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Michael Wolf
A cura di
Maurizio Baiata
Verdechiaro
Edizioni
Passeggiare attraverso lo spazio e il tempo. Ragionare sulla spiritualità e sulla creazione
dell’uomo. Sperimentare l’amore per la famiglia, la gioia, il dolore, la fede e la speran-
za, le qualità innate e uniche dell’“equazione umana”. Esplorare le frontiere rappresen-
tate dalla clonazione, dalle ricerche sugli UFO e dalle esperienze di Contatto/Abduc-
tion. Tutto questo, attraverso una narrazione provocatoria e magistralmente costruita,
un ponte gettato dal dottor Michael Wolf per giungere a una formula comunicativa
che riguarda le arti, la scienza e la religione. Trent’anni di servizio per il suo Paese
nelle strutture segrete del governo statunitense, una cultura di straordinario spessore, la
geniale capacità comunicativa gli hanno consentito di elaborare un libro il cui mes-
saggio ultimo è dare un futuro vivibile ai bambini di questo pianeta. Tutti i proventi
di The Catchers of Heaven, che il dottor Wolf ha dedicato alla memoria di suo figlio
Daniel, sono stati devoluti alla Daniel Wolf Memorial Foundation for Children, Inc.
J. M. Baird
isbn 978-88-6623-216-2
Copyright © 1996 by The Daniel Wolf Memorial Foundation for Children, Inc.
Original Copyright © 1993 by Michael Wolf
(esclusa dall’ed. italiana su disposizione The Daniel Wolf Memorial Foundation for
Children, Inc.)
Cosa ne è degli irreali paesaggi della creazione stessa di un uomo, della vita
stessa di un uomo? Per lo più, sono chiusi nell’armadio delle paure, dei disagi,
delle pastoie legali, del pudore. Ci insegnano a rinunciare a ciò che abbiamo di
più caro e di più importante per metterci in grado di comunicare con gli altri!
L’uomo non è uscito da uno stampino, eppure il “deviare” da un ipotetico
“normale” modo di pensare o di essere, lascia una scia di odore pari a quella di
una volpe che fugge atterrita.
Allora, in che modo un uomo che grida può dire la verità? Deve scrivere
sotto forma narrativa, di “fiction”. Per fortuna, nell’arbitraria gerarchia umana
c’è posto anche per uno scrittore pazzo. Bene, salve amici, sono io l’uomo che
grida, sono io lo scrittore pazzo. Io sono lo scrittore-in-residenza su Sol Tre,
oppure su Sol Sette, dipende da quale direzione stiate entrando nel sistema
solare. E questa è la mia “fiction”. (Con lo scrittore che scrive e con te, lettore
che leggi, insieme forse conieremo una nuova definizione di romanzo!)
Quindi, questa Trilogia dovrebbe essere “narrativa”. Sebbene si tratti di
una “fiction letteraria” di forte sapore scientifico, avrei comunque diverse cose
più che reali da dire e diverse persone più che reali da ringraziare, perché mi
hanno seguito lungo i meandri di questo doloroso lavoro.
Forse, l’uso che sto facendo dell’aggettivo doloroso è improprio: poche
sono le parole che spiegano appieno le molte realtà e dimensioni - alcune
nettamente percettibili, altre meno - pressoché universalmente riconosciute e
sperimentate, che non rientrano nei canoni di quello che ci hanno insegnato
così bene a rispettare, o a rifiutare.
Dovremmo considerare le percezioni del tempo e dei suoi molteplici aspetti,
essenze e sapori; nonché, ovviamente, le complessità di composite, multiple
e talvolta confuse infinità, ampiamente distanti da quelle che sembreremmo
preparati a riconoscere, ampiamente distanti da quei concetti accettati che i
nostri peculiari sistemi di pensiero affermano e sanciscono, i nostri paradigmi,
i nostri parametri così limitati.
Io oserei sperare... SPERARE? Beh, non esattamente. In ogni caso, a questo
punto rimpiango qualcosa che ho desiderato ardentemente. Cinque decadi e
mezzo sembrano un’eternità se uno è così terribilmente stanco della propria
vita, nel cuore e nella Dimora della sua Anima. Per me, stanco significa essere
annichilito dalla tristezza; in un certo qual modo la vita diventa un territorio
desolato quando il tuo animo è fiaccato da perdite tragiche e giungi a scoprire,
con immenso stupore, che il pianeta su cui ti trovi non è la tua casa.
I Guardiani del Cielo (The Catchers of Heaven): Una Trilogia, ah, cosa posso
dire? Semmai, solo quello che devo. Suppongo convenga partire dalla data
della mia prima esperienza di Missing Time (“Tempo Mancante”, o “Vuoto
Temporale”, NdT) e dall’avvio della mia ricerca sul “TRATTAMENTO
PORTALE” (GATEWAY TREATMENT).
In primis però dobbiamo stabilire certi termini, un lessico se volete,
affinché alcune di questi fatti, esperienze ed eventi per il lettore possano avere
senso. Lo scrivere, a volte, impone l’uso di particolari terminologie, che hanno
un loro lessico:
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DI MEZZO, i quali al momento attuale risiedono su Sol Tre.
I Guardiani del Cielo - The Catchers of Heaven: Una Trilogia, non è un titolo
lungo per tre volumi di storia dell’umanità e la sua collocazione nell’Universo;
una storia del tempo nell’Universo; le leggi naturali e le forze dell’Universo; una
critica alla Teoria del Big Bang come origine dell’Universo; e una discettazione
su una nuova Grande Teoria Unificata (GUT) di ogni cosa nell’Universo.
Quest’opera descrive i vicini nell’Universo venuti a visitare l’uomo e
come essi siano in grado di giungere sin qui - i più vicini, distanti trenta,
trentadue anni luce; e perché alcuni di loro abbiano scelto di arrivare su
questo pianeta (in particolare quelli con interessi personali e più o meno
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coinvolti, nonché i semplici turisti di passaggio).
Il mio è anche un tentativo di far luce sull’equazione umana, far capire
cosa significhi perdere una moglie e un figlio tanto amati; e, in conclusione,
per quale ragione esiste la vita?
Ora, per favore, non pensiate che l’autore sia affetto da manie di grandezza,
smettendo così di leggere il libro (o lasciandolo su un tavolino, come L’essere e
il Nulla di Sartre, per far colpo sui vostri ospiti con prodezze intellettuali). A
dire il vero, questo lavoro è iniziato con la mia nascita e finirà all’approssimarsi
della mia morte, comprendendo oltre cinque decadi di vita. Ho imparato
molto di più di quanto sia stato in grado di insegnare, il che, se mai, mi ha
quasi ridotto a quel tipico status che i nostri visitatori chiamano dell’“ego-del-
piccolo-pianeta”.
Come scoprirete, il GATEWAY TREATMENT (TRATTAMENTO
PORTALE) è una ricerca sperimentale che avviai nel 1952, avevo 11 anni,
quando accadde un evento che oggi comprendo molto meglio di allora.
Situazione peculiare. I miei genitori credettero che mi fossi in qualche modo
chiuso nel laboratorio del seminterrato, ma dopo aver buttato giù la porta
senza trovarmi, contattarono il dipartimento di polizia di Orange, New Jersey.
Esattamente ventiquattro ore dopo, i miei genitori mi trovarono nel letto
della mia camera, addormentato. Ovvio che mi avevano cercato dappertutto,
inclusa la mia stanza e più volte, ma senza risultato.
Non ero dove avrei dovuto essere (e non ero neppure dove non avrei dovuto
essere!). (originale: There be tigers here*) Il gioco si fa duro, come constaterete
leggendo la trilogia.
Esiste un numero considerevole di uomini e donne addotti (che dietro le
quinte, per così dire, meritano una ricompensa) che riluttanti donano ovuli e
sperma per l’ingegneria genetica delle EBEs (Echo Bravo Echo è il protocollo
che corrisponde a EBE, ovvero entità biologica extraterrestre). Personalmente,
io preferisco i “Forestieri” e gli “EXTRAMONDO”.
Per me, chiedere al lettore di esprimere idee sulla credibilità di questo
libro, implica che io renda noti alcuni fatti accaduti nella mia vita. Per la
mia formazione culturale e per ottenere i miei titoli di studio ho dovuto
impegnarmi giorno e notte. Una parte dei costi è stata coperta dal governo e
tutti gli istituti che ho frequentato avevano speciali corsi avanzati per quelli di
noi che sin da giovanissimi avevano mostrato una predisposizione allo studio
delle nostre materie.
Ho incluso, nelle mie lezioni universitarie e in una tesi, una nuova teoria
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sulla dualità particella-onda e, più precisamente, le relativamente nuove
intuizioni e applicazioni concernenti le particelle e la fisica del plasma (ad
esempio, un’arma a fasci di particelle neutre) per la difesa nel programma
“Strategic Defense Initiative Organization” (SDI - Iniziativa di Difesa
Strategica) più comunemente noto come “Guerre Stellari”. Appellativo,
quest’ultimo, a suo tempo prima totalmente inappropriato, ma ora adeguato,
dato il suo impropriamente implicito significato.
Negli ultimi tempi, ho dato il massimo per la stesura di una tesi su una
rete neurale tecnologica, in elaborazione a parallelismo (Connessionismo),
AI (Intelligenza Artificiale) che usa il LISP (List Processor - linguaggio di
programmazione computerizzata), una nuova forma di programmi FORTRAN
77 (traduzione di formule matematiche in algoritmi, NdT), definibili come
“intuitivi” e l’uso di nuova tecnologia criogenica per microprocessori a velocità
maggiore di 500 MHz.
Devo aggiungere che ho lavorato su microprocessori a conduzione chimico-
molecolare in ambito aerospaziale. In effetti, stiamo progettando un prototipo
di computer a scala chimico-molecolare più veloce di miliardi di volte, che è
in grado di creare una tecnologia totalmente nuova. Che, per quanto sia solo
a livello di prototipo, potrebbe già prospettarsi in R&D (Ricerca e Sviluppo).
Tali tecnologie prevedono un think-tank (gruppo di ricerca) di interfaccia,
algoritmi “genetici”, paradigmi “genetici” e un massiccio deposito dati per
programmi “autonomous call-seeking” (“a ricerca indipendente”). Un nuovo
termine implorava per essere coniato: psicobiofisica. E ci ho pensato io: l’ho
inventato e così è.
Per il primo prototipo anni ’90 (o per il ventunesimo secolo, se
sopravviveremo), ciò rappresenterebbe un passo da gigante verso l’intelligenza
non-artificiale; un nuovo passo verso la realtà cognitiva, la consapevolezza,
l’autentico discernimento di dati astratti.
Quel minimo di curriculum che posso fornire al lettore, ovviamente non
include il mio lavoro “classificato” per il governo degli Stati Uniti d’America,
il Dipartimento della Difesa, la DARPA (Defense Advanced Research Projects
Agency).
Nella mia vita professionale ho dovuto sempre mantenere un profilo molto
basso; avendo lavorato nei “Black Programs” (ne parlo fra poco) per il governo
USA e ponendomi in aperto dissenso con il National Security Act (NSA),
fin quando risiedo sul pianeta Terra la prudenza a tutela della mia sicurezza
consiglia di non attrarre l’attenzione. Pertanto quanto affermo e scrivo si
esplica alla perfezione sotto pseudonimo. Amo il mio Paese e mi sono trovato
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a difendere certe agenzie, soprattutto quando, rispetto a un qualunque diritto
etico, esse apparivano inermi. A volte il perdente va assistito, che sia una lei,
un lui o un esso, semplicemente perché è il più debole. Potrei anche ritrovarmi
in una “lista nera” del governo, oppure vedermi condannato a “Non più di
dieci anni di carcere e a non più di diecimila dollari di multa”, solo perché non
siamo in stato di guerra.
E non chiedetemi cosa sia uno stato di guerra: lo stato di guerra esiste
ogni minuto di ogni giorno dell’esistenza umana, della realtà umana e della
non-realtà umana. Comunque sia, è guerra, ancora guerra e sempre guerra:
pianificare, eseguire, consentire e attaccare. Spero che questo libro riesca a
collocare alcune cose nella giusta prospettiva e a rimuoverne alcune che da
un assurdo punto di vista paiono necessarie. Pur vedendola come una fiction
totale, spesso e volentieri punteggiata da elementi scientifici, non definirei
questa un’opera di “fantascienza”. Quelli che sanno, lo capiranno.
I BLACK PROGRAMS (o PROGRAMMI A BILANCIO SEGRETO),
talvolta sono classificati Oltre il Top Secret e vengono gestiti dal National
Program Office (NPO). Di tali fondi neri, sotto la lente dei revisori contabili
di governo nulla appare, “nada”, zero, perché a tali burocrati viene assegnato
un nullaosta sino al Top Secret.
Di conseguenza, è attraverso i programmi ad Accesso Speciale che gli
scienziati governativi usufruiscono di enormi stanziamenti occulti, senza
mai incorrere in verifiche e, in sostanza, avendo tutti i mezzi per portare a
compimento cose terribili - nonché meravigliose e filantropiche - da tenere
celate per sempre. Li chiamano “fondi neri” perché è impossibile portare alla
luce sia i soggetti sia i segreti nelle loro mani, di importanza vitale in una
cosiddetta società aperta.
La cortina di segretezza è molto più potente di quanto gran parte degli
elettori possa capire. Molti americani non sanno cosa sia o cosa faccia la NSA,
eppure il libro The Puzzle Palace (scritto da James Bamford e pubblicato nel
1982, NdT) è stato un best seller.
Se questo I Guardiani del Cielo - The Catchers of Heaven: A Trilogy sarà letto
da molte persone, una gran quantità di domande troverà finalmente risposta e,
forse, ne nasceranno di nuove.
Di una cosa sono felice: che ho ripulito la mia coscienza di scienziato che
come scienziato credeva di avere un senso etico e morale. Mai dimenticherò
che quando il progetto S.D.I. (“Guerre Stellari”) ricevette l’attenzione delle
telecamere e dei microfoni dei media, con mio sommo stupore (sebbene al
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tempo mi trovassi d’accordo con lui), sentii dire da uno scienziato che lavorava
su un progetto di laser: “Sono disposto a costruire armi che uccidano i bambini
(che Dio mi perdoni!) per ottenere fondi per la ricerca”.
La ricerca base è sotto finanziata. Le usuali fonti economiche sono state
prosciugate dai tagli di governo proposti e portati avanti dall’amministrazione
Reagan e da quelle successive. Tutti fondi tagliati, tranne quelli ai militari.
Reagan ha dato a “Cap” Weinberger (Caspar Willard “Cap” Weinberger,
Segretario alla Difesa, NdT) miliardi di dollari per foraggiare i militari.
Foraggiare? Armi Intelligenti immagazzinate in posti segreti. Armi molto
Intelligenti e posti molto segreti.
Veniamo al dunque. Che ne direste se il nostro stesso governo, senza
pubblico consenso, progettasse un “uomo” (uno dei nomi era “Project
Sentinel”) per rimpiazzare i marines “ingrugnati” (chiedo scusa per la
terminologia, non mia, ma in uso in ambienti di governo) sempre i primi a
scendere in battaglia?
E cosa dire dell’acido lisergico dietilammide (LSD), o del “BZ”
(benzfetamina) e di altri composti di solfato di metanfetamina somministrati
in quantità industriali a ignari soldati, prima e dopo il combattimento?
E ancora, che dire dei test di nuove biotossine geneticamente progettate?
Cosa si può pensare anche solo di una di tali atrocità?
Per me è oltremodo difficile espiare completamente questa colpa. La
“Compagnia” mi reclutò in un campus universitario, molti anni fa, quando
dichiararsi patriottico era un atto di coraggio. Poco tempo prima, avevo
risposto a un annuncio su un giornale che diceva: “RAGAZZI, VOLETE
VEDERE IL MONDO E PAGARVI GLI STUDI? FATE I CORRIERI!”
Beh, una cosa era avere la retta pagata, un’altra era scoprire che, di tanto
in tanto, mi toccavano consegne o ritiri di “depositi bancari”, come i miei
superiori chiamavano quei pacchetti destinati alla DDR ovvero Repubblica
Democratica Tedesca, o altrimenti Germania dell’Est. Un agente del KGB che
stava cercando di proteggermi “finché non arrivano i tuoi”, mi portò in un bar
e io gli offrii molti drink (amava lo scotch). Scoppiò a ridere appena gli dissi
che lavoravo per una certa banca con casella postale in un posto in Virginia.
Ormai ubriaco, parlava tanto da poter riempire tutte le caselle vuote.
Quando non erano presi dai “loro affari”, per me era sorprendente vedere
operativi della CIA e del KGB fra loro così cordiali e lesti nel condividere
un bicchiere e un’informazione. C’era però solo un argomento che si sfiorava
appena e di cui mai si parlava ufficialmente: gli UFO.
Gli UFO erano trattati in termini vaghi e generali e ancor più sorprendente
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era che il KGB sembrava saperne di più rispetto alla nostra vecchia e assonnata
“Compagnia” chiusa nel “borbottio” di Langley, Virginia.
Qualche tempo dopo mi sarei reso conto che le cose non andavano per
niente in quel modo. Nella fase due della mia carriera, facendo mio il detto
“Confidiamo nella Tecnologia”, avrei scoperto che più lauree conseguivo, più
in alto salivo nella spirale ascendente della segretezza. Un team di super esperti
era stato costituito sotto il controllo del MJ-12 (i capi della “Compagnia”
credevano di essere loro in controllo).
Archibald MacLeish, noto poeta e critico letterario che era anche a capo
della Biblioteca del Congresso (LOC), aiutò a organizzare il Brain Bureau,
un gruppo di accademici e specialisti responsabili dell’analisi d’intelligence;
ebbene, anch’essi furono esclusi dal Gathering Group, che raccoglieva il
meglio delle prove documentate sugli UFO.
Una frazione limitata della comunità d’intelligence si rendeva conto
che i loro compiti si riducevano a due obiettivi di missione: il debunking
(demolizione sistematica, NdT) di ciò che non si poteva facilmente confutare, e
fare da supporto agli accordi a trattato internazionale stipulati con diverse specie
di “Forestieri”, secondo protocolli che stabilivano quasi de facto l’implicito
assenso alle procedure genetiche sugli esseri umani addotti, effettuate dai Grigi
(Reticuliani) e dai loro aiutanti, in cambio di tecnologia. Ancora una volta,
“Confidiamo nella Tecnologia”.
Attività queste che, ovviamente, tagliavano fuori tutti i singoli ricercatori
UFO privati e ne liquidavano le ricerche, a prescindere dal loro grado di
preparazione e raffinatezza.
Con tutti gli sforzi che ho fatto per imprimere alla mia vita una certa e
intensa razionalità, il vuoto è cresciuto in progressione geometrica. La sola
persona alla quale non ho mai provato a chiedere adeguatamente scusa è... il
mio stesso io e il suo spirito che avvizzisce.
Non ho semplicemente lavorato sulle Armi Neurotossiche (NWs) per la
guerra biotossica. A Livermore, in California, presso i laboratori Lawrence
Livermore, lavorai su quello che, come mi disse il dottor E. Teller, quel viscido
ciarlatano di scienziato atomico, sarebbe divenuto un nuovo sistema di
ARMI DIFENSIVE. Così era solito dire ogni qual volta uno lo guardava con
mancanza di rispetto. In una piattaforma di lancio ICBM avremmo potuto
piazzare quattro, anche sei, testate balistiche nucleari, per ottenere “il massimo
con la minima spesa” e applicando la vecchia filosofia “o lo usi o lo getti via”.
Impiegando sei MIRV (“Multiple Impact Re-entry Vehicles”) avremmo
fatto fuori sei città con esplosioni in aria. In pratica, far esplodere ciascuna
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delle sei testate a un miglio d’altezza dai loro sei obiettivi. (Hey, un momento,
ragazzi: “Bombe che esplodono in aria” non l’ho già sentito da qualche parte?)
Un missile, sei città andate! Vaporizzate! Poof!
“Hey, un attimo, ragazzi, questo non è un sistema difensivo - e una
volta mi ricordo che glielo dissi - forse non è una buona idea”. E loro mi
risposero: “Qualcosa non va, amico? Non ami più il tuo paese? NON PUOI
DELUDERCI! Devi stare nel gioco di squadra. Sii patriota, amico e mostraci
di che pasta sei fatto. Dopotutto, è un punto di forza, per il nemico, non
sparare per primo i suoi missili!”
“Hai capito?”
“Ho capito!”
“Bene!”
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l’organizzazione della S.D.I. si è resa conto che le sue strane tecnologie
possono trovare impiego per proteggere i cieli dal traffico di cosiddetti veicoli
alieni ostili?
Le armi cinetiche, le armi a fasci di particelle neutre e altri sistemi d’arma
avanzati potrebbero essere usati per scopi diversi? Perché il Presidente Ronald
Reagan ha spesso spronato le nazioni della Terra a unirsi contro una comune
minaccia proveniente dall’“esterno della nostra atmosfera”?
Queste considerazioni sono tipiche dei “romanzi” di spionaggio;
ufficialmente, non sono mai avvenute, ma ufficiosamente sono realtà di ogni
giorno. Così può accadere che un piccolo e anonimo ponte (il “Glienike”
a Potsdam, NdT) tra Berlino Est e Berlino Ovest divenga nevralgico per lo
scambio di spie di fama mondiale (come ad esempio Francis Gary Powers, il
pilota U-2 abbattuto quando la Russia era “il male”).
Seppure mai di dominio pubblico, di segreti veri e propri parlava la serie
letteraria inglese della “Janes”, in pratica dicendo tutto ciò che c’era da sapere.
Ad esempio, progetti di sottomarini missilistici sovietici, o gli aerei stealth,
e via dicendo. E spifferava anche segreti nostri. Quindi, i segreti, spesso
venivano resi noti, ma dovevi sapere esattamente dove andare a cercare. Per
un anno intero Bob Guccione e Kathy Keeton stamparono il mensile Nuclear,
Biological Chemical Defense and Technology International e in uno dei primi
numeri pubblicarono la cianografica di un progetto di bomba chimica o
biologica. In poco tempo, furono costretti a chiudere, perché i contenuti della
rivista risultavano utili sia al nemico storico, sia agli ingegneri al soldo dei
terroristi.
Altro caso: il New York Times così recensì il libro The Puzzle Palace – Inside
the National Security Agency, America’s Most Secret Intelligence Organization:
“In passato, degli squarci si sono aperti all’interno della NSA, ma nessuno
prima d’ora aveva dato alle stampe un rapporto tanto dettagliato sulle attività
di questa agenzia. Il signor Bamford ci ha detto tutto, tranne la combinazione
della cassaforte del direttore…”.
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in corso, alcuni ricercatori mi dicono di avere meno timore degli
alieni che dei propri agenti federali pagati dai contribuenti, o di
qualunque altro agente dell’intelligence militare. Fanno balenare i loro
badge d’identificazione come chiappe dimenate nelle metropolitane.
Personalmente, non sono stato additato, per così dire, né preso di mira.
Se uno scrive di cose che dovrebbero restare segrete - alcune delle quali
senza un motivo apparente - la burocrazia reagisce sempre rapidamente.
Tuttavia, se mi faranno fuori, è plausibile che la gente crederà di più a ciò che
ho dichiarato e messo per iscritto. Penso dunque che mi lasceranno in pace
per portare a termine e divulgare quest’opera, per chi desideri e persino abbia
bisogno di leggerla.
C’è un altro metodo per screditare una persona che riveli ciò che loro
hanno creato o in cui sono stati coinvolti. Consiste nel far sparire qualsiasi
prova (incluso ogni documento in cui appaia il nome di un determinato
individuo), il che dimostra che quella persona aveva veramente fatto quanto
aveva dichiarato. Si fa un repulisti di lauree, attestati, ricerche e relative
documentazioni.
Se un agente segreto dell’intelligence viene catturato dalla parte avversa,
la sua agenzia negherà di averlo (o averla) mai assunto. Di conseguenza, il
governo porrà il soggetto (lui o lei) in questione, nell’impossibilità che sia
imprigionato per aver infranto il National Security Act (anche in periodo
di pace), rendendolo invisibile, un essere inesistente. Questo equivale,
congruamente, a fare di un individuo una “non-persona”.
Se dovessi subire tale trattamento di “cancellazione”, ricordatevi per favore
dei miei trentaquattro anni di devozione patriottica, che mi ha indotto a
lavorare anche su cose che hanno afflitto orribilmente la mia coscienza.
Spero nel perdono e devo confidare nei cittadini degli Stati Uniti
d’America, poiché loro sono il governo. Il governo non si fida di te, ma io sì.
Sono convinto che tutti oggi siano in grado di reggere all’impatto della verità
sull’esistenza delle organizzazioni ombra e delle loro missioni ombra.
Io amo il mio Paese e riconosco, come molti di noi fanno, che ai fini della
propria difesa, persino una società “alla luce del sole” debba mantenere certe cose
segrete. Non mi stancherò di ripetere che questo libro è stato scritto secondo un
format narrativo ma, seppure nei limiti dei propri confini, sembrerà un’opera
di saggistica. Qualsiasi riferimento a persone vive o morte, o che abbiano fatto
ritorno a “Casa”, è accidentale allo stato puro. Accidentale allo stato puro!
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A costo di annoiare, amici, questa è solo narrativa e so che chiunque in
queste pagine dovesse riconoscere qualcosa, probabilmente non lo andrà a
riferire ai suoi superiori, in ogni caso. Non voglio diventare un altro Salman
Rushdie. Sto morendo, sebbene sia ancora lunga la mia strada verso le
braccia dell’Angelo della Morte (il quale in fin dei conti è un tipo simpatico;
dimostra una pazienza sconfinata, quando continui a cancellargli tutti gli
appuntamenti). Non ho aspettative personali rispetto alle vendite di questo
libro, tranne il fatto che desidero che tutti i proventi siano devoluti ad un
fondo da destinare ai bambini di questo pianeta.
