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Economia e gestione delle imprese

Scicutella
Cap. 1 I caratteri delle aziende
L’attività economica consiste nella produzione e scambio di beni (prodotti
finiti o servizi) per il soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi. Il
termine azienda, invece, identifica tutte le organizzazioni di beni e di
persone (organismi) che svolgono, in maniera coordinata ed autonoma,
un’attività economica di consumo (aziende di erogazione) e produzione
(imprese). Le aziende di erogazione mirano al 1) soddisfacimento dei
bisogni della collettività, 2) al conseguimento del pareggio contabile, 3) al
bilanciamento della struttura dei costi, 4) al reinvestimento del risparmio
e 5) all’ampliamento della gamma di servizi offerta. L’impresa, invece,
costituisce quell’azienda la cui produzione è destinata al mercato
attraverso un atto di scambio, la cui finalità è la produzione di profitto e la
stabilizzazione di reddito. Gli elementi fondamentali di un’impresa sono i
mezzi, beni produttivi a disposizione dell’azienda, l’organizzazione, e il
lavoro (risorse umane), che influiscono sullo svolgimento delle attività.
L’impresa può avere fine di lucro e una rischiosità, dipendente da fattori
esterni o interni, e viene identificata come:
- economico: finalizzato a soddisfare i bisogni attraverso l’impiego di
risorse limitate;
- aperto: ovvero in costante rapporto di scambio con i mercati;
- dinamico: in quanto il proprio equilibrio è in allineamento con i
mutamenti del contesto competitivo;
- vitale: capace cioè di auto regolarsi.
A livello giuridico le imprese individuali si possono suddividere in:
- società di persone: S.n.c (società in nome collettivo), S.a.s (società
in accomandita semplice) in questo caso i soci coincidono con gli
amministratori, nelle Sas ci sono due categorie di soci
accomandatori e accomandanti;
- società di capitali: S.r.l (società a responsabilità limitata), S.p.a
(società per azioni), S.a.p.a (società in accomandita per azioni), in
questo caso il socio ha una capacità limitata rispetto al capitale;
- società quotate: ovvero quelle società ammesse ai mercati
regolamentati. Esse prevedono il conferimento di maggiori poteri
all’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza,
comitato interno), i quali si interessano dell’andamento della società
attraverso atti di ispezione e controllo svolti da gli amministratori
che informano sulla gestione e sulle operazioni societarie. Inoltre,
queste devono rispettare alcuni parametri a livello patrimoniale, e
sul numero di azionisti e obbligazionisti determinati dalla Consob.
Ci sono vari tipi di imprese: industriali che producono beni o offrono
servizi, di trasporto le quali trasportano a livello commerciale le merci alle
rispettive destinazioni.
Accanto all’impresa di forma individuale abbiamo le corporate
governance o modello societario che comporta la separazione di ruoli e
poteri, e la loro assegnazione a soggetti distinti, coloro i quali forniscono
mezzi finanziari (azionisti e soci finanziatori) e i conduttori dell’impresa
(amministratori e management). Ci sono 3 modelli di struttura
proprietaria a cui sono collegati i principali modelli di impresa sviluppatisi
in ambito economico: 1) modello a struttura proprietaria chiusa o
familiare caratterizzata per la conduzione della proprietà in poche mani
spesso della famiglia o del suo realizzatore, tale forma dà vita ad entità di
piccole-medie dimensioni (PMD); 2)modello a struttura proprietaria
ristretta in cui il capitale è detenuto in parte da un nucleo ristretto di
azionisti e in parte diffuso sul mercato, da qui derivano le medio-grandi
imprese; 3) modello a struttura proprietaria diffusa in cui l’azionista non
si identifica nell’impresa, concepita come semplice opportunità di
investimento, ma si assiste ad una della proprietà tra più azionisti. Le
aziende erogative private (familiari) mirano al soddisfacimento dei bisogni
familiari e alla copertura delle spese con entrata, mentre le aziende
erogative pubbliche (pubblica amministrazione) mirano al
soddisfacimento dei bisogni della collettività al conseguimento del
pareggio tra costi e ricavi e al risultato economico.
La governance aziendale consiste nel complesso di decisioni di carattere
strategico e di comportamenti imprenditoriali adottate dal soggetto
economico che assume il controllo dell’impresa. Il governo ha la duplice
funzione di individuare obiettivi strategici e coordinare gli sforzi delle aree
di impresa per far sì che gli obiettivi vengano raggiunti e vengano affidati
all’imprenditore (colui che esercita professionalmente un’attività
economica art.2082 codice Civile) e da chi lo aiuta nel prendere decisioni
aziendali. Al giorno d’oggi grazie alla diffusione delle reti tecnologiche
avanzate il mercato finanziario ha condizionato molto il mondo
produttivo trasmettendo informazioni sui prezzi, costi ed investimenti che
rende più internazionalizzate le economie dei singoli Paesi. La capacità di
chi governa l’impresa deve tendere a creare un’immagine fiduciosa e
positiva all’interno dell’ambiente circostante creando un team fidato,
eliminando attività e controlli superflui per concentrare le risorse su quelli
più salienti, costruire conoscenze e capacità e far leva sui vantaggi
acquisiti in modo da diffondere uno spirito imprenditoriale della struttura
organizzativa. Lo stile con cui un imprenditore mette in atto
un’organizzazione può essere:
- Autoritario: di tipo piramidale, che esclude le forme di
coinvolgimento ma che garantisce stabilità gestionale e
coordinamento;
- Condiviso: orientato al coinvolgimento e forme di partecipazione
alla presa delle decisioni e alla ricerca di soluzioni operative
condivise;
- Lassista: in cui l’imprenditore delega completamente il potere al
management o altri soggetti, generando disorganizzazione e scarso
coordinamento.
L’affidamento delle decisioni ai sottoposti, collaboratori o manager
avviene tramite la delega, in questo modo l’imprenditore si occuperà solo
delle decisioni strategiche. La delega può avvenire sia tra top manager e
altri dirigenti, sia tra dipendenti che attuano compiti “semplici”. Un limite
di questa è costituito dalla rinuncia a parte del potere gestionale e del
controllo sul processo produttivo.
Ci sono 3 diversi modelli di governance aziendale:
1) Impresa padronale (modello italiano): si caratterizza per la
presenza di un’azionista di controllo, forti legami tra le imprese e
uno scarso ruolo del mercato capitalistico in quanto si ha la
concentrazione di quote capitali nelle mani di uno o pochi per lo più
facenti parte di uno stesso nucleo familiare (PMI) interessati al
consolidamento nel medio e lungo termine che rende incapaci di
crescere nella misura richiesta dal mercato. Al fine di non perdere la
propria individualità è possibile ricorrere a strumenti quali consorzi
che consentono di mantenere la propria individualità ma unire le
forze in modo da ridurre i costi di produzione, penetrare nei mercati
e creare propri metodi di distribuzione. Questo modello inoltre mira
ad un consolidamento aziendale per mantenere un reddito stabile e
congruo, in momenti di crisi la maggiore affidabilità è data dal fatto
che tutte le decisioni sono volte al mantenimento della quota di
mercato acquistata. Inoltre, si ha una impronta gerarchica e si
mantiene il collegamento fra chi amministra e gli azionisti. In Italia
sono anche diffusi altri due modelli di imprese: 1) quello
cooperativo realizzato da un gruppo di soggetti che gestiscono in
comune un’impresa e si prefiggono di fornire ai soci il
conseguimento di beni e servizi. La mutualità è l’elemento
caratterizzante di queste imprese, alcuni esempi sono le banche di
credito cooperativo (BCC) le cooperative di consumo, di produzione,
e di lavoro; 3) quello delle società di controllo pubblico, queste
hanno avuto un grande impulso nello sviluppo economico del nostro
Paese, nate nel periodo post-bellico (in cui in Italia si sviluppa la
formula dello stato-imprenditore) e volte alla distribuzione dei
servizi pubblici. Lo stato-imprenditore, tuttavia, ha creato dei
rapporti problematici tra potere politico e potere manageriale
portando le imprese pubbliche ad una condizione di inadeguatezza,
specie in termini di efficienza, spingendo il governo ad attivare la
vendita ai privati di società pubbliche (processo di privatizzazione).
Questo processo può essere formale, quando si ha la semplice
trasformazione di enti pubblici e aziende autonome statali in
soggetti giuridici; sostanziale attraverso un cambiamento della
natura proprietaria della società da pubblica a privata, funzionale
nel caso di trasferimento a soggetti privati nei compiti di gestione e
realizzazione di opere rispetto alle quali i pubblici poteri
mantengono la titolarità, e indiretta se si ha l’introduzione di
logiche e principi di gestione manageriale negli organismi pubblici.
2) Public company (modello anglo-americano): fondato sul liberismo e
sulle corporation delle grandi società e sulla distribuzione delle
quote di capitale sociale tra un numero notevole di azionisti. Questo
modello può causare però un fenomeno chiamato “polverizzazione
del capitale sociale” che porta alla difficoltà di individuazione di un
socio di riferimento o ad una scarsa stabilità gestionale che di
conseguenza porta ad una crisi di impresa e problemi occupazionali.
La governance è affidata a soggetti diversi ma appartenenti da uno
stesso organo (consiglio di amministrazione CdA) eletto
dall’assemblea dei soci. Il CdA rappresenta l’organo fondamentale
per il funzionamento dell’azienda e comprende membri esecutivi
che assolvono funzioni manageriali (tra essi è nominato il CEO) e
non esecutivi che hanno i poteri di controllo sull’amministrazione.
3) Impresa consociativa (modello tedesco-nipponico/renano): renano
perché nasce e si sviluppa lungo in fiume Reno che, attraversa il
Paese dove si collocano le maggiori aziende tedesche. Caratterizzato
dalla determinazione di un rapporto che coinvolge tutti i soci
(gestione societaria) e dalla concentrazione delle quote del capitale
sociale nelle mani di azionisti di maggioranza che però, non
detengono la maggioranza assoluta di queste, e dagli interessi degli
azionisti di minoranza. Questo rapporto è detto consociativismo.
Inoltre, si ha un rapporto che coinvolge la proprietà aziendale e le
rappresentazioni dei lavoratori, come i sindacati a livello nazionale,
e i consigli dei lavoratori a livello aziendale, i cui membri sono eletti
dalla forza lavoro.
Per far si che l’attività aziendale sia conforme al bilancio delle norme di
legge e ai principi contabili si attua la revisione aziendale che viene svolta
da esperti indipendenti.

Cap. 2 Le strategie aziendali


La strategia aziendale consiste nell’assunzione di decisioni razionali e
coerenti in modo da allargare la visione globale e rendere l’azienda
protagonista del cambiamento, migliorandone le relazioni con l’ambiente.
La strategia aziendale deve condurre, innanzitutto, un’analisi sulle risorse
interne (finanziare, fisiche, umane, tecnologiche e organizzative) e in
seguito massimizzare la produttività e l’efficienza d’impiego con un uso
più economico delle risorse. Deve essere quindi frutto di specifiche
elaborazioni di volta in volta pensate che mirano ad introdurre in modo
ponderato le innovazioni di tipo organizzativo ed informatico. Queste si
possono raggruppare in 3 livelli organizzati gerarchicamente:
1) Livello o strategia corporate definisce gli orientamenti da seguire
nelle scelte, ne guida le realizzazioni e coordina e controlla le varie
funzioni dell’impresa in modo che gli obiettivi siano coerenti con
quelli dell’impresa. Le scelte che questa deve affrontare sono la
definizione e la modalità di gestione dei rapporti, la definizione degli
obiettivi che si intendono raggiungere, la definizione dei settori nei
quali si intende operare e il coordinamento del portafoglio. Inoltre
sono prese dal vertice dell’azienda, cioè dall’imprenditore, dalla
dirigenza o dai manager. Le scelte che questa affronta sono le a)
OFS ovvero gli obiettivi finali dell’azienda (di redditività), se l’azienda
decide di cambiare le prospettive dei mercati ci sarà una
rideterminazione di queste; b) Mission aziendale ovvero
determinare gli obiettivi di redditività, e scegliere il settore e i
mercati di riferimento, questa missione non è solamente riferita al
mercato o alla vendita dei prodotti, ma alla sua presenza nel sistema
economico (inter) nazionale. Per dare efficienza alle strategie
corporate l’organizzazione delle imprese di grandi dimensioni e
scomposta in più parti:
- Le aree strategiche di affari (ASA): un sottoinsieme dell’impresa
coincidente con un business specifico, in grado di sopravvivere
autonomamente se scomposto. Il modello ASA è determinato da: a)
la leadership di costo ovvero la capacità dell’impresa di riuscire a
trovare i prodotti o erogare i servizi che le permettono di emergere
e far diventare l’impresa leader nel sistema di riferimento senza
determinare un abbattimento della qualità dei prodotti; b)
differenziazione ovvero la strategia di business basata sulla qualità
e consiste nel mantenere quest’ultima superiore a quella del
prodotto della concorrenza e di conseguenza essere percepiti come
unici sul mercato. Questa strategia consiste infatti nelle scelte che
l’impresa fa all’interno del proprio mercato a sfavore della
concorrenza. Senza vantaggi competitivi nessuna strategia può
resistere. Il prezzo può essere incrementato e definito come
PREMIUM PRICE ad indicare che il surplus del valore che
contraddistingue il prodotto ed incide sul prezzo; c) focalizzazione
ovvero applicare una delle strategie precedenti a specifici segmenti
di mercato; d) diversificazione ovvero ampliare la gamma dei
prodotti.
2) La strategia o livello funzionale, definite dai responsabili delle
singole aree funzionali dell’impresa e si concretizzano sulle scelte
inerenti il coordinamento delle attività di ciascuna area, da parte
dell’imprenditore. Rappresenta la messa in atto delle strategie di
business (finanziare, di marketing e di produzione). Riguarda le
singole funzioni aziendali ovvero: la produzione della logistica, la
pianificazione strategica, la ricerca e lo sviluppo, il marketing e la
comunicazione, l’organizzazione aziendale, la finanza
l’amministrazione e il controllo e il raggiungimento dei fini aziendali.
Le strategie funzionali devono essere sempre definite nell’interesse
dell’azienda (se una strategia ha un prezzo troppo elevato o dei
rischi per l’azienda questa non verrà attuata (es. una campagna
pubblicitaria aggressiva nel marketing). Le modifiche di queste
saranno coordinate dal vertice aziendale in relazione ad esigenze di
carattere operativo).
Le fasi di definizione delle strategie aziendali sono quindi la costituzione
dell’impresa (strategie di corporate, modello ASA, strategie funzionali),
ovvero la struttura dell’attività aziendale e la definizione delle strategie,
l’attività operativa in cui vengono definite le strategie funzionali, e la
riconversione delle attività in cui si ridefiniscono le strategie. Le decisioni
congruenti ad una visione strategica nell’area produttiva riguardano la
dimensione degli impianti e delle attrezzature, la struttura organizzativa,
la gestione e il miglioramento del personale addetto. Le strategie
superaziendali, invece, vengono adottate dai gruppi di imprese per lo
svolgimento coordinato delle proprie attività e si concretizzano nei
seguenti punti:
1) coordinamento delle politiche produttive di gruppo;
2) creazione di forme di integrazione orizzontale e verticale
all’interno del gruppo. L’integrazione verticale consente di creare
una filiera (parte dal fornitore di materie prime o merci all’impresa,
o dall’impresa al cliente) produttiva tra due o più imprese.
L’integrazione orizzontale invece, consente di presentare sul
mercato prodotti che sviluppano delle sinergie tra imprese
consentendo di innalzare il livello di reddito complessivo e
determinando una maggior competitività sui mercati di riferimento
e dando la possibilità di realizzare tra due imprese appartenenti alla
stessa holding delle sinergie in modo tale da ottimizzare i costi;
3) realizzazione dei gruppi economici;
4) realizzazione dei gruppi finanziari, con il conseguente abbattimento
del rischio aziendale;
5) creazione di gruppi internazionali presenti nei mercati esteri con
proprie consociate.
Le strategie aziendali sono influenzate sia da fattori interni come lo stile
direzionale o l’organizzazione delle attività (articolazione dei processi
produttivi, il tipo di struttura commerciale) ma anche dalle tradizioni e
dalla leadership, un’azienda molto legata alla routine può avere più
difficoltà, se interfacciata con situazioni nuove, rispetto ad un’impresa
appena nata pronta a cogliere le nuove opportunità; ma anche da
elementi esterni come il sistema normativo del Paese, gli usi e i costumi
locali o la presenza di barriere all’entrata (forte concorrenza, norme
protezionistiche e dazi), turbolenze di mercato, continue innovazioni
tecnologiche ed organizzative, e squilibri finanziari che possono rallentare
la crescita dell’azienda o inglobarle in situazioni di crisi. Molto spesso per
far fronte a questi elementi esterni si delocalizza la produzione nei luoghi
in cui il costo del lavoro è più basso o ci sono delle agevolazioni statali, o
in casi di crisi effettuare strategie di rilancio (turnaround). Nel momento
in cui si verifica un fenomeno nuovo è possibile classificare i nostri sistemi
rispetto al loro atteggiamento in 3 categorie:
- imprese chiuse il cui organo di governo non si attiva per
comprendere il fenomeno (destinate a scomparire);
- imprese imitatrici le quali attendono lo studio e l’intervento di altre
imprese sulla cui scia si inseriranno le loro decisioni;
- imprese innovatrici: che si impegnano nella ricerca di comprensione
del fenomeno.
In mancanza di tempestivi interventi si può sfociare ad una crisi
patologica aziendale che genera ripercussioni di ordine sociale, e richiede
l’intervento di pubblici poteri. Nel caso italiano, le misure devono essere
autorizzate dalla Commissione Economica dell’UE. La strategia una volta
attuata deve essere seguita nella sua realizzazione, infatti l’efficacia di
questa dipende soprattutto dalla capacità della struttura operativa di
eseguirla. Quindi l’interazione risorse capacità crea una maggiore
redditività dell’azienda.
Successivamente l’impresa deve valutare l’efficacia del complesso di
strategie adottate sia a livello aziendale (generale) che nei livelli inferiori,
questo avviene attraverso il processo di benchmarking che consiste nel
confrontare l’attività d’impresa con quella dei concorrenti, individuando il
migliore nel settore (leader) e cercando di imitarne i comportamenti
strategici ed operativi. Abbiamo due tipi di benchmarking: esterno che
consiste nel confronto con il leader del settore ed è finalizzato al
miglioramento del processo produttivo aziendale (forma drastica);
interno il quale viene svolto all’interno dell’impresa per valutarne
l’efficienza e stimolarne il miglioramento (anche se non ha un adeguato
termine di paragone). Le fasi del benchmarking sono: pianificazione
ovvero l’identificazione delle imprese con cui confrontarsi, e la
determinazione del metodo per la raccolta dati e il suo impiego, l’analisi
ovvero l’identificazione del divario rispetto all’azienda leader e la
previsione del divario nel futuro, l’azione tramite la revisione dei processi
produttivi e la correzione degli errori, e infine, la revisione del
benchmarking stesso, adottato per correggere eventuali errori.
Da un’ottima strategia si giunge al vantaggio competitivo aziendale che
conduce l’impresa ad occupare o mantenere una posizione favorevole nel
mercato e che si traduce in redditività più elevata rispetto a quella dei
proprio concorrenti, questa infatti è generata proprio dalla concorrenza
crescente che crea l’esigenza di fornire prodotti più competitivi sul piano
della qualità richiesta dal cliente, la varietà e la riduzione del ciclo di vita.
Il vantaggio competitivo viene acquisito da un’azienda attraverso: il costo
inferiore rispetto a quello dei concorrenti e la qualità maggiore che
consentirà quindi di aumentare il prezzo del prodotto (la qualità
compensa il prezzo e di conseguenza anche la soddisfazione dei clienti
sosterrà il prezzo portando un vantaggio competitivo all’impresa). Per far
sì che questo avvenga bisogna creare una relazione con il cliente tale da
poter ridurre i costi di acquisizione del prodotto mediante l’ottimizzazione
della propria offerta, sviluppare la relazione grazie al quale l’azienda
individua ed elimina le aree di insoddisfazione dei clienti, per poter
stimolare il consumatore ad aumentare la propria quota di spesa, e infine
mantenere la relazione con la clientela acquisita per ridurre il tasso di
abbandono. Il cliente verrà considerato il “driver” di tutto il processo
determinando così il successo o l’insuccesso del prodotto. Attraverso il
CMR (Customer Relationship Management), l’insieme delle tecniche e
degli strumenti organizzati l’azienda può perseguire e raggiungere la
soddisfazione del cliente ed ottenere la sua fiducia. L’impresa studia le
esigenze del cliente producendo così prodotti più personalizzati. Il CMR
nasce dalla considerazione che mantenere relazioni commerciali con i
clienti attuali costa meno che acquisire nuovi clienti stabilendo così il
cliente e non il prodotto al centro del mercato. Il valore di un cliente non
lo si può misurare in base al suo ultimo acquisto effettuato in un’azienda,
bensì per tutti i potenziali acquisti, ciò significa imparare a conoscere i
propri clienti, capire i loro desideri e soddisfarli. Il CMR si divide in
operativo che prevede il contatto diretto con il cliente attraverso chat o
forum di discussione, analitico che comprende procedure e strumenti per
migliorare la conoscenza del cliente attraverso l’estrazione dati del CMR
operativo, ed infine il CMR collaborativo che comprende metodi per
gestire il contatto con i clienti.
Modello del Boston Consulting Group (BCG)
E’ una matrice che combina il tasso di crescita atteso dal mercato con la
quota di mercato di una determinata ASA detenuta da un’impresa.

