseguibilità richieda l’unione delle forze;
− la delineazione di un modello di regolazione di tale
nuovo sistema di formazione professionale basato sui requisiti
di qualità ed interconnesso con il sistema scolastico e quello
universitario;
− dar vita ad una forte iniziativa culturale – in accordo con le
Università ed i Centri di ricerca – e di sperimentazione nella
logica delle buone prassi in grado di sostenere l’identità e
l’azione degli Enti formativi di ispirazione cristiana ed in
particolare di condurre ad una strategia della qualità formativa
che preveda specifici standard, criteri e procedure nella
prospettiva del marchio di qualità proprio dell’ambito della
formazione;
− sostenere gli sforzi degli organismi formativi volti
all’accreditamento (obbligatorio) ed eventualmente in vista
della certificazione di qualità (ISO 9000 e successive);
− assistere gli Enti nelle attività progettuali di valore strategico
a livello transregionale e transnazionale.
55
LABORATORIO 4. SINTESI DEL LAVORO DEI GRUPPI14
56
la casualità di presenze che nuocerebbe gravemente al diritto
formativo dei cittadini.
Va pure perseguito da parte delle istituzioni pubbliche un
impegno deciso finalizzato ad evitare la dispersione di denaro
pubblico con il pretesto della formazione, finalizzando le risorse
ad organismi ed attività che offrano garanzie di servizi
formativi di qualità.
57
revisione del progetto personale di vita in una chiave positiva.
58
pienamente culturale del lavoro come esperienza essenziale
della formazione della persona umana e la pari dignità della
formazione professionale come componente indispensabile
della proposta educativa della Chiesa.
In tale prospettiva consideriamo molto prezioso il contributo
dell’Ufficio Pastorale problemi sociali e del lavoro che, insieme
all’Ufficio Cultura, scuola ed università ha promosso e
sostenuto l’esperienza della Commissione scuola-lavoro
operante presso la C.E.I. Il contributo della pastorale sociale e
del lavoro consente di meglio comprendere la valenza culturale
della formazione e di coinvolgere ambiti e soggetti solitamente
poco valorizzati in campo educativo e scolastico.
Sollecitiamo fortemente le Diocesi a considerare, accanto alla
scuola materna, elementare, media, superiore ed all’università,
anche la formazione professionale curando – in forte
collaborazione tra pastorale della scuola e pastorale del lavoro –
la presenza di centri dotati di una forte proposta formativa di
ispirazione cristiana e dell’associazione FORMA recentemente
costituita a livello nazionale e di alcune regioni.
Va inoltre diffusa la presenza di organizzazioni dei genitori
anche nella formazione professionale di ispirazione cristiana,
come pure delle associazioni di ex allievi in grado di creare un
clima di vera comunità educativa alle esperienze di formazione
professionale.
Va infine dato vita nei contesti territoriali più scoperti a
sperimentazioni finalizzate a rilanciare il progetto culturale ed
educativo del lavoro in ogni Diocesi.
59
LABORATORIO N. 5
SCHEDA DI LAVORO
I. PROBLEMATICHE
60
totale di alunni iscritti in Italia18.
Si tratta di chiedersi se l’attuale assetto gestionale sia
soddisfacente, tale cioè da permettere di prevedere, con
ragionevoli e fondati motivi, un andamento positivo e in
progresso dell’attività formativa in rapporto agli investimenti,
alle risorse impiegate, agli oneri e alle responsabilità connessi;
oppure, al contrario, se esso non sia insufficiente di fronte al
profilarsi di “cause di forza maggiore”.
61
mancanza di collegamento e di solidarietà con altre realtà
scolastiche o con il contesto territoriale ecclesiale e civile,
possono condurre alla riduzione parziale dell’attività formativa
e quindi a quella totale.
II. PRINCIPI
62
Con riferimento alle istituzioni formative gestite da religiosi,
il Documento aggiunge: “[…] Sarà allora possibile sostenere
esperienze in atto e trovare forme anche inedite di
collaborazione tra diversi Istituti religiosi e diocesani,
specialmente quando si tratterà di unire le forze per garantire la
sopravvivenza di scuole in difficoltà, o di collaborare con la
Chiesa locale nella fondazione o gestione di istituzioni, di cui si
riconosce il valore e la necessità in un piano pastorale
d’insieme”22.
5. A queste indicazioni generali si devono aggiungere alcuni
principi operativi già parzialmente acquisiti nella prassi e nella
convinzione della scuola cattolica:
− il principio di solidarietà tra scuola e comunità ecclesiale,
tra scuole, tra enti gestori;
− il principio di corresponsabilità che significa assunzione di
impegni da parte di tutti gli enti interessati
(Ordini/Congregazioni e diocesi) in ordine alla gestione delle
scuole in difficoltà per garantirne la continuità e per favorire lo
sviluppo qualitativo dell’offerta;
− il principio di rispondenza alla domanda formativa delle
famiglie e dei giovani e a esigenze pastorali ritenute preminenti
per cui si giustifica il mantenimento dell’Ente gestore o la sua
sostituzione con un impegno straordinario di risorse umane ed
economiche della comunità cristiana e delle Chiese locali;
− il principio di sussidiarietà nel senso che gli interventi di
sostegno devono avvenire nel rispetto della responsabilità
primaria della comunità educativa della scuola in difficoltà e dei
suoi diretti gestori.
III. PROPOSTE
1483.
22Ibidem, n. 64 in ECEI 3 (1980-1985), 1484.
63
accompagna anche la totale dismissione dell’attività; il
trasferimento delle attività avviene a favore di un soggetto in
qualche modo collegato al precedente gestore; in questo caso il
vantaggio può consistere, ad esempio, nella riduzione dei costi
di gestione e nel rafforzamento dei legami con l’utenza (nel
caso della costituzione di una cooperativa tra famiglie) oppure
nell’accesso ad agevolazioni che la legge riserva a soggetti di
natura giuridica diversa da quella dell’ente ecclesiastico (nel
caso della costituzione di una cooperativa sociale);
b) la costituzione di cooperative di soli docenti o di soli genitori
o “della comunità cristiana del territorio” per rilevare l’attività
dismessa dall’ente gestore e quindi per proporsi come nuovo
ente gestore; in questo caso, la cooperativa assume totalmente
la conduzione della scuola.
Questo tipo di soluzione sembra possibile in centri
medio-piccoli ove i genitori e i docenti appartengono
prevalentemente alla stessa comunità e di solito conservano la
Direzione dell’Istituto alla Congregazione religiosa; è inoltre
realizzabile dove l’Istituto voglia concedere l’uso dei locali in
comodato e cioè dove ci sia un accordo sottoscritto da
convenzione che comunque veda l’Istituto in qualche misura
ancora coinvolto e favorevole;
c) l’affidamento ai movimenti laicali: si tratta anche in questo
caso di una soluzione che si è affermata nei casi più gravi,
quando cioè si è reso necessario intervenire con un passaggio
completo di gestione e con l’acquisto dei locali (o con la stipula
di un affitto d’azienda); in questi casi i punti più delicati e
importanti sono costituiti dal rapporto tra nuova dirigenza e
personale scolastico dipendente del precedente Ente gestore e
quindi dalla stesura di un progetto educativo che recepisca tutte
le istanze che provengono dal territorio, dalla Chiesa locale,
dalle comunità parrocchiali, dalla precedente tradizione
connessa all’Istituto che ha lasciato la gestione;
d) la razionalizzazione delle risorse materiali, finanziarie e
umane all’interno degli Ordini/Congregazioni: comporta
l’adozione di una linea politica interna agli istituti tesa a
stabilire dei criteri decisionali in ordine alla presenza
dell’Istituto stesso, quali tra l’altro:
− precedenza di alcune zone (ad esempio sulla base del
disagio);
− possibilità di sviluppare tutto il ciclo scolastico e/o
64
formativo;
− garanzia, da parte delle altre scuole dell’istituto, di offrire
sinergie per sostenere le scuole cui si è data la precedenza;
− disponibilità al dialogo con il territorio e possibilità di
raccordi tra scuole e formazione professionale e quindi di
accesso al Fondo Sociale Europeo o ad altre iniziative
Regionali;
e) le esperienze di gestione intercongregazionale: soprattutto là
dove si trattasse di istituti la cui importanza per una pastorale
d’insieme fosse valutata molto significativa dalla Chiesa locale
e dalle comunità cristiane;
f) l’assunzione da parte delle Diocesi di un ruolo di
coordinamento: soprattutto per facilitare un confronto
continuativo tra Superiori Maggiori e Chiesa locale e per
predisporre in tempo piani di razionalizzazione dell’esistente
insieme con i gestori degli stessi istituti. Questi compiti possono
essere svolti dalle Consulte Diocesane di pastorale della scuola
(dove sono presenti anche le rappresentanze delle Associazioni
di riferimento delle scuole e dei Centri di Formazione
Professionale) con l’eventuale creazione di un’apposita
sottocommissione per i problemi gestionali connessi al
mantenimento, chiusura/apertura di scuole;
g) l’avvio di reti di scuole, sostenuto in particolare dalle
Associazioni/Federazioni di scuola cattolica, allo scopo di
promuovere in sede locale iniziative di collaborazione che
portino a un crescente livello di coordinamento e/o a forme
associative, per assumere in prospettiva una più marcata
fisionomia di “scuole della comunità ecclesiale”.
65
d’insieme”23.
I. PREMESSA
23Ibidem.
24 Rapporteur: P. Prof. Francesco Ciccimarra.
66
Ciò é dipeso da un lato dai criteri talvolta poco oggettivi ed
efficaci seguiti dai gestori nella scelta dei docenti, dall'altro
nella difficile coesistenza tra diritti della scuola e diritti dei
lavoratori. E' noto il dibattito sviluppatosi negli ultimi anni,
anche a livello di Giurisprudenza di merito e di legittimità, sul
tema della difesa della libertà personale del lavoratore, intesa
come libertà nelle scelte ideologiche, morali, familiari, ecc., ed i
suoi riflessi nell'ambiente educativo della scuola, un dibattito
che spesso ha visto soccombere le pretese degli istituti scolastici
al rispetto di una condotta di vita, anche privata, in linea con la
dottrina della Chiesa. b) l'aumento sempre più sostenuto dei
costi di gestione, dovuto alla necessaria applicazione dei
contratti collettivi di lavoro nei loro confronti.
67
anche ineccepibili dal punto di vista legale ma sostanzialmente
lesive di quel diritto ad una retribuzione "adeguata" e
"dignitosa" consentono soluzioni transitorie, ma certo, salvo
alcune esperienze felici, non danno luogo a prospettive a lungo
termine, dal momento che i lavoratori lasciano le nostre scuole
non appena si presenta l'occasione di una lavoro più
remunerativo.
68
organismi diocesani) sembrano non offrire la sensazione di
preoccuparsi eccessivamente di quanto avviene nell'area della
scuola cattolica; non danno l'impressione di voler farsi carico
del problema. Quanto appena osservato non vuole certo essere
un atto di accusa per alcuno, ma la manifestazione di uno stato
d'animo che lascia trasparire un senso di disagio. In tale
contesto si é perfino suggerito di promuovere all'interno del
curriculum formativo di preparazione al sacerdozio corsi
specifici sulla pastorale della scuola, proprio per non ritrovarsi
dei sacerdoti poco sensibili al problema dell'apostolato
scolastico.
