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Vasco Pratolini

A Firenze contribuisce all'uscita del bargello e insieme a Vittorini e bilenchi vive la crisi, la
disillusione nel carattere rivoluzionario del fascismo al momento della guerra di spagna. Anche per
questo Pratolini nel 1938 fonda con un poeta, alfonso gatto, una rivista campo di marte, che è la
dimstrazione dei rapporti ambigui tra la repubblica delle lettere e il fascismo. È una rivista cje in
qualche modo difende e sostiene la moralità della letteratura contro la mascherata e le falsificazioni
del fascismo tenendosi ai margini della lotta politica vera e propria, diventa in breve tempo un punto
di riferimento per gli intellettuali vicini all'ermetismo. Nonostante tutto dà noia alla censura fascista
che nel 1939 riesce a far concludere questa esperienza. L'dea di una cronaca fiorentina nasce n
Pratolini abbastanza presto, nel 1940, ma quello che diventerà cronache di poveri amanti ha una
gestazione molto lunga. Comincia a scrivere questo libro solo nel 1946, racconta che questo romanzo
sarebbe dvuto esdsere il primo liro e ha finito per diventare il sesto. Prima escono Il tappeto verde,
via dei magazzini e le amiche che raccolgono prose di taglio narrativo o racconti veri e propri risalenti
agli anni precedenti nei quali rievoca la sua infanzia e la sua adolescenza a Firenze adottando dei
moduli narrativi ancora molto degli anni 30. Nel 1943 è a Roma dove prende parte alla resistenza non
armata come caposettore del partito comunista nel quartiere Flaminio e nel frattempo si è avvicinato
al partito comunista ed è impegnato nella lotta di liberazione. A Roma scrive Il quartere, che esce nel
'44, anch'esso ambientato a Firenze che, rispetto ai precedenti, è meno centrato sull'io autobiografico
e ha un respiro più corale. Dopo la liberazione si trasferisce a Milano e diventa giornalista, lavora
soprattutto al Milano sera, anche se questo lavoro non gli piace. Alla fine del 45 si trasferisce a Napoli,
città d'origina di sua moglie dove diventa insegnante di un istituto d'arte e dove scrive la prima delle
sue cronache Cronaca familiare. A Napoli una notte dell'inizio del 46 attraversa vicoli popolari della
città e ha una specie di intermittenza del cuore, gli tornano alla mente vividi i vicoli di Firenze dove
aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza e questo innesta un processo di scrittura. La sera stessa inizia
il libro e lo conclude dopo poco più di un anno ed esce nel 1947. il recupero della Firenze popolare
che è la protagonista del romanzo avviene dal lontano a Napoli, è come avvenne a Verga a Milano,
quando mette mano a Nedda. In questo romanzo il rapporto tra autobiografia e romanzo realistico
cambia: l'autobiografia non scompare. In un'intervista del 1953 rivela un piccolo ma significativo
dettaglio, dice che ha abitato in via del corno e il ragazzo Renzo che compare nell'ultimo capitolo del
libro è lui. Va ha abitato dal 27 al 30, in un periodo importante ma doloroso della sua vita: sua madre
era morta di parto dando alla luce suo fratello minore e il ragazzino era stato affidato alla nonna
materna che l'aveva portato a vivere con sé. Con questo romanzo Pratolini risolve un problema
centrale nella narrativa neorealista: come affrontare il rapporto tra l'io autobiografico dell'autore, che
è un intellettuale con le sue crisi e perplessità e il mondo popolare che questo io si è dato come
obiettivo di rappresentare. Pratolini riesce a rendere universale la propria vicenda attraverso la
cronaca. La tradizione resistenziale di quegli anni aveva riportato in primo piano il genere della
cronaca rinnovandolo e plasmandolo sulle esigenze dei fatti da raccontare e Pratolini guarda a quel
tipo di racconto in cui chi parla è partecipe degli eventi ma è un cronista ed è tenuto a mantenere una
certa distanza dagli eventi che racconta per garantire la veridicità della sua cronaca. Quando sceglie