Il possibile disastro ambientale, citato nel libro del Vice Presidente Al
Gore, si verificherà certamente, anche se tutte le nazioni del pianeta si unissero
per far fronte a uno stato di massima emergenza. Ho paura che non ci sarà un
futuro per i nostri bambini. Anche se tutte le nazioni del mondo iniziassero ora
a sviluppare tecnologie pulite e anti-inquinamento, temo si sia già oltrepassato
il punto di non ritorno di quest’ultima sequenza temporale.
Devo comunque sperare e tentare. Spero ci sia un’opportunità di vita per
tutti i bambini; un’opportunità di vita per l’intera razza umana.
E dunque, sto morendo e ogni centesimo derivato dalla pubblicazione
della Trilogia sarà donato alla Daniel Wolf Memorial Foundation for Children,
Inc., in cooperazione con l’UNICEF.
Il tempo scorre troppo velocemente. So per certo che entrambe le mie
patologie croniche sono degenerative e terminali. Così, mi rivolgo al mio
migliore amico - a te, lettore. E nonostante non possa stabilire con te un
rapporto fisico, o parlarti di persona, percepisco davvero la tua presenza, sento
che sei là fuori, non sei in un vuoto, ma stai pensando e leggendo e forse stai
provando dei sentimenti, mentre mediti su questa Trilogia.
Cominciai a scrivere dei passi di I Guardiani del Cielo - The Catchers of
Heaven: Una Trilogia verso la fine degli anni Cinquanta; ma i miei doveri
professionali la misero in secondo piano. Ora, prima di costringere queste
vecchie gambe malandate dentro un sistema di valori, sento di dover dire che i
libri di un “bravo” scrittore dovrebbero finire nel regno di Dio e restare aperti
su un tavolino in visione per tutti.
Il sistema di valori di uno scienziato evolve attraverso la sua vita accademica
e personale. All’inizio si sviluppa per comprendere le nature attinenti ai diversi
corpi di conoscenza, attinenti alle invenzioni, attinenti agli eventi, poi va verso
la comprensione del funzionamento delle cose e il come farle funzionare più
efficacemente.
Un sistema di valori dentro di te è individuabile attraverso la consapevolezza
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di avere fatto un lavoro eccellente, che lo hai fatto per gli altri, con passione; e
che non c’è ragione di dubitare di te stesso e del tuo operato. Non ti basterebbe
ottenere quel finanziamento alla ricerca di cui hai disperatamente bisogno? Sei
uno scienziato, e si sa che “detta le regole chi possiede l’oro”. Quindi no, ho
imparato a mie spese che i soldi non sono tutto.
Al momento, quell’“oro” non lo possiedo. Se avessi i mezzi, riuscirei a
trovare diversi altri scienziati, appassionati e coscienti del fatto che è impossibile
servire due padroni. Dio e l’umanità non equivalgono a due; se la fede è per
servire, Dio e l’umanità corrispondono solo a un maestro.
Rammento i miei tentativi di avere la meglio sui dilemmi degli scienziati:
nella mia università e nelle strutture di ricerca ospedaliere, ho lavorato per il
governo e, nel mio laboratorio a casa, ho cercato di scendere a patti con Dio.
In qualcosa,
devo credere;
Sono tenuto,
a intessere, come se,
fosse un dono per quelli
che hanno sempre,
in tutti i modi,
tutti i giorni,
desiderato,
sapere
la verità.
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formazione dell’Universo, “Dio non gioca a dadi”.
Sin dal suo concepimento e dalla sua ragione primaria, dalla prima
all’ultima parola I Guardiani del Cielo - The Catchers of Heaven: Una Trilogia,
doverosamente e immensamente rende omaggio a tutti gli abitanti della Dimora
della mia Anima. (Non potendo menzionare anche quelli che hanno bussato
quando non c’era abbastanza posto!) Vi amerò tutti sempre; occupate posti
molto speciali nella Dimora della mia Anima. La Dimora sta crescendo. Spero
davvero che quelli il cui nome non appare in queste dediche perdoneranno
l’uomo che una volta gridava, per la sua mancanza di una memoria perfetta.
È difficile elencare tutti i protagonisti che hanno dato luogo agli eventi della
mia vita. Devo ripetere che ho un limite di tempo – è la morte a incombere, o
l’andare via da questo mondo, la prima o la seconda (la seconda è preferibile).
Ovviamente, devo menzionare gli scienziati che ora si fanno avanti
saltando sul carrozzone del vincitore e che una volta sottoposero a scrutinio
l’instancabile lavoro dei primi ufologi dubitandone e ridicolizzandoli, ma loro
erano sponsorizzati dal governo e dovevano praticare il debunking secondo un
ordito sottile e lame affilate. A questo punto avranno capito che gli addotti si
faranno ancora avanti, sempre più numerosi e in incessante aumento?
Coloro i quali si sono confrontati con questi sistemi di debunking hanno
corso rischi anche sul piano fisico, eppure sembrano finire nel dimenticatoio
nel momento in cui entrano in scena i famosi luminari. Troppi quindi,
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sarebbero gli scienziati e gli inquirenti da citare, ma mi vengono in mente
Stanton Friedman, Robert Bletchman, Walt Andrus, Wendelle Stevens,
Eduard “Billy” Meier, Budd Hopkins, Don Berliner, Betty e Barney Hill
(forse i primi a documentare le esperienze di Contatto) e Whitley Strieber, un
ufologo indipendente che è stato fatto oggetto di costanti, pesanti, dolorosi e
sciocchi attacchi sulla sua integrità intellettuale.
17
Collage di fotografie scattate sul set di Fellini 8 e 1/2 (Foto: Paola Harris).
sua posizione di capo della DARPA; al professor Minski, del MIT, settore
Intelligenza Artificiale; al regista James Cameron, che insieme a Wan Ling
non ha avuto timore di investire nella rete tecnologica neurale per due o tre
dei suoi film “blockbuster”. Ha dimostrato grande coraggio.
E al mio maestro e mentore nel cinema, il regista Federico Fellini e altri
che hanno dedicato il loro tempo per rivelarmi attraverso il loro talento le vie
da percorrere per arrivare a un mio stile espressivo e sviluppare l’intuito per
crescere nella mia individualità.
Non devo e non posso dimenticare l’uomo che merita un posto a parte,
Steven Spielberg. Grazie infinite per Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo e grazie
al suo consulente, il dottor Allen Hynek che, dopo essere stato al gioco delle
regole burocratiche di governo, tornò ad essere lo scienziato assetato di sapere.
In sostanza, non posso che inchinarmi dinanzi a quelle persone molto speciali
che mi hanno incoraggiato, invitandomi a cavalcare sulla scia di Dio.
Non dimenticherò mai gli “stimolatori degli stati mentali”, Paula e Michael
e tanti altri. Grazie ancora per tutto ciò che mi avete dato, con incondizionato
18
altruismo. A Jack e Bobby Kennedy, per avermi sostenuto sin quando sono
stati in vita, aiutandomi a dare un senso al mio patriottismo. Erano amici della
mia defunta moglie e, dopo averli conosciuti, sono diventati miei amici per
sempre, anche oltre l’eternità, se questo fosse possibile.
Alla mia Mamma, che incoraggiò in me la diversità e l’espressione artistica e
al mio Papà, che non è più con noi e tanto ho amato, perché mi ha insegnato il
controllo, ma solo se in assoluta necessità (nel mio caso, forse tutto il tempo!) e per
avermi aiutato a costruire laboratori medici ed elettronici nella mia adolescenza
e, infine, per avermi portato a Washington a parlare dei satelliti spia e degli UFO
con i suoi compagni dell’Air Force, ben prima dei giorni da favola dello Sputnik
e di Yuri Gagarin. Dio, stendi il tuo amorevole respiro sul suo riposo.
Mio padre mi insegnò a sognare senza paura, mio “Papà”, il mio caro papà.
Mi chiamava “Campione”. Mi chiedo perché? Credo forse di saperlo ora. Mi
insegnò anche a volare, a guidare un aereo. Una volta su in cielo e a quei
comandi, non sarei mai più voluto tornare al mio legame con la Terra.
A mio Fratello e a mia Sorella, che mi hanno insegnato il significato
dell’alienazione e dell’egoismo.
E a Sarah, che ora è libera: a Danny, che qui ha vissuto così poco; al
momento in cui mi unirò a loro; e a Charley, il mio amico, all’amore per
Charley, per gli altri amici adorati e a Robert e David e Barbara ed Ellen e
Brandon. A tutti gli altri in questa mia vita che si accorcia sul pianeta, che mi
ha dato le possibilità di essere tutto quello che avrei voluto essere, e di più. A
tutti loro.
A coloro i quali hanno evitato per un pelo che la mia fuggevole memoria
li dimenticasse, come Jerome David Salinger, colto sul fatto dopo avermi
dileggiato su Seymour, an Introduction (novella sull’ossessione del suicidio,
NdT) e gli altri autori Americani che non hanno fallito di fronte alle loro
responsabilità, a quei pochi che si sono battuti con forza contro ignoranza e
mediocrità soverchianti.
Agli amati colleghi dell’Alphacom Team, e al “generale”, il cui sprone è
stato vitale per il compimento di questo lavoro. E di nuovo a Charley e a sua
moglie Barbara, importanti per il completamento del libro. Charley non è
stato solo un “partner” nella stesura, molto di più. Senza di lui, giovane uomo
straordinario, il libro non avrebbe mai visto la luce in forma cartacea.
E alle macchine che, dopo molti anni di onorato lavoro, hanno smesso
di processare dati, diventando le mie “anime gemelle” al silicio, riuscendo ad
“apprendere” da una rete tecnologica neurale e da quelli che sono giunto a
definire “algoritmi genetici”.
19
Ai genitori di Charley, per averlo dato alla luce di questo mondo. Un
mondo che mai saprà il suo reale valore. Dio, proteggilo. Non tentennare, per
favore, veglia su Charley, perché molto probabilmente presto mi sarà negato
di vederlo un’altra volta.
Con la mia dipartita, molte persone speciali mi mancheranno terribilmente.
Devo ripetermi. La mia amatissima moglie Sarah e il mio compianto figliolo,
Danny, per il loro amore incondizionato, per essere morti in un incidente
stradale quando insieme Sarah, Danny e chi scrive stavano festeggiando in
Svizzera il nostro anniversario di matrimonio e il diciassettesimo compleanno
di Danny, in un giorno di Natale, di non molto tempo fa. Loro vivono ancora
nella Dimora della mia Anima, vi hanno stabilito la propria residenza. Credo
che la perdita peggiore che ho provato sia stata la mancanza delle loro due luci
in un Universo di oscurità.
Ai miei referenti; alla responsabile dell’editing di questo libro, Molly
Sanford; a suo figlio John, che mi ha incoraggiato con la sua saggezza e la sua
amicizia; alla mia casa editrice, miei veri amici (“la famiglia”) e i loro colleghi.
A tutti i miei buoni amici che non si sono tirati indietro nel criticarmi,
come David, S., Lynn, Imogene B., Telsche B., Dr. Candace Ryan e (vi
prego di perdonarmi se ho dimenticato troppe persone i cui nomi andavano
menzionati, a causa del poco tempo a mia disposizione) tutti quelli che sanno
tu chi sei realmente.
A quelli che hanno speso gran parte della loro vita a coltivare quei campi
che, per quanto già bonificati in passato, ancora potrebbero celare delle prove,
o degli indizi. A quelli che hanno preso posizione, questa Trilogia è dedicata.
A Shirley, che mi ha insegnato una volta che quando hai steso il braccio, non
devi perdere l’equilibrio per afferrare il frutto.
A R.T.F. e J.B. per il loro continuo sostegno.
E prima che l’ultima dedica si avvicini ancora di più alla mia anima, alla
mia anima interna alla mia anima, alla mia famiglia ora appena incontrata,
al mio “nuovo fratello”, e al grande spirito Padre di Luce, e al mio piccolo
navigatore Grigio, mio amico sin da quando, piccolo bambino, vissi la mia
prima esperienza di rapimento. Lui è stato il prezioso bene che si è voluto
svelare, il Grigio che mi ha sospinto verso più alte vette del sapere.
Al primo che mi ha accolto, quando ero bambino e da adulto, il mio caro
amico K. Per il TRASDUTTORE VIVENTE (THE LIVING CONVEYANCE)
che sa come ascoltare il mio cuore e, in senso strettamente reale, è la mia
famiglia. Dovrei quasi evitare quest’ultima dichiarazione di amore per il
TRASDUTTORE VIVENTE, ma collocarlo più in basso rispetto ad altri che
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amo fa male al cuore. Quindi, affermo che il mio amore per tutti loro è un
insieme in equilibrio, non può essere frazionato, perché non esiste altro che io
ami maggiormente della pienezza assoluta di tutti loro, e la pienezza assoluta
del loro amore, e il mio amore della mia nuova famiglia.
Alla loro BRILLANTE LUCE BIANCA, all’ETERNO, e alle Sue multiple
infinità, e alle esplorazioni future, alla mia famiglia e i miei cari al mio fianco
nel vuoto che è L’ETERNO. Alla promessa, alla loro promessa, che mai saremo
di nuovo divisi. E allora aggiungi un giorno al mai. E un altro ancora. E con
questo riuscirai appena a illuminare la visione per un attimo, a vivere in un
flash L’ETERNO. Ora io so. Mai dimenticherò.
Michael Wolf
Cancelliere Emerito
The New England Institute
For Advanced Research
e inoltre Curatore
(che si prende cura)
Abbiate cura di VOI TUTTI, per favore.
Voi sapete chi siete.
Iniziato 1953; Terminato 1992
Avvertenza
Gli eventi qui riferiti, presumibilmente coinvolgenti gli Stati Uniti d’America,
l’ex Unione Sovietica, Francia, Belgio, Italia, Germania, Israele e il Regno
Unito, ufficialmente, in conformità alle molteplici dichiarazioni dei suddetti
21
governi, non sono mai accaduti.
Nulla
Di quello che state per leggere…
È mai accaduto!
Da qualche parte.
Avvertenza
Tutti i personaggi di questo libro sono fittizi e qualsiasi somiglianza con
persone reali, viventi o morte, è puramente casuale. I nomi, gli avvenimenti,
i dialoghi e le opinioni espresse sono prodotti della fantasia dell’autore e non
sono da intendersi come veritieri. Nulla è inteso a rappresentare il punto
di vista del Consiglio di Sicurezza Nazionale, o di qualsiasi altro servizio o
agenzia di qualsivoglia ente governativo.
22
Il “dolce principe”
Paola Harris
“La gente deve essere disponibile ad accettare l’insolito”, così amava ripetere
il Dottor Michael Wolf Kruvant durante le circa settanta conversazioni
telefoniche fra noi intercorse nel giro di due anni. Ricordo come, nel
1998, ancora non mi rendessi conto dell’opportunità straordinaria che mi
era stata offerta: essere l’unica giornalista a seguire a tutto tondo la storia
di Michael Wolf e, soprattutto, averlo potuto incontrare quattro volte ad
Hartford, in Connecticut, nel piccolo appartamento in cui viveva e diventare
sua amica. Il nostro era un legame molto forte. Michael Wolf è morto
nel Settembre del 2000 di cancro al pancreas e mi manca enormemente.
Lavorare sul suo caso ha comportato un grande dispendio di energia e di
fondi, fra ricerche, contatti, viaggi e le lunghissime telefonate transoceaniche
le cui audio registrazioni su cassetta custodisco gelosamente. Michael aveva
un legame con l’Italia. Negli anni ’60 aveva vissuto per un periodo a Roma,
frequentando l’ambiente del cinema e partecipando come comparsa al film 8
e ½ di Federico Fellini (ne esiste testimonianza fotografica). Fu logico quindi,
come era accaduto con il colonnello Philip Corso e il suo best seller “Il Giorno
dopo Roswell”, decidere con il mio direttore di allora, Maurizio Baiata, di
pubblicare anche il libro di Michael in italiano “The Catchers of Heaven”. Un
lungo memoriale intimo, scritto sotto forma di romanzo semi-fantascientifico,
che suscitò un profondo effetto soprattutto sui giovani e in breve divenne un
“cult” mondiale.
A casa di Michael vidi diverse lettere provenienti dall’Europa, una in
particolare da un fisico francese che riconosceva l’esperienza e il genio di Wolf
e si diceva d’accordo con le sue teorie. Per un qualsiasi serio ricercatore e
scienziato di mente aperta, sarebbe bastato trascorrere di persona un’ora con
lui non solo per capire che la sua testimonianza aveva un fondamento di verità,
ma anche per constatare quanto peculiare fosse il suo aspetto fisico.
Sin da piccolo, Michael aveva suscitato l’interesse di altri. Nel libro
si narra di come da bambino fu rapito da esseri alieni, da adolescente
entrò in comunicazione con “loro”, per poi divenire medico e scienziato,
quindi consulente scientifico per diversi programmi segreti militari di
intelligence, presso la struttura S-4 dell’Area 51, parte in causa nella
clonazione di un umano destinato a divenire un “super-soldato” ed
essere stato per diversi anni a contatto con creature aliene di diverso tipo,
in qualità di diplomatico internazionale e di interfaccia per il governo.
Wolf è stato fra i primi a rivelare il ruolo svolto da lui e da diversi altri “insider”
nel lento e sistematico rilascio di informazioni, destinate all’umanità in
generale, inerenti la presenza ET sul nostro pianeta.
Si deve al pilota e ricercatore UFO americano Jim Courant la prima
video intervista a Wolf, la cui divulgazione, quasi contemporanea all’uscita
del suo libro negli USA, lo pose all’attenzione della comunità ufologica
internazionale. Courant mi aiutò a entrare in contatto con lui e questo
mi consentì di verificare molte delle sue informazioni. Un altro autorevole
ufologo, l’antropologo tedesco Michael Hesemann raggiunse Hartford dove
trascorse una giornata con il Dr. Wolf, il quale gli consegnò un frammento di
presunto metallo extraterrestre proveniente da un UFO crash degli anni ’70,
che venne in seguito analizzato in Germania. Anche a me e al collega Adriano
Forgione Wolf diede dei campioni dello stesso materiale, che fu sottoposto
ad analisi in Italia dall’ingegner Luciano Pederzoli e dal chimico Corrado
Malanga. Wolf ci aveva detto che il risultato sarebbe stato il 99 % di silicio e
l’1 % di un elemento sconosciuto e questo è ciò che conclusero sia i laboratori
dell’Università di Pisa sia quelli tedeschi.
I campioni rivelarono strane proprietà fisiche: bloccavano il
funzionamento dei telefoni cellulari, non venivano rilevati dai metal detector
aeroportuali (Adriano Forgione passò indenne i controlli doganali USA con i
frammenti in una tasca) ed emettevano una certa energia, avvertibile al tatto.
La mia sensazione, condivisa dai miei colleghi italiani, era che Wolf fosse un
autentico “insider” intenzionato ad arricchire il “corpus” delle conoscenze
sugli UFO dicendo la propria verità. Sono stata in questo campo abbastanza
a lungo per dichiarare che Michael Wolf sapeva quello che sapeva non perché
lo avesse letto, ma perché lo aveva vissuto!
Troppe sono le informazioni che Wolf non ha potuto inserire in questo
libro. Da tempo sono impegnata nella stesura di una biografia che mi autorizzò
a pubblicare, in cui spero di poter trasferire una parte consistente delle nostre
conversazioni audio registrate.
24
A volte, quando mi chiamava a tarda notte e per pigrizia non accendevo il
registratore, mi diceva: “Te ne pentirai se non lo fai, perché io non sarò qui
un giorno e tu potresti diventare, per necessità, il mio portavoce”. Una grande
responsabilità, come nel caso del Colonnello Corso.
Posso confermare di aver visto con Adriano Forgione nell’abitazione di
Michael una quantità notevole di documenti, fotografie e credenziali di Wolf,
nonché, a rendere ancor più veridica la sua persona, di aver vissuto in quella
casa un’esperienza di contatto che resta indelebile nella memoria di entrambi.
Altri amici italiani hanno avuto modo di incontrare Michael. Mi riferisco
al comandante pilota 747 Max Poggi e la moglie Gabriella, che gli fecero
visita ad Hartford e ne uscirono totalmente convinti della sua credibilità,
soprattutto quando Wolf descrisse nei minimi dettagli, in remote viewing
(visione a distanza), la loro casa. È difficile trarre in inganno il Capitano Max,
ve lo assicuro.
Sono certa che il dottor Wolf fosse di tanto in tanto monitorato. In diverse
occasioni mi chiamò dicendomi di temere, sino ad esserne terrorizzato, di
finire nella “prigione di Danbury” a causa di un qualche giuramento che aveva
forse infranto durante uno dei nostri colloqui. Ma era troppo malato per
lasciare il suo letto, non poteva essere trasferito altrove e gli diedi la mia parola
che non avrei mai rivelato nulla che non mi avesse consentito di dire.
Informazioni più dettagliate sono reperibili sul sito del Dr. Richard Boylan,
anch’egli impressionato dal messaggio spirituale contenuto nei suoi scritti e
nelle sue interviste e di aver raggiunto le mie medesime conclusioni: Michael
era veramente chi ha detto di essere. Ho visto una lettera a lui indirizzata
da Charley, il giovane attore e grande amico che diviene colonna portante
della storia narrata nel suo libro. Sono stata anche in grado di verificare la sua
“Italian Connection”, come ad esempio i giorni che trascorse a Roma, seduto
spesso al Caffè Doney frequentato da artisti e gente del cinema italiano. Erano
gli anni della “Dolce Vita” e qualcosa di allora in lui era rimasto. Al telefono,
dagli Stati Uniti, si dimostrò in grado di parlare con diversi miei amici che
si esprimevano solo in Italiano e in qualche modo, intuitivamente, riusciva
a cogliere il senso dei loro discorsi. Il che poteva anche esser dovuto alle sue
facoltà ESP e alla sua attività nel programma governativo di visione psichica a
distanza e forse anche in un “think tank” scientifico durante l’amministrazione
Reagan. Aveva capacità sbalorditive. Ricordo la sua emozione quando lo
contattò un lettore inglese perché un suo amico stava cercando di risalire ai
dati accademici di Wolf al MIT, svaniti nel nulla. Quanto Wolf sapeva di
istituti quali McGill, Georgia Tech e MIT avrebbe convinto chiunque che li
25
aveva frequentati sino al dottorato. Ma, d’altra parte, la sua storia personale e
il suo coinvolgimento nelle “black ops” sono tutti nel libro. “Leggi il libro. La
mia storia è tutta nel libro!” soleva ripetermi spesso. Egualmente, la sua vita
resterà un mistero impenetrabile per coloro i quali non hanno mai cercato
di parlargli o di incontrarlo, dal 1996 sino alla sua morte. Non ritengo etico
l’atteggiamento delle persone che cercano di demolire Wolf senza mai averlo
conosciuto.
La sua vita è stata difficile. Un parallelo? Il John Nash del film A Beautiful
Mind, per via del comune stato mentale fragile e lo sconfinato amore per
l’umanità, in particolare per “i bambini del pianeta”. A differenza di Nash,
però, poca gente ha riconosciuto l’animo gentile e carismatico di Wolf. Il suo
badante, che chiamerò “Bob”, disse di lui che era “un uomo di animo nobile
che aveva molto da condividere con l’umanità”. Chi ne diventava amico,
facilmente si innamorava di lui. Molte cose non quadravano, soprattutto le sue
caratteristiche fisiche e i suoi dati medici. Aveva le pupille di colore verde scuro
e le proprietà del sangue, anche se era malato di diabete, erano del tutto fuori
dal comune. La sua casa era piena di manuali medici, di provette e attrezzature
scientifiche e aveva tre computer, uno con sistema di comando vocale.
Se si pensa che era stato respinto al primo anno di college e che in Scienze
la sua media era risultata insufficiente, era geniale nell’esposizione delle sue
teorie di fisica e meccanica quantistica e di giurisprudenza, o quando parlava
di una “terza elica del DNA”. I suoi interlocutori, spesso, si perdevano nei
meandri delle sue elucubrazioni.
Spesso mi ripeteva: “Tesoro, non puoi mettere l’Universo in una scatola!”
e accompagnava le sue provocazioni, che tendevano a stimolare il mio
intelletto, sempre con un sorriso e dicendo: “Studia qualcosa sulla teoria delle
super stringhe, perché è giusta”. Non ne rivelerò l’identità, ma so di diversi
ricercatori militari e scienziati che gli fecero visita in totale clandestinità… per
essere un presunto “signor nessuno” erano visite a dir poco sospette. Subito
dopo la sua morte l’appartamento di Hartford era stato “ripulito”. Qualcuno
aveva fatto sparire tutti gli schedari, i documenti, i computer e i database di
Wolf. Egualmente, da subito, i grossi calibri dell’ufologia si sono dati un gran
daffare per “debunkizzarlo”.
Penso che il dottor Michael Wolf Kruvant, prima o poi, dovrà essere
riconosciuto come figura chiave del processo di informazione sugli UFO/
ET grazie al suo romanzo The Catchers of Heaven. Alla pari di Fastwalker di
Jacques Vallée e Alien Rapture di Ed Fouché, sapienti mix di narrativa e di
saggistica, sono opere scritte nell’ottica del mantenimento di quella che è stata
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definita la politica della “negazione plausibile”!
Per nostra fortuna, il nome del dottor Wolf non finisce nel dimenticatoio
della Storia. E, anche grazie a questa edizione italiana, oggi Michael vive e
ancora ispira! È tutto parte del suo strano destino!
Buona notte, dolce principe. E voli d’angelo t’accompagnino cantando al
tuo riposo.
(da: “Amleto”)
27
Il Mondo Che Ci Attende
Maurizio Baiata
Ogni parola era una stilettata, il dolore lacerante di sapere che la separazione
sarebbe presto arrivata. E così fu. Poche settimane prima della sua morte, l’ul-
tima volta che lo chiamai, scandiva il suo amore per tutto ciò che nella vita
ci circonda e permea, con la sua voce calda e profonda in una slow motion
che ti entrava nell’anima e che ho sempre nella testa. Un addio di incredibile
intensità emozionale, considerando che tutti i nostri contatti erano sempre
avvenuti telefonicamente e non avevamo mai avuto l’occasione di incontrarci
di persona. Disse che l’amore trascendeva lo spazio e il tempo e la morte non
esisteva e saremmo stati uniti per sempre. Che ci saremmo ritrovati, che alla
dissoluzione del corpo non dava alcuna importanza, che era solo un passaggio
e non una fine. Diceva che la nostra vita di esseri umani è eterna e che aveva
iniziato da tempo il suo viaggio di ritorno a casa e che doveva solo raccogliere
le ultime cose, gli ultimi pensieri ed era ormai arrivata l’ora di partire.