II. GUARDANDO AL FUTURO: LE PROPOSTE
69
contesto che ha visto mutare i presupposti del passato, il
problema dei rischi patrimoniali derivanti da gestioni
deficitarie. Esistono, evidentemente, strumenti correttivi, come
la creazione di nuovi enti gestori (es. la "casa religiosa" con
personalità giuridica) che tengono ben distinte le responsabilità
della gestione della scuola con il patrimonio congregazionale.
− Il ricorso ai Contratti di solidarietà difensivi , per situazioni
di emergenza, é un mezzo che permette temporaneamente di
evitare licenziamenti e di ridurre il costo del lavoro nella misura
massima del 30%, incidendo sui salari dei dipendenti, senza
intaccare la relativa parte di contribuzione previdenziale, che
viene fiscalizzata. Il CdS é consigliato nei momenti di
riorganizzazione della gestione, ma non può ritenersi come la
soluzione di situazioni critiche irreversibili.
− Il modello cooperativo presenta innegabili vantaggi dal
punto di vista fiscale e contributivo, rende possibile in taluni
casi la riduzione dei costi gestionali; tuttavia, qualora ai
lavoratori non vengano riconosciuti trattamenti economici
adeguati, si innesta oggettivamente un potenziale fattore di
instabilità dovuto alla comprensibile ricerca di nuovi e più
remunerativi posti di lavoro da parte dei docenti e degli altri
operatori. Ideale sarebbe l'ipotesi di una "cooperativa della
comunità cristiana", nella quale risultino coinvolti direttamente
nella missione educativa, oltre al vescovo e ai sacerdoti, anche
famiglie, docenti, simpatizzanti. In tal caso la scuola
assumerebbe la fisionomia di "scuola della comunità".
− Il Consorzio appare come uno strumento tecnico-giuridico
idoneo ad assicurare una più efficace organizzazione territoriale
delle scuole e dei servizi educativi connessi, un ruolo senza
dubbio positivo che a livello di chiesa locale potrebbe assolto,
senza necessità di creare nuove strutture, da efficienti organismi
ecclesiali di pastorale scolastica. Non c'è dubbio che il ricorso
alla formula consortile tenda fondamentalmente a mediare, a
limitare, a razionalizzare i servizi offerti, evitando
sovrapposizioni e concorrenza. L'esito appare decisamente
legato al grado di accettazione che ha il singolo gestore nel
vedersi contestualmente dimensionato in taluni servizi e
valorizzato in altri. Se ciò non risultasse compatibile con il tipo
di struttura scolastica sussistente sarebbe difficile evitarne la
chiusura definitiva.
70
III. IL PROBLEMA DEL FINANZIAMENTO
71
giovani non debba mai trovare diritto di cittadinanza, senza
correre il rischio che cominci ad insinuarsi il dubbio che la
scuola non rappresenti un serio motivo di preoccupazione per la
Chiesa?
IV. LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI: GESTORI E DIRIGENTI
72
VI. VALORIZZAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI
CONCLUSIONI
73
LABORATORIO N. 6
SCHEDA DI LAVORO
I. PROBLEMATICHE
74
economico;
d) le soggettività laicali che, essendo maturate recentemente,
devono essere comprese e valorizzate nella loro identità e nel
significato delle istanze che rappresentano25.
3. La situazione nazionale si presenta articolata per tipologie,
soluzioni e interventi attuati; accanto a nuove modalità di
rapporto assai positive e costruttive tra comunità cristiane e
scuole cattoliche, permane talvolta un reciproco senso di
estraneità, di non appartenenza, di non identificazione.
“La Chiesa in Italia possiede una grande ricchezza di
strutture educative e scolastiche. Esse esprimono una vocazione
e una capacità di servizio che vanno ben oltre le prestazioni
concrete offerte quotidianamente agli alunni e alle famiglie, ma
che non possono oggi esprimersi con pienezza, a motivo delle
difficoltà che le istituzioni scolastiche non statali incontrano e
che riguardano la loro stessa sopravvivenza. [...] Alle comunità
cristiane ricordiamo il dovere di condividere la fatica delle
scuole cattoliche, con la comprensione e il sostegno, in attesa
che legislatori e governanti mettano le famiglie in condizione di
far fronte, con pari dignità, agli impegni derivanti dal diritto –
che le famiglie hanno - di scegliere per i figli la scuola che
ritengono più conforme alle loro convinzioni religiose e al loro
progetto educativo”26.
Per queste ragioni è necessario oggi considerare più
attentamente tale problematica ed elaborare una strategia circa
le relazioni tra scuola, comunità cristiana e territorio.
II. PRINCIPI
75
comprensiva, l’evangelizzazione.
È necessario ridare spessore e smalto alla coscienza
dell’identità ecclesiale della scuola cattolica. È anzitutto qui
che riprende vigore l’impegno e respiro la speranza. È da qui
che emergono con nettezza i tratti di originalità della scuola
cattolica: essa è vero soggetto ecclesiale, luogo di autentica e
specifica azione pastorale. Essa condivide la missione
evangelizzatrice della Chiesa ed è luogo privilegiato in cui si
realizza l’educazione cristiana 27 . Caratterizzata da un suo
progetto educativo, che ha in Cristo il modello ispiratore
normativo e sorgivo, e nel quale i valori evangelici di libertà,
verità e carità danno vita ad un ambiente scolastico ispirato alla
visione cristiana dell’uomo e del mondo, essa è comunità di
reciprocità aperta e di responsabilità condivisa, dove la
comunione si dilata e si stringe, e la luce del Vangelo illumina
la verità profonda sull’uomo. Comunità di fede e casa
dell’educazione, la scuola cattolica, fedele alla propria identità e
dedita alla propria missione, si configura adeguatamente come
istituzione ecclesiale che educa, ed educa cristianamente.
76
ecclesiali ricordo il compito di riscoprire il dono della scuola
cattolica [...] e quindi la responsabilità di conoscere l’identità, le
funzioni, le esigenze, aiutandone lo sviluppo, difendendone con
coraggio la libertà e i diritti, valorizzandone le possibilità
formative pastorali”30.
Il Santo Padre ha indicato alla Chiesa e alla scuola cattolica
che un progetto educativo di scuola cattolica, in cui è raccolta
l’identità vivente dell’istituzione, è delineabile e attuabile solo a
partire dalla sua radicabilità ecclesiale.
77
ampio, così quotidiano, così incisivo come la scuola”32.
III. PROPOSTE
78
senso dell’educare, non in chiave moralistica o astratta, ma
come risposta ad una esigenza concreta ed urgente, imposta dai
mutamenti storici e sociali avvenuti in questi anni.
79
12. La comunità cristiana ha il compito di sostenere le diverse
esperienze di scuola cattolica, anche quelle che si organizzano
con nuove forme di gestione, perseguendo quello spirito
popolare e di servizio che l’ha caratterizzato sin dalle sue
origini e che è particolarmente evidente nella ampia diffusione
della scuola materna autonoma.
80
sviluppare le diverse espressioni dello spirito solidaristico.
81
LABORATORIO 6 : SINTESI DEL LAVORO DEI GRUPPI37
82
scolastico. Si tratta di un ambito saliente di conversione
pastorale: quel cambiamento di mentalità che propizia una
rinnovata comprensione dell’intera topografia dell’azione
pastorale, facendola uscire dalla quieta ombra del campanile,
dove fatalmente si assopisce, per incamminarla con fiducia e
coraggio sui sentieri aperti dove si incontra il viandante così
spesso smarrito del nostro tempo.
Ciò comporta il ripensamento della configurazioni territoriali
e delle articolazioni ministeriali delle comunità cristiane: la
pastorale scolastica (come altri ambiti della cosiddetta pastorale
d’ambiente) è tendenzialmente interparrocchiale: può essere
affrontata solo in un contesto più adeguato (sotto il profilo
culturale e territoriale) che non quella della ristretta
circoscrizione parrocchiale.
Essa esige inoltre la più ampia valorizzazione dei diversi
carismi e delle specifiche competenze sul territorio. Esige,
ancora, la presa di coscienza della priorità pastorale della
problematica della educazione, non più ristretta nell’orizzonte
di una affaticata catechesi presacramentale, ma esposta a tutto
campo nell’intreccio arduo e avvincente delle diverse ‘agenzie’
educative che abitano il territorio mentale e spirituale di
bambini, ragazzi e giovani. Si tratta di un segno dei tempi,
un’autentica urgenza dell’ora presente, per il rinnovamento
delle nostre comunità cristiane sul territorio.
La Scuola Cattolica è luogo segnalato di pastorale giovanile,
rilevante pedagogicamente e numericamente (basta un
elementare confronto con gli sparuti gruppi di giovani che la
pastorale parrocchiale riesce faticosamente a raggiungere).
Il territorio è ormai riconosciuto come orizzonte spaziale
adeguato della Scuola Cattolica, come sua vocazione. E’ da
rilevare positivamente questa più ampia consapevolezza della
rilevanza sociale della Scuola Cattolica e della sua nativa
correlazione con le famiglie e le istituzioni sul territorio. Si
deve affermare senz’altro il deciso superamento della visione
separata della scuola, che la restringe dentro troppo stretti
confini curricolari e didattici, per un profilo sempre meglio
definito di centro pedagogico e culturale sul territorio. Ciò che
cresce nella convinzione, fatica tuttavia a trasmigrare nella
progettualità pedagogica e nella pratica didattica. Trasparenza e
apertura sono qualità che favoriranno la presenza della SC sul
territorio. E’ da sottolineare come le “scuole materne” siano
83
profondamente radicate nel territorio in cui operano.
La Scuola Cattolica costituisce un servizio, una presenza, un
segno: è chiamata a proporsi come figura pedagogica e
scolastica innovativa e profetica, capace si suscitare consensi e
adesioni in forza unicamente della qualità della sua proposta
educativa, centrata sulla visione integrale della persona, della
sua realizzazione sul piano personale e delle relazioni sociali,
esemplare per contenuti, modalità di lavoro, relazioni
interpersonali, offerta educativo-didattica. Capace, in tal modo,
di stimolare anche la comunità cristiana a un maggiore impegno
nel campo educativo e scolastico. Il Vangelo, infatti, non vi si
esprime per scampoli aggiuntivi, ma come ispirazione e
dinamismo che fa la storia e si fa storia. La Scuola Cattolica è
punta avanzata del progetto culturale. Essa cura, perciò, il
dialogo e il confronto aperto e franco con le realtà istituzionali,
sociali ed educative sul territorio, nella fondata convinzione di
offrire un modello di prassi pedagogica altamente qualitativo.
La comunità cristiana è chiamata a un maggior ‘investimento’
in cultura, anche attraverso le Scuola Cattolica e a promuovere,
un’idea alta di educazione e di scuola.
84
e l’incidenza sulle realtà socioculturali
Dar vita a un efficace organismo di coordinamento, come
prima concreta espressione di condivisione ecclesiale, prima
ancora che di operatività funzionale. Dialogo e collaborazione
tra le Scuole Cattoliche sono indispensabili per superare le
frammentazione che ancora sussiste tra di esse.
