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Gabriele Tomasi1
RIASSUNTO: Per il primo Wittgenstein etica ed estetica erano tutt’uno. Scopo del saggio è fornire
un’interpretazione di questa concezione. Esaminando il modo in cui è proposta nel Tractatus e
considerando alcune annotazioni dei Quaderni 1914-1916 si evidenzia che l’unità di etica ed estetica è in
un modo di vedere il mondo per cui esso non appare come fonte di limitazione. L’etica è un’estensione
al mondo – alla vita – della capacità di conferire significato che nell’arte si realizza nei riguardi di
oggetti particolari. Affermando l’unità di etica ed estetica Wittgenstein attira l’attenzione sul fatto che
la radice dell’etica è in un certo modo di vedere le cose, in un atteggiamento verso la vita. Si tratta
della prospettiva di un valore non connesso a come il mondo è e che è evocato dalla meraviglia per
l’esistenza del mondo.
PAROLE CHIAVE: Wittgenstein. Estetica. Etica. Valore.
1
Gabriele Tomasi è docente di Storia dell’Estetica presso l’Università degli Studi di Padova. Ha
pubblicato diversi saggi su Leibniz, Kant e Wittgenstein in riviste e volumi. Tra i suoi lavori: La bellezza
e la fabbrica del mondo. Estetica e metafisica in G.W. Leibniz (2002); Ineffabilità. Logica, etica, senso del mondo
nel “Tractatus” di Wittgenstein (2006); Un bicchiere con Hume e Kant. Divertissement estetico-metafisico (2010).
2
Nel testo e nelle note le opere di Wittgenstein sono citate – nella traduzione italiana indicata –
secondo le abbreviazioni di seguito elencate (nel caso del Tractatus si indica soltanto il numero
della proposizione; nel caso delle annotazioni dai Quaderni, invece, la data dell’entrata): BvF =
WITTGENSTEIN, L. Briefe an Ludwig von Ficker. hrsg. von G. H. von Wright unter Mitarbeit von
W. Methlagl. Salzburg: Otto Müller, 1969 (WITTGENSTEIN, L. Lettere a Ludwig von Ficker. Trad.
it. di D. Antiseri. Roma: Armando, 1974); LE = “Wittgenstein’s Lecture on Ethics”, The Philosophical
Review, 74, p. 3-12, 1965 (WITTGENSTEIN, L. Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la
credenza religiosa, a cura di M. Ranchetti. Milano: Adelphi, 1967, p. 5-19); TB = Tagebücher 1914-1916,
in: Ludwig Wittgenstein Werkausgabe, Band 1. Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1984, p. 87-187 (Quaderni
1914-1916, in: WITTGENSTEIN, L. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Trad. it. di A.
G. Conte. Torino: Einaudi, 1998, p. 127-239); TLP = Tractatus logico-philosophicus, in: Ludwig Wittgenstein
Werkausgabe, Band 1, Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1984, p. 9-85 (WITTGENSTEIN, L. Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Trad. it. di A. G. Conte. Torino: Einaudi, 1998, p. 21-109);
WWK = Wittgenstein und der Wiener Kreis, in: Ludwig Wittgenstein Werkausgabe, Band 3. Frankfurt am
Main: Suhrkamp, 1984 (il numero di pagina della traduzione italiana è quello dei passi tradotti in
WITTGENSTEIN, L. Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, a cura di
M. Ranchetti. Milano: Adelphi,1967, p. 21-27).
3
Il passo continua indicando altre espressioni di significato simile. Wittgenstein sostiene che, invece di
ricerca su ciò che è bene, egli avrebbe potuto dire “su ciò che è realmente importante, o sul significato
della vita, o su ciò che fa la vita meritevole di essere vissuta, o sul modo giusto di vivere”. Wittgenstein
pensa che, guardando a queste frasi, si possa “avere un’idea approssimativa di ciò di cui l’etica si
occupa” (LE, 5/7).
5
Adotto qui una distinzione proposta da KORSGAARD, 1983, p. 178.
6
Cf. ad esempio Fedro 250 a ss.; Simposio 210 a ss.
7
S. Th. I-II, q 27 a 1 (TOMMASO, 1996, vol. 2 p. 222-223).
8
SCHILLER, 2005, p. 25; 45 (lettere II e X).