Matrice BCG
- quota di mercato alta e crescita di mercato alta: l’azienda evidenza
una presenza significativa sul mercato che presenta delle buone
prospettive (stars);
- quota del mercato alta e crescita del mercato bassa: l’impresa ha
una buona presenza sul mercato ma in prospettiva si vede un calo
della redditività (question marks);
- quota mercato bassa e crescita del mercato alta: l’impresa ha una
modesta quota di mercato ma le prospettive economiche sono
buone (il mercato viene considerato come una CASH COWS –
MUCCA DA MUNGERE);
- quota del mercato bassa e crescita del mercato bassa: le prospettive
sono scarse (dogs).
Se un’impresa si posiziona nel quadrante «dogs» o in quello «question
marks» le politiche gestionali adottate non sono le migliori e vanno
probabilmente rideterminate.
Se un’impresa si posiziona nel quadrante «stars» o «cash cows» la politica
gestionale è saggia e le dimensioni aziendali indicano rispettivamente una
fase espansiva (stars) o una fase matura (cash cows).
L’abbandono di una ASA deve essere ponderato attentamente,
determinando la necessità di effettuare degli investimenti per la
riconversione delle attività e, in ogni caso, deve essere riproposto il
modello del BCG per tutte le ASA.
La catena di valore del Porter
Questa è una rappresentazione grafica che illustra il margine di valore
dovuta all’iterazione dell’impresa tra le varie tipologie di attività:
1) di base o primarie: logistica interna ed esterna, operation,
marketing e vendita, servizi;
2) di supporto;
3) infrastrutturali: le infrastrutture dell’impresa e lo sviluppo della
tecnologia.
Il loro interagire genera la redditività ovvero la creazione del valore da
distribuire tra il soggetto economico (imprenditore) ed altri soggetti (lo
stato, i distributori).
INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
Il livello di internazionalizzazione di un’impresa dipende dal numero di
paesi che si intende servire. L’impresa così può essere suddivisa in 3 tipi:
- internazionale la quale opera in pochi Paesi con un livello di
complessità ridotto. Consiste in una determinata impresa che con
un tipo di prodotto/marchio, riesce a servire più Paesi nei mercati
con caratteristiche simili, ma non in un contesto globale;

- multinazionale la quale opera in numerosi Paesi con un livello di


complessità della propria attività notevole, in quanto deve adattare
sistematicamente le proprie produzioni a un maggior numero di
realtà, offre prodotti/marchi diversi per mercati diversi oppure
adatta questi prodotti/marchi ai diversi contesti in cui essa opera;

- globale la quale opera in tutto il mondo con prodotti indifferenziati e


con elementi distintivi unici.

Cap. 3 L’equilibrio di impresa


L’impresa è formata da un organo di governo e da una struttura
operativa. L’organo di governo è presieduto dall’imprenditore e dall’area
gestionale, ovvero i dipendenti e chi realizza le operazioni, presuppone
un’attività di conoscenza dei fenomeni, quindi di un supporto informativo,
e di interpretazione dei fenomeni migliori per la realizzazione delle
finalità dell’impresa. Tra l’impresa e l’ambiente, inoltre vi è uno stretto
legame in quanto l’impresa è in grado di apportare, grazie alle scelte e
decisioni, innovazioni e mutamenti nell’assetto statico dell’ambiente per
questo, l’organo di governo deve conoscere la realtà in cui si muovono il
sistema di impresa e le altre entità. La gestione riguarda il complesso
delle decisioni inerenti i processi, basata sulle scelte dell’organo di
governo. Il corretto funzionamento dell’azienda avviene attraverso il
monitoraggio di tutte le varie fasi, soprattutto quelle considerate come le
più critiche. Queste fasi partono dalla rilevazione degli eventi aziendali, la
quale avviene tramite la contabilità generale e analitica, per poi
procedere con l’analisi dei risultati ottenuti. Queste informazioni
costituiscono la guida dell’operatività dell’impresa. Il controllo quindi si
realizza attraverso il confronto tra i dati previsti e quelli realizzati
consentendo così il raggiungimento degli obiettivi pianificati, come il
conseguimento del profitto e dell’equilibrio economico. Il successo
reddituale di un’azienda è dato dal soddisfacimento degli interessi dei
lavoratori, azionisti, fornitori, clienti e creditori i quali stringono un
rapporto produttivo con l’impresa stessa. Dall’efficacia dell’operatività
della gestione, deriva l’equilibrio economico che si realizza con la
copertura dei costi con i ricavi, quindi l’utile = ricavi – costi, e la
remunerazione degli investimenti ovvero del capitale di rischio. Gli
indicatori utili per fornire le decisioni di investimento sono il R.O.E (return
on equity) dato dal rapporto tra risultato economico netto e capitale
proprio che considera le capacità reddituale del capitale di rischio
(proprio); R.O.I (return on investment) dato dal rapporto fra il reddito
operativo ed il totale del capitale investito che indica la redditività
investita. Se nell’equilibrio finanziario dovessero esserci delle perdite può
verificarsi l’erosione del patrimonio d’impresa che se non risanato può
portare al fallimento della stessa. L’equilibrio finanziario invece consiste
nella capacità di adeguare sotto il profilo temporale le uscite finanziarie,
con le entrate e le riserve di liquidità (risorse monetarie). Le entrate
devono prevalere sulle uscite con una differenza netta, consentendo la
loro copertura. Ciò deriva dalle risorse disponibili ovvero il capitale
proprio o di terzi, i proventi di vendita e gli investimenti. Per valutare la
situazione finanziaria dell’impresa è possibile attuare il quick test o indice
di liquidità, dato dal rapporto tra disponibilità finanziarie e debiti correnti
(un risultato accettabile deve essere pari ad uno). L’equilibrio
patrimoniale è dato dal rapporto tra capitale di credito e di rischio ed è
connesso con il problema del dimensionamento. La dimensione ottima è
quella che garantisce la minimizzazione dei costi ed il perfezionamento
della performance organizzative e gestionali. L’equilibrio economico e
finanziario sono correlati tra loro, in quanto se si sostengono dei costi
(aspetto economico) si avranno delle uscite (aspetto finanziario), e se si
conseguono dei ricavi ci saranno delle entrate. L’unica differenza è che
mentre gli aspetti economici si maturano in un certo arco di tempo quelli
finanziari si hanno in un momento specifico.
Il Break Even Point
Come già detto ci sono dei punti di connessione tra le tipologie di
equilibrio sopra citate, ad esempio delle ridotte disponibilità finanziare
impediscono l’attuazione delle politiche di investimento. Per questo
motivo l’azienda deve essere caratterizzata da elasticità grazie al quale il
sistema riesce ad adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente, e flessibilità che
richiede all’organo di governo di pensare e poi realizzare la struttura
operativa più consona per l’impresa, ed entrambi i fattori devono
garantire una capacità reddituale soddisfacente al sistema. I fattori
produttivi di un’azienda determinano i costi fissi impiegati nella struttura
(beni e materie di costruzione), questi non mutano al variare delle
quantità prodotte come ad es. i canoni di locazione e gli oneri del
personale, ed i costi variabili utilizzati per l’attivazione della struttura
stessa, correlati alla quantità prodotta (materie prime, energia,
manodopera diretta), e sono sensibili al mutare dei volumi di acquisto
come cambi di valuta ed inflazione. I costi variabili si dividono in due
sottocategorie i progressivi ed i repressivi. I primi aumentano in maniera
più proporzionale all’incremento dei volumi, i secondi decrescono
all’aumentare della quantità. È possibile sintetizzare l’andamento
economico ed i riflessi finanziari dell’attività di un’impresa grazie
all’utilizzo di un modello (diagramma cartesiano) definito punto di
pareggio o break even point (B.E.P). Questo modello permette di
individuare la quantità minima del tempo di produzione, e la quantità del
prodotto da vendere necessaria per conseguire il pareggio tra costi e
ricavi, tenendo in considerazione un certo livello di costi totali (ottenuti
dalla somma dei costi fissi e variabili), e il complesso di vendite effettuate
in un lasso di tempo, ovvero i ricavi totali. L’analisi si divide in 3 step, nel
primo i costi totali accedono ai ricavi delle vendite e si determina un’area
di perdita iniziale, nel secondo i ricavi pareggiano i costi e si determina il
punto di pareggio, e nel terzo i ricavi superano in valore i costi totali
determinando l’area di utile. Il punto di pareggio è diverso a seconda del
settore dell’azienda presa in esame, i costi fissi delle imprese industriali
ad esempio saranno superiori a quelli delle aziende di sevizi.

Sull’asse delle ordinate abbiamo i costi ed i ricavi mentre sulle ascisse le


quantità prodotte, la semiretta dei costi totali incrocia quella dei ricavi in
un punto che individua il pareggio tra i costi e ricavi totali, e la quantità di
prodotto corrispondente. Affinché l’impresa possa realizzare un utile il
margine di contribuzione dell’impresa deve essere maggiore ai costi fissi.
CONGRUITA’ DEL REDDITO
Avviene dopo un determinato punto che individua la soglia minima di
remunerazione del capitale investito dal soggetto economico, l’utile
ottenuto potrà essere considerato congruo e in linea con le aspettative
del soggetto economico. La determinazione della soglia sarà fatta
mediante l’individuazione degli oneri figurativi. Questi sono alcuni costi
‘’virtuali’’ che non comportano delle uscite finanziarie e sono legati alla
remunerazione dell’imprenditore e non riconducibili ai costi fissi e
variabili.
Sono oneri figurativi:
• Interesse di computo: la remunerazione che spetta al soggetto
economico.
• Stipendio direzionale ovvero il compenso spettante all’imprenditore per
l’attività direzionale. L'imprenditore apporta dei capitali nella sua
impresa, quindi ha diritto ad un compenso sul capitale investito
commisurato ai tassi di interesse praticati sul mercato.
Nelle società di capitali la remunerazione diventa un costo variabile,
perché avviene con il versamento degli stipendi ai managers.
Il valore aggiuntivo
L’organo di governo deve condurre l’impresa al raggiungimento di
obiettivi che ne affermino il successo. Tra i numerosi obiettivi dell’impresa
vi è innanzi tutto il conseguimento di profitto dell’equilibrio economico, e
la creazione di valore aggiuntivo conferito dall’impresa ad una massa di
beni, provenienti dall’ambiente prelevati sotto forma di materie prime e
restituiti sotto forma di prodotti finiti. Per poter ottenere il valore
aggiunto, i beni a disposizione dell’impresa devono essere combinati in
modo da poter trasformare le materie prime in prodotti e, poter generare
il beneficio economico. Per quanto riguarda la distribuzione del valore
aggiuntivo, al soggetto economico spetta una quota dell’utile per
remunerare il capitale conferito e per avere un salario direzionale; ai
dipendenti (operai) spettano i salari, e gli stipendi agli impiegati e
managers a fronte dell’attività lavorativa prestata che consente di
ottenere i prodotti o amministrare l'impresa; allo Stato viene devoluta
una parte del valore aggiunto sotto forma di prelievo fiscale (imposte e
tasse fra cui IVA).
Il controllo gestione serve a verificare il raggiungimento degli obiettivi
dell’impresa e avviene nei seguenti passaggi:
 verifica del raggiungimento di un livello di reddito
adeguato conforme a quanto previsto dalla programmazione ;
 verifica della correttezza della gestione aziendale e/o il
corretto funzionamento degli asset aziendali;
 verifica del corretto operare del personale;
 dare un supporto informativo per la presa delle decisioni
strategiche da parte del vertice aziendale fino alla modifica del
processo produttivo.

Le modalità di controllo avvengono tramite il livello strategico ovvero la


valutazione dell’accuratezza delle decisioni strategiche, l’eventuale
revisione dell’OSF e la modifica della strategia competitiva, e quello
manageriale, attraverso la valutazione dell’accuratezza dello svolgimento
delle funzioni operative da parte del personale, o attraverso
l’assegnazione delle mansioni e delle qualifiche lavorative, ed eventuali
modifiche. Ci possono essere varie classificazioni e tipologie di controllo
di gestione. Le prime possono essere di tipo: antecedente (durante la
fase di programmazione), concomitante (durante il processo di
produzione), susseguente (alla fine del processo produttivo), e infine
controllo su controllo (verifica dell’efficacia del controllo ed eventuale
revisione.

Le seconde possono essere:

 Finanziarie: mira a verificare il raggiungimento degli obbiettivi


di reddito e l’equilibrio finanziario e patrimoniale dell’impresa;

 Funzionale: mira a verificare il corretto funzionamento di tutti i


mezzi a disposizione dell’impresa sia tecnici che personali;

 Complessivo: riferito all’intera attività, compresa sia la


performance finanziaria che operativa;

 altre forme di controllo: mirano a valutare il rapporto con


gli stakeholders.

La classificazione del controllo di gestione può avvenire internamente


(riguarda l’efficacia e l’efficienza del funzionamento del processo e del
sistema produttivo), o esternamente (riguarda il controllo sulla corretta
amministrazione e sull’adozione dei principi di sana gestione) all’impresa. 

Il livello di gestione ha diversi caratteri:


- aziendale o gestionale: che avviene nelle singole aree funzionali
(questo opera in modo più efficiente perché prima di riscontrare un
problema su un prodotto che può portare ad una perdita di
competitività controlla se le aree sono competenti), sull’intero
processo produttivo o su singoli progetti (volto a valutare il
complesso aziendale nella sua interezza) e sulla combinazione delle
due tipologie di controlli;

- economico: consiste nella verifica dell’andamento economico


dell’impresa e avviene mediante il reddito o utile che consente di
coprire gli oneri figurativi e di remunerare in modo congruo il
soggetto economico anche considerando la rischiosità dell'attività
imprenditoriale, il reddito operativo che indica la redditività «vera»
dell’impresa, il fatturato ovvero l’entità dei ricavi di vendita
dell’impresa, il valore di indicatori ROE che esprime il tasso di
rendimento del capitale apportato dal soggetto economico ROI che
indica il tasso di copertura degli investimenti con il capitale
apportato dal soggetto economico;

- operativo: il quale pone una verifica dell’efficienza tecnica dei mezzi


a disposizione volta sia al mantenimento degli standard qualitativi di
produzione sia al mantenimento negli anni del numero di pezzi
prodotti, del personale inteso come il mantenimento di prestazioni
lavorative di qualità anche mediante corsi di aggiornamento
professionale; e coordina varie funzioni produttive per garantire
efficienza delle attività aziendali e ottimizzazione dei
processi produttivi e dell’accesso al mercato;

- commerciale: il quale pone una verifica dell’efficienza della struttura


commerciale dell’impresa, mediante il controllo del mantenimento
del livello minimo di pezzi venduti negli anni, il controllo delle
performances del personale dell’area commerciale, e adotta una
scelta strategica tra rete di vendita controllata dall’impresa
e l’affidamento della produzione a intermediari commerciali
(grossisti, dettaglianti, agenti).
- contabile: il quale consiste nella verifica della corretta tenuta
della contabilità in base alle norme di legge civilistiche in materia
di bilancio e dei principi contabili nazionali ed internazionali.  Il
controllo contabile è svolto dalla funzione amministrazione e
controllo mentre per le società quotate in borsa è svolto dalla
società di revisione. Oppure, internamente, dal dirigente preposto
alla tenuta dei conti che coordina una struttura di revisione propria
dell’impresa (tramite la verifica di tutte le fatture ricevute ed
emesse dall’impresa). 

