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Alto Medioevo

L'Alto Medioevo è, per convenzione, quella parte del Medioevo che va dalla caduta dell'Impero
romano d'Occidente, avvenuta nel 476, all'anno 1000 circa.
A seconda dell'impostazione storiografica, il primo secolo di tale periodo, si può talvolta
sovrapporre al periodo precedente della tarda antichità, mentre l'ultimo secolo a quello successivo
del Basso Medioevo (o, per altri storici, a quello del Pieno Medioevo).

Le invasioni germaniche
Le invasioni barbariche sono delle irruzioni più o meno cruente e/o migrazioni delle popolazioni
cosiddette "barbariche" all'interno dei confini dell'Impero romano, tra la fine del IV e il VI secolo. Il
fenomeno, a volte indicato anche con il termine tedesco Völkerwanderung ("migrazioni di popoli")
che evita le connotazioni negative legato all'uso dei vocaboli "invadere" e "barbarico", si concluse
sostanzialmente con la formazione dei Regni latino-germanici (o "romano-barbarici").

Franchi
Si possono formulare due ipotesi sull'etnonimo Franchi, che deriverebbe o da un sostantivo
germanico *franka ‘giavellotto’ o da un aggettivo *frakaz ‘coraggioso’ . Un'altra possibilità è che
venga dal termine wrank, 'errante'. In seguito nel VI secolo, la definizione di Franchi venne
ricondotta al germanico frank ‘libero’. Inizialmente, all'interno dei Franchi, esistevano due
suddivisioni principali:
Franchi Sali (così chiamati perché abitavano la regione prossima alla riva del fiume Isala) stanziati
tra il basso Reno ed il mare del Nord.
Franchi Ripuari, nome il cui secondo elemento significa ‘rivierasco’ , stanziati lungo il corso del
Reno, tra le città di Treviri e Colonia.
La dinastia regale dei franchi ebbe origine dai Salii (si parla infatti di stirpe salica), gravitanti
attorno a Tournai. Dal semi-leggendario Meroveo (secondo la tradizione germanico-pagana di
discendenza divina) era nato Childerico, il cui figlio Clodoveo fu il vero fondatore di quella che si
chiamò poi dinastia dei merovingi. Salito al potere nel 481, Clodoveo coalizzò le tribù dei franchi
ed iniziò una politica di espansione a spese di Alemanni, Turingi, Burgundi (con i quali stese
un'alleanza) e Visigoti (stanziati nella Gallia del Sud fino al 507, quando furono costretti a varcare i
Pirenei), occupando anche l'ultima enclave romana di Siagrio, nella valle della Senna. Scelse come
capitale Lutetia, poi chiamata Parigi, a conclusione del processo culminato verso il 490.
L'espansione dei Franchi, che possedevano ormai quasi tutta la Gallia attirò l'attenzione di
Teodorico, che cercò di aiutare i Visigoti inviando loro delle truppe, sia dell'imperatore Anastasio,
che cercò di allearsi con Clodoveo, per ridimensionare i Goti, e di ottenere la sua sottomissione
formale. L'offerta di Anastasio da una parte poteva legittimare le conquiste, ponendolo come
ristabilimento dell'autorità sovrana romana rispetto ai suoi sudditi; dall'altra li avrebbe messi in lotta
contro i popoli germani ben molti più vicini geograficamente e culturalmente. Inoltre il regno dei
franchi, che erano tra i popoli meno romanizzati, erano l'ultimo ancora pagano in Europa.
Re Clodoveo fece allora una scelta singolare, cioè quella di convertirsi, imponendo il battesimo al
proprio popolo, non secondo la fede ariana, predominante nei popoli germanici, ma secondo il
credo niceno accettando la sottomissione solo e soltanto al vescovo di Roma. La scelta ebbe una
portata storica molto forte, in quanto i Franchi furono di fatto il primo popolo che accettò il primato
del vescovo di Roma. Le ragioni di tale scelta possono essere individuate nella volontà di Clodoveo
di legittimarsi direttamente da Roma (e quindi dall'Impero delle origini), non da Costantinopoli, e di
ribadire la propria identità nazionale con una scelta diversa da quella degli altri popoli germanici.