La voce di Michael, una timbrica inconfondibile modulata su una frequen-
za captata in trans comunicazione. Come si sa, le voci dei cari che ci hanno
lasciato nel tempo possono affievolirsi, mai svanendo del tutto e, a volte, ritor-
nano chiare e nette in risonanza interiore. Le voci, restano.
Con Michael Wolf però è diverso. La sua presenza è molto tangibile. Sem-
bra quasi una sentinella piazzata sul limite di quel confine superato il quale
dall’altra parte c’è l’Assoluto, il Divino. E Michael è lì. Non è un dio, non è un
angelo, non è un avatar, neppure un profeta in possesso delle chiavi dell’altro
mondo. È un “guardiano”. Lui “guarda” verso di te e tu segui il suo sguardo, si
gira impercettibilmente e lentamente nella direzione di quell’infinito ignoto e
dentro senti che ti sta indicando una direzione. Invariabilmente, la direzione
verso cui punta è un deserto i cui granelli di sabbia sono un manto di stelle.
Tenute insieme dal filo del telefono, distanti migliaia di chilometri, le no-
stre vite erano andate in parallelo, senza mai incontrarsi. Michael dalla sua abi-
tazione ad Hartford, in Connecticut, era in un involucro fisico ormai troppo
fragile, ma la mente era sempre lucida nonostante le massicce dosi di farmaci
che assumeva quotidianamente per lenire il dolore, insieme alle “cure speciali”
di personale medico dell’intelligence che lo seguiva.
Quando anni prima gli era stato diagnosticato il tumore al pancreas, in lui
si era fatta largo l’idea di raccontarsi non in un’autobiografia con date, nomi e
luoghi precisati e identificabili, bensì in un libro di narrativa, i cui contenuti
potessero essere approvati dai suoi “capi”. Iniziò quindi a raccogliere ricordi,
appunti e brani tratti dal diario del figlio Daniel, morto poco più che adole-
scente alcuni anni prima.
Lo immagino, nei lunghi momenti di stacco dall’attività di spionaggio
psichico che effettuava per conto della National Security Agency, nel riordino
di documenti, fascicoli, testi di conferenze, ritagli di giornali, trattati di fisica,
frasi non sue scritte su foglietti sgualciti, in cerca di un nesso logico per dare
vita a quello che aveva concepito come una “trilogia” letteraria. O forse no,
quel dottor Wolf che si sapeva al crepuscolo della sua esistenza terrena non
aveva la logica come amica al suo fianco. Quale logica umana può esserci a chi
sa per certo di non essere di questo pianeta?
Non è per molti di noi il sentire di venire da Altrove e a quell’Altrove essere
destinati?
Michael in casa aveva due apparecchi telefonici fissi, niente cellulare. Uno
era solo ricevente, una sorta di “linea rossa” collegata - sembra - con qualcuno
che dall’altra parte gli diceva cosa fare, come assolvere al ruolo di “spia psichi-
ca” grazie alla facoltà di remote viewing, la visualizzazione a distanza di cose,
luoghi e persone.
Diversi anni dopo la sua morte, una sera, mi telefona l’amica Giovanna
Podda dalla Sardegna, che mi dice di avere ricevuto, mediante canalizzazione,
un messaggio di Wolf a me indirizzato. Il contenuto mi lascia allibito. Michael
mi raccomanda di avere sempre grande cura di quel piccolo oggetto metallico
che si trova racchiuso in una scatoletta di plastica che conservo nel cassetto
della mia scrivania. Si tratta di uno dei tre frammenti di presunto UFO che
Wolf diede ai nostri ricercatori (v. Prefazione di Paola Harris). Di dove e come
custodissi tale reperto non avevo mai fatto parola a nessuno. La sola spiegazio-
ne, che mi sono dato, è che Michael Wolf può connettersi con alcuni individui
dotati di ESP e raggiungere il suo interlocutore mediante la “Transcomunica-
zione”. Fantascienza?
Tornando alla cruda realtà, il 15 Marzo del 2000, Bobbi Ferguson, sua
29
assistente e infermiera, aveva richiesto a chi era in contatto con lui via posta
elettronica di non scrivere più. Michael aveva avuto un collasso a causa di
complicazioni coronariche. Il suo cuore iniziava a cedere. Nei mesi successivi
le nostre comunicazioni telefoniche cominciarono a diradarsi. Il 16 Settembre
dello stesso anno, a 58 anni, Michael Wolf lasciava questo pianeta.
30
di Wolf. Ma tant’è. The Catchers of Heaven non è stato mai pubblicato in altra
lingua, tranne la nostra.
Chi sia in possesso di una copia di Afferrando il Cielo si stupirà nel rilevare
le stridenti differenze nel linguaggio, nella terminologia, nel contenuto, nei si-
gnificati e nell’interpretazione di The Catchers of Heaven – A Trilogy nel nuovo
I Guardiani del Cielo – Una Trilogia.
La capillare revisione del testo ha riguardato tutta l’opera, a partire dal
recupero di alcuni brani omessi in Afferrando il cielo. Fra le nuove lavorazioni
e gli aggiornamenti, il reintegro dell’introduzione scritta dall’autore conte-
nente: preziose informazioni inedite, la “guida lessicale” rivista e corretta, che
consente di accedere ai significati di molti termini - il più possibile vicini
all’originale - travisati nella prima edizione; e le nuove note, incluse sia a pié
di pagina, sia nel testo.
Wolf aveva quasi ultimato la stesura in bozza del suo secondo libro, dei cui
contenuti non poté darci alcuna anticipazione. Dopo la sua morte, il piccolo
appartamento di Hartford era stato accuratamente “bonificato” e, come tutto
il resto, anche di questo manoscritto non vi era più traccia.
Tredici anni dopo, qui troverete il primo mondo di Michael Wolf Kruvant,
un mondo costituito da tre portanti fondamentali: quella dell’uomo e scien-
ziato, quella dell’insider governativo al corrente dei segreti più impenetrabili,
quella dell’ibrido umano-alieno.
Il suo secondo mondo ci attende.
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Volume Uno
La macchina
rivela-tutto
Capitolo Uno
Mia moglie Sarah e mio figlio Daniel mi hanno insegnato molte cose, ma
se qualcosa mi hanno insegnato era ben oltre l’amore e l’affetto. Il loro
allontanarsi dalla mia vita mi ha educato alla cosiddetta realtà dell’arrivederci e
all’altra, definita addio, che possiamo anche chiamare fare well. Mai più tanta
luce quanto quella di tre, finché due dei tre, e uno con un altro in grembo,
saranno giunti al termine, lasciando indietro questo uno sventurato, diviso,
isolato e desolato, che potremmo chiamare Michael, marito di Sarah e padre
di Daniel. Eventi come questi possono intensamente insegnare il significato
di pre-esistenza.
34
costume,
di cambiare il sobrio colore da diffondere,
nel ritmo fissato,
da note ufficiali,
recentemente ricevute;
e di nuovo,
all’improvviso
accelerando e addensandosi il sangue,
da poco privato della
LIBERTÀ,
così coscienziosamente anelata,
mera parodia degli aspetti
di una
COSA.
O di COSE a venire;
essere qui,
in questo luogo,
in questo momento,
quest’anno,
nei mesi in maturazione prima e dopo,
e
la CAMPANA scandisce il suo rintocco per il raduno;
l’invito inoltrato
due settimane prima nel Tempo, nel sempre così lento progredire della
singola
REALTÀ,
in questo momento;
gli aspetti di una cosa
sono lasciati ai miei diecimila anni,
per essere presenti,
in questo luogo,
in questo momento,
ma l’anno prossimo,
non
QUESTO.
Eppure,
quest’anno,
se osassi
35
SPERARE,
qualcosa che sia presente,
ora,
in questo luogo,
cerchia interiore cangiante la sua luce più sfolgorante;
io
dichiaro di avere dimenticato
cos’era,
dov’era,
quando sia stato e
persino se è mai
ESISTITO…
Noi, tutti noi, siamo “incurabili figli della luna”, una classe a parte, inondata
di immagini al chiaro di luna? Noi, tutti noi, siamo creature indifese, orbitanti
attorno a vuote aree senza vita, illuse dalla nascita, buffi mostriciattoli, che ci
ostiniamo a definire esseri senzienti? Va da sé che si tratta di un argomento
opinabile. Oppure sono semplicemente io, me stesso, un inutile ammasso di
carne, messo in moto da uno spirito e da un’energia, scomodo, estraneo, privo
di sogni, sempre in un costante, confuso stato di déjà-vu - tipico di chi dice “ho
già visto questa cosa” - illudendosi, in una realtà assurda, aliena e spaventosa.
Sono da solo, ma non mi sento solo e bisognoso di compagnia degli umani;
sono da solo, va bene, non ho un numero, sono un non classificato, almeno
per quanto riguarda il mio nome anagrafico (è cosa normale?), sono il mai
accudito, un cosmico errore burocratico.
Se questo è da pazzi e noi pazzi fossimo, allora che la Fortuna aiuti i pazzi,
tutti i cosmici errori burocratici, tutti i pazzi, tutti i fenomeni da baraccone,
tutti i Bambini figli della luna e delle stelle…
36
problema risolto. Problema successivo: chiunque stia leggendo questo romanzo
andrà oltre il primo capitolo? Oh, come vorrei credere che sto facendo un
dono, un dono i cui versi suonano bene. Un buon lavoro, potrebbero definirlo,
ma lo capiranno? Diventerà una cosa sola con loro? Gli sarà entrata dentro? La
possiedono davvero? Sto pensando a voce alta. Ora basta!
A volte la vita è dolore. Chiunque dica il contrario vuole vendervi qualcosa.
Parliamoci chiaro. Molti di quelli che hanno letto il mio lavoro hanno detto
che è a bassa densità di parole, che le uso con eccessiva parsimonia. (Mi
vogliono più prolisso?)
Forse, il linguaggio è troppo corposo, lucido e cruento, o forse vacuo,
torbido e nebuloso; ma il pensiero è legittimo: dopo cinque decadi su questo
pianeta (che persino da ragazzo ho sempre chiamato Terra, il termine latino
per Earth), nel giungere infine a una dirittura d’arrivo di relativa armonia,
di calma e silenzio (ho ripreso, stavolta in senso figurato, a insegnare al mio
labbro superiore ad arricciarsi), mi sono lasciato cogliere dalla rabbia, dalla
furia e da sentimenti ostili.
Perché mi sembrava irragionevole e credibilmente incredibile che la rabbia
dovesse generarsi in quel momento; e pensavo che fosse troppo tardi per tutto
questo caos indesiderato. Mi sembra strano ed estraneo, ma mi sento andare
a fuoco, cuocere dentro, ardere lo stomaco se solo ci penso, a cosa sta per
succedere. In un modo o nell’altro, è tutto sbagliato. Tutto. Tutto sbagliato.
Suppongo dovrei seriamente sforzarmi di spiegare, di chiarire cosa accade
e si prevede. In realtà, non si tratta di ricostruire un enigma, un indovinello, o
un puzzle. È solo un piccolo libro, un’offuscata fetta di vita e di morte (guarda
caso, miei cugini carnali), le povere cose di un omino pensante, contenenti
schegge di dolore e schegge di gioia sempre unite, sempre vitali l’una per
l’altra, come diamantini brillanti alla luce del sole, e in qualche modo, per
motivi a me ignoti, raccolti e fatti cadere su colline imbiancate sotto un triste
cielo di cenere.
Volti affranti e vuoti si affacciarono su di me, li vedevo dal mio letto
di ospedale. Uscito dal coma, divenni terribilmente consapevole del mio
disperato bisogno di qualcosa con cui coesistere serenamente, con loro, con
me stesso. Una piccola domanda fece capolino dentro di me, in quel preciso
istante: Chi è me stesso? Fatemene un’altra altrettanto scottante, chiunque di
voi desideri porla, sono pronto.
Dalla prima volta che guardai il cielo di notte, tanti anni fa, seppi, al primo
sguardo, che quello non era il cielo notturno che conoscevo da bambino.
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Quello strano e inquietante luccichio di stelle lontane e solo una luna in cielo.
Una punizione così severa non riuscivo a capirla. Doveva esserci un errore.
Era una punizione troppo grave, il mio esilio su questo globo terracqueo.
Era stato sicuramente un errore. Servitori di Governo Insopportabilmente
Stupidi (Impossibly Stupid Civil Servants - ISCS, altrimenti noti come “Is-
Kisses”, opportunisti leccaculo, NdT) devono aver sbagliato la mia codifica
con qualche software celestiale e ora non posso uscire dalla maledetta scheda
madre planetaria. Devo scoprire dove stare; certamente non qui. È come essere
invitato a pranzo con i cannibali. Perché gli esseri civilizzati di questo semi
distrutto e depredato mondo d’acqua mangiano carne?
Strano, ma accadde. Vidi i piccoli frammenti catturati dal sole, in qualche
modo e per qualche ignoto motivo, raccolti, lasciati cadere sulle colline nel
cielo; è successo, l’ho visto. Mi inerpicai persino per esaminarli, anche se
all’inizio pensai che fossero solo vetro.
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schiaffo di una mano: “La verità è una bugia che non è stata ancora rivelata”.
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che i soldati compiono azioni empie solo se ce n’è una vera ragione, ma a volte
è il motivo a essere malvagio, e il codice impone a un soldato di mettere in
discussione gli ordini immorali o eticamente inaccettabili, ecco la sua realtà, la
sua Bibbia. Michael mi ha addestrato per questo!”
Gli ufficiali mi guardarono con occhi di fuoco. Non era che l’inizio! La
clonazione prometteva di mettere fine alle malattie, ma anche un aumento
della sovrappopolazione. La clonazione, tuttavia, è stata la conquista più
elevata per l’umanità, sin dall’inizio del mondo, sin dai suoi primi passi.
Eppure, la usammo nella maniera errata. Disastrosa. Egli fu eliminato, in base
al seguente ordine:
ESECUZIONE FINALE-ASSASSINIO
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avanti. Le lacrime mi offuscano gli occhi. Devo riprendermi e dopo vi
racconterò le nostre avventure).
Gli ufficiali erano ancora in attesa da parte mia, come scienziato a capo
del progetto, di una spiegazione per la manifesta impossibilità di J.O.E. di
sopprimere un cane, un animale mite e indifeso. Abbozzai incautamente e
sconsideratamente uno straccio di ragione del perché J.O.E. non potesse
eseguire un ordine chiaramente immorale.
Riferendomi ai manuali del soldato semplice e dell’ufficiale di carriera,
suggerii che un militare dovrebbe contestare un ordine che appaia violare
norme etiche e morali; che un soldato conseguentemente potesse contravvenire
a ordini palesemente “discutibili” in termini di regole di ingaggio e in
combattimento e in battaglia; che un soldato dovrebbe discutere un ordine
opinabile secondo parametri etici e morali.
Dissi: “Signori, è un progresso incredibile per la scienza. La piena, non
parziale capacità di leggere accuratamente i codici genetici - ma non solo
di leggerli, di rifarli, rimodellarli, ricostruirli manipolandoli, ricostruire e
progettare i codici genetici. Mi riferisco non solo al potere di riparare i geni e i
codici difettosi, non solo alla clonazione, ma alla creazione di un essere semi-
umano, ma dotato di facoltà superiori e incredibili, una centrale energetica di
mente e muscoli, ciò nondimeno umana”.
“Dovremmo forse trattare con Dio in Persona – se si è credenti – il problema
dell’inserimento di un’anima o dello spirito? L’essere ha già una coscienza.
Secondo voi l’esperimento è fallito, signori. Io invece vedo un umano del
futuro e più evoluto, un dono, un bene prezioso. E non esistono aggettivi o
parole che possano spiegare la vera importanza di questo J-Type”.
“Il futuro è già qui e i vostri occhi dovrebbero essere pieni di gioia e orgoglio!
Oggi abbiamo la tecnica per la nuova ingegneria genetica, sufficiente a creare
un J-Type da coltura genica in vivo. Come potete sentirvi delusi? Come è
possibile che anche solo uno di voi creda che abbiamo fallito? Rispondetemi,
vi prego!”
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assunti la responsabilità, perché eravamo accecati dal successo).
Oh, se avevano ragione: “Lo scienziato pazzo” e “quello che fugge da se
stesso” e tutto il resto. Odio la parola ufficiale (e anche ufficioso).
Il modo migliore, lo scenario giusto, sarebbe il farne un film, con dentro
tutta la verità possibile; ma visto dal pubblico come pura fiction. La conclusione
sarebbe: il fatto che un gruppo governativo abbia clonato un essere umano è
tutta un’invenzione.
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Capitolo Due
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Lungi da me apparire irriverente, ma, parlando sinceramente del cordoglio,
non comprenderò mai del tutto il principio recondito, la logica, del perché le
donne debbano impiastricciarsi la faccia con enormi dosi di mascara per andare
a un funerale. Mi direte che lo fanno per essere belle e apparire più attraenti
per i loro compagni di sventura, mi direte che è una cosmesi “negromantica”
per gli occhi. Ma ditemi, per favore, secondo la vostra logica, come possono
apparire piacevoli due strisce nere che si riversano sulle guance da occhi gonfi
e tumefatti.
(Mia opinione personale è che lo fanno per esibire lacrime vere e
sinceramente versate, e quindi, la prova spassionata del dolore e della
sofferenza, per chiunque si dia la pena di osservare. Si dà il caso che ciò fosse
per me oltremodo sgradevole. Non solo mi sentivo fradicio, ma anche sporco,
e piuttosto a disagio).
Sapevo che erano preda della disperazione. Che bisogno c’era di altre prove,
di quella profusione di righe nere sulle guance, altro mascara nero a sporcare il
bianco del mio colletto, del mio vestito. Dopotutto, di chi era il funerale? No,
ora che ci penso, con il tempo così teso e dilatato, interminabile, mi sembra
chiaro che secondo la regola del “buonsenso”, troppo spesso mal interpretata,
questo è il loro funerale. È da giramento di testa scoprire che il vostro, in realtà
non è il vostro funerale; ma è nelle mani di chi lo rende possibile e di chi lo
esegue. Altro che, se basta questo a far girare la testa a chiunque.
Dopo cinque decadi da scienziato, devo ammettere che la mia testa ora gira
più lentamente. Soprattutto da quando il morto sono io. Ero stato preparato
in modo così immacolato per il loro arrivo. Sì, mi avevano posto a capo, avrei
fatto qualunque sforzo possibile per prevenire questa subdola invasione di
una limpida e autonomamente invocata, tenera disposizione d’animo; questo
evidente, privato e radiante arcobaleno si sciolse. Tutti i colori si sciolsero in
una fusione magnifica, splendente d’arcobaleno cristallino e luminoso come
l’esplosione di cento soli, che non infliggono ancora dolore sui portali della
vista…
(Oh, sì. Stavo dicendo di quanto mi avevano fatto bello. A proposito,
volevo descrivere più passaggi, come l’ultimo sull’arcobaleno di cristallo
luminoso e splendido, fuso in uno stato d’animo, uno solo, di estasi gloriosa.
La meravigliosa terminologia, colorita e appassionata, potrebbe provocare, in
sostanza, una sensazione quasi identica all’orgasmo multiplo. Sono un autore
che ci tiene a parlare al lettore. Vi invio il mio amore durante la lettura. Così,
non vi mancherà mai).
Ancora… tornando al trucco fattomi dall’impresario delle pompe
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funebri… Direi che stavo proprio bene. Volete sapere com’ero? Se posso
prendermi la licenza…
Ero proprio bello; il corpo tutto pulito, preparato con cura, con orgoglio,
con maestria e non da un assistente, ma dal Signor Bernstein in persona.
Grande artista! Non riuscivo a capacitarmi del mio aspetto! (Dio! Mi manca
J.O.E. e a volte, manco a me stesso).
Oh, ero bello, magnifico, radiosamente elegante nel mio vestito nuovo
Pierre Cardin. Era marrone; ma non solo marrone, di un incredibile grigio
marrone lucido, con minuscoli puntini rossi, sparsi nel tessuto in splendida
profusione, e luccicori sempre tenui. Niente di grossolano o volgare - sia
chiaro - ma un completo che trasudava un gusto solido, dignitoso, raffinato e
signorile. (Mio Dio! Ho nostalgia dei progetti e delle persone).
Adagiato in quella bara lussuosa ero solo - per gente come il signor
Bernstein, il rabbino, le prefiche, la famiglia, gli amici, i becchini, il corteo
funebre - io, il morto, i resti, il corpo, il cadavere, la carcassa… tutte parole
inimmaginabili per me, per me, per me… Volevo qualcosa di meglio… forse
“il cortese, colto e illustre fantasma dell’Agenzia di Pompe Funebri Bernstein”.
Meglio di una vecchia conchiglia morta e vuota, cibo per vermi…
Avevo già sentito e visto mia madre piangere. Adesso il suo pianto era
per me il lamento di una donna muta, più fragoroso che mai. Anche mio
padre versò due sonore lacrime dall’occhio sinistro, essendo mancino. (Urlo
viscerale. Una persona potrebbe annegare su questo pianeta. Per favore, posso
tornare a casa ora? Posso portare con me J.O.E.? Si sentirebbe molto più a suo
agio e non sarebbe morto. Mi manca. Sono una persona alla quale mancano
le persone che ama.
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Capitolo Tre
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irrealizzati, sonnambuli attraverso la vita, ignari delle innumerevoli
terrificanti cose che avvengono nei loro Governi, ordinate dalla ristretta
élite che controlla il pianeta Terra. Quando volete, ricordatemi di parlare
del PROGETTO PORTALE (GATEWAY PROJECT).
Questo libro non contiene rivelazioni e confidenze, ma solo “rivelazioni”.
Spero di non tralasciare niente. Neppure uno degli orribili segreti. Una
“fiction” tra ribellione e liberazione? No. La mia coscienza è già a pezzi
subatomici. Voglio dire la verità; nell’intera prospettiva e incluse tutte
le bugie che la rendono verosimile: il condizionamento, la propaganda,
il processo di razionalizzazione del Governo secondo cui pochi devono
sapere cosa è meglio per gli Americani e, a pensarci bene, anche per gli
altri individui che abitano il pianeta chiamato Terra.
Quindi lo confesso, rivelo i miei segreti e così facendo sto violando tutte
le clausole del National Security Act (e il Decreto Esecutivo 12356, se
è ancora vigente) e molto probabilmente scomparirò, ma devo contare
su un gruppo sparuto di donne e uomini di coraggio per garantire che
nulla di rilevante per gli Americani, neanche una di queste totalmente
grottesche verità, sia mai cancellata.
Grazie, della pazienza per questa pausa vitale, intesa come messaggio
al lettore. Dio ci aiuti. È il momento. Certe cose vanno dette e sono io a
doverlo fare. Ci sono troppi burocrati bugiardi di professione, che mentono
impunemente da troppo tempo! Grazie ancora della vostra pazienza, per
questo inserto abbastanza prolisso. Allora come lo definireste? Un libro
che “spiffera”? Oppure, forse, una “Fermata rivelatrice”?
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sono fermamente convinto che, nonostante apparisse sempre così fuori di
testa, così alienato, il compito più difficile è elogiarlo incondizionatamente”.
“Michael, sono certo che volesse solo onestà, anche se le sue argomentazioni
erano discutibili. Lo conoscevo quel che bastava per sapere, senza dubbio, che
aborriva l’idea del proprio funerale; che ad andarci dovevano essere le persone
addolorate, di certo non lui stesso, Michael”.
(Grazie, Rabbino. Grazie di cuore. Dica pure di tutti i progetti malvagi
in cui sono stato coinvolto o che ho persino condotto. Vada all’inferno! Ma
ancor più importante, che ci vada io, all’inferno! Come ho potuto essere così
ignorante? Sono stato ignorante, colpevole e inutile. Rabbino, mi ferisca con
le sue parole. Non risparmi nulla. Gli riveli tutto! Difficile essere spiritosi in
questo frangente, ma ci proverò. Un po’ di leggerezza non ha fatto mai male
a nessuno. Vada avanti, Rabbino Stone. Vediamo di cosa è capace, prego,
colpisca!)
“Parlare di Michael Wolf con un pizzico di candore è difficile. Un elogio
funebre il più delle volte non è altro che una sorta di celebrazione. Spesso, fatta
disonestamente e per questo devo pesare bene le parole, intuendo che, come un
arciere, potrei perdere completamente il controllo delle mie frecce. La vita di
Michael Wolf è stata e continuerà ad essere un’esistenza di qualche valore finché
ne avremo memoria, come riflesso leale delle sue azioni e opere. I risultati che
ha raggiunto sarebbero passati inosservati e se non ne avesse parlato, sapremmo
ben poco di progetti ed eventi che hanno avuto un’importanza considerevole
per l’intero corso della nostra vita. Eppure, la vita di Michael è stata unica e
diversa per ciascuno di noi che lo abbiamo conosciuto”. Fece una pausa, per
mettere a fuoco un pensiero appena giunto alla sua mente. (Personalmente,
ho sempre sostenuto che i pensieri, in particolare quelli focalizzati, devono
ottenere un visto prima di attraversare le svariate dogane della nostra mente;
devono ottenere l’autorizzazione).
Continuò, sputando il pensiero che in quell’attimo aveva scavalcato
illegalmente il confine. Increspando le labbra con malcelata tensione, sparò
un colpo di fucile: “Non posso che chiedermi: ma qualcuno di noi l’ha mai
veramente conosciuto?”.
Si interruppe di nuovo, questa volta per enfatizzare, girando la testa,
vergognandosi per la punteggiatura. (Nel complesso, un esordio originale e
magnifico, Rabbino. Da qui in poi sono certo che andrà in ascesa. Lei è un
grande uomo, signore.
