Questa ricerca prese le mosse dalla curiosità che suscitò in me una cita-
zione: una citazione dal Tractatus commerciorum di Du Moulin, che compa-
riva nel parere redatto da giurista genovese, in occasione di un famoso di-
battito sulla liceità dei “cambi di Bisenzone”1. Nicola Senarega (il giurista in
questione) si era allora schierato nel campo dei rigoristi, di coloro che con-
dannavano questi contratti come usurai, e nel breve scritto aveva abbondato
nelle auctoritates: fianco a fianco troviamo Bohic, Calderini, Vignate,
Summenhart, e alla fine, curiosamente affiancati, Angelo da Chivasso e
Charles Du Moulin. Il metodo argomentativo del Senarega è molto classico
e tradizionale; interessante è che a quella data già conoscesse l'opera del
giurista francese e che questa citazione fosse fatta a proposito.
Il motivo della mia (un po' stupita) curiosità era causato da un'immagine
tralatizia e di maniera del pensiero di Du Moulin - colui che avrebbe portato
un attacco radicale alle teorie tradizionali in tema di interesse del denaro.
Nonostante vi sia in proposito una tradizione di studi, mi sembra che aspetti
della sua elaborazione meritino ancora di essere ricostruiti più analitica-
mente2. La scelta di rileggere l'opera del giurista parigino è stata fatta in
considerazione anche della straordinaria fortuna che fu riservata in Europa
al Tractatus commerciorum3. Direttamente (come nel caso di Senarega) o
indirettamente, attraverso la famosa ristampa fatta a Venezia sotto il nome
di Gaspare Cavallini, le idee del Tractatus circolarono attraverso tutta l'Eu-
ropa4.
1
Su questo dibattito avvenuto negli anni 1553-1554, cui intervennero personaggi come
Diego Laínez SJ e l'agostiniano Fabiano Chiavari, cfr. R. SAVELLI, Between Law and Mo-
rals: Interest in the Dispute on Exchanges during the 16th Century, in V. PIERGIOVANNI
(ed.), The Courts and the Development of Commercial Law, Berlin 1987, pp. 62-77.
2
Il più recente contributo (anche se non sempre convincente) è quello di J.-L.
THIREAU, Charles Du Moulin, Genève 1980 (cui si rinvia per la bibliografia precedente).
3
Il titolo completo è Tractatus commerciorum et usurarum, redituumque pecunia con-
stitutorum et monetarum, Parigi 1546 (cito dalla stampa Apud Ioannem Lodoicum Tileta-
num, rinviando ai paragrafi). L'opera fu subito inclusa nella raccolta dei Tractatus ex variis
iuris interpretibus di Lione del 1548-1549, e ripresa l'anno successivo in uno dei volumi
aggiuntivi all'edizione veneziana dei Tractatus del 1548 (su queste raccolte cfr. cfr. G.
D'AMELIO, Una rara raccolta dei 'Tractatus' nella biblioteca della Facoltà di Giurispru-
denza di Cagliari, in Università di Cagliari “Studi economico-giuridici” XLVIII (1973-
1974, ma 1975), pp. 67-75; G. Colli, “Attribuuntur Bartolo et tamen non sunt Bartoli”.
Prolegomeni ad una bibliografia analitica dei trattati giuridici pubblicati nel XVI secolo,
in “Il bibliotecario” 1996, pp. 166-173). Non prendo qui in considerazione il Sommaire du
livre analytique des contrats, usures ..., Paris 1547, per via della sua più limitata circola-
zione fuori delle zone francofone.
4
Tractatus commerciorum et usurarum [...] compilatore Gaspare Caballino, Venetiis
1576. Su questo falso cfr. A. LATTES, Carlo Dumoulin e Gaspare Caballino, “Archivio
giuridico Filippo Serafini” s. IV, vol. XI (1926), pp. 7-19. Altre indicazioni sulla circola-
zione dell'opera di Du Moulin in SAVELLI, Between Law, cit.; e cfr. note 15 e 18.
5
Uno dei temi più discussi è infatti quello dei contratti di rente, uno dei contratti cen-
trali nel sistema del credito francese (in proposito rinvio al saggio di B. SCHNAPPER, Les
Rentes au XVIe siècle. Histoire d'un instrument de crédit, Paris 1957, saggio in cui vi è un
vasto e proficuo uso dell'opera di Du Moulin).
6
Per la discussione sui monti di pietà cfr. §§ 581 e ss.
7
Sull'argomento ha richiamato l'attenzione H. E. TROJE, Graeca leguntur. Die Anei-
gnung des byzantinischen Rechts und die Entstehung eines humanistischen Corpus iuris
civilis in der Jurisprudenz des 16. Jahrhunderts, Köln-Wien 1971, pp. 31 e ss, 77 e ss.
8
Si veda, ad esempio, quanto annotava al § 204: “nunc occurrit pulchra quaestio de
qua hodie consultus fui”; o al § 229 “dum haec scriberem accidit quaestio de facto” (e cfr.
anche § 233, 241, 406, etc.). Queste inserzioni tratte dalla viva esperienza quotidiana conti-
nuarono fino alla conclusione dell'opera, quasi il nostro avvocato passasse buona parte del
suo tempo in tipografia: § 466 “placet paucis discutere facti speciem quae nuper accidit et
de qua dum haec excuderentur, consultus fui [...] haec dictans ferventibus typis addo” o §
670, dove alla quaestio 49 “iam typis excussa” aggiunge “pulchra quaestio de qua hodie
consultus fui”. Si confronti poi quanto scriveva al § 195 dove ricorda: “his a me scriptis,
foeliciter in lucem prodierunt Commentaria uberrima doctissimi senatoris do. Andreae Ti-
raquelli de utroque retractu”, opera da lui già citata in precedenza.
9
Nel Commentarius de usuris (Romae ex Typographia Iacobi Tornerii 1588, p. 7)
poteva scrivere con orgoglio di Du Moulin: “cuius impudentiae et erroris damnatores pro-
ditoresque nos fuisse primos in celeberrimis Hispaniarum Academiis credimus et gaude-
mus”.
10
G. DE VALENTIA, Commentariorum theologicorum tomus tertius, Lugduni, sumpti-
bus Horatii Cardon, 1609, coll. 1317 e ss.
3
11
I. AZOR, Institutionum moralium [...] pars tertia, Brixiae, Apud Petrum Mariam
Marchettum 1612, p. 417.
12
M. B. SALON, Controversiae de iustitia et iure atque de contractibus et commerciis
humanis licitis et illicitis, Venetiis, Apud Baretium Baretium 1608, t. II, p. 191 e ss.
13
J. GAITTE, Tractatus de usura et foenore; item de usuraria trium contractuum pra-
vitate, Parisiis, apud Arnulphum Seneuze, 1688, p. 29. Questo ruolo di iniziatore di una
nuova fase è riconosciuta anche in ambiente riformato: “aliis praeivit” annotava J.
CLOPPENBURG, De foenore et usuris brevis institutio, Lugd. Batav. Ex officina Elsevirio-
rum 1640, p. 6.
14
Non appare molto convincente in proposito la ricostruzione di Thireau (Charles Du
Moulin, cit., p. 379), che limita al solo Guy Coquille il merito di aver ripreso le tesi del no-
stro giurista; ricordiamo, se non altro, almeno François GRIMAUDET, Paraphrase de droicts
des usures et contracts pignoratifs, Paris chez Nicolas Chesneau, 1577. Ma la lista non si
esaurisce certo qui: si veda ad esempio l'amplissimo uso che di Du Moulin fanno testi che
potremmo definire di carattere quasi divulgativo quale quello di C. von HAGEN, Tractatus
de usu usurarum et annuorum reddituum, Wittebergae, Typis Jobi Wilhelmi Fincelii 1631.
15
Milleloquiorum iuris, Venetiis, apud Petrum Longum 1575. Ho fatto qualche son-
daggio su alcuni dei passi relativi all'oggetto di questa ricerca: il § CCXCIII corrisponde ai
§§ 71 e 72 del Tractatus (con la sola cancellazione delle citazioni di Erasmo); CCXCV =
73 (con un'inserzione dal 17); CCXCVII = 87-89 (tutti tratti da Aepinus, su cui cfr. infra
nota 30); CCXCVIII = 92; CCXCIX = 95-96; CCC= 118; CCCI = 119; CCCII = 126;
CCCV = 155; CCCVI = 156 (con aggiunte bibliografiche); CCCXI = 186-187; CCCXIII =
190; CCCXIIII in gran parte dal 192.