Accantonata la liturgia già in uso dai vescovi gallo-romani, Clodoveo fece applicare la liturgia e la
disciplina del vescovo dell'Urbe, diventando i "figli primogeniti della Chiesa romana". Dall'altra
parte la conversione presentò anche alcuni rischi per la casa regnante, perché poteva scontentare i
suoi maggiori fedeli di cultura pagana; inoltre toglieva alla sua dinastia l'aura sacrale derivata dalle
leggende. Nella pratica comunque l'accettazione del cristianesimo non va vista come assoluta,
poiché quelle popolazioni spesso avevano credenze religiose sincretiche che sicuramente convissero
con i vecchi costumi religiosi e militari tradizionali.
L'Historia francorum è un'opera di Gregorio di Tours divisi in dieci libri che raccontano la storia del
mondo dalla creazione alla cristianizzazione della Gallia, alla conversione dei franchi, alla
conquista della Gallia da parte di Clodoveo e alla storia dei sovrani franchi fino alla morte di
Sigeberto nel 575. Questo libro da la conversione di Clodoveo al natale del 496, respinta ormai da
molti storici che la collocano al 506 alla vigilia del conflitto con gli ariani visigoti. I principali
artefici della conversione regale, sempre secondo Gregorio, furono la burgunda regina Clotilde e
san Remigio, vescovo di Reims. Dopo la conversione Clodoveo chiese ad Anastasio la dignità
consolare, che ottenne ("proconsole") con le insegne relative.
Il regno di Clodoveo si frammentò tra gli eredi, secondo le usanze del tempo che consideravano le
conquiste territoriali alla stregua del patrimonio personale di beni mobili.

Capetingi
dinastia che regnò in Francia dal 987 al 1328, in linea diretta, e con i rami cadetti (Borgogna,
Vermandois, Courtenay, Artois, Angioini, Borbone, Valois, Evreux) fino al 1792 e, dopo il periodo
rivoluzionario e napoleonico, dal 1814 (con la parentesi dei Cento giorni) al 1848 "Vedi albero
genealogico, vol. V, pagg. 376 e 377" . "Per l'albero genealogico vedi il lemma del 5° volume." La
famiglia dei Capetingi, che prese il nome da Ugo Capeto, entrò nella storia francese fin dal sec. IX
con Roberto il Forte, rinomato per potenza militare e amicizie politiche; suo figlio Oddone, morto
Carlo il Grosso, fu eletto re (888), ma il suo potere fu diviso con Carlo il Semplice (897), poi unico
re alla morte del rivale . Nelle successive lotte, eccellendo per doti di valore e di abilità, Ugo Capeto
divenne vincitore di più fazioni e unico sovrano (987). Alla morte di lui (996) regnò Roberto (996-
1031), a cui succedettero Enrico I (1031-60) e Filippo I (1060-1108). I Capetingi riuscirono a far
eleggere re i loro figli, fortificando la loro preminenza con una continuità di azioni politiche e
militari. L'Île-de-France fu il centro della loro intraprendenza; la loro espansione per
l'ingrandimento del dominio da loro amministrato fermò l'avanzata anglo-normanna e la ribellione
di vassalli, oltre che invasioni di potenti vicini. Luigi VI (1108-37) combatté contro Enrico I
d'Inghilterra e l'imperatore; si appoggiò alla Chiesa e potenziò Parigi anche come sede della corte.
Luigi VII (1137-80), col ripudio della moglie Eleonora, duchessa d'Aquitania, diede inizio alla lotta
con l'Inghilterra durata tre secoli: Eleonora, portando come dote il ducato, sposò infatti
successivamente Enrico II Plantageneto, conte d'Angiò e duca di Normandia, dal 1154 re
d'Inghilterra. Le rivendicazioni inglesi si acuiranno nella guerra dei Cent'anni. Con Filippo II
Augusto (1180-1223), anche per nuove lotte con l'Impero e l'Inghilterra, la monarchia fu favorita
dalla borghesia e combatté gli Inglesi in Provenza. Con Luigi VIII (1223-26) e con Luigi IX il
Santo (1226-70) aumentò l'organizzazione amministrativa e la potenza militare si espanse anche in
territori d'Asia e d'Africa (con le crociate). Il fratello di Luigi IX, Carlo d'Angiò, operò in Italia
confermando l'influenza francese. L'istituto monarchico si fortificò con Filippo III l'Ardito (1270-
85) e specialmente con Filippo IV il Bello (1285-1314) e coi figli di quest'ultimo (Luigi X, Filippo
V e Carlo IV), con cui terminò il ramo primogenito dei Capetingi. Contributi notevoli alla
monarchia furono nel sec. XIV il Parlamento come organo antifeudale, gli Stati Generali per l'unità
della nazione francese e la lotta col papato (fino all'abolizione dei templari e al passaggio della
Santa Sede in Avignone).