di adoperare questo termine pensa anche a un'altra tradizione che è quella fiorentina e comunale delle
cronache municipale, di cronisti che raccontavano i fatti significativi della vita cittadina. Il fratello
ferruccio era stato affidato ad una famiglia nobile e cresciuto come un giovane aristocratico mentre
vasco, affidato alla nonna materna, sperimentava tutta la durezza e problematicità di un quartiere
popolare. Due destini completamente diversi e un rapporto molto conflittuale, anche per la diversità
di stili di vita. Cronaca familiare nasce sull'onda emotiva della morte di ferruccio (fratello di vasco)
e con questo Pratolini riesce ad oggettivare e raccontare distanziandola un'esperienza particolarmente
dolorosa ed intima della sua vita. Nello stesso anno, 1947, esce la parola cronaca. Sul politecnico esce
Cronache fiorentine che da un certo punto di vista è una specie di cartone preparatorio delle cronache
di poveri amanti: in questo articolo fa un ritratto di Firenze e dei fiorentini nel corso della storia,
soprattutto nel ventennio fascista. Racconta la sua comunità di origine e sperimenta una scrittura
corale e un tratto, una modalità interpretativa che proietta lo scontro tra fascisti e antifascisti nella
prospettiva di lunga durata della storia secolare di Firenze, segnata dalle guerre civili. In questo
romanzo Pratolini passa dall'io al noi, dalla contemplazione di se stesso e della propria esperienza di
singolo individuo a uno sguardo sociale che abbraccia la variegata popolazione di una strada cittadina.
Non è un caso che cronache di poveri amanti sia il primo libro in cui Pratolini usa la prima persona.
Nonostante questo lo definisce Il più autobiografico dei miei libro”. Questa autobiograficità si dovrà
intendere non tanto in senso tradizionale (che è affidato all'apparizione del ragazzo renzo nelle ultime
pagine) ma facendo di Pratolini una sorta di narratore e testimone e regista dell'intera narrazione.
Negli stessi anni napoletani in cui Pratolini mette mano alla cronaca familiare e alle cronache di
poveri amanti, succede un'altra cosa piuttosto importante nella genesi di questo romanzo: tra il 45 e
il 46 Pratolini collabora con Roberto Rossellini al soggetto di Paesà. Non è chiarissimo quale sia stat
il contribuito a questo film, perchè Pratolini probabilmente per un errore non fu mai accreditato nei
titoli di testa, ma sappiamo che fece da consulente per i primi due episodi (ambientato in Sicilia e poi
a napoli) e scrisse interamente il soggetto del quarto episodio del film ambientato a Firenze, proprio
nel momento che Pratolini racconta nelle cronache fiorentini: nel sud c'erano gli afroamericani e a
nord del fiume c'erano ancora tedeschi che bombardavano e i cecchini fascisti sparavano alla gente
per strada. Questa collaborazione con rossellini è stata forse importante perché nel cimena neorealista
lo scarto estetico rispetto al cinema degli anni precedenti è vistoso, tangibile. Nel cinema l'evidenza
delle immagini è scioccante: cinema fatto per strada (non si poteva più girare gli interni), si filma la
povertà dell'Italia di quegli anni, le macerie. I registi prendono anche gli attori dalla strada, le storie
dalla quotidianità, non ci sono episodi particolarmente eclatanti o avvincenti. È avvincente scoprire
la realtà e anche quando vengono doppiati la recitazione non è teatrale e attraverso i 6 episodi risale
tutta l'Italia. Questo tipo di cinema immediatamente e oggettivamente tutt'altro rispetto a quello
precedentemente ha contato molto per far maturare a Pratolini la necessità d cimentarsi con uno stile
e dei moduli espressivi diversi, liquidando per sempre le raffinatezze stilistche e la sottigliezza delle
analisi psicologiche della stagione ermetica a favore di una scrittura essenziale e diretta. Come i
personaggi che comparivano nel romanzo con una prevalenza delle strutture paratattiche e presenza
di tratti del parlato. Questo film offre a Pratolini esempio eccezionale di coralità, di racconto unitario
e unifocale.