Su Cavallini, oltre al ricordato saggio di Lattes (nota 4), cfr. anche A. ERA, Carlo Du-
moulin e Nicola Antonio Gravazio, in “Rivista di storia del diritto italiano” VII (1934), pp.
286-311; P. PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti, II, Roma 1967, pp. 239-240; P.
COLLIVA, Due studiosi cinquecenteschi delle “constitutiones” dell'Albornoz, in Storiogra-
fia e storia. Studi in onore di Eugenio Duprè Theseider, Roma 1974, II, pp. 852-866,
“Dizionario Biografico degli Italiani” 22, pp. 773-774; R. SAVELLI, Da Venezia a Napoli:
diffusione e censura delle opere di du Moulin nel Cinquecento italiano, in Censura eccle-
siastica e cultura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, a c. di C. Stango, Firenze,
Olschki 2001, pp. 101-154. Sotto nome di Cavallini uscì infatti anche il De eo quod inte-
rest, Venetiis 1574 e il Tractatus dividui et individui, Venetiis, apud Petrum Longum 1576;
il De eo quod interest fu poi addirittura incluso nel Tractatus universi iuris (t. V, cc. 17v e
ss). Bisogna riconoscere che il Cavallini nella dedica al lettore del De eo quod interest cor-
rettamente annotava “cum in manus meas incidissent scripta haec doctissimi cuiusdam iuri-
sconsulti monumenta, ne cum blattis et tineis diu litem facerent [...] placuit in publicum
dare”.
4
16
Cfr. in proposito le sempre valide osservazioni di D. MAFFEI, Gli inizi dell'umane-
simo giuridico, Milano 1956, pp. 187 e ss.
17
P. AVELLANUS, Restituti aliquot loci bonorum authorum..., Pictavii 1541 (ristam-
pato in E. OTTO, Thesaurus iuris romani, I, Traiecti ad Rhenum 1733, coll. 459-480; il ca-
pitolo citato da Du Moulin è a col. 474).
18
Si tratta dei paragrafi dal 686 in avanti; questi capitoli furono in gran parte poi ri-
presi (con polemiche risposte) nelle fortunate raccolte di R. BUDEL (De monetis et re num-
maria, Coloniae Agrippinae, apud Ioannem Gymnicum 1591) e di G. A. TESAURO (De mo-
netarum augmento, variatione et diminutione, Augustae Taurinorum 1609; cfr. a pp. 221-
385 le Quaestiones undecim in materia augmenti monetarum incerti auctoris: la condanna
dell'Indice comportava la piccola cautela di occultare il nome dell'autore). Du Moulin di-
mostra di avere su questo tema conoscenze bibliografiche molto estese e approfondite: ad
esempio cita più volte la Disputatio in materia monetarum di Giacomo dal Pozzo, di cui
conosco solo l'edizione nella relativamente rara raccolta dei Tractatus de augumento rebu-
sque additis... di Alberto Bruni, Francesco Corti e altri, stampata ad Asti “per Franciscum
Sylvam” nel 1518 (su Giacomo dal Pozzo cfr. M. G. DI RENZO VILLATA, Scienza giuridica
e legislazione nell'età sforzesca, in Gli Sforza a Milano e in Lombardia e i loro rapporti
con gli Stati italiani ed europei, Milano 1982, pp. 82 e ss.). Sul tema resta insuperato il vo-
lume di P. GROSSI, Ricerche sulle obbligazioni pecuniarie nel diritto comune, Milano 1960,
passim, ma in specie pp. 384 e ss.
19
BALDUS DE PERUSIO, Super quarto et quinto Codicis, Lugduni 1544, c. 84v (tit. de
usuris C.4.32). Sulla riflessione di Baldo ha richiamato recentemente l'attenzione V.
PIERGIOVANNI, Un trattatello sui mercanti di Baldo degli Ubaldi, in Scritti di storia del di-
ritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei, a c. di M. ASCHERI, Padova 1991, pp. 235-254.
5
20
“Antonius Augustinus [...] utinam nobis eam cum reliquis quae desunt (ut pollicetur)
edat” [100] e usa il termine “gloria immortalis” ricordando l'opera di Haloander [104].
21
Cfr. § 776: “et sic concludo verissimam esse et inconcusse retinendam veterem et
literam et punctuationem [...] quam etiam plurimis vetustissimis exemplaribus olim exactis-
sime manu scriptis diligenter a me tam in privatorum amicorum scriniis quam in publicis
bibliothecis [...] inveni” (e anche 785). Sull'effettiva consultazione dei manoscritti da parte
di molti umanisti cfr. però le osservazioni di D. OSLER, Magna Jurisprudentiae Injuria.
Cornelius van Bynkershoek on early legal humanist philology, in “Ius commune” XIX
(1992), pp. 61-79.
22
Du Moulin non era certo alieno dalla polemica; ricordiamo ad esempio le acri parole
non solo contro i rappresentanti della scolastica, ma anche contro molti contemporanei, i
“theologastri” come un Almain, “caecorum dux” [524], e contro giuristi più legati alla tra-
dizione, un Guy Pape ad esempio, “timidus et superstitiosissimus” [360].
23
§ 39 e cfr. ad esempio A. ALCIATO, Parergon Iuris, VI 20 (Operum tomus quartus,
Francofurti, sumptibus Haeredum Lazari Zetzneri, 1617, col. 384).
6
advertendum est quod in regionibus in quibus rariora sunt commercia et minora lu-
cra quaestuaria, quia non solent illic homines tam assidue et late negociari, prout
solent in Italia, Gallia et cirumiacentibus locis, [...] prout in superiore Germania [...]
non debent ibi usurae sive reditus empticii, qui earum loco successerunt, esse tam
graves sicut hic [127].
24
Cfr. ad esempio recentemente D. R. KELLEY, Foundations of Modern Historical
Scholarship. Language, Law and History in the French Renaissance, New York-London
1970, p. 173; ma cfr. le riserve in proposito espresse, da tempo, da MAFFEI, Gli inizi del-
l'umanesimo giuridico, cit., pp. 187-188, riprese nella recensione al volume di Thireau (cfr.
“Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis” LI (1983), pp. 411-412).
25
E cfr. anche, ad esempio, §§ 174 e 272.
26
H. DONELLUS, Commentariorum in codicem Iustiniani [ad tit. XXXII lib. IV C. de
usuris], in Opera omnia, VIII, Florentiae 1846, coll. 414-415.
27
Cfr. anche § 503. Il problema del valore del Codex in rapporto ai dettati del Concilio
Niceno in tema di usura (e quindi il giudizio sulla figura stessa di Giustiniano) è molto an-
tico nella tradizione esegetica, soprattutto nel commento della l. cunctos populos (C.1.1.1):
a titolo di esempio si veda la significativa repetitio di Caccialupi ricordata a nota 105. Si
7
sed formas ac regulas eorum non describit, nec indicat speciatim quid in singulis
contractibus iustum et iniustum, aequum et iniquum; ideo necesse est in his sequi
ordinationes publicas consentientes rectae rationi, nec eas transgredi licet. Non enim
propter poenas tantum, sed etiam propter conscientiam obedientia debetur legitimo
magistratui in politicis ordinationibus [87].
30
I. AEPINI, In psalmum XV. Davidis commentarius, Argentorati excudebat M. Iacobus
Cammerlander 1543, in particolare cc. 27 e ss. I §§ 87-89, in cui vi è uno dei maggiori
“prestiti” da Aepinus sono gli stessi ripresi da Cavallini nel suo Milleloquiorum iuris (cfr.
nota 15).
31
L'editio princeps è del 1538; citerò dal testo incluso nel Corpus reformatorum, XVI,
Halis Saxonum 1850 (d'ora in avanti citato come CR).