Plantagineti
casa reale inglese di origine francese "Vedi albero genealogico vol. 17, pagg. 278 e 279" . "Per
l'albero genealogico vedi il lemma del 15° volume." Il matrimonio di Goffredo d'Angiò con Matilde
I figlia di re Enrico I della dinastia normanna e in contrasto per la corona inglese col cugino Stefano
di Blois, portò, in base al Trattato di Wallingford del 1153, il figlio di Goffredo e di Matilde sul
trono inglese dopo la morte di Stefano. Si iniziò così con Enrico II la dinastia dei Plantageneti, che
ebbe come esponenti Riccardo I Cuor di Leone, uno dei protagonisti della III Crociata, Giovanni
Senza Terra, dai baroni costretto a concedere la Magna Charta, Enrico III, Edoardo I, temporaneo
conquistatore della Scozia, Edoardo II ed Edoardo III, l'iniziatore del conflitto con la Francia
chiamato poi la guerra dei Cent'anni. Pochi i rami collaterali legittimi e di breve durata: i più
importanti furono quelli creati da Riccardo (1209-1272) duca di Cornovaglia, cadetto di Enrico III
ed effimero re di Germania, ramo che si estinse coi suoi figli, e quello sorto da Edmondo il Gobbo,
conte di Lancaster, anch'esso estintosi in linea maschile alla seconda generazione nel 1361. Ben
diversa fu la situazione creata da Edoardo III, padre di numerosa prole. Dei quattro rami da lui
discesi uno si estinse presto, quello primogenito, generato da Edoardo il Principe Nero, che ebbe
fine nel 1400 con il figlio di quest'ultimo, re Riccardo II. Il ramo secondogenito, sorto daLionello
d'Anversa(1338-1368) duca di Clarence, continuò con la figlia Filippa(1355-1380?) e dal
matrimonio di quest'ultima col potente feudatario gallese Edmondo II Mortimer (1351-1381)
nacque quel Ruggero VI Mortimer (1374-1398) che Riccardo II aveva designato suo successore al
trono. I Mortimer invece si trovarono esclusi dalla corona: Ruggero VI era morto ed Edmondo IV
(1391-1425), ch'era un ragazzo di otto anni, non poté far valere i propri diritti in seguito al colpo di
stato realizzato nel 1399 da Enrico IV di Bolingbroke, figlio del fondatore del ramo terzogenito,
Giovanni di Gand(1340-1399). Divenuto re col nome di Enrico IV egli poté lasciare il trono al
figlio Enrico V, ma quando questi precocemente morì lasciando al figlio Enrico VI, che aveva solo
un anno d'età, l'eredità d'un Paese in piena guerra con la Francia e per di più sconvolto dai contrasti
tra gli zii Giovanni (1389-1435) duca di Bedford e Humphrey (1391-1447) duca di Gloucester,
allora sorsero i discendenti del quarto ramo, fondato da Edmondo di Langley 1º duca di York, a
contendere la corona. Infatti il figlio di Edmondo, Riccardo(m. 1415) conte di Cambridge, aveva
sposato l'ultima dei Mortimer e aveva pertanto trasmesso al figlio, anch'egli di nome Riccardo, 3º
duca di York, i diritti del ramo secondogenito. La questione dinastica (guerra delle Due Rose)
subentrò alla disastrosa chiusura della guerra dei Cent'anni. Enrico VI e il figlio Edoardo IV (1453-
1471) furono sconfitti e uccisi e con loro si estinse il ramo dei Lancaster; a Riccardo, 3º duca di
York, ucciso nella battaglia di Wakefield con Edmondo (m. 1460), succedette il primogenito
Edoardo IV (1442-1483) che divenne re nel 1461 e dovette sbarazzarsi dell'infido fratello
Giorgioduca di Clarence. A Edoardo IV succedette per poche settimane il figlioletto Edoardo
V(1470-1483) rinchiuso nella Torre di Londra col cadetto Riccardo(1472-1483) duca di York e con
lui assassinato. Lo zio dei due giovinetti, Riccardo III, presunto mandante del delitto, venne
sconfitto e ucciso nella battaglia di Bosworth da Enrico Tudor conte di Richmond, i cui genitori
discendevano entrambi, per linea femminile, da Giovanni di Gand, che fondò la dinastia dei Tudor.