9
Devo l’osservazione a WILDE, 2004, p. 165.
10
Va da sé che le distinzioni andrebbero affinate. Ad esempio, la sovrapposizione metafisica di bellezza
e bene può essere intesa come una relazione di identità oppure, secondo una linea kantiana, come una
relazione simbolica.
11
Ovviamente, quanto alla bellezza, il discorso dovrebbe essere circostanziato. Per molta arte recente
essa non è più il valore da realizzare. Cf. DANTO, 2008.
19
Questo è quanto Wittgenstein sostiene nella Conferenza: “[...] l’espressione giusta nella lingua per il
miracolo dell’esistenza del mondo, benché non sia alcuna proposizione nella lingua, è l’esistenza del
linguaggio stesso” (LE, 11/17).
20
In effetti, Wittgenstein stesso, in una conversazione con Waismann del dicembre 1930, si avvale
della nozione di creazione per esprimere il senso dell’assoluta datità del mondo: “I fatti per me non
sono importanti. Ma a me sta a cuore quel che intendono gli uomini quando dicono che ‘il mondo c’è’.
Waismann domanda a Wittgenstein: L’esistenza del mondo è connessa con l’etico? Wittgenstein: Che si dia,
qui, una connessione, gli uomini l’hanno sentito e l’hanno espresso così ‘Il Padre ha creato il mondo,
il Figlio (o la Parola, che da Dio procede) è l’Etico’”(WWK, 118/27).
22
L’espressione sub specie aeternitatis è spinoziana, ma la fonte diretta di Wittgenstein è verosimilmente
Schopenhauer. Sull’importanza di quest’autore per Wittgenstein, cf. GLOCK, 1999.
25
Così anche MORRIS, 2008, p. 326. È suggestivo pensare che ciò che Wittgenstein vede trasparire tra
le maglie della rete logica sia quello stesso miracolo dell’esserci che è rivelato dall’arte.
4. IL PORTATORE DELL’ETICA
Come si è visto, Wittgenstein sembra attribuire alla visione artistica
un potere di trasformazione in riferimento al significato dell’oggetto cui
è diretta. Tale potere ha, però, effetti anche sul soggetto; esso produce, si
potrebbe dire, un mutamento nel carattere dell’autocoscienza o, forse meglio,
nella definizione di se stessi, della propria “posizione” rispetto al mondo.
Wittgenstein sembra pensare che, quando una cosa è vista “dal di fuori”
ovvero sub specie aeternitatis, essa diventa il mondo dell’osservatore. Questo
modo d’esprimersi proietta sulla visione artistica il pensiero fondamentale del
solipsismo: il mondo è il mio mondo; e la sua immediata conseguenza: rispetto
al mondo l’io si trova contratto a limite (cf. TLP 5.641 e TB 2.8.16); esso
diventa il “punto inesteso” (TLP 5.64) cui è coordinata la realtà.27 Lo sguardo
felicitante è dunque quello di un io che si è fatto puro limite del mondo? La
“verità” (TLP 5.62) contenuta nel solipsismo e cioè che ogni esperienza è
da un punto di vista, che il mondo è il mondo coordinato a un io, sembra
avere un risvolto etico-estetico. Si tratta di capire quale sia. Che Wittgenstein
riconosca tale risvolto pare attestato dal fatto che, nei Quaderni, l’entrata che
apre una serie di osservazioni dedicate a Dio e al senso della vita inizia con un
chiaro riferimento al tema del solipsismo:
Che so di Dio e del fine della vita?
Io so che questo mondo è.
Che io sto in esso, come il mio occhio nel suo campo visivo. (TB 11.6.16).
Stare nel mondo come l’occhio nel suo campo visivo significa non
stare nel mondo; nel campo visivo troviamo il contenuto dell’esperienza visiva
non l’occhio. Di quest’esperienza possono far parte anche le immagini riflesse
dei nostri occhi. Ma in questo caso – osserva Michael Morris - l’occhio non ci
è presentato come il nostro occhio è presentato a noi stessi quando guardiamo
26
MORRIS, 2008, p. 326.
