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Cap. 1 I caratteri delle aziende
L’attività economica consiste nella produzione e scambio di beni (prodotti
finiti o servizi) per il soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi. Il
termine azienda, invece, identifica tutte le organizzazioni di beni e di
persone (organismi) che svolgono, in maniera coordinata ed autonoma,
un’attività economica di consumo (aziende di erogazione) e produzione
(imprese). Le aziende di erogazione mirano al 1) soddisfacimento dei
bisogni della collettività, 2) al conseguimento del pareggio contabile, 3) al
bilanciamento della struttura dei costi, 4) al reinvestimento del risparmio
e 5) all’ampliamento della gamma di servizi offerta. L’impresa, invece,
costituisce quell’azienda la cui produzione è destinata al mercato
attraverso un atto di scambio, la cui finalità è la produzione di profitto e la
stabilizzazione di reddito. Gli elementi fondamentali di un’impresa sono i
mezzi, beni produttivi a disposizione dell’azienda, l’organizzazione, e il
lavoro (risorse umane), che influiscono sullo svolgimento delle attività.
L’impresa può avere fine di lucro e una rischiosità, dipendente da fattori
esterni o interni, e viene identificata come:
- economico: finalizzato a soddisfare i bisogni attraverso l’impiego di
risorse limitate;
- aperto: ovvero in costante rapporto di scambio con i mercati;
- dinamico: in quanto il proprio equilibrio è in allineamento con i
mutamenti del contesto competitivo;
- vitale: capace cioè di auto regolarsi.
A livello giuridico le imprese individuali si possono suddividere in:
- società di persone: S.n.c (società in nome collettivo), S.a.s (società
in accomandita semplice) in questo caso i soci coincidono con gli
amministratori, nelle Sas ci sono due categorie di soci
accomandatori e accomandanti;
- società di capitali: S.r.l (società a responsabilità limitata), S.p.a
(società per azioni), S.a.p.a (società in accomandita per azioni), in
questo caso il socio ha una capacità limitata rispetto al capitale;
- società quotate: ovvero quelle società ammesse ai mercati
regolamentati. Esse prevedono il conferimento di maggiori poteri
all’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza,
comitato interno), i quali si interessano dell’andamento della società
attraverso atti di ispezione e controllo svolti da gli amministratori
che informano sulla gestione e sulle operazioni societarie. Inoltre,
queste devono rispettare alcuni parametri a livello patrimoniale, e
sul numero di azionisti e obbligazionisti determinati dalla Consob.
Ci sono vari tipi di imprese: industriali che producono beni o offrono
servizi, di trasporto le quali trasportano a livello commerciale le merci alle
rispettive destinazioni.
Accanto all’impresa di forma individuale abbiamo le corporate
governance o modello societario che comporta la separazione di ruoli e
poteri, e la loro assegnazione a soggetti distinti, coloro i quali forniscono
mezzi finanziari (azionisti e soci finanziatori) e i conduttori dell’impresa
(amministratori e management). Ci sono 3 modelli di struttura
proprietaria a cui sono collegati i principali modelli di impresa sviluppatisi
in ambito economico: 1) modello a struttura proprietaria chiusa o
familiare caratterizzata per la conduzione della proprietà in poche mani
spesso della famiglia o del suo realizzatore, tale forma dà vita ad entità di
piccole-medie dimensioni (PMD); 2)modello a struttura proprietaria
ristretta in cui il capitale è detenuto in parte da un nucleo ristretto di
azionisti e in parte diffuso sul mercato, da qui derivano le medio-grandi
imprese; 3) modello a struttura proprietaria diffusa in cui l’azionista non
si identifica nell’impresa, concepita come semplice opportunità di
investimento, ma si assiste ad una della proprietà tra più azionisti. Le
aziende erogative private (familiari) mirano al soddisfacimento dei bisogni
familiari e alla copertura delle spese con entrata, mentre le aziende
erogative pubbliche (pubblica amministrazione) mirano al
soddisfacimento dei bisogni della collettività al conseguimento del
pareggio tra costi e ricavi e al risultato economico.
