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VERISMO

Il verismo è un movimento letterario, con radici più profonde nel naturalismo francese di Zolà, che si
sviluppa in Italia verso la fine dell’Ottocento. Trovò molto riscontro anche tra i musicisti dell’epoca che
condivisero appieno l’obbiettivo di raccontare le storie con maggior connessione alla realtà, dando
particolare risalto all’emotività, talvolta prevaricante.

Nell’opera quindi i personaggi che vennero messi in scena divennero uomini e donne con storie comuni, gli
emarginati, i reietti, niente più a che vedere con gli eroi medievali, i re, le regine o le varie divinità.

I compositori italiani che fra tutti sposarono questa tendenza furono Mascagni “Cavalleria rusticana” (dalla
novella di Verga), Puccini “Tosca”, Leoncavallo “Pagliacci”, Cilea “Adriana Lecouvreur” e Giordano “Andrea
Chenier”.

Già agli inizi dell’Ottocento, con la diffusione del romanticismo, la struttura dell’opera era stata modificata,
il recitativo era stato eliminato quasi del tutto, per dare spazio al cantato. Con l’avvento del verismo i
compositori cercarono di integrare il dramma dell'opera con la sua musica; quest’ultima divenne
amplificazione dell’immagine e della parola.

Questo stile operistico richiedeva un canto che fosse più declamatorio, rinforzato, “rumoroso” e rozzo per
certi versi, per questo motivo si necessitava che anche i cantanti rispondessero a tali richieste.

UMBERTO GIORDANO
Biografia
Nasce a Foggia nel 1867 ma in giovane età si trasferisce a Napoli per iniziare gli studi presso il
Conservatorio. Giordano venne notato in un concorso locale dalla Casa Editrice Sonzogno per la quale
scrisse “Mala vita”, sua prima opera ad avere successo. L'opera è un dramma che ruota attorno a un
lavoratore che fa voto di sposare e redimere una prostituta in cambio della guarigione dalla tubercolosi.
L'opera suscitò un certo scandalo quando fu rappresentata a Roma nel 1892. Mala vita si segnalò subito
come una delle più interessanti espressioni del nascente verismo operistico. Venne rappresentata nello
stesso anno a Vienna, Berlino e Praga, riscuotendo grandi consensi.

Giordano tentò un approccio più romantico con la sua opera successiva “Regina Diaz”, che tuttavia non
ebbe successo e venne rappresentata solo due volte.

Dopo questo insuccesso il compositore si trasferì a Milano, ritornando al verismo con quello che sarebbe
diventato il suo lavoro più conosciuto, “Andrea Chénier” (1896).

Anche “Fedora” (musicata nel 1898) si rivelò un successo e viene tuttora rappresentata frequentemente.

Altri successi arrivarono con “Siberia”, rappresentata alla Scala nel 1903, e “Mese mariano” al Massimo di
Palermo. Nel 1924 l'opera “Madame Sans-Gene” venne rappresentata al Metropolitan di New York con la
direzione di Arturo Toscanini. Altre opere successivamente composte ebbero un modesto successo, quali
“La cena della beffe” ed “Il re” che vennero comunque dirette dal maestro Arturo Toscanini.

Giordano ha anche composto, oltre alle opere liriche, un discreto numero di brani vocali, mottetti e
sinfonie.

Considerazioni sull'artista
Compositore appartenente al verismo musicale, Giordano si caratterizza per il fortissimo senso del teatro e
per l'inventività melodica ricca e generosa, d'accento incisivo, oltre che per la spontanea eloquenza, di
suggestiva ed efficace immediatezza. Già in opere come Andrea Chénier e Fedora egli si valse di una
discreta veste strumentale e di una generale compostezza di scrittura. Tuttavia, per rimanere al passo con
gli sviluppi musicali del tempo, dopo le prime opere Giordano cercò di arricchire il proprio linguaggio
musicale, riuscendo a conseguire, in Madame Sans-Gêne e ne Il Re, risultati interessanti per l'abile taglio
teatrale e l'attenzione per la parte orchestrale.