Esiste una stretta correlazione tra programmazione e controllo, mediante


l’analisi della differenza tra obbiettivi pianificati e risultati conseguiti con
evidenziazione delle eventuali aree di inefficienza aziendale per
rimuoverle. Si può effettuare quest’analisi anche su altri fattori di
carattere quantitativo (produttività) o sul corretto funzionamento dei
mezzi dell’impresa.

Cap. 4 Il controllo di gestione


L’impresa, nel prendere decisioni, va incontro a rischi, generati dalla
propria iterazione con i mercati e con il contesto ambientale, che possono
minare il funzionamento, e creare dissesto aziendale se non
opportunamente gestiti. Inoltre un rischio può essere connesso sia alla
dimensione temporale (in quanto le decisioni prese oggi producono
effetti sul futuro), sia alla gestione delle negoziazioni commerciali e
all’utilizzo della leva operativa e quella finanziaria, sia al passaggio
commerciale di beni economici, in quanto molto spesso avvengono tra
soggetti siti in luoghi diversi ed aventi differenti esigenze temporali. Ci
sono due tipologie di rischi, quelli di non conoscenza, i quali derivano da
fattori totalmente ignorati per appunto carenza informativa durante il
processo decisionale, o che l’organo di governo non ritiene di considerare
in quanto non riesce a valutare le eventuali conseguenze; quelli aleatori,
che l’organo di governo è in grado di prevedere, grazie agli strumenti di
calcolo finanziario in grado di misurare i valori attesi, l’organo di governo
può identificare gli eventi futuri e identificare le possibili conseguenze. La
rischiosità viene collegata alla possibilità che il risultato economico
effettivo, possa essere diverso da quello atteso. Tale possibilità viene sia
ricondotta all’incapacità di valutare il rischio aleatorio, sia al rischio di non
conoscenza. Pertanto è l’informazione la chiave per fronteggiare il risk
management, presupposto essenziale per le scelte di governo, ma a
questa si deve accompagnare una comunicazione aperta e costante tra le
varie aree operative per rendere possibile sia l’individuazione del rischio
che maturare gli strumenti necessari per affrontarlo, in assenza di questa
non sarà possibile attuare un programma di gestione del rischio. Al
contrario se la comunicazione è aperta ma l’informazione è nulla, sarà
possibile effettuare la valutazione che però potrà essere erronea per
fronteggiare tale imprevisto. Ci sono anche altre tipologie di rischi quali:

- rischi generici determinati dal rischio aziendale legato


all’indeterminatezza dell’attività imprenditoriale, all’andamento di
mercato e alla stabilità complessiva dell’impresa;

- rischi specifici diviso in finanziario legato a valutazioni di carattere


finanziario non corrette come ad esempio la sovrastima del
rendimento e degli investimenti effettuati, operativo relativo allo
svolgimento del processo produttivo.

A seconda se la probabilità di rischio sia alta o bassa si posso distinguere 4


livelli di rischio: quello esistenziale che deve essere necessariamente
evitato, il rischio grave che andrebbe ridotto, il rischio sostenibile che
andrebbe controllato, ed infine il rischio marginale che potrebbe essere
ignorato. Il rischio è stato concepito principalmente quale fenomeno
correlato all’incertezza ma anche riconducibile ai rapporti tra l’impresa e i
suoi interlocutori (fornitori e clienti). L’impresa per tanto fronteggia
almeno due situazioni di rischio di natura opposta:

- rischio di mercato: derivante dall’anticipata acquisizione di costi


sulla base di previsioni di vendite future;

- rischio d’esercizio: derivante dall’anticipata acquisizione di vendite,


il cui processo di produzione e acquisizione dei fattori produttivi, si
realizzerà nel futuro.
Per fronteggiare il rischio aleatorio e misurare la situazione di incertezza
connessa alla decisione da prendere in mancanza di adeguate
informazioni, l’impresa ha bisogno di un sistema decisionale che effettui
delle previsioni al fine di poter quantificare non soltanto il rendimento
atteso dall’attività d’impresa ma anche il grado di rischio della stessa. In
situazioni di incertezza è necessario:

a) individuare le variabili influenti sul progetto imprenditoriale da


realizzare;

b) fare delle ipotesi circa la loro evoluzione.

La misura del rischio, connesso al business gestito dall’impresa è data


dalla dispersione dei diversi probabili risultati, tale dispersione viene
definita con il termine volatilità. Il governo presuppone un’attività di
conoscenza dei fenomeni e l’interpretazione delle condizioni migliori
per la realizzazione delle attività d’impresa. La gestione riguarda,
invece, il complesso delle decisioni inerenti ai processi che qualifica la
struttura anche per la presenza di routine di rilevante importanza per
la loro capacità di ridurre l’incertezza e di conseguenza il rischio. Le
decisioni dell’organo di governo richiedono, inoltre, considerazioni ed
analisi dei rischi riconducibili alla natura dei costi della struttura
operativa impiegata per la realizzazione del progetto di business, al
fine di individuarne il punto di pareggio (BEP). Il punto di pareggio
viene identificato come rapporto tra costi fissi e margine di
contribuzione unitario. A parità di prezzo di vendita del servizio finale,
l’impresa strutturata con una tecnologia ad elevati costi fissi e bassi
costi variabili avrà un maggiore margine di contribuzione superiore a
quello dell’impresa caratterizzata da una struttura inversa. Il
management sceglierà la struttura operativa sulla base del grado di
certezza di superamento del punto di pareggio, idonea a generare un
flusso costante di prodotti e servizi finalizzato al raggiungimento di una
dimensione minimale critica, determinando un’elevata dimensione di
capitale.

Per quanto riguarda la gestione del rischio, questo avviene attraverso


l’elaborazione di uno schema di gestione del rischio per prevenire
l’insorgere di quest’ultimo o attenuarne le conseguenze sull’attività
aziendale e sull’economia dell’impresa. La gestione è tanto più
complessa quanto più sono articolati i processi produttivi, non a caso
nelle aziende di più piccole dimensioni i rischi, possono essere gestiti
più agevolmente che in quelle più grandi. La gestione del rischio si
articola in vari punti:

1) rilevare il processo produttivo e valutare i rischi che questo può


generare, individuandone i caratteri fondamentali legato al settore
di riferimento e nelle aree in cui questo opera e successivamente
individuare quali risorse finanziarie, tecnologiche ed umane bisogna
convogliare nella predisposizione del sistema organizzativo
aziendale;

2) individuare i rischi attesi in fase di programmazione, classificandone


le varie tipologie, e in seguito creare un sistema di controllo interno
attraverso l’individuazione delle risorse per monitorare l’attività
aziendale;

3) valutare qualitativamente i rischi, la loro pericolosità e


classificandoli in base ad essa, ed i controlli tramite l’elemento del
benchmarking aziendale visto come risultato gestionale/operativo a
cui l’azienda mira;

4) definire il piano per le azioni correttive attraverso la prevenzione


delle soluzioni per ridurre o eliminare i rischi, l’individuazione della
fattibilità delle azioni correttive, e la predisposizione di un piano di
applicazione delle soluzioni;

5) costruire una database informatico per i rischi tramite dati e tabelle


di riepilogo, e conservarne i dati per creare delle serie storiche con
cui si potrà evitare, nei prossimi processi produttivi, il ripetersi di un
determinato rischio;

6) fare un reportage dell’attività di gestione del rischio, tramite la


creazione di report, l’evidenziazione degli elementi di rischio
principale (dove si nota l’eventuale debolezza di un processo
produttivo), e l’illustrazione del sistema di controllo interno ed
eventualmente esterno adottato;

7) controllo su controllo, attraverso l’individuazione del sistema di


controllo, la modifica di questo in caso di malfunzionamento e
l’eliminazione delle aree di crisi.

Durante crisi finanziarie però, il controllo di un’azienda risulta


particolarmente difficile dato che l’effetto economico ed occupazionale
della crisi è spesso imprevedibile. Questo può avvenire comunque
attraverso: il controllo dell’andamento del mercato (affinando il sistema
informativo per cogliere le opportunità offerte dal mercato in tempo di
crisi), l’adattamento del processo e della struttura produttiva per renderli
più flessibili e adattabili alle esigenze operative, e l’eventuale
riconversione o riprogettazione delle attività.

Cap. 6 La tecnologia in ambito aziendale


Con la rivoluzione industriale, si iniziarono per la prima volta ad impiegare
le macchine che furono affiancate al lavoro umano, nacque così il sistema
d’impresa. Tale nascita consiste con il passaggio dalla produzione
artigianale a quella di serie, caratterizzata dal sistema di processo di
lavorazione in sequenze. Si sviluppò così il fenomeno della
specializzazione delle mansioni, intento alla riduzione degli errori e
all’incremento della produttività e ancor dopo si affinarono le capacità
tecniche ed organizzative creando così la produzione di massa la quale
mirava ad una riduzione dei costi unitari attraverso l’aumento dei valori
produttivi (procedura che avveniva tramite la standardizzazione dei
compiti e delle mansioni stabilite dal taylorismo) alla fine degli anni ’20
del secolo scorso si avvertì l’esigenza di rivedere l’assetto organizzativo e
tecnico produttivo al fine di rinnovare la capacità dell’offerta,
avvicinandola ai mutevoli andamenti della domanda. La tecnologia in
ambito aziendale deve essere caratterizzata da: pervasività che si ha
mediante la diffusione in tutta l’organizzazione aziendale di forme di
tecnologia diversificate applicate alle varie attività aziendali e alle singole
operazioni (comunicazione, programmazione, erogazione di servizi e
produzione di prodotti), in quanto un’applicazione parziale della
tecnologia non consente di raggiungere standard adeguati; onerosità che
consiste nella determinazione di costi da sostenere per l’acquisizione
della tecnologia sia sotto il profilo economico che sotto quello
organizzativo. I costi economici sono legati all’acquisizione della
tecnologia dai fornitori mentre i costi organizzativi consistono nella
riconfigurazione del processo produttivo; reperibilità che consente
all’impresa di poter trovare ed inserire nel processo produttivo la
tecnologia che le consente di migliorarlo. Inoltre questa deve essere
facilmente disponibile (se non è presente nel mercato dovrà essere
reperita da nuovi mercati con costi aggiuntivi di trasferimento ad es. dazi
doganali, e se è del tutto irreperibile l’impresa dovrà modificare il
processo organizzativo). Il non impiego di tecnologie snellisce il processo
produttivo ma rende scarsamente competitiva l’impresa; formazione del
personale che serve a consentire l’impiego della tecnologia ed avviene
con modalità diverse in base a fattori come il costo della formazione e il
tipo di tecnologia. Se la formazione avviene internamente si
determineranno dei costi relativi alla retribuzione del personale “senior”
che trasferisce le proprie conoscenze ai nuovi assunti, se invece, avviene
esternamente, ovvero tramite l’affidamento delle tecnologie a società
specializzate si hanno dei costi di formazione con pacchetti “ad hoc”.

L’impresa deve saper captare i nuovi segnali per poter cambiare il


processo produttivo se si rende necessario doverlo fare. L’aspetto
tecnologico, rispetto al passato, oggi non viene più visto come unico
elemento determinante ma viene affiancato dal capitale umano
considerato sia come capacità manageriale di indirizzo e guida, sia come
organizzazione ed esecuzione delle fasi operative. Al giorno d’oggi infatti
non risulta più difficile produrre, quanto organizzare un’azienda dotata di
creatività e di relazioni interne ed esterne che siano capaci di creare
valore. L’ambito competitivo infatti si è basato sulla capacità produttiva a
quella di innovazione. Le nuove tecnologie sono state considerate come
un fattore produttivo chiave del nuovo paradigma tecnico economico in
quanto hanno reso compatibili obiettivi finora contrastanti quali
flessibilità (possibilità dell’impresa di disporre di prodotti differenti e
qualificati riducendo al massimo il prezzo del singolo prodotto) ed
economie di scala (fenomeno di riduzione del costo che si manifesta al
crescere della quantità di produzione e delle dimensioni di un’impresa), e
qualità e bassi costi. A ciò si deve aggiungere lo sviluppo delle
telecomunicazioni che ha consentito di ottenere lo scambio in rete delle
informazioni in tempo reale non solo con i produttori ma anche con i
clienti. È possibile classificare le varie tipologie di sistemi produttivi a
seconda delle varie caratteristiche, quali il processo di realizzazione, la
numerosità dei prodotti, il grado di semplicità o complessità della
struttura di quest’ultimo etc. questi sono:

1) Tecnologie informatiche e processi produttivi continui: tipici delle


industrie di base (chimica, petrolchimica, siderurgica, elettrica,
cementaria) fondati sulla conversione chimico-fisica (si parlerà per
quanto riguarda questi settori di ciclo obbligato cioè, imposto dalla
natura del processo, con cicli tecnologici ben definiti). L’obiettivo dei
processi produttivi continui è la realizzazione di una quantità di
flusso da ottenere nell’unità di tempo. L’evoluzione di tale tipo di
tecnologie ha mirato essenzialmente a controllare e semplificare il
processo medesimo, consentendo un più calibrato dosaggio di
materie ed energie, in modo tale da migliorare rese e standard
qualitativi e una migliore tutela dell’ambiente. Si è passato così dalla
produzione di massa a quella di prodotti speciali a più alto valore
aggiunto;

2) Tecnologie informatiche e i processi produttivi intermittenti:


riguarda beni delle industrie manifatturiere, in cui vi è discontinuità
o intermittenza nella produzione al quale si aggiungerà l’attività di
monitoraggio. Le attrezzature le macchine e gli impianti saranno più
universali e meno dedicati. La produzione in questo caso sarà:

- ripetitiva (in serie): con ridotta varietà di prodotti e con macchine


organizzate in linea (automobili, elettrodomestici),

- a flusso lineare su linee spezzate: organizzata per reparti e a fasi di


lavorazione in sequenza,
- a lotti: con impianti a ciclo unico difficilmente automatizzabili in
modo integrale (nel settore dell’abbigliamenti la cucitura avviene
con metodi tradizionali mentre il taglio con metodi avanzati),

- a impianti misti: caratterizzati da diversi tipi di lavorazione,

- per reparti: con impianti a multi-ciclo. Nelle lavorazioni con processi


di tipo intermittente per reparti, si avrà il vantaggio di realizzare
produzioni a lotti sempre più diversificati e produzioni su commessa
a costi e tempi nettamente inferiori rispetto al passato;

Nei settori legati a lotti di produzioni con l’introduzione della tecnologia,


si sono effettuate delle modifiche nella struttura organizzativa in termini
di flessibilità intesa come capacità di espandersi ed adattarsi ai
cambiamenti di produzione in tempi ristretti (come ad esempio la
scomposizione del prodotto in componenti separabili realizzati da moduli-
officine dotati di larga autonomia, il produttore vedrà così ridotta la
complessità produttiva).

3) produzioni job-shop: che operano realizzando un numero limitato


di unità conformi alle specifiche richieste del cliente (mobili su
richiesta, abiti su misura). Gli enti preposti alla progettazione
effettuano verifiche di fattibilità in base alle stime di costo
precedentemente formulato al cliente. In queste produzioni la
realizzazione delle attività produttive avviene solo dopo
l’acquisizione dell’ordine dal cliente. i macchinari in questo caso
sono di capacità generiche pronte ad adattarsi ad un ampio spettro
di lavorazioni;

4) produzioni a celle: in cui ad ogni singolo operaio viene consegnato


un kit di montaggio contenente tutti i componenti per assemblare
uno specifico articolo. Il vantaggio in questo caso consiste nella
qualità di controllo in tempo reale.

Produzione snella
Per produzione snella o “lean production” si intende l’adozione delle
alternative produttive, quali, strumenti tecnologici più sofisticati, e delle
scelte gestionali utili per il perseguimento di differenti vantaggi
competitivi, prima assicurati dalla produzione artigianale. L’adozione delle
strategie è in funzione delle caratteristiche del mercato e delle capacità
dell’impresa, il management assume un ruolo fondamentale in quanto
deve prevedere il cambiamento e saperlo fronteggiare per evitare l’uscita
dell’impresa dal mercato stesso. La lean production si caratterizza per:

- la riduzione dei costi aziendali, economici ed organizzativi;

- l’attenzione alle esigenze espresse dal mercato;

- l’adattamento delle attività aziendali, dei mezzi e del personale agli


imput del contesto di riferimento;

- la flessibilità delle attività produttive di un’azienda mediante il


miglioramento dell’organizzazione e dell’ottimizzazione tra le varie
funzioni.

Al giorno d’oggi grazie al progresso nelle tecnologie informatiche e a


dispositivi automatici di controllo della qualità, si è avuta una spinta
decisiva per creare reti di informazioni adeguate, raggiungendo così
l’ottimizzazione delle performances aziendali in tutte le funzioni ed in ogni
attività di un’impresa e l’immediato esame del prezzo o del materiale
difettoso grazie al quale si può risalire subito al guasto della macchina o
all’errore dell’operaio, in modo che rimossa la causa, il flusso può
riprendere con una qualità totale assicurata. Il miglioramento non
riguarderà solo la realizzazione del processo fisico tecnico ma di ogni
attività aziendale, in quanto lo scopo della qualità totale è proprio quello
di migliorare qualsiasi attività d’impresa. Alcuni elementi della total
quality sono: il total quality management che si caratterizza per un
approccio top/down ovvero che parte da considerazioni di tipo ampio,
per capire quali settori potranno poi portare un utile maggiore. Si
analizzerà prima il mercato (top) per poi passare alle aree di affari più
redditizie (down). Inoltre questo processo si concretizza per attuare un
miglioramento delle performance volto alle esigente della clientela, e alla
propensione al cambiamento da parte del vertice aziendale ma anche del
personale. Al concetto di quality control si abbina spesso quello del just in
time (JIT) ovvero la produzione e consegna dei beni nel momento
opportuno, quando servono secondo le esigenze della domanda in modo
da semplificare la gestione riducendo le scorte nelle varie fasi di
lavorazione (sistema giapponese adottato inizialmente dall’industria
navale e poi perfezionato da quella automobilistica della Toyota). I
vantaggi del JIN sono:

1) la riduzione delle scorte;

2) minore dimensione dei locali adibiti a magazzini per le scorte;

3) minori costi di stoccaggio per le scorte e d’acquisto per le materie


prime;

4) miglioramento del raccordo tra impresa, fornitori e clientela;

5) ridotti tempi di consegna.