Cronache di poveri amanti

a vicenda si svolge tra 1925 e 1927: due anni non equamente distribuiti nel romanzo. Tutta la prima
parte è la cronaca di un'estate particolarmente calda in cui domina il tempo ciclico e iterativo della
quotidianità della strada. Il narratore cronista fa entrare a poco a poco con i personaggi, ce li fa
conoscere, delinea le caratteristiche, comincia ad accennare alle storie di ciascuno e alle ralazioni che
intercorrono tra gli uni e gli altri e rende conto delle attività di tutti i giorni. Nella seconda parte., il
capitolo quattordicesimo segna una frattura, arrivano le prime pogge e nella cronaca quotidiana di via
del corno fa ingresso la storia. È raccontata “la notte dellapocalisse2 nella quale una banda di camice
nere scorrazza per la città per vendicare l'uccisione di alcun di loro e va a cercare i principali
oppositori politici per ucciderli, in un caso riuscendoci. Nel tentativo muore il punto di riferimento
etico, politico e umano della strada, il maniscalco Corrado soprannominato Maciste. Da questo
momento in poi via del corno il tempo della narrazione accelera e nella parte finale della seconda
parte e nella terza viene raccontato un intero anno (autunno 1925-autunno1926) e si ragguaglia il
lettore su un altro anno autunno 1926-1927. in questi anni il partito fascista prende potere e si
consolida da dopo il delitto matteotti; entrano in vigore le leggi speciali, ci sono le ultime
manifestazioni della violenza squadrista. Dopo subentra la normalizzazione del regime; i fascisti di
via del corno fanno carriera, chi era politicamente neutro prende per convenienza la tessera fascista e
gli ultimi oppositori (ugo e Mario, che erano stati in qualche modo instradati da maciste verso il
partito comunista) vengono arrestati. La parabola che segue la cronaca di Pratolini va verso un
progressivo restringersi degli orizzonti e verso un progressivo incupimento. Le vite di tutti, che siano
o no sfiorate dalla violenza della storia e della politica subiscono l'instaurarsi del clima oppressivo,
dell'angustia. Tuttavia Pratolini sceglie di non chiudere la sua cronaca su un finale così pessimista ma
di lasciarlo apetto. Mario e la sua compagna sono fuggiti in Francia e ne 1947 qualsiasi lettore di
questo romanzo sapeva che la fuga in Francia significava l'inizio della riscossa, la preparazione
dell'opposizione clandestina in vista della liberazione futura. Ancora prima, a casa di Mario si
presenta la polizia per arrestarlo. Milena corre alla tipografia dove lavora per dirgli di non tornare a
casa, deve andare a greve (paese lì vicino) a casa della moglie di maciste. Mario cerca di prendere il
pullman ma lo prende, allora Milena lo accompagna. Due camminano tutta la notte e il giorno dopo
nella campagna, è un momento quasi idilliaco, come certi notturni Manzoniani, sospesi tra l'angoscia
e la bellezza attorno. Ad un certo punto, si sente cantare un gallo, è l'alba. Mario dice che no sentiva
cantare un gallo da tanto perché il allo della strada era stato ammazzato per ordine di carlino il fascista
che era disturbato dal canto e aveva imposto di ammazzarlo, i un pagina in cui mussolini è un gallo
che canta per dare inizio ad una nuova era. L'ultimo gallo in campagna è quello della stria futura che
dice al lettore che il chicchiricchì vincente sarà non quello di mussolini ma di Mario e Milena.