85
PARTE V
LE CONCLUSIONI
critica e sistematica della cultura”. Il suo impegno educativo include la proposta della
fede cristiana: una proposta che non teme, ma promuove e dilata la razionalità, la
consapevolezza critica, la libertà responsabile; una proposta che si offre con fiducia alla
verifica del pensiero e dell’esperienza vissuta.
Penso che l’autonomia scolastica, prospettata dalla legge Bassanini (n. 59/97)
art. 21, se verrà attuata come vera autonomia gestionale, organizzativa, pedagogica e
didattica, possa incontrare presso di noi un consenso generale.
Per conseguire la sua finalità primaria di educare alla consapevolezza critica,
alla libertà responsabile e ai valori umani, la scuola ha bisogno dell’autonomia; ha
bisogno di costruirsi come comunità di ricerca e di dialogo, di rapporti interpersonali e
di esperienza sociale, valorizzando il più possibile la partecipazione degli studenti e
degli altri soggetti che interagiscono con loro: i docenti, i dirigenti, il personale, le
famiglie, le comunità locali e i soggetti di maggior rilievo sul territorio.
L’autonomia consente a ogni Istituto di darsi un progetto educativo e quindi
rende possibile la differenziazione delle offerte formative e la sana competizione, a
vantaggio degli alunni e della crescita culturale.
Con l’autonomia, la scuola tende a diventare sempre più “scuola della società
civile”, mentre viene limitato il ruolo gestionale dello Stato, che peraltro conserva
pienamente il suo ruolo, proprio e inalienabile, di governo e di garanzia. Il sistema
dell’autonomia è aperto, come a suo logico e coerente compimento, anche alla parità
giuridica ed economica delle scuole non statali.
La parità scolastica non è una questione cattolica, ma “una questione generale di
libertà civile e di pubblico interesse” (C. Ruini, Prolusione). Il riconoscimento effettivo
di essa non può essere ulteriormente rinviato, senza recare danno allo stesso sviluppo
culturale ed economico del Paese. Non si tratta solo di rispettare il diritto, peraltro
importantissimo, delle famiglie alla libertà di educazione, ma anche di venire incontro
alla domanda di maggiore efficienza, di modernità e rispondenza alle sfide della
complessità, del pluralismo e dell’integrazione europea. Il regime di quasi monopolio
statale dell’istruzione fa male alla stessa scuola di Stato. Mi pare che, senza modifiche
incisive, tali da assicurare la piena e perciò paritaria libertà di scelta educativa ai
cittadini e alle famiglie, e una sana costruttiva emulazione, gran parte dell’Assemblea
sia concorde nel ritenere che la proposta di legge, già approvata in Senato e ora in
discussione alla Camera, qualora rimanga così com’è, non sia accettabile (in quanto
insufficiente a soddisfare le esigenze di una vera parità).
Le scuole cattoliche da parte loro si collocano agevolmente nel sistema
dell’autonomia, perché da sempre sanno caratterizzarsi per i progetti educativi, che
dell’autonomia costituiscono il cuore. Esse ritengono di avere le carte in regola per
entrare, come parte integrante, nel sistema pubblico di istruzione e di formazione,
perché svolgono un servizio di interesse generale.
Verso il Mistero divino tende il nostro dinamismo spirituale. Il rapporto con lui segna
tutto il cammino storico dell’umanità; la religione è al centro di ogni grande tradizione
culturale e si ripercuote su tutti gli elementi della cultura: costumi, famiglia, vita sociale,
lavoro, economia, letteratura, arte, musica, pensiero filosofico e persino scienza.
Nessuna scuola, neppure quella statale, se vuole essere fedele al suo compito di
servire la cultura e l’educazione, può sottovalutare la dimensione religiosa dell’uomo e
della civiltà. Il confronto con il fatto religioso, e in Italia con la tradizione cristiana del
nostro popolo, non può non entrare tra i contenuti essenziali della formazione di base.
Quanto alla scuola cattolica, essa fa riferimento esplicito alla rivelazione di Dio
in Cristo, alla storia e alla vita della comunità ecclesiale. Costituisce anzi un vero e
proprio soggetto ecclesiale, una comunità educante, animata da spirito evangelico. La
sua offerta culturale e formativa si caratterizza come sintesi di cultura, fede e vita, per la
maturazione umana e cristiana dei giovani. L’ispirazione cristiana lungi dal mortificare,
rafforza ed esalta la comunicazione critica della cultura, la ricerca della verità, la
crescita della libertà nella carità.
Oggi in Italia si avverte l’esigenza che le scuole cattoliche, nella loro interazione
con i vari mondi vitali, intensifichino il loro rapporto con la comunità ecclesiale, a
cominciare dalle sue espressioni più vicine (come l’Istituto religioso, la parrocchia, la
diocesi).
Da parte sua la comunità ecclesiale dovrà “convertirsi”, come è stato detto, “alla
scuola cattolica” e considerarla sempre più “scuola della comunità cristiana”,
espressione della propria tensione e capacità educativa, via privilegiata all’attuazione
del Progetto culturale orientato in senso cristiano.
Le diocesi, seguendo l’esempio e le indicazioni del Santo Padre, sono invitate a
prestare un’attenzione più assidua e concreta alla scuola cattolica, curando innanzitutto
la crescita di una coscienza diffusa a riguardo di essa, specialmente presso i sacerdoti e
gli operatori pastorali. Assumano nei confronti delle scuole del loro territorio un ruolo
efficace di sostegno e di coordinamento, incoraggiando le comunità religiose gravate dal
peso di istituti scolastici, collegando a rete le scuole, promuovendo iniziative di
supporto alla qualità del servizio scolastico, proponendo nuove forme di gestione e
procurando aiuti economici alle scuole in difficoltà gestionali.
A livello nazionale saranno perfezionati, nella loro rappresentatività e nel loro
funzionamento, il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica e il Centro Studi per la
Scuola Cattolica. Si cercherà di incrementare il più possibile il fondo di solidarietà che
si sta avviando con la “carta aurea dell’Educazione”, un felice incontro tra le realtà
economico-finanziarie e la partecipazione dei cittadini e delle famiglie finalizzato a
sostenere progetti di qualità.
Sarà premura di questa Segreteria Generale della C.E.I. portare a conoscenza di
tutti i Vescovi le valutazioni, le proposte e le attese, emerse da questa Assemblea;
continuare ad accompagnare il cammino della scuola cattolica in Italia, che ci
auguriamo possa diventare presto meno faticoso di quello che è attualmente.
A tutta la scuola, statale e non statale, auguriamo di rinnovarsi e qualificarsi
come servizio insostituibile alla cultura del Paese e all’educazione dei giovani, che
varcano la soglia del terzo millennio. Per loro la scuola possa essere, come suggerisce il
manifesto di questa Assemblea, una porta: una porta di accesso alla conoscenza critica
della realtà, alla libertà autentica, all’inserimento nel lavoro e nella società, a un futuro
illuminato dalla speranza.
5
CONCLUSIONI OPERATIVE
1. Introduzione
1
Cfr. Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (Ed.), Per un progetto di scuola alle soglie del XXI secolo. Assemblea
Nazionale sulla scuola cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999. Documento preparatorio, Paoline, Milano 1999, pp.22-24.
2
Cfr. Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (Ed.), o.c., pp. 24-26.
3
Cfr. Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (Ed.), o.c., p. 29.
4
Cfr. Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (Ed.), o.c., pp. 30-31.
2
che esprimono la Scuola Cattolica come sistema a livello nazionale, ossia il Consiglio Nazionale della
Scuola Cattolica con funzioni di rappresentanza e di indirizzo, e il Centro Studi per la Scuola
Cattolica con quelle di documentazione, ricerca e sperimentazione. In altre parole è il progresso
culturale dei soggetti dentro la Scuola Cattolica che la rende capace di divenire costruttiva del nuovo
nella società civile.
Infine, benché l'aspetto fosse stato ampiamente affrontato nel I Convegno, si è voluto ancora riflettere
sui rapporti con la comunità cristiana per potenziare il ruolo pastorale della Scuola Cattolica, per
promuovere la ministerialità delle varie componenti e per affrontare il problema drammatico delle
scuole in difficoltà.
L’Assemblea ha fatto emergere delle costanti fondamentali e alcune novità pedagogiche che
hanno mostrato la vitalità della Scuola Cattolica. Le più significative sono le seguenti.
1) La centralità dell’alunno
Per riuscire a disegnare le prospettive future della Scuola e della Formazione Professionale del
nostro Paese, occorre prima di tutto dimostrare grande attenzione nei confronti degli alunni e reale
sensibilità educativa, lasciandosi interpellare e facendosi mettere in discussione dall'universo
giovanile e dai mondi vitali a cui appartengono i giovani (famiglie, realtà produttive, comunità locali
e la più ampia società civile) con i loro tratti specifici, le loro attese, i loro problemi, il loro disagio5.
Occorre partire dalla capacità di ascolto della "domanda educativa", interpretata non solamente come
un bisogno del soggetto, da identificare e a cui provvedere, ma come una esigenza di
compartecipazione del soggetto stesso all'itinerario educativo della Scuola in vista della elaborazione
di una risposta adeguata alle sue esigenze.
5
Cfr. G. Malizia, Nuove esigenze educative e scuola cattolica. Saper ascoltare la domanda per cambiare la scuola.
Relazione, Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, p.1.
6
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Le riforme scolastiche. Laboratorio n. 1, in Guida ai lavori, Assemblea
Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, pp.21-27.
3
Il soggetto educante naturale di una Scuola e quindi il soggetto promotore della stessa, è
sempre la persona nel suo diritto naturale e nel suo vario e diversificato associarsi: questo soggetto
vuole diventare anche responsabile e perciò "gestore" della Scuola nel suo complesso.
Oggi le attese della gente comune in fatto di educazione stanno rompendo il cerchio
Stato-Mercato perché il desiderio di relazioni più appaganti fondate sulle libere scelte di una persona,
responsabile di sé e degli altri, aperta al gusto del vivere attraverso una molteplicità di interessi
gratuiti ma capace anche di emettere giudizi sulla società stessa, non è soddisfatto né dalle Stato né
dal Mercato.
7
E. Antonelli, Conclusioni: prospettive di impegno, Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre
1999, p. 3.
4
professionali, delle stesse persone dei dirigenti, dei docenti, degli studenti e dei genitori che formano
le comunità educanti8.
4) L’apporto dei mondi vitali dei soggetti alla elaborazione della progettualità formativa
Il progetto culturale di base di una Scuola Cattolica si specifica come prodotta da due
soggettività, quella professionale della tradizionale cultura umanistico-scientifico-tecnologica, e
quella esperienziale e sapienziale. Quest'ultima è riconducibile ai valori (convinzioni, scelte,
testimonianze) che orientano le scelte di vita e i significati che essa assume nei soggetti che
compongono la comunità educante: i docenti (in quanto essi stessi portatori di scelte di vita), i
genitori, gli alunni, le forze sociali, economiche, culturali del territorio, la stessa comunità ecclesiale
locale.