Dei Plantageneti sopravvissero i due figli di Giorgio di Clarence, Margherita (1469-1541) ed
Edoardo (1475-1499) conte di Warwick, che in tempi diversi vennero entrambi giustiziati: con loro
si estinsero il ramo degli York e la dinastia. Il nome di questa famiglia, buona parte della quale perì
di morte violenta, prese origine da un ramo di ginestra (genet) che il fondatore, Goffredo d'Angiò,
portava nel proprio cappello, ma divenne il nome ufficiale della casata solo nel sec. XV a opera di
Riccardo, 3º duca di York.

Omayyadi
Nome dato in Europa ai Banū Umayyah (figli di Umayyad), la dinastia dei califfi che detennero il
sommo potere nell'impero arabo dal 661 al 750, e che, dopo il crollo in patria, fondò – a opera
dell'unico superstite – il califfato indipendente di Cordova (756-1031). Il primo personaggio
importante della dinastia è Abū Sufyān (m. dopo il 650), prima nemico, poi suocero e seguace di
Maometto. Era omayyade 'Osmān, terzo dei califfi “ortodossi” (m. 656). Già gli Omayyadi
formavano il gruppo più potente della tribù meccana dei Coreisciti quando Mu'āwiyah, figlio di Abū
Sufyān, dopo aver capeggiato l'opposizione contro il 4º califfo 'Ali ibn Abi Talib, si fece, alla morte
di lui (661), eleggere califfo in Siria, Iraq, Egitto e Arabia, stroncando ogni resistenza. Muʽāwiyah,
influenzato dall'esempio di altri Paesi, volle fare del califfato una monarchia ereditaria, rompendo
decisamente con la tradizione “democratica” ed egualitaria delle vecchie tribù arabe. Uomo di
grandi qualità, sembrò, agli occhi dei contemporanei e più ancora dei posteri, simboleggiare il
trionfo di uno spirito laico e di una concezione profana del mondo: ma in realtà gli Omayyadi erano
fedeli musulmani e leali difensori della legge del Profeta. Il loro torto, se mai, fu d'aver capito prima
di altri Arabi la necessità di dare all'Islam una struttura politica che lo rendesse più agguerrito di
fronte alle crescenti opposizioni. Il califfato omayyade ebbe sede a Damasco, che respinse in
seconda linea le città sacre, Medina e La Mecca. La Siria gli diede non solo la capitale, ma un
ambiente di cultura ben sviluppato, una popolazione araba devota e laboriosa e una classe di
funzionari, non arabi e spesso cristiani, che furono preziosi alla nuova monarchia. La lingua
dell'amministrazione era il greco, solo più tardi soppiantato dall'arabo. Questa utilizzazione dei
cristiani di Siria allarmò naturalmente l'elemento arabo più nazionalista, che, umiliato, creò una
prima corrente d'opposizione. Una seconda venne dagli sciiti, fedeli alla memoria di ʽAlī e di suo
figlio Ḥusayn, numerosi soprattutto nell'Iraq; una terza era quella dei khārigiti, musulmani rigorosi
e intolleranti; una quarta fu quella della Mecca e di Medina, insorte per istigazione dei familiari
dell'assassinato Ḥusayn. Gli Omayyadi dovettero combattere senza respiro, specie quando ai
discendenti di Muʽāwiyah succedette il cugino Marwān I (684-685) nella cui famiglia il califfato
durò sino alla caduta degli Omayyadi. Dei Marwanidi il più bellicoso fu 'Abd al-Malik (685-705), il
cui famoso generale al-Ḥaǧǧāǧ espugnò La Mecca (692) e represse poi (701) la sedizione dell'Iraq.
L'espansione musulmana sotto gli Omayyadi fu d'eccezionale vastità: col califfo al-Walī'd (705-
715) si progredì all'est sino alla Transoxiana (Buhara, Samarcanda) e al di là dell'Indo (Sind). Al
nord si giunse, sotto il califfo Sulaymān (715-717), ad assediare Costantinopoli. All'ovest, dove i
primi Omayyadi avevano spinto razzie sino a Tripoli, si rafforzò la provincia d'Africa con la
fondazione di Qairawān (670) e, occupato il Maghreb, s'iniziò la conquista della Spagna (711). Nel
713 gli Arabi raggiungevano Narbona, nel 725 saccheggiavano Nîmes, nel 732 erano fermati a
Poitiers da Carlo Martello. Negli anni successivi, però, devastavano e in parte occupavano Provenza
e Delfinato. Mai più le armi arabe furono portate così lontano.