32
THIREAU, Charles Du Moulin, cit. pp. 355-356; ma cfr. già H. HAUSER, La moder-
nité du XVIe siècle, Paris 1963, cap. V: Les idées économiques des Calvin. La piena, seppur
conflittuale, adesione di Du Moulin al mondo riformato è dimenticata anche da un attento
autore come J. T. NOONAN, The Scholastic Analysis of Usury, Cambridge Mass. 1957, p.
367: “the first Catholic writer to urge the licitness of moderate usury”.
33
G. H. WILLIAMS, The Radical Reformation, Philadelphia 1962, pp. 53 e ss; J. S.
OYER, The influence of Jacob Strauss on the Anabaptists. A problem in historical metho-
dology, in The Origins and Characteristics of Anabaptism, ed. by M. LIENHARD, The Ha-
gue 1977, pp. 62-82; su Strauss e tutto il movimento radicale cfr. anche le precise indica-
zioni di B. NELSON, Usura e cristianesimo, Firenze 1967, pp. 64 e ss.
34
T. MORE, Utopia, a c. di L. Firpo, Vicenza 1978, p. 270.
9
35
Sul tema cfr., ad esempio, A. E. BALDINI, Riforma luterana e utopia: gli 'Statuti del
paese di Wolfaria' di Johann Eberlin, in “Il pensiero politico” XIX (1986), pp. 3-31; anche
negli Statuti di Wolfaria compaiono passi di questo genere: “noi aboliamo tutto il vecchio
diritto imperiale e quello canonico [...] D'ora in poi non devono più esserci giuristi o avvo-
cati” (A. E. BALDINI, Gli “Statuti di Wolfaria” di Johannes Eberlin, in “Memorie dell'Ac-
cademia delle Scienze di Torino. Classe di Sc. Morali, Stor. Filol.” S. V, vol. 10, fasc. 3-4
(1986), p. 64).
36
Ripubblicata da G. KISCH, Claudius Cantiuncula. Ein Basler Jurist und Humanist
des 16. Jahrhunderts, Basel 1970, pp. 163-214. Sul testo aveva già richiamato l'attenzione
R. STINTZING, Geschichte der Deutschen Rechtswissenschaft, München-Leipzig 1880, I, p.
100.
37
D'altronde questi sono gli anni in cui si rinnova un forte dibattito sul problema del-
l'aequitas; cfr. in proposito G. KISCH, Erasmus und die Jurisprudenz seiner Zeit, Basel
1960. Significativo documento delle tensioni presenti anche negli ambienti dei giuristi pro-
fessionisti può essere considerata la curiosa lettera scritta nel settembre del 1539 da Pierre
Loriot al governo di Basilea: chiedeva di sostenere una disputa in cui dimostrare “ius illud
[romanum] non solum Mosaicis, verum etiam Christi legibus est contrarium” contro l'opi-
nione di quelle persone che, seppure “magni nominis”, affermavano “Dei quidem decreta
optima esse illa, tamen nullam reip. concernere politiam”; uno dei terreni su cui eviden-
ziava il distacco tra diritto romano e leggi evangeliche era proprio quello che qui interessa:
“Romanis legibus permittuntur usurae, permittuntur in contrahendo deceptiones, modo do-
lus absit; at coelestia oracula neque usuras admittunt neque deceptiones ullas” (Die Amer-
bachkorrespondenz, hgb. A. HARTMANN, V, Basel 1958, pp. 240-242).
38
La bibliografia in tema è da un lato molto vasta, ma dall'altro anche abbastanza defi-
citaria, soprattutto per quanto riguarda le analisi dei testi: oltre al classico volume di F.
WIEACKER, Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania,
Milano 1980, I, pp. 177 e ss, cfr., tra i più recenti contributi, G. STRAUSS, Law, Resistance,
and the State. The Opposition to Roman Law in Reformation Germany, Princeton 1986.
39
Ricordiamo ad esempio F. E. CRANZ, An Essay in the Development of Luther's
Thought on Justice, Law and Society, Cambridge (Mass.) 1964 [Harvard Theological Stu-
10
Postea disputatum est de lege Christi, ubi ego multis verbis adfirmavi non oportere
nos secundum legem Christi res politicas iudicare, quia evangelium permittit nobis
libertatem utendi legibus civilibus vel Romanis42.
hic disputant recentiores utrum liceat Christianis exercere foenus. Nos breviter re-
spondemus, Christiano licere uti contractibus quos leges probant [...] quemadmodum
licet Christiano uti aliis politicis ordinationibus [...] Multi hoc tempore miras tra-
goedias agunt de contractibus, qui nostris temporibus in usu sunt. Nos meminisse
convenit, quod iudicium de contractibus non pertinet ad privatos homines aut do-
centes Evangelium. Tota res ad magistratum reiicienda est. Is debet pronunciare qui
contractus sint probandi, sicut medici est pronuntiare quae pharmaca danda sint in
febri, quae in pleuritide. Itaque non est permittendum concionatoribus ut sibi sumant
iudicium de contractibus, praesertim contra iudicium publicarum legum [...] satis est
in negotiis civilibus probabili ratione uti. Non ubique demonstrationes aut exactis-
simae rationes quaerendae sunt47.
44
“Insaniebat igitur Monetarius cum volebat restituere Mosaicam politiam [...] cum
volebat res iudicari ex legibus Moysi. Nam evangelium non iubet gentes recipere politiam
Moysi” (CR XXI, col. 550); sintetici cenni ai problemi del restituzionismo si possono tro-
vare in P. J. KLASSEN, The Economics of Anabaptism 1525 - 1560, The Hague 1964.
45
CR XVI, coll. 417-418. Analoghe argomentazioni erano usate da Melantone nella
coeva disputa sul problema del giuramento: cfr. P. PRODI, Il sacramento del potere. Il giu-
ramento politico nella storia costituzionale dell'Occidente, Bologna 1992, pp. 305 e ss.
46
CR XVI, col. 421.
47
Ibid, coll. 429-430. Nei Commentarii in aliquot politicorum libros Aristotelis è evi-
dente la connessione tra polemica anti-radicale e questione della validità del diritto “dotto”
e/o “romano”: nelle pagine successive a quelle qui citate ricorrono interessanti considera-
zioni sul problema se sia meglio governare in base a leggi scritte o ad arbitrio; così come si
rinnova la polemica contro il carattere vincolante della politia mosaica. Echi di tali dibattiti
si possono trovare anche nelle opere di giuristi professionisti, ad esempio Johann
OLDENDORP, De iure et aequitate disputatio forensis, Coloniae 1541 ; il titolo VI era inti-
tolato “Iure scripto ne an equitate iudicandum sit” e il quesito (cui Oldendorp rispondeva
positivamente) era se il cristiano potesse legittimamente usare le leggi scritte, “non obstante
ea que ex evangelio solent allegari a phanaticis [...] quia Evangelium sicut vitam corpora-
lem non abolet, ita nec legem et ordinationes sine quibus vita corporalis constare non po-
test, vult aboleri [...] evangelium non mutat politias nec imponit gentibus mosaycam ordi-
nationem” (cito dall'edizione Tomus XVII Tractatuum, Venetiis 1550, c. 146v; per questa
raccolta cfr. nota 3). Sulla polemica dei giuristi contro i “phanatici” cfr. qualche cenno in A.
12
Il brano ci sembra di una tale limpidezza che non necessita molte parole
di commento, se per non questo richiamo alla probabilis ratio come criterio
di giudizio delle umane cose, termine che ricorrerà con ancora più frequenza
nella di poco successiva Philosophiae moralis epitome. In questo scritto è
affrontato con più ampiezza il problema dell'usura, all'interno di una visione
complessiva in cui la “philosophia moralis” è ben distinta dal Vangelo, e per
la quale vale il principio della ratio probabilis; vi troviamo quella defini-
zione di usura, “lucrum supra sortem exactum tantum proter officium mu-
tuationis”, che piacque a Du Moulin tanto da fargli così affermare: “nemo
unquam dexterius et dilucidius [definivit] quam doctissimus ille Philippus
Melanchton” [5-6]. Quel Melantone che, nella polemica contro Strauss, si
richiamava a Gerson per affermare la liceità dei contratti di rendita; anche se
ovviamente restava ancora sostanzialmente legato ad una concezione del
denaro di tipo aristotelico48.