La progettualità formativa dovrebbe caratterizzarsi per una continua interazione tra sapere
scientifico e "mondi vitali" in cui tutte le componenti culturali, a cui la comunità scolastica fa
riferimento per qualificare la propria identità formativa, sono coinvolte in quanto portatrici di valori,
credenze e tradizioni. Nell'ottica di una piena educatività occorre chiedersi come possano interagine
nella Scuola e più precisamente nel delineare i contenuti essenziali del curricolo questi due contributi
educativi culturalmente non omogenei fra loro in vista di un arricchimento della razionalità critica9.
Da questo punto di vista, appare particolarmente significativo l'apporto dei genitori; ma si può
segnalare anche l'opportunità d una riflessione sulla presenza del lavoro manuale come fonte di
cultura diversa per e nella Scuola e sulla funzione formativa dei Centri di Formazione Professionale
in un sistema integrato di Scuola Cattolica.
8
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Valorizzazione dei soggetti nella scuola, o.c., pp. 37-38.
9
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), I contenuti essenziali dell'offerta educativa. Laboratorio n. 2, in Guida ai
lavori, o.c., p. 32.
10
Congregazione per l'Educazione Cattolica, Dimensione religiosa dell’educazione nella Scuola Cattolica, Roma, 1988,
n.6.
5
extracomunitaria e quindi operanti in un contesto sempre più caratterizzato dal pluralismo culturale e
religioso.
7) La presenza della dimensione umanistica non solo nei percorsi umanistico-scientifici tradizionali,
ma anche in quelli tecnico-tecnologici e in quelli professionali
Si tratta di un'esigenza pedagogica che appartiene alla tradizione della Scuola Cattolica e che
il Card. Camillo Ruini ha così espresso: “ […] occorre aver presente il rischio che il sistema di
istruzione e formazione che le riforme vanno delineando sia concepito pressoché esclusivamente in
funzione degli sbocchi professionali e delle esigenze del sistema produttivo, per la competitività
dell’Italia nel contesto europeo ed internazionale, caratterizzato dalla competizione globale dei
mercati.
Le professioni e il lavoro devono certamente entrare in gioco, con il loro peso specifico, nella
progettazione del percorso scolastico. Anzi, essi hanno senz’altro in sé una valenza formativa e
culturale, come testimonia anche la ricca e feconda esperienza dei Centri di Formazione
Professionale che costituiscono un’espressione ed una componente assai rilevante della scuola
cattolica.
Ma, se nella società del futuro la conoscenza sarà la principale risorsa personale e se, come
si legge nella Centesimus annus (n. 31), “la principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”, allora
emerge con chiarezza che il riferimento alle competenze professionali è insufficiente a costituire una
base antropologicamente ed eticamente valida per l’opera formativa della scuola. Non possono
dunque essere lasciati in ombra gli aspetti più propriamente umanistici e personalistici della
formazione, senza i quali sarebbe impossibile progettare interventi di educazione, formazione ed
istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, come afferma l’art. 1 del Regolamento
sull’autonomia scolastica”12.
11
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Istruzione e formazione professionale, o.c.,pp. 39-44. Cfr. anche I contenuti
essenziali della formazione di base. Bozza di documento in vista dei futuri programmi nel contesto dell'autonomia, Roma
8 aprile 1998.
12
C. Ruini, Prolusione, Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, p. 6. Circa il rapporto
istruzione ed educazione cfr. O. Grassi, Relazione, Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre
1999, pp.6-8. Dal punto di vista delle conseguenze per l'elaborazione del curricolo cfr. C. Scurati, Relazione, Assemblea
Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, pp.1-6.
6
13
Cfr. I. Verhack, L'educazione in dimensione europea. La prospettiva culturale, Assemblea Nazionale sulla Scuola
Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, pp.5-9. Oltre all'apporto di questa relazione, va ricordata la presenza di una
rappresentanza significativa del Comité Européen de l'Enseignement Catholique.
7
Calandosi nel quadro complessivo delle riforme in corso, l’Assemblea, attraverso la voce del
card. Camillo Ruini, ha usato una espressione concisa ma significativa: dalla Scuola dello Stato alla
Scuola della società14.
Il punto nodale è costituito dalla necessità di dare vita a una Scuola effettivamente adeguata
alle esigenze dell'attuale società pluralistica, capace di dare risposta al bisogno educativo, formativo e
istruttivo delle persone mediante una sua riorganizzazione complessiva da attuarsi nell'ottica di un
nuovo modello di sviluppo democratico, sociale ed economico .
Ma, perché la Scuola possa fare tutto questo, deve in primo luogo essere dotata del
fondamentale valore educativo che propone alle persone; deve, cioè, essa stessa essere "libera”. Non
si tratta solamente di garantire una Scuola funzionante: si vuole prima di tutto la Scuola libera.
Qui si colloca il messaggio centrale dell'Assemblea: parità = libertà .
Il tema della parità è stato posto dall'Assemblea non solo per le ragioni di principio che tante
volte sono state illustrate, ma anche in rapporto alla fase di cambiamento che l’Italia e la Scuola
italiana stanno attraversando, ossia come uno snodo fondamentale del rinnovamento del nostro
sistema sociale e formativo.
Il binomio parità-libertà introduce elementi di innovazione non episodici o parziali, ma
sostanziali e generali da adottarsi come criteri di riforma e di rifondazione complessiva del sistema
stesso in quanto inquadrano l'educazione e l'istruzione scolari nel contesto dei rapporti tra Stato e
società civile. L'Assemblea ne ha colto due significativi risvolti15:
– dal punto di vista del pieno riconoscimento dei diritti della persona in ordine alla libertà di
insegnamento, di apprendimento e di educazione;
– dal punto di vista istituzionale, cioè come diritto di Enti e privati di istituire scuole.
Ci si è già soffermati sul primo aspetto nella sezione 2. Passando a considerare il sistema
formativo nell'ottica della parità-libertà e dal punto di vista istituzionale, l'Assemblea lo ha ipotizzato
come sistema allargato o "integrato" basato su una convergente dinamica sociale a tre dimensioni:
l'iniziativa costituzionalmente obbligatoria dello Stato di istituzione di scuole statali, l'azione
complementare non sostitutiva, ma raccordata ai diritti di scelta educativa della società civile, del
"privato-sociale", le opportunità offerte dal libero mercato che può disporre di grandi risorse da
mettere a servizio della società. In particolare, per quanto riguarda la natura sociale della Scuola
Cattolica, l'Assemblea ne ha configurato l'identità come espressione del "privato-sociale" come
iniziativa, cioè, che, promossa da Enti ecclesiastici e/o di ispirazione cristiana, non si propone finalità
di lucro, ma è finalizzata a scopi di pubblico interesse e allo sviluppo, mediante la diretta
partecipazione dei cittadini, della libertà e della responsabilità civile in campo educativo e formativo.
Il principio della Scuola come espressione della società civile non è una posizione di parte, ma
è in linea con le tendenze internazionali più accreditate della politica dell'educazione. E' sufficiente
menzionare la "cité éducative" del Rapporto Faure (cioè che l'educazione è una responsabilità della
società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative
formative) o la tesi del rapporto Delors che l'educazione riguarda tutti i cittadini, resi ormai attori da
consumatori passivi che erano prima16. In altre parole la proposta educativa della Scuola Cattolica
non rimane solo momento formativo dei propri soggetti, ma diviene elemento attivo nel processo di
costruzione della società civile.
14
C. Ruini, Prolusione, o.c., p. 5.
15
G. Garancini, Riforme e aspetti costituzionali, Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999,
pp. 1-5.
16
Cfr. E. Faure et alii, Learnig to be, Unesco/Harrap, Paris/London 1972, pp.160-165; J. DELORS et alii, L'éducation. Un
trésor est caché dedans; Paris, Editions Unesco/Odile Jacob, 1996, pp. 175-203.
8
3.2. A questo concetto possono essere ricondotte le osservazioni più rilevanti formulate intorno ai
seguenti elementi:
– l’autonomia;
– il riordino dei cicli;
– il disegno di legge sulla parità;
– un modello di sviluppo della formazione non scuolacentrico;
– la riforma dei “saperi”, cioè dei contenuti essenziali comuni ad ogni tipo di Scuola;
– il contributo dello specifico culturale della Scuola Cattolica, e cioè del rapporto ragione-fede e
ragione-vita, alla riforma del curricolo della Scuola e della Formazione Professionale.
3.2.1.L'autonomia
L'art.21 della legge Bassanini, n.59/97 e i regolamenti attuativi segnano un passo molto
significativo verso la realizzazione dell'autonomia degli istituti nel nostro sistema scolastico. Con
l'attribuzione della personalità giuridica essi contribuiscono al potenziamento dell'autogoverno
delle singole strutture formative. La normativa sull'autonomia didattica, organizzativa e finanziaria
può facilitare alla singola Scuola la realizzazione del compito di gestire la sua vita sulla base
della libertà dei soggetti educativi, è in grado di aprire le strutture formative alle esigenze locali,
rendendole più sensibili e attente ai bisogni del territorio e può stimolare la creatività dal basso.
Tuttavia, se la Scuola è espressione della società, allora è chiaro che l'autonomia non può
essere identificata con il decentramento. Quest'ultimo infatti rafforza i poteri delle autonomie locali e
territoriali (Regioni, Province e Comuni), ma non comporta l'autogoverno della comunità e della
società civile. Da questo punto di vista, la legge Bassanini e i regolamenti attuativi, pur costituendo
un indubbio progresso rispetto al centralismo rigido e inefficiente del passato, si dimostrano
insufficienti per l'oscillazione continua tra una impostazione in senso burocratico-razionale che
mantiene un rapporto gerarchico tra le componenti del sistema e il riconoscimento di competenze e
diritti originari alle comunità educative. Inoltre, dopo l'approvazione del disegno di Legge sulla parità
che ha sancito il riconoscimento del servizio pubblico della Scuola non statale paritaria, la Scuola
Cattolica dovrà verificare:
– che non si possa e debba applicare anche ad essa il criterio del dimensionamento degli istituti sul
territorio che è stato adottato per scuole statali ai fini del conferimento della personalità giuridica;
– se, in quanto servizio pubblico, non possa anch'essa richiedere agli Enti locali adeguati
provvedimenti e sovvenzionamenti in ordine alla manutenzione e messa a norma degli edifici
scolastici.