ANDREA CHENIER
L’opera è suddivisa in quattro quadri e mette in scena la lotta per la libertà, vissuta dai vari personaggi in
maniera differente e la storia d’amore tra un poeta ed una giovane aristocratica, il tutto inserito nella
cornice della Rivoluzione francese.

Una curiosità è che la musica non presenta alterazioni in chiave, come sarà tipico dei compositori di musica
atonale. In questo caso si tratta però di un vezzo, poiché rispecchia totalmente i canoni della musica tonale.

L’opera si apre con una sinfonia che proietta l’ascoltatore direttamente nella scena, com’era frequente
all’epoca (anche Puccini lo farà con Tosca e Butterfly per esempio). Sin dalle prime note si scorge anche a
livello musicale il forte contrasto che convive tra l’opulenza delle classi agiate, la frivolezza dei loro discorsi
e il menefreghismo che provano per le misere condizioni del resto del popolo.

A tal proposito, il personaggio che porta scompiglio è Carlo Gerard, servitore a palazzo de Coigny; egli è
appunto il primo che rompe l’equilibrio musicale e sociale sulla scena. Canta infatti la famosa romanza “Son
sessant'anni, o vecchio”, rivolgendosi al padre, anch’esso servitore da generazioni. La musica si fa sempre
più densa di strazio, diventando una vera e propria invettiva “t’odio casa dorata, l’immagin sei d’un mondo
incipriato e vano”, “è l’ora della morte”.

Ed ecco che nell’immediato seguente si fa strada nuovamente una musica leggiadra e soave, volta a
sottolineare l’entrata di Maddalena, la nostra protagonista femminile, la quale appartiene al frivolo mondo
aristocratico (poco dopo si lamenta della vestizione per la festa), è però l’unica che pare avere un animo più
sensibile, tanto da essere la fiamma segreta di Gerard e la sola ad attirare l’attenzione di Andrea Chenier
che, invitato anch’egli alla festa, si imbatterà in un difficile confronto con la giovane e i presenti. Di lì a poco
entrano in scena il romanziere Fleville e l’Abate, il quale annuncia la scalata del Terzo Stato generando
rabbia e sconforto tra gli invitati. Fleville tenta quindi di stemperare la tensione incitando al coro delle
pastorelle, momento in cui la musica si fa nuovamente calma e dolce, creando un’atmosfera eterea e
bucolica. Poco dopo l’attenzione si colloca su Andrea Chenier, il quale, dopo essersi rifiutato di dare sfoggio
della sua arte dicendo, riferendosi alla poesia, “è una ritrosa che di tacer desia” “è capricciosa assai la
poesia a guisa dell’amore”, viene deriso dai presenti e da Maddalena, poiché non comprendono l’essenza
delle sue parole. Egli risponde quindi col famosissimo improvviso “un dì all’azzurro spazio” (l’intervallo di
quarta apre molto l‘armonia). Incanta la platea con celestiali parole, descrittive della bellezza della Terra e
dei suoi paesaggi. Con una forza dirompente lancia poi uno straziante grido di denuncia verso le misere
condizioni in cui versa la maggior parte della popolazione; è a quel punto che con un’inaspettata passione,
rivolgendosi a Maddalena, le dichiara il suo sentimento d’amore combattuto.

Segue una musica di gavotta nuovamente interrotta dal gesto di suprema ribellione di Gerard, che
abbandonerà poi il palazzo.

Il secondo atto è ambientato all’aperto, in un contesto pubblico. Bersi si prostituisce per aiutare
Maddalena, a cui hanno ucciso la madre, incendiato casa e quindi ricercata.

Maddalena è da un po’ di tempo che scrive anonimamente a Chenier, per cercare conforto, aiuto e ascolto
e proprio in quella sera, tramite Bersi, gli da’ appuntamento. Qui vi è il duetto del secondo atto “ecco
l'altare”. Nel buio e nel silenzio del luogo i due amanti si riconoscono poiché Maddalena intona
nuovamente un passo dell’improvviso cantato nel primo quadro Chenier. L’atmosfera è tesa data la
segretezza e il pericolo che stanno correndo i protagonisti, ma allo stesso tempo è densa di sentimento; la
musica infatti è a tratti agitata, specchio di enfasi e paura, a tratti molto melodica e passionale. C’è un
grande contrasto tra le parti estremamente dolci e quelle più vigorose, come se fosse un grido di battaglia
“fino alla morte insieme”.