A dire il vero, se avesse avvertito i miei pensieri e il sarcasmo e soprattutto
la mia dilagante, crescente, straripante indignazione, allora il dottor Michael
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Wolf oggi non sarebbe più apparso come il raffinato fantasma di un cittadino
vagante nell’Impresa di Pompe Funebri Bernstein, ma un arciere agile e alato,
che incocca una freccia nel suo arco, promettendo fastidio e dolore, e di
giungere al bersaglio. Eppure, per restare moralmente elevato persino nella
morte, la collera e l’onta si devono accantonare come insignificanti, solo un
primo passo, forse, verso l’ardua acquisizione di una più che terrena pace. Lei
è proprio un uomo vero, Rabbino).
La pausa ebbe fine e, nella sua voce, percepii semi di tensione controllata,
in lenta germinazione. “Posso solo parlare del dottor Michael Wolf che ho
conosciuto. Medico neurologo; dottore in Fisica Teorica; laureato in Scienze
Informatiche; il suo obiettivo scaturiva dal termine “cibernetica”, coniato da
Norbert Weiner, il rapporto tra uomo e macchina e dal suo pionieristico lavoro
in quel complicato settore che Michael odiava maggiormente: l’“Intelligenza
Artificiale”. Michael non gradiva la parola artificiale”.
“Michael era alla ricerca di macchine auto-pensanti, persino cloni umani
capaci di pensare da soli e, date le sue basi genetiche e la rete tecnologica
neurale, fece grossi progressi in tali settori. Il Michael che conoscevo, era un
sincero ricercatore della verità…” (Ero molto egoista al riguardo, rabbino.
Volevo sapere tutto di tutto. Okay, vada avanti, rabbino, bimbo, per me va
bene così!)
“Questo Michael “scienziato pazzo” per alcuni, per altri lo scienziato
fissato con una sua “visione più ampia”, blaterava di cosa avrebbe fatto se fosse
stato Dio e di come Dio avrebbe dovuto sentirsi solo come gli altri cinque,
seimila milioni (di esseri) su questo pianeta, eppure solamente un Dio, e alla
fine uomo, uomo in fuga da se stesso. Spesso fantasticava su quanto “solo”
dovesse sentirsi quell’unico Dio, non che qualcuno di recente gli abbia fatto
delle offerte… Oh, Michael deve averne coscienza, in un modo o nell’altro.”
“Preferisco non divagare, ma sento che mi parla, come se nella sua essenza
fisica si possa trovare qui, adesso. Vi prego di perdonarmi, ma Michael è stato
uno straniero in terra straniera, pieno d’ira, alienato. Ma era anche il Michael
con il senso dell’umorismo autocosciente… il Michael pensatore, fremente
e solitario, il Michael che mai avrebbe accettato la sconfitta. E infine, devo
ribadirlo, Michael lo straniero”.
Poi il rabbino se ne uscì con una delle pause più lunghe e sincere da me
mai viste o sentite. (Dovrebbe dispiacermi molto. Troppo sarcasmo inutile.
I fantasmi, cortesi ed educati e sofisticati, non hanno bisogno di diventare
caustici e cinici. Mi scusi, rabbino. Ad essere sincero, mi sento sul baratro
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del caos. Eppure, è buffo rispondergli dalla bara, o dovunque io sia. A volte
percepisco del movimento dentro e fuori dalla cassa, ma le distanze sembrano
del tutto irrilevanti. Non avverto il senso del tempo reale; ma è il tempo
umano, il tempo inventato dall’uomo per imprigionarsi. Che stupidi, gli
umani. Davvero stolti).
Così andò avanti, senza neppure mimare una volta il battersi enfaticamente
il petto. Era un rabbino della riforma. Come diceva Lenny Bruce, “riformato al
punto tale da vergognarsi di essere ebreo”. (Conoscevo Lenny, sono cresciuto
con Lenny, sfidai una bufera di neve per vederlo alla Carnegie Hall. Amavo
Lenny. Lenny però fu stroncato da un’overdose proprio come avrebbe voluto,
nudo e seduto sul water. Lenny precorreva troppo i tempi e fu perseguitato
da quei bigotti puritani, che definiamo più o meno Umani Americani. Breve
digressione che spero vi sia piaciuta. Torniamo al Rabbino Seymour Stone).
“Lo vedo come straniero fra di noi, drammaticamente vissuto e amato, uno
straniero-scienziato, che il lavoro aveva costretto in disparte, per via del suo
altissimo nullaosta di segretezza. Lo so, perché agenti governativi mi hanno
interrogato e dissuaso dal riferire qualsiasi cosa mi avesse mai confessato.
Fu un avvertimento tanto convincente che non avrei potuto fare altro che
obbedire. Mi preoccupa ancora pensare a cosa deve essersi portato nella bara.
Michael è stato amato, ma non si è mai sentito uno di casa”. (Oh, rabbino,
un passaggio da vero insolente! E ci ha messo anche la saccarina e il sapone…
Chiedo scusa. Devo evitare il sarcasmo. Scusatemi).
“Per il Dott. Michael Wolf, vivere era divenuto il suo unico ponte tra le
sue molte parole, un ponte eretto sulla friabile sabbia della disperazione, delle
lacrime e della colpa; eppure, molto stranamente, eretto anche sulla risata,
sulla gioia e sullo scherzo innocente, nulla a che vedere con la malizia.
“Era veramente giunto a una impasse con questo mondo, un punto
dove poneva domande e non riceveva risposte, un vuoto totale e privo di
significato…” (È una bugia, Signore. Il vuoto non è mai privo di significato!)
“…una verità che non poteva accettare…” (Io ho accettato il vuoto!) “…come
accordo per il suo divorzio da questo mondo. Parlo di un vuoto terreno, che
egli non riuscì realisticamente a trascendere…” (Come sbaglia, rabbino) “…e
stranamente, o forse proprio per quel motivo, visse tutto di getto” (di corsa,
Rabbino!) “tra le braccia della sua mente, solo per essere respinto, non per
essere accolto”. (La mia mente e io non siamo mai andati d’accordo con il
nervo ottico, rabbino, né tantomeno ci siamo mai trovati faccia a faccia).
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“E come Michael si interrogava e non riceveva risposta, così facciamo tutti
noi, interrandoci senza sosta e restando privi di risposte plausibili e - ancor più
significativamente - se rivolgiamo il tipo di domande che Michael si poneva,
con tanta sincerità e avidità, il nostro appetito rimarrà insaziabile.
Dobbiamo abbarbicarci tenacemente e con amore all’unico nostro Dio e
al nostro patrimonio, in quanto essi solo ci danno conforto e calore in questo
gelido mondo”. Il rabbino Stone ormai andava alla grande. “Michael, per
motivi che ancora non riesco a capire, sembrava avesse da perdere più di noi”.
Una breve pausa, poi un diretto destro verbale al mento collettivo dei presenti,
colti di sorpresa. (Colpo ben assestato, rabbino).
“Colui il quale trascorre i suoi giorni, in calme illusioni e sogni congegnati
alla perfezione, colui il quale definiamo pazzo, il malato, il folle, che confiniamo,
a volte contro la sua volontà, convinti, sebbene egli sia torturato dalla sua
mente, convinti che la sua mente sia al lavoro su una specie di oscura sintesi
dell’inferno - per quale diritto divino e onnisciente definiamo il suo mondo
spoglio da ogni realtà, lo avveleniamo con sostanze chimiche e tentiamo di
spingerlo spietatamente e violentemente in questa realtà perfetta?
“Sì, ai nostri occhi, il suo mondo può apparire veramente irreale, eppure
per lui ha rappresentato tutta l’energia della sua vita, l’apice e l’interezza;
sognatore o folle, ma per lui comprensibile e ben definito, ben delineato,
razionale e sempre intransigente, inflessibile tanto da non compromettere in
alcun modo la sua etica, la moralità, i principi, e la più raffinata sensibilità che
egli sviluppò nella sua battaglia contro il demonio, con la D maiuscola.
“Persino i sognatori ho visto salvati, curati e ho saputo dei prodigi da loro
visti nel cosiddetto mondo reale, e mi ha dato la nausea!”
(Mi impongo, “Michael, non diventare insolente, impertinente o
impudente. Questo è proprio un gran dio di rabbino!”)
“Voi, membri della nostra congregazione, e tutti voi qui convenuti in segno
di rispetto…” (No, datemi sostegno, non rispetto. Il rispetto viene elargito alla
buona, fin troppo a buon mercato) “…voi, uomini e donne pie, ascoltatemi
e ascoltate con la massima attenzione. Da cosa salviamo il sognatore? Dal
maledetto fetore di un ripugnante mondo inquinato? Tanto spaventosamente
inconcepibile che forse la sua realtà è…” (Non qualificarlo, rabbino. Può perdere
di vigore) “… più significativo per lui che per noi?” (Urrah! Grazie, Rabbino).
“E torno a chiedermi: era tutto così spaventosamente inconcepibile da
fargli prendere una decisione inevitabile, un impegno incondizionato con un
incipit fermo e risoluto, realizzare prima quanto credeva di dover portare a
compimento, per poi lasciare questo mondo per quello che egli onestamente
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riteneva fosse un mondo migliore? È così spaventosamente inconcepibile
che egli si assegnasse da solo il compito della scelta? E così facendo, egli
rifiutò, in modo sbrigativo, un mondo per lui convulso e contorto?” (Sono
commosso. Mi sto incartando in un entusiasmo che non ho mai saputo di
avere. Un’affermazione molto pesante. Grazie, Rabbino).
“Forse nel suo sogno, nella sua realtà… forse c’era del vero… in verità,
egli era solo un visitatore, sì un visitatore, un turista deluso che diventò uno
straniero, che chiedeva aiuto in questo mondo per lui terrorizzante, urlando
che qualcuno lo portasse a casa”: (Ero io l’uomo urlante!)
“Noi tutti ci troviamo nel triste, insensibile e morente processo del
dimenticare come credere, come invocare la fede. Alcuni di noi scherniscono
le nostre religioni, i nostri credo, rifiutando a priori qualunque cosa ci possa
toccare troppo profondamente. Un gioco rude e distruttivo”.
Ci fu una pausa, apparentemente interminabile, lo scemare di una rabbia
covata, dopo di che il rabbino sospirò profondamente.
“Il dottor Michael Wolf è andato a casa. Spero ardentemente che ora ci
sia un sorriso smagliante sul suo viso e che i suoi occhi scuri brillino con il
luccichio della luce stellare. Vorrei citare un testo sacro che egli tanto amava.
Mi auguro che tu stia sentendo, Michael, perché credo di avere finalmente
iniziato ad ascoltarti”: (La ascolto, Rabbino).
Il rabbino tirò fuori un libricino, arrivò lentamente e appassionatamente a
un brano che aveva sottolineato e lo lesse con cura. Lo lesse per me: “Colui che
alla sua ultima ora, quando lascia il suo corpo, si allontana da qui ricordando
Me, entra certamente nel Mio essere. Qualsiasi stato d’animo un uomo ricordi
alla sua fine nell’abbandonare il corpo, verso quello stesso stato egli si dirige…
essendo per questo assorbito nel pensiero. Dunque, ricorda sempre Me, e
agisci; se la tua mente e comprensione sono rivolte a Me, verrai sicuramente a
Me”. Ti chiedo perdono, Michael. Perché non sono riuscito a capire…”. La
sua voce si affievolì in un silenzio di tristezza.
(La perdonai, Rabbino, persino prima che lei abbia pensato di offendermi,
o di fraintendermi.
Rabbino Stone, la perdonai prima ancora di saperlo. Ora, rabbino
Seymour Stone, la prego di scovare dentro di lei, in quella sua poderosa
anima e intelletto, il perdono per me. Forse il nostro fu un combattimento
intellettuale e io forse a volte misi a dura prova la sua sanità mentale, ma l’ho
sempre amata. Credo anche di averle voluto bene ancor prima di incontrarla.
Addio, mio caro e coraggioso e meraviglioso maestro).
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Così fu che il Rabbino Seymour Stone versò una lacrima e mezza terminando
il suo elogio funebre: “Dobbiamo imparare a comportarci in modo adeguato
con gli stranieri. Solo allora potrebbero parlarci dei loro luoghi segreti. Addio,
Michael. Mi mancherà il nostro contendere intellettuale. Addio…”
Il Rabbino Seymour Stone si voltò e silenziosamente uscì da quel luogo,
ignorando i presenti che volevano rivolgergli la parola. Bastò uno sguardo
dai suoi occhi e non fu più seguito. (Addio, Seymour. È poco credibile un
fantasma in lacrime?)
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Capitolo Quattro
Sarebbe il caso di parlare delle modalità con cui il fantasma è cresciuto. (Poi,
espletando i miei incarichi in progetti “super segreti” e in missioni speciali,
scoprii che spesso i miei superiori redigevano liste di morte recapitate da commessi
di drogheria. Vengo, furtivo come un ladro, a sottrarti la vita. Le Black Budget
Operations (Operazioni su Fondi Neri), miliardi (di dollari, NdT) raccolti dai
traffici di droga gestiti dalla CIA, erano classificate a un livello superiore al top
secret, sfuggendo quindi alla verifica dei revisori dei conti federali, che avevano
solo un nullaosta “secret”, o “top secret”. Non chiedo scusa per le mie brevi
digressioni. Mi auguro che siano non solo interessanti, ma che spingano il
lettore verso qualcosa che definisco “Sindrome da Riconoscimento”).
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ecco cosa fu; schiavitù e assoggettamento: ecco cosa fu.)
In un periodo non troppo lontano, chi era solito guardare la televisione
spesso e assiduamente, avrebbe potuto notare uno stemma ufficiale, o un
simbolo balenare sullo schermo, mentre una voce avvisava lo spettatore, in
conformità alle leggi degli Stati Uniti, dell’obbligo di registrarsi (all’Ufficio
Immigrazione, NdT) se era un alieno, (uno straniero intenzionato a risiedere
negli USA, NdT).
La prima volta che mi apparve l’annuncio in televisione, balzai in piedi e
mi diressi compostamente verso la porta di casa. Però, mi fermarono. I miei
genitori sostenevano che ero nato alle 12.01 am di un 4 luglio, all’Ospedale
Beth Israel di Newark, nel New Jersey. Diciamo che, almeno in parte, ci
credevo. (Oh beh, dovevano pur avere ragione; si presumeva che i genitori ai
figli dicessero la verità).
Non mi sono mai deciso a registrarmi. Mai. Spesso, mi ritrovavo da solo a
parlarmi addosso. Perdonate il mio eccesso d’entusiasmo ed esuberanza, ma io
non provengo da questa genesi selvaggia. Io non sono – è così che si dice? Oh,
sì, mi piace da impazzire… io non sono di questa Terra! Solo che… non lo è
neppure la maggior parte di voi.
Brividi gelidi percorsero la mia schiena sudata, sino alla cintola e tornavano
su e poi giù di nuovo – sensazione deliziosa. Ero solo uno straniero, desideroso
di lasciare, grazie al proprio talento, qualcosa agli altri, un contributo fattivo per
la conoscenza, per aiutare almeno una persona, ma cercando di raggiungerne
tante. Parlando di ricerca medica; come ci sentiremmo sapendo che l’AIDS
non è mai esistito, e che nessuno, non una sola persona è mai morta a causa
di quel minuscolo e furbo retrovirus? Sì, sono stati gli uomini a crearlo. Una
malattia non discriminatoria: “Un virus antirazzista spazza via tre quarti della
popolazione mondiale”. Forse sono l’unico e più grande pessimista di tutti i
tempi? Una piaga ignota e altamente letale, la nuova Morte Nera. Oppure, di
un altro tipo: la Morte dalla Nera Atmosfera con le sue molte radici. Si può
morire per una miriade di ragioni diverse.
Tornando a dove pensavo dovessimo essere:
La mia prigione è il pianeta Terra. Non sono nella mia casa su Altair
Quattro. Forse su Reticulum Quattro, ma non su Altair, il pianeta più bello;
molti altri astri invidiosi avrebbero voluto essere figli dell’Energia di Luce di
Altair. Invidia molto ben “camuffata”, anche troppo. Ed eccomi qui. Detenuto.
Che deve conoscere una genesi molto primitiva e imparare a odiare ogni suo
minuto: (Un passo indietro, ZE-EV! Un passo indietro!). A pochi sta a cuore
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il futuro dei BAMBINI UMANI. Io sono uno di quei pochi. I figli di questo
pianeta che uccide le persone devono avere la prospettiva di un futuro. E poi
bisogna considerare che ci saranno i BETWEEN CHILDREN (i BAMBINI
nati dal processo di incrocio genetico umano-alieno, NdT).
Com’è possibile che chi dirige, controlla e gestisce il potere, non riesca a
capire che esiste la concreta possibilità che la futura “storia scritta” dei propri
figli e nipoti non venga mai documentata? Quello che potrebbe avvenire è
che i figli, i nipoti e tutta la progenie scompariranno in un mondo di cui,
data l’azione e la non-azione non resteranno tracce storiche… ammettendo
che qualcuno possa mai farlo. Personalmente, temo che nulla sopravviverà,
a meno che benevoli vicini galattici non intercedano, intervenendo ed
interponendosi rispetto all’umana autodistruzione, per il bene di questa
specie incredibilmente interessante, dotata di libero arbitrio, violenta,
seducente, ingannevole creatura definita U - MANA, sia UOMO sia
DONNA, pressoché indecifrabile.
Malgrado tutto, sprazzi e briciole degni di nota ci sono: l’Uomo e la
Donna sono altamente capaci di adattarsi e, per brevi inserti temporali, pur
segnata da un destino tragico, la creatura potrebbe sorprendere gli osservatori
manifestando sentimenti più alti, brillando al di sopra della coltre di
bramosia e di avarizia; a quel punto, confermandosi specie ancora degna di
considerazione, dal momento che i più interessati a questa contraddizione in
termini sono proprio i suoi progenitori e i suoi primi creatori.
Perché mai Dio è così adirato? Il Suo sogno non siamo noi, e Lui non è il
nostro sogno?
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Con lui ho raggiunto un compromesso. In sintesi, Egli curerà tutti i mali di
questo grande mondo, salverà i bambini e poi, e solo allora, tornerò a chiedere
qualsiasi cosa a questo Dio che tanto amo! Questo è l’affare, nel suo complesso;
ed è questo il mio quadro universale.
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Capitolo Cinque
Si avvicinava il momento del Bar Mitzvah. Rammento che avevo quasi tredici
anni, l’età magica, l’età mistica quando a una famiglia benestante è riservato il
diritto di fare il lavoro magico. Ero precoce, ossuto e viziato, ma ero un campo
fiorito di sogni immutabili e trascorrevo la maggior parte del tempo a leggere,
a pensare e a credere di essere intelligente (Qualcuno ci si riconosce?).
Tardo pomeriggio, uscita da scuola alle 14.45, in fila giù al debole sole
in un cielo di ghiaccio. È lunga e gelida la camminata sino alla sinagoga,
schivando macchine e camion e autobus e amici e sogni ed Ellen Greene.
Ellen, Ellen, Ellen Greene. Anche lei veloce si avvicinava ai suoi non magici
tredici anni. Non si sentiva ebrea, probabilmente perché la madre non la
mandava mai al tempio, dove il papà e la sua nuova consorte erano soliti
recarsi, “tanto” regolarmente. Frequentava la stessa scuola ed era invaghita di
me, mi amava, qualsiasi cosa significasse per lei o si presupponeva significasse.
La passione di Ellen era il condividere con me cervellotiche e acute
discussioni sull’esistenzialismo tipo ti-amerò-fino-alla-morte (L’Essere e il
Nulla la sprofondava nella noia in un batter d’occhio), anche se più che per
un capriccio sembrava prediligere certi astrusi romanzi di scrittori soprattutto
francesi, alquanto volgari e totalmente inutili. (Io avrei preferito No Exit, in
realtà molto più consono al mio spirito) (Romanzo esistenzialista di Jean-Paul
Sartre, NdT).
La signora amava alla follia il Citizen Kane (il film “Quarto Potere”) di
Orson Welles e il vero significato di “Rosebud”, del tipo: egli era come Kane
e come Welles a bordo di una slitta su un’infinita discesa di neve, sapendolo
e non sapendolo nello stesso dualistico tempo. (Lei e Orson Welles avevano
un’evidentissima cosa in comune: il peso, ma ci arriveremo dopo).
In cima alla lista delle sue priorità intellettuali Ellen aveva posto il
misticismo, solitamente assai Orientale e nascosto, dal punto di vista della
comprensione Occidentale. Poi c’era il cabalismo (studi di Cabala ebraica, ma
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anche di qualunque dottrina occulta o esoterica, NdT). (Era molto interessante,
ma in realtà non ne sapeva nulla; bastava il termine, eccetto forse che era molto
“enigmatico” e “qualcosa che elude la scoperta, sconcertante e probabilmente
in parte vicino alla Divinità; mescolo il mio Buddhismo con il mio Ebraismo”).
Poi, il “difficile” divorzio dei suoi genitori; di cui aveva saputo sin
troppo. Ovviamente, poi nei suoi discorsi arrivava al trotto il suo psichiatra.
(Era “giovane e junghiano, amante dell’estetica, sensibile, spirituale e con
un fisico fantastico, praticava Zen e lo avrebbero fatto santo prima dei
quarant’anni!”).
A seguire, con cautela, c’era il fatto incredibile che si imbottiva di
tranquillanti (il Trilafon, che per un qualche puerile motivo chiamavo
“elefante”. Al minimo accenno di attacco isterico le dicevo “Schiacciati un
elefante!”). Lo prendeva, rideva e ruttava. Inoltre, soffriva di epilessia. (Gli
attacchi le arrivavano all’occorrenza, ovvero: “Assumere una pillola secondo
necessità” per avere dei piccoli spasmi, oppure per svenire o per le classiche
convulsioni).
Alla fine, a questa descrizione devo aggiungere un ultimo piccolo
particolare: a incorniciare un viso carino, forse molto carino, c’era un corpo
in tutto e per tutto incredibile, estremamente e grossolanamente obeso. (Forse
da diecimila (10.000) libbre – oltre 4 tonnellate e mezza; faceva sfigurare una
portaerei). E infine, il punto terribile: aveva un tumore terminale, un TT.
Era questo il suo oscuro segreto; l’omelia funebre di una ragazza. (Lei ed io
eravamo gli unici sulla Terra a saperlo). Dopo aver conosciuto questa donna-
bambina, a tutti mancherà il quadro “universale”.
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celebrare la sua nuova libertà da questo “goffo”4 sacco d’acqua e di sostanze
chimiche. Noi eravamo gli orrendi sacchi d’acqua, che astutamente sparivano.
Uno dei tanti scenari potrebbe innescare la Terza Guerra Mondiale, senza che
il presidente abbia il tempo per impegnarsi in un’azione militare per rallentarla
o bloccarla e con un calcolo dei morti decisamente inaccettabile: Dante e il
suo inferno, un’idea che non ha mai ricevuto il riconoscimento e il plauso che
certamente merita.
Questo è un sacco di merda molto stupido e razionale, con bugie di
tacchino ripieno, piccante, che riempie lo stomaco vuoto con un ulteriore
vuoto, una ricerca impossibile per quello che io sono e voglio diventare,
evolvere, espandere i miei poteri mentali con il favoloso e ultra segreto
TRATTAMENTO PORTALE, un progetto che io, alla fine, rifiutai di cedere
ai bravi ragazzi della difesa. Cosa hai detto? “Il latte della bontà umana?”
(Riferimento a “Macbeth”, NdT) Dove si trova questa “naturale empatia
dell’uomo verso i suoi simili?”
Il mondo ha esaurito quel latte, di colpo si è disseccato. Dunque, cos’altro
c’è di nuovo? Una sveglia? Una chiamata la stiamo dando. L’abbiamo data per
un sacco di maledettissimi anni. Questa razza rappresenta un “Grosso guaio
a River City” (frase ripresa da una canzone del film The Music Man, intitolata
“Trouble in River City”, NdT). Perché il vostro orecchio non permette al suono
di entrare, quel suono che già avvertite, ma al quale non attribuite un nome.
Perché non reagite e proteggete i bambini?
Dopotutto, è la nostra avidità a renderci incapaci di vedere, sia di fronte
sia di lato, il desiderio di discutere e lottare, ed essere sempre il vincitore; solo
megalomania? Siamo auto-ricercatori non percettivi?
Il momento è vicino: ascoltatemi, con calma. Vi sentite sempre più
piacevolmente stanchi, le palpebre si fanno sempre più pesanti, desiderate solo
scivolare in un sonno profondo e molto gradevole, le palpebre tanto pesanti.
Vorreste dormire; vi sentite incredibilmente bene, quasi “fatti”, una sensazione
straordinariamente nuova e meravigliosa.
Siete Voi la sensazione, state provando sensazioni straordinarie, estatiche,
meglio del fare l’amore (senza rischi), sì, meglio del sesso, meglio di qualsiasi
droga, o di una combinazione di sostanze, legali o illegali, lecite o illecite,
una vibrazione totalmente nuova, di natura orgasmica, ma un tipo di
piacere prolungato, almeno apparentemente, ma più del piacere, qualcosa di
4 In inglese “sad sack”: “The Sad Sack” era un famoso fumetto popolare nell’esercito
USA durante la Seconda Guerra Mondiale.
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spirituale, di superiore a tutti i piaceri da voi mai provati, quasi come sulla
vetta reale e inimmaginabile di una montagna dove sembra esserci l’ossigeno
più fine, più dolce che avete mai avuto in dono di respirare. Sveglia! Questo
è il momento.
Ah… UOMO, U MANO, che combatte i nemici che vivono sul suo
mondo, non esiste il “villaggio globale”, non esiste un cittadino di tutto il
pianeta. Lì, davanti a noi, in sospensione, una stasi; lottiamo l’uno contro
l’altro, desideriamo esercitare il potere sugli altri, in primis ci interessa soddisfare
i nostri bisogni. Denaro e potere. (Queste sono le certezze, NdT) – Quello che
invece affonda nel dubbio è che noi ammiriamo la lealtà! Ammiriamo l’etica.