Altri elementi della QT sono: il business process reengeneering (BPR),


con cui si intende il processo di ristrutturazione aziendale che prevede la
modifica completa di tutte le attività svolte, attuata mediante la revisione
della pianificazione strategica. Il BPR può essere causato da una
sovrastima del reddito atteso in fase di pianificazione strategica (l’intera
attività aziendale viene ristrutturata in seguito ad errori fatti dall’impresa),
e da nuove possibilità dovute ad aperture di mercato o all’accresciuta
capacità competitiva dell’impresa. La BPR può anche essere scelta
dall’impresa stessa, ad esempio, in caso dell’accrescimento della capacità
competitiva dell’impresa che determina la necessità di progettare il
sistema aziendale per cogliere nuove opportunità. Il material
requirement planning (MPR), è un sistema di razionalizzazione degli
acquisti di fattori produttivi (materie prime) basato sulla gestione degli
ordini che si prevede di avere, in base al quale si determina la riduzione
delle scorte. Questo è caratterizzato dalla determinazione di un volume di
scorte ridotte, dalla programmazione degli acquisti delle materie prime
proporzionata al volume di vendite stesso, la riduzione delle scorte non
deve essere né eccessiva né totale. L’MRP si discosta dal JIT per il fatto
che esso sia legato alla prevenzione della creazione di aree legate
all’inefficienza aziendale, e alla cattiva valutazione degli acquisti di
materie prime (fase iniziale) mentre il JIT si occupa della fase di
stoccaggio. Ed infine il banckmarking (vedi cap.2).

Cap. 8 Sistemi e strumenti della qualità


La qualità e l’affidabilità richieste dal prodotto hanno portato
all’introduzione di nuove metodologie che potessero assicurare la qualità
assurance o qualità totale, questa, è un processo graduale e, consiste nel
perseguire l’ottimizzazione delle performances aziendali in tutte le
funzioni (analisi dei processi operativi, formazione del personale,
selezione dei materiali ecc.) e in ogni attività d’impresa. Si concretizza in
quel complesso di operazioni svolte in ogni fase dell’attività dell’impresa,
per ottenere un miglioramento continuo delle attività aziendali. La
garanzia della qualità diventa così il risultato dell’integrazione di tutte le
funzioni aziendali. Per conseguire la custumer satisfaction è necessario,
secondo la logica problem solving, rinnovare il sistema aziendale e i
rapporti interpersonali sia all’interno dell’azienda, che all’esterno
(fornitori, clienti, intermediari). La qualità totale ha richiesto un
cambiamento manageriale focalizzando l’attenzione al soddisfacimento
delle richieste del cliente comportando la gestione di un’organizzazione
per processi, produzione snella e coinvolgimento di gruppi di lavoro. Negli
ultimi anni è sorta la necessità di migliorare la qualità totale tramite:

- l’anticipazione e il superamento delle attese dei clienti


(sorprenderli), e curare oltre alla loro soddisfazione anche la loro
fidelizzazione;

- l’innovazione, e non solo il miglioramento;

- lo sviluppo di imprenditorialità interna e soluzioni per ottenere


continuamente idee innovative attraverso un ambiente
organizzativo dinamico.

Alcune metodologie statistiche possono gestire i problemi nella loro


complessità, individuando i fenomeni che possono incidere sulle
condizioni di stabilità. Si potrebbe considerare di qualità quell’azienda che
riesce ad organizzare la produzione e vendita dei beni/servizi in modo da
soddisfare le esigenze del cliente ma, sostenendo i costi minori possibili,
anche se migliori dispositivi di sicurezza, tecnologie aggiornate e
personale qualificate, richiedono maggiori costi, per questo bisogna saper
investire per mantenere alta la propria immagine e anche, la fedeltà del
cliente.

Un ottimo metodo per individuare gli elementi strategici e gli operativi


fondamentali è quello della pianificazione aziendale volta a progettare le
analisi di un’impresa. Ci sono due tipi di pianificazione:

- strategica: Individua le strategie e le tattiche, cioè le scelte generali


dell'impresa e gli obiettivi finali, operativi dell'impresa. La strategia è
un programma evolutivo che consente all’impresa di raggiungere
risultati a medio e a lungo termine, mentre la tattica, è quel
complesso di azioni che permettono all’azienda di conseguire
risultati a breve termine (relative a singole azioni). Al fine di cogliere
al meglio le opportunità e difendersi dalle minacce della
concorrenza, la gestione aziendale si basa sulla previsione
(valutazione anticipata dei fenomeni e degli eventi), sulla
pianificazione (l’insieme delle decisioni che permettono di definire
le scelte future), sul controllo (attività di verifica sui risultati
raggiunti confrontandoli con gli obiettivi prefissati). La
classificazione di questo piano è strategica e operativa.

La pianificazione strategica si serve delle: OSF (orientamento


strategico di fondo) che riguarda il reddito d’impresa e i
settori/mercati serviti, e la mission aziendale che riguarda l’insieme
dei comportamenti che l’azienda deve tenere e gli scopi da
raggiungere. Ovviamente vi deve essere coerenza tra il piano
strategico dell’impresa e il budget dell’impresa in quanto se ci fosse
un dislivello non si riuscirebbe a raggiungere gli obiettivi prefissati.

- operativa: dà attuazione alla pianificazione strategica e riguarda


operazioni limitate a singoli settori dell’impresa e a brevi periodi di
tempo. Man mano che i piani operativi vengono applicati si esegue il
controllo concomitante sui risultati parziali e susseguente su quelli
finali.

- di esercizio: che consiste nell’attività di previsione relativa all’anno


successivo, circa la redditività e le sue componenti (quanto l’impresa
si aspetta di raggiungere). Vengono considerati sia il complesso dei
costi da sostenere sia quello dei ricavi. Il budget, documento
amministrativo in cui vengono stabilite le operazioni di gestione che
l’impresa intende effettuare al fine di conseguire il risultato, si
collega alla pianificazione strategica e rappresenta il maggiore
strumento di controllo del sistema, attraverso il quale sono definiti
gli obbiettivi aziendali, l’impiego e l’allocazione delle risorse.

Come detto in precedenza la qualità implica dei costi che si districano in


vari punti:

1) costi di produzione: ovvero il costo di acquisto delle materie prime,


e dalla trasformazione fisico-tecnica delle stesse in prodotti. Questo
è dato dal prodotto del costo unitario per il numero di unità da
acquistare. Ripetuto per ogni stock per ottenere il valore totale. La
stagionalità porta a seconda della categoria del prodotto ad una
variazione del costo dell’acquisto e delle materie prime; i costi
industriali, i quali sono dati dalle quote delle immobilizzazioni
facendo il rapporto fra costo di acquisto dell’immobilizzazione e gli
anni di impiego della stessa. Altri costi industriali sono la
manutenzione ordinaria e straordinaria. I costi industriali sono legati
ai macchinari e hanno un costo iniziale, che dovrà essere ripartito
per gli anni di utilizzo dello stesso. Altri costi di produzione sono le
consulenze, le ricerche di mercato, le spese legali e notarili.

2) costi di gestione scorte: relativi al controllo delle scorte per


l’economia dell’impresa, essi si dividono in a) costi d’acquisto o fitto
dei locali per il deposito delle scorte (sia materie prime che prodotti
finiti), che dipende dalle tipologie di quest’ultime e dal materiale
produttivo destinati alla vendita; b) costi di ordinazione, i quali
hanno valenza amministrativa e consistono nei costi sostenuti per
effettuare gli ordini delle materie prime; c) costi di mantenimento
ovvero gli oneri da sostenere per il controllo della qualità delle
scorte, ad esempio verifica delle scarto materie prime; d) costi di
sottodimensionamento delle scorte ovvero la necessità di
acquistare stock di materie prime per mercato con prezzi superiori a
quelli sostenuti; d) costi di sovradimensionamento delle scorte
ovvero l’eccedenza delle scorte dei prodotti rispetto alla domanda di
mercato con la mancata copertura dei costi;

3) costi di formazione e retribuzione del personale: la formazione può


essere interna, organizzativa legata alla creazione di una struttura
di aggiornamento professionale, ed esterna, in cui i costi sono
relativi all’acquisto di pacchetti formativi. I costi di retribuzione
invece sono determinati dal prodotto della base di retribuzione
oraria moltiplicata per il numero delle ore lavorative, i premi di
produzione, gli oneri fiscali (a carico del datore di lavoro) ed altri
costi (anche non monetari); il personale si classifica in operai con
funzioni produttive materiali relative alla trasformazione e allo
svolgimento del processo produttivo (retribuiti con salari), impiegati
con funzioni amministrative relative alla gestione della struttura
organizzativa aziendale (retribuiti con stipendi), managers con
funzioni direzionali e di coordinamento dell’attività aziendale
(retribuiti, non sempre in maniera monetaria ma anche con
pacchetti azionari, in base alle mansioni gestionali svolte);

4) costi commerciali: relativi alla creazione di una struttura di vendita


dei prodotti o all’affidamento degli stessi ad agenti o altri
intermediari, e alla formazione del personale di vendita per
effettuare le vendite e fidelizzare i clienti (stesso discorso della
formazione però relativo al personale di vendita);

5) costi della qualità.

La certificazione ed attuazione del sistema di qualità

Un ulteriore elemento che contribuisce ad orientare le aziende verso la


qualità è la spinta dell’azione tramite le certificazioni che gli enti
accreditati le conferiscono. L’azienda si adegua al sistema di qualità
espressa dalle norme UNI EN ISO della serie 9000^9. Queste norme si
basano sull’insieme di tecniche ed attività operative utili per il
raggiungimento della qualità sia all’interno dell’organizzazione sia
all’esterno, con i clienti. Per questo motivo è necessario che la Direzione
aziendale elabori e stabilisca la propria politica della qualità, nell’ambito
della politica aziendale da estendere a tutti i livelli dell’azienda. Per
garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati le norme tengono
sotto controllo i singoli processi aziendali e, a tale scopo occorre
identificare le attività critiche che influenzano direttamente il buon esito
del processo. È opportuno servirsi, quindi, di specifici documenti, come il
manuale della qualità, che pone in verifica il Sistema Qualità aziendale
affinché questa possa ottenere la certificazione. Il Manuale della Qualità
analizza lo scopo ed il campo di applicazione di un’attività, che cosa deve
essere fatto e da chi, quando, dove e quali materiali e attrezzature
vengono adoperate per il suo impiego. Un sistema di qualità così
orientato consente di mantenere sotto controllo tutti gli elementi
difettosi ed eventuali rischi per garantire l’efficienza dell’organizzazione e
l’incremento della competitività. Dal punto di vista strutturale la norma è
suddivisa in 4 macro-processi:

1) responsabilità della direzione ;

2) gestione delle risorse;

3) gestione del processo;

4) misura, analisi, e miglioramento.

Quindi le norme si interessano del miglioramento continuo, dell’adozione


di indicatori misurabili ed applicabile a tutte le aree aziendali, il
monitoraggio continuo della soddisfazione del cliente e lo scambio di
informazioni con il cliente stesso. Con un riferimento alla infrastrutture e
all’ambiente di lavoro presenti nell’azienda. Le norme ISO sono una
convenzione internazionale, ma non è un obbligo per l'impresa adottarle.
Affinché una azienda funzioni correttamente è necessario che essa
gestisca numerose attività collegate (processi).
La normativa internazionale UNI EN ISO 9001 è lo strumento più diffuso
per migliorare continuamente le prestazioni e l’organizzazione della
propria impresa in quanto, riguarda il sistema gestione qualità-requisiti.
La ISO 9001 ha tutti requisiti di carattere generale applicabili a tutte le
organizzazioni. Essa deve identificare i processi necessari ed identificare i
metodi ed i criteri per l’efficace funzionamento di essi, assicurare le
risorse e le informazioni per supportarne il funzionamento, monitorare,
analizzare ed infine attuare azioni necessarie per ottenere i risultati
prefissati e il miglioramento continuo.

Un’altra norma molto importante è la ISO 14000 la quale tratta di qualità


ambientale. Al giorno d’oggi infatti la responsabilità d’impresa non
riguarda solo l’ambito finanziario ma anche quello ambientale e sociale.
Questa norma serve a assicurare a livello internazionale il consenso
generale circa la validità delle pratiche rivolte al rispetto dell’ambiente, ed
a fornire alle organizzazione strumenti manageriali per controllare gli
impatti ambientali (sistema di revisione), generato dai prodotti durante
tutto il ciclo di vita, con le attività di riciclaggio o riutilizzo, e migliorare le
proprie prestazioni in tale campo. La caratteristica di tutti i requisiti ISO
14000 è la loro natura prettamente volontaria e l’assenza di alcuna
costrizione legislativa al loro utilizzo, ciascun organizzazione può decidere
di non adottare tale norma e rivolgersi ad un mercato che non la richiede.
Per tanto la decisione di applicare tale norma è prettamente strategico,
essa può venir adottata a seguito di richieste dal cliente, pressioni sociali
o semplicemente dal desiderio di un comportamento responsabile da
parte delle imprese.

A questo scopo è nato il Sistema di eco-gestione ed audit (EMAS), che è


un sistema di adesione volontaria di organizzazioni e imprese che
desiderano impegnarsi per migliorare la propria efficienza ambientale. Il
soggetto che intende registrarsi deve definire il programma di attuazione
e descrive il tutto nella dichiarazione ambientale, successivamente,
questo programma viene prima analizzato da esperti esterni all’impresa e
in seguito, essere sottoposto al giudizio di un verificatore neutrale che, a
differenza degli esperti esterni, non viene nominato dall’impresa ma
dall’ente che gestisce nel territorio nazionale l’applicazione del EMAS.
Tale documento infine, viene reso pubblico riportando il logo EMAS che
serve da garanzia ad una pianificata attenzione verso la prevenzione
dell’ambiente e il miglioramento continuo.

L’impresa è valutata anche da un punto di vista etico e sociale


(responsabilità sociale d’impresa – RSI), ovvero quell’attività di rispetto
dei comportamenti gestionali ispirati alla correttezza e alla trasparenza.
Gli elementi di cui l’etica si serve sono:

- la definizione degli obbiettivi etici e della mission sociale ed


ambientale: il comportamento etico di un’impresa deve rispondere
principalmente ad esigenze sociali di rispetto delle norme di legge
richieste da diverse categorie di stakeholder con cui l’azienda
interagisce, la mission sociale si differenzia da quella aziendale in
quanto quest’ultima è finalizzata al raggiungimento di livelli di
reddito stabili e quindi agli introiti, (queste due si completano);

- la trasparenza della gestione finanziaria (sia in aggregati d’impresa


sia in società quotate): ovvero garantire il rispetto delle norme di
legge, la correttezza delle comunicazioni aziendali e l’applicazione di
norme anche all’interno del perimetro aziendale;

- rapporti con gli stakeholder: suddivisi in varie categorie a secondo


del loro ruolo contrattuale (dipendenti, soci, fornitori/finanziatori,
stato e collettività). I rapporti si mantengono con varie politiche
mirate al rispetto delle norme contrattuali e all’incentivo del lavoro
con premi economici o progressi in carriera ;

- politiche ambientali: le quali agiscono tramite un reporting per


eliminare le crisi e ridurre i danni (ILVA va contro quest’ultime);

- reporting: questo raggiunge il massimo grado di efficienza con la


redazione volontaristica del bilancio sociale volto informare come
l’impresa intende attivarsi, diffondere il marchio aziendale
migliorandone la sua immagine e la qualità dei prodotti e dei
processi produttivi. (il limite del bilancio sociale è la non
obbligatorietà di questo)
Un’altra normativa importante è la SA 8000, rilasciata da un soggetto
esterno all’impresa e indipendente, il quale certifica la responsabilità
sociale dell’impresa tramite la verifica di 8 requisiti sociali: il lavoro
minorile (tutela contro lo sfruttamento), il lavoro sotto costrizione, la
tutela della salute e della sicurezza (garanzie di sicurezza), la libertà di
associazione, la discriminazione, le pratiche disciplinari, l’orario di lavoro
e la retribuzione (rispetto dei diritti umani e dei lavoratori), e infine, la
presenza di un sistema di gestione che controlli questi 8 requisiti. Il
comportamento etico di un’impresa deve rispondere principalmente ad
esigenze sociali di rispetto delle norme con il fine di far conoscere meglio
la stessa agli stakeholder (tutti i pubblici di riferimento, non solo clienti)
con cui interagisce. Questa norma viene rilasciata da organismi accreditati
e dalla SAI (Social Accountability International), ente americano operante
su scala mondiale. L’adesione alla certificazione da parte delle imprese è a
base volontaria, e inoltre genera diversi vantaggi tra cui il miglioramento
dell’immagine aziendale che genera una maggior diffusione del marchio
e maggior riconoscibilità dell’impresa, vantaggi economici con un
miglioramento dei flussi reddituali dovuto all’incremento dei ricavi di
vendita; vantaggi strategici grazie all’adozione di logiche di qualità totale
estese all’etica e ai temi di carattere sociale.

La sensibilità dell’impresa varia a seconda della sua volontà di attuare o


meno una mission sociale: è debole se l’impresa mostra disinteresse
verso ogni tipo di tema sociale (è tipico delle imprese di piccole
dimensioni), media se mostra un interesse parziale verso l’etica e alcuni
temi sociali, forte se si ha una cooperazione tra quelle la mission sociale e
quella strategica d’impresa, e infine si può avere l’etica come elemento
principale per l’attività dell’impresa. La sensibilità si può avere anche a
livello personale ed è diretta mirata alla tutela dei diritti (salute,
retribuzione dignitosa, condivisione delle scelte gestionali, motivazione e
coinvolgimento nelle attività lavorative, incentivi alla produttività,
sicurezza sul lavoro), indiretta quando l’impresa si avvale di suggerimenti
riguardanti le modalità operative, il miglioramento del processo
produttivo (con approccio bottom-up), e la ricerca di soluzioni ai problemi
dell’impresa.