3) la riduzione di un anno del percorso scolastico consente l'allineamento - quanto alla durata
temporale - del nostro sistema con quello della quasi totalità degli altri paesi dell'Unione Europea;
4) proprio perché introduce rilevanti cambiamenti strutturali e organizzativi, il riordino dei cicli non
può essere inteso come una delega in bianco al Ministro, ma deve avvenire attraverso un ampio
coinvolgimento della società civile: infatti non si tratta solo di una revisione di aspetti puramente
formali, ma di problemi che richiedono una consultazione di tutti i soggetti interessati, specialmente
quando si tratta della ristesura dei programmi e dei curricoli connessi all’introduzione di nuovi cicli di
studio;
5) la legge sul riordino dei cicli si presenta come un contenitore vuoto e proprio perché tale richiede
un'attenta valutazione dei rischi che potrebbero insorgere nella fase di elaborazione delle norme
attuative. Li elenchiamo qui di seguito:
– particolare considerazione dovrà essere rivolta alla scuola di base; non si tratta infatti di procedere a
una fusione delle due scuole, elementare e media, ma al contrario di potenziarne le valenze specifiche
nel rispetto sia delle esigenze evolutive degli alunni, sia delle competenze specifiche dei docenti;
– il biennio della Scuola secondaria (gruppo di età 13-15) rischia di assumere un carattere di
indifferenziata genericità che potrebbe penalizzare sia i ragazzi che hanno già deciso di non voler
continuare gli studi sia quelli che intendono proseguirli, se non verrà attribuito alla Formazione
Professionale un ruolo paritario e coordinato con il sistema di istruzione;
– il biennio della secondaria non dovrebbe perdere il suo carattere di Scuola superiore, in quanto
questo ridurrebbe di fatto la secondaria superiore a un triennio;
– l'adeguamento all'Unione Europea non dovrebbe portare a una subordinazione della secondaria
superiore alle esigenze del mercato del lavoro, mettendo a rischio il tradizionale carattere umanistico
di tale Scuola;
6) andrebbe definitivamente risolta la questione dell'attribuzione dell'Istruzione professionale alle
Regioni secondo quanto prescritto dal dettato costituzionale e già previsto dalla legge quadro sulla
Formazione professionale del 1978.
3.2.3. La parità
Se l'educazione è una responsabilità della società prima che dello Stato, è chiaro che accanto
a quest'ultimo tutti i gruppi, le associazioni, i sindacati, le comunità locali e i corpi intermedi
dovranno realizzare il compito educativo che spetta a ciascuno di loro. Il diritto all'educazione viene
assicurato non solo dalle istituzioni statali, ma anche da una pluralità di strutture educative pubbliche
e private. Queste ultime, in quanto operano senza scopo di lucro, hanno diritto di ricevere adeguate
sovvenzioni statali.
Eppure non è questa la strada seguita nella legge 6270 sulla parità che è stata approvata
definitivamente lo scorso 2 marzo. Come è stato chiarito opportunamente nella relazione conclusiva
dell'Assemblea, “La parità scolastica non è una questione Cattolica, ma "una questione generale di
libertà civile e di pubblico interesse" […] Non si tratta solo di rispettare il diritto, peraltro
importantissimo, delle famiglie alla libertà di educazione, ma anche di venire incontro alla domanda
di maggiore efficienza, di modernità e rispondenza alle sfide della complessità, del pluralismo e
dell’integrazione europea. Il regime di quasi monopolio statale dell’istruzione fa male alla stessa
Scuola di Stato”18. In proposito rimangono pienamente attuali le parole con le quali Giovanni Paolo II
sintetizzava la situazione a conclusione della Assemblea Nazionale sulla Scuola Cattolica
nell’ottobre scorso: “Il principale nodo da sciogliere è indubbiamente quello del pieno
riconoscimento della parità giuridica ed economica tra le scuole statali e non statali, superando
antiche resistenze estranee ai valori di fondo della tradizione culturale europea. I passi recentemente
compiuti in questa direzione, pur apprezzabili per alcuni aspetti, restano purtroppo insufficienti”19.
18
E. Antonelli, o.c., p. 3.
19
Giovanni Paolo II, Discorso del Santo Padre alla scuola cattolica, Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica, Roma,
27-30 ottobre 1999, p. 2.
10
Infatti si tratta di un testo che già nel titolo – Norme sulla parità scolastica e disposizioni per il
diritto allo studio e all’istruzione – mostra i suoi limiti di incompiutezza e ambiguità.
– Infatti, dalle “Norme sulla parità”, che regolano gli aspetti giuridici delle scuole che la chiedono,
non si traggono fino in fondo le logiche e naturali conseguenze sotto tutti gli altri aspetti, compresi
quelli finanziari, che si potrebbero sintetizzare con la formula: “pubblico servizio - pubblico
finanziamento”;
– inoltre, sul tema della parità si inseriscono, in modo inaspettato e ambiguo, disposizioni finanziarie
che riguardano il diritto allo studio con l’assegnazione di borse di studio del tutto inadeguate a
coprire le spese di istruzione derivanti dalla scelta di una Scuola paritaria da parte delle famiglie, alle
quali è riconosciuto il diritto prioritario di provvedere all’istruzione ed educazione dei figli in piena
libertà e senza discriminazioni di sorta soprattutto nella fascia dell'obbligo scolastico, per la quale la
stessa Costituzione e il diritto internazionale sanciscono la piena gratuità (art.34).
Al tempo stesso va messo in evidenza che nel testo della nuova legge sono da considerare
apprezzabili alcuni aspetti fondamentali di carattere giuridico quali: l'affermazione relativa al sistema
nazionale dell'istruzione; l'espresso riconoscimento del servizio pubblico delle scuole paritarie; la
piena libertà culturale e pedagogica con il diritto di dichiarare nel progetto educativo la propria
ispirazione ideologica o religiosa; la libertà riconosciuta al gestore di scegliere il personale dirigente
e docente, purché fornito, come attualmente, di abilitazione; la possibile equiparazione per le scuole
senza fini di lucro, alle organizzazioni ONLUS.
Poiché anche le forze politiche che hanno contribuito all’approvazione della legge rilevano
questi stessi limiti, parlando di tappa verso la parità, si ritiene che la strada da seguire in futuro sia quella
di impegnare tutte le forze politiche attive in Parlamento per la ripresa del cammino verso il traguardo
finale. Si tratta, infatti, di un obiettivo di civiltà per l’intera nazione, non di un privilegio di pochi, che
contribuirà certamente anche ad una maggiore vitalità dello stesso impianto generale del sistema
nazionale di istruzione, che dal pluralismo culturale delle istituzioni scolastiche statali e paritarie nel
contesto dell’autonomia riceverà nuovo e decisivo slancio per l’attuazione delle riforme.
3.2.5. La riforma dei “saperi”, cioè dei contenuti essenziali comuni ad ogni tipo di scuola
20
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Istruzione e formazione professionale, o.c., pp. 40-41.
11
Dato che nella società attuale l'educazione viene ad assumere una posizione centrale, è chiaro
che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioni consiste proprio in una
formazione solida. Questa non va intesa in un senso riduttivo come semplice istruzione o
addestramento, ma deve fornire a ognuno le capacità per vivere al meglio in una società complessa. Si
tratta di aiutare la totalità dei giovani, soprattutto quelli più emarginati, ad acquisire una preparazione
valoriale, culturale e professionale elevata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo
sempre più articolato e privo di punti di riferimento forti, capaci di dare alle opzioni degli individui un
orizzonte di senso e di significato e di offrire una guida alla discrezionalità dell'agire umano e una
prospettiva di futuro nel mondo del lavoro e delle professioni.
In questa cornice si colloca la convinzione da parte della Scuola Cattolica che l’educazione
religiosa e morale non può venire esclusa dalla Scuola statale o considerata come un optional, ma
costituisce una dimensione essenziale dei processi di istruzione e di formazione. Ciò deriva dal
principio che l’educazione è mirata alla maturazione piena della persona.
3.2.6. Il contributo dello specifico culturale della Scuola Cattolica, e cioè del rapporto ragione-fede
e ragione-vita, alla riforma del curricolo della Scuola e della Formazione Professionale
a. Ragione-fede
b. Ragione-vita
L’Assemblea si è caratterizzata come voce della società civile, e quindi portatrice delle
esigenze del territorio, delle culture locali, dei “mondi vitali”, delle concrete persone e famiglie non
solo con i loro bisogni di crescita e di formazione, ma anche con l’esigenza di essere soggetti
dell’elaborazione culturale e formativa da offrire/proporre ai giovani e da sviluppare insieme ad essi.
21
E. Antonelli, o.c., p. 3.
12
Questa soggettività culturale della società civile chiede di poter rispondere, insieme al
mondo della Scuola portatore di competenze professionali specifiche, alle esigenze dei giovani, in
qualità di componente essenziale nella costruzione della progettualità pedagogica e culturale delle
istituzioni scolastiche e formative.
In particolare, la Scuola Cattolica, in quanto espressione di tale soggettività, con
l’Assemblea ha voluto scegliere per sé e offrire a tutte le altre scuole questa ipotesi: una educazione
scolastica e formativa è culturalmente significativa quanto più introduce nel curricolo e nel piano
della sua offerta formativa una proposta di sintesi tra CULTURA E VITA, coordinando cioè il
contributo, nel medesimo impianto progettuale finalizzato all’educazione, dei soggetti portatori di
significato (genitori, studenti, forze sociali, comunità cristiana e docenti stessi, in quanto testimoni di
valori) accanto a quelli in possesso di specifiche competenze professionali.
4.1.1. Quanto alla parità, oltre a ciò che è stato affermato nella sezione precedente come contributo
alla riforma del sistema di istruzione e di formazione, le linee operative del dopo-Assemblea,
all’interno delle scuole cattoliche, potrebbero pertanto focalizzarsi sui seguenti punti:
– dal momento che, attualmente, le "norme generali" sono definite nel Decreto Legislativo 16 aprile
1994, n.297 "Testo Unico delle disposizioni Legislative in materia di istruzione" e poiché in esso, al
Titolo VIII "Istruzione non statale" non si configurano le "scuole non statali paritarie", rimane di fatto
tutto da definire nell'ordinamento scolastico il rapporto tra Scuola statale e Scuola pubblica non
statale paritaria alla luce dell'art.33 e della legge paritaria da poco approvata. Durante la revisione
complessiva delle disposizioni normative attualmente sparse e settoriali si dovranno portare a piena
realizzazione tutte le potenzialità insite nelle nuove disposizioni (cfr. sopra n.3.2.3);
– la necessità di definire la pari pubblicità delle scuole statali e non statali rispetto ad un comune
punto di riferimento: le norme generali dell'istruzione;
– il rapporto con la pubblica amministrazione (Ministero della Pubblica Istruzione) in ordine ad
esami, commissari governativi, prese d'atto ecc..
4.1.2. Quanto al rapporto tra Istruzione e Formazione Professionale, l'Assemblea ha ribadito che
è necessario passare da un sistema centrato unicamente sulla struttura scolastica ad uno policentrico.