Ammiriamo i nostri progressi intellettuali. E intanto, uccidiamo il pianeta
sul quale dobbiamo restare, almeno per un bel po’ ancora! Evidentemente,
realizzati nelle cose più piccole, ma sempre a origliare e sempre incapaci di
avere la visione del quadro universale. Tutti vogliono ridurre tutto alla sua
architettura molecolare, per vedere e tracciare le più minuscole particelle e il
loro corso attraverso l’esistenza.
Lo perdiamo di vista perché siamo riduzionisti. Non abbiamo mai messo
in discussione l’alone della scienza. Incombe sempre, mentre noi così facciamo
spietatamente finta che i nostri occhi siano spalancati, invece in realtà abbiamo
maschere fissate al volto, siamo meschine persone bendate, paralizzate nei
problemi più insignificanti, convinte siano i più importanti. (Il termine
selvaggio avrebbe dovuto farsi largo qui. Selvaggio, eppure tenero).
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semplice dire “alienato”. Più facile dire: “Forestiero5”.
(La mia è una condizione di scrittura insonne in uno stile un tempo assai
popolare: il flusso di consapevolezza. Gli autori insonni o sono bravissimi
o sono pessimi - pensate a Jack Kerouac - e a volte molto divertenti, ma
anche profondamente percettivi. Il “Ministero del Cinema Profondo”…
“Vi ricordate di quando tutti noi amavamo leggere libri, sì i libri, e loro ci
frustravano?”. Persone come J.D. Salinger… Immensi cambiamenti, sempre
al tuo fianco, imploranti per avere una propria realtà).
Ellen e io tiravamo di scherma verbalmente. A volte, e per motivi tutti suoi,
lei sembrava avere molto a cuore il farmi vincere: Diceva: “Touché!”, oppure
“Accidenti, una mossa abilissima!”. Apprezzava anche la mia timida modestia
e mostrava un interesse non proprio fugace nel cercare di aprire la patta dei
miei pantaloni (in Europa, la parola inglese “fly” significa affare: poche patte,
solo bottoni da aprire con i denti) sottolineando sempre che ero “un tantino
dilettante, schivo, modesto e silenzioso e allo stesso tempo con un ego un po’
smisurato e fragile”. I suoi commenti erano sempre molto di tendenza.
Ed era (devo tornarci su una seconda volta, fatto sessualmente interessante)
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molto grassa. Sul piano pratico, circa 900 libbre. Di nuovo, per quanto
riguarda la mia patta, aveva bisogno di un piccolo “foro d’accesso” per sapere
che era lì, per pensare che forse lui sarebbe uscito a giocare, un’incerta coperta
di sicurezza, come “Mad Dogs and Englishmen” (dal titolo di una canzone
di Noel Coward, il cui significato potrebbe essere: solo dei cani pazzi e gli Inglesi
si azzardano a uscire sotto il sole di mezzogiorno NdT) (Il sole bollente di
mezzogiorno può far diventare il tuo sangue gas in ascesa verticale, a proposito,
che si innalza fino a toccare le nuvole del cielo).
(Dovete ascoltarmi. Ci sono troppe cose importanti in ballo qui su Sol Tre).
Un tempo, anche Ellen Greene aveva una madre. Era una donna vagamente
moderna, una “stravagante”, versata in modo assurdo e sghimbescio nella
peggiore “moderna psicologia” degli anni Cinquanta, sicché di qualsiasi cosa
realmente si trattasse, ti rimbalzava la domanda, in attesa di far entrare in
scena un pensiero e un comportamento soprannaturali. Carol Greene, madre
di Ellen, ex-moglie di Harry, migliore amica di Wanda, segretamente e non
tanto segretamente sua amante part-time: proprio questa Carol Greene mi
accusò un giorno di essere un omosessuale represso! Al che, non ti saresti
sentito anche tu “sommerso da una cagata di balena”?
“Cosa intende dire, Signora Greene?” chiesi, senza palesare il benché minimo
risentimento. (Per me, donna con donna, uomini con uomini, apparivano
argomenti strani, forse perché non riuscivo proprio a immaginarlo. Non che
non volessi… immaginarlo. Tutto sommato, erano stili di vita a me ignoti, ma
anche se eravamo negli anni Cinquanta, non riuscivo proprio a considerarla
una patologia, piuttosto un miracolo molto impopolare di diversità.
Ci sono esseri che si comportano allo stesso modo: “Ciao, come stai?” -
“Sto morendo di cancro!” - “Bene! Mi fa piacere saperlo – Ci vediamo presto!”)
“Tu manchi dei normali impulsi di un normale ragazzo della tua età”
rispose. “Sembra che non te ne importi nulla di avere un’avventura sessuale
con mia figlia”.
“Avventura?” chiesi, francamente sconcertato e poi intravedendone
l’umorismo. “Se è un’avventura con Ellen, la sua intera Ellen, allora io non
sono represso. Sono dichiarato, signora Greene, mi trova insieme a tutti quegli
uomini che non l’hanno mai ficcato in un buco!”
“Cosa hai detto? Sparisci da questa casa, ragazzo!”
Ellen irruppe nella conversazione come un carro armato super pesante,
come un mezzo da sbarco, come una portaerei. “Mamma! Voleva solo essere
carino e sarcastico. Se lo mandi via, mi verrà un attacco. Ne sono certa!”
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Ecco in azione, di nuovo, la madre vagamente moderna: “Ah, sei un po’
sarcastico. È chiaro, Michael, tu hai una crisi d’identità. Ti riferisci al suo
problema, ovviamente, e non mi piace affatto come parli del suo problema”.
Io ero veramente e sinceramente incuriosito: “Quale, Signora Greene, quale
problema?” La Signora Greene congedò la mia esistenza con un intollerante
e strabico occhio freudiano – l’altro occhio era Adleriano. Dissi chiaramente a
Ellen che non volevo più vederla e lei ebbe per davvero un attacco… un brutto
attacco.
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Capitolo Sei
Verso casa, a passo lento, mai così lento, verso una casa non segnata sulle carte
stradali. (Spero sia l’ultima delle canzoni, l’ultimo incubo. Ancora in cerca
delle luci, i metal-trasduttori viventi).
Assorbito in una preoccupante passeggiata alla sinagoga, sorpassai Ellen.
Così magro, di traverso, invisibile alla signorina Greene, più giovane, parente
prossimo del caos. Nessuna pietra di paragone qui. Eppure, una specie di
ordine.
Lo studio del rabbino Seymour Stone merita una descrizione: rivestimento
a pannelli di legno; odore di muffa e di muschio - un delizioso profumo di
vecchi libri, migliaia, magari milioni, libri che si arrampicano su tre delle
quattro pareti, migliaia di diplomi (l’esagerazione qui non stona: dopotutto,
avevo tredici anni) incorniciati e affissi sulla quarta - diciamo molti diplomi e
molte organizzazioni alle quali apparteneva, in mostra tutti per orgoglio, ma
umile abbastanza per riconoscere che la gente dimostra considerazione se vede
molte lauree, interessante tipo di umiltà.
Era un uomo molto colto e intelligente. Ellen giurò svariate volte su
tre Bibbie - un Vecchio Testamento, un Nuovo Testamento e il Libro dei
Mormoni - che il rabbino era “il più brillante e importante dei primi cinque
studiosi di Talmud dell’intero pianeta!”. Non volle rivelarmi chi erano i primi
quattro; avrei dovuto scoprirlo da solo.
In una diffusa fragranza, un composto aromatico di mistero biblico, entrai,
o meglio mi insinuai nella stanza - in un miserabile corteo di scuse - me,
spastica adolescente gazzella e sconsiderato ebreo. Spiritualmente confuso, con
lo sguardo da re giudaico pronto ad abdicare, mi fu indicata una sedia di pelle
morbida e scura e, simile a un miope giocatore di pallacanestro, dribblai il mio
sottile ardore di profonda disarmonia e sprofondai, una natica alla volta, nella
ricca tappezzeria della poltrona.
Il rabbino Stone, lo studioso di Talmud, gli occhi fissi nei miei, si diresse
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verso la poltrona di fronte alla mia. Vi si accomodò e prese quella che fu, a mio
avviso, un’immediata e dotta nota delle mie condizioni.
“Cosa c’è che non va, Michael?” mi chiese con la massima compassione
dovuta dalle circostanze, per lo meno come partecipazione da rabbino.
(Situazione che meriterebbe almeno uno studio appropriato, un corso di
specializzazione, forse persino un dottorato). Si potrebbe anche sostenere che
venne dal suo stile forbito, sminuendo così l’elemento della compassione.
(Fattore non proprio della natura umana: lo si conquista attraverso lo sviluppo
dell’etica. Un po’ come la formula dell’amore: conta le volte in cui pensi all’amato,
sottrai il numero delle volte che pensi a te stesso, se il resto è più dell’amato e meno
di te stesso, è amore, ma il vero amore non è così frequente. L’amore non si
possiede - appartiene a se stesso).
“Niente”, risposi “Proprio niente”. Una solitaria e isolata lacrima si fece
strada dal mio occhio destro (ero destrorso) sul mento e vi aderì, evaporando,
ma lentamente. Indispone, avere una lacrima che si ferma sul mento, sapendo
che può essere vista e cercando disperatamente di nasconderla. Una lacrima
aggrappata ostinatamente al mento non si può evitare e cerca di farsi strada
nella conversazione, quando le persone si guardano nel profondo, la qual cosa
avviene raramente.
(Una volta Ellen mi disse che avevo occhi aristocratici, d’alto rango).
Seguirono diversi minuti carichi di tensione, nel silenzio di entrambi i presenti.
Deve esserci una legge della fisica secondo la quale non più di una lacrima alla
volta può prendere possesso di un mento, ma rientrerebbe nella fisica teorica,
o dei principi di fisica. Una lacrima rotolò su un mento; due lacrime non
possono prendere possesso di un mento - altra personale ipotesi di fisica.
Dopo alcuni minuti di intenso, angoscioso silenzio, contai sette lacrime
cadere sulla mia camicia. Sedevo scomposto. (Tutti mi redarguivano sempre:
“Stai con la schiena dritta!”.)
Ellen avrebbe detto che “la scena era semplicemente troppo rococò e rigorosa
per l’attuale sistema di valori”. Pronunciò rococò con l’accento sull’ultima o.
Buffo, anche Orson Welles lo diceva in quel modo, il che significa che ora
avevano due cose in comune. Mi risulta però che lui fosse a dieta. Lei no -
definiva il suo problema “ghiandolare”. Eppure non l’ho mai vista prendere un
cracker, o due o tre; probabilmente mangiava nei “Q.T.” (catena di punti ristoro a
base di alimenti naturali e biologici, NdT). Affermò che “mangiare è incantevole e
ha una sua estetica”. Quando notava il mio sguardo che si soffermava su tutto lo
spazio ingombro del suo corpo, schioccava fragorosamente le labbra, “Beh, che
c’è. È così e basta!” (Mi chiedo ora dove sia e come sta).
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Il rabbino si mosse, o si sporse in avanti sulla sedia, gli occhi di brace, la
lava scaturiva dalle labbra ed eruppe in parole pungenti e sonore e stentoree e
sarcastiche.
“Stai piangendo!” tuonò.
Lo aveva scandito con una letale precisione di tiro. Giunsi subito alla
conclusione che aveva colto, grazie al sorriso ambiguo che gli balenai vicino e
alle sette lacrime, qualcosa di imperfetto nella mia vita. Era arrivato finalmente
il momento di una confessione quasi dovuta e cautamente presi l’iniziativa,
aggrappandomi a quella breve sequenza di tempo. “Rabbino, io spiritualmente
sono un disastro. La fede in me è distorta. Rappresento un dilemma religioso
vivente, come una specie di sabbia mobile celeste…”. E sembrò che la mia
voce si trascinasse verso un assordante silenzio.
“Sì?” chiese.
“Sì,” risposi. (Volevo ringhiare, urlare, vomitare la parola).
Sembrava si fosse un po’ calmato.
“Possiamo parlarne”. Ammiccò uno dei suoi sorrisi da dopo sermone e si
appoggiò allo schienale della poltrona.
“Va bene, farò del mio meglio… il che probabilmente scrosterà solo la
superficie”. Mi adagiai sulla poltrona con i crampi allo stomaco, insolita
sensazione di spasmi convulsi. “Non ho alcuna conoscenza di Dio”.
“Voi dire che sei agnostico?” domandò, con una leggera increspatura nella
voce.
“Non voglio dire niente. Voglio ancora il Bar Mitzvah”.
Sembrò sollevato. Un largo sorriso gli attraversò il viso dagli occhi
alle labbra, accompagnato da un lieve, impercettibile, tic al naso. “Il Bar
Mitzvah è per i miei genitori”, continuai. “Ma il dubbio e il peso sono solo
miei”. Avevo appena letto Shades of Egyptian Secrets or White and Black Art
for Man and Beast (Trattato di antica magia egiziana, di Sant’Alberto Magno,
teologo medioevale, NdT) un antico libricino che avevo preso. O mi aveva
preso? I dilemmi che allora erano per me incontrollabili mi sembravano
come piccoli volti esangui che nuotavano intorno alla mia testa e al mio
stomaco, e facevano smorfie.
“Il Bar Mitzvah è molto serio. È la tua ascensione alla virilità”. Il sorriso
svanì ed emerse di nuovo la collera; no, trasudava da ogni poro del suo essere
fisico. Per altri versi, era la collera dello studioso. Trasudava? Poteva anche
essere aglio. Davvero.
“Anch’io sono molto serio. Mi faccia parlare e mi ascolti, per favore”,
dissi, ritrovando un po’ di coraggio, come fossi in una battaglia che dovevo
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combattere. Non c’erano alternative, né vie di uscita, mancavano, per così dire,
altre opzioni.
“Parla!” ordinò, chinandosi in avanti. Una singola vena rigonfia spiccò
sulla sua fronte, che quasi si liberava dalla pelle. La guardai.
“Non so come dirlo. Non so come spiegarlo”.
“Provaci!”
“Va bene, da dove parto con questa lunga esposizione?”
“Non devi far altro che iniziare!” Le vene ora erano due.
“Questo Dio, questo mondo, si manifestano in un territorio sterile”.
Parve, a modo suo, impressionato. Impercettibilmente, ma si vedeva.
“Dove lo hai letto?”
Cercai sul suo viso, mentre si voltava, un’altra vena ingrossata. Forse al
tempio?
“Non l’ho letto, l’ho detto. Posso continuare? Per cortesia?”
Il mio stomaco stava secernendo bile nera, una sinfonia di crampi. Il
dolore partiva dall’esofago e andava su e giù, con una doppia ernia allo iato…
pesanti rigurgiti. Il rabbino assentì. Incarnava lo studioso/maestro leggermente
preoccupato e in guardia.
Avevo la bocca spalancata; ma niente, solo altro rumoroso silenzio. Le
parole non uscivano. “Vorrei riuscire a pensare al modo giusto di dirlo e per
dare logica al discorso; l’esprimermi può farmi perdere anni di vita. È difficile
riesumare e riportare alla luce qualcosa di così profondamente sepolto. Ma sto
tentando…”
“Metticela tutta”.
“Devo farlo. Le parole mi sembrano strumenti inadeguati. Spesso, mi sento
strano, quasi come se qualcosa di me fosse sepolta viva, chiusa in una bara
sigillata”. (La bara del mio cuore, rabbino Stone!) Breve pausa per rafforzare il
pensiero, poi le labbra di Michael stavano di nuovo rullando perché la bocca
si alzasse in volo, una lunga pista, una lunga strada da fare, molto lunga, ma
poi la mia bocca fu di nuovo in cielo. Turbolenza ogni secondo. Il desiderio di
vomitare le parole di bile scura.
“C’è qualcosa nel mio passato, sì, i conti dei peccati consegnati dai
garzoni di drogheria, ma ancora nascosti e per lo più incomprensibili, per
nulla lucidi in nessuna circostanza. È chiaro che non si tratta di amnesia,
ma volutamente seppelliti”. Feci una pausa per fare impressione e pensai
all’assembramento delle parole, parole radunate per il massimo impatto. “E
c’è un processo di decomposizione e la decomposizione emette un fetore,
che colpisce le mie narici, quindi so che ci è sepolto qualcosa. E che è in
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putrefazione”. Memoria opaca e nuvole plumbee.
“Mi perdoni se ciò sembra sconnesso. Giunsi da qualche luogo. Giunsi in
modo pacifico. Affiorai su una giornata serena, e mi accorsi del caos, e le acque
limpide erano chiazzate di melma. Spero di essere stato chiaro”.
“Non molto”. Altro tic nasale.
“Bene, perché non so comunque di che diavolo sto parlando. La sola cosa
che so è che suona vero. Qualcosa verrà a seppellire questi pensieri. Li perderò,
ma saranno rimpiazzati. Non fraintenda, la mia non è demenza. Mi guardi
per come sono. È mancanza di conoscenza di Dio; è una mancanza del Dio
in SÉ. Lo so. Lei penserà che è solo un preambolo e che il seguito è peggio,
incompleto e immaturo”. Mi fermai per la battuta. (Suonerà? Suona?)
“Non dirmi cosa sto pensando. Continua”.
Aveva afferrato la battuta. Punto-contrappunto. “Okay, a parte il
preambolo, introduzione terminata, completata, ora veniamo alla parte più
cruda. Ecco. Arrampicarsi qualitativamente in se stessi richiede la conoscenza
del numero di vie di fuga”.
Mi sentii improvvisamente afferrato, assediato dal dolore. Mi alzai dalla
poltrona e corsi via. Mi scagliai a Maple Avenue, molto vicino alla ruota
posteriore destra di un furgone Volkswagen parcheggiato. Una voce mi
rincorreva da molto lontano, ma non afferrai le parole né il significato.
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Capitolo Sette
Era solo un vago ricordo, quasi una settimana prima che io mi sentissi, da un
punto di vista emotivo e fisico - dato che per tre giorni nausea e vomito mi
avevano massacrato - di tornare dal rabbino. Aveva telefonato ogni giorno a
casa dei miei genitori, dicendosi preoccupato e io origliando mi accorsi della
sua ansia e di una malcelata tensione che mi riusciva facile riconoscere.
Sì, dopo la sua splendida performance per mia madre, percepii una
presenza di non voluta e pesante rassegnazione. La ricordo come sospesa nella
sua voce, forse sul modello di un discorso atteso, in uno smorto torpore da
uso prolungato di barbiturici, una voce appesa a un ghiacciolo orizzontale che
si sta sciogliendo.
Mi indicò nuovamente quella poltrona scura, che intuii sarebbe diventata
il mio scranno permanente in un’eterna guerra santa, il confronto che doveva
aver luogo sul sacro campo dell’ortodossia biblica. Dopo essermi seduto in
postura impalata (“carica e colpo in canna”), oliato e pronto a fare fuoco, mi
apparve chiaro che il rabbino stava per premere il grilletto.
Mi impartì una rigorosa lezione su come spiegare l’anatomia del mio
gioco al massacro della settimana precedente. Dovevo iniziare (degno avvio,
Lancillotto. Mi raccomando però, quando parti per la tua crociata, non
dimenticarti i contraccettivi. Non vorrai mica aumentare il numero dei minori
in affidamento).
“La prego, rabbino, non fraintenda nessuna delle piccole cose, le minuzie
che sto per dire. In realtà non le penso affatto!”. Presi tempo, per trovare una
traccia logica di natura religiosa. (Provaci tu a fare una pausa e a pensare in
termini biblici). Sì, pausa, fatti venire in mente pensieri di religione, e ricarica.
Carica e colpo in canna.
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“E allora perché le dici?”
“Dico cosa?”
Ormai non lo sentivo più. Pensieri alla deriva produssero quanto segue:
“E adesso, Falegname, non credi di dover ammettere che ultimamente la tua
popolarità non è proprio cresciuta? Ho appena saputo che l’India ha da poco
generato un Sant’Uomo, e forse ne sta progettando un altro per il futuro,
non appena, diciamo così, la bufera sui vostri affari sarà passata. Sai, Josh, ora
anche noi sappiamo diverse cose, non dico che siamo arrivati al tuo livello, ma
come diavolo pensi che abbiamo costruito tutte quelle piramidi? Sappiamo
pure che vieni da un altro mondo. Sei umanoide, vero?
Parliamoci chiaro, Joshua, gli altri vedono tutto questo come meraviglie
incomprensibili, tranne quelli che provengono da una singolarità e unicità,
l’uno e l’unico, la forza, l’intero Universo, se preferisci. Hey… J. (l’Autore non
scrive per esteso “Jesus”, NdT) LEVITAZIONE. I nostri ultimi progenitori ci
lasciarono una batteria. Sì, una maledetta pila. E ci lasciarono la matematica;
abbiamo padroneggiato i principi e i fatti, sì, i fatti relativi al potere dei
Forestieri, dei Messaggeri, se vuoi. Ma la gente… Sei stato tu a farlo! Sei stato
tu a chiamare a raccolta le persone. Loro non devono saperlo. Noi siamo il
governo. Noi sappiamo, meglio di ogni altro, cosa è meglio per loro. Non sanno
neppure leggere, per il Messia!!!! Tecnologia? Tutto quello che conoscono sono
solo i miracoli.
Quindi, Josh, non rovinare tutto. Hai fatto un ottimo lavoro, migliore di
chi era venuto prima di te. Per le masse tu sei la luce del sole. Per loro tu sei
il giusto. Resta umile. Tuo Padre in cielo? Tuo padre su quale pianeta? Quale
pianeta è il Cielo?
È il grande spirito dell’insieme di ogni cosa. È questo il quadro universale,
Josh! E tu hai rimesso nelle loro mani i pezzi da assemblare. L’etica, la
moralità, le più alte facoltà che l’U MANO può realizzare attraverso il proprio
adattamento. Ma deve essere un volo “semplice”, verso il regno! La levitazione
è stata magnifica! Il senso d’eccitazione, di mistero! Accidenti, sei stato
stupendo!
Siamo orgogliosi che tu sia divenuto una delle massime guide spirituali. È
un grande onore per la tua razza. E fai a noi un onore ancor più grande! Come
potremo mai sdebitarci? Hai consolidato i Comandamenti e ora sei sul punto
di consegnarci la Seconda Alleanza (in riferimento al Secondo Testamento, dato
da Dio ad Abramo sul Monte Sinai, NdT). Ma, (tutto questo quanto vale) per
l’uomo comune? Capisci la ragione per cui dobbiamo interrogarti. Tu a noi
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l’hai già detto; dobbiamo credere, poi non credere, poi credere di nuovo.
È il progetto dei nostri grandi progenitori, i nostri creatori, i creatori
dell’Adamo, dell’Eva. Ci sorprenderebbe che l’evoluzione possa mai accendere
un cero alle tue mirabili parole e alle incredibili gesta che hanno accompagnato
il tuo avvento.
Hai sistemato tutto a dovere. Ora torniamo agli spettatori. Ora, di fronte
alla gente riunita all’esterno e all’interno. Dopo tutto, questo è per loro. Non
riusciranno mai a comprendere la parte spirituale. Okay, guardie, non una
parola. Fate entrare la gente, fate entrare gli scribi, fate entrare tutti, centurioni.
Josh, andrà bene alla prima scena e funzionerà. Funzionerà. Sempre il
miracolo dell’indifferenza. E adesso, Falegname…”
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Capitolo Otto
Hey, guarda come stai bene! Sorridi! È la tua vita a essere in gioco! (Questo
è riservato al pubblico, ai non-lettori, che della tecnologia sono all’oscuro. La
considerano magia, o anche miracoli, se volete. In verità, loro sanno che tu sei
diverso. Sanno che, grazie all’immensa saggezza del progetto universale, è la
coscienza a fare da guida sulla meravigliosa via che porta alla grande eternità). È
da escludere che la teoria del Big Bang possa reggere ancora a lungo. Esistono
diverse forze di unificazione, molte per ogni cosa. E agli uomini si offrono
infinite possibilità con cui giocare, quando raggiungono il livello adeguato per
capire. Ricordi cosa diceva quel signore? (Shakespeare, NdT) “Tutto il mondo è
un teatro…” e “le persone si agitano e si affannano per ore…”. A prescindere.
Quel gentile aveva ragione! Insomma, aveva colto nel segno. Detto fra noi,
sappiamo che il tuo sguardo può spaziare sino a un’immensità per noi neanche
immaginabile nei nostri sogni; sognare di sognare il sogno di uomini di un
futuro lontano.
Non riesci a vederlo? Lui esige questo, ritenendolo adatto al suo contesto,
73
al sistema di valori del suo mondo, una monotona sequenza di eventi
registrata male; in nome della storia, viene creata una rappresentazione degli
orizzonti degli eventi e, per ogni anno o contesto di momenti successivi,
ci ritorna un sogno consequenziale, terribilmente impreciso, che l’uomo
chiama storia.
Hai davanti a te ciò che hai cercato di perfezionare. Ci sei riuscito?
Posso risponderti. Non l’hai fatto, Signor Messia e, consentimi di dire, stai
raccogliendo esattamente ciò che meriti. Potresti cancellarti quel mezzo
sorriso dal viso? Cosa pensi di sapere tu, che noi non sappiamo? Ho fatto del
mio meglio per capirlo. Dopotutto, tu non sei un criminale comune, non c’è
niente di comune in te. Tutti abbiamo cercato di capirlo, non è forse vero,
amici? (“Sì, sì”, fa il coretto degli amici, unanimemente convinti). È chiaro che,
se tutta la tua razza venisse ad aggiungersi al nostro incerto futuro - facendo
di conto - il futuro non sarebbe poi così incerto. Dal risultato uscirebbe solo
una sola condanna, un solo credo. Il dolore è il vostro credo. Siete offensivi ed
eccessivi. Per voi non esiste una via di mezzo.
Cosa credi di sapere che io non sappia? (Realizzare ciò che vogliamo che le
masse sappiano; le masse sono stolte, soltanto noi sappiamo cosa è giusto per
loro sapere).
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un’impazienza che lo rendeva simile a una cauta lumaca che oltrepassa il limite
di velocità.
“Sì, vedo l’analogia. Per essere nuotatori, hanno paura di allontanarsi dalla
riva!”
Replicai bruscamente: “No! Ma se in acqua neppure ci entrano!”