In quest'opera Melantone affrontava anche questioni di carattere più
specifico, quali ad esempio il criterio del lucro cessante quale criterio di giu-
stificazione dell'interesse: “etsi autem obscurior est ratio de lucro cessante
ante moram, tamen si sit probabilis ratio, etiam concedendum est [...] Est
[...] in his negotiis illud etiam considerandum quod sufficit habere probabi-
lem rationem et consentaneam legibus”49.
Tutta la costruzione melantoniana si basava in quest'opera sulla ricor-
data distinzione tra la “politia mosaica” (che “nihil pertinet ad nos”)50 e
Vangeli, e tra Vangeli e le “ordinationes politicae”:
tenenda est igitur utilis regula: contractus legibus et autoritate magistratus, hoc est,
boni et sapientis iudicis seu iurisconsulti approbatos, concessos esse christiano ho-
mini. Licet enim christiano uti politicis ordinationibus. Et hae ordinationes valent
non solum propter rationem, sed etiam propter autoritatem magistratus, quam Deus
approbat51.
MAZZACANE, Scienza, logica e ideologia nella giurisprudenza tedesca del sec. XVI, Milano
1971, pp. 67 e 149.
48
Cfr. infra testo corrispondente a nota 92.
49
CR XVI, col. 141 (corsivo mio).
50
Per comprendere quanto potesse essere innovativa e carica di conseguenze una posi-
zione del genere bisogna non dimenticare come i passi del Levitico o del Deuteronomio
fossero invece comunemente usati nell'esegesi dei problemi dell'usura.
51
CR XVI, col. 131.
52
De dignitate legum CR XI, coll. 358 (KISCH, Melanchtons Rechts- und Soziallehre,
cit., p. 222).
13
53
Loci Communes theologici [1543], CR XXI, col. 1000.
54
H. SCHURPF, Consiliorum sive responsorum iuris centuria prima [-tertia], Franco-
furti, apud haeredes Christiani Egenolphi 1594: cons. II 50 e III 83.
55
AEPINI, In psalmum XV. Davidis, cit., cc. 26v-27v.
56
E cfr. anche § 254: “ego puto in Parabolis sicut et in Ecclesiastico multa contineri
praecepta et documenta oeconomica et politica philosophiae moralis, pro talibus acci-
pienda, non autem continuo trahenda ad obligationem legis divinae, sicut nec ad gratiam et
virtutem Evangelii”.
14
57
R. DE ROOVER, L'Evolution de la Lettre de Change XIVe-XVIIIe siècles, Paris 1953,
p. 123.
58
Cfr. da ultimo le considerazioni di U. SANTARELLI, Mercanti e società di mercanti,
Torino 19922, pp. 152 e ss.
59
H.-P. HASSE, Karlstadts Traktat 'De usura', in “Zeitschrift der Savigny-Stiftung für
Rechtsgeschichte. K. A.” LXXVI (1990), p. 327.
15
Cum ex hypothesi debitori suppetat unde commode et retenta bona parte lucri possit
reddere sortem cum usura, sequitur huiusmodi usuram non esse in damnum nec in
fraudem proximi, sed potius in aliquam non modicam eius utilitatem; tantum abest
ut aliquatenus sit contra charitatem vel dilectionem proximi; igitur non est contra le-
ges divinas vel naturales, ergo etiam in conscientia licita est [10].
Non obstat universalis illa negativa Lucae 6, ibi Nihil inde sperantes; quia illic Chri-
stus non de usura, sed restitutione sortis vel repensione aequalis beneficii loquitur
[11].
animadvertendum est Christum his verbis non praecipere de mutuo aut usuris non
sperandis vel recipiendis, sed solum praecipere de mutuo dando; quod ita demon-
stratur: nam si iis verbis iuberet usuras non sperari, seu non accipi, etiam iuberet ip-
sam sortem mutuo datam non exigi; non enim dicit Christus usuras inde non spe-
rantes, sed nihil sperantes; quae verba non tantum ad usuras sed etiam ad sortem ip-
sam referuntur [...] Christus saltem iubet ut mutuum demus sub hac conditione
etiamsi nihil speremus nos recepturos neque ex sorte neque ex usuris61.
Sulla stessa linea si era mosso pure Hotman, sia nella accademica Di-
sputatio de foenore del 1551 (“Quando inopi propter Dominum daturus es,
60
Anche in Hotman vi è analogo ragionamento: “De paupere et eo qui necessitate
premitur, nunc nihil quaerimus. Gratis enim illi mutuo dandum est. De locuplete igitur am-
bigimus, qui cum nullius opis indigeat, quaeritur ex alterius pecunia suas augere copias”
(De foenore, in Opera, Lugduni, sumpt. Haered. Eust. Vignon et Iacobi Stoer 1599, I, col.
803). Su come venne subito utilizzata questa nuova prospettiva, ad esempio nel dibattito sui
“cambi”, cfr. R. SAVELLI, Modelli giuridici e cultura mercantile tra XVI e XVII secolo, in
“Materiali per una storia della cultura giuridica” XVIII (1988), pp. 9 e ss.
61
H. DONELLUS, Opera omnia, VIII, Florentiae 1846: Ad titulum XXXII lib. IV Cod. de
usuris, coll. 425-426. .
16
haec eadem et donatio et mutuatio est”)62, sia nel successivo opuscolo Ad-
vertissement sur le fait del'usure63. Echi di questi dibattiti d'oltralpe, di quel
“crypto-Calvinist club” di cui ha scritto Kelley64, si possono trovare abba-
stanza rapidamente in Italia: a Roma nel 1557 Antonio Massa pubblica la
sua breve e dotta trattazione in tema, e anch'egli osserva che dal confronto
delle parole di Matteo con quelle di Luca “patet quod ubi dixit mutuum date
nihil inde sperantes, non locutus est de usuris, quae iam a Mose erant prohi-
bitae [...] sed sensit de ipsa sorte mutuata”65. Da Du Moulin a una schiera di
esegeti più o meno illustri, passa il principio che il precetto evangelico non
riguarda tanto le usurae quanto la sors stessa.
Se ciò è vero, diventa evidente che i beni oggetto del mutuo (a incomin-
ciare dal denaro) entrano in un sistema di relazioni diverse, significa che il
termine mutuum perde una sua precisa e consolidata connotazione giuridica,
di figura contrattuale, per passare a designare anche altri tipi di relazioni tra
le persone. In questo senso l'operazione svolta da Du Moulin (e di quanti si
collocarono su questa strada) risulta del tutto trasparente nel momento in cui
sottopone a esegesi critica la molteplicità di usi e significati del termine
mutuum, e i molteplici sistemi di relazioni sociali e giuridiche sottesi a tale
rapporto:
Mutui [...] triplex est usus. Primus per modum vere eleemosynae, ut quando fit indi-
genti, etiam si numquam reddere queat, et sine spe restitutionis [...] Secundus per
modum simplicis officiositatis temporariae et gratuitae, ut quando omnino speratur
reddi et ad hoc recipiens obligatur praecise. Tertius per modum negociationis, ut
quando creditori non mutuat gratis, sed de certo quaestu paciscitur [73].66
62
Opera, cit., I, col. 799.
63
Lyon, par Macé Bonhomme 1552, pp. 26-27: “la doctrine et enseignement que no-
stre seigneur nous donne en ce passage c'est que faisans bien à un chacun, nous n'ayons au-
tre regard que de secourir et aider à autruy sans aucun consideracion de nous mesmes; et
que par ce moyen nous sourpassions en humanitté les gentilz et payens, qui ne font iamais
plaisir si non à ceulx desquelz ilz attendent bonne recompense [...] Par ainsi ce que nostre
Seigneur adiouste incontinent apres [...] aimez voz ennemis, faictez leur du bien, et prestez
sans en rien esperer; ne se doit entendre ny de l'usure, ny du principal; mais comme s'il di-
soit sans esperer rien des choses que les hommes qui veullent acquerir la bonne grace de
quelcun ont coustume d'attendre de ceux ausquelz ilz font quelque plaisir, un bon tour a la
pareille [...] Autrement nous voyons ce qu'il s'ensuivroyt c'est a savoir que Iesus Christ eust
estably une loy politique, ce qui n'estoit ny son intention ny son office”. La carità cristiana,
agli occhi di Hotman, è radicalmente diversa dalla officiositas classica (e Cicerone è qui
espresamente richiamato in contrapposizione al discorso evangelico).