Più in particolare è necessaria l’attuazione di alcune opzioni di fondo quali:
a. l’autonomia degli organismi: non vi è possibilità di sviluppare progetti educativo-formativi
adeguati alle nuove sfide se non in presenza di una responsabilità reale da parte degli Enti formativi
affinché possano meglio corrispondere alle caratteristiche del contesto locale in coerenza con la
propria proposta formativa. L’autonomia - in una prospettiva di impresa sociale di servizi - è la chiave
per elaborare una strategia formativa ed un curricolo nel quale l’allievo possa effettivamente
riconoscersi, per sviluppare una “managerialità educativa e sociale” da parte delle figure direttive ed
13
una professionalità adeguata delle figure intermedie e dei formatori ed infine per creare legami
arricchenti tra il Centro ed i soggetti che operano nel contesto, in una logica di reciprocità;
b. la concertazione e la strategia di rete: la domanda di formazione deve essere individuabile
mediante momenti di intesa e di concertazione per evitare l’autoreferenzialità degli organismi
erogativi. Inoltre vanno create le condizioni perché si sviluppino forti occasioni di cooperazione tra
Scuola-Centro di formazione e impresa, tra questi e le strutture dei servizi e tra i vari attori presenti
nel territorio;
c. la qualità dell’educazione-formazione: è fondamentale lo sforzo orientato a definire i requisiti di
accreditamento di tutti gli organismi che intervengono nel sistema educativo-formativo. Ciò deve
rappresentare lo stimolo per operare non solo in una logica di aderenza a requisiti minimi, ma anche di
vero e proprio sistema-qualità della formazione. Solo in questo modo l’accreditamento e, in generale,
le nuove logiche di regolazione del sistema formativo, potranno rappresentare un’occasione di
qualificazione del sistema - nella prospettiva di un autentico “successo formativo” - e non un ulteriore
filtro burocratico-formale da superare nel modo più utilitaristico ed indolore possibile;
d. in questa cornice il curricolo e l’innovazione dei contenuti essenziali diventa il centro del dibattito
sul nostro sistema di istruzione e di formazione. L’attenzione va posta sulla ricerca dell’essenziale e
sulla definizione delle conoscenze e competenze di base. I punti operativi di rilevante interesse su cui
ci si dovrebbe soffermare nel dopo-Assemblea sono i seguenti:
– il rilancio della cultura generale;
– la formazione al lavoro;
– la ricorrenza (alternanza) tra studio e lavoro;
– l’interazione e la diversificazione a livello di Scuola secondaria e di Formazione Professionale,
soprattutto nell’obbligo scolastico e in quello formativo;
– la diffusione della Formazione Integrata Superiore;
– la promozione dell’integrazione armonica tra formazione generale, scientifica, tecnica e
professionale22.
4.1.3. Circa i contenuti essenziali e il curricolo occorre rilevare che l'autonomia richiede di
adeguare le indicazioni generali e "obbligatorie" dei programmi al territorio e alle persone (cfr.
Regolamento dell'Autonomia delle istituzioni scolastiche DPR 25.2.99, art.8). Il contesto sociale e
culturale della "società cognitiva" ha accentuato la necessità di operare delle scelte sul piano
contenutistico e di tenere conto non solo dei contesti disciplinari, ma anche delle capacità trasversali e
dei valori di riferimento. Tutto ciò richiede una "giustificazione" del curricolo scelto che spetta alle
scuole.
Già a partire dall'Assemblea nazionale si dovrebbero confrontare criteri di approccio al
curricolo ed esperienze realizzate sulle seguenti tematiche.
Se la Scuola è standardizzata e unica, si rischia che i soli valori su cui può esserci accordo
sono valori di “basso profilo” anche se importanti (il rispetto dell’ambiente, la pace, la
multiculturalità...). Viceversa in un contesto pluralistico la presenza di scuole che, come quella
Cattolica, si propongono l’obiettivo di rinforzare l’identità dei giovani ricostruendo la continuità fra
le generazioni e le radici storiche della cultura a cui appartengono, non contrasta affatto con la
diffusione della multiculturalità. Nella Scuola Cattolica il riferimento a un sistema forte di valori, che
possono essere identificati con i principi base della cittadinanza, comuni a tutti i cittadini, ma che
lasciano spazio anche alla presenza delle famiglie o dei gruppi sociali dovrebbe, tradotto nel piano
22
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Istruzione e formazione professionale, o.c., pp. 39-44.
14
dell’offerta formativa e nel curricolo, favorire la ricerca di una identità comune proprio mediante la
consapevolezza della propria specifica identità. In un contesto pedagogico pluralistico le scuole
potranno darsi, in autonomia, un riferimento educativo e pedagogico unificante e motivante allo
stesso tempo, costituito, ad esempio, dai seguenti elementi:
– valori e contenuti della cittadinanza;
– valori e contenuti della crescita della persona (affettiva , relazionale, logica…);
– valori e contenuti dell’appartenenza e relazione con i mondi vitali.
La Scuola Cattolica è interessata allo sviluppo di curricoli in cui il riferimento ai “mondi vitali”
di appartenenza sia coniugato con quello dell’educazione a valori universalistici.
4.1.4. Circa la qualità e la valutazione della qualità con la relativa ricerca dei suoi indicatori va
sottolineata l'importanza della ricerca avviata dal CSSC e attualmente in corso che, proprio per gli
obiettivi che si propone, dovrà coinvolgere tutti i livelli della Scuola Cattolica e della Formazione
Professionale23.
Infatti, in relazione alla qualità dell'offerta educativa nella Scuola Cattolica, la ricerca si
propone allo stesso tempo scopi promozionali e di verifica:
a. diffondere una cultura della qualità nella prospettiva della formazione permanente;
b. riconoscere la qualità esistente nelle scuole cattoliche valorizzandola a vantaggio dell’intera
comunità educativa ed ecclesiale;
c. elaborare criteri e indicatori di qualità in cui le scuole cattoliche si riconoscano;
d. elaborare ipotesi che riguardino la dinamica di rilevamento degli indicatori di qualità in ordine sia
all’autovalutazione di istituto e al monitoraggio della qualità stessa sia alla predisposizione di un
sistema di valutazione della qualità nella Scuola Cattolica;
e. studiare l'opportunità di formulare modelli di accreditamento e di certificazione per la Scuola
Cattolica ed elaborare eventualmente una proposta da sperimentare.
Va anche sottolineato come queste finalità siano state tradotte in obiettivi all'interno di tre
sottoprogetti che tengono conto delle caratteristiche dei diversi livelli:
23
Cfr. B. Stenco, Per una cultura della qualità della scuola cattolica: promozione e verifica, Assemblea Nazionale sulla
scuola cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, pp. 1-5.
15
– la Scuola materna,
– la Scuola elementare, la Scuola media inferiore, la Scuola media superiore,
– la Formazione Professionale
e realizzati, tenendo conto delle diverse esigenze, dalla FISM, dalla FIDAE e dalla CONFAP.
Occorre scegliere di promuovere la peculiarità di ciascun soggetto che opera nella Scuola
perché l’anima e l’energia di ogni progetto per la Scuola sono le persone, con i loro compiti e ruoli
specifici. In questa prospettiva è importante sostenere i protagonisti della comunità scolastica. In
particolare l'Assemblea, attraverso i lavori di gruppo del Laboratorio n. 3 "Valorizzazione dei
soggetti nella Scuola", si è soffermata su:
– i giovani e gli studenti
– le famiglie e i genitori
– i docenti
– i dirigenti
– i gestori
nella Scuola, nel contesto territoriale socio-economico-culturale e nel contesto ecclesiale24.
Più in particolare sono state avanzate le seguenti proposte operative:
a. per quanto riguarda i giovani, si suggerisce di:
– valorizzarli come protagonisti primari del proprio cammino formativo e coinvolgerli
nell’elaborazione e nell’attuazione del progetto formativo, evitando sia di contrapporli
demagogicamente agli altri soggetti (conflitto genitori/adulti, studenti/docenti), sia di considerarli
recettori passivi;
– far crescere la loro partecipazione e collaborazione anche attraverso forme associative - non
solamente attraverso gli organi collegiali – in cui coinvolgere gli studenti cattolici anche delle scuole
statali, valorizzandone, per esempio, la presenza nel Forum nazionale dei giovani;
– stimolare i giovani ad accogliere la ricchezza del confronto con i loro coetanei della Scuola statale
(nelle assemblee e negli organismi di partecipazione) e avere il coraggio di inventare con loro e per
loro forme nuove di confronto e di dialogo;
– accogliere, ascoltare, accompagnare e guidare ciascun giovane con “familiarità”, attraverso un
rapporto interpersonale, un dialogo aperto e cordiale per portarlo a coniugare la cultura con
l’esperienza quotidiana e a elaborare un proprio progetto di vita;
– trovare modalità e forme associative per continuare il dialogo con questi giovani quando avranno
terminato il ciclo di studi;
b. per quanto riguarda i docenti, bisognerà far crescere la loro figura avvalendosi anche dell’opera di
associazioni, quali professionisti e autentici testimoni della fede, disponibili ad aderire
responsabilmente al progetto educativo della Scuola e ad esprimere la propria esperienza cristiana in
scelte di vita, conoscenze e attività operative. Nella comunità educativa ci sia un impegno particolare
per la formazione permanente dei docenti sia sul piano professionale sia su quello spirituale e del
“carisma” proprio della Scuola. Si ritiene che i docenti debbano essere corresponsabili sul piano della
decisione educativa, non solo su quello della didattica: per questo si raccomanda una particolare
attenzione nel momento del loro inserimento nelle scuole. Si rileva pure l’importanza di non
sottovalutare l’aspetto della continuità del posto di lavoro e quello della retribuzione. Anche gli
insegnanti debbono poter essere messi nelle condizioni di scegliere di insegnare nella Scuola
Cattolica;
c. per quanto riguarda i genitori, si tratta di valorizzare la loro compresenza e collaborazione sia
24
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Valorizzazione dei soggetti nella scuola, o.c., pp. 36-37.
16
attraverso gli organismi di partecipazione delle scuole sia attraverso il loro associarsi a livello
nazionale. Essi sono attori responsabili del ”patto educativo” perché titolari del diritto-dovere,
affermato dalla Chiesa e sancito dalla Costituzione, di educare i figli. In quanto componenti
qualificati della comunità educativa hanno anche il diritto di essere non solo informati su tutti gli
aspetti gestionali, compresi quelli economici, ma di essere coinvolti pienamente nell’attività
formativa. E’ loro compito e interesse promuovere - in collaborazione con gli altri soggetti -
l’approvazione delle leggi che tutelano e realizzano la libertà di educazione, in particolare quelle che
riguardano i più deboli e svantaggiati, perché la Scuola Cattolica sia Scuola di tutti;
d. per quanto riguarda i dirigenti, bisognerà valorizzare la figura e la funzione del personale direttivo
come coordinatore dell'attività educativa e didattica, interprete delle motivazioni ideali, organizzatore
dell'offerta formativa, in una parola non solo come “manager” ma soprattutto come responsabile
ultimo del Progetto Educativo/Formativo della Scuola/Centro di Formazione Professionale;
e. per quanto riguarda i gestori, si dovrà rivitalizzare il loro ruolo perché garantiscano l’identità
originaria della Scuola e ne assicurino la continuità nel tempo, anche mediante la scelta di personale
direttivo, docente e non docente, secondo criteri che possano fissare autonomamente e liberamente in
coerenza con tale identità, che va continuamente riespressa. Per promuovere la qualità è importante
che la Scuola entri in relazione con le istituzioni pubbliche del territorio e con le altre agenzie
educative, cogliendo tutte le opportunità possibili, anche a livello legislativo.
4.2.2. La soggettività sociale della Scuola Cattolica si esprime anche attraverso i suoi organismi
unitari nella importante fase dell'interlocuzione con il sistema politico
4.2.3. Nuove responsabilità gestionali e nuovi soggetti si richiedono anche per poter affrontare la
delicata problematica legata alle scuole in difficoltà25
25
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Scuole in difficoltà gestionali: proposte di soluzione, Laboratorio n. 5, in
Guida ai lavori, o.c., pp. 45-49.