La governance aziendale consiste nel complesso di decisioni di carattere
strategico e di comportamenti imprenditoriali adottate dal soggetto
economico che assume il controllo dell’impresa. Il governo ha la duplice
funzione di individuare obiettivi strategici e coordinare gli sforzi delle aree
di impresa per far sì che gli obiettivi vengano raggiunti e vengano affidati
all’imprenditore (colui che esercita professionalmente un’attività
economica art.2082 codice Civile) e da chi lo aiuta nel prendere decisioni
aziendali. Al giorno d’oggi grazie alla diffusione delle reti tecnologiche
avanzate il mercato finanziario ha condizionato molto il mondo
produttivo trasmettendo informazioni sui prezzi, costi ed investimenti che
rende più internazionalizzate le economie dei singoli Paesi. La capacità di
chi governa l’impresa deve tendere a creare un’immagine fiduciosa e
positiva all’interno dell’ambiente circostante creando un team fidato,
eliminando attività e controlli superflui per concentrare le risorse su quelli
più salienti, costruire conoscenze e capacità e far leva sui vantaggi
acquisiti in modo da diffondere uno spirito imprenditoriale della struttura
organizzativa. Lo stile con cui un imprenditore mette in atto
un’organizzazione può essere:
- Autoritario: di tipo piramidale, che esclude le forme di
coinvolgimento ma che garantisce stabilità gestionale e
coordinamento;
- Condiviso: orientato al coinvolgimento e forme di partecipazione
alla presa delle decisioni e alla ricerca di soluzioni operative
condivise;
- Lassista: in cui l’imprenditore delega completamente il potere al
management o altri soggetti, generando disorganizzazione e scarso
coordinamento.
L’affidamento delle decisioni ai sottoposti, collaboratori o manager
avviene tramite la delega, in questo modo l’imprenditore si occuperà solo
delle decisioni strategiche. La delega può avvenire sia tra top manager e
altri dirigenti, sia tra dipendenti che attuano compiti “semplici”. Un limite
di questa è costituito dalla rinuncia a parte del potere gestionale e del
controllo sul processo produttivo.
Ci sono 3 diversi modelli di governance aziendale:
1) Impresa padronale (modello italiano): si caratterizza per la
presenza di un’azionista di controllo, forti legami tra le imprese e
uno scarso ruolo del mercato capitalistico in quanto si ha la
concentrazione di quote capitali nelle mani di uno o pochi per lo più
facenti parte di uno stesso nucleo familiare (PMI) interessati al
consolidamento nel medio e lungo termine che rende incapaci di
crescere nella misura richiesta dal mercato. Al fine di non perdere la
propria individualità è possibile ricorrere a strumenti quali consorzi
che consentono di mantenere la propria individualità ma unire le
forze in modo da ridurre i costi di produzione, penetrare nei mercati
e creare propri metodi di distribuzione. Questo modello inoltre mira
ad un consolidamento aziendale per mantenere un reddito stabile e
congruo, in momenti di crisi la maggiore affidabilità è data dal fatto
che tutte le decisioni sono volte al mantenimento della quota di
mercato acquistata. Inoltre, si ha una impronta gerarchica e si
mantiene il collegamento fra chi amministra e gli azionisti. In Italia
sono anche diffusi altri due modelli di imprese: 1) quello
cooperativo realizzato da un gruppo di soggetti che gestiscono in
comune un’impresa e si prefiggono di fornire ai soci il
conseguimento di beni e servizi. La mutualità è l’elemento
caratterizzante di queste imprese, alcuni esempi sono le banche di
credito cooperativo (BCC) le cooperative di consumo, di produzione,
e di lavoro; 3) quello delle società di controllo pubblico, queste
hanno avuto un grande impulso nello sviluppo economico del nostro
Paese, nate nel periodo post-bellico (in cui in Italia si sviluppa la
formula dello stato-imprenditore) e volte alla distribuzione dei
servizi pubblici. Lo stato-imprenditore, tuttavia, ha creato dei
rapporti problematici tra potere politico e potere manageriale
portando le imprese pubbliche ad una condizione di inadeguatezza,
specie in termini di efficienza, spingendo il governo ad attivare la
vendita ai privati di società pubbliche (processo di privatizzazione).