27
Per l’analoga posizione in Schopenhauer, secondo il quale nella contemplazione estetica il soggetto
diventa “l’unico occhio del mondo”, cf. SCHOPENHAUER, 2002, § 38. Il grande e complesso tema
del solipsismo, che qui è appena sfiorato, costituisce per più aspetti lo sfondo dell’etica wittgensteiniana.
Per la sua trattazione cf. SULLIVAN, 1996, MORRIS, 2008, p. 263-308; VOSSENKUHL, 2008, p.
89-118.
28
Cf. MORRIS, 2008, p. 299.
29
“Mio” non definisce in questo caso una sfera privata. Dal fatto che il mondo è il mio mondo non
consegue che ognuno ha il proprio mondo. Ciò che è personale nella relazione al mondo non appartiene
ai fatti, non è una differenza che possa caratterizzare il contenuto del mondo. Cf. BELL, 1992.
30
Per un esame delle numerose e intriganti osservazioni dei Quaderni dedicate alla volontà, cf.
ISHIGURO, 1981.
31
Per l’interpretazione cf. SCHULTE, 2001 e, sull’immagine del crescere e decrescere, MULHALL,
2007.
32
Cf. MULHALL, 2007, p. 234.
33
Come si è ricordato, Wittgenstein sostiene che “il mondo e la vita sono tutt’uno” (TLP 5.621). Poiché
il mondo è la totalità dei fatti, il significato di “vita” in quest’affermazione non può essere inteso
in senso fisiologico o psicologico; sotto questi aspetti la mia vita non è che un insieme di fatti nel
mondo. Che cosa si debba intendere per “vita” lo suggerisce forse l’affermazione di Wittgenstein che
“alla morte il mondo non si altera, ma termina” (TLP 6.431). “Vita” sembra indicare qualcosa come
l’apparire stesso (la rappresentazione) del mondo, del mio mondo.
34
Così ULE, VARGA von KIBÉD, 1998, p. 46.
5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
La concezione di Wittgenstein colpisce per la sua profondità e
insieme per gli aspetti di paradossalità che presenta. Molti di noi pensano
che felicità e infelicità abbiano a che fare con situazioni di appagamento o
frustrazione, soddisfazione o perdita, che bene e male siano proprietà di
comportamenti, azioni, situazioni particolari, che attribuiamo secondo criteri
spesso contestabili ma comunque definibili e non siano riducibili a un modo
di vedere.36 Il significato che Wittgenstein attribuisce a “bene” e “male”, così
come il modo in cui intende l’arte, appaiono piuttosto particolari e lontani dal
senso comune. Ciò che lo interessa non ha molto a che fare con ciò su cui
vertono abitualmente le discussioni etiche o estetiche, eppure ha un rapporto
con esse e le sue riflessioni risultano illuminanti riguardo a un aspetto cruciale.
Come si è visto, TU è formulata nel contesto di un argomento sul
valore e la non formulabilità dell’etica, apparentemente con intento esplicativo
in merito al carattere trascendentale dell’etica. Secondo l’interpretazione
proposta, in TU non è tanto in questione un’identità di ambiti, quanto una
35
MURDOCH, 1993, p. 28.
36
Lo stesso si può dire dell’arte. Si tende a pensare che un oggetto sia un’opera d’arte perché ha certe
proprietà (intrinseche o relazionali) e non semplicemente perché è visto in un certo modo. Se lo status
di opera d’arte fosse conferito da una visione, tutto potrebbe diventare arte e non avrebbe più senso
tentar di distinguere tra ciò che è arte è ciò che non lo è.
Per Wittgenstein bene e male non sono proprietà dei fatti; la presenza
di bene e male è subordinata all’esistenza di un soggetto, di un Io che vuole.
Nella Conferenza egli mostra di considerare più o meno sinonime le
espressioni “l’etica è la ricerca su ciò che è bene” e “l’etica è la ricerca su ciò
che ha valore”. La convinzione espressa nei due appunti citati può essere
riformulata, dicendo che, per Wittgenstein, non c’è un valore oggettivo,
cioè un valore che sussiste indipendentemente dall’esistenza di soggetti di
volontà.37 La presenza del valore è subordinata all’esistenza di un Io che vuole;
è importante tener presente di quale valore sta parlando Wittgenstein.