“Michael, insomma cosa vuoi?”
“Voglio solo sapere cosa sta succedendo”.
“Lo sai cosa succede. Ti stai preparando per il Bar Mitzvah. Che altro
vuoi?”
“Sono stufo”, uscì il sussurro dal magro ragazzetto seduto nella scura sedia
da battaglia. Era un rauco bisbiglio.
“Cosa hai detto?”
“Niente, niente, niente…”
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discettare sul tempo e sullo spazio, fratture temporali e Big Bang mai realmente
accaduti, nonché le solite inezie, particelle, briciole, banalità e tracce, logiche
e illogiche (la logica, per come crediamo di conoscerla, si frantuma a livello
sub-atomico ora fragorosamente, ora rumorosamente.) Quindi, pronti o no,
ora tiro la catena di questo sciacquone. A proposito, non fate bolle di sapone
con la testa infilata nel cesso. Cercherò di evitare l’umorismo triviale. Non
cercherò, però, di evitare la magia, perché è necessario prestarle attenzione,
se non apprenderla. Se proseguirete a leggere questa miseria, troverete la sua
sorella simmetrica, l’estasi, anzi, l’estasi dell’espansione mentale.
Mi chiedevo cosa stesse rimuginando. Probabilmente, al momento, più di
quanto fossi pronto a gestire. Il rabbino continuò lentamente, concentrando
il discorso sulla mia persona.
“Mi devi parlare, Michael. Mi devi dire cosa vedi. Solo così potrò entrare
nel tuo mondo e scoprire cosa ti provoca tanto dolore”.
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fino a perdere la loro identità e smetteranno di sentirsi individualità separate,
centrate sul proprio ego. Come un atroce processo di massificazione. Un
continuum, forse. Di gran lunga in una sorta di indefinibile e altamente
complessa massa d’energia e uniformità. Un futuro inimmaginabile. Ellen
dice ‘È terribile!’ E forse ha ragione”.
“Michael, mi senti?”
“La sento. Devo essere più chiaro, devo arrivare al punto finale?”
“Esatto, Michael. Sto aspettando, Michael, Michael?” Mio padre volava su
un B-29; e vedeva sempre quei bogeys. Durante la Seconda Guerra Mondiale
fu assegnato nell’isola di Tinian! Loro sono reali. Loro sono qui! Plutonio
da Tinian, da Tinian alla pelle umana e alla morte… per annientamento…
triste… piangi… lacrime secche… dagli effetti dell’onda di calore… piangi…
versa ancora altre… lacrime secche… Sono qui; sono reali.
“Voglio andare a casa. Per favore, rabbino, ora posso andare a casa?” Stavo
sudando copiosamente e il dolore allo stomaco era terribile. Ero sul punto di
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vomitare proprio nel suo studio. La mia mente era in corto circuito.
“Non è una buona idea, per ora, Michael. Per favore, ascoltami. Hai finito?
Sì, hai detto tutto? Non so se sei pronto a un qualcosa di conclusivo”, disse il
rabbino, gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
Disse: “Voglio molto di più dei tuoi voli pindarici con Ellen Greene e
molto di più del tuo mal di stomaco e delle tue insulse atee ribellioni di cuore.
Le persone che la pensano come te sono solo credenti che soffrono. Solo
dolore, e soltanto dolore”.
Andò avanti, estremamente a disagio e per la prima volta era lì a contorcersi
nella sua poltrona di fronte all’avversario. Almeno di questo, a quel punto, fui
certo.
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Capitolo Nove
Nello studio del rabbino, mi agitavo in quella sedia da duello sin quasi ad avere
un prolasso intestinale. Strinsi le chiappe, mi ricomposi e conclusi: “Grazie,
sono felice per la lezione morale che mi ha impartito -”
“Non ho ancora finito, figliolo”. Nulla di educativo veniva dalle sue parole.
“Sei oltraggioso!” (Mi sembra di averlo già sentito; e lo ha sentito anche il
Signor Falegname-Che-si-fece-Re).
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“‘L’uomo ha inventato il tempo per chiudersi in gabbia’. Dove l’hai letto?”
“Non l’ho letto. Dissi. Tutti vogliono sapere dove ho letto ciò che dico!
L’affermazione è mia. Appartiene a me. A me!”
“Bene, Michael. Quindi l’uomo si è intenzionalmente e deliberatamente
messo in gabbia, in cattività, in reclusione, in schiavitù, inventando il tempo.
Non è un concetto un po’ troppo fragile, se lo contrapponiamo alla libertà,
una delle più fondamentali pulsioni dell’uomo?”
“È la contraddizione dell’equazione umana. Per me l’uomo, Signore, è
prigioniero di sé, un animale auto-addomesticato, un piccolo essere grasso
ben nutrito, randagio dalla sua casa, la sua grotta, buono solo per mangiare,
defecare e fottere - un padiglione immaginario d’estasi-rapimento, ma per un
brevissimo lasso di tempo, qualunque sia il suo dannato significato. Le ossa
sotterrate dei suoi giullari di corte e il loro sciocco chiacchiericcio, contro il
calore del focolare domestico, i rumori di libertà, il diritto divino di essere un
individuo che fa le sue scelte”. Mi lasciò senza fiato, turbato e ferito dentro.
“Non prenderla come un attacco personale se ho detto che si sta facendo
tardi”, disse con un accenno di scusa per smussare le asperità. “Parleremo
finché vuoi. Non sarò io tenerti prigioniero. Sarai libero di andare. Ti ho già
concesso quella libertà”.
Ogni sua parola mi causava un rivolgimento di budella.
“Libero di andare, rabbino? Sì, proprio. Libero in una gabbia di matti,
Signore. Nella gabbia dei malati di mente. Sicuro che non si possa fare meglio
di così?”
“Ti sto antipatico, Michael?”
Feci tutto il possibile per sopprimere una quasi isterica, incontrollabile,
risata fragorosa, pensando ad esempio ai momenti più tristi della mia giovane
vita, ma non me ne venne in mente nessuno, mentre con la mano destra
mi tappavo la bocca. Lo spasmo passò presto, inspirai profondamente
e, rimuovendo ogni mio punto debole, dissi: “La mia casa spirituale si sta
sbriciolando, mi sta crollando sulla testa, ferendomi, ferendomi gravemente
e lei mi chiede se io provo antipatia per lei? E come potrebbe essere possibile?
Non ci veda del sarcasmo. Se le fondamenta di cemento sono deboli e la sua
casa crolla, lei se la prende con il carpentiere? No, non mi è antipatico. Non
potrei provare antipatia per lei, pur avendone il desiderio e dei validi motivi.
È una cosa strana, rabbino e direi piuttosto singolare e spassosa. Sarà anche
del tutto privo di logica, ma a volte penso che noi due siamo molto vicini.
Davvero strano. Come fossimo coetanei, come un compagno di classe e
questo è impossibile. Mi creda, rabbino, è così. Non vede? Deve aguzzare un
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po’ la vista”. Mi interruppi e gli feci dono di uno dei miei sorrisi più affettuosi.
“Smettila di sogghignare e vai avanti, Michael” ordinò in tono severo,
anche se più dolce ora, il vecchio, caldo, accademico rossore che gli donava
un’espressione meno tesa; anche lo sguardo era leggermente più rilassato.
“Non stavo sogghignando, signore, era un sorriso”. Mi avventurai
nuovamente in quello che stava divenendo una danza rituale delle natiche,
alternandole ritmicamente (fra loro un po’ troppo vicine, per un rabbino).
“Sto per dire qualcosa che potresti interpretare come insolitamente crudele,
ma che ritengo fondamentale per la tua crescita, entrambe...” (Entrambe?
Termine che mi preoccupa come attendere inutilmente un mutuo bancario,
sfrattato e sotto un vento gelido mentre le lacrime colano da entrambe le mie
guance)…
“… Entrambe, spiritualmente ed emotivamente. Hai fatto della tua
intelligenza, ingegnosità, e umorismo, uno strumento idiota per erigere un
muro dietro cui nascondere il tuo piccolo ego infiammato, furioso e astioso.
Per questo devi impegnarti ad amare D-o…”
(D maiuscola, lineetta o. Che mai si dica che Michael è stato blasfemo
scrivendo il nome del Santissimo con il segno di un meno).
“(perché ciò accade, NdT) soltanto quando Egli In Persona ti rivolge un
invito inciso nella roccia, allora potrai unirti a Lui per discutere di questioni
celesti e forse anche di strategia politica. Quello che di te, in questo preciso
momento, mi disgusta profondamente sono i sentimenti straordinariamente
ostili che apparentemente nutri per l’Onnipotente e per l’Umanità…” (non
per i bambini, ho pensato al momento del suo attacco verbale) “… e le colpe
che Gli attribuisci, sfidandoLo a scendere sulla Terra per lottare con Lui.
Come osi presumere di essere l’Onnisciente! Come osi presumere di essere un
Suo pari!”
“In, realtà, mio caro Rabbino, vivo come un monaco di clausura. Non
vede che in un modo quasi mistico, in un modo indefinibile, divento anche
io un Suo pari e che noi, che Lo amiamo tanto…” (Personalmente, Lo amo
PIÙ di quanto creda in Lui!) “… noi tutti siamo, cioè Egli vuole che noi
siamo in Lui. Devo essermi veramente fottuto il cervello, signore, se ora io
dico che credo che tutti sanno che vivono in Lui, o quantomeno lo sappiano a
livello inconscio. Per lo meno. O che dovrebbero saperlo. A me viene naturale
interpretarlo come parte del mio sistema di valori, ancora in crescita”.
Mi fermai, solo per riprendere fiato; forse avevo totalizzato dei punti. Avrei
preferito chiudere con una vittoria schiacciante, perché sentivo scorrere in me
un’insolita forza, la cui natura non mi era chiara.
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“Credo fermamente che Egli desideri che io sia un Suo pari). Un persona
può amare e odiare un’altra sua pari, ma non una forza remota e distaccata,
un invisibile mostruoso padre feroce e vendicativo, che vi punirà se non
mangiate sino all’ultima briciola di cibo sul piatto, perché la gente muore di
fame in Asia. Non rida di me, signore, per favore. Non ridacchi, né sogghigni
e nemmeno sorrida”.
“Non sto affatto sorridendo, Michael. E non fare il furbetto con i tuoi
innumerevoli sinonimi. Questa è una situazione molto seria”.
“Dal punto di vista spirituale?”
“Sì, dal punto di vista spirituale. Continua, Michael. Per favore continua”.
Altre vene spiccavano sulla sua fronte, ma stavolta, con discrezione.
“Un Dio vendicativo è fondamentalmente il tipo di Dio in cui molti
credono. Terrorizzante, spaventoso. Se io fossi Dio, e fino a ora non ho
ricevuto offerte, ma se io fossi Dio, fossi al Suo posto a dovermi prendere cura
di questo gregge infelice e afflitto, penso che vomiterei nel bel mezzo dei miei
doveri celestiali nel Firmamento, l’Eternità che supera ogni comprensione –
QUELL’Io sono che io sono Universo – ne uscirei con un tremendo mal di
stomaco.
“Cosa diavolo c’è di sbagliato nella gente, in questa specie chiamata umana?
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Sono bugiardi e su di loro non si può mai fare assegnamento. Distorcono la
realtà e sono crudeli, per questo a questo mondo l’ego deve essere punito dal
clero, dai suoi sadici rappresentanti”. Di nuovo, mi fermai per riprendere fiato
e ricaricare per un’altra salva diretta al rabbino: “La mia è una visione così
malata, così vile e così perversa, così scollegata dal mondo da rendermi cieco?
Michel Wolf, in un anfratto di realtà, è davvero il folle cantore di bugie, la
sua boccaccia giudea è stata segretamente inviata dal Vaticano al solo scopo di
vendicarsi degli Ebrei, quanto meno perché complici dell’uccisione di Gesù
Cristo? Cosa che fecero, tra l’altro.
“Wolf è una talpa, una spia della parte avversa? Sono stanco di tutti questi
giochi. Non c’è sportività, non è il cricket, mio caro Rabbino. Insomma
di questi giochi ne ho abbastanza. Anche se sono in grande stile e li hanno
organizzati i papi, o i comunisti, o i rabbini e anche le madri e i padri. E basta!”
Mi sentii nauseato. E disgustato. (Rabbino, mi piacerebbe molto convocare
gli amici, i bravi vecchi ragazzi e annunciare a gran voce che gli Ebrei non
ebbero nulla a che fare con la morte di nostro Signore; vale a dire, magari le
andrebbe di contribuire alla causa, facendoci partecipi di una delle sue sempre
riuscitissime raccolte di fondi. Lei in questo ha sempre primeggiato).
Inspirai profondamente, nella vana speranza - di assestare un calcio
definitivo al mio orgoglio - che un bel respiro avrebbe eliminato il mio
malessere. “Le chiedo scusa, Rabbino. Devo andarmene da questo dannato
posto! Mi manca il respiro e mi stanno venendo i conati di vomito e un attacco
di diarrea, non so se mi capisce”.
“Michael”, il rabbino disse in maniera appena intellegibile e in un
indistinto afflato (sub-atomico, dove tutta la logica convenzionale si frantuma)
di simpatia (un po’ di simpatia, ma mai rivolta a questo insegnante, solo
empatia), ma un’inezia, mai fattoriale per un’equazione logica, “Devi espellere
questo veleno dal tuo organismo”.
“Veleno?” chiesi
“Veleno”, rispose. (Oh, applicando ora la punteggiatura fonetica di Victor
Borge. I suoni sono sempre molto difficili da tradurre in parole, ma ho sempre
desiderato riuscirci, quindi… in questo particolare momento. Oh, faceva
rumori simili a quelli della calcolatrice di cassa Burroughs, ma senza quel
senso di destino funesto e disperazione sessuale del tossicodipendente).
“Michael, devi eliminare questo veleno dal tuo sistema biologico”.
“Veleno?”
“Veleno!” (Dio, quanti anni avrà adesso Borge? Era già vecchio allora,
ma era molto simpatico. Doveva esserlo stato anche da ragazzo, ma è difficile
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immaginarlo giovane, averne un’immagine adolescenziale che corrisponda alla
realtà. Se ti capita di cadere da uno sgabello da ragazzi è buffo, ma quando sei
un uomo maturo e famoso e cadi da uno sgabello, allora è assurdamente buffo;
ti sganasci dalle risate. Alcuni reagiscono alle cose più esilaranti mostrandosi
mortalmente tristi, ma si dimenticano di una verità assoluta: morire è facile;
far ridere è difficile.
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Capitolo Nove e Mezzo
(1/2)
Quindici uomini sulla cassa del morto, yo, oh, oh, e una bottiglia di rum…”
“Rema, rema, rema la tua barca, dolcemente lungo il torrente, allegramente,
allegramente, allegramente, la vita non è che un sogno…”
Può capitare a tutti, per un certo periodo. Gli occhi sono la nostra vista e
i sogni non si avverano. Devo tornare con la memoria al “Nam” (Vietnam,
NdT). Mi chiamavano “Tripla Minaccia”, evidentemente perché ero chirurgo
di guerra, agente del controspionaggio e comandante pilota. La mia ferma,
comunque, fu breve. Le squadriglie effettuavano missioni di foto-ricognizione
e, quando potevo cavarmela da solo, per non mettere a rischio i miei uomini,
le sortite di ricognizione erano senza co-pilota.
C’era un giovane militare, un bravo ragazzo, sulla ventina. Forse. Scoprii
che questo giovanotto rubava i miei antibiotici, il mio plasma, le mie soluzioni
saline per endovena, senza contare il mio prezioso lattato di Ringer e un
sergente maggiore, addetto alle forniture mediche, era in combutta con lui.
Via con gli applausi, perché con loro si esibivano, come alleate, anche tre suore
Vietnamite. Non bastano però gli applausi per parlare degli orfani ai quali
questi cosiddetti “cospiratori” davano rifugio, aiuti medici e lezioni di scuola.
Potrei anche farlo quindi il nome di quel ragazzo, ma, a pensarci “che senso
ha?” John, o Paul, o Sam. Non conta niente il nome.
Perché, a volte, un bambino decide di voler morire? Non posso credere
che lo farebbe se qualcuno non lo stesse obbligando. Aiutando i bambini, mi
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accorsi che tutto il Vietnam non fu altro che un gigantesco affare. Fare un
miracolo non era poi così difficile. (Sto già dimenticando le date, ad esempio
quando morì il tenente Taylor e io dissi che sarebbe stato più giusto stilare un
referto di morte per overdose, visto che si era fatto una tale quantità di “buchi”
da stroncare la metà dei Vietcong, ma dopo essersi iniettato la dose fatale, volle
esserne certo e si fece saltare mezza testa con una calibro .45 d’ordinanza).
Stavo anche dimenticando come si piangeva, ma arrivava sempre qualcosa
a ricordarmelo. Certe volte per me era meglio piangere piuttosto che sballare
e perdere il senso della realtà.
“John” era bravo a reperire prodotti da barattare, quando non rubacchiava
le mie scorte, per aiutare quei bambini a sopravvivere e anche ad imparare a
sorridere.
I bambini Vietnamiti erano bravissimi a ridere e, posso presupporre,
bravissimi anche a piangere. Insomma quel giovane militare se la cavava bene
nei suoi traffici, pagati dollari Americani, la migliore valuta possibile per far
fruttare ogni centesimo della sua paga e dei soldi che gli mandavano i suoi
genitori dagli Stati Uniti, persino del mio portafoglio, mentre io facevo finta
di nulla.
Non esisteva visione più chiara della mia finta cecità alla sua attività di
beneficenza. Io, d’altronde ero solo un ufficiale medico di volo. Considerato
che il cognato del capo era ubriaco già alle cinque del mattino, mi limitai
a chiudere un occhio e ricambiai così, un piccolo favore tutto sommato,
standomene zitto. (Non ero ancora “l’uomo che grida”, ma lo sarei diventato
PRESTO).
Anche se ricordo i nomi, non li avrei mai rivelati. Ero bravo a mantenere i
segreti. Preferirei spalare con le mani un cumulo di feci, piuttosto che rivelare
un segreto e, nel dirlo, ferire qualcuno, chiunque.
Dio, bastavano solo tre stecche di sigarette Kool per un’intera scorta
settimanale di riso, i vestiti, le lavagne e il gesso per i bambini. Oh, quanto erano
belli quei bambini! Eppure, per quegli stessi bambini era un dannato incubo.
John, o Paul, o Sam - qualunque fosse il suo nome - diceva che loro, i bambini,
“appartenevano” alle suore, ma non era vero; i bambini appartenevano a tutti
noi e noi avevamo l’obbligo di salvarli.
Il suo migliore amico chiese a “John” (da ora lo chiamo così) di aiutarlo con
i bambini e John anche se era proprio all’inizio del “tour” (perché diavolo lo
devono chiamare “il giro turistico?”) promise che lo avrebbe fatto. Un giorno
l’amico fu ucciso e la madre superiora disse a John: “Ora che il tuo amico è
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morto, contiamo su di te. Devi essere tu il nostro capo, il nostro aiutante sul
campo, quindi decidi in fretta”.
Spesso riuscivo a ritagliarmi del tempo da dedicare a quei bambini, ma
per farlo dovevo viaggiare togliendomi i gradi e le mostrine sulla divisa. Una
volta mi beccarono gli agenti della MP, la polizia militare, mi portarono
dal loro superiore, un sergente, che mi conosceva di vista. Era un nero, per
cui non arrossiva e non poteva palesare il fatto che io avessi quel “piccolo
segreto”. Ci ridemmo su, ma solo dopo che ebbe congedato gli uomini che mi
avevano fermato. Quando fummo veramente soli, tirò fuori uno spinello e ce
lo fumammo ululando alla luna. La luna meritava, quasi sempre, un ululato.
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all’alleanza tra la sua “medicina” e i suoi florilegi dialettici.
Una notte, mentre eravamo in macchina, lui era fattissimo e ammirava dal
finestrino la notte stellata, dicendo, “Brilla, brilla, piccola stella lassù nel cielo
così in alto… proprio come una dannata lampadina!” Ridevamo tutt’e due ed
era tanto triste.
“È così buffo, Papà”.
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maiuscola, con gli occhi pieni della luce che possiedono solo i più piccoli. Una
benedizione divina, il solo modo per descrivere l’incanto che solo i bambini
creano e donano in questo Universo.
Ormai dovevo fare tutto a velocità supersonica nel mio cosiddetto “lavoro”
ufficiale per ricavarmi del tempo da dedicare a forse più di una dozzina di quei
meravigliosi cuccioli, proteggendoli nelle mie braccia quando intorno cadevano
le bombe, nel fragore infernale della guerra. L’unica cosa “stupendamente
costruttiva”, e meritevole di quella fetida, piccola (ma per i bambini enorme)
e inutile guerra, la sola cosa luminosa erano quei meravigliosi bambini che il
conflitto aveva reso senza casa, ma non senza amore.
Una volte dissi a John “L’unico modo per ricevere aiuto da destinare ai
bambini è abbattere le persone per portare alla luce la loro essenza di umanità!”
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Capitolo Dieci
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Uscendo a passi fiacchi dall’imponente portone di legno a doppie
ante del tempio, con la nausea incombente e appesantito nel corpo e nel
cuore (a parte il fatto che avvertivo una presenza, simile a un’“invisibile”
apparizione, che mi suscitò una gioia interiore di ignota origine), d’un tratto
e bruscamente mi si accostò una massiccia figura di carne, nella persona di
Ellen Greene.
“Ciao, Michael”.
“Ciao a te, Bella Ciccia. Che ci fai qui?”
Si assise in tutto il suo peso sui gradini del tempio. “Passavo di qua, ti ho
visto uscire”
Piantai il mio didietro accanto al suo, accanto a tutto il suo: “Ma che ci
fai qui?! Chiesi fingendo indifferenza, pur essendo stranamente incuriosito.
Percepii in lei un’insolita eccitazione, qualcosa di nuovo e sincero nell’aria.
“Te l’ho appena detto! Magari ti andrebbe di accompagnarmi a casa. Sono
un tantino spaventata”. Ansimava. Sollevò tutta se stessa dai gradini del tempio
e stentò alcuni passi verso la strada. “Non conta quello che sto facendo qui. Se
mi accompagni a casa ti racconterò una cosa davvero incredibile!”
Mi alzai e la seguii, camminando sulle sue orme invisibili. “Se ti conosco
bene, ne sono certo”.
“Non essere ironico, Michael. Devo dirti una cosa che potrebbe essere
veramente sconvolgente!”
“Ah, davvero? Il New Jersey sta sprofondando nell’oceano?”
Corrugò la fronte fino alle orecchie, un varco simile al Grand Canyon - no,
troppo grande - più simile alla foce di un grosso fiume.
“Sei antipatico, Signor Michael Wolf e sapientone”.
“Sono solo un povero cane sciolto, Cicciona, Signorina Portaerei!” Fu così
che la Grassona e io ci avviammo nella prima fredda sera della sera del Garden
State (il New Jersey, NdT) Magnificamente rilucenti, le stelle si affollavano
abbondanti nella grandiosa oscurità polare. Anche quel nero profondo fra le
luci notturne era “materia”? Materia buia, in contrapposizione al puro spazio,
come nello spazio cosmico? (Dove inseriamo la “mancanza di logica” nei
mondi delle particelle subatomiche e i loro percorsi? A volte siamo costretti a
provare l’esistenza delle particelle a livello subatomico basandoci solo dalle loro
tracce. Puoi dire “addio” alla realtà conosciuta e tieniti pronto alla distruzione
a livello subatomico dei tuoi sistemi di valore. Sei stato avvisato! Prevarranno
i cambiamenti utopistici).
91
DI UNO STATO D’ANIMO IN CONGIUNZIONE e UN RAGGIANTE
ARCOBALENO SI FONDE. STOP. I BRANI POETICI VANNO LETTI
AD ALTA VOCE E A CHI SA ASCOLTARLI (o a chi legge le labbra alla
PERFEZIONE). STOP. STUDIO DELL’ARTE DI ASCOLTARE. STOP.
FINE TRASMISSIONE.
“Michael” lei riprese con respiro più affannato, “Ho qualcosa da –” troncai
sul nascere quello che pensai stesse per dire: “Sto per avere una colica. Vedi,
Ellen da tempo sto ospitando un piccolo e fastidioso batterio intestinale e
sono sicuro che questo animaletto si è convinto di avere trovato casa nel mio
colon. Bisogna ammettere che è molto seccante”. Dissi con un certo distacco,
con tono di voce basso, gutturale e finto, da snob, con la caratteristica spocchia
di un adolescente ancora non tredicenne.
Wolf lo Scherzo di Natura e Greene la Bigfoot continuarono il loro
incedere, indirizzandosi verso un vicino grande parco, immerso nel buio.
Insieme, diventavano quasi impavidi.
“Michael?”
“Sì”.
“Esistono i dischi volanti? Ci sono cose del genere? Tu ci credi?” Domandò
lei, con un’intensità per lei impropria.
“Penso di sì. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il mio papà volava
sui B-29 e un pilota su due era convinto che erano veri. Sì, credo proprio che
esistono. Perché? Ne hai visto uno di recente?”
Lei fece esplodere la parola come un missile: “Sì!”
Porca puttana! Dove? Quando? La prima reazione dava risalto all’ultima
sillaba: puttana! (Fu Heisenberg a coniare la frase “figlio-di-puttana?”)
“Sopra il maledetto tempio. Questo pomeriggio! Ma l’Air Force dice che
non esistono?” Domandò lei.
“I dischi volanti sono veri. È l’Air Force che non esiste!”
Avevamo raggiunto il parco avvolto nel buio, due bambini sbigottiti dalla
vita. Mi sedetti sull’erba e rivolsi lo sguardo al cielo fulgido di stelle.
Lei seguì il mio esempio, accelerando il respiro. Quasi senza inspirare. “Ne
ho visto uno vero! Ho visto un disco volante!”
“Quando?”
“Te l’ho detto! Oggi pomeriggio! Michael, ho una piccola confessione da
farti”. Tacque per maggiore enfasi. “Ti sono venuta dietro al tempio. Pensavo
che non ti saresti trattenuto così tanto, così ho deciso di vigilare per un po’.