L’atto si conclude col ferimento di Gerard da parte di Chenier, il quale viene taciuto alla folla dal ferito
poiché pregato di fuggire e proteggere Maddalena. La folla inferocita leva un grido di minaccia verso il
fuggitivo e la musica si fa trionfale, tutta in maggiore, nuovamente in antitesi con ciò che sta accadendo.

Il terzo atto è ambientato in tribunale, luogo in cui si sta quindi nominando i ricercati e pronunciando
sentenze; entra Gerard acclamato dalla folla e anch’egli inizia ad incentivare la gente a proporre i propri figli
per la battaglia. Poco dopo l’Incredibile gli insinua la malvagia idea di stendere l’atto d’accusa per Chenier,
in modo da attirare a sé con l’inganno, la donna amata. Combattuto, canta la famosa aria “nemico della
patria”, un cantabile in cui ripercorre la sua vita e la sua situazione, gli ideali che lo hanno portato a
prendere determinate decisioni. Con rabbia pronuncia “son sempre un servo, ho mutato padrone, servo
obbediente di violenta passione! Peggio, uccido e tremo. E mentre uccido io piango”. Conclude lo sfogo
rinnegando il santo grido, in nome della passione più viscerale.

Arriva poi Maddalena ed egli, con estrema viltà, prova a conquistarla; la donna sdegnata e impaurita lo
scosta e cerca di andarsene ma è l’amore per Chenier che la trattiene e la fa cedere (ricorda la scena di
Tosca tra Floria e Scarpia). Gerard è commosso da cotanto amore.

Arriviamo dunque a uno dei punti più toccanti e famosi dell’opera, l’aria “la mamma morta” cantata da
Maddalena, romanza nella quale spiega all’uomo la sua dolorosa situazione e che ormai l’unico motivo di
vita è quell’amore. (parallelismo con “vissi d’arte”).

È qui che Gerard si ravvede e decide di salvare Chenier con la sua vita e rivolgendosi alla donna “il tuo
perdono è la mia forza”.

Chenier viene citato come traditore e mosso da intimo orgoglio svetta tra le grida con un altro brano
saliente “sì, fui soldato” in cui denuncia il suo vero impegno nella vita, di usare la penna per raccontare il
vero “ho fatto di mia penna arma feroce contro gli ippocriti”.

Nonostante la rivelazione di Gerard ai giudici, ultimo tentativo di salvare il poeta e aprire gli occhi ai
rivoltosi, Chenier viene condannato ma riesce a scorgere ancora una volta Maddalena tra la folla (accordo
del tristano).

L’ultimo atto si apre con un’atmosfera tetra, sottolineata da una successione di pesanti accordi minori e
diminuiti e il lamento affidato al caldo e malinconico suono del corno inglese.

Troviamo nuovamente un parallelismo con la Tosca di Puccini poiché Chenier canta i suoi ultimi versi, come
fece Cavaradossi. “Come un bel dì di Maggio”, commovente canto in cui ricorda ciò che ha amato di più.

Nel frattempo giungono alla prigione Gerard e Maddalena e quest’ultima convince il carceriere a sostituirla
con una condannata, suscitando grande commozione in Gerard “o Maddalena tu fai della morte la più
invidiata sorte”.

E finalmente assieme i due amanti si ritrovano, Maddalena rivela la sua decisione di morire con l’amato e
lui “tu sei la meta dell’esistenza mia”. La musica, come abbiamo visto in molti altri punti dell’opera è
estremamente in contrasto coi fatti; è trionfante, sempre in maggiore, come si trattasse di un finale felice.
In un certo senso possiamo dire lo sia, i due esaudiscono il loro più grande desiderio di vita, di
addormentarsi assieme “viva la morte insiem”(come accade nell’Aida di Verdi).
-Come un bel dì di maggio, quadro IV (analogia con la Tosca)

-Vicino a te s'acqueta, duetto tra Chénier e Maddalena, quadro IV (lampante contrasto tra la situazione, le
parole-vanno a morire- e la musica, che è in maggiore e trionfale) (analogia con l’Aida)

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