Incipit de Cronache di poveri amanti

Si apre con la descrizione del luogo in cui si svolgerà la maggior parte dell'azione secondo una tecnica
che è tipica de romanzi ottocenteschi (vedi I promessi sposi; Père Goriot). L'autore costruisce mano
a mano lo spazio della storia davanti agli occhi del lettore. Questo incipit ha delle caratteristiche non
così tradizionali. Il narratore, nei confronti del lettore, sta usando la tecnica dei romanzieri naturalisti,
in particolare di Verga che ha in qualche modo teorizzato l'ingresso del lettore nella narrazione in
medias res. In una lettera a Felice Cameroni, quando Verga aveva appena finito di seguire i
Malavoglia, dice di essersi messo fin dall'inizio in mezzo ai lettori come se li avesse sempre
conosciuti, Sembra il modo migliore per dare completa illusione della realtà, ha evitato apposta il
profilo per i personaggi principali. La voce narrante conosce i personaggi e si rivolge al lettore come
se anche lui li conoscesse. Quando Pratolini sta scrivendo il romanzo scrive ad Alessandro parronchi,
gli dice che vuole che via del corno del suo romanzo diventai quello che Acitrezza è diventato per
Verga e per i lettori dei Malavoglia. Il modello verghiano è riconoscibile non solo attraverso l'uso
dell'incipit in medias res che catapulta il lettore senza spiegazione preliminare ma il modello
verghiano è ben presente nell'uso abbastanza significativo del discorso indiretto libero, dei proverbi
e dei soprannomi. C'è un tratto ancora più esplicito che rimanda alla lezione verghiana dei
Malavoglia: la coralità. Questo è un incipit coralissimo: la voce narrate non si sofferma su nessuno,
è molto cinematografico, perché segue prima una traccia luminosa e sonora (il gallo che canta e la
lanterna dell'albergo Cervia che si spegne), poi la traccia sonora si diversifica nelle voci, nello
scambio di battute tra carabinieri ed ammoniti e si dispiega nella staffetta delle sveglie che mano a
mano risuonano nelle diverse case. La traccia luminosa segue la lanterna che si spegne, la luce in casa
della Signora che rimane accesa e solo alla fine dell'incipit, quando l'alba è avanzata, si spegne.
Seguendo queste due tracce, la voce narrante fa una carrellata in tutta la strada sfiorando i diversi
appartamenti e dice qualcosa di ognuno degli abitanti, li mette in scena tutti insieme (o quasi). La
voce narrante indugia sui luoghi che saranno fondamentali, dai quali si irradierà l'azione nelle pagine
successive (la carbonaia, l'ammonito e la camera della signora), qui si svolgerà il primo episodio,
ovvero l'occultamento di una refurtiva a cui Giulio non prende parte ma viene poi coinvolto dagli
amici. Via del corno viene offerta al lettore attraverso una strategia solo apparentemente tradizionale,
ma che in realtà allinea una serie di immagini e quasi tutte rimandano a una particolare caratteristica
dei personaggi: il mestiere (Corrado maniscalco, Osvaldo parrucchiere...). Di tutti i personaggi viene
detto solo quello che fanno per lavoro. I personaggi, soprattutto quelli maschili, verranno definiti solo
tramite il loro mestiere, come se Pratolini volesse mettere in risalto soprattutto il loro ruolo sociale e
la collocazione rispetto alla strada che questo gli attribuisce. L strategia narrativa di Pratolini riprende
in qualche modo il modello di narrazione unitaria e unifocale di cui parla maria corti. Questo modello
si traduce nell'organizzazione e giustapposizione di scene distinte che il narratore orchestra, collega
come se fosse un cantastorie che riesce a seguire e rendere conto di una grande quantità di vicende
individuali e degli intrecci tra l'una e l'altra. Spesso il narratore delle cronache si atteggia a cantastorie,
fa proprio un modello narrativo epico e corale e alla fine del romanzo, quando una delle ragazzine,
Musetta, incontra renzo, gli dice “le strie di via del corno sono da cantarsi sulla chitarra. E il bello è
che sembra non succeda quasi nulla”. Cronache = narrazione plurale, di più storie affiancate l'una
all'altra ma che si richiamano secondo un modello narrativo tipico della tradizione orale e popolare.
U tratto caratteristico è il presupporre un rapporto tra il narratore e i destinatari del racconto; il
narratore delle cronache si comporta molto spesso come se avesse di fronte il suo pubblico di
ascoltatori, più che di lettori. Annuncia spesso quello che racconterà solo dopo, anticipa gli eventi per
tenere viva la curiosità, si pone delle domande, spesso retoriche, sui comportamenti dei personaggi,
oppure le pone ai lettori stessi. Usa molto i deittici, come se presupponesse la presenza fisica dei
destinatari. Queste caratteristiche fanno di loro un soggetto interessante che ha prerogative diverse
che rimandano a momenti diversi della storia del Realismo europeo. Ha le prerogative di un narratore
onnisciente, che conosce tutto dei propri personaggi. Il cui sguardo è steleoscopico (?) che abbraccia
tutti i personaggi, che non solo abbraccia da fuori ma penetra nei pensieri più intimi dei personaggi e
in virtù di questa conoscenza così profonda il narratore può intervenire nella narrazione come il
narratore Manzoniano o Balzacchiano, esplicitando commenti o giudizi, talvolta di carattere morale.

I vari ruoli ricoperti dal narratore de Le cronache:

• Narratore onnisciente: riesce a penetrare anche nella mente dei personaggi e di descrivere loro
pensieri e le loro paure. Vedi il Nesi quando, chamato dalla Signora, ha paura che lei lo abbia
chiamato perché Aurora (da cu aveva avuto un figlio) essendo di nuovo incinta e costretta ad abortire
da lui, aveva raccontato tutto a sua mamma e questa si era rivolta alla signora che ora voleva
ricattarlo,.

• Narratore testimone: non è un semplice narratore, esterno al racconto, ma è un vero e proprio


testimone.