26
Cfr. F. Ciccimarra, Sintesi del Laboratorio n.5, Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999,
p. 4.
17
Le difficoltà gestionali più serie e più gravi possono essere ricondotte principalmente ai
seguenti fattori:
– invecchiamento e riduzione progressiva del personale religioso in possesso di titoli idonei per
l’insegnamento e per la dirigenza, non sostituibile da altro personale religioso;
– adeguamento ai nuovi contratti di lavoro del personale laico con conseguente aumento degli
importi delle rette che determinano la diminuzione delle iscrizioni, fenomeno a sua volta connesso
con il calo della natalità.
Si impone pertanto la necessità di prestare attenzione ai criteri di selezione del personale, alla
sua qualificazione e al rigoroso rispetto dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro la cui diffusione
in tutte le scuole è da ritenersi doverosa27.
In pari misura si dovrà rafforzare il coordinamento tra Scuola Cattolica, pastorale scolastica e
Congregazione per i religiosi: si avverte la necessità che, dal punto di vista spirituale e formativo, il
carisma educativo dei religiosi sia pienamente valorizzato e capito alla luce di ciò che oggi la Scuola
Cattolica sta elaborando non tanto per se stessa, ma come servizio alla libertà di educazione nella
società italiana.
Circa i modelli di gestione alternativi che possono essere più validi come soluzione delle
difficoltà delle scuole, l'Assemblea si è soffermata sui seguenti: il modello cooperativo, il consorzio,
la creazione di nuovi enti gestori (per es. la case religiose con personalità giuridica) che tengono ben
distinte la responsabilità della gestione della Scuola dal patrimonio congregazionale. Si è accennato
anche al ricorso ai contratti di solidarietà difensivi che in situazioni di emergenza permettono
temporaneamente di evitare licenziamenti e di ridurre il costo del lavoro. In ogni caso occorrerà, nel
dopo-Assemblea, soffermarsi anche su un fattore di importanza strategica: la formazione degli
operatori, dei dirigenti e dei gestori.
La ricerca di nuove soluzioni di coordinamento o di fusione riguarda anche le scuole materne:
ad esempio nei centri storici essa si sta rendendo necessaria a causa della denatalità. I complessi e
specifici problemi connessi (fiscali e organizzativi) stanno richiedendo la messa a punto di moduli di
intervento che richiedono la sensibilizzazione a livello locale dei parroci, delle comunità cristiane
coinvolte nel quadro della pastorale territoriale e diocesana.
Lo scadimento della qualità dell'offerta formativa va riconosciuto come una delle cause che
poi si traducono in difficoltà economiche e gestionali.
Occorre valorizzare ogni iniziativa tendente a creare collegamenti in rete nel territorio tra
scuole cattoliche per quanto riguarda gli aspetti formativi, di aggiornamento e di qualificazione del
personale docente e amministrativo.
Si suggerisce infine che a livello nazionale si proceda a esaminare la fattibilità della
costituzione di un fondo di solidarietà che sia finalizzato al sostegno del pagamento degli stipendi
degli insegnanti di Scuola Cattolica e/o alla creazione di borse di studio per gli alunni bisognosi.
Occorrerà verificare anche l'avvio e il potenziamento della Carta Aurea28.
27
Cfr. F. Ciccimarra, o.c., p. 4.
28
Cfr. A. V. Zani, Charta Aurea Education, Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica, Roma, 27-30 ottobre 1999, pp.
1-4.
29
Cfr. Centro Studi Scuola Cattolica (Ed.), Scuola cattolica, comunità cristiana e territori, Laboratorio n. 6, in Guida ai
lavori, o.c., pp.50-55.
18
a. la centralità della persona in tutti i processi educativi impone il rilancio di una pastorale organica
che ponga in correlazione i vari ambiti di vita e incontri i soggetti dove realmente vivono e operano:
scuola, famiglia, lavoro, tempo libero, luoghi di aggregazione, ecc.;
b. in particolare “[…]la maggioranza dei giovani è presente nella Scuola e nella Scuola incontra altri
giovani ed educatori adulti, credenti, che possono aiutarli a mettersi nell’atteggiamento di ricerca
sincera della verità e possono offrire la testimonianza di una verità che libera e arricchisce l’esistenza
nelle diverse modalità culturali e relazionali proprie della vita scolastica e nel rispetto della coscienza
di ciascuno. Gli insegnanti di religione Cattolica, ma non loro soltanto, possono trovare qui uno
spazio significativo per esprimere la propria particolare professionalità educativa e culturale”30;
c. le associazioni laicali di studenti, genitori e docenti per l'animazione cristiana della Scuola (AIMC,
UCIIM…) e quelle specifiche di Scuola Cattolica (AgeSC…) e i movimenti ecclesiali possono
trovare nella Scuola Cattolica un terreno fertile di presenza e di collaborazione, evidenziando così un
aspetto peculiare dell’impegno ecclesiale per la Scuola. Luoghi istituzionali di incontro tra la Scuola
Cattolica e la comunità cristiana sono quegli organismi che propriamente rappresentano la
comunione ecclesiale quali i Consigli Pastorali, le Consulte o Commissioni di pastorale e i
Coordinamenti diocesani della Scuola Cattolica;
d. attraverso la Scuola Cattolica la comunità cristiana offre un servizio a vantaggio degli strati più
deboli, una formazione culturale e professionale di base e promuove personalità complete, capaci di
assumere responsabilità in ambito familiare, lavorativo, sociale e civile;
e. nel contesto dei recenti orientamenti normativi anche la Scuola Cattolica assicura la sua presenza
nel territorio attraverso il dialogo e la collaborazione attiva con le altre scuole (statali e non statali),
con gli Enti locali, con le diverse agenzie sociali;
f. del tutto particolare è la situazione delle scuole materne e in particolare di quelle ( e sono la
maggioranza) che sono promosse da comunità parrocchiali spesso con il coinvolgimento diretto del
parroco: esse rappresentano un significativo esempio di servizio e di impegno educativo diretto della
Chiesa nel campo dell'educazione come “luogo di formazione umana e cristiana pensato dalla
comunità ecclesiale per i propri bambini e offerto poi a tutte le famiglie, in un inserimento pieno e
dinamico nella vita e nelle tradizioni del territorio”31.
4.3.2. In direzione della consapevolezza ecclesiale dei soggetti che operano nella Scuola Cattolica ai
fini della valorizzazione del loro servizio come "ministerialità":
a. le persone che lavorano nella Scuola non derivano tutta la loro funzione educativa esclusivamente
dalla propria scelta professionale, ma il loro servizio viene considerato dalla Chiesa come un
“ministero”, radicato in una vocazione e nella comune responsabilità battesimale;
b. è necessario promuovere un'azione formativa adeguata per fare sì che questa consapevolezza
maturi nelle persone che a vario titolo sono impegnate nell'attività assistenziale ed educativa delle
scuole cattoliche.
E' necessario rafforzare l'attenzione sul rapporto tra Scuola Cattolica e territorio, tra Scuola
Cattolica e chiesa particolare, tra Scuola Cattolica e comunità cristiana. E' un percorso che si sta già
avviando: alcune scuole che chiudono sono assorbite da altri soggetti, non escluse le diocesi, le
parrocchie e altri organismi a queste collegati. Con il lento ma progressivo arretramento delle
congregazioni religiose dal campo dell'educazione non c'è dubbio alcuno che sempre più toccherà al
vescovo diocesano diventare un punto di riferimento della pastorale scolastica sul territorio che, nel
rispetto e valorizzazione dei diversi soggetti, dovrà assicurare la corretta ed organica distribuzione
30
Commissione Episcopale Per L'Educazione Cattolica, La Cultura, La Scuola E L'Università, lettera Per la scuola (29
aprile 1995), Roma, 1995, n.17.
31
CEI, La scuola cattolica oggi, in Italia, Roma, 1983, n. 53.
19
delle scuole sul territorio della chiesa locale e la continuità dei cicli didattici; spetterà a lui evitare
sovrapposizioni di scuole laddove il bacino di utenza non ne permette la compresenza; toccherà al
vescovo stimolare il potenziamento dell'offerta formativa come risposta alle esigenze e alla tipicità
della comunità cristiana32. Sarà compito degli organismi unitari (CSSC e CNSC) della CEI proporre
standard di minimi e comuni di qualità educativa in armonia con la dottrina della Chiesa.
Riportiamo quasi a modo di sommario la raccolta delle indicazioni operative emerse nelle
sezioni precedenti, articolandole nei seguenti punti:
– il ruolo propositivo nelle riforme;
– il curricolo della Scuola Cattolica;
– la valorizzazione dei soggetti di Scuola Cattolica;
– potenziamento del sostegno alle scuole cattoliche in difficoltà;
– rafforzamento del ruolo della comunità cristiana verso la Scuola Cattolica.
5.1.1. Relativamente all’autonomia, dopo l'approvazione del disegno di Legge sulla parità che
sancisce il riconoscimento del servizio pubblico della Scuola non statale paritaria, il CNSC,
avvalendosi della consulenza a livello di studio del CSSC e della mediazione delle
Associazioni/Federazioni di Scuola Cattolica a livello nazionale e regionale, si impegnerà:
a) nel breve termine affinché non si applichi anche alla Scuola Cattolica il criterio del
dimensionamento degli istituti sul territorio che è stato adottato per scuole statali ai fini del
conferimento della personalità giuridica;
b) nel breve termine affinché nella definizione dei curricoli si stabilisca con chiarezza quali dei
contenuti essenziali vadano identificati al Centro, perché considerati irrinunciabili ai fini del comune
sentire del Paese e quali siano riservati alle singole scuole autonome;
c) a richiedere agli Enti locali adeguati provvedimenti e sovvenzionamenti in ordine alla
manutenzione e messa a norma degli edifici scolastici;
d) nel lungo termine a verificare, insieme agli Ordinari del luogo, la dislocazione geografica delle
scuole cattoliche nel territorio;
5.1.2. Relativamente al riordino dei cicli, il CNSC, avvalendosi della consulenza a livello di studio
del CSSC e della mediazione delle Associazioni/Federazioni di Scuola Cattolica a livello
nazionale, si impegnerà in tempi medi:
a) affinché i regolamenti attuativi del riordino dei cicli tengano conto degli orientamenti non solo dei
docenti e dei competenti, ma anche delle famiglie;
b) affinché la Scuola materna nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica realizzi in modo
sempre più diffuso i necessari collegamenti da un lato con i servizi all'infanzia e dall'altro con la
Scuola di base, assicurando una effettiva eguaglianza delle opportunità educative nel rispetto
dell'orientamento educativo dei genitori e della peculiarità del proprio progetto educativo;
c) affinché la fusione nella "Scuola di base" di elementari e medie non si risolva in una
"elementarizzazione" della Scuola media, ma invece tenga conto della specificità della
preadolescenza;
d) affinché il biennio della Scuola secondaria tenga in debito conto le esigenze sia dei ragazzi che
hanno già deciso di non volere continuare gli studi sia di quelli che intendono proseguirli, in
32
Cfr. F. Ciccimarra, o.c., p. 2.