Beh, erano passati pochi secondi dopo che eri entrato -”
92
“E come era fatto?”
Sembrava che stesse assaporando, o meglio masticando una deliziosa
immagine.
“Oh, era meraviglioso e terrificante! L’uno e l’altro contemporaneamente.
Era grandioso! Ho pensato in un primo momento che fosse Venere. Sai come
è brillante Venere!”
“Oh. Sì, Venere brilla tanto tanto!
“Michael! Non sai dire due parole senza insinuarci il tuo fottuto sarcasmo!”
“Scusa, come sai che non era Venere?” Chiesi, cercando di mitigare
completamente la voglia di far scivolare del sarcasmo nelle parole che uscivano
dalla mia gola (cuore?).
“Lo so e basta!” E non era sulla difensiva.
“Non l’avevo mai vista prima così sicura di sé. In lei era avvenuto un
cambiamento, aveva una nuova determinazione. Ma si aggrappava ancora a uno
scoglio di rabbia. Quasi. “Come fai a dirlo?” Chiesi. I crampi mi sfarfallavano
nello stomaco, e per un’infinitesima frazione di secondo, avvertii per la prima
volta la rapsodia della brezza di primavera. E un accenno di “amore”.
“Venere non si ingrandisce, stupido!” Espirò l’ultima frase dai polmoni
elefantiaci e io, così magro… fui quasi risucchiato nella sua tromba d’aria.
Volevo a tutti i costi smontare la sua fiducia in se stessa. “Le luci di
atterraggio di un aereo sono più grandi!” (Detto come lo schiocco di un
elastico).
“Le luci di atterraggio di un aereo non stanno ferme nel cielo. Le luci
d’atterraggio di un aereo non sono una sola luce, che si libra, scende a bassa
quota e poi si libra di nuovo, proprio sopra il tempio!”
“Fammi capire bene, Ellen. Mi stai dicendo che un disco volante è stato
fermo in aria, poi è calato un po’ e quindi è rimasto di nuovo immobile…
sul tempio. È l’esatta interpretazione della piccola bomba che hai appena
lanciato?”
“È l’esatta interpretazione. Lo sai di essere uno sciocco, vero? È apparso per
alcuni secondi, dopo che sei entrato nel tempio ed è scomparso alcuni secondi
dopo che sei uscito”.
“Apparso e scomparso?”
La Signorina Greene aveva l’aria di essere irritata nei miei confronti.
“Signor Che-Vede-Tutto e Tutto-Scemo. È apparso, è stato fermo in cielo
sopra il tempio tutto il tempo che sei stato nel tempio. Signor Scemo, Michael,
lo Stupido, orbo davanti all’evidenza. Poi è sceso ed è rimasto sospeso in aria -”
“Sospeso? Cosa intendi per… sospeso?” La stavo tormentando, camuffando
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le mie paure, miste ad eccitazione, con le farfalle nello stomaco, ma non era
aria di primavera. Brandelli confusi di memoria, piccoli frammenti, presero
ad affiorare nella mia mente. Pensai, quasi balbettando la parola, il nome,
“SA”, ma mi ritrovai a sentire parole che risuonavano nelle mie orecchie,
ma venivano dalla mente: “There be Tigers Here” (“Il Gioco si fa duro” - vedi
Prefazione dell’Autore, NdT). Ma non dicendolo, non verbalizzandolo, sì, era
una verbalizzazione interiore. Nello stesso tempo ero terrorizzato ed eccitato,
elettrizzato e rapito. C’era una presenza, ma veniva dal profondo di me.
“Sì, pezzo di cretino sì! Era sospeso immobile, non si è mosso per tutto
il tempo che sei stato nel tempio, poi è svanito, è sfrecciato ed è scomparso,
si è dissolto nell’oscurità. Questo ha fatto. Questo ho visto io. Non lo sto
abbellendo, anche se a modo suo era poetico. Ma, proprio pochi secondi prima
che tu uscissi dal tempio, da quella porticina con la lampadina illuminata,
quella che una volta era l’entrata della servitù quando il tempio era la residenza
dei Ballantine. Insomma, la porta intarsiata di legno”.
“Scomparso?”
“Sì, scomparso”.
“Nell’aria sottile?” chiesi.
“Nell’aria sottile! Dannazione, Michael, non mi ascolti?”
“Supponiamo solo per un attimo che quello che dici è –”
“Non supponiamo proprio niente! Ti ho detto cosa ho visto”. Parlava in
quel suo linguaggio definito “staccato”: Boom, boom, piccolo boom, piccolo
boom, forte boom, fortissimo boom…” Niente di più, niente di meno. Sei
proprio un idiota ad insinuare persino –”
“La interruppi di nuovo. “Oh, Ellen, va bene, quant’altra gente ha visto
questo fenomeno?”
“Non ho pensato a intervistare nessuno”.
Una finta apatia trasudò dallo sguardo che rivolsi alla signorina in
questione. Ma lei non mi guardava e tutt’e due camminavamo e di tanto in
tanto ci fermavamo, assorti in pensieri sicuramente contrapposti. Mi sentii
improvvisamente travolto dall’irrazionale, trasportato altrove, ma dove,
proprio non lo sapevo.
“Sì, ma questa cosa, questa luce, o qualunque cosa fosse…” (e stavo
fingendo; percepii una certa innegabile autenticità) “… deve essere stata vista
da qualcun altro a parte te. Lo dico senza che ti offendi”.
Lei sorrise, “Non mi hai offeso. Sono certa che anche altri l’hanno visto”.
“Ellen, penso di crederti davvero”.
“Tu pensi?”
94
“Okay, lo ammetto, ti credo. Okay, okay?” Mi sentivo così strano,
intimorito, ma nel profondo di me sapevo che c’era qualcosa. Se solo fosse
venuta allo scoperto. Se solo non fosse stata così indistinta. Era il visitatore
velato e sapevo nel profondo del mio che lo conoscevo molto bene, che era
persino una parte di tutto me stesso. Era prodigioso essere giovani e trovarsi di
fronte a un tale mistero!
“Allora, siamo okay?!” chiesi, finalmente.
“Il duello è finito. Ho vinto io. Okay” sentenziò in tono trionfante, ma
non offensivo come prevedibile.
Una pesante promessa di inquietudine, di disagio era appesa nel
cielo notturno, rilucente nel buio, la cui forza straordinaria percepivo,
insolitamente turbato da una calda, invitante magia che mi faceva sussultare
il cuore dall’eccitazione. Una stella della fortuna, misteriosa e avventurosa
si era fermata quella notte sopra il tempio. Sopra un ragazzetto magrolino,
carezzevole per la sua immaginazione, distogliendolo da quella noiosa realtà
ed esistenza terrena.
Mia madre sapeva del mio amore per la medicina e che mi sarebbe piaciuto
95
assistere a un intervento su di me, quindi non si capacitava del perché avessi
reagito in quella maniera contro la riapertura della cicatrice, a rivelare qualsiasi
cosa si trovasse sotto la carne ancora tenera e un po’ rialzata. Sapevo solo che
doveva essere lasciata in pace.
Trovai curioso che questo ricordo mi tornasse in mente dopo la storia
di Ellen del disco volante sospeso sopra il tempio. Avevo quasi del tutto
dimenticato gli eventi del Missing Time (tempo mancante, vuoto temporale,
NdT). Cominciavo ad avere reminiscenze che erano rimaste celate e ne sorrisi.
Stavo iniziando a ricordare la magia di una casa che non riuscivo ancora del
tutto a incasellare nella mia realtà. Non interamente. Eppure, certe parti
iniziavano a combaciare e un ricordo perduto stava risalendo a un grado
superiore di consapevolezza.
Avevo però ancora un viaggio da fare, un nuovo pellegrinaggio che mi
sentivo più sicuro di poter affrontare.
96
Capitolo Undici
“Smettila, Ellen, chiudi quel tuo vulcano di bocca, ferma la colata lavica,
tutto questo è semplicemente troppo duro da accettare”, mentii.
“Michael Wolf! Non vedresti la verità neppure se ti si piantasse davanti e ti
tirasse un calcio alle palle!”
“Come sei perspicace, Ellen”. Era ora di alzarmi, cominciai a camminare,
ma piano, ogni passo simile a una domanda risposta solo a metà.
Ellen seguiva, rimbalzandomi dietro di diversi passi, mantenendo la
distanza. “Ti rendi conto che sei un orco? La tua mente acuta non l’ha ancora
capito?”
“Accidenti! Che vuoi che ti dica Ellen? I tuoi coltelli sono affilati; vai, mira
al cuore. Sono un bersaglio perfetto. Cosa aspetti?”. Facevo buon uso del suo
“staccato”, parola per parola tirate con la fionda.
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“Le persone lassù! Ti stanno guardando, Michael. Ecco perché quella cosa
si era librata sul tempio”.
“Forse erano interessati al rabbino”. Dissi, cercando disperatamente di
stemperare, buttandola sullo scherzoso, ma sapendo che non avrebbe funzionato.
“Non attacca, Michael. Non ci provare. So che stanno osservando te.
Proprio te!”
Ci addentrammo nel parco buio. L’erba ghiacciata scricchiolava sotto i
nostri piedi, di più sotto quelli di Ellen. “Devo desumerne che hai doti
paranormali, Ellen”.
“Beh, si dà il caso che io abbia fatto un sogno molto profetico, futuristico
su di te. Anzi, più di uno, almeno sette volte ho sognato di te e lo sai che sette
in Ebraico è la parola magica che Dio, Se Stesso, sente prima di qualsiasi altra
parola. Sette. Shiva!”
“Mamma mia, Ellen. Non cominciamo a parlare di Lui. Così hai fatto
questo sogno più di una volta. Ti sei svegliata e avevi carta e penna sul
comodino per prendere appunti?”
“Infatti, guarda caso, ce l’avevo”.
“E, mia cara, cosa avrebbero detto i tuoi oracoli?”
“Che hai lasciato la Terra a bordo di un’astronave!”
“Oh, quel sogno. Conosco quel sogno. Non raccontarmi il resto. Fammi
ricordare. Fammi immaginare. Conosco quel sogno”. Pronunciai l’ultima
frase molto velocemente, come per sbarazzarmene. Capii, mi ricordai, forse
l’ultima parola fu la migliore, una faccenda particolare, ma non del tutto,
perché c’erano troppe lacune in quel criptico e nebuloso scenario e la trama si
stava svelando troppo velocemente…
All’improvviso sembrò che il tempo si fosse fermato. Non provavo paura,
sentivo una forza che mi attraeva e mi ricollegava a un periodo mai finito;
avevo la percezione di eventi che si erano situati in una zona temporale di
cronache il cui resoconto era anche la mia vita, una sorta di esistenza a strati.
Non dovevo fare altro che staccare gli strati uno a uno, per scoprirne sotto
tanti altri, sino a trovare l’endoscheletro, lo spirito e la sua storia, in modo che
divenisse per me incondizionatamente comprensibile e implicito e illimitato,
come procreato da una prima causa “quasi” ignota. Eppure, era una fonte della
quale possedevo una grande conoscenza “esistenziale”, un’evoluzione molto
personale, che definii LA VIA DI MEZZO.
“Conosco quel sogno” e lo dissi in modo quasi automatico e autonomo
come il battito di un cuore, quasi inconsapevolmente. LA VIA DI MEZZO.
“Bene!” disse, con una smorfia compiaciuta (dove per lei - oh, sì, il tempo
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non era più sospeso - ero appena ritornato). Se tu conoscessi Ellen, se l’avessi
mai vista, sapresti quanto ampi sono i suoi sorrisi.
“E allora parlami di questi miei sogni, soprattutto di quello che ricorre
quasi ogni notte! Parlamene, Michael, dai”. Smorfiette.
“Va bene, ecco. Gli alieni mi rapiscono, sono un bambino, oppure un
ragazzino poco prima del Bar Mitzvah-“
“Che Dio ti maledica…”
“E mi portano sul loro pianeta, perché sono un principe e devo essere
incoronato. Il mio vero padre alieno è il re, Ellen, il che mi rende principe di
quel pianeta. Io sono il principe del pianeta. Io lo sono. Vedi, c’era una volta
nella galassia, un piccolo principe e –”
“Ho detto Che Dio ti maledica!”
“Oh, l’ha fatto, l’ha fatto”.
Non tenne conto del mio ultimo sfogo. “Ora posso raccontarti il sogno? O
sconvolgerà il flusso armonico delle tue emerite cavolate?”
Eravamo giunti sul ciglio del parco, io semi congelato, lei bruciava ancora
calorie. Con un salto maldestro superai il recinto di legno che costeggiava
il parco. Lei decise di non imitarmi, eludendo così elegantemente la chance
di un’impresa quasi olimpica; si diresse speditamente verso un passaggio
pedonale a sei, sette metri dal punto del mio balzo.
Proseguimmo in silenzio per un altro isolato, poi voltammo a sinistra
imboccando la strada dove vivevano sua madre, sua sorella più piccola e il
cane Samoiedo.
“Ci separiamo qui, Ellen”, dissi, con una certa determinazione.
“Non vuoi entrare per un attimo? Non ti ho ancora parlato del mio sogno.
Come fai a non essere curioso”.
“E io non ti ho detto del mio amore folle per tua madre. Lei pensa che io
sia un maledetto omosessuale! Oltretutto, so quanto sono lunghi i tuoi attimi”.
“Non sei abbastanza grande per essere omosessuale!“
“Cosa ha a che fare con l’età? Vecchio! Mi sento un milione di anni addosso.
E poi, secondo lei, io sarei un latente”.
“Non può averlo detto. Ma se l’ha detto, allora è piena di merda!”
“Lo giuro sulla mia vita!”
“Non ci credo, che l’ha detto”.
“Sì, Ciccia bella. E se te lo dico, ne puoi essere maledettamente certa. Puoi
scommetterci quello che vuoi! Mi senti, Ellen? Capisci la sporca verità che ti
sto ficcando in gola?”
Non rispose. Autenticamente scioccata, ora vedeva il mio lato oscuro,
99
quello serio, che si manifestava. “Ai ragazzi non piace sentirsi dare del frocio!
Si offendono molto. O non lo sapevi”. E cercavo sempre di usare eufemismi.
A parte questo, cosa ne sapeva sua madre?
“Non credo che l’abbia detto. Sa che usciamo insieme”.
“Nessuno mi prende mai sul serio. Mi vedo morto in un fottuto cimitero con
delle fottute cascatelle, nella natura, e i fottuti pini. E sepolto in quel terriccio
fertilizzato, deodorato giace un uomo ambivalente. È morto di crepacuore
perché nessuno l’ha mai preso sul serio! Penso che impazzirò, Ellen”.
“Non c’è motivo di arrabbiarsi”, disse lei, paziente, rassicurante.
“Non sono arrabbiato, Ellen. Sono pazzo”.
“Non è vero. Sei sano di mente quanto me”.
“È proprio quello il fatto. Penso di essere pazzo”. Mi sedetti di nuovo a
terra infreddolito.
Non avevo mai visto un cielo più nero. Oscurità fra brillii di stelle. Dio che
ammicca e le stelle che mi abbagliano con la promessa di andare a casa. Tutta
la strada fino a casa. Rimasi seduto sulla strada di Ellen, con Ellen davanti alla
sua casa. Dovevo dire ancora qualcosa. Inspirai molto profondamente. “Sapevi
che Lana Turner è nata a Wallace, nell’Idaho?”
100
devono capitare.
QUELL’UOMO MANTERRÀ LA ROTTA?
Di quale rotta parliamo?
È il passaggio che sta attraversando. Allora non finirà rotto sulla rotta.
Ah, allora c’è una risposta a tutte le domande. Di rotta!
Colonnello Wolf?
Ehi! È anche il mio nome.
101
Capitolo Dodici
Sono passati soltanto dodici anni… Era il 1980; quasi due decadi dal nuovo
millennio. Un anno e sette mesi prima mi avevano assegnato il più alto nulla osta
di segretezza, avevo superato due scrutini essenziali, due briefing informativi
(in entrata e a chiusura) su cose che conoscevo molto più approfonditamente
del mio superiore. Un solo capo, al quale ero tenuto a riferire; e lui non era
tenuto a farlo con altri, con nessun altro.
(Alcuni amici ritengono che questa Trilogia si dimostrerà una “mossa
deleteria per la carriera” e che “finirai nell’olio bollente” se la “rendi pubblica”.
Pur essendo legale nel senso più stretto del Diritto degli Stati Uniti, a loro
dire sarà come “accendere un candelotto di dinamite”. Non è un libro di
cronache rosa. È un libro di cronache. Di fatto e consapevolmente ho infranto
un vincolo “legale” (?) (interrogativo dell’Autore, NdT) di segretezza. Questa
Trilogia è stata scritta perché io credo fermamente che la gente ha i suoi diritti;
La gente merita di sapere! Non mi aspetto il perdono. Giuro che combatterò
per sempre coloro i quali vogliono controllare la mente degli uomini).
In una cosiddetta società “libera” il diritto di sapere deve esistere. Se un uomo
vede, sente e recepisce, non è possibile imporgli di non vedere, non sentire e
non recepire, perché ciò è “Tiranneggiare la mente umana”. Questa “Tirannia”
deve finire… ora. L’umanità deve liberarsi dal suo stato di sudditanza.
SPALANCA,
APRI UNA BRECCIA,
UN VARCO,
102
IN QUESTA FENDITURA,
PORTE,
MAI APERTE,
SPALANCALE ADESSO,
IMMEDIATAMENTE.
“Amore Stellare” è un termine che ho coniato, un nuovo termine (alcuni
lo intravedono solo ora) che rientra nel primo “Post Detection Protocol”
(PDP - protocollo di intesa sulle azioni governative) a seguito della scoperta di
Attività Extraterrestri. Chiunque dica che è solo fantascienza, a prescindere
che sia buona o cattiva fantascienza, è un folle. Chiunque affermi di vedere
qualcosa che lo fa soffrire dentro, potrebbe ancora essere considerato un folle,
ma un po’ meno. Che una cosa sia chiara: da questa Trilogia io non trarrò
alcun vantaggio monetario o pratico. Non mi sto confessando. È certo che
morirò presto, oppure che me ne andrò, l’una o l’altra cosa, quindi questa è la
migliore chance che ho per dire la verità.
Se certi funzionari di governo sanno, perché l’elettorato è stato tenuto
totalmente nel lato più buio dell’oscurità? È così difficile ammettere che il
nostro governo ha occultato un segreto di immense proporzioni? Ebbene, lo
ha fatto. Una “piccola” parte di tutto il segreto riguarda il fatto che donne e
uomini hanno vissuto esperienze che presto verranno chiamate con il loro
nome: “Abduction” o, altresì, esperienze traumatiche di “Missing Time”.
Pensateci. In tutta sincerità, non vedo come possa rientrare nell’interesse della
gente restarne all’oscuro e ritengo che tutti ne comprendiate perfettamente le
ragioni…
Una cecità tanto diffusa mi addolora profondamente - perché una
popolazione così disinformata nella cosiddetta “era dell’informazione” è un
fatto sconvolgente. (Forse, neanche troppo). Sapere che la maggioranza dei
cittadini del pianeta è intenzionalmente tenuta nell’ignoranza su ciò che sta
avvenendo ed è avvenuto dall’inizio della storia dell’umanità, mi travolge e mi
fa disperare.
Come mitigare,
sappiamo,
conoscendo
la miopia umana
un’attesa
troppo lunga
per chi la conoscenza…
103
possiede;
Un cartello per adescare,
intrappolare uno spirito,
in gabbia,
il suo canto non è per evadere
dai confini che lo racchiudono.
Che la poesia mi dia
pace…
chiedo solo
di non ferire
gli occhi
senza nulla nascondere
Finirà soffocato? Sommerso dall’asfissiante legame dell’amore? No. Perché
l’amore basta all’amore; non chiede, né sarà chiesto; all’amore non si comanda,
né l’amore comanda; l’amore non sfrutta né viene sfruttato; l’amore esiste
solo in quanto tale, perché non può essere posseduto. L’amore è il fruscio
di passi scanditi nella notte; ma, se il passo si fa pesante, l’amore ne esce a
pezzi. L’amore non ha casa, né terra, né chi lo protegge, perché l’amore si deve
tutelare da sé. Quando vedi certi sguardi rivolgersi all’amore li scopri nascere
dall’invidia e dal risentimento, l’intento è omicida; occhi che si annunciano
come tamburi lontani.
104
che io non ho mai dato tanto amore prima… a te, o a nessun altro. Ad essere
chiari, intende dire a lui. Ma l’ho fatto. E dovrebbe sapere che nella mia
esistenza la parte più grande d’amore da me l’hanno avuta i miei amori che
non ci sono più, mia moglie e mio figlio. Quel poco che restava, sotto forma
di amicizia, l’ho dedicato a Charley Lightman.
“Non sai chi sei tu?”
“Non sai chi sono io?”
“No. Chi sei tu?”
“È molto difficile rispondere”.
“Invece è facile, Charley. Rispondi alla mia domanda”.
Iniziò schiudendo le labbra timidamente, poi si fermò. Guardandolo, la
pelle fine e radiosa del suo viso mi estasiava.
“Tu sei me e io sono te e tu sei il terzo abitante della Dimora della mia
Anima. Allora, diamo vita alla speranza: ti auguro che tu stia bene per sempre
nel luogo in cui esisti per me e che lo lascerai solo quel tanto che basterà per
trovare una brava donna che divenga tua moglie e forse anche un piccolo vero
amore”. (Cavolate epiche!)
“Non aver paura. Non lascerò mai quel luogo. Mai”.
“Spero che la mia paura scompaia presto. Devi sapere che per me la paura
è naturale, perché mi chiedo se sarò capace di ispirarti a trovare la donna da
amare e da sposare, come ho fatto io”.
Abbozzò un sorriso, schiudendo appena un po’ le labbra per attrarre
l’attenzione. Quante volte, come questa, il suo esistere e la sua integrità mi
devastarono nel profondo. Poche volte, che restavano eterne nel mio ricordo.
Però, c’era il vuoto da considerare. Le parole non servivano, lui sorrideva e
credo sapesse cosa provavo. Era sereno e felice e lo divenni anche io. Ma dentro
di me, sepolte in un abisso, sotto le acque delle quattro stagioni e dei quattro
giuramenti, le domande non potevano essere recepite… Desideravo solo che
raggiungesse la serenità, sposato e sistemato.
105
perché (Charley) è vitale per L’ETERNO e, come vedrete, il momento si
approssima. La sua presenza qui è indispensabile, affinché ricopra tutto il
testo con il suo mantello d’ispirazione. Alzo il calice a Charley, per i suoi
gioiosi brindisi con me - Verità…
Lo incontrai a una festa di Desia e, dopo aver respinto le sue avances (non
erano di natura sessuale: ora lo so), non sono mai riuscito a sradicarlo dal mio
cuore. Il Signor Charley Lightman è uno spirito che brilla di luce propria,
dal quale mai potrei svincolarmi o separarmi. Se avessi tentato di farlo, avrei
certamente ucciso la mia anima. E lui avrebbe assassinato la sua. Allo stesso
modo in cui io avevo bisogno di Sarah, Charley aveva bisogno di Barbara.
Come parlare di lui senza parlare di me stesso?
Mia moglie e mio figlio sono morti ed egli ha cercato di riempire il vuoto
lasciato da loro. Avrebbe dovuto farlo solo per mio figlio, il mio amato Daniel.
Aveva un profondo bisogno che una donna gli riempisse la vita e che fosse sia
moglie sia amante: entrambi. Eccolo di nuovo quell’entrambi!)
“Charley”, dissi con un garbo che mi sorprese: “La tua anima sogna in
grande. Ebbene, dimostralo!” Lui però si terrorizzava per così poco. Eppure,
sapevo che non mi avrebbe deluso, perché vidi la sua Barbara nel suo futuro.
Non nutrire dubbi
quando le tue
orecchie vedono,
e i tuoi
occhi ascoltano;
è allora
che
la totalità
è tutto
106
E gli invidiosi offuscano i segnali sui circuiti e nei sentieri che conducono
verso L’ETERNO. Quanto può fare un sorriso fra le lacrime. Mia moglie e
mio figlio mi hanno fatto capire che: Okay, mi arrovello nella questione del
paradiso e dell’inferno. So per certo che, guardando in alto nel cielo sopra di
me, il paradiso non è lassù, perché credo che questo pianeta sia in rotazione e,
quindi, in paradiso ci puoi andare a mezzogiorno – mentre alle cinque e mezzo
potresti andare all’inferno. Yeah! L’inferno è in fondo a destra. Magari. Il che
ti porta a riflettere: dove sono collocate veramente le cose rispetto alle altre?
L’inferno alle cinque e mezzo, il paradiso a mezzogiorno!
Diciamocelo chiaramente, questa strada può essere sbagliata. Scordiamoci
che possa essere tutto così facile e inquadrato in un contesto temporale
inventato dall’uomo. Non solo, ma l’Universo non potrebbe esistere, se noi
non sapessimo che il nostro mondo non è altro che una sua parte. Infatti, noi
pensiamo l’Universo all’interno dell’esistenza. (“Falla finita, Michael”)
107
Capitolo Tredici
L’Incapacità di Precisare
Ciò che Dovresti Precisare
ovvero
Tornando ai Sogni Premonitori
che non Promettono Bene
ovvero
Il momento è Vicino, Mi Troveranno
108
Ci alzammo all’unisono e ci avviammo lentamente e solennemente lungo la
strada di casa sua. Esordì, calcando ogni sillaba. “È stato un sogno straordinario
e non l’ho fatto una volta, ma molte volte e sempre identico. Da non credere,
sembrava vero. Finalmente te ne posso parlare, non vedevo l’ora…”
“Sì, ma di cosa si tratta?”. Nelle sue parole pulsava la vena di una vanità
meno leziosa di quella emessa dai centri di piacere dell’U MANO. Vanità
e gloria, eccessive per i miei gusti spartani e per sorbirle concettualmente
insieme, le “gemelle del piacere” che inscenano uno spettacolo ben lontano da
un’eccellenza evolutiva.