Dalla progettazione alla produzione di qualità


La progettazione del prodotto riveste un’importanza decisiva per una
strategia basata sulla qualità. Occorre creare un legame tra gli aspetti
tecnico-funzionali e quelli estetici che servono per accrescere la qualità
percepita dal cliente (design e styling). Il prezzo è influenzato fortemente
dall’immagine e dalla marca del prodotto. Le aspettative dei clienti
possono essere a livello desiderato (ciò che il cliente spera di ottenere) o
adeguato (prestazione minima che il cliente ritiene accettabile). Da ciò si
evince che la qualità si concretizza nelle caratteristiche del servizio offerto
che è in grado di soddisfare una certa richiesta del cliente. La qualità
dunque ha un valore relativo, in quanto può essere percepita in modo
differente dai vari clienti e di conseguenza non è facile per l’azienda
fissare standard qualitativi, e per questo bisogna mirare all’affidabilità
offrendo quindi al cliente quanto promesso. Gli elementi di erogazione
del prodotto sono i clienti e i front-office ovvero il personale che ha
contatti diretti con il cliente stesso.

Cap. 7 Gli strumenti e i sistemi della produzione flessibile


La produzione flessibile significa, saper modificare i processi produttivi
per poter rispondere ad esigenze di mercato e, a nuovi standard di
realizzazione dell’output con logiche di snellimento operativo. Per tali
finalità sono disponibili alcuni strumenti innovativi sotto il profilo
tecnologico e basati sull’informatizzazione e robotizzazione delle attività
tecniche per la realizzazione dei prodotti. La produzione flessibile è
caratterizzata da:

 adattabilità: l’impresa adatta i nuovi processi produttivi mediante


nuovi strumenti a maggior contenuto tecnologico, alle esigenze del
mercato, e al livello di competitività presente in esso;

 automazione: ovvero l’inserimento di nuovi strumenti, e sistemi


flessibili con un elevato grado di automazione, basati
principalmente sulla robotizzazione per rendere il processo
produttivo più spedito;
 snellimento del personale: la robotizzazione determina la riduzione
del personale necessario per lo svolgimento delle attività produttive
(si riduce il costo del personale, ma aumenta quello della tecnologia
e del controllo dei macchinari).

Il primo grande esempio di una lavorazione flessibile è dato dalle


macchine a controllo numerico (CN), esse raggruppano in un’unica
macchina tutte le operazioni richieste da più macchinari utensili, e proprio
grazie alle informazioni di tipo numerico consentono di variare il
programma di lavoro in base al prodotto desiderato. Questi macchinari
sono maggiormente diffuse nell’industria meccanica. Un ulteriore impulso
a queste macchine è stato dato dall’adozione dei microprocessori, i quali
hanno garantito più accuratezza e velocità di esecuzione. Infatti, al giorno
d’oggi grazie al progresso tecnologico è possibile ottimizzare i programmi,
di volta in volta, grazie al Controllo Numerico Diretto (DNC), che prevede
l’installazione di un elaboratore centrale che collega un gruppo di
macchine a controllo numerico, delle quali guida il lavoro, controlla il
flusso dei materiali e i tempi di lavorazione, ottimizzandone la resa (centri
di lavoro a CNC). Questi centri di lavoro si trovano per lo più nelle
produzioni organizzate per reparti (job-shop), di non grandi dimensioni e
variabilità di cicli di lavorazione su uno o più pezzi, con macchinari
omogenei per funzioni. Le macchine a controllo numerico hanno
introdotto i Sistemi flessibili di lavorazione (F.M.S.), considerati come
l’evoluzione sia del reparti job-shop, in quanto inseriscono più funzioni e
sono più versatili (group Technologies). Queste sono attrezzature
composte da macchine di movimentazione a sequenze controllate da
computer capaci di svolgere autonomamente le lavorazioni di pezzi, con
lo scopo di ottimizzare la produzione. L’automazione avviene mediante
sistemi informatizzati che coordinano il lavoro, riducendo i tempi di
produzione, razionalizzandolo con delle tecniche di turnazione e
rotazione delle attività per evitare sovraccarichi, riducendo il numero di
addetti necessari al loro funzionamento. Il grado di complessità può
variare con l’inserimento di macchine dotate di microprocessori (CNC) o
con un elaborazione centrale (CND). Si otterrà grazie a questo sistema
una maggiore varietà e qualità di produzione con minori tempi di
consegna, la possibilità di lavorare su più turni meno sorvegliati, un
aumento di produzione in serie, la riduzione dei costi di lavorazione.

Altri strumenti della produzione flessibile sono:

 la robotica industriale: è nata dall’incontro della meccanica con


l’elettronica. Questa si discosta dai “bracci meccanici”, apparecchi
rigidi e semplici impiegati per compiti elementari di prelievo e
posizionamento, in quanto i primi svolgono una serie di operazioni
programmabili. Questi sono in grado di decidere il proprio
comportamento in base alle variazioni del mondo esterno,
avvalendosi di sistemi esperti e dell’intelligenza artificiale. Il robot
sostituisce l’uomo specialmente in ambienti malsani e in operazioni
faticose e ripetitive (tipiche delle produzioni in grandi serie),
garantendo così una migliore produttività e una migliore
standardizzazione operativa. Un altro elemento legato alla robotica
è la meccatronica, che nasce dalla fusione di meccanica ed
elettronica, la quale rappresenta un sistema di avanguardia
importante per il rilancio delle imprese, specialmente in periodi di
crisi, poiché fondato sulla ricerca e sviluppo e sulla ricerca ed
innovazione. Questo consente di ottenere una riduzione dei costi,
attraverso i risparmi energetici, nei campi di produzione;

 “Computer Aided Design” (C.A.D) & “Computer Assisted


Manufacturing” (C.A.M): essi sono due diverse configurazioni della
progettazione e realizzazione di attività mediante l’impiego
dell’informatica. Il C.A.D consiste nel disegno di prodotti con sistemi
informatici (design) che consentono di definire gli aspetti
dell’output. Successivamente si è esteso sino a comprendere
l’attività di revisione del prodotto attraverso l’archiviazione dei dati.
Questo sistema ha portato un miglioramento nell’attività di
progettazione (rendendola più flessibile) e dello sviluppo del
prodotto, riducendone i tempi i costi e la possibilità di errori
migliorandone le qualità. Il C.A.M invece si occupa di funzioni
gestionali più complesse ovvero la progettazione dell’intero sistema
produttivo, del controllo delle attività tecniche e le risorse
disponibili in modo da pianificare le procedure operative, del
tracciamento dettagliato di tutte le attività di trasformazione, e del
controllo del corretto funzionamento dei sistemi produttivi e la
qualità dei prodotti, onde ridurre la loro difettosità. Uno strumento
di raccordo tra questi due elementi è fornito dal C.A.E (Computer
Aided Engineering) il quale si occupa della progettazione
industriale, delle fasi di lavorazione, dell’individuazione delle
attrezzature e dei test di verifica per l’industrializzazione del
prodotto;

 “Computer Integrated Manifacturing” (C.I.M): è la fase più avanzata


dell’innovazione, consiste sostanzialmente nella progettazione e
realizzazione di un sistema integrato per la gestione degli ordini di
vendita con mezzi informatici. Il sistema consente di ridurre i tempi
di esecuzione delle operazioni di carattere commerciale
dell’impresa, attraverso la gestione degli ordini e il coordinamento
della funzione di marketing e quella della logistica in uscita.
Sorgono problemi nel caso di un’impresa “multiplant” ovvero con
stabilimenti dislocati in diversi punti del territorio, per questo è
importante un efficiente comunicazione tra i vari sistemi;

 ERP- Enterprice Resource Planning: chiamati anche sistemi


informativi integrati, è un software che consente di gestire in modo
informatizzato tutte le attività aziendali, dall’esecuzione degli ordini
di acquisto dei fattori di produzione, alle specifiche tecniche del
processo produttivo, dall’amministrazione, al controllo e al
reporting direzionale di ogni singolo stabilimento. Il sistema è di più
difficile progettazione ed esecuzione rispetto a quelli visti in
precedenza, ma consente una valutazione complessiva ed analitica
di ogni attività aziendale. Questo modello viene anche impiegato
per forme di riprogettazione aziendale (BPR) come strumento per
ridefinire le modalità strategiche dell’attività e spinge l’impresa ad
un cambiamento sia a livello di equilibri interni sia di rapporti con il
mercato, diminuendone i tempi ed i rischi. Il modello ERP presenta
4 caratteristiche: la modularità dell’applicazione (scomponibilità
del sistema in varie aree per poter intervenire in quelle di
inefficienza senza perdere la visione complessiva delle attività
aziendali), la presenza di un business model (grazie al quale è
possibile progettare delle attività aziendali, individuando dei modi
per lo svolgimento delle stesse), l’unicità del database (esso
raccoglie tutti gli elementi dell’attività aziendale utili per le decisioni
strategiche), la configurabilità del sistema (adattabile ai caratteri
specifici dell’azienda). I problemi derivanti, dipendono dalla
difficoltà di coordinare le varie funzioni aziendali per farle confluire
in un unico sistema gestionale e dall’assegnazione delle priorità per
la valutazione delle performances aziendali;

 l’intelligenza artificiale & i sistemi esperti: fanno parte di una


branca dell’informatica dedita alla progettazione di programmi che
consentano di costruire la soluzione di problemi tramite l’utilizzo di
software estremamente elaborati in grado di sostituirsi all’uomo
anche nella presa di decisioni. Si definiscono Knowledge Based
System (KBS) i computer con queste potenzialità. Si definiscono
invece Sistemi di Supporto Decisionale (DSS) quei sistemi costruiti
secondo le esigenze dell’utente, al quale fornisce informazioni
selezionate. Il funzionamento dell’intelligenza artificiale è basato
sull’elaborazione di dati con algoritmi ed altre formule impostate
sul ragionamento e sull’interazione con i clienti ed altri stakeholder
per poter intervenire nelle aree inefficienti.

La produzione flessibile quindi comporta dei vantaggi quali


l’ottimizzazione/razionalizzazione del processo produttivo con
miglioramento dei processi produttivi e dei prodotti, la riduzione dei costi
di produzione tramite l’eliminazione degli oneri non indispensabili, il
miglioramento della redditività (mediante la riduzione dei costi e
l’aumento dei ricavi ottenuto con la maggior qualità dei prodotti), e un
minor numero di addetti e conseguente semplificazione delle attività
produttive, gestite da personale selezionato e con maggior qualifica
professionale. Mente gli svantaggi che comporta sono: l’onerosità del
costo che deve essere preventivamente valutato, la riduzione del
personale ridotto a causa della automatizzazione delle operazioni e la
formazione del personale rimanente, per aggiornarlo sulle nuove
tecnologie con conseguente aumento dei costi, e la difficoltà di
armonizzare i nuovi mezzi con quelli preesistenti date le differenze
tecnologiche e di funzionamento.
Cap. 9 La logistica e la catena del valore
La logistica è una funzione composita che si occupa di coordinare e
convogliare il flusso fisico in ingresso delle risorse e quello in uscita dei
beni e dei servizi. Tali flussi non sono continui, ma scomposti in lotti che
comprendono le attività operative di approvvigionamento, produzione,
dislocamento produttivo di beni e merci e di distribuzione, vanno
dimensionati e organizzati con l’obbiettivo del minimo costo globale. Essa
si pone lo scopo quindi di programmare, organizzare e controllare tutte le
attività di movimentazione ed immagazzinamento che facilitano il flusso
della produzione dall’acquisto delle materie fino al consumo finale. La
logistica negli ultimi anni ha assunto una rilevanza sempre maggiore
grazie al ruolo che ha avuto nel coordinamento intrafunzionale (fra aree),
e nella pianificazione operativa efficace, in grado di raggiungere il
vantaggio competitivo. Proprio grazie alla logistica si è giunti alla
produzione flessibile, sotto il profilo produttivo e organizzativo, facendo
ricorso sia alle nuove tecnologie, ma anche attraverso lo sviluppo di
sinergie esterne costituite dalle competenze e risorse specifiche dei
fornitori e dei distributori.

Prima dello sviluppo delle tecnologie informatiche era molto difficile


sviluppare strategie per raccogliere, elaborare dati, sviluppare e
coordinare tali attività riconducibili alla logistica. Questa infatti
contribuisce in modo determinante alle attività operative ma anche al
raggiungimento di un difficile equilibrio tra la produzione di serie e il
bisogno crescente di scelte individuali di consumo da parte della
domanda. Un importante requisito per la sopravvivenza dell’aziende è la
collaborazione con i suoi partner per trarne benefici reciproci e smussare
aree di interessi contrastanti in una visione prospettica di crescita comune
e di ottimizzazione del proprio ruolo nel processo produttivo e
distributivo. Secondo lo studioso Porter le attività logistiche assumono un
ruolo determinante nella catena di valore:
La figura evidenzia come il valore del prodotto sia determinato dalla
somma delle attività logistiche, operative e di produzione che identificano
il flusso materiale della trasformazione, con quelle di marketing e
assistenza. Il margine è costituito dalla differenza tra il valore di vendita e
il costo sostenuto per effettuare sia le attività “primarie”, cioè generatrici
di valore, sia quelle di supporto che hanno il compito di sviluppare o
acquisire le risorse di base: esso dà la misura della competitività
dell’azienda stessa. Tale competitività si genera dalla capacità del
management di gestire non solo le risorse interne, ma anche quelle con i
fornitori e dei distributori della catena, individuando i vari costi per ogni
funzione e generando elementi di differenziazione. Se si considera l’intero
processo produttivo, si genera quello che Porter definisce il «sistema del
valore», la cui entità è in funzione dell’efficacia e dell’efficienza di ciascun
partner.

Esso costituisce uno strumento di controllo e di valutazione dinamico ai


fini di confronto nel tempo e nello spazio per misurare i differenziali
competitivi. Nel nostro paese diversi settori produttivi non appaiono ben
collocati sotto il profilo competitivo a causa del non rilevante peso
attribuito alle attività logistiche, specie nella fase distributiva ed in
particolar modo per i prodotti che necessitano di un adeguato servizio di
assistenza post vendita.
La rivalutazione della logistica è stata possibile grazie allo sviluppo
dell’impresa con l’approccio sistemico. Tutto ciò ha permesso di
evidenziare i legami che intercorrono fra le varie attività e funzioni di
impresa. La concezione sistemica permette di considerare le interazioni
che possono instaurarsi fra i vari sistemi per raggiungere l’obbiettivo di
una condotta razionale dell’impresa. Il problema principale per il
management sarà quello di coordinare le varie attività secondo un
indirizzo unitario in modo tale che ciascuna risorsa si comporti in maniera
coerente agli obbiettivi strategici prefissati.

La gestione dei materiali e la distribuzione fisica sono le due parti


fondamentali che compongono il processo logistico. Possiamo distinguere
il «Materials Management» che si occupa delle materie, componenti
provenienti dalle fonti di approvvigionamento per poi trasformarsi in beni
finiti (è più diffuso nelle aziende che svolgono attività di assemblaggio), e
la logistica in uscita o di marketing che si assume il carico dei prodotti
finiti ed ha la responsabilità della loro movimentazione e stoccaggio al
fine di un adeguato collocamento nel mercato. Molto spesso viene
associato il termine logistica di marketing con distribuzione fisica ma
quest’ultima riguarda la movimentazione fisica vera e propria, mentre la
logistica di marketing riguarda anche la selezione dei canali istituzionali di
distribuzione per i prodotti finali. Il responsabile della distribuzione fisica
deve stabilire quanti magazzini usare per lo stoccaggio dei prodotti
aziendali, mentre il responsabile della logistica di marketing prende
decisioni inerenti su quali sbocchi al dettaglio scegliere. Spesso sono
assunte prima le decisioni in merito a quale canale distributivo scegliere e
successivamente si analizzano le risorse fisiche necessarie per la
dislocazione più economica e veloce dei prodotti. Le scelte riguardo ai
canali della distribuzione fisica si occupano essenzialmente della
individuazione della migliore via per diffondere i prodotti di un’impresa
nel mercato e sono pertanto parte di uno sforzo di marketing alla ricerca
della migliore soluzione possibile per la clientela.

La diversità dei compiti inerenti al processo logistico comporta una


altrettanto importante scomposizione delle mansioni, che sarà altamente
specializzata. Ciò determinerà la necessità di un coordinamento che
attraversi a livello orizzontale l’azienda. Il responsabile della logistica
deve essere collocato nell’ambito della piramide aziendale ad un livello
elevato, possibilmente al pari del dirigente di marketing della produzione
e finanziario. Laddove i compiti logistici non assumono rilevanti
complessità ci si serve di uno staff con a capo un responsabile che
operano come consulenti per risolvere problemi e adottare tecniche
opportune. Il coordinamento gerarchico potrà comportare una maggiore
specializzazione e professionalità dei responsabili dell’area dei vari settori
così da creare un equilibrio tra le varie attività al fine di mantenere un
buon grado di coesione tra le aree ed esercitare un opportuno controllo
sui costi che esse generano

Cap. 10 La gestione dei materiali


La gestione fisica delle scorte e dei materiali è legato al concetto della
logistica. Per parlare di gestione di materiali bisogna partire
dall’acquisizione dei materiali (materie prime) che coincide con logistica
in entrata, il costo d’acquisto è relativo all’approvvigionamento delle
materie stesse. Una volta acquistate le materie verranno trasferite
nell’impresa dove verranno scisse in scorte utili al processo produttivo e
scorte non impiegate dell’esercizio. Infine si avrà la cessione dei prodotti
(vendita) che coincide con la logistica in uscita. Gli approvvigionamenti
costituiscono il punto di partenza del processo logistico e coprono l’area
di costi più ampia nell’azienda. Si definisce funzione acquisti o
approvvigionamenti, quell’area dell’impresa che ha il compito di gestire il
processo d’acquisto e comprende le seguenti fasi:

- determinazione dei beni e servizi da acquistare in termini di qualità


e quantità richieste;

- identificazione e selezione dei fornitori. Le variabili di valutazione


della prestazione del fornitore sono di tipo temporali nelle quali si
distinguono la rapidità cioè il numero medio di giorni che il fornitore
necessita per far pervenire le materie richieste all’imprese, questo
attributo dipende dalla distanza geografica tra gli stabilimenti di
trasformazione ed il luogo di produzione della materia. L’altra
variabile temporale è la puntualità che viene misurata in base alla
differenza di giorni tra la data di consegna pattuita e quella effettiva.
Un altro concetto importante è quello della flessibilità che viene
intesa come la capacità del fornitore di adattare le modalità di
consegna alle esigenze strutturali dell’impresa di trasformazione;

- negoziazione con il fornitore al fine di trovare un accordo e stilare


un contratto;

- emissione dell’ordine al fornitore selezionato;

- controllo del fornitore affinché svolga una performance conforme a


quanto stipulato;

- valutazione.