20
particolare attribuendo un ruolo paritario e coordinato con il sistema di istruzione alla Formazione
Professionale;
e) affinché il biennio della Scuola superiore (gruppo di età 13-15 anni) non perda il suo carattere di
secondarietà;
f) affinché le diverse aree e indirizzi del triennio rispondano non solo alle istanze dello sviluppo
scientifico e tecnologico, ma conservino anche la tradizione umanistica della nostra Scuola e della
nostra cultura;
g) affinché l'Istruzione professionale venga attribuita alla competenza delle Regioni secondo quanto
prescritto dal dettato costituzionale e già previsto dalla legge quadro sulla Formazione Professionale
del 1978.
5.1.3. Relativamente al rapporto tra Istruzione e Formazione Professionale nel quadro di un sistema
formativo integrato, la CONFAP, nel quadro degli orientamenti del CNSC sul riordino dei cicli e
avvalendosi della consulenza a livello di studio del CSSC, si impegnerà in tempi medi a:
a) sviluppare un’intesa tra Enti di Formazione Professionale e Coordinamento delle Regioni su
un’ampia gamma di interventi volti a dare attuazione alle norme sul diritto/obbligo formativo
attraverso la strutturazione di un organico sistema di offerta di formazione iniziale e secondaria; tale
intesa dovrebbe prevedere:
– l’attivazione di un’ampia sperimentazione della nuova formazione professionale iniziale secondo il
modello proposto dal Coordinamento delle Regioni (il cosiddetto modello “Lucisano”), sulla base di
linee-guida unitarie;
– l’attivazione di un’offerta di formazione superiore (FIS) nella quale emerga il ruolo essenziale - di
indirizzo e di gestione - del sistema regionale di Formazione Professionale;
– la creazione di un dispositivo consensuale tra le regioni in materia di accreditamento degli
organismi formativi, distinto in filiere nelle quali emerga la particolare valenza educativo-formativa
propria della formazione iniziale e della formazione speciale;
– la definizione di una rete di organismi che operano stabilmente nei sub-territori regionali in modo
da garantire l’effettiva risposta al diritto formativo dei cittadini;
– l’individuazione di fonti finanziarie certe per tali interventi, considerando unitariamente le fonti
dirette regionali, il Fondo sociale europeo, il contributo degli utenti;
– la definizione di una strategia comune in tema di integrazione con la Scuola con particolare
riferimento all’obbligo di istruzione, al riconoscimento e trasferibilità dei crediti formativi, oltre che
su obiettivi specifici la cui perseguibilità richieda l’unione delle forze;
– la delineazione di un modello di regolazione di tale nuovo sistema di Formazione Professionale
basato sui requisiti di qualità ed interconnesso con il sistema scolastico e quello universitario;
b) dar vita ad una forte iniziativa culturale - in accordo con le Università ed i Centri di ricerca - e di
sperimentazione nella logica delle buone prassi in grado di sostenere l’identità e l’azione degli Enti
formativi di ispirazione cristiana ed in particolare di condurre ad una strategia della qualità formativa
che preveda specifici standard, criteri e procedure nella prospettiva del marchio di qualità proprio
dell’ambito della formazione;
c) sostenere gli sforzi degli organismi formativi volti all’accreditamento (obbligatorio) ed
eventualmente in vista della certificazione di qualità (ISO 9000 e successive);
d) assistere gli Enti nelle attività progettuali di valore strategico a livello transregionale e
transnazionale.
5.1.4. In relazione alla definizione dei saperi essenziali nella Scuola dell'obbligo, la FISM, la FIDAE
e la CONFAP , nel quadro degli orientamenti del CNSC sul riordino dei cicli e avvalendosi della
consulenza a livello di studio del CSSC, si impegneranno in tempi medi:
a) affinché tali saperi non siano definiti come qualche cosa di asettico, ma in rapporto con la
dimensione educativa e con il processo di assimilazione-interiorizzazione, tenendo conto che la
dignità della persona umana esige che al centro sia l’alunno e che compito della Scuola sia educarlo,
21
cioè aiutarlo ad essere se stesso e a sviluppare una consapevolezza critica della realtà e una libertà
responsabile;
b) affinché a questo scopo convergano i campi di esperienza e i nuclei fondanti degli ambiti
disciplinari e delle discipline con i loro diversi metodi, per cui siano consentiti il confronto equilibrato
tra la tradizione culturale e il contesto attuale, il rapporto tra gli insegnanti e le altre componenti della
comunità scolastica, il raccordo tra le informazioni culturali e le competenze professionali in vista
della crescita della consapevolezza dei significati e dei valori;
c) affinché l'educazione offerta alle nuove generazioni non sia intesa in un senso riduttivo come
semplice istruzione o addestramento, ma fornisca a ognuno le capacità per vivere al meglio in una
società complessa;
d) affinché nella elaborazione dei curricoli si tengano in debita considerazione gli elementi della
tradizione cristiana e quindi non vengano dimenticate le radici della nostra storia come popolo;
e) affinché l’educazione religiosa e morale venga assunta come una dimensione essenziale dei
processi di istruzione e di formazione.
5.1.4. Relativamente alla parità, il CNSC, avvalendosi della consulenza a livello di studio del CSSC e
della mediazione delle Associazioni/Federazioni di Scuola Cattolica, si impegnerà:
a) nel breve/medio termine, affinché si proceda ad attuare le indicazioni della legge appena approvata
in modo da svilupparne le potenzialità in direzione:
– del riconoscimento del carattere pubblico del servizio della Scuola non statale con particolare
riguardo alla emanazione di norme applicative che recepiscano il nuovo statuto giuridico di "Scuola
paritaria" soprattutto in relazione alla modifica del Testo Unico 16 aprile 1994, n. 297;
– di una attuazione efficace delle misure economiche;
b) nel lungo termine affinché si pervenga all’approvazione di una nuova legge paritaria che si fondi
sull'affermazione del diritto di libertà di scelta educativa delle famiglie e degli studenti e sul
riconoscimento effettivo anche sul piano economico di tale libertà di educazione.
5.2.1. Al fine di elaborare un documento sui contenuti essenziali della formazione nella Scuola
Cattolica che evidenzi la specificità del curricolo nel rapporto tra cultura, fede e vita e tenga conto
dell'esigenza posta dal riordino dei cicli di trovare elementi di continuità nel passaggio da un livello di
Scuola/FP all'altro:
a) il CSSC elabora una bozza di documento e un questionario per la raccolta delle opinioni delle
scuole e dei CFP, lo sottopone al parere del CNSC per l'approvazione ed invia ambedue i testi alle
scuole e ai Centri di Formazione Professionale entro marzo 2000;
b) sulla base delle osservazioni ricevute entro maggio 2000, il CSSC predispone un documento finale
da sottoporre all'esame e all'approvazione del CNSC entro settembre 2000;
c) successivamente il CSSC avvia durante il 2000-2001 un sperimentazione degli orientamenti
concordati.
5.2.2. Quanto alla promozione della qualità della Scuola Cattolica, il CSSC sulla base degli esiti
della ricerca attualmente in corso, e precisamente dei tre sottoprogetti (FISM, FIDAE e CONFAP)
elabora entro gennaio 2001 una proposta sui seguenti temi:
– indicatori di qualità;
– criteri per un sistema di valutazione che sia tavola di confronto per le Scuole Cattoliche;
– parametri per la certificazione e l’accreditamento dei CFP e/o degli Enti di FP di ispirazione
cristiana;
– indicazioni per la creazione presso il Centro Studi di un Osservatorio per il monitoraggio della
qualità della Scuola Cattolica.
La proposta viene sottoposta al CNSC per l'approvazione entro marzo 2001.
22
5.3.1. Il CNSC, assistito per gli aspetti di studio, ricerca e sperimentazione dal CSSC e con la
collaborazione delle Associazioni/Federazioni di Scuola Cattolica, promuove nel medio termine le
seguenti iniziative:
a) potenziamento della formazione in servizio dei docenti e dei dirigenti anche attraverso
l’organizzazione dell’offerta a livello nazionale;
b) in una prospettiva di gradualità e di fattibilità, valorizzazione dei docenti laici come priorità
fondamentale attraverso la realizzazione di un’ipotesi organizzata di formazione iniziale specifica e
mediante la predisposizione di linee d’azione per l’affidamento di incarichi di responsabilità;
c) valorizzazione dei docenti religiosi attraverso la proposta di strategie per la promozione del loro
specifico carisma e pressione sugli Ordini/Congregazioni religiose a recuperare l’impegno nella
Scuola Cattolica come forma di autentico apostolato, incrementando la presenza di consorelle e di
confratelli, nonostante le ben note difficoltà di personale, e investendo più risorse in questa attività;
d) sviluppo della con-formazione, cioè di momenti comuni di formazione tra corsi per i dirigenti, per
i docenti e per i genitori;
e) rilancio degli organismi di partecipazione nella Scuola Cattolica;
f) valorizzazione delle Associazioni/Federazioni sia di settore come di categoria.
5.3.2. In prossimità della scadenza degli statuti degli organismi unitari di Scuola Cattolica e tenuto
conto di quanto affermato autorevolmente da S.E. Mons Antonelli alla conclusione dell'Assemblea
Nazionale, il CNSC e il CSSC avvieranno una riflessione “per perfezionare, la loro rappresentatività
e il loro funzionamento”.
5.4.1. Il CNSC esaminerà in tempi brevi la fattibilità della costituzione di un fondo di solidarietà a
sostegno del pagamento degli stipendi degli insegnanti di Scuola Cattolica e <si preoccuperà di
affrettare l'introduzione della Carta Aurea>;
5.4.2.Il CSSC appresterà in tempi medi una Banca Dati e un prontuario per i dirigenti delle scuole in
difficoltà con l’indicazione di strategie concrete per la soluzione delle varie problematiche. In
particolare, verranno indicate: il modello cooperativo, il consorzio, la costituzione all'interno
dell'Istituto delle "case religiose" con personalità giuridica, i contratti di solidarietà difensivi;
5.4.3.Il CNSC si impegnerà attraverso la mediazione delle Associazioni/Federazioni di Scuola
Cattolica per la creazione in tempi medi di apposite commissioni presso le singole diocesi per la
valutazione dei problemi collegati alle difficoltà gestionali e alla realizzazione di reti tra scuole
cattoliche al fine della diffusione e della razionalizzazione dei servizi nel territorio;
5.5.4. rafforzamento del rapporto tra Scuola Cattolica e Chiesa locale, facendo perno sul ruolo del
Vescovo per il coordinamento della Scuola Cattolica nel territorio, la distribuzione delle scuole sul
territorio, evitando sovrapposizioni, e il raccordo tra domanda e offerta di istruzione nel territorio.
5.5.5. rafforzamento del rapporto tra Scuola Cattolica e sensibilizzazione delle Parrocchie, soprattutto
nel caso di coordinamento-fusione di scuole materne nel territorio e comunque in vista di una
presenza e distribuzione di tale prezioso servizio effettivamente fruibile per consentire l'allargamento
e la diffusione di questa opportunità culturale ed educativa per le famiglie e per i bambini.