• Narratore ideologo Narratore come cantore epico popolare:

Interpellazione del lettore => il narratore chiama in causa ul lettore, invita a riflettere e a non giudicare
troppo in fretta i suoi personaggi, oppure vuole che essi condividano con lui una riflessione. Il
pubblico con queste interpellazioni viene oggettivato e reso completamente presente nel testo. Questo
rapporto di complicità cercata, richiesta al lettore, è rispecchiato da un analogo rapporto di complicità
con i personaggi. Lo stesso modo che il narratore ha di rivolgersi direttamente al pubblico invisibile,
ce l'ha spesso nel rivolgersi in seconda persona ai suoi visibili personaggi. Interpellazione dei
personaggi => il narratore esprime la sua disposizione affettiva a personaggi e chiede al lettore
un'analoga partecipazione, e questo ha come effetto il coinvolgimento di tutti: narratore, personaggi
e lettori, all'interno del chiuso universo di via del corno. Il “noi” che usa spesso è da intendersi non
come plurale maiestatis, ma come un pronome collettivo che include l'emittente (il narratore), il
messaggio (i personaggi) e il destinatario (i lettori). Questa omogeneità è una delle caratteristiche più
rilevanti o una delle ambizioni più forti degli scrittori del Neorealismo. Questa omogeneità aveva
delle radici di ordine sociale e politico, era una spinta bin direzione della democratizzazione del
sistema letterario. La voce narrante in questo modo è immersa nella collettività di cui racconta e in
qualche modo è investita di una legittimità nuova da questo ruolo di cantore epico e popolare di un
mondo al quale egli stesso appartiene e che grazie a lui, alla pluralità delle sue funzioni (interna ed
esterna), questo microcosmo diventa in qualche modo il riflesso di un macrocosmo, di un'intera
società Italiana. Cronache: narrazione di molteplicità di storie intrecciate; pluralità di atteggiamenti
della voce narrante che le racconta. Questa pluralità investe anche altri elementi cardine della
narrazione, come il trattamento della dimensione spaziale e di quella temporale e il sistema dei
personaggi. Via del corno è descritta come un'isola, un'oasi nella foresta. La cronaca della vita
quotidiana si intreccia con le vicende più grandi della città e quindi della storia. Via del corno è lunga
50 metri e larga 5, non ha marciapiedi. Pratolini lo descrive come un piccolissimo villaggio in cui
tutti sanno tutto di tutti. Qui Pratolini riesce a creare una grande varietà dal sistema spaziale interno
della strada: i personaggi sono dislocati nella strada in modo significativo:

• La Signora: sta in alto, non esce mai di casa e dall'alto sorveglia tutto quello che succede nella strada.

• Carbonaia del Nesi: all'estremo opposto, sottoterra. • Botteghe: sul piano della strada. Le più
importanti sono quella del ciabattino che lavora tutto il giorno sulla soglia, quasi in mezzo alla strada
ed è una specie di replica in sedicesimo del narratore delle cronache. Si fa i fatti di tutti e poi li
racconta. C'è anche la mascalcia di maciste, luogo del lavoro e della pedagogia politica. Proprio nella
sua bottega maciste educa alla resistenza contro il fascismo i due giovani Ugo e Mario. Questo spazio
ha un significato: è chiuso ma aperto sulla strada a metà tra la dimensione privata e quella pubblica.
Queste due dimensioni in lui sono coerenti, quello che è, è anche quello che manifesta.

Il lavoro ha una funzione centrale anche nel definire il rapporto tra la strada e il resto della città. Le
uscite di via del corno sono affidate ai personaggi che, per lavoro, devono spostarsi. Di solito si
seguono i passi di Ugo (fruttivendolo) e Rivoir (croccanti e dolciumi). Questa mediazione che i
personaggi itineranti istituiscono tra il microcosmo e via del corno non si limita alla definizione dello
spazio ma ha un'importante funzione anche nella macchina narrativa, perché quello che succede al d
fuori di via del corno il lettore lo viene a sapere solo perché alcun8i personaggi della strada vi hanno
partecipato o ne sono stati testimoni. Ad esempio il capitolo della notte dell'apocalisse prende il via
dal racconto che il dolciaio rivoir da di uno scontro a fuoco tra fascisti e sovversivi in via dell'agneto
(?). in questo scontro sono morti dei fascisti e da qui s scatena la rappresaglia che dà via alla notte
dell'apocalisse. Questo episodio viene raccontato in prima persona da rivoir a maciste e agli altri e lo
veniamo a sapere solo perché era in centro a vendere la sua mercanzia. Allo stesso modo, la notte
dell'apocalisse è vista dal punto di vista dei personaggi che vi hanno partecipato: Osvaldo il fascista
e Ugo e maciste sul fronte opposto. Questi personaggi sono mediatori tra lo spazio aperto della via e
quello della città, tra quello che viene riferito sulla strada e quello che viene riferito all'interno. Via
del corno assume anche altri attributi. Come Acitrezza è un luogo protettivo ma anche un luogo che
la miseria che vi regna e la limitatezza degli orizzonti che condiziona la vita dei personaggi, rende
simile ad una prigione. Dopo la notte dell'apocalisse gli abitanti sentono con angoscia quasi di essere
cinti d'assedio, si chiudono nelle loro case “come detenuti nelle loro celle”. Questo aspetto è ribadito
dal fatto che nel raggio di 200m sono dislocati i luoghi del potere (politico, giudiziario, repressivo):
palazzo vecchio, tribunale, bargello, sede del fascio, commissariato di polizia. C'è una specie di
pressione simbolica che la topografia cittadina esercita su questa strada facendone quasi un luogo di
reclusione. Questa metafora come una cella può espandersi fino a trasformare via del corno in un
luogo di dannazione, quasi infernale.