64
KELLEY, Foundations of Modern Historical Scholarship, cit., p. 101.
65
De Usuris, Apud Valerium Doricum, p. 36
66
E cfr. anche il § 90: “Tota autem epitasis versatur super verbo mutuum, quod non
semper eodem modo fit [...] Nempe in sacris literis quandoque exigitur etiam sine spe re-
stitutionis ut Lucae 6 [...] et tunc non est proprie mutuum, sed mera eleemosyna. Quando-
que cum spe restitutionis, prout charitas [...] et tunc proprie et stricte accipitur, nec usuram
aut aliquam accessionem patitur, quia non est negociatio, sed officiositas. Quandoque acci-
pitur pro foenore seu actu negociationis, ut quando ab initio mutuatur sub certis usuris et illi
cum quo licet alias pacisci de lucro vel quaestu; et tunc non est proprie et mere mutuum,
sed foenus et actus negociationis”.
17
merum mutuum est quod proprie et stricte capitur, videlicet quando realiter fit de
meo tuum, ut liberaliter utaris et tantundem duntaxat reddas [...] substantiale et finis
mutui [...] nihil aliud est quam officium et liberalitas usus, sive officiosa concessio
usus rei fungibilis, ut tantundem postea reddatur [...] quando fit sub usuris tunc enim
omnium maxime degenerat a simplicitate et substantia mutui, quae principaliter in
officio et liberalitate consistit, imo mutuum proprie nihil aliud est quam officium et
donatio usus pecuniae; sed si fiat sub usuris, iam venditur officium et sic desinit esse
officium, et transit in negotium foeneratorium [...] qui mutuat non negocium sed of-
ficium et liberalitatem exercet [...] unde si paciscitur de usuris, contra naturam actus
facit; et quanto gravioribus usuris, tanto honestum et liberalem officium in negocium
illiberale et odiosum foenoris commercium convertit [654, 656, 664].
67
CR XVI, col. 592.
18
Tres sunt hominum ordines in hac vita [...] Quidam sunt pauperes, qui inevitabili
paupertatis necessitate adiguntur ad mendicitatem, qui acceptum reddere nequeunt.
Alij sunt indigentes, his alieno auxilio ad tempus opus est [...] Tertij ordinis sunt qui
possessiones tenent [...] Ex hac ordinum distributione iuditium sumendum est de his
quibus gratis debeatur et cum quibus liceat pacisci de lucro [... Dominus] primi or-
dini homines iubet iuvare gratuita beneficentia sive eleemosyna [...] Ad hunc secun-
dum ordinem referendae sunt divinae leges de mutuo et usuris [...] quae significanter
loquuntur de indigentibus, non de omnibus70
L'errore dei teologi scolastici così come dei radicali catabaptistae era
stato in qualche modo simile: entrambi volevano che il mutuo si facesse in
egual modo verso tutti. I primi, di fronte all'impossibilità pratica di conci-
liare il mondo con il Vangelo, avevano ridotto i precetti a meri consilia; i
secondi li avevano mantenuti nel loro valore originario, opponendoli alle
leggi civili. Ma l'errore concettuale era sostanzialmente identico71.
Come aveva già notato Nelson questo tipo di argomentazione (relativa-
mente a tre ordini di soggetti) aveva un precedente importante, anche se non
68
Du Moulin utilizza come auctoritas della sua affermazione un passo del Decretum
(c.2, C.V, q.V) tratto dalla epistola 93 “ad Vincentium Donatistam” di S. Agostino, su cui
aveva richiamato l'attenzione già Gabriel Biel, per dichiarare anch'egli “sicut non de omni-
bus bonis danda est elemosyna, ita nec omnibus est indiscrete eroganda” (G. BIEL, In
quartum librum sententiarum, Basilee, Iacob de Pfortzen, 1512, dist. XVI, q. IV).
69
A dire il vero ricorda anche un altro non identificato personaggio che aveva svilup-
pato concetti analoghi: “Multum olim delectatus sum audiens a quodam theologo publice
Parisiis Psalterium interpretante [...] sic exponi, Pauperem esse qui omnino indiget nec red-
dere potest, et huic non mutuandum sed dandum. Egenum vero esse qui aliquando com-
mode reddere poterit, sed nunc indiget, ut qui habet filiam elocandam nec tantum pecuniae
numeratae habet ut ad dotem sufficiat [...] et huic gratis mutuandum [...] At quosdam esse
qui creditam sibi pecuniam cupiant ut negocientur vel latifundia dilatent, et ab his licere re-
ditus emere” [85]. Un certo tipo di argomentazioni stava evidentemente prendendo piede.
70
AEPINUS, In psalmum XV. Davidis commentarius, cit., cc. 27v-28r.
71
Ibid., cc. 29v-30r
19
72
Usura e cristianesimo, cit., p. 106 nota.
73
Pro Monte pietatis. Consilia sacrorum Theologorum ac collegiorum Patavii et
Perusii. Clarissimorumque doctorum dd. Ioannis Baptistae Rozelli et Ioannis Campegii,
[Venezia, Giovanni Tacuino, 1495-1497]. E cfr. R. SAVELLI, Aspetti del dibattito quattro-
centesco sui monti di pietà: consilia e tractatus, in Banchi pubblici, banchi privati e monti
di pietà nell'Europa preindustriale, “Atti della Società ligure di storia patria” CV (1991),
pp. 541-560.
74
Cfr. nota 69. Ma bisogna ricordare che una tripartizione della società dal punto di vi-
sta dei livelli di ricchezza si trova anche in altro autore molto utilizzato da Du Moulin,
SUMMENHART, De contractibus, q. XIX (ed. cit., cc. 57-58).
75
Consilia elegantissima in materia usurarum, Lipsiae per Melchiorem Lotter, 1508;
su Cuppener ha richiamato recentemente l'attenzione I. Birocchi, Tra elaborazioni nuove e
dottrine tradizionali. Il contratto trino e la natura contractus, in “Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno” 19 (1990), pp. 275 e ss, cui si rinvia per la prece-
dente bibliografia.
76
E cfr. § 518 laddove spiega quando l'usura sia “de se mala et iure divino et decretis
sanctorum patrum damnata”: “primo ad foenus improbum ratione nimii excessus et laesio-
nis [...] secundo, quando foenus est alias temperatum [...] sed exigitur ab eo cui eleemosyna
vel officiositas mutui debetur”.
20
77
§ 80, corsivo mio.
78
Sul problema delle usurae centesimae cfr. il recente contributo di H. TROJE, Zur
humanistischen Jurisprudenz, in Festschrift für Hermann Heimpel, Göttingen 1972, II, pp.
125-139.
79
HOTMAN, Epitomatorum in pandectas (XXII De usuris), in Opera, cit., I, col.
411.
21
nea: qui vi è una struttura di diverse usurae legitimae che in una scala di-
scendente vanno dalle centesimae alle unciales, e che fanno riferimento alle
diverse qualità personali (illustris, mercante, etc.) o alla tipologia del con-
tratto (ad esempio i contratti di mare, etc.). Questa si può considerare omo-
loga alla tradizionale interpretazione che legava il criterio del lucrum ces-
sans alla condizione di mercante professionista.
Vi è anche un terza lettura che emerge saltuariamente e che sembre-
rebbe talvolta mettere in discussione la precedente. Proprio quando Du
Moulin discute del principio del lucro cessante, e dichiara di consentire con
Melantone “qui [...] scripsit iudicem probabili ratione etiam ad reliquas per-
sonas lucri cessantis exemplum accomodare posse”80; o quando tratta della
quantità lecita dell'interusurium: anche in questo caso propende nell'affer-
mare che è meglio non fare differenze tra chi è e chi non è mercante
(“promiscuum interusurium de quo agitur non debet aestimari ex singulari
utilitate certi hominis, vel hominum certae professionis, sed communiter [...]
secundum utilitatem quae communiter haberi posset ex reditibus praediorum
[...] Igitur ob qualitatem personarum non decet variare aestimationem [...]
interusurii” [606]). Probabilmente in questa terza lettura entra in gioco an-
che una diversa considerazione sociale della figura del mercante, che non
sembra svolgere un ruolo centrale nel sistema del giurista parigino, molto
più attento ai problemi del mondo della terra81. Ma se l'essere mercante
viene in qualche modo svalutato come criterio preferenziale, si offre una
possibilità maggiore all'universo dei soggetti.