Abbàsidi
Dinastia di califfi arabi il cui nome deriva da al-ʽAbbās, trisavolo di Abū l-ʽAbbās, primo califfo
della dinastia. Impadronitisi del califfato nel 749-750, sostituendosi agli Omayyadi, gli Abbasidi
conservarono il potere sino al 1258. La rivolta, di cui il maggior promotore fu Abu Muslim, ebbe
origine nel 747 in Persia e in Iraq, dove era facile sfruttare il malcontento contro gli Omayyadi, e si
valse dell'aiuto degli elementi sciiti che, fedeli ai discendenti di ʽAlī ibn Abī Ṭālib, consideravano
quella dinastia come usurpatrice. Saliti al potere, gli Abbasidi (parenti di ʽAlī ma non suoi diretti
discendenti) persero l'appoggio degli sciiti ma, avendo ormai consolidato la loro posizione,
poterono lasciare questi all'opposizione. Numerosi e sostanziali furono i mutamenti introdotti dagli
Abbasidi che vollero inaugurare una nuova era. Il califfato riaffermò il suo carattere religioso,
condannando la mondanità e lo spirito profano degli Omayyadi; assunse la forma di un dispotismo
orientale (allontanandosi in questo dalla tendenza democratica degli Arabi), ma in pari tempo si
assoggettò all'autorità degli ʽulamā, i grandi dottori dell'Islam, soli interpreti autorizzati del
messaggio del Profeta. Sul piano politico, il cambiamento fu ancora più vistoso: l'impero arabo
diventava un impero islamico, abbracciante molti popoli con eguale dignità ed eguali diritti. Di
prettamente arabo, in questo vastissimo dominio, non rimanevano che il Corano e la lingua ufficiale
dello Stato, quella dei cavalieri del deserto. La situazione mutò anche dal punto di vista territoriale:
infatti Spagna, Marocco e qualche altra regione dell'Africa settentrionale rifiutarono di sottomettersi
al califfato abbaside. La stessa capitale fu spostata verso oriente: Baghdad, fondata dal secondo
califfo abbaside, era, infatti, situata sul Tigri e guardava più alla Persia, attraverso cui l'impero si
protendeva verso l'India, che non all'Arabia. In questo modo si modificò anche la vita culturale
dell'impero; attraverso i Siriaci, preziosi intermediari tra Greci e Arabi, si imposero infatti la
filosofia e la scienza greche, mentre i costumi, la letteratura, la lingua e la vita culturale in genere
subivano l'influsso persiano che fu tanto forte da lasciare una certa impronta persino nell'Islam. La
rivoluzione abbaside fu importantissima anche dal punto di vista sociale: soggetto della storia non
furono più le vecchie tribù nomadi e guerriere, ma una borghesia attiva e spesso agiata che nella
pace e nel benessere generale fioriva esercitando la mercatura, coltivando gli studi e le arti. Se la
società abbaside conosceva uno sviluppo culturale e civile ignoto alle età precedenti,
l'organizzazione dello Stato segnava anch'essa un sensibile progresso. Il califfo accentrava in linea
di diritto tutti i poteri, ma nella pratica delegava il potere civile a un visir (che di fatto finì spesso
per usurpare l'autorità del califfo), quello giudiziario a un giudice supremo e infine il potere militare
a un generale, il capo o emiro. Il governo constava di molti e ben organizzati uffici, tra cui i più
importanti erano quelli delle imposte, dei conti, dei servizi postali (che provvedeva anche al servizio
delle informazioni, ossia allo spionaggio): una burocrazia influente stendeva così la sua rete su tutto
l'impero. Le province erano rette da governatori, detti anch'essi emiri, che, data la vastità
dell'impero e la difficoltà delle comunicazioni, tesero sempre più a rendersi autonomi, tanto che
negli ultimi secoli dell'epoca abbaside la loro soggezione al governo califfale si fece sempre più
problematica. Anche l'organizzazione militare segnò notevoli progressi e la guerra non consistette