“Mi è appena tornato in mente, bello e brutto allo stesso tempo”. Era di
nuovo spumeggiante, un attimo prima preoccupata, persino terrorizzata. Mi
sembrò che stesse quasi perdendo l’equilibrio sul filo e sul punto di precipitare
nel vuoto, nascondendo per un mezzo secondo il proprio terrore agli occhi del
pubblico e raddrizzandosi, come se nulla fosse. Di nuovo sospesa sul filo nel
vuoto, leggera come una piuma, occhi fissi davanti a sé, i piedi indolenziti in
un limpido balletto, il sorriso stampato sul volto.
“Stavamo facendo un picnic molto carino, te ed io al chiaro di luna su una
spiaggia deserta. Non parlavamo, mangiavamo qualcosa”.
“I conti tornano, Ellen, ma non voglio fare il saccente e provocare uno dei
tuoi famosi attacchi. Scommetto che non hai con te il tuo elefante (Trilafon)”.
“Sì, invece. Ho la boccetta in borsa”.
“Vai avanti con il sogno, per favore”.
“Lo farò solo se la smetti di interrompermi”.
“Okay”.
“Allora continuo. Touché! Dunque…” Ellen lasciò quel nuovo inizio in
sospeso, in attesa di una mia intromissione, che non feci. “Dopo aver gustato
dei deliziosi bocconcini di pollo fritto da me preparati, stesi sulla sabbia ci
eravamo lanciati in un’avvincente discettazione su… non ne sono certa, ma era
di fondamentale importanza, tipo i Quattro Grandi Voti (pratica buddhista,
NdT), o qualcosa del genere. Avevamo appena affrontato il complesso
significato (in realtà, per niente complesso; Michael ora lo definisce semplice)…
della Preghiera della Campana, quando improvvisamente apparve un enorme
oggetto fluorescente nel cielo nero. A differenza delle stelle luccicanti, l’oggetto
smise di brillare e poi emise una luce intensa, bianca, più vivida della luce
del giorno, se è possibile. E poi sembrò che l’oggetto si ingrandisse, mentre
scendeva di quota finché fu proprio su di noi, proprio sopra di noi! Pulsava,
si faceva più abbagliante ed era come se fosse viva, quell’INTENSA LUCE
BIANCA era vivente! Eravamo sbigottiti e avevamo paura, e …”
109
“A me non faceva paura”
“Sì, invece. Di chi era il sogno, Signor So Tutto Io?”
“Il tuo. Continua, non volevo dire che era mio”.
“Okay. Eravamo impauriti, ma troppo presi da quella visione per darcela
a gambe”. Si interruppe per un attimo più lungo del solito, forse per dare
maggior risalto al racconto. Era chiaro che volesse ottenere il massimo effetto
possibile.
“Continua”, dissi, con una sensazione di formicolio lungo la spina dorsale,
più che piacevole; era l’istantaneo ricordo di qualcosa che provocò in me la
prima reazione alla primavera, o del primo amore - il vero amore, quello che
non capita ogni giorno - o un qualcosa assolutamente privo di parole per
incapsularlo in una definizione e per esprimerne l’emozione.
“Oh, era favoloso e restammo in piedi, entrambi insieme, entrambi così
all’improvviso che ci sentimmo entrambi storditi mentre il sangue ci saliva alla
testa. Lì, inondati da quella luce artificiale, quasi accecante emanata dal fondo
della nave, con le nostre anime tremanti e iniziò a discendere ancora di più. A
quel punto tu hai ordinato –”
“Ho ordinato”
“Sì, mi hai ordinato di indietreggiare con prudenza da quel punto, poi di
correre il più veloce possibile a chiedere aiuto. Hai detto che avresti cercato di
capire se quella cosa era pericolosa. Mentre mi allontanavo, d’improvviso un
raggio di luce blu è uscito dalla nave e ti ha avvolto. E, dall’interno di quella
luce blu, tu hai sorriso!”
“Ho sorriso?”
“Sì. E poi sei scomparso! E l’astronave quasi all’istante è parsa sfumare
nell’invisibilità!”
“Che sogno, bambina”.
“E non è ancora finito, Signor Cretino! Sono corsa fino a casa e …”
“Deve essere stato un bel tratto” -
“Non importa. Nel sogno, sono arrivata a casa, ero isterica e ho cercato di
parlare a mia madre, ma singhiozzavo. L’ho supplicata di chiamare la polizia.
E poi mi sono svegliata”.
“Tutto qui?”
“Tutto. Ti aspettavi di più?”
“Sì, e mi hai veramente deluso”.
110
manifestava sotto forma di un lieve pizzicore che percorreva in tutti e due
i sensi la mia spina dorsale. Più che eccitante, era qualcosa di permeante,
che conosci alla perfezione, ma che non ricordi con chiarezza cristallina e
comunque non era un dejà vu.
“Michael, credi davvero che ci siano delle persone lassù?”
“Lassù dove? E perché mai il Presidente Eisenhower sarebbe all’oscuro di
queste cose così importanti? Importanti per il nostro Paese, anzi, per tutto il
mondo!“
“Brutto cialtrone! Sii serio! Spazio! Spazio cosmico! E presumo che il
governo sappia già tutto, ma lo deve coprire. La questione, o meglio le nozioni
fondamentali di ciò che avviene nello “spazio esterno”, potrebbe influenzare -
mi correggo, Michael - spaventerebbe tutti a morte!”
“Sì, so quello che accadde con la trasmissione di Orson Welles. Solo che
risale a un bel po’ di tempo fa, tesoro. Spazio esterno? Una miriade di cose
avviene nello spazio interno”.
“Michael Wolf!”
“Certo. Perché no? Io, se fossi al posto loro, lassù, non mi sognerei affatto
di scendere quaggiù”.
“Perché no?” Devo ammettere, la sua franchezza mi stava sorprendendo, le
sue parole mi stavano toccando il cuore.
“Perché no?” ribadì Ellen. Guardavo nell’abisso del cielo, entrambi lo
fissavamo, difficile spiegare come si scruta nell’abisso del cielo notturno. Mi
sentii quasi costretto a sospirare il tipo di sospiro che solo un ebreo sa fare
bene, ma non lo feci. Non mi sentivo abbastanza ebreo, non mi sentivo
abbastanza umano.
“Sappiate, voi esseri alieni, che io, in questo momento terrestre, sto
conversando con una ragazza di straordinaria intelligenza che ha appena esteso
un caloroso invito a tutti voi, che magari siete in ascolto, ad atterrare. Oh, Ellen,
non vedi quante popolazioni si stanno accalcando qui? Secondo te, qualcuno
in grado di padroneggiare i viaggi nello spazio, qualcuno probabilmente in
possesso di capacità che vanno ben oltre quelle terrestri, si azzarderebbe ad
atterrare in questa maledetta giungla? Solo un folle farebbe visita ad alcuni
miliardi di selvaggi, nazionalisti e guerrafondai”.
“Selvaggi? Noi non siamo selvaggi”.
“Per loro, lo siamo di certo. Hai lasciato a casa il cervello oggi, Ellen?”
“Ti ripeto che non siamo selvaggi”.
“Rispondi a una domanda. Okay?”
“Okay, ma che non sia una delle tue trappole intellettuali!” Si irrigidì,
111
per quanto possibile, apprestandosi a impattare con uno dei miei tornado
mentali.
“Accetteresti un invito a un banchetto con i cannibali?”
Non mi rispose e proseguimmo a camminare in silenzio.
Dopo quello che mi sembrò un lasso di tempo enorme, giungemmo a
casa sua. “Inoltre, mio padre disse che, mentre volava su un B-29 durante la
guerra, lui e molti altri videro quelli che una volta chiamavano “bogeys”, i
velivoli SCONOSCIUTI, mia cara Ellen, che avevano giurato di mantenere
il segreto, ma che il governo avrebbe insabbiato tutto. Siamo persino andati
a Washington, D.C. per questo. Pensavo di averti parlato dell’avvistamento
di mio padre quando era pilota. Ad ogni modo, sono d’accordo con te. Loro
devono essere qui”.
“Sì mi avevi detto di tuo padre. Ti va di entrare?”
Sentivo che si era fatta più sicura di sé, ora che avevo smesso di prenderla
in giro.
“No grazie, tesoro. Penso che farò due passi verso casa. Ciao, Ellen”.
“Ciao, Michael. Fai attenzione ai tuoi sogni”.
Ecco, mi aveva preso alla sprovvista. “Che vuoi dire?”.
“Vedrai”.
“Ora me lo dici”.
“Semplice, se ho questo sogno ricorrente su di te, forse farai dei sogni
anche tu”.
“Oh Dio! Spero di no”. Mentii, era la più grossa bugia della mia vita.
“Ciao”.
“Ciao, Michael, dormi bene”.
“Ci puoi contare”.
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sognato che un uomo, un gruppo di uomini, potrebbe esercitare un potere
assoluto, ma senza esserne corrotto.
Accidenti, credo di aver sognato qualcosa di strano la scorsa notte. Ho
sognato che l’umanità ha finalmente capito che “occhio per occhio” serve solo
ad accecare il mondo intero; che la povertà è la peggiore forma di violenza; che
non c’è bisogno che una persona sia più ricca di un’altra; che questa Terra in
pericolo di vita dovrà guarire; che i soli demoni sono quelli che frequentano i
cuori degli uomini. (Stavo quasi per dire… i demoni che frequentano i bagni
degli uomini, ma non mi è sembrato divertente al punto di liberarmi dalle
mie fobie).
Accidenti, credo di aver sognato qualcosa di strano la scorsa notte…
Non ti muovere,
resta lì,
in silenzio sulla strada,
corri ora,
concepisci il tempo,
ma,
se perdi il seme;
torna indietro,
verso qualcosa,
che non disperderà il seme,
che non perderà il tempo.
113
Capitolo Quattordici
Mio padre di solito lavorava fino a tardi, il che irritava mia madre, oltre ai
mille altri motivi che le causavano la stessa reazione. Per lei l’irritabilità era
tanto naturale quanto la notte o il giorno, la luce o l’oscurità. Quella sera
arrivai tardi e fui spedito a letto senza cena, il che andava benissimo data la mia
determinazione a rigettare appena possibile. Affannosamente mi arrampicai
sul letto.
Credo che dormii ma, in tal caso, il sogno e le voci e gli straordinari
paesaggi erano così reali che no, non potevo credermi tra le braccia di Morfeo.
Abbracciai il cuscino per averne conforto. Penso fosse il mio cuscino.
Mi parlava una voce che credevo di conoscere, ma la voce sembrava più
simile a un’armonia celestiale, un tappeto di frasi musicali composte dai
rintocchi di una campana lontana. La mia campana che risuonava. Oh, Signore!
Nel cantare, sento la mia vita tremarmi dentro, sento il sapore dell’illusione,
statico, pungente, l’ultima stagione del mio mondo, il mio ultimo incubo a
occhi aperti, il sangue che colava dai suoni stordenti della campana. Oh, la mia
canzone intrisa di sangue, la mia campana imbrattata di sangue. Lasciai andare
quello che credevo fosse il mio cuscino e in quel momento provai la sensazione
dello spostamento.
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sono l’impronta di una particella virtuale. Capirai quando ti addentrerai nella
meccanica quantistica”.
“Sei mio fratello?”
“Sono l’altro tuo fratello”.
“Ma i miei studi saranno di medicina, fratello mio”.
“Questo non ti terrà lontano dalla fisica teorica”.
“Come ti chiami, fratello?”
“Lo sai già, Michael. Devi entrare in contatto con il Vuoto”.
“Lo farò. Ti prego, indicami solo come”.
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“Sì. Dimmi il tuo nome”.
“Te l’ho già detto”.
“Okay, ma non l’ho colto del tutto. Me lo ripeti? Per favore, fratello mio,
dimmelo di nuovo”.
“Lo sai. Devi solo dirlo”. Il nome non sembrò arrivare da alcun luogo
fisico.
“Lo dico: SA! ANON SA RA! Hai ragione. Lo so. È vero che ANON vuol
dire principe?”.
“Ti ho detto il mio nome e cosa significa. Perché ti preoccupa che le parole
non siano verbalizzate, che non abbiano un suono?”.
“Spiegami. Stiamo comunicando mentalmente?”.
“Sì’”.
“Quindi, sai tutto quello che sto pensando”.
“No, Michael, ovvero MIKA-EL, non posso sentire quello che tu non vuoi
che io senta. Se il tuo desiderio è schermare i tuoi pensieri, devi semplicemente
volerlo ed essi saranno nascosti, custoditi e protetti dal silenzio e manifestati in
privato. È in tuo potere. È la tua libertà. È un principio inviolabile”.
“Oh!”, mi rigirai nel letto e tutto ebbe termine. Ma mi trovavo anche
altrove. Com’è possibile? I pensieri che dialogano fra loro, allora è possibile
qualsiasi cosa, se la vuoi veramente. I pensieri creano le parole e le parole
creano gli eventi.
Quella notte dormii male e mi svegliai con il cuscino madido di sano
terrore.
Il giorno dopo filò liscio fin quando non giunsi al tempio. Percepii subito
l’atteggiamento da terapeuta del rabbino, dal modo in cui mi salutò e mi
invitò a sedere nella sedia “da duello”. Cercai di accomodare il mio posteriore
al meglio.
“Si può sudare sotto un’ascella e sotto l’altra no?”.
“Non ho mai approfondito troppo l’argomento”, disse con una punta di
curiosità. “Perché? Sudi solo sotto un’ascella?”.
“No, me lo stavo solo chiedendo”.
“Bene, come ti senti oggi, Michael?” Aveva un tono di lieve incertezza.
“Forse, se cominciassi a parlare un’altra lingua, avrei meno problemi perché
sarei troppo occupato con la sintassi”.
“Continui a complicarti la vita inutilmente!”
“Davvero? Non credo, Rabbino”.
“Cos’è che non va, Michael?”
“Cosa non va?”
116
“Rispondi sempre alle mie domande con domande?”
“Non ne sono certo, Rabbino”.
“E, dietro quella tua spocchia, usi satira e sarcasmo per nascondere tristezza
e infelicità. Devi quanto meno essere consapevole di alcune ragioni del tuo
stato d’animo”.
“Di cosa?”
“Non cadrò nelle tue vecchie trappole. Parla, Michael!”
“Sono solo, Rabbino e ci sto male”.
“Solo? Lo credi sul serio?”
“Sì e mi prende allo stomaco, Rabbino e anche alla testa. È più che altro
un mal di pancia che nasce da una reazione”.
“Una reazione a cosa?”
“Ai demoni della mia mente”.
Mi alzai dalla poltrona, recitai alla perfezione una parte della Torah che
dovevo imparare a memoria per il Bar Mitzvah e mi diressi, o meglio ci girai
attorno come un kamikaze, verso uno scaffale della biblioteca densamente
popolato da titoli “stranieri”, ovviamente religiosi. Mi attardai per diversi
minuti, rilassandomi nella pausa della conversazione, esaminando i libri.
Il rabbino ed io eravamo silenziosi, chiusi l’uno all’altro. Nella mia mente
(nei miei sogni, il termine era “vento divino”) mi trovavo alle prese con una
sconcertante emozione ottica, ma era una pressante, pungente e peculiare
visione aliena. Ahimè: una visione peculiare! Assoluta unicità di una visione.
117
lontano, con una grande stella di sequenza principale, più luminosa del
sole della Terra (forse erano due), un immenso spazio celeste, un evento
quadridimensionale oltre lo spazio-tempo. In quell’ambiente un giovane dai
lunghi capelli biondi, occhi azzurri incorniciati in un viso scultoreo, mio
fratello in sembianza - no, mio fratello in essenza - mi raggiunse sospinto da un
vento soave e caldo che ci sfiorava accarezzando i nostri volti. Ci spostammo
quasi veleggiando su un manto di foglie alte al ginocchio, di un’erba color oro,
più che verde. Ridevamo ingenuamente al vento caldo; cadeva una pioggia
primaverile, ma di fronte ai nostri piedi nudi e non su di noi. Lui era mio
fratello. Lo sapevo.
Non bagnati dalla pioggia, ristemmo e in quel fugace istante prese la mia
mano destra e, tenendola con il palmo rivolto verso il suo viso, la baciò al
centro con le labbra mentre gocce tiepide avevano iniziato a scendere su di
noi e lui era mio fratello. Sentivo i nostri cuori travolti dalle emozioni, da una
felicità incommensurabile. Le emozioni di INFINITÀ DI SCINTILLANTE
LUCE BIANCA, lo sentii pensare. Non lo aveva espresso a parole, quel
momento di estatica trasfigurazione.
Era lo stesso fratello! Oh, Signore! Era fantastico amare quest’altro fratello!
Ora so che Dio osserva e aspetta.
Pensai al tipo di amore che si prova per un fratello. Da lui volevo di
più. Volevo sapere cosa potevo fare per lui, se aveva bisogno del mio aiuto e
che amore sarebbe stato. Avevo bisogno di conoscerlo! Cominciai a vedere, in
continuazione nel cielo, luci notturne e oggetti metallici diurni. La definizione
che è stata loro data è UFO. Non erano avvistamenti di fulmini globulari!
118
mondo, visto con i miei occhi da lebbroso, mi sembra una mastodontica palla
poggiata su una rientranza, su un punto, che grava immobile in bilico sulla
mia testa con una pressione inaudita. Un indesiderato ospite. Per sempre”.
“Stai dicendo che il mondo grava sulla tua testa ed è un ospite?”
“Esatto, ma il peggio è che non riesco a toccarlo con le mani e ad allontanarlo
dalla mia testa. Una grande barriera invisibile mi impedisce di farlo. La sfera
si fa più pesante, Rabbino. Altre due tonnellate e impazzisco. Sto già male
abbastanza e se non alleggerisco la pressione mi sentirò ancora peggio”. Cercai
di riflettere. “Non puoi toccare il mondo! Pensaci!”. Ero sul punto di mettermi
a strillare e di entrare nella fase strepitante (i bambini attraversano delle “fasi”).
“Fatemi scendere da questo mondo!”.
Urlai tanto da lasciar presagire una tempesta incombente (e anche
melodrammatica). Mi ricomposi e continuai sulla falsariga dei sogni della
notte precedente e quelli di quel giorno, cercando di dar loro una corretta
collocazione.
“Chiedo scusa, Rabbino. Drammatizzo un po’ troppo”.
“Dobbiamo parlare di più. Dobbiamo comunicare. Dobbiamo stabilire un
ponte fra di noi. Siamo quasi al dunque”.
“Mi sta assalendo di nuovo il mal di stomaco. Potrei vomitare!”
“Stiamo arrivando al dunque dove …”
“Dove non mi può ascoltare, Rabbino”. Lo interruppi. “Io vivo la solitudine
dell’eremita”.
“Vorresti morire, Michael?”
“No, ma giuro che potrei dare di stomaco ora su tutto il suo prezioso
tappeto orientale!”
“Te lo chiedo di nuovo. Vuoi morire?”
“Che maledetto incredibile banchetto sarebbe la morte!”
“Perché?”
“Perché? Perché? Le dirò il perché!”. Feci una pausa per unire le visioni a
frasi musicali interiori. Sembrava che lo studio non contemplasse la musica;
solo nello spirito, che dimora nel corpo. (La crescita nei bambini li segna per
sempre).
“Michael, esigo una risposta”.
“A chi lo dice, Rabbino, a chi lo dice!”. Cercai le parole giuste. “Okay, le
cose stanno così. Voglio incontrare Shaddai. Ha capito. Gesù, o comunque lo
vogliano chiamare gli Ebrei”.
“Joshua e S-h-a-d-d-a-i, quel nome non si può pronunciare. Del resto,
Michael, Joshua non era D-i-o. La seconda parola che hai detto è il tacito
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nome dell’Altissimo. A volte ci sfugge, e diciamo Dio”.
“Okay, per me va bene Joshua. Era un falegname, costruiva le cose con le
sue mani e una volta disse ad alcuni suoi fedeli ‘ciò che distruggerete sarà come
distruggere una parte del cielo, una parte di me, una parte del Padre e… una
parte di LORO’. Forse questa piccola gemma nella Bibbia non appare, ma so
che l’ha detto. E gli hanno forse creduto? Ci può scommettere il suo mezuzah
(pergamena ebraica, NdT) che non gli credettero! Il nostro pianeta è in stato
di abbandono, fa pietà, è fetido, marcio e strano. È come se la tribù di Gog e
Magog (bellicose popolazioni asiatiche delle antiche tradizioni, NdT) fosse qui
in questo momento, a prepararsi per la guerra contro il cielo. È come se a Dio
non importasse più, fosse irrilevante cosa fanno gli uomini al mondo, a questo
mondo meraviglioso. (Lo dissi nei primi anni Cinquanta). L’industria lo sta
uccidendo. La Rivoluzione Industriale sarà l’instaurazione dell’Armageddon
del genere umano!”.
“L’industria è la speranza del mondo!” disse con tono di sfida.
“No, Rabbino. È la sterminatrice del mondo e dei mondi. L’umanità
tuona e implode, si allontana dalla grazia che forse non è mai esistita, ma
Iddio è L’ETERNO nella pienezza della grazia. È il Dio di ogni cosa, tranne
che dell’umanità, dell’essere umano. Gli spiriti sono sempre di più invisibili e
sempre meno importanti. Gog e Magog!”
“Gog e Magog. Nomi che appaiono nella Rivelazione, vero?”
“Oh, lei ha letto il Nuovo Testamento. Quello era un passo di San
Giovanni, il Divino, il sognatore, il sonnambulo, il segreto araldo della verità,
la verità che diventa invisibile. Rabbino, onestamente credo con tutto il cuore
di non essere mai nato su questo pianeta, ma di risultare terrestre a causa di
uno stupido errore nella registrazione del mio atto di nascita nell’Eternità. E
nessun imbecille impiegato d’anagrafe si è peritato di correggerlo”.
“Sembri quasi un moderno studente ebreo ribelle, mancante però di
qualunque senso della felicità”.
“Alla vita, Rabbino”.
“Alla vita, Michael”.
“E a Dio, Rabbino. Immenso e glorioso e sordo al mio grido di giovane
uomo!”
“Non sei un caso a parte, giovanotto. I maestri religiosi dell’antichità
spesso inveivano contro Dio con sfuriate rabbiose. La nostra storia è ricolma
di ribellione. Saresti uno studente appena mediocre se nel tuo cuore non
albergasse un po’ di ribellione. Come si sentirono secondo te quei sei milioni?
Che tu te ne renda conto o no, sei sulla via della tradizione. Tutti gli Ebrei
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osservanti discutono con Dio. La tua tragedia è nota ad altri uomini; il tuo
provare dispiacere e collera denota emozioni condivise”.
“Allora sono normale”.
“Penso che in te ci sia posto per la calma e il buon senso, Michael. Quello
che hai in mano è uno dei miei libri?”
Il rabbino si era finalmente accorto del volumetto che ancora stringevo
al petto. Ero sull’orlo di una crisi di nervi. “No, è il mignolo della zampa
posteriore destra di una femmina zoppa di Brontosauro!” avrei voluto dire, ma
mi trattenni appena in tempo. “Mi dispiace per le mie uscite sarcastiche, ma è
da un po’ che tengo il libro qui sul cuore”.
“Anche a me dispiace. Non me ne ero accorto”. (E chi ti crede, Rabbì)!
“Che libro è?”
“È il… ah… Bhagavad Gita. Leggendolo mi viene sempre il mal testa, ma
mi piace”.
“Tu nutri davvero dell’amore per l’Altissimo. Non lo sai ancora, Michael?”
“Sì, ma ho mal di testa. In realtà, se vuol sapere i fatti, Rabbino e solo i
fatti…”
“Sì, Michael. Proprio i fatti”.
“Bene, il fatto è che sono un misero Zoroastriano. In questo Universo, c’è
solo una lotta importante e ne possiamo solamente cogliere i contorni, vividi
ed ectoplasmatici; sono la luce ed il suo opposto, l’impenetrabile oscurità.
Tutto quello che riusciamo a vedere è la sagoma, non la sostanza. Non so altro,
Rabbino”.
“Mi spieghi cosa c’è che non va, Michael?”
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di entrare in questo mondo da adulto, che tu non sia sopraffatto dai dubbi, da
paure e contraddizioni. Se non supererai bene il Bar Mitzvah e non diventerai
sicuro di te… se ciò non avvenisse, zoppicherai e barcollerai sulle strade del
mondo”.
“Sarebbe terribile, proprio terribile”.
“Non fare il sapientone. Michael, so che sotto la tua fragile scorza
protettiva, in fondo sei sincero. Non è quello che mi preoccupa. Non sono
neanche sicuro di sapere cosa mi preoccupa di te. Hai altro da aggiungere?”
Rimasi un attimo in silenzio e rimisi a posto il libricino. “Sono sotto
processo?”
“Lo siamo tutti. Debbo raccomandare ai tuoi genitori di portarti da un
terapeuta”.
“Voglio andare a casa”.
“Allora vai pure a casa”.
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la mancanza di spazio, costruimmo un nostro ciclotrone in miniatura.
Ovviamente, disponevamo delle “Bobine di Nikola Tesla ad alta tensione”.
(Venivano impiegate per creare i fulmini nei vecchi film di Frankenstein).
Tesla però scoprì e sviluppò ben altro (come l’“Arcobaleno”, prima che così
lo denominassero). (L’Autore si riferisce al “Rainbow Project” della Marina
Statunitense, che mediante le bobine di Tesla avrebbe generato i campi magnetici
usati nel cosiddetto “Philadelphia Experiment”, NdT).
Continuai la mia disputa verbale con il rabbino, per prepararmi alla mia
metamorfosi Ebraica. Portai a compimento il bar mitzvah senza intoppi.
Senza coinvolgermi minimamente, seppi destreggiarmi con sobrietà e rigore.
Ricevetti diverse migliaia di dollari e mio padre, durante il ricevimento, alzò il
gomito e si mise a suonare il sassofono con il gruppo.
“Il Vuoto. Come potrò capire il Vuoto?”. Dormivo di nuovo. Pensiero ed
azione. “Quello che siamo nella totalità e qualità del nostro operato”.
“Parzialmente giusto, mio amato altro fratello”.