D'altronde questa era una prospettiva dominante nella cultura francese
(rispetto a quella che possiamo considerare più diffusa nel mondo italiano);
mi è sembrato estremamente significativo un passo di una relazione ano-
nima sui problemi finanziari in Francia, redatta a metà Cinquecento, in cui si
trova un'originale rilettura dei problemi della diversità dei soggetti. In esso
vi è un preciso rinvio a quello che possiamo considerare un sistema di rela-
zioni sociali in cui il mercante svolge un ruolo importante ma tutt'altro che
egemone; illustrando i differenti tassi d'interessi presenti sul mercato, l'ano-
nimo autore ricordava come fosse necessario
aussi faire mention des pris qui sont différents l'un de l'aultre, selon la qualité des
personnes qui prennent argent à interestz; car ung marchant qui faict grand traffique
de marchandise trouvera plustot à emprunter et à meilleur marché que ne fera ung
gentilhomme ou aultre personne qui n'a la fréquentacion et le crédit pour ce faire, et
n'a coustume de payer ses debtes à jour nommé, comme font lesdictz marchans82
Questa è un'altra prospettiva (per quel rinvio a come i nobili non pa-
80
§ 30; il riferimento primo è alla Philosophiae moralis epitome (ed. cit. col. 138), ma
sono pure ricordati, ovviamente, non solo giuristi come Ancarano, ma anche teologi quali
Biel e Summenhart, esponenti di quella via nova su cui tanto ha insistito Obermann nei suoi
studi sulle origini della riforma.
81
Cfr. anche § 537: “Nihil autem temperantius et naturali ratione hac in re congruen-
tius quam restringere ad lucrum seu proventum qui redit collocata sorte in emptione prae-
diorum, secundum communem et iustam aestimationem”.
82
A. CHAMBERLAND - H. HAUSER, La banque et les changes au temps de Henri II, in
“Revue Historique” LIV (1929), t. 160, p. 276.
22
mercatori licitum est ex negociatione sua congruum quaestum facere et tamen sive
mutuet pecuniam de qua negociaturus erat, sive ex venditione mercium [...] non po-
test de iure civili ultra besses usuras stipulari [...] Cum enim certum sit mercatores
communiter plus solere lucrari, quis dubitat hoc probari potest? Igitur metae d. .l.
eos procedunt et ligant etiam si constaret et creditor probare vellet de maiori quaestu
vel lucro omisso [503]83.
83
E cfr. anche § 522: “quanquam negociantibus tolerandus sit aliquis etiam paulo
quam aliis laxior usus usurae, non tamen debent iudices [...] pati metas sanctissimas et
aequabilissimas iuris civilis excedi praetextu interusurii etiam inter negotiatores, quia
abunde sufficit bessis”
84
Il consilium in questione è il 111; anche al § 522 critica Decio per lo stesso consi-
lium, pronunciato contro “veritatem iuris civilis nondum tempore suo detectam” in quanto
superava “aestimationem et metam sancitam iure civili” (cfr. Ph. DECII, Consilia, Lugduni
1565, cc. 120r-121v; e anche nelle note apposte a questo consilium Du Moulin riprendeva il
concetto).
85
“Succedanei usurarum” sono definiti ai §§ 128 e 443: “hi reditus verissime succeda-
nei sunt veterum usurarum, nec possunt censeri proprie inter negociationes commutativas,
cum nulla res vere commutetur”. In realtà altrove Du Moulin aderiva a quella che possiamo
23
questa ottica credo vada letta l'insistenza sullo ius civile, da un lato come
criterio e meta insuperabile, dall'altro, però, come modello legittimante. E
questo è anche il motivo per cui Du Moulin poteva richiamare in proposito
più volte l'autorità di Gerson (come si è visto), per affermare “arbitrio legi-
slatoris subjacet contractuum modificatio, limitatio vel amplificatio”86.
Era anche un modo per cercare di fare i conti con la realtà del mercato
del credito, quel mercato in cui, secondo la lettura di un passo di Baldo fatta
dal giurista parigino, “expedit multos invenire foeneratores, alioquin multi
fame perirent” [77]87.
Il problema del credito fa emergere un'altra corrente di pensiero cui Du
Moulin si mostra decisamente legato, vale a dire la tradizione aristotelica.
Aristotele era (ovviamente) una delle auctoritates più citate, e non poteva
non esserlo, visto, tra l'altro, il fervore di nuove edizioni e traduzioni pari-
gine nella prima metà del Cinquecento88. In realtà Aristotele non era solo
citato; direi che vi è un'adesione convinta, pur essendo chiaro che gli schemi
della Politica non potevano essere più sufficienti a spiegare e comprendere
la realtà contemporanea, ma restavano comunque schemi forti.
Il problema da cui possiamo partire in questo rapidissimo excursus è
quella della rilettura che Du Moulin fece dei passi aristotelici relativi alla
negociatio: “duplex negociatio. Altera rerum absolute, sive dominii et pro-
prietatis rerum acquirendarum [...] Altera non rerum absolute, sed usus vel
fruitionis ipsarum rerum” [439]. Strettamente collegato è il discorso sull'uso
delle ricchezze e sulla commutatio: onesta è quella fatta “usus, non quaestus
gratia”; mentre disonesta era quella “ex arte excogitata, ad augendas opes
sine modo, in aliorum damnum [...] ut cum res emuntur, ut rursus carius
vendantur, seu generaliter cuius finis usus non est, sed quaestus” [440]. In
questa ottica la teoria del denaro come mero strumento di scambio era cen-
trale. Dalla somma di questi elementi era derivata poi una lunga e articolata
definire allora un'interpretazione ormai standardizzata: “talis reditus non est usura, sed vera
merx et res empta” [21]. Termini analoghi troviamo anche nell'Epitome di Melantone:
“merx est fundus aut ius recipiendi certos reditus” (ed. cit. col. 134). La via maestra con cui
si legittimava questo genere di contratti era quello del ricorso alla tradizionale categoria
dell'emptio-venditio, cfr. infra testo corrispondente a nota 99.
86
Cfr. supra nota 29.
87
In realtà i passi cui fa riferimento erano meno icastici: “saepe ad utilitatem pertinet
usuras conventionales solvere, alias raro inveniret mutuantem” (B. UBALDI, Consiliorum ...
volumen tertium, Venetiis 1575, n. 252) e “expedit multoties quod etiam reperiantur fene-
ratores, quia charitas est omnino annichilata” (ID., In treis primos libros Codicis ... com-
mentaria, Lugduni, apud heredes Joannis Moylin, 1544, c. 5v [C.1.1.1]).
88
Cfr. ad esempio § 532, dove sono ricordate le traduzioni e i commenti della Politica
di Lefèvre d'Etaples, Joachim Perion e di Jacques-Louis d'Estrebay. Sul ruolo del pensiero
di Aristotele e le affinità nella fattispecie con la tradizione romanistica cfr. GROSSI, Ricer-
che sulle obbligazioni pecuniarie, cit., pp. 61 e ss, 355 e ss.
24
tradizione esegetica che condannava l'interesse del denaro come contro na-
tura (sia contro la natura di mezzo di scambio, sia contro il fine
“onesto” dell'uso delle ricchezze)89.
De Moulin si rendeva ben conto come questo schema si presentasse in-
sufficiente, ma bisogna riconoscere che se ne allontana solo parzialmente,
ne resta in fondo influenzato, soprattutto per alcuni giudizi legati al pro-
blema del denaro.