Questo processo può essere formale, quando si ha la semplice
trasformazione di enti pubblici e aziende autonome statali in
soggetti giuridici; sostanziale attraverso un cambiamento della
natura proprietaria della società da pubblica a privata, funzionale
nel caso di trasferimento a soggetti privati nei compiti di gestione e
realizzazione di opere rispetto alle quali i pubblici poteri
mantengono la titolarità, e indiretta se si ha l’introduzione di
logiche e principi di gestione manageriale negli organismi pubblici.
2) Public company (modello anglo-americano): fondato sul liberismo e
sulle corporation delle grandi società e sulla distribuzione delle
quote di capitale sociale tra un numero notevole di azionisti. Questo
modello può causare però un fenomeno chiamato “polverizzazione
del capitale sociale” che porta alla difficoltà di individuazione di un
socio di riferimento o ad una scarsa stabilità gestionale che di
conseguenza porta ad una crisi di impresa e problemi occupazionali.
La governance è affidata a soggetti diversi ma appartenenti da uno
stesso organo (consiglio di amministrazione CdA) eletto
dall’assemblea dei soci. Il CdA rappresenta l’organo fondamentale
per il funzionamento dell’azienda e comprende membri esecutivi
che assolvono funzioni manageriali (tra essi è nominato il CEO) e
non esecutivi che hanno i poteri di controllo sull’amministrazione.
3) Impresa consociativa (modello tedesco-nipponico/renano): renano
perché nasce e si sviluppa lungo in fiume Reno che, attraversa il
Paese dove si collocano le maggiori aziende tedesche. Caratterizzato
dalla determinazione di un rapporto che coinvolge tutti i soci
(gestione societaria) e dalla concentrazione delle quote del capitale
sociale nelle mani di azionisti di maggioranza che però, non
detengono la maggioranza assoluta di queste, e dagli interessi degli
azionisti di minoranza. Questo rapporto è detto consociativismo.
Inoltre, si ha un rapporto che coinvolge la proprietà aziendale e le
rappresentazioni dei lavoratori, come i sindacati a livello nazionale,
e i consigli dei lavoratori a livello aziendale, i cui membri sono eletti
dalla forza lavoro.
Per far si che l’attività aziendale sia conforme al bilancio delle norme di
legge e ai principi contabili si attua la revisione aziendale che viene svolta
da esperti indipendenti.
Matrice BCG
- quota di mercato alta e crescita di mercato alta: l’azienda evidenza
una presenza significativa sul mercato che presenta delle buone
prospettive (stars);
- quota del mercato alta e crescita del mercato bassa: l’impresa ha
una buona presenza sul mercato ma in prospettiva si vede un calo
della redditività (question marks);
- quota mercato bassa e crescita del mercato alta: l’impresa ha una
modesta quota di mercato ma le prospettive economiche sono
buone (il mercato viene considerato come una CASH COWS –
MUCCA DA MUNGERE);
- quota del mercato bassa e crescita del mercato bassa: le prospettive
sono scarse (dogs).
Se un’impresa si posiziona nel quadrante «dogs» o in quello «question
marks» le politiche gestionali adottate non sono le migliori e vanno
probabilmente rideterminate.
Se un’impresa si posiziona nel quadrante «stars» o «cash cows» la politica
gestionale è saggia e le dimensioni aziendali indicano rispettivamente una
fase espansiva (stars) o una fase matura (cash cows).