Pratolini in alcuni momenti riattiva in maniera sottile ma inequivocabile l'archetipo dantesco, affidati
soprattutto al Duca ma a volte anche allo stesso narratore, quando parla dei rapporti tra la gente della
strada e la signora dice “più che il rancore poté il perdono”. Questa riattivazione segnala anche che
via del corno, dietro la sua apparenza modesta, insignificante, nasconde invece una dimensione
spaziale infernale, la cui concretizzazione più vistosa è la carbonaia del Nesi: qui Aurora si perde
(perde onore, dignità, innocenza) e sempre qui Giulio, che vorrebbe piazzare la sua refurtiva, viene
alla fine tradito finendo in prigione. Entrare in questa carbonaia è come affacciarsi alla bocca
dell'inferno, qualcuno si caccia dentro e non riesce più a tirarsene fuori. L'ultima sfaccettatura della
spazialità nelle Cronache è affidata all'immagine che il narratore evoca nella descrizione della strada
“chiusa come tra due fondali”, come se fosse uno spazio teatrale, un palcoscenico a cielo aperto.
Questa dimensione viene ribadita insistentemente dal narratore. La gente della via viene paragonata
al coro della tragedia classica. È una teatralità di segno positivo che scaturisce da un certo
esibizionismo tipicamente fiorentino e poi dai legami di familiarità e confidenza che permettono ai
personaggi di avere relazioni tra loro sempre esibite. C'è anche una teatralità di segno positivo legata
al momento della festa: Pratolini fa lunghe tirate descrittive sulle feste popolari fiorentine. La festa
dell'annunziata (7-8 settembre) quando si va in giro con c.. di carta; ogni quartiere della città allestisce
la sua fiera; mattina di pasqua. Pratolini descrive il coinvolgimento popolare che queste feste
suscitano e in questi momenti lo spazio quotidiano del lavoro e delle attività domestiche viene vissuto
in modo completamente diverso: lo spazio diventa non più lo sfondo delle attività quotidiane ma un
palcoscenico su cui diventare qualcun altro e in cui permettersi lo scatenamento che nella vita
quotidiana non è possibile. Questo elemento della festa e del mascheramento, della fruizione magica
dello spazio quotidiano, nella seconda parte del romanzo diventa così insistito da configurarsi quasi
in maniera simbolica e non più molto di segno positivo. La teatralità di via del corno non rimanda più
solo al momento giocoso delle feste ma a un'idea della vita come mascheratura, finzione e ha
conseguenze spesso tragiche che lo smascheramento porta con sé. Nella seconda parte del romanzo,
con il normalizzarsi del regime e della grande storia, si assiste anche al declinare delle speranze, degli
entusiasmi e della giovinezza dei personaggi e un ingresso all'età adulta che si annuncia poco
entusiasmante. Vi sono implicazioni esistenziali: tradimento, disillusione personaggi femminili e ha
anche un risvolto politico. Maciste e Mario sono i personaggi che capiscono per primi le conseguenze
di questa sfasatura tra ciò che uno è e ciò che uno appare e a scegliere l'adesione a se stessi.

