di Pietro G.Serra
A libro chiuso non si può non pensare che una famosa legge mosaica si sia avverata: «tu farai prestiti a molte
nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno»
Questo saggio, scritto da un avvocato, Marco della Luna, autore di altre pubblicazioni come Le chiavi del potere
(Koiné) e da Antonio Miclavez, un medico appassionato di economia, costituisce un’esauriente sintesi, chiara e
scorrevole nella forma, del ruolo e dell’evoluzione delle diverse categorie di banche, dalle più antiche alle più
recenti. Ma non è solo un’indagine storica: la valutazione dell’attività creditizia dei soggetti bancari e la
conseguente concentrazione di un enorme potere nelle loro mani, conduce gli autori ad esprimere giudizi di valore
che hanno i toni di un’appassionata denuncia.
Il tutto avviene però sempre al di fuori di ogni teoria complottistica. Vale la pena di riportare le affermazioni
contenute a pag. 105: «molti sostengono che siamo vittime di una congiura mondiale - dei banchieri, dei
finanzieri, degli Ebrei, etc. - finalizzata a istituire un Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico[...]. Riteniamo che
tutto ciò sia [...] dovuto a un fraintendimento o all’ignoranza di elementari dati sull’economia e sul comportamento
umano[...]definire “complotto” la strategia di un’impresa commerciale o di un cartello di imprese che si sforza di
acquisire una posizione monopolistica od oligopolistica su scala locale, nazionale o globale, condizionando anche i
poteri politici, è infantile - lo può fare chi non sappia nulla della realtà economica- imprenditoriale, del mercato».
Una lunga citazione che ci consente di vedere in Della Luna e Miclavez due studiosi intenzionati ad deludere le
speranze di tutti coloro che, nella ricerca dell’esistenza delle cospirazioni dei poteri monetari, continuano ad
alimentare l’odio brandendo simbolismi negativi come quello del complotto giudaico - massonico. Ma facciamo un
passo indietro. Siamo nel 1694 quando la Bank of England fornisce il denaro a uno stato che ormai non riesce più
a dominare con le emissioni in proprio il disordine monetario e il suo conseguente processo inflattivo. La banca,
così, già dotata di un’ importanza considerevole, acquisita durante tutto il sedicesimo secolo, assume ora un ruolo
di primo piano: individuata come autorità in grado di valutare l’andamento reale dell’economia, le viene concessa
la facoltà di emettere il primi biglietti di banca: le bank notes. Si tratta, sottolineano gli autori, di una vera e
propria rivoluzione: col tempo, infatti, la Bank of England si consoliderà fino ad ottenere il monopolio dell’accesso
al credito da parte dello stato e il suo modello si affermerà non solo in ogni paese europeo ma anche in altre parti
del mondo, come Stati Uniti e Giappone.
In Italia l’operazione della nascita di una banca centrale viene guidata, nel 1893, da Giolitti; in quell’anno il
Parlamento del Regno ratifica la comparsa di un soggetto nuovo, sorto dalle ceneri della Banca romana, implicata
in uno storico scandalo, e dalla fusione tra la Banca Nazionale del Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca
Toscana di Credito. Il neonato istituto prende il nome di Banca d’Italia e muove i suoi primi passi come «società
anonima», ovvero come una società per azioni a prevalente capitale privato. Giolitti interviene in prima persona al
fine di garantirne l’autonomia dal potere politico, con l’unica concessione dell’approvazione da parte del Governo
della nomina del direttore generale dell’istituto bancario. Nel 1910 un regio decreto le concede di esercitare il
diritto di emissione assieme al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia, ma anche di fare al Ministero del Tesoro
anticipazioni al tasso dell’1,5%. Con la legislazione del 1926 -27 il regime fascista attribuisce alla sola Banca
d’Italia il monopolio dell’ emissione monetaria, ma è solo con le norme del 1936 che l’istituto di credito muta
radicalmente la sua struttura: tutte le disposizioni legislative di quegli anni ne confermano l’autonomia e ne
consolidano l’immagine di “Istituto di diritto pubblico”, nonostante, come detto poc’anzi, il suo assetto interno sia
quello di una società per azioni.
La Banca d’Italia cresce fino a raggiungere, nel 1992, con una legge promossa dall’allora ministro del Tesoro Guido
Carli, la totale indipendenza dal controllo pubblico, con il potere di fissare il tasso di sconto senza doverlo più
concordare con lo Stato. Il lungo processo evolutivo dell’organismo bancario, di cui si parlava all’inizio, è ormai
compiuto. L’Italia è un caso emblematico, perché ormai in tutte le società capitalistiche gli interessi delle banche di
stato si sono saldati con quelli dei governi, a un punto tale da consegnare il potere nelle mani di pochi soggetti
economici che hanno fatto del debito pubblico un colossale affare. Il debito pubblico cresce incessantemente. Al
momento, come da poco ha dichiarato Silvio Berlusconi in un recente confronto televisivo, ogni italiano deve
restituire solo di interessi passivi circa 20 mila euro. È una cifra colossale, quella del debito pubblico, legata a
un’attività bancaria che prende il nome di signoraggio. Siamo così arrivati alla parte fondamentale del libro: cos’è il
signoraggio? Il signoraggio è la differenza fra il valore legale di una moneta e i suoi costi di produzione.