Si tratta quindi di un insieme di attività operative e di servizio necessarie a


garantire un flusso di materiali e servizi conforme alle esigenze di
produzione, con l’obiettivo di ottenere risparmi, resistere ad aumenti di
prezzi, ed evitare ritardi nelle consegne. La gestione dei flussi di materiali
mira a garantire la continua disponibilità di essi. I vari materiali possono
essere suddivisi a seconda delle loro caratteristiche al fine di differenziare
le logiche gestionali di ognuno. Le caratteristiche principali sono: la
natura della domanda che può essere indipendente (nel caso dei prodotti
finiti, delle parti di ricambio e dei materiali di consumo) e dipendente
(quando il fabbisogno dei materiali deriva dalla richiesta dei materiali di
livello superiore), il valore di impiego, che corrisponde alla quantità di
prodotto consumata, e la frequenza di consumo che influenza la
prevedibilità di consumo (in caso di elevata frequenza si parla di consumo
continuo). Grazie all’innovazione introdotta da Internet è stato introdotto
un sistema chiamato e-procurement che ha la funzione di rendere più
efficiente ed efficace il sistema di approvvigionamento, attraverso la
trasposizione in rete del processo e delle relazioni con i fornitori. Negli
ultimi anni è avvenuto un passaggio dalla logistica alla “supply chain
management” (SCM) orientato ai processi di approvvigionamento,
produzione, magazzinaggio e consegne ai clienti di produttori e servizi.
Questo è stati facilitato dalle tecnologie di comunicazione che permette
uno scambio efficace e veloce di informazioni offrendo nuove opportunità
di business e permette di condividere i rischi in tempo reale.

L’elevata complessità del mercato di fornitura e l’importanza dei materiali


richiedono una politica di approvvigionamenti caratterizzata da decisioni
che garantiscono l’accessibilità dei materiali a lungo termine. Il marketing
d’acquisto viene definito come un processo decisionale attraverso cui
l’azienda sceglie i prodotti e servizi d’acquistare tra le diverse fonti di
prodotti e fornitori di mercato, al fine di assumere un ruolo attivo nel
mercato e ottenere vantaggi competitivi. Il marketing d’acquisto opera in
concomitanza del marketing di vendita utilizzando un insieme di leve:

- la leva prodotto che tende ad individuare le fonti di criticità nella


fase di definizione delle strategie e del rapporto di fornitura, al fine
di poterle gestire in anticipo;

- la leva di prezzo che si occupa della negoziazioni delle condizioni


economiche che regolano il rapporto con il fornitore;

- la leva delle fonti d’acquisto la quale si basa sul monitoraggio dei


mercati di approvvigionamento per l’identificazione dei fornitori
potenziali e la valutazione delle capacità di questi rispetto alle
esigenze dell’impresa;

- relazione con il fornitore ovvero: tradizionale basata sul rapporto di


mercato di tipo competitivo e opportunistico, integrato basato su
un accordo per sincronizzare i flussi di fornitura, ed evoluto con un
accordo di partnership collaborativa.

Una volta approvvigionate le materie vanno trasportate, ritirate


controllate e conservate a seconda dei vari elementi. Si pongono così i
problemi della dimensione dei depositi, in quanto se troppo grandi si può
andare in contro a degli oneri aggiuntivi. Per questo l’ideale sarebbe
ridurre le dimensioni e creare singole aree di ricevimento e stoccaggio in
prossimità dei centri di lavorazione, in modo da ridurre i trasporti interni
di collegamento tra i vari reparti di confezionamento e spedizione. Le
disposizioni preferibili sono quelle a serpentina rispetto a quelle rettilinee
in quanto riduce le distanze da percorrere dei mezzi di movimentazione e
gli addetti favorendo il lavoro di gruppo e controllo. Una volta effettuati i
controlli qualitativi e quantitativi, la merce può essere immagazzinata o
nel caso di particolari sistemi just-in-time spedita direttamente in
prossimità delle linee di produzione. Dal punto di vista fisico ogni
magazzino è diviso in 3 zone: la zona di ricezione, la zona di imballo e
spedizione, e la zona di stoccaggio ovvero dove le merci restano in
giacenza per un tempo più o meno lungo.

Un problema ricorrente riguarda la localizzazione di uno stabilimento


aziendale, in quanto, man mano che questo aumenta di importanza e
dimensioni aumenta anche la necessità di trasferire ingenti quantità di
risorse e prodotti finiti e di conseguenza assumerà una maggiore
importanza la logistica. Si afferma che la localizzazione può avvenire
laddove la somma dei costi di investimento e approvvigionamento delle
materie prime e della mano d’opera sia minima. Ubicazione dipende da
vari aspetti come ad esempio dalla provenienza delle materie prime
adoperate, dai costi del sistema produttivo e dell’imballaggio e dai costi di
consegna dei prodotti finiti. Dal lato dell’approvvigionamento si ha una
tendenza ad un avvicinamento dell’attività di produzione in prossimità
dello stabilimento di montaggio finale (come nel caso dell’impianto FIAT a
Melfi), in contrapposizione con le industri tessili e dell’abbigliamento che
tende a decentrare alcune fasi di lavorazione in Paesi a basso costo di
manodopera, dove inevitabilmente si creano problemi logistici per la
costituzione delle scorte e del trasporto. Una volta stabilita la
localizzazione dello stabilimento occorre affrontare il problema della
capacità produttiva sia dell’intero stabilimento sia dei singoli macchinari.
La scelta progettuale è volta a dotare lo stabilimento di una potenzialità
tendenzialmente superiore alla domanda prevista. Inoltre assume
importanza anche la capacità di modifica della gamma produttiva e quindi
la flessibilità del sistema di produzione alla quale partecipano sia i
macchinari ma anche tutto il sistema organizzativo-logistico interno ed
esterno. Alle problematiche della progettazione e della gestione della
produzione sono strettamente collegate quelle inerenti alle scelte di
gestione dei materiali utilizzati nell’ambito dello stesso processo
produttivo, e a queste si riconnettono le decisione relative al
mantenimento delle scorte. Le scorte sono tutti quei materiali
semilavorati o in attesa di partecipare al processo di trasformazione e di
distribuzione. La funzione di queste è quella di rendere indipendente
l’impresa da un lato dagli andamenti del mercato, dall’altro dalle diverse
fasi di produzione all’interno dell’impresa. Alcune scorte, assicurano
flessibilità negli acquisti, permettendo l’ottimizzazione delle politiche di
approvvigionamento, indipendentemente dalle richieste di produzione,
altre garantiscono un efficiente impiego delle risorse produttive, e altre
ancora rendono compatibili la produzione e la variabilità della domanda
del consumatore. Esse sono influenzate dal tipo di processo produttivo,
dalla variabilità della domanda, e dall’efficienza della struttura
organizzativa e dai sistemi di controllo aziendali. Le scorte possono essere
classificate in base alla loro destinazione e funzione. Avremo:

- le materie prime: costituite dai fattori produttivi in entrata destinati


alla trasformazione che alimentano il processo produttivo, esse
servono ad avviare ai ritardi nelle consegne di approvvigionamenti;

- le merci: fattori produttivi che non hanno ancora attraversato il ciclo


di trasformazione e per tanto il loro valore è determinato dal costo,
la differenza tra le merci e le materie prime è che le prime sono già
state lavorate dai fornitori;

- le materie sussidiarie e di consumo: non compongono il prodotto


ma servono al processo produttivo (benzina o tutto ciò che consente
ai macchinari di funzionare);

- i semilavorati: o prodotti in corso di lavorazione, ovvero quei


prodotti che hanno subito delle trasformazioni ma non sono del
tutto terminati, essi servono ad ovviare ai ritardi di consegna dei
subfornitori o di altri reparti produttivi, e consente alle singole
stazioni di lavoro di organizzarsi in autonomia;

- i prodotti finiti: quelli pronti per la vendita, essi servono ad evitare


che la programmazione della produzione possa variare il livello della
quantità prodotta per adeguarsi alle irregolarità del mercato.

Per quanto riguarda le funzioni distinguiamo le scorte in:


- le scorte funzionali: ovvero le giacenze accumulate sia per coprire le
esigenze del periodo di tempo necessaria al trasporto o alla
produzione, che per separare in più funzioni il processi di acquisto
produzione e vendita. A tal proposito si distinguono le scorte di
transito che devono essere proporzionali al tempo impiegato per
trasferire un bene da un punto di stoccaggio di lavorazione ad un
altro affinché si ottimizzi l’efficienza di un processo produttivi, e le
scorte di organizzazione che rendono indipendenti le diverse fasi del
sistema produttivo-distributivo;

- le scorte di sicurezza: che nascono con la necessità di far fronte ad


inattesi cambiamenti nella domanda, e quindi il mantenimento di
queste assicura l’equilibrio dello svolgimento delle operazioni;

- le scorte speculative: nate con il fine di trarre vantaggio da una


variazione dei prezzi (costo e ricavi) in un determinato periodo di
tempo.

Il tempo che intercorre tra il momento in cui si avverte la necessità di


ricostruire le scorte ed i ricevimento delle stesse in magazzino è detto
lead-time o tempo di riordino, questo implica un monitoraggio continuo
del magazzino per verificare il livello delle scorte in giacenza. Nelle
aziende industriali le scorte hanno generato un’area di conflittualità tra la
funzione di produzione, che è incline a rendere uniforme la produzione
stessa al fine di ridurre i costi collegati agli impianti, e la funzione di
vendita che vorrebbe il prodotto sempre disponibile e diversificato al fine
di soddisfare la domanda.

Nella scelta del modello di gestione dei materiali da adottare, è


fondamentale la conoscenza dei costi connessi alle diverse politiche
gestionali. Questi costi che rientrano nel costo totale di gestione delle
scorte si dividono in:

- costi di ordinazione: che includono i costi di emissione e gestione


degli ordini (ordini inevasi e corrispondenza quantitativa della merce
ordinata), sostenuti nel sistema amministrativo;
- costi di mantenimento: ovvero il livello di scorte che l’azienda
mantiene. Nel mantenere queste però l’azienda va incontro a rischi
quali il deterioramento fisico ed economico, e anche ad altri costi
aggiuntivi quali il rendimento del capitale, dal personale addetto alla
gestione fisica delle scorte, e quelli connessi con lo spazio di
magazzino usato e alla gestione di un deposito;

- costi di sottoscorta: ossia l’esaurimento o insufficienza delle scorte


che genera la perdita di opportunità di vendita;

- costi di eccedenza delle scorte: che genera un costo elevato e una


scarsa disponibilità di capitale.

Quindi si può notare che il valore d’investimento delle scorte consiste nel
bilanciare gli eccessi e le carenze per poter minimizzare i relativi costi. Il
problema di gestione delle scorte si pone quando i materiali e le parti
componenti sono molto numerose per questo si devono effettuare alcune
procedure come selezionare gli articoli in eccedenza, quelli a rapido e a
lento rigiro, e l’individuazione dei tempi e dei lotti del riordino. A tal
proposito l’azienda adotta logiche per la gestione dei materiali di tipo look
back e look ahed. Nel primo un ordine di produzione viene lanciato
quando la scorta del materiale risulta insufficiente per coprire i fabbisogni
pianificati per i periodi futuri, il secondo invece è orientato a ricostruire la
scorta in via di esaurimento. Una gestione corretta delle scorte consiste
nell’assicurare un buon servizio di cui usufruiscono sia i consumatori sia i
responsabili della produzione. Inoltre sono state sviluppate delle nuove
tecniche quale i modelli di gestione a scorta volti a determinare la
dimensione del magazzino (prodotti finiti o semilavorati). Quando il livello
di scorte in giacenza scende al di sotto di un certo livello predefinito viene
lanciato un ordine di acquisto o di produzione volto a reintegrare il
magazzino. La tecnica più nota è quella del lotto economico con cui è
possibile determinare la quantità di prodotto da ordinare al fine di
minimizzare la somma dei costi di mantenimento e i costi di ordinazione.
Le tecniche di gestione a scorta, però, presentano alcuni vincoli in quanto
l’obiettivo di queste tecniche è quello di avere sempre l’articolo in
giacenza con l’ipotesi che tutte le scorte saranno utilizzate. Quindi queste
tecniche sono utili per la gestione delle scorte dei prodotti finiti ma non
per i semilavorati. Per questo sono preferibili le tecniche di gestione a
fabbisogno come MRP Materials Requirement Planning il quale tramite le
materie prime realizza il piano di produzione trasformandole in merci. Il
magazzino quindi viene snellito e gestito in modo tale da soddisfare le
esigenze di produzione. Questo processo richiede una quantità notevole
di produzioni necessaria a determinare cosa e quanto produrre, sui
prodotti necessari a determinare i fabbisogni delle materie prime, la
conoscenza dei tempi di produzione e approvvigionamento e ancora le
informazioni sullo stato delle giacenze e delle scorte destinate per altre
produzioni. Un altro sistema di gestione dei materiali è il sistema just in
time e il suo sottoinsieme il modello kanban ovvero lo strumento
attraverso cui si trasmettono le informazioni tra diverse stazioni di lavoro
per comunicare l’utilizzo di un determinato materiale e la necessità del
suo reintegro. In particolare il sistema just in time adopera tecniche
finalizzate a produrre solo ciò che occorre al cliente, e al ritmo richiesto
dallo stesso, produrre senza difetti, senza spreco di lavoro, di materiali o
di impianti allo scopo di ridurre sprechi ingiustificati e produrre con
metodi che favoriscano lo sviluppo e la professionalizzazione dei
dipendenti.

Una volta effettuate tutte le scelte relative alla programmazione si passa


alla produzione che comprende la programmazione e il controllo della
stessa. La programmazione della produzione comprende l’insieme delle
procedure, delle informazioni e degli strumenti che vengono utilizzati per
determinare cosa produrre, in quali quantità, le modalità e secondo quali
tempi con l’obiettivi di ottimizzare i flussi in entrata e in uscita del sistema
produttivo.

(Piccolo specchietto → acconti e anticipi: pagamento parziale di una


somma dovuta per l’ottenimento del servizio; lavoro in corso su
ordinazione: sono lavori ottenuti, generalmente, mediante contratti di
appalto che servono alla realizzazione di grandi opere (edifici, ponti,
strade ecc.). Sono caratterizzati da durata pluriennale (ovvero maggiore
della tipica durata di 12 mesi), dalla stato di avanzamento di lavoro (SAL),
e sistemi di riparti del ricavo alternativo che indica la percentuale
dell’opera completata e quella ancora da completare. Questi lavori sono
caratterizzati da un tasso di incertezza).
Cap. 11 La distribuzione e promozione dei prodotti
La distribuzione (o place) è un elemento fondamentale del marketing
insieme al prodotto e al prezzo (spesso associati) e alla promozione
(cosiddette 4 P). Per determinare il costo totale unitario di prodotto si
procede a dividere i costi totali complessivi per la quantità di produzione.
Il prodotto sarà poi promosso attraverso vari canali quali politiche
comunicative, pubblicitarie e distributive. L’entità degli investimenti in
pubblicità sono legati a fattori come la dimensione geografica del
mercato, l’importanza del prodotto, e le disponibilità finanziarie. La
distribuzione è il risultato di tutte le strategie d’impresa mirate alla
progettazione del prodotto al costo e infine alla vendita, ma anche il
risultato socio-economico del Paese di riferimento. Essa rientra in quelle
attività economiche, facente parte del settore terziario, che mirano a
soddisfare i bisogni dell’uomo trasferendo quantità sempre maggiori di
beni e servizi dai produttori ai consumatori finali, nei tempi più opportuni
e con prezzi più ridotti possibili. Il consumatore è posto al vertice del
sistema distributivo, proprio per le sue esigenze e ai suoi repentini
mutamenti nelle abitudini di acquisto sempre più esigente per quanto
concerne la qualità del prodotto. Il ricorso più frequente agli strumenti
promozionali delle vendite ha accresciuto il peso dei costi di distribuzione
ed ha annullato, in parte, la riduzione dei prezzi.