Il sistema dei personaggi: gli antagonisti mitologici

Si raduna un vasto insieme di umanità compatibilmente con la verosimiglianza dell'epoca. Dalla


piccola malavita (Giulio e Nanni; le prostitute che esercitano all'albergo) sottoproletariato, gli
ambulanti, proletariato vero e proprio (operai come Mario), artigiani (maciste, calzolaio) e piccolo
borghesi (Carlino e Osvaldo, gli unici due fascistissimi della strada che esercitano il commercio o
sono impiegati). Quello che risulta da questo affollato sistema dei personaggi è un effetto quasi
stereoscopico di realtà in piena sintonia con quella passione inventariale del Realismo ottocentesco.
Nel sistema dei personaggi non c'è solo l'intento estensivo di Realismo tipicamente ottocentesco ma
Il sistema dei personaggi è articolato anche secondo una chiave simbolico-mitica. In questa
dimensione troneggiano i due grandi antagonisti del romanzo, la Signora e Maciste. La signora è
dichiaratamente l'incarnazione del male, non del male metafisico ma di un male preciso che coincide
con il fascismo come fase aggressivo imperialistica del capitalismo. Nel sistema dei personaggi tutti
hanno un soprannome, soprattutto quelli maschili, che di solito è legato al loro lavoro o a loro
caratteristiche che garantisce l'eternità del tempo. I soprannomi di Maciste e della Signora agiscono
in dimensione simbolica. Il soprannome de La Signora annette un significato preciso di personificare
il fascismo e la sua dittatura, rappresenta proprio Mussolini. “ha fatto della vendetta il suo blasone”.
È un'ex prostituta, malata (o sedicente tale) che passa la giornata a letto circondata di giovani donne.
Tutta la strada la considera una benefattrice perché Gesuina, la sua più fedele serva e forse amante, è
stata presa da lei dall'orfanotrofio. La grande disponibilità di denaro di cui gode è uno degli strumenti
attraverso i quali esercita il suo potere sulla via. L'altro strumento è il sesso. Pratolini parla
dell'omosessualità femminile in termini non solo negativi ma forse anch'essi simbolici, come
un'immagine della sterilità e della deviazione e perversione in questo rimandando ancora al fascismo.
Nella rappresentazione di ciò che era stato il fascismo e il dominio mussoliniano sull'Italia, alcuni
scrittori Italiani usano l'immagine e le serie metaforica della sessualità. Negli stessi anni delle
cronache, scrive un pamphlet in cui il dominio psicologico e morale di Mussolini è anche seduttivo e
sessuale, come se tutto il popolo Italiano fosse stato stregato da lui. Pratolini adopera lo stesso
meccanismo caricandolo di una diversa valenza, il dominio politico è filtrata attraverso un dominio
di tipo sessuale e viene femminilizzato e qui c'è l'omosessualità. C'è una superdonna che compete con
le donne per portar loro via gli uomini. Dopo che la signora ha perso le sue amanti (prima Gesuina
che si è innamorata di Ugo, poi Liliana perché diventa amante del figlio del Nesi) rimane sola e
abbandonata ma trovandosi per le mani una cospicua eredità e decide di vendicarsi comprando tutte
le case di via del corno per poter finalmente sfrattarne gli abitanti, restare la sola abitante della strada
chiuderla e intitolarla a se stessa. Questo proposito viene vanificato da un'emorragia cerebrale che
riduce la donna ad uno stato quasi vegetale e in queste sue ultime immagini Pratolini prefigura la
futura sconfitta del fascismo mostrandola al davanzale della sua finestra (cfr. Mussolini affacciato al
balcone di palazzo Venezia), muta (perché non può più parlare) e in condizioni di rimbambimento
catastrofiche che quasi la deumanizzano. Passa le giornate alla finestra a mangiare banane e buttare
le bucce a quelli di sotto, a mangiare semi abbrustoliti e a fare le bolle alla finestra. Gesuina si è
incontrata con Ugo e riesce a trovare in sé la forza di comprendere l'assurdità della sua vita e la forza
di uscire dal cerchio stregato che è la casa della signora e di andarsene con ugo a vivere la propria
vita. Diventerà poi una componente molto attiva della resistenza clandestina.

Maciste: anche nel suo caso il soprannome è uno strumento che lo iscrive all'interno della collettività
ma la sua corporatura lo trasfigura in chiave simbolica anche lui in direzioni politiche. Questa valenza
simbolica fa sì che la cronaca degli scontri tra fascisti e antifascisti della notte dell'apocalisse venga
trasfigurata in chiave anch'essa mitica. Soprattutto quando descrive le azioni e il comportamento e la
persona di maciste, il narratore usa un codice linguistico che rimanda alla bibbia e al vangelo e che
quindi semantizza la figura di maciste in questa chiave. Maciste sta correndo col sidecar per avvisare
quelli che i fascisti vogliono vengano uccisi nella notte dell'apocalisse e viene descritto come un “San
Giorgio”, successivamente come un “angelo dell'annunciazione”. Quando poi viene ucciso è
rappresentato proprio come un Cristo in croce: “verticale sulla scalinata, le braccia spalancate, le
palme aperte, la nuca confitta tra il gradino e gradino, il suo volto guardava in alto ad occhi aperti un
cielo che non era più suo”. Il microcosmo di via del corno diventa proprio un macrocosmo dell'Italia
e dell'eterno scontro tra l'oppressione e la libertà. Il Realismo di Pratolini ha anche un radicamento
storico, sociale ed economico per cui accanto a questi due antagonisti ve ne sono altri di tipo storico
che incarnano possibili traiettorie esistenziali e politiche verosimili in quegli anni.