Nella Conferenza egli formula una distinzione tra “senso corrente, o
relativo” e “senso etico, o assoluto” di “buono”, “valore”, “importante”,
“giusto”, ecc., e tra “giudizio assoluto di valore” e “giudizio relativo” e
commenta:
Ogni giudizio di valore relativo è una pura asserzione di fatti e può quindi
essere espresso in una forma tale da perdere del tutto l’aspetto di un
giudizio di valore.
37
È molto interessante, al riguardo, il seguente appunto di Waismann: “Schlick dice che nell’etica
teologica si danno due concezioni dell’essenza del Bene: secondo l’interpretazione più superficiale, il
Bene è bene, perché Dio lo vuole; secondo l’interpretazione più profonda, Dio vuole il bene perché
è bene. Io penso che sia più profonda la prima concezione: Bene è ciò che Dio ordina. Infatti, taglia
la strada a ogni possibile spiegazione del ‘perché’ sia bene, mentre proprio la seconda concezione è
superficiale, razionalistica, operando ‘come se’ ciò che è bene potesse essere ulteriormente fondato.
La prima concezione esprime chiaramente che l’essenza del Bene non ha nulla a che fare con i fatti e
quindi non può essere spiegata da nessuna proposizione. Se vi è una proposizione che esprime ciò che
intendo, è: Bene è ciò che Dio ordina”(WWK, 115/24-25).
38
Così anche WILDE, 2004, p. 181.
39
Cf. MERSCH, 2009, p. 36.
TOMASI, Gabriele. “Etica ed Estetica sono tutt’uno” Riflessioni su TLP 6.421. Trans/
Form/Ação, (Marília); v.34, p.109-136, 2011, Edição Especial 2.
ABSTRACT: The early Wittgenstein conceived of ethics and aesthetics as one and the same. This
essay aims to provide an interpretation of this idea. It examines the way it is put forward in the
Tractatus and in some remarks from the Tagebücher 1914-1916, and argues that the unity of ethics and
aesthetics is for Wittgenstein a way of looking at the world in such a way that the world does not
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Resta tuttavia un dubbio. L’interpretazione proposta attribuisce valore intrinseco alla volontà ovvero
a ciò che conferisce valore alle cose. Si potrebbe pensare che la volontà ha valore perché conferisce
valore. In generale non pensiamo, però, che la fonte di qualcosa di valore debba essere per sé di
valore. Come rilevano filosoficamente Rae Langton (cf. LANGTON, 2007, p. 176) e poeticamente
Fabrizio De André (cf. Via del campo), dal letame nascono fiori splendidi, ma non gli attribuiamo un
particolare valore (diversamente dai diamanti, dai quali però non nasce niente). Come stanno le cose
con la volontà? Il suo valore è indipendente, oggettivo? Oppure è essa stessa a conferirsi valore? Come
si può dire se il suo valore è intrinseco? Wittgenstein, come si è visto, parlando del bene assoluto
accenna al comando di un giudice assoluto. È pensabile che il bene sia comandata da un tale potere,
ma non abbia origine in esso. Anche il modo in cui egli risolve l’alternativa di Schlick – evocativa
di quella dell’Eutifrone platonico (cf. XII a) - lascia aperta questa possibilità: il bene che Dio ordina
può essere un bene scoperto e non deciso da Dio. In altri termini, Dio può essere il legislatore,
l’autore dell’obbligazione, senza essere il creatore del bene. Similmente, la volontà può avere un valore
intrinseco, senza conferirsi da sé tale valore. C’è un indizio a favore di quest’ipotesi e cioè la contrarietà
di Wittgenstein al suicidio (cf. TB 10.1.17 che però si chiude in forma dubitativa). È come se qualcosa,
per Wittgenstein, ponesse qui un limite invalicabile; ma che cosa può essere? È possibile che sia
proprio il valore intrinseco della volontà. Si può pensare che la volontà non sia in grado di dar valore
alle cose, alla vita, ma questo non vuol dire che essa sia priva di valore. Forse essa ha valore, anche
se non si conferisce valore. Se così non fosse, non ci sarebbe nulla di sbagliato nel suicidio, quando
– come capitava spesso al giovane Wittgenstein - ci si giudica privi di valore e la vita ci appare priva
di significato.
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