La performance aziendale è strettamente collegata alle politiche


commerciali attuate dagli intermediari della distribuzione. Essi hanno il
compito di rendere il bene disponibile nel luogo nel tempo e nei modi più
opportuni dal cliente. I principali sono:

 il grossista: il distributore che acquisendo la proprietà di beni per


poi rivenderle, si assume anche il compito di gestire vari servizi (la
gestione di scorte e magazzini, la distribuzione fisica del prodotto
ecc), e snellisce l’attività commerciale. Il grossista ottiene una
riduzione del prezzo unitario, mentre l’impresa ottiene un business
significativo dovuto alla notevole quantità venduta. Lo snellimento
delle attività produttive realizzato con la cessione del prodotto
consente di potersi concentrare sulle fasi produttive. La figura del
grossista però, negli ultimi anni ha avuto non pochi problemi, in
quanto le aziende usufruiscono dei depositi a carattere regionale a
accollandosi così la consegna al dettagliante. Questo però non
sempre provoca l’annullamento dei costi ma al contrario,
aumentano se le mansione non dovessero essere eseguite da chi
non è competente e professionale.

 piccolo dettaglio: di tipo tradizionale e di ridotte dimensioni,


normalmente caratterizzata da forte specializzazione sulla cessione
di alcune tipologie di prodotti. Oggi il numero di imprese che
rientrano in questa categoria è in calo a causa della formazione
delle aziende a grande dettaglio, in quanto le imprese del piccolo
dettaglio detengono una minor varietà di prodotti, a prezzi più
elevati, e possono mantenere una ridotta quantità di beni di scorta
trovandosi spesso in una situazione di stockout.

 dettaglio organizzato o grande dettaglio appartenenti alla grande


distribuzione organizzata (GDO). Ad esso appartengono:

- le grandi aziende a base capitalistica, con catene di magazzini di


vendita al pubblico (supermercati, ipermercati, discount, grandi
magazzini e shopping center);

- il commercio associato associazioni tra imprese come unioni


volontarie, gruppi di acquisto per ridurre i costi di acquisto delle
merci da rivendere (promosse dai dettaglianti nei confronti dei
grossisti);

- le cooperative di consumo che elargiscono beni di largo consumo a


prezzi ridotti (Coop leader in Italia);

- altre forme speciali quali, le Case di vendita, per corrispondenza o


su catalogo (Avon, Yves Rocher), e le aziende affiliate con il contatto
di franchising e il commercio ambulante. Con queste si ha una
cessazione del marchio tramite il pagamento di una royalty.
Il canale distributivo o distribuzione commerciale è lo strumento
attraverso il quale le aziende produttrici e distributrici immettono sul
mercato beni e servizi. A seconda del numero di intermediari esistono
diversi tipi di canale di vendita o distributivi attraverso cui l’azienda
propone i prodotti sul mercato. Tra questi abbiamo il canale diretto in cui
il produttore prende contatto diretto con l’acquirente o consumatore
(nessun intermediario), viene impiegato soprattutto per la distribuzione
dei beni strumentali e dalle aziende che necessitano un servizio porta a
porta, che operano per telefono o imprese che operano nell’e-commerce,
agevola la clientela nel caso di assistenza post vendita; canale indiretto
che prevede più intermediari tra il produttore e consumatore finale, si
divide in canale corto che avviene attraverso un intermediario ovvero un
dettagliante, attraverso questo canale l’impresa di produzione può
ottenere maggiori informazioni sul mercato in quanto intrattiene un
rapporto diretto con il dettagliante, ma ha lo svantaggio di doversi far
carico della gestione delle scorte e di tutte le incombenze derivanti dalle
transizioni con i dettaglianti (resi di merce invenduta ecc.) che invece nel
canale lungo sono attribuite ai grossisti. Questo canale è praticato nei
settori dell’alta moda, della cosmesi, automotive e gioielleria; canale
lungo il quale prevede l’inserimento dell’ingrosso tra produzione e
dettaglio, questo canale genera minori costi di vendita e di trasporto, ma
d’altro canto vi è anche una scarsa possibilità di influire sulle modalità di
collegamento del prodotto del mercato e di controllare il prezzo di
vendita. Questo canale è tipico dei settori tecnologici di abbigliamento
(medio-bassa) e alimentare.

Un’altra forma di vendite dirette ai consumatori, che si sta sviluppando


negli ultimi anni è il “dettaglio no store” ovvero quello che non prevede
un luogo fisico e fisso di distribuzione (vendita porta a porta, a distanza,
per corrispondenza o tramite televendita e Internet). Tale metodo è stato
adottato anche dalle grandi aziende per un più rapido contatto con il
cliente e per verificarne gli orientamenti e le esigenze.

Il sistema distributivo nel corso degli anni ha subito una lenta evoluzione
riconducibile in 2 fasi, la prima caratterizzata da un numero notevole di
piccoli dettaglianti, per lo più basata sulla condizione familiare, operanti
in modo quasi esclusivo sulla scena commerciale del paese, mente la
seconda fase è caratterizzata dall’ingresso, a partire dalla seconda metà
degli anni ’90, di grandi dettaglianti sul mercato nazionale il cui carattere
fondamentale è la riduzione dei prezzi, la standardizzazione dei prodotti e
dei servizi associati ad essi, con conseguente indebolimento dei piccoli
dettaglianti. Un’altra caratteristica degli ultimi anni è la modifica della
rete commerciale che seguono 3 punti principali ovvero l’ampliamento
della gamma dei prodotti offerti per poter soddisfare le esigenze
diversificate della clientela o scelta di specifiche nicchie di mercato, la
riduzione dei prezzi specializzazione su alcuni prodotti di livello qualitativo
superiore che incentiva il consumatore attratto dai vantaggi ottenibili e
l’ampliamento della rete per poter raggiungere nuovi business o
concentrarsi sull’ambito locale andando incontro alle esigenze del
territorio. Un modello ormai noto è quello del “wheel of retailing”
adottato da molte nuove forme di vendita, le quali entrano sul mercato
introducendo bassi livelli di prezzo e una volta conquistato una parte del
mercato esse aumentano i servizi offerti e di conseguenza anche i prezzi.
L’evoluzione del commercio al dettaglio è stata favorita non solo dalla
politica di prezzi ma anche dall’allargamento della gamma del prodotto
che ha assicurato un flusso costante di clientela. L’abbassamento
continuo di prezzi però ha aumentato la concorrenza e ha facilitato la
sottrazione dei mercati detenuti da imprese di grande dettaglio da parte
di altre imprese di distribuzione. In alcuni Paesi, ove è prevalente tale
presenza si stanno promuovendo sistemi per frenare la loro diffusione, le
quali applicano politiche di vendita sottocosto (quelle con prezzi al
consumo inferiori al costo di acquisto con gli sconti). A tal proposito la
linea ministeriale in accordo con l’Autorità garante della concorrenza
(Antitrust) mira frenare tramite nuove leggi (come ad esempio la 114/98)
volte a sanzionare sul piano amministrativo comunale gli abusi della
“concorrenza sleale”, (sono ammesse però le vendite sottocosto, per un
tempo limitato, solo nel caso in cui i prodotti sono in prossimità della
scadenza, hanno difetti di fabbricazione, o nel campo della moda per
smaltire le scorte dell’invenduto). Negli ultimi tempi le aziende del grande
dettaglio hanno subito un periodo di crisi a causa sia di errori di
conduzione sia a condizionamenti di tipo politico-sindacale, tutto ciò ha
favorito l’ingresso delle grandi aziende straniere che hanno dimensioni ed
efficienza superiori alle nostre. Pertanto è necessario che un sistema sia
basato su più forme distributive per risultare incisivo sulla campo della
concorrenza basata sul prezzo, e che giovi soprattutto i consumatori. Per
rendere più equilibrato il nostro sistema distributivo si è reso necessario
l’intervento pubblico con lo scopo di favorire l’ingresso nel mercato delle
tipologie di distribuzione più moderne. Tutto ciò è stato attuato con
diverse leggi quali: la legge 426/71 (regolatrice del commercio al
dettaglio), ha lo scopo di promuovere con l’adozione di tecniche moderne
lo sviluppo e la produttività del sistema ed assicurare il rispetto della
libera concorrenza e un adeguato equilibrio tra le varie forme distributive,
la legge 248/2006 grazie alla quale si è cercato di diminuire i tempi di
liberalizzazione del settore intesa come semplificazione di alcuni passaggi
normativi quali l’iscrizione a registri abilitanti e il possesso di requisiti
professionali. Inoltre attraverso gruppi di acquisto e il ricorso al
franchising le piccole imprese possono mantenere i vantaggi delle loro
piccole dimensioni che garantiscono flessibilità ed autonomia, e dall’altro
di maggior peso sia nei confronti dei fornitori che delle Autorità
pubbliche, legandosi anche ad imprese in espansione. Oltre ai vincoli e ai
condizionamenti che l’impresa subisce essa deve fronteggiare altri
problemi quali, la concorrenza del canale distributivo e fra i differenti
canali e la costituzione delle scorte e formazione degli assortimenti ai vari
livelli del canale distributivo. Per migliorare il sistema distributivo si è
introdotto soprattutto nelle aziende di medio grandi dimensioni la figura
del “trade o channels manager” (responsabile dei canali) che ha il
compito di pianificare, coordinare, valutare e controllare le relazioni,
agendo sulla regolazione dei flussi delle merci (controllo delle scorte,
trasporto, gestione dell’ordine, magazzinaggio e manipolazione), e del
“category management” ovvero il distributore/fornitore che ha il
compito di gestire le categorie di business dove per categoria si intende
un gruppo di prodotti/sevizi al fine di ottimizzare le performance di
vendita, focalizzandosi sul valore trasferito al consumatore. Sono stati
introdotti inoltre nel sistema distributivo alcune strategie come la politica
della marca (brand loyalty) adottate da aziende produttrici di beni di largo
consumo, per realizzare forme di snellimento della produzione,
distribuzione e coordinamento, tramite l’impiego di strumenti pubblicitari
reso possibile grazie alla diffusione dei mass-media, o di carte fedeltà che
hanno lo scopo di ottenere la fiducia del cliente clientela con logiche di
qualità totale estesa alla distribuzione (puntualità delle consegne,
ottimizzazione del JIT), creando nuovi meccanismi concorrenziali. Per
questo le piccole e medie imprese devono lanciarsi su canali innovativi
quali il commercio elettronico o la cooperazione per affermare marchi di
origine locale. Inoltre sotto quest’ottica gioca un ruolo fondamentale la
creazione di ambienti confortati e coinvolgenti per il cliente al fine di
creare nuovo valore per la domanda. Nasce così il concetto del “concept
store” ovvero servirsi dell’arredamento per rappresentare in modo più
chiaro possibile l’immagine della casa produttrice (es. Disney, Ralph
Lauren ecc).

Con l’avvento di nuove e sempre più grandi forme di distribuzione è


possibile introdurre nel mercato oggetti difettosi o soprattutto alimenti a
rischio (principalmente in seguito agli eventi di “mucca pazza” e
dell’“influenza aviaria”). Al fine di prevenire tale crisi l’Unione Europea ha
disposto alcune regole per la gestione dei flussi di prodotti confezionati.
L’Indicod-Ecr, l’organismo che gestisce lo sviluppo del codice a barre in
Italia, ha sperimentato un piano strategico per individuare e ritirare dal
mercato prodotti non conformi, e alimenti che risultino rischiosi per la
salute dei consumatori. Alle imprese viene raccomandato di applicare
criteri di tracciabilità non solo ai lotti di produzione ma anche, ove
necessario, ai singoli prodotti. A tal proposito l’industria dell’Rfid (Radio
frequency identification) ha sperimentato le cosiddette “etichette
intelligenti” le quali emettendo un segnale contenente i dati memorizzati
è possibile identificare il prodotto, che quindi può essere numerato e
seguito singolarmente, (contrariamente al codice a barre che identifica un
lotto di prodotti). In Italia le applicazioni Rfid vengono usate in molti
ambiti applicativi, dal controllo dell’avanzamento della produzione, alla
bigliettazione elettronica nel trasporto pubblico locale, al sistema
Telepass sulle autostrade. I vantaggi di tale tecnologia sono la riduzione
dei tempi d’informazione sulla produzione, l’aumento dell’affidabilità di
queste e del livello di servizio, con un calo dei costi sul personale.

Cap. 12 La logistica in uscita


La logistica in uscita o di marketing ha il compito di provvedere alla
movimentazione e allo stoccaggio dei prodotti finiti, al fine di assicurare
un tempestivo collocamento sul mercato fruibile dai clienti, scegliendo e
rapportandosi con i canali distributivi. Essa è collegata con la gestione
delle scorte e con la logistica in entrata creando un canale ideale che
attraversa l’azienda e la pone in collegamento con i fornitori ed i clienti, e
inoltre si integra anche con la funzione di marketing che promuove i
prodotti aziendali. Il suo apparato consente di ottimizzare la relazione con
l’azienda e il livello di servizio da offrire, l’entità di scorte da mantenere
nel flusso di produzione e distribuzione, e ottimizzare i costi per il
trasferimento dei prodotti da uno stabilimento al mercato. L’obiettivo
primario della funzione logistica è quello di assicurare l’equilibrio tra il
conseguimento del massimo livello di servizio al cliente per stimolare le
vendite, e il contenimento dei costi relativi al fine di migliorare le
condizioni di efficienza e redditività dell’azienda. Pertanto il rendimento
del sistema logistico dell’impresa va valutato considerando il livello di
servizio offerto al cliente, il livello di produttività delle operazioni svolte, e
il livello di redditività dell’investimento di scorte e mezzi di trasporto. Il
servizio ottimale è quello che assicura al cliente il prodotto richiesto, nella
qualità, tempi e luoghi richiesti. Solitamente i costi logistici crescono in
maniera direttamente proporzionale al servizio offerto. Il sistema
commerciale e la logistica in uscita sono direttamente collegati, in quanto
l’attività logistica influisce nella scelta del canale distributivo definendo il
grado di copertura distributiva, ossia il numero di consumatori si vuole
raggiungere ponendo 3 alternative:

1) distribuzione intensiva: prodotto disponibile il molti punti vendita;

2) distribuzione selettiva: prodotto disponibile in limitati punti vendita;

3) distribuzione esclusiva: prodotto disponibile in uno o pochi punti


vendita.

I principali problemi della logistica in uscita sono legati a:

• struttura, composizione e numero delle unità di personale: la


struttura della funzione logistica dipende dalle dimensioni aziendali,
in quanto più ampia e varia è la gamma di produzione tanto più
sofisticata sarà la struttura della logistica sia in entrata che in uscita.
Una struttura eccessivamente grande può risultare inefficace
rispetto ad esigenze operative di acquisizione dei materiali e
puntualità delle consegne. Una parte del personale può essere
impiegata in maniera flessibile sia nella logistica in entrata che in
uscita;

• grado di efficienza: questa è misurata in termini di snellimento delle


procedure di acquisizione dei materiali, dal soddisfacimento delle
esigenze dei clienti e dalla velocità di raggiungimento del mercato.
Le esigenze dei clienti monitorate attraverso il rilevamento sia
attraverso questionari sia, eventualmente, mediante la verifica del
numero di resi sul prodotto. Un altro elemento fondamentale è dato
dal servizio di assistenza post-vendita predisposto;

• integrazione con la logistica in entrata e in uscita: si realizza


mediante la gestione delle scorte con la generazione di un flusso di
materie prime che si trasformano in merci. L’ottimizzazione della
logistica si ha attraverso tecniche come l’MRP o il Just in Time, che
determinano lo snellimento del magazzino e un resa efficiente. La
creazione del valore determinata dall’attività aziendale è espressa
sotto il profilo economico della differenza tra prezzo di vendita dei
prodotti e costo di acquisto delle materie prime;

• interazione con il marketing: grazie al quale si pubblicizzano i


prodotti (ma anche la celerità delle consegne e l’assistenza post-
vendita) in modo da raggiungere il mercato in tempi ridotti;

• determinazione del livello dei costi della funzione e loro


razionalizzazione: si dividono in costi inerenti al marketing che
riguardano la creazione della struttura di gestione delle attività e si
sostanziano nella creazione di una rete di punti vendita, nella
retribuzione del personale e nel suo aggiornamento. L’esistenza e
l’ampiezza di una rete commerciale dipende dalla volontà
dell’impresa di raggiungere il mercato con una propria rete di
vendita o, alternativamente, di cedere l’output a degli agenti di
commercio per contenere i costi di distribuzione. Per quanto
riguarda i costi relativi alla distribuzione la struttura aumenta di
dimensioni con l’acquisizione di quote di mercato maggiori, se si
raggiunge un maggior livello di competitività. La struttura di
distribuzione dei prodotti potrà avere ampiezza locale, nazionale o
internazionale a seconda dei mercati di riferimento o della
volontà/possibilità di coprire tali mercati a seconda della forza
dell’impresa.

• livello di crescita del personale: che potrà essere formato


internamente mediante tutoraggio o in outsourcing a società
specializzate in tali attività.

Gli altri costi relativi alla logistica in uscita sono il trattamento degli
ordini, la movimentazione dei prodotti, lo stoccaggio dei materiali e il
magazzinaggio (il prodotto potrà essere acquistato o noleggiato e la
dimensione dovrà essere opportunamente valutata), il mantenimento
delle scorte, il trasporto dei prodotti dall’impresa produttrice al mercato
(possono avere natura diversificata a seconda del contesto in cui opera
l’azienda e dal mezzo di trasporto impiegato) e altri costi amministrativi
(tasse, imposte ecc.).

La gestione dei servizi


Santamato
Secondo l’American Marketing Association i servizi sono attività o benefici
posti in combinazione con altri prodotti. Un’altra definizione individua i
servizi come “qualcosa di intangibile” che produce ed offre soddisfazione
se acquistato insieme ai prodotti. In senso economico il servizio si riferisce
all’erogazione da parte dell’impresa, di effetti economicamente utili, di
beni materiali o di attività umane (come servizi assicurativi e bancari,
consulenze, vigilanza, manutenzione, pulizia, servizi di trasporto, ecc.),
finalizzati a soddisfare i bisogni del cliente. Il sistema del servizio è
composto da 2 parti: la prima “invisibile” (back office o back-stage)
consiste nell’organizzazione aziendale finalizzata alla realizzazione del
servizio alle quali l’utente finale non ha accesso essendo un elemento
interno dell’impresa (produzione, logistica, vendita, contabilità), la
seconda parte “visibile” (front office o on-stage) è la struttura che eroga il
servizio e che lo distribuisce al cliente. È composta dal personale
dell’impresa che interagisce con il cliente e dai mezzi per erogare il
servizio (team di marketing, supporto utente, servizi post-vendita).
Queste determinano l’assegnazione dei compiti alle varie unità di
personale.