Sul fronte degli antifascisti: • Ugo: legato a maciste e dopo un momento di sbandamento, dopo la
notte dell'apocalisse rileva la sua eredità e prende il suo posto diventando punto di riferimento del
partito comunista di quella parte della città

• Mario appena arrivato a via del corno ma grazie a maciste comprende la natura non rivoluzionaria
del fascismo bensì la sua natura oppressiva e classista.

Sul fronte dei fascisti: • Carlino, un po' il ras di via del corno nella sua storia Pratolini riassume
perfettamente quel sovversivismo piccolo borghese che negli anni dell'immediato dopoguerra vagava
nell'aria quest'insoddisfazione piccolo borghese che aveva bisogno di trovare qualcosa che la
incanalasse e il fascismo delle origini ha avuto proprio questo scopo. Con la sua violenza e la sua
promessa di ordine, carlino è il riassunto di questo fenomeno sociale che ha un ruolo determinato.
• Osvaldo, appartiene alla classe 1900, non ha fatto in tempo a combattere nella prima guerra
mondiale e non ha marciato su Roma perché malato di tifo. Ha mancato tutti gli appuntamenti con la
storia e, pur essendo atterrito e disgustato dalla violenza gratuita di carlino e delle bande nere, ha
bisogno così forte di sentirsi partecipe della storia che finora ha sempre mancato, che alla fine accetta
di partecipare ai massacri della notte dell'apocalisse. Alla fine diventa anche lui una perfetta camicia
nera.

Il trattamento del tempo

Il perno temporale su cui si regge l'architettura narrativa è il presente, come si addice a una cronaca,
ovvero a un racconto che si presenta come la trascrizione immediata di eventi che si svolgono giorno
per giorno secondo la finzione di un narratore che segue e annota i fatti che si svolgono nella strada.
Questo perno temporale non è unico; l'altro aspetto interessante è la ciclicità, anche questa una
caratteristica dell'epica popolare. Il romanzo si apre all'alba di un giorno qualsiasi (un venerdì). Il
romanzo si chiude la sera di un giovedì di due anni dopo. Dalla notte e dall'alba dell'inizio alla sera
della fine, come fosse passato solo un giorno. Soprattutto la specularità dell'inizio e della fine è
rafforzata e contraddetta dal fatto che l'inizio è al presente mentre l'ultimo capitolo il tempo che usa
il narratore è il passato remoto. L'incedere è quello del cronista, che aggiorna sullo scorrere del tempo
e il tempo della narrazione alla fine è al passato remoto. Giocando con i tempi verbali, il narratore
può aumentare o ridurre la distanza tra se stesso e i lettori e se stesso e i personaggi. Il passato remoto
degli ultimi capitoli dà il senso di qualcosa si è chiuso per sempre oppure sono congelati in una
dimensione mitico epica. Due funzioni diverse della te, polarità che si possono dividere in due livelli
ciascuna

Funzione storico temporale: livello macrostorico, dove le cronache raccontano il confronto tra
fascisti e antifascisti come versione attuale di una lotta secolare tra fazioni avverse; livello storico
attuale che si riferisce alla concretezza del tempo e del luogo in cui ci si trova.

Funzione ciclica e mitica

• Livello mitico eternale

• Livello quotidiano esistenziale

Gli interessa rendere conto del fluire della vita quotidiana delle classi popolari ma anche trascenderlo
in forme simboliche universali, stessa cosa per quanto riguarda il versante storico delle cronache,
ovvero vuole narrare il momento in cui il fascismo diventa davvero regime. Dopo il delitto m
Matteotti il regime poteva essere abbattuto, ma una serie di eventi ha fatto in modo che diventasse il
regime che ha accompagnato la generazione di Pratolini. Il finale del romanzo tiene insieme questi
due elementi.

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