più in rapide disordinate incursioni, ma divenne arte e scienza nelle mani di ufficiali
particolarmente addestrati. Si ricorse sempre più spesso a milizie mercenarie, a volte avide e
prepotenti così da costituire un pericolo per lo Stato, ma indubbiamente agguerrite e idonee alle
lunghe campagne. L'età dell'oro degli Abbasidi corrispose press'a poco al primo secolo del loro
dominio. Al tempo di Harūn ar-Rašīd, il più famoso dei califfi abbasidi, Baghdad contava più di un
milione di abitanti e una parte almeno della sua popolazione vi conduceva vita splendida. Già
appariva però qualche segno di decadenza: in Africa e in Persia alcune province si distaccavano
dall'impero, accettando solo un vincolo di vassallaggio. L'incertezza delle norme per la successione
(Harūn aveva diviso l'impero tra i suoi due figli) condusse a una guerra fratricida; il vincitore, al-
Ma'mūn (813-833), riunificò alfine lo Stato, protesse la scienza e la cultura e fece di Baghdad il
maggiore centro intellettuale del mondo islamico. La sua attività non riuscì però a frenare, se non
per breve tempo, la decadenza della dinastia. Sotto il regno di al-Muʽtaṣim (833-842), infatti, fu
necessario trasferire la capitale da Baghdad, divenuta insicura, a Samarra e solo sul finire del secolo
Baghdad riebbe l'antica funzione (892). Dalla seconda metà del sec. IX l'elemento militare cominciò
a prendere il sopravvento a Baghdad e in breve l'amīr al-umarā, il comandante in capo, riuscì a
scalzare l'autorità del visir e persino quella del califfo. La supremazia politica sfuggiva a poco a
poco agli Abbasidi e già all'inizio del sec. X due altri califfi si opponevano a quello di Baghdad: un
fatimide in Africa settentrionale e un discendente degli Omayyadi in Spagna. Nel sec. XI poi i
Turchi Selgiuchidi, provenienti dalle steppe dell'Asia centrale, cominciarono a penetrare nei territori
dell'impero. Nel 1055 essi entrarono a Baghdad e, accolti favorevolmente dal califfo, imposero di
fatto la loro autorità facendo valere la loro pesante tutela. Sullo scorcio del sec. XII, spentosi ormai
il vigore dei Selgiuchidi, un animoso califfo, an-Nāʽṣir, riuscì per breve tempo a restaurare un
califfato indipendente, ma nel 1258 l'invasione dei Mongoli, che occuparono Baghdad,
distruggendola in parte, e massacrarono il califfo con tutti i suoi, pose fine al califfato abbaside.

Selgiuchidi
Dinastia turcomanna (sec. XI-XIII) che fondò vari regni nella vasta area geografica compresa tra
lago d'Aral, Mar Caspio, Mar Nero, Mediterraneo orientale e Golfo Persico. La dinastia dei
Selgiuchidi diede il suo nome anche a quei Turchi, detti più esattamente Oghuz (in arabo Guzz) o
Turcomanni, che, militando ai suoi ordini, formarono la classe dominante dei regni suddetti.
Capostipite dei Selgiuchidi fu Selgiūq, valoroso capo oghuz (morto ca. nel 1010). I suoi discendenti
combatterono alle dipendenze dei Qarakhānidi di Buhara, donde passarono in Corasmia e poi nel
Khorāsān; qui s'insediarono al posto dei Gasnavidi sconfitti (1041). Toghrul Beg fu il primo sultano
selgiuchide: la sua forza militare gli permise di atteggiarsi a protettore e “vicario” del califfo
abbaside di Baghdad. Alp Arslān, suo nipote, tra il 1063 e il 1070 conquistò l'Azerbaigian e la Siria;
nel 1071 sconfisse i Bizantini a Manazikert e occupò Armenia e Cappadocia. Malikshāh (1072-92),
succedendo al padre, innalzò il regno selgiuchide al massimo splendore, abbellendone le due
capitali, Esfahān e Baghdad; ma il vero detentore del potere fu il visir Niẓam al-Mulk, saggio
statista che nel tentativo di restaurare l'ortodossia sunnita finì pugnalato da un ismailita (1092).