Il concetto di servizio prevede normalmente un gruppo di servizi integrati


ovvero combinati opportunamente in modo da poter essere presentati
sul mercato congiuntamente per offrire un prodotto più utile ai clienti e
più competitivo. La combinazione dei servizi presuppone la
diversificazione produttiva e la capacità dell’impresa di adeguarsi alle
richieste del mercato più sofisticate. I servizi integrati hanno una
maggiore onerosità dovendo l’impresa produrre e combinare elementi
diversi con un set di prodotti compositi. I servizi integrati si distinguono in
necessari o centrali se il servizio è volto a soddisfare le esigenze del
cliente, e accessoriali o periferici se il servizio integra un bene materiale
completandone la funzionalità. La funzionalità dei servizi necessari si basa
sull’interazione con i servizi accessoriali (nelle compagnie aeree ad
esempio si abbina il servizio di volo → necessario, a quello di cibi e
bevande → accessoriale). A seconda del servizio viene associato un costo
che ingloba tutti gli elementi sia fondamentali che non, e che segna il
valore percepito dal cliente come equo per il servizio nel complesso. Altri
elementi del servizio sono determinati dall’accessibilità (intesa come
possibilità di fruizione del servizio, ed è caratterizzata da alcuni elementi
come il n. di unità del personale, ore, strumenti e documenti di lavoro),
dall’interazione con l’azienda (la capacità di avere contatti tra l’azienda e i
clienti o come uso di risorse fisiche dell’azienda per garantire il servizio), e
dalla partecipazione del cliente (capacità di fornire informazioni sulla
qualità percepita volti a migliorare il rapporto con l’impresa).

In passato i produttori di beni industriali si basavano quasi esclusivamente


sulle qualità tecniche dei beni, senza avvertire la necessità di offrire ai
loro clienti servizi o altri accessori. Oggi a seguito della crescita
esponenziale del settore terziario e l’aumento della competitività,
l’offerta di un’impresa può variare da un puro bene ad un puro servizio,
dando origine a quattro diverse categorie:

 beni puri: intesi come prodotti cui non è associato un servizio (es.
vestiti, gioielli);

 bene associato a servizi: l’offerta è costituita da una bene tangibile


associato ad uno o più servizi che possono aumentare l’attrattività
per i consumatori (es. computer dotato di software per migliorare le
prestazioni);

 servizi associati a beni o a servizi di secondaria importanza: l’offerta


consiste in un servizio, con un’aggiunta di altri addizionali o beni di
supporto (es. voli con cibo&bevande, assistenza post-vendita,
consegna a domicilio, bene → prodotto, consegna → servizio);

 puro servizio: l’offerta è costituita unicamente dal servizio, e la parte


tangibile è rappresentata eventualmente solo dall’ambiente (es.
assistenza sanitaria, sicurezza).

Possiamo notare quindi, un «passaggio» graduale dai beni ai servizi a


seconda delle caratteristiche dei prodotti con un serie di opportunità. I
beni materiali (computer, cellulari, auto) si contrappongono ai servizi
(pubblicità, consulenze esterne) ma difficilmente possiamo pensare i
primi senza legarli ai secondi, e per questo si assiste, sempre più
frequentemente, alla loro combinazione, in cui può prevalere l’uno o
l’altro senza mai raggiungere l’estremo degli stessi. Questa determina una
crescita dei costi di produzione ed un aumento dei beni e servizi ad esso
associati, perché il servizio rende il prodotto più fruibile e accattivante per
il consumatore, in quanto dà un valore aggiunto ai beni. I beni
sostanzialmente sono oggetti le cui caratteristiche sono la tangibilità,
l’omogeneità, l’immagazzinamento e il trasferimento di proprietà (in
quanto se si vende un auto questa viene trasferita al suo nuovo
acquirente). Inoltre nei beni la produzione e la distribuzione sono
separate, il valore del bene viene realizzato in fabbrica, e i clienti non
partecipano direttamente alla loro produzione (ma influiscono ad essa). I
servizi (attività) invece, sono caratterizzati da intangibilità (in quanto
immateriali è difficile valutare in anticipo la loro utilità che è quindi
soggettiva), eterogeneità (in quanto la qualità varia a seconda del cliente),
impossibilità di immagazzinamento (quindi formazione delle scorte) e di
trasferibilità. Nei servizi la produzione e la distribuzione sono congiunte al
consumo (il cliente può usufruirne al tempo stesso dell’erogazione) e
infine, il valore dei servizi è determinato dall’interazione del venditore e
dell’acquirente in quanto, quest’ultimo coopera nella produzione,
determinando la riuscita e la qualità dello stesso. Il cliente può
partecipare alla realizzazione del servizio a seconda delle funzioni svolte
(di specificazione quando egli è chiamato per dare indicazioni e per
decidere come avviene l’erogazione del servizio, di produzione, di stimolo
alla produttività quantitativa e qualitativa dei dipendenti, di
miglioramento al processo produttivo, di valutazione della qualità e di
marketing, cioè la promozione dei prodotti), inoltre in base all’intensità
con cui il cliente partecipa alla produzione, e controlla tutti gli aspetti
relativi al servizio abbiamo 3 diverse modalità:

1) partecipazione passiva: nella quale il cliente richiede il servizio e


specifica le esigenze che intende soddisfare;

2) partecipazione attiva: ovvero interagire, in vario modo, con il


personale dell’impresa. Il grado di interazione più o meno elevato
(low-grade o high-grade). L’interazione del cliente può riguardare il
solo servizio fondamentale o gli elementi accessori di esso;

3) partecipazione a posteriori: avviene dopo l’erogazione del servizio e


serve per contestare le eventuali forme di carenza di esso e per
chiedere la modifica o il risarcimento del danno.

La partecipazione del cliente ha delle conseguenze in quanto se vengono


apportate delle modifiche al processo di erogazione del servizio, queste
saranno immediatamente percepibili dal consumatore e influenzeranno il
suo processo decisionale e d’acquisto.

I clienti di un’impresa devono seguire in relazione all’attività di erogazione


del servizio una serie di comportamenti o atti, che possono essere di vari
tipi:
- Atti intellettuali, di comprensione, riflessione e valutazione a quelle
che sono le decisioni da prendere (se acquistare o meno il servizio e
con quali condizioni);

- Atti verbali che completano la decisione di acquisto da parte del


cliente;

- Atti fisici, indispensabili all’erogazione del servizio;

- Atti di intesa fra le fasi di erogazione del servizio e le parti del


servizio principale e accessoriale.

Le aree chiave del progetto di realizzazione del servizio sono:

- Area delle azioni dei clienti (legata al comportamento dei clienti


fidelizzati, alla scelta del servizio desiderato, e dei suoi caratteri);

- Area delle azioni del personale (consiste nel complesso di azioni


visibili del personale volte alla distribuzione del servizio e all’
interazione con i clienti);

- Area dei processi di supporto (consiste nel complesso di azioni non


visibili, di carattere amministrativo che servono ad agevolare
l’erogazione del servizio e a consentire lo svolgimento dell’attività
aziendale).

La creazione di un servizio si articola su vari punti (alcune simili alla


produzione e progettazione dei beni) ovvero:

1) Fase della rilevazione dei bisogni: (si analizzano le caratteristiche del


mercato e le esigenze espresse della clientela);

2) Definizione dei target di valore: (l’individuazione del


prezzo/caratteristiche della clientela, per capire a quali clienti e
fascia di mercato deve essere rivolto il servizio);

3) Definizione ed allocazione delle risorse da impiegare: (umane,


finanziarie, di mezzi e tecnologiche);
4) Progettazione qualitativa e quantitativa del sistema di erogazione
del servizio: (pianificazione del sistema per realizzare il servizio in
base alla qualità e alle risorse). Questa è messa in atto dal back-
office che designa l’insieme del sistema d’informazione non
accessibile dal cliente;
5) Erogazione del servizio: è la fase principale in cui viene erogato il
servizio al cliente sulla base di quanto preparato nelle fasi
precedenti ed in base alle esigenze dello stesso;
6) Rilevazione del grado di soddisfazione del cliente (customer
satisfaction): ovvero la percezione che il consumatore ha speso bene
il suo denaro dopo aver usufruito del servizio. Avviene attraverso il
feedback cartacei o virtuali (questionari, schede di valutazione,
interviste, ma non resi essendo beni immateriali), finalizzato al
miglioramento del servizio stesso in seguito alle modifiche
apportate al processo produttivo, e all’ampliamento del mercato
attraverso la diffusione di informazioni (passaparola) tra clienti
attuali e potenziali che vengono a conoscenza dell’impresa, e cui
questa può destinare le proprie attività. La misurazione viene messa
in atto dal front-office ovvero la parte frontale dell’azienda in
contatto con la clientela (servizio post-vendita).
Un servizio utile all’impresa per analizzare tutti i processi aziendali è il
blueprint, uno strumento di progettazione indispensabile per mappare le
azioni e i processi di organizzazioni, evidenziando tutto cioè che accade
nella parte non visibile dell’impresa che eroga il servizio, attraverso
l’esperienza del cliente (distinguendo ciò che aiuta o ostacola tale
esperienza). Le finalità del sistema sono quindi, quelle di avere uno
sguardo d’insieme del servizio offerto e delle attività necessarie a
renderlo operativo, al fine di evidenziare caratteri e aree di inefficienza e,
garantire la coerenza tra le aspettative che il cliente ha verso l’utilizzo del
servizio e l’interazione con lo stesso. Altre finalità sono legate
all’individuazione di caratteri come la durata del processo produttivo, la
capacità produttiva complessiva (quanti servizi si possono erogare e a
quali clienti), quali sono le funzioni del personale e i costi della
produzione di servizi.
La misurazione del servizio può avvenire in modo qualitativa ovvero
definita in base alla soggettività del cliente (se soddisfa o meno le sue
esigenze e se rispecchia le aspettative), e quantitativa ovvero
determinabile oggettivamente. Questa è una misurazione di tipo
economica in quanto racchiude il valore del servizio integrato nel
complesso, ed è frutto dell’incontro tra la domanda e l’offerta. In sintesi
con la valutazione economica si ha una misurazione numerica del servizio
e quanto questo è vantaggioso per il cliente. Questa valutazione a lungo
andare può diventare “oggettiva” se il maggior numero delle valutazioni
sarà positivo o negativo.
Per poter gestire un servizio bisogna tener presente alcuni elementi quali
il segmento di mercato (l’ASA → area strategica di affari) ovvero il tipo di
clienti a cui è destinato il servizio (il cosiddetto target), i vantaggi di natura
fisica o psicologica determinanti per la scelta dei servizi, (alcuni di essi
sono misurabili altri non determinabili quantitativamente), il sistema di
erogazione del servizio (personale, clienti, tecnologia per raggiungere i
clienti), l’immagine aziendale (marchio e reputazione dell’impresa), e
infine la cultura e la filosofia (i principii generali di gestione dell’impresa
con cui si realizza il successo aziendale, spesso coincide con la mission
aziendale ovvero lo scopo finale). Le aree strategiche d’affari sono
segmenti di mercato che vengono suddivisi a seconda delle fasce di
clienti. Queste fasce comprendono l’età (prodotto destinato a bambini o
ad adulti), il genere (prodotto destinato a uomini o donne es.
rossetto/rasoio), il reddito (beni di lusso o beni “banali”) la localizzazione
geografica (si decide se servire il mercato globale con un’unica tipologia di
prodotto es. coca-cola, oppure vendere secondo gli usi e i costumi
tradizionali di un Paese utilizzando anche prodotti standardizzati ma
diversificandoli a seconda del contesto nazionale), e la tipologia di cliente
(ovvero privati es. pc con funzioni semplificati, imprese es. pc con funzioni
complesse, oppure pubbliche amministrazioni es. pc con sistemi operativi
sofisticati).
L’integrazione delle attività aziendali consente di ottenere vantaggi
competitivi e maggior concorrenza sui mercati. Essa può essere:
- orizzontale quando la realizzazione della produzione avviene in
modo integrato che determina cioè un gruppo di prodotti
diversificato e in seguito viene presentato sul mercato in modo
interattivo e sinergico in modo tale che questa gamma di prodotti
possa generare processi di vendita e al tempo stesso stimolarli;
- verticale ovvero la realizzazione in un’unica impresa di fasi di
lavorazione delle materie prime che diventano merci da impiegare
nelle fasi successive fino all’ottenimento di un prodotto finale,
mediante l’internalizzazione di fasi lavorative.
L’integrazione può riguardare anche gruppi di imprese in una visione più
allargata con sviluppo di filiere produttive (verticale) o produzioni
congiunte (orizzontale).
Uno delle funzioni fondamentali del servizio e dei prodotti è il marketing,
esso identifica i bisogni e le necessità del consumatore, contribuisce alla
realizzazione di un prodotto o servizio in grado di soddisfare tali bisogni,
contribuisce alla scelta del prezzo, e alla promozione e distribuzione del
prodotto in questione. Uno dei concetti fondamentali del marketing è il
MARKETING MIX ossia tutti gli elementi posti sotto il controllo di un
organizzazione su cui può far leva per soddisfare i clienti. Le principali
variabili decisionali sono le cosiddette “4P”: prezzo (price) che
rappresenta il valore economico del servizio integrato che il cliente è
disposto a sostenere, prodotto (product) costituito dal servizio integrato
che viene utilizzato dal cliente, composto da elementi principali e da
quelli accessori, promozione (promotion) avviene con canali pubblicitari
diversificati (mediatici, cartacei, in modo informatizzato), e distribuzione
(place) non è più fisica ma virtuale ed è diretta poiché avviene mediante
l’erogazione del servizio.
Il processo di erogazione del servizio avviene attraverso il sistema che è
realizzato internamente all’impresa. Questo è costituito da elementi
interattivi come mezzi, tecnologia, risorse umane e finanziarie, collegati
tra di loro in modo da creare sinergie tra gli stessi, ed ogni modifica
relativa a singoli elementi si ripercuote sul sistema nel complesso. Il
sistema ha l’obbiettivo di soddisfare i clienti e di ottenere un ritorno
economico dell’attività svolta, ed è inoltre progettato per funzionare
stabilmente nel tempo. Le relazioni tra gli elementi del sistema di
produzione dei servizi possono essere primarie, rappresentano la base
del sistema e segnano l’interazione di questo con il mercato e la clientela,
interne le quali connettono la parte visibile dell’impresa con quella
invisibile e consentono la creazione e distribuzione del servizio, di
concomitanza che scaturiscono dalla presenza nel sistema di diversi
clienti e dalla loro interazione con il sistema stesso. In questo caso si
determinano delle sovrapposizioni tra la creazione di tutti i servizi richiesti
dai vari clienti in quanto l’impresa deve essere in grado di servire il
mercato in maniera simultanea ed eterogenea.
I sistemi del servizio possono essere schematizzati a seconda delle
caratteristiche, si parlerà di schema semplificato triangolare quando
avviene l’interazione tra due persone, una che eroga il servizio (fornitore)
e l’altra (cliente) che ne fruisce; schema complesso triangolare quando
l’interazione avviene tra la persona (cliente), un prodotto ed un servizio;
schema rettangolare, quando si ha l’interazione tra due persone
(fornitore e cliente), il prodotto ed il servizio collegato. È il sistema più
complesso e può essere arricchito anche da elementi come macchinari,
tecnologia e know-how per renderlo più adeguato alla realtà aziendale.
Al giorno d’oggi sono sorti nuovi modelli di gestione di un sistema, una di
queste è il modello outsourcing attraverso il quale un’attività non
fondamentale viene affidata ad un sistema esterno quindi non facente
parte dello stesso sistema produttivo (ad es. la compagnia Swiss Air
affidava la contabilità ad un’azienda indiana). Viceversa le attività
fondamentali come produzione e logistica, pianificazione e ricerca e
sviluppo rimangono sempre sotto il controllo della direzione aziendale
interna.
I criteri di valutazione attraverso cui un’impresa decide se affidare o meno
esternamente le attività sono il costo dell’outsourcing e la maggiore
specializzazione dell’impresa a cui viene commissionato il servizio. Il
modello di outsourcing comporta ovviamente vantaggi e svantaggi che si
differenziano sotto un punto di vista economico in quanto
l’esternalizzazione dell’attività comporta dei costi aggiuntivi che devono
essere coperti da ricavi e quindi da un aumento di redditività;
organizzativo data la difficoltà di reinserire successivamente un’attività
nel proprio processo produttivo se si dovesse rinunciare all’outsourcing;
strategico in quanto si determina sì una maggiore concentrazione sul core
business dell’attività con un miglioramento delle performances produttive
e uno snellimento dei processi aziendali ma al tempo stesso ha una
perdita di controllo e guadagno su una parte dell’attività dell’impresa che
viene affidato all’esterno. Collegato al concetto di outsourcing è quello
dello spin-off che consiste nella scissione definitiva di una parte
dell’attività aziendale effettuato per realizzare altre imprese con le stesse
caratteristiche di quella principale. Questa scissione dipende dalla volontà
di alcuni dipendenti specializzati, di sfruttare le esperienze e le
conoscenze acquisite precedentemente per mettersi in proprio e creare
un’altra realtà che può o meno collaborare con la precedente o con
un’altra impresa. La differenza con l’outsourcing sta nel fatto che le
attività scisse non potranno essere reinserite all’attività madre in futuro.
Anche lo spin-off comporta vantaggi e svantaggi sia per l’impresa madre,
sia per quella appena sorta:
- Vantaggi → alleggerimento del sistema di gestione da parte
dell’impresa madre; autonomia di controllo da parte dell’impresa
“figlia”.
- Svantaggi → probabile aumento della concorrenza per l’impresa
madre; difficoltà di inserimento nel mercato per l’impresa “figlia”.
Sussistono alcune differenze tra economia industriale (legata ai beni) ed
economia di servizi in quanto questi aggiungono valore ai beni
accrescendo il costo del prodotto stesso. Inoltre i servizi pongono
attenzione ai clienti finali con logiche di «filiera» ovvero la creazione di
una rete di comunicazione che parte dal produttore passa dal fornitore e
giunge al cliente in modo da allargare il mercato raggiunto e mantenere la
fidelizzazione dei vecchi clienti.
L’industria del servizio agisce anche alla creazione di economie di scala o
di scopo. Entrambe le tipologie consentono di raggiungere dei vantaggi di
tipo economico, in quanto portano ad un risparmio di costi medi di
produzione. Con la differenza che le prime lo fanno tramite l’aumento dei
volumi produttivi che porta di conseguenza anche all’aumento delle
dimensioni aziendali stesse (recupero dei costi → maggiori
ricavi/redditività), le economie di scala o di raggio d’azione invece, lo
fanno tramite la produzione congiunta (integrata) di prodotti diversi
ovvero, realizzando una produzione ampia e diversificata mantenendo gli
stessi impianti, ma risorse e un know-out sempre più forti. Grazie a
questa tecnica si garantisce anche la razionalizzazione del processo
produttivo.

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