È interessante quindi cogliere nelle pagine del suo Tractatus le tensioni
che il modello di derivazione aristotelico induce. Per certi aspetti è evidente
il distacco da quella che abbiamo definito la tradizione aristotelica. Vi è, ad
esempio, una ricostruzione storica delle posizioni di quei teologi e filosofi
che hanno cercato di dimostrare come l'usura fosse contro natura. A queste
posizioni Du Moulin obietta che:
ipsa rerum experientia et communis sensus ostendunt usum seu fruitionem pecuniae
habere utilitatem usibus hominum commodam et aestimabilem, praeter ipsius sortis
quantitatem vel restitutionem [...] et sic puerile est dicere quod usus pecuniae non
possit seorsum considerari a sorte, eo quod eius usus eiusdem consumptio est; quia
imo usus et fruitio pecuniae non solum consistit in prima momentanea expensa [...]
sed etiam in successivo usu mercium vel rerum inde comparatarum [530].
89
Sul carattere estremamente variegato di questa tradizione sono ora da vedere gli
studi di O. LANGHOLM, Wealth and Money in the Aristotelian Tradition, Bergen 1983;ID.,
The Aristotelian Analysis of Usury, Bergen 1984; ID., Economics in the Medieval Schools.
Wealth, Exchange, Value, Money and Usury according to the Paris Theological Tradition
1200-1350, Leiden 1992
90
E il passo così prosegue: “enim inter eos qui negociantur, clarum est quod plures
crebro multoque usu aeris alieni indigent, nec omnibus nec semper expedit societatem con-
trahere [...] nec inveniuntur qui gratis mutuent, nec his, qui de negotiando et lucrando cer-
tant, mutuum gratuitum debetur”; tanto che fu concesso “creditoribus pacisci de omni
praetenso interesse, etiam lucri cessantis, quantumcumque sit, postquam invaluit stulta illa
et non minus perniciosa quam superstitiosa opinio de usura, de se absolute mala deque im-
pietate et iniquitate iuris civilis in re usuraria”
25
Il concetto che ritorna più volte nelle pagine di Du Moulin è che non
“debet [...] sola pecunia tantum parere et valere quantum iuncta cum indu-
stria et periculo” [608]91. Tale giudizio, come sta a sottolineare quell'onni-
presente non debet, era palesemente il risultato di una concezione del denaro
in cui forte era la componente di carattere morale.
In effetti una gran parte delle discussioni che si erano succedute sul pro-
blema dell'usura/interesse era legata proprio alle risposte che si davano alla
domanda: cosa è questo misterioso oggetto che si definisce denaro? E, poi,
cosa era il denaro per Du Moulin? Come era sintetizzato in uno dei titoli
marginali “pecunia non est merx” e aggiungeva (riprendendo da Aristotele e
D.46.1.42 qui appaiati) “nec venit appellatione mercium vel similium rerum,
nec per eas aestimatur, sed omnes res aestimat”[694]. Sarebbe senz'altro di
grande interesse svolgere una indagine su come ad un certo punto nella dot-
trina compaia e venga accettata la diversa teoria in base alla quale anche la
pecunia può essere considerata merx. Se restiamo vicini alle fonti più utiliz-
zate da Du Moulin possiamo trovare che anche Melantone era sostanzial-
mente allineato su posizioni del genere: “Pretium non debet esse merx; pe-
91
E cfr. ad esempio § 504: “pecunia non tantum parere debet quam industria” (corsivi
miei).
26
92
Philosophiae moralis epitome, cit., col. 128. Sul problema della pecunia-merx con-
siderazioni in Grossi, Ricerche sulle obbligazioni pecuniarie, cit, pp. 180, 357-362, 438; J.
A. MARAVALL, Stato moderno e mentalità sociale, Bologna 1991, II, pp. 81 e ss.
93
R. EHRENBERG, Le Siècle de Fugger, Paris 1955, in specie pp. 239 e ss; D.
GIOFFRÉ', Gênes et les foires de Change. De Lyon à Besançon, Paris 1960; E. OTTE, Sevilla
y las ferias genovesas: Lyon y Besançon. 1503-1560, in Rapporti Genova-Mediterraneo-
Atlantico nell'età moderna, Atti del congresso Internazionale di studi storici, a c. di R. Bel-
vederi, Genova 1983, pp. 247-277.
94
R. GASCON, Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses mar-
chands, Paris-La Haye 1971, I, pp. 339-340; II, pp. 711, 941 e ss.
95
Mi sembra il caso di segnalare con quali metafore, ancora a metà Seicento, fosse
nominata la piazza di Lione secondo la testimonianza di un attento gesuita come Joseph
Gibalin : “fuit qui forum lugdunense theatrum iniquitatis, Babylonem alteram, nutricem pu-
blicae usurae [...] compellaret” (J. GIBALINUS, De usuris, commerciis, deque aequitate et
usu fori lugdunensis, Lugduni, sumpt. Phil. Borde, Laur. Arnaud et Cl. Rigaud, 1657, p. 2).
La polemica sugli usi di Lione riprese poi negli anni Settanta del Seicento, in relazione an-
che all'Ordonnance sur le commerce: cfr. l'opera di Gaitte sopra ricordata (cfr. nota 13, la
prima edizione dovrebbe essere del 1673) e la polemica risposta Mutuatio licita pecuniae,
seu tractatus de aequitate trium contractuum qui exercentur in negotiatione et cambio lug-
dunensi, Coloniae, apud Ioannem Piquet 1678. Indicazioni bibliografiche in M.
COURDURIÉ, La dette des collectivités publiques de Marseille au XVIIIe siècle, Marseille
1974, pp. 31 e ss.
27
hodie de facto Lugduni crebrius non iusti mercatores, sed hi qui nunquam mercatu-
ram exercuerunt, vel eam deseruerunt, nummularias illas mensas vel societates, quas
vocant Banques, erigunt et meram solamque foeneratitiam exercent et tamen in hoc
privilegio iustorum mercatorum frui volunt [504].
Du Moulin comprende bene quali potessero essere gli effetti sul mercato
di una simile presenza, allineandosi su quella che diventerà una lamentela
comune a tutte quelle piazze commerciali, in cui il traffico dei cambi di-
venne concorrenziale con più tradizionali attività: “difficilius et carius red-
ditur commercium pecuniarum”, in quanto maggiori interessi sono pretesi
non solo da coloro che esercitano “propalam et ex professo [...] sed etiam
quibuslibet sive publice sive privatim, sive palam sive clam [...] imo etiam
qui non potest negociari, sed est cuiusvis diversae professionis, causari po-
test se pecuniam suam societati mercatorum in commune lucrum daturum”;
il rincaro del credito avrebbe portato sia ad un generale rincaro di tutte le
merci sia ad un progressivo abbandono delle attività manifatturiere e com-
merciali96.
Il caso delle “impiae usurae lugdunenses” fa emergere caratteristiche e
limiti della riflessione di Du Moulin: il giurista parigino si trovava palese-
mente impreparato ad affrontare la tematica (prova ne sia che sembra non
conoscere, o non cita, almeno, bibliografia specifica in proposito); si trovava
bloccato tra due sistemi concettuali con i quali era quasi impossibile affron-
tare il problema delle fiere dei cambi, e della valutazione del corso degli in-
teressi.
In primo luogo perché in queste fiere correvano interessi intorno al 16-
18% annuo (4-4,5% per fiera)97 di gran lunga superiori a quanto potesse es-
sere ammissibile all'interno dello schema dell'abacus usurarum da lui co-
struito sulla base della compilazione giustinianea (e che secondo il giurista
parigino prevedeva un massimo eccezionale del 12%). Questi operatori su-
peravano abitualmente le “metas iuris l. eos”.
In secondo luogo l'operatore “bancario” sulle fiere si trovava ad essere
una figura che non rientrava entro i paradigmi che identificavano le diverse
attività economiche di tipo lecito:
non enim potest dici societas cum creditor nullum periculum subeat nec participet,
sed omnino certus sit de sorte et tanto lucro; nec etiam dici potest mercatura nec iu-
sta negociatio, cum creditor nullam industriam, nullum laborem, nullam mercem
(quia pecunia non est merx) adhibeat [506].