L’abbandono di una ASA deve essere ponderato attentamente,
determinando la necessità di effettuare degli investimenti per la
riconversione delle attività e, in ogni caso, deve essere riproposto il
modello del BCG per tutte le ASA.
La catena di valore del Porter
Questa è una rappresentazione grafica che illustra il margine di valore
dovuta all’iterazione dell’impresa tra le varie tipologie di attività:
1) di base o primarie: logistica interna ed esterna, operation,
marketing e vendita, servizi;
2) di supporto;
3) infrastrutturali: le infrastrutture dell’impresa e lo sviluppo della
tecnologia.
Il loro interagire genera la redditività ovvero la creazione del valore da
distribuire tra il soggetto economico (imprenditore) ed altri soggetti (lo
stato, i distributori).
INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
Il livello di internazionalizzazione di un’impresa dipende dal numero di
paesi che si intende servire. L’impresa così può essere suddivisa in 3 tipi:
- internazionale la quale opera in pochi Paesi con un livello di
complessità ridotto. Consiste in una determinata impresa che con
un tipo di prodotto/marchio, riesce a servire più Paesi nei mercati
con caratteristiche simili, ma non in un contesto globale;
Produzione snella
Per produzione snella o “lean production” si intende l’adozione delle
alternative produttive, quali, strumenti tecnologici più sofisticati, e delle
scelte gestionali utili per il perseguimento di differenti vantaggi
competitivi, prima assicurati dalla produzione artigianale. L’adozione delle
strategie è in funzione delle caratteristiche del mercato e delle capacità
dell’impresa, il management assume un ruolo fondamentale in quanto
deve prevedere il cambiamento e saperlo fronteggiare per evitare l’uscita
dell’impresa dal mercato stesso. La lean production si caratterizza per:
- valutazione.
Quindi si può notare che il valore d’investimento delle scorte consiste nel
bilanciare gli eccessi e le carenze per poter minimizzare i relativi costi. Il
problema di gestione delle scorte si pone quando i materiali e le parti
componenti sono molto numerose per questo si devono effettuare alcune
procedure come selezionare gli articoli in eccedenza, quelli a rapido e a
lento rigiro, e l’individuazione dei tempi e dei lotti del riordino. A tal
proposito l’azienda adotta logiche per la gestione dei materiali di tipo look
back e look ahed. Nel primo un ordine di produzione viene lanciato
quando la scorta del materiale risulta insufficiente per coprire i fabbisogni
pianificati per i periodi futuri, il secondo invece è orientato a ricostruire la
scorta in via di esaurimento. Una gestione corretta delle scorte consiste
nell’assicurare un buon servizio di cui usufruiscono sia i consumatori sia i
responsabili della produzione. Inoltre sono state sviluppate delle nuove
tecniche quale i modelli di gestione a scorta volti a determinare la
dimensione del magazzino (prodotti finiti o semilavorati). Quando il livello
di scorte in giacenza scende al di sotto di un certo livello predefinito viene
lanciato un ordine di acquisto o di produzione volto a reintegrare il
magazzino. La tecnica più nota è quella del lotto economico con cui è
possibile determinare la quantità di prodotto da ordinare al fine di
minimizzare la somma dei costi di mantenimento e i costi di ordinazione.