Subito dopo morì Malikshāh, probabilmente avvelenato; gli succedette il figlio Barkiyārūq, poi un
altro figlio, Muḥammad, che perdette la vita nell'assedio del castello di Alamūt, ultimo baluardo
degli “Assassini” (1118), e infine il terzo figlio, Sanǧar, altro combattente valoroso e sfortunato, con
cui s'estinse la dinastia dei cosiddetti Selgiuchidi “maggiori” (1157). L'unità del regno selgiuchide
era già tuttavia minata dalle discordie familiari della dinastia e dall'ambizione degli ātā-beg, alti
dignitari preposti al governo delle province. Così nel 1041 si formò un regno selgiuchide nel
Kirmān (Persia), scomparso nel 1186; nel 1071 sorse il regno selgiuchide dell'Asia Minore o “regno
di Rūm”, che, conquistate Nicea e Antiochia, si difese male contro i primi crociati (1097-99), ma
poi s'ingrandì verso l'Asia Minore, pose la sua capitale a Konya (Iconio), s'impossessò dei porti
d'Adalia e Sinope e conobbe una notevole prosperità, per sparire poi dalla storia a cavallo tra i sec.
XIII e XIV. Dalle sue rovine nacquero molti piccoli emirati turchi, uno dei quali, fondato da
ʽOsmān, diede origine alla potenza ottomana. Tra gli altri regni dei Selgiuchidi, si ricordano quello
degli Zengidi (Mossul, Aleppo, Edessa, Damasco), che nel sec. XII lottò con successo contro i
crociati; e quello dei Khwārizm-shāh, sul corso inferiore dell'Amudarja (1077-1231), che ebbe
lunghi periodi di splendore e fu distrutto dai Mongoli.ARTEI Selgiuchidi diedero un impulso
notevolissimo alla produzione artistica del loro immenso impero e un contributo fondamentale al
patrimonio islamico, nel quale innestarono fecondi apporti propri della civiltà delle steppe. Al
periodo selgiuchide risale, in area persiana, la definizione della moschea “iranica”, la cosiddetta
moschea-madrāsa, costituita da quattro īvān disposti a croce, prospicienti su una corte, di cui quello
corrispondente al miḥrāb appare spesso seguito da una sala quadrata cupolata, che deriva dalla sala
del trono sassanide. Se il più antico esempio del genere sembra il Gāmi di Zawāra (1135),
certamente il più splendido è quello della Moschea del Venerdì (Masgid-i-Ǧāmi) di Esfahān,
costruita dal visir Niẓam al-Mulk (dal 1088), la quale, nonostante i rimaneggiamenti successivi,
conserva l'originale īvān meridionale e la sala con il nuovo tipo di cupola doppia (circolare
all'interno, ovoidale all'esterno) su nicchie a trifoglio, destinate ad avere grande fortuna nella
successiva produzione persiana. I minareti avevano per lo più una base quadrata, ottagonale o
stellare, su cui s'innalzava un'alta canna cilindrica rastremata. I monumenti funerari dell'area
persiana hanno una tipologia molto variata: a torre cilindrica, a pianta poligonale o quadrata, con
cupole, talvolta rivestite da una calotta conica o piramidale; molto diffuso è però anche il modello
quadrato sormontato da una cupola. Degli splendidi palazzi di Nishapur, Merv e Esfahān restano
solo frammenti decorativi (stucchi, pitture, mattonelle a croce o a stella con smalti). I
caravanserragli (han) presentano schema a corte con quattro īvān (Rabat-i-Sharaf nel Khorāsān,
inizi sec. XIII). Il materiale da costruzione più diffuso nell'area persiana è il mattone, usato anche in
funzione decorativa; frequenti i rivestimenti in stucco, con ornati vegetali o epigrafici, e la ceramica
smaltata, in blu, turchese e cobalto. La produzione architettonica dei Selgiuchidi d'Anatolia, che
risentì più fortemente di influssi bizantini e armeni, si differenzia da quella iranica per l'impiego di
un diverso materiale da costruzione (pietra da taglio anziché mattone, e in seguito marmo per i
rivestimenti e legno per gli interni), per l'abbondanza di sculture animali, per l'uso di portali
monumentali, nonché per la tendenza a chiudere con cupole anche i cortili aperti, anticipando le
soluzioni centrali ottomane. Tipicamente anatolica è la moschea senza cortile, con la sala di
preghiera a navate su pilastri sorreggenti coperture diverse (piatte, a cupola, a botte), con una o più
cupole sul miḥrāb (moschee di Ala'ud-Dīn a Niǧde, Burmali Minare e Gök Madrāsa di Amasya, Ulu
Cami a Divriǧi). Le tombe a torre sono di ispirazione persiana (splendidi gli esempi di Amasya,
Tokat, Sivas, Divriǧi e Niǧde) ma vi compaiono accenti armeni quali i rivestimenti in pietra e i
portali riccamente decorati anche con figure di animali. Anche le madrāse conservano il tipo
persiano a īvān; la corte è spesso coperta da cupola (Qaratay e Ince Minare Cami di Konya,
impostate sui cosiddetti “triangoli turchi”). L'imponente architettura civile anatolica è attestata dai
resti del palazzo a chioschi di Konya e da una settantina di caravanserragli, per lo più a grande
cortile con ambienti e sala basilicale a pilastri. La decorazione interna degli edifici anatolici era in
mattonelle policrome invetriate, a disegni vegetali o epigrafici in blu, nero e bianco. La produzione
ceramica selgiuchide, che presenta una grande varietà di tecniche e tipologie, fiorì particolarmente
nei centri di Rayy e Kashan in Iran, di Raqqa in Mesopotamia, di Iznik e Kütahya nell'Anatolia. Nel
sec. XII comparve anche la ceramica a lustro. Ricchissima anche la produzione di metalli lavorati,
bronzo soprattutto, ma anche ottone fuso, inciso, traforato, talvolta con incrostazioni di argento e
rame o con decorazioni a smalto: si tratta di bacili, secchielli, bruciaprofumi, candelieri, scatole, con
ornati epigrafici e figurati eseguiti con una tecnica eccellente e uno stile sobrio e vigoroso.