Non era poi neanche deposito “cum notorie nec creditor egeat custodia
aliena pecuniae suae, nec det in custodiam, sed in usum quaestuarium; de-
bitor vero non praestet officium depositi vel custodiae, sed sibi utendam ac-
cipiat et paciscantur de mercede usus”. E riferisce quello che gli altri affer-
96
§ 505. Per analoghe polemiche in Italia cfr. SAVELLI, Between Law and Morals, cit.,
pp. 55 e ss.
97
Dati riscontrati anche da R. DOUCET, Finances municipales et crédit public à Lyon
au XVIe siècle, Paris 1937.
28
mavano essere, ma che per lui era inaccettabile: “vulgo enim hanc vocant
mercaturam argenti, et lucrum ipsum precium argenti” [507].
In questi paragrafi Du Moulin rimette in uso tutte le espressioni possi-
bili di condanna (“gravissimum peccatum et scandalum contra legem dei,
contra sacras leges et decreta concilii Niceni”) e si mostra perfino scandaliz-
zato verso il manuale di aritmetica di Juan de Ortega, in cui si insegnava a
calcolare gli interessi (così come, in realtà, si faceva da tempo in questo ge-
nere di trattati, a incominciare da quello di Luca Pacioli)98.
Adesso che abbiamo risposto al quesito da cui eravamo partiti, vale a
dire come fosse possibile utilizzare Du Moulin in chiave rigorista, possiamo
trarre le fila di questo nostro intervento.
La polemica sul problema dei cambi risulta nel Tractatus commercio-
rum tanto violenta quanto marginale. In fondo Du Moulin dimostra di cono-
scere bene le tecniche, la realtà e le conseguenze di questo mercato, ma è
proprio il nucleo che gli sfugge, vale a dire la “mercatura argenti”, vale a
dire che il denaro e i suoi equivalenti (magari immaginari come lo scudo di
marche) potevano essere anche visti come merx, e che quindi a queste atti-
vità si potessero applicare gli schemi dell'emptio-venditio99. In questo caso
Du Moulin sembra essere molto più legato ad una condanna di tipo politico-
morale, diffusa in molti strati della società francese. Il sistema di relazioni
cresciute attorno alle fiere dei cambi restava ancora parzialmente estraneo a
molti ambienti economici e culturali100.
D'altronde il mondo europeo cinquecentesco non si presentava unitario
e omogeneo né dal punto di vista degli strumenti economici né dal punto di
vista delle teorie. È indubbio che il sistema delle fiere dei cambi coinvol-
geva linee di traffici che facevano centro soprattutto sul sistema ispano-im-
periale e sulle aree economiche collegate (penisola iberica, Italia, paesi eu-
98
Del volume di Ortega ho visto l'edizione italiana stampata a Roma da Guillery nel
1515 (Summa de artihmetica); su questo testo ha richiamato l'attenzione recentemente B.
CLAVERO, Antidora. Antropologia catolica de la economia moderna, Milano 1991, p. 111.
Sarebbe stato interessante vedere come Du Moulin avrebbe reagito di fronte all'opuscoletto
pubblicato di lì a qualche anno da Andrea LOTTINI, Calculi et conti per quelli che hanno
danari nel Christianissimo Re di Francia, Lyone Appresso Michaele Sylvio, 1556, laddove
spiega come calcolare gli interessi del 5% per fiera, in cui, invece che scrivere di interessi,
si parla di “dono”. L'opuscolo fu stampato in occasione del lancio del grand parti de Lyon
del 1555 su cui cfr. R. DOUCET, Le grand Parti de Lyon au XVIe siècle, in “Revue Histori-
que” 58 (1933), t. CLXXI, pp. 473-513, t. CLXXII, pp. 1-41.
99
Per le polemiche in proposito cfr. SAVELLI, Between Law, cit., pp. 63 e ss, 74 e ss;
sullo “scudo di marche” cfr. G. FELLONI, Un système monétaire atypique: la monnaie de
marc dans les foires de changes génoises, XVIe-XVIIIe siècle, in J. DAY (ed.), Études d'Hi-
stoire monetaire, Lille 1984, pp. 249-260.
100
A titolo esemplificativo ricordiamo un passo dell'anonima relazione sopra ricordata
(cfr. nota 82): gli operatori dei cambi a Lione “avec ung petit crédit, la plume, encre et pa-
pier, ensemble l'industrie de sçavoir traffiquer, remuer et destourner lesdictz changes [...]
sçavent si bien faire leur mestier que, en peu de temps, tout l'argent contant d'un pays vient
en leurs mains, une, deux, trois ou quatre fois l'an”. A questa condanna morale non sembra
sottrarsi (in modo abbastanza curioso) l'opera di T. BOYER-XAMBEU G. DELEPLACE L.
GUILLARD, Monnaie privée et pouvoir des princes. L'économie des relations monétaires à
la Renaissance, Paris 1986, laddove trattano (ancora) de “la corruption génoise du rôle des
marchands-banquier” (pp. 294, 403).
29
ropei allineati sulla spanish road)101, e rispetto alle quali il mondo francese
(o quello inglese) risultavano parzialmente defilati102. Prova ne sia che la
grande stagione cinquecentesca del dibattito giuridico-teologico sui cambi si
concentra soprattutto tra Italia e Spagna, mentre solo successivamente, e con
tutt'altra prospettiva, si aprirà in Francia.
Le stesse teorie - quegli occhiali con cui si leggeva la realtà, e che ne
rimandavano un'immagine più o meno aderente, più o meno distorta - pre-
sentano sistemi di valori difformi che coesistono a lungo. Non si può fare a
meno di domandarsi come, ad esempio, potessero coesistere il mondo cui
era improntata l'ideologia delle relazioni “antidorali” e quello del calcolo
economico mercantile103.
Possiamo quindi concludere, ritornando a Du Moulin: la sua opera si
colloca in una fase di transizione e di trasformazione, in cui l'interesse (e
non il dono), il mercato (e non la carità) tendono a diventare i parametri del
modello culturale dominante, ma non ovunque nello stesso modo e con gli
stessi tempi. Per questo egli resta estraneo ed ostile al mondo delle fiere dei
cambi, per tanti e diversi motivi, non ultimo quello della teoria “non mer-
cantile” del denaro104.
Al contempo gli era ben chiaro come “inter eos qui negociantur [non]
inveniuntur qui gratis mutuent” [534], perché come aveva già osservato un
giurista italiano del Quattrocento, “charitas, in mutuando gratis, mortua vi-
debatur”105. In questo prospettiva il suo contributo fu, invece, fondamentale
proprio perché tradusse e diffuse nel linguaggio comune europeo del diritto
risultati teorici provenienti da settori disciplinari e da ambienti culturali di-
versi (o comunque in tal modo furono anche lette le sue pagine): la caratte-
rizzazione puramente caritativa del mutuo e la sua estraneità al mondo dei
contratti mercantili; il primato (e la sostanziale esclusività) della legge civile
nella definizione di tale mondo.
101
Cfr. G. PARKER, The Army of Flanders and the Spanish Road. 1567-1659, Cam-
bridge 1972.
102
Si confronti, ad esempio, l'insieme dei saggi raccolti in La repubblica internazio-
nale del denaro tra XV e XVII secolo, a cura di A. DE MADDALENA e H. KELLENBENZ,
Bologna 1986.
103
Una lettura in parallelo dello straordinario volume di CLAVERO, Antidora, e, ad
esempio, dei saggi raccolti in La repubblica internazionale del denaro, può essere partico-
larmente istruttivo.
104
Per la diffusione di analoghi concetti (“it is against nature to make money a mar-
chandize”) si veda, ad esempio, il passo citato da N. JONES, God and Moneylenders. Usury
and Law in Early Modern England, Oxford 1989, p. 141. Sempre valide in proposito le
considerazioni di R. DE ROOVER, What Is Dry Exchange? [1944], in Business, Banking,
and Economic Thought in Late Medieval and Early Modern Europe, ed. by J. Kirshner,
Chicago - London 1974, pp. 198-199.
105
G. B. CACCIALUPI, Repetitio super l. Cunctos populos, in Repetitionum [...] a Pom-
peo Limpio [...] volumen VII, Venetiis, sub Signo Aquilae Renovantis, 1608, § 30, c. 9r.