Le tecniche di gestione a scorta, però, presentano alcuni vincoli in quanto
l’obiettivo di queste tecniche è quello di avere sempre l’articolo in
giacenza con l’ipotesi che tutte le scorte saranno utilizzate. Quindi queste
tecniche sono utili per la gestione delle scorte dei prodotti finiti ma non
per i semilavorati. Per questo sono preferibili le tecniche di gestione a
fabbisogno come MRP Materials Requirement Planning il quale tramite le
materie prime realizza il piano di produzione trasformandole in merci. Il
magazzino quindi viene snellito e gestito in modo tale da soddisfare le
esigenze di produzione. Questo processo richiede una quantità notevole
di produzioni necessaria a determinare cosa e quanto produrre, sui
prodotti necessari a determinare i fabbisogni delle materie prime, la
conoscenza dei tempi di produzione e approvvigionamento e ancora le
informazioni sullo stato delle giacenze e delle scorte destinate per altre
produzioni. Un altro sistema di gestione dei materiali è il sistema just in
time e il suo sottoinsieme il modello kanban ovvero lo strumento
attraverso cui si trasmettono le informazioni tra diverse stazioni di lavoro
per comunicare l’utilizzo di un determinato materiale e la necessità del
suo reintegro. In particolare il sistema just in time adopera tecniche
finalizzate a produrre solo ciò che occorre al cliente, e al ritmo richiesto
dallo stesso, produrre senza difetti, senza spreco di lavoro, di materiali o
di impianti allo scopo di ridurre sprechi ingiustificati e produrre con
metodi che favoriscano lo sviluppo e la professionalizzazione dei
dipendenti.
Il sistema distributivo nel corso degli anni ha subito una lenta evoluzione
riconducibile in 2 fasi, la prima caratterizzata da un numero notevole di
piccoli dettaglianti, per lo più basata sulla condizione familiare, operanti
in modo quasi esclusivo sulla scena commerciale del paese, mente la
seconda fase è caratterizzata dall’ingresso, a partire dalla seconda metà
degli anni ’90, di grandi dettaglianti sul mercato nazionale il cui carattere
fondamentale è la riduzione dei prezzi, la standardizzazione dei prodotti e
dei servizi associati ad essi, con conseguente indebolimento dei piccoli
dettaglianti. Un’altra caratteristica degli ultimi anni è la modifica della
rete commerciale che seguono 3 punti principali ovvero l’ampliamento
della gamma dei prodotti offerti per poter soddisfare le esigenze
diversificate della clientela o scelta di specifiche nicchie di mercato, la
riduzione dei prezzi specializzazione su alcuni prodotti di livello qualitativo
superiore che incentiva il consumatore attratto dai vantaggi ottenibili e
l’ampliamento della rete per poter raggiungere nuovi business o
concentrarsi sull’ambito locale andando incontro alle esigenze del
territorio. Un modello ormai noto è quello del “wheel of retailing”
adottato da molte nuove forme di vendita, le quali entrano sul mercato
introducendo bassi livelli di prezzo e una volta conquistato una parte del
mercato esse aumentano i servizi offerti e di conseguenza anche i prezzi.
L’evoluzione del commercio al dettaglio è stata favorita non solo dalla
politica di prezzi ma anche dall’allargamento della gamma del prodotto
che ha assicurato un flusso costante di clientela. L’abbassamento
continuo di prezzi però ha aumentato la concorrenza e ha facilitato la
sottrazione dei mercati detenuti da imprese di grande dettaglio da parte
di altre imprese di distribuzione. In alcuni Paesi, ove è prevalente tale
presenza si stanno promuovendo sistemi per frenare la loro diffusione, le
quali applicano politiche di vendita sottocosto (quelle con prezzi al
consumo inferiori al costo di acquisto con gli sconti). A tal proposito la
linea ministeriale in accordo con l’Autorità garante della concorrenza
(Antitrust) mira frenare tramite nuove leggi (come ad esempio la 114/98)
volte a sanzionare sul piano amministrativo comunale gli abusi della
“concorrenza sleale”, (sono ammesse però le vendite sottocosto, per un
tempo limitato, solo nel caso in cui i prodotti sono in prossimità della
scadenza, hanno difetti di fabbricazione, o nel campo della moda per
smaltire le scorte dell’invenduto). Negli ultimi tempi le aziende del grande