Sveva
dinastia di Svevia. Prende il nome dal castello costruito nel 1070 nel Giura Svevo . Capostipite fu il
cavaliere Federico di Büren (m. ca.1094). Il figlio Federico I (ca. 1050-1105) ottenne dal suocero,
l'imperatore Enrico IV, il Ducato di Svevia (1079). Il figlio minore, Corrado III (1093-1152), poté
ascendere al trono di Germania nel 1138; il figlio maggiore, Federico II il Guercio (ca. 1090-1147),
imparentato con i Guelfi di Baviera, operò in favore del proprio figlio Federico I detto il Barbarossa
(1122?-1190) che cinse la corona di Germania (1152) e la corona imperiale (1155). Con il
Barbarossa e la sua politica italiana la potenza degli Hohenstaufen si dispiegò anche a sud. Suo
figlio Enrico VI (1165-1197), poi, con il matrimonio con Costanza d'Altavilla, assicurò alla casata
l'Italia meridionale e la Sicilia. Nel Ducato di Svevia si avvicendarono al potere Federico IV (1144-
1167), figlio di Corrado III, che non lasciò eredi, e Federico V (1164-1191), figlio del Barbarossa.
Sul trono di Germania si succedettero i figli e i nipoti del Barbarossa: Enrico VI (1165-1197),
Filippo (1178-1208), Federico II (1194-1250). La decadenza della famiglia cominciò sotto Filippo
che dovette difendersi da Ottone IV (1182-1218), l'antiré guelfo. A causa del rafforzamento del
potere dei principi e del crollo del dominio degli Hohenstaufen nell'Italia settentrionale e centrale,
neppure lo splendido governo dell'imperatore Federico II poté arrestare il processo di decadenza.
Gli Hohenstaufen diedero la propria impronta a un'epoca, sotto il profilo sia politico, sia culturale e
spirituale. L'influenza della civiltà cavalleresco-cortese si fece sentire a lungo nella storia e nella
cultura della Germania. A Federico II succedette il figlio Corrado IV (1228-1254), mentre il figlio
illegittimo Manfredi (1232-1266) salì sul trono di Sicilia (1257) e morì in battaglia a Benevento
(1266) contro Carlo d'Angiò. L'ultimo rampollo legittimo degli Hohenstaufen, Corradino (1252-
1268), figlio di Corrado IV, fu decapitato a Napoli nel 1268 dopo la sconfitta di Tagliacozzo. A lui
sopravvissero Enzo (1220?-1272), bastardo dell'imperatore Federico II, catturato dai Bolognesi nel
1249, che morì in prigionia nel 1272; tre figli di Manfredi, che perirono in prigionia degli Angioini,
dopo decenni di reclusione; Costanza (1247-1302), essa pure figlia di Manfredi, la quale ereditò i
diritti sulla Sicilia, che furono fatti valere dal marito Pietro III d'Aragona dopo i Vespri siciliani
(1282). Da Federico (1225-ca. 1256) principe d'Antiochia, bastardo dell'imperatore Federico II,
discesero i conti di Anticoli, estinti nel 1381. Per via femminile discesero dagli Hohenstaufen le
case di Castiglia, dei Wettin e del Brabante.

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