Gli autori espongono la questione con molta chiarezza: lo stato italiano chiede 100 milioni di euro alla banca
centrale e li paga con titoli del debito pubblico, la banca li acquista ma emette la cifra a costo zero o quasi, dato
che spende 3 centesimi per stampare una banconota (fabbricare moneta costa pochissimo e ciò è dovuto al fatto
che più o meno dal 1929 le banche non hanno l’obbligo del gold exchange, cioè della convertibilità in oro), lo stato
deve così restituire la somma avuta più gli interessi (il tus) del 2,5%. Una volta conclusa la transazione, la Banca
d’Italia vende i titoli e apposta i 100 milioni di euro al passivo, evitando di pagare le tasse su quello che è un puro
incremento di capitale, un profitto. È un guadagno enorme per una banca di stato che crea il denaro dal nulla e i
cui capitali sono nelle mani dei grandi istituti commerciali e compagnie di assicurazione d’Italia (e il libro ne riporta
un elenco dettagliato).
Si intuisce allora quanto siano smisurati gli interessi che ruotano attorno al recente tentativo di acquisto della Bnl.
Sono interessanti, a questo proposito, le affermazioni di Marco Saba, autore della prefazione e studioso di
problematiche economiche: «se è vero che la Banca d’Italia prende 147 milioni di euro al giorno di signoraggio -
afferma Saba -, BNL come socia ne prende il 2,83%. Con semplici calcoli aritmetici si può capire in quanti giorni il
Banco di Bilbao y Vizcaya rientrerà dell’investimento di 7 miliardi di euro dell’OPA. Rientrerà in 1688,61 giorni,
ovvero in 4.74 anni». Se questo comportamento non suscita l’indignazione popolare, è chiaro che si sono ormai
consolidate nuove forme di egemonia che aspirano, scrivono gli autori, a trattare le persone come «mere parti del
ciclo riproduttivo della ricchezza», a tutto danno delle categorie deboli di una società in cui i vecchi e gli invalidi
«sarebbero trattati come zavorra», e questo perché, nell’economia globalizzata, non si potranno avere «al
contempo, più di due alla volta tra le seguenti condizioni: sviluppo, democrazia, protezione sociale». Se in
definitiva fosse lo Stato a stampare la moneta, riappropriandosi della sovranità monetaria, non esisterebbe il
debito pubblico e le tasse potrebbero essere impiegate per il miglioramento strutturale della società civile. Un
compito quantomai difficile dato che i politici non sono in grado di promuovere un’attività legislativa che possa
danneggiare gli interessi dei banchieri i quali, alzando di un punto il tasso di sconto, possono scatenare crisi
finanziarie gravissime, fino a mettere in pericolo la stabilità dello stato. Ma il signoraggio non coinvolge solo le
grandi banche: anche i piccoli istituti, quelli che si occupano del credito ordinario, possono creare denaro creditizio
dal nulla attraverso meccanismi complessi.
Come quello del cosiddetto coefficiente di riserva frazionale. Che cos’è? In parole povere le banche possono oggi
prestare molto più di quello che hanno nei forzieri, tenendone in riserva solo una piccola parte. Se ad esempio il
coefficiente di riserva viene fissato al 2%, la banca riesce a moltiplicare un deposito per cinquanta volte. In questo
modo: se un depositante dà 1000 la banca ne tiene 20 in riserva e presta gli altri 980. Tali 980, una volta che
vengono depositati nella stessa o in un’altra banca possono generare altro denaro dal nulla, perché la banca può
tenere in riserva 19,60 e prestare 960. L’operazione può essere ripetuta per 50 volte. Naturalmente più sarà basso
il coefficiente di riserva (che può variare, secondo gli accordi di “Basilea 2” dall’1,6% al 12%) e più alta sarà la
somma che la banca potrà creare dal nulla.
Il popolo non detiene più il potere. Non ha più la sovranità monetaria la cui realizzazione, peraltro, dopo il trattato
di Maastricht, si è ancora di più allontanata: ora è la Banca Centrale Europea, una banca privata, perché governata
dalle banche centrali a loro volta controllate dalle banche private, che può per legge emettere moneta in Europa e
controllare il signoraggio. La Bce agisce al di fuori di ogni controllo politico e con le sue scelte condiziona
pesantemente la vita delle nazioni. Esiste una via d’uscita? Il libro riporta la proposta di Marco Saba che assieme
ad alcuni studiosi ha elaborato una serie di «pacchetti di proposte ragionevoli» il cui punto di forza è costituito
dalle monete complementari e locali che, emesse da enti pubblici territoriali, dovrebbero avere una circolazione,
seppur limitata, in ogni ambito della società civile. Tutto ciò non toglierebbe all’oligarchia bancaria il suo privilegio
e il suo potere. Gli autori però propongono anche una soluzione più radicale: abbandonare l’euro.
I vincoli imposti da Maastricht, scrivono, comportano una cessione della sovranità monetaria, «governo e
parlamento [...] non possono emettere la propria moneta ma devono comprarla dalla BCE; non possono agire sul
tasso di sconto, perché questo è fissato dalla BCE; non possono svalutare, perché il cambio è gestito dalla BCE e
vincolato alle altre euro - valute; non possono spendere a debito per i necessari investimenti produttivi (ricerca,
infrastrutture, istruzione), perché sono vincolati a contenere il deficit di bilancio e a ridurre il debito pubblico».
A libro chiuso non si può non pensare che una famosa legge mosaica si sia avverata: «tu farai prestiti a molte
nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno»
(Deuteronomio 15:6).
Marco Della Luna, Antonio Miclavez, EuroSchiavi, Arianna editrice, Casalecchio 2005, pagg. 240