dettaglio hanno subito un periodo di crisi a causa sia di errori di
conduzione sia a condizionamenti di tipo politico-sindacale, tutto ciò ha
favorito l’ingresso delle grandi aziende straniere che hanno dimensioni ed
efficienza superiori alle nostre. Pertanto è necessario che un sistema sia
basato su più forme distributive per risultare incisivo sulla campo della
concorrenza basata sul prezzo, e che giovi soprattutto i consumatori. Per
rendere più equilibrato il nostro sistema distributivo si è reso necessario
l’intervento pubblico con lo scopo di favorire l’ingresso nel mercato delle
tipologie di distribuzione più moderne. Tutto ciò è stato attuato con
diverse leggi quali: la legge 426/71 (regolatrice del commercio al
dettaglio), ha lo scopo di promuovere con l’adozione di tecniche moderne
lo sviluppo e la produttività del sistema ed assicurare il rispetto della
libera concorrenza e un adeguato equilibrio tra le varie forme distributive,
la legge 248/2006 grazie alla quale si è cercato di diminuire i tempi di
liberalizzazione del settore intesa come semplificazione di alcuni passaggi
normativi quali l’iscrizione a registri abilitanti e il possesso di requisiti
professionali. Inoltre attraverso gruppi di acquisto e il ricorso al
franchising le piccole imprese possono mantenere i vantaggi delle loro
piccole dimensioni che garantiscono flessibilità ed autonomia, e dall’altro
di maggior peso sia nei confronti dei fornitori che delle Autorità
pubbliche, legandosi anche ad imprese in espansione. Oltre ai vincoli e ai
condizionamenti che l’impresa subisce essa deve fronteggiare altri
problemi quali, la concorrenza del canale distributivo e fra i differenti
canali e la costituzione delle scorte e formazione degli assortimenti ai vari
livelli del canale distributivo. Per migliorare il sistema distributivo si è
introdotto soprattutto nelle aziende di medio grandi dimensioni la figura
del “trade o channels manager” (responsabile dei canali) che ha il
compito di pianificare, coordinare, valutare e controllare le relazioni,
agendo sulla regolazione dei flussi delle merci (controllo delle scorte,
trasporto, gestione dell’ordine, magazzinaggio e manipolazione), e del
“category management” ovvero il distributore/fornitore che ha il
compito di gestire le categorie di business dove per categoria si intende
un gruppo di prodotti/sevizi al fine di ottimizzare le performance di
vendita, focalizzandosi sul valore trasferito al consumatore. Sono stati
introdotti inoltre nel sistema distributivo alcune strategie come la politica
della marca (brand loyalty) adottate da aziende produttrici di beni di largo
consumo, per realizzare forme di snellimento della produzione,
distribuzione e coordinamento, tramite l’impiego di strumenti pubblicitari
reso possibile grazie alla diffusione dei mass-media, o di carte fedeltà che
hanno lo scopo di ottenere la fiducia del cliente clientela con logiche di
qualità totale estesa alla distribuzione (puntualità delle consegne,
ottimizzazione del JIT), creando nuovi meccanismi concorrenziali. Per
questo le piccole e medie imprese devono lanciarsi su canali innovativi
quali il commercio elettronico o la cooperazione per affermare marchi di
origine locale. Inoltre sotto quest’ottica gioca un ruolo fondamentale la
creazione di ambienti confortati e coinvolgenti per il cliente al fine di
creare nuovo valore per la domanda. Nasce così il concetto del “concept
store” ovvero servirsi dell’arredamento per rappresentare in modo più
chiaro possibile l’immagine della casa produttrice (es. Disney, Ralph
Lauren ecc).
Gli altri costi relativi alla logistica in uscita sono il trattamento degli
ordini, la movimentazione dei prodotti, lo stoccaggio dei materiali e il
magazzinaggio (il prodotto potrà essere acquistato o noleggiato e la
dimensione dovrà essere opportunamente valutata), il mantenimento
delle scorte, il trasporto dei prodotti dall’impresa produttrice al mercato
(possono avere natura diversificata a seconda del contesto in cui opera
l’azienda e dal mezzo di trasporto impiegato) e altri costi amministrativi
(tasse, imposte ecc.).
beni puri: intesi come prodotti cui non è associato un servizio (es.
vestiti, gioielli);