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RELAZIONE DI TERESA PETRANGOLINI

Cari congressisti, vi do il benvenuto al secondo Congresso nazionale di Cittadinanzattiva. Il vostro


contributo sarà fondamentale per una buona riuscita dei lavori di questo Congresso. Lo staff che ha
curato la realizzazione di questo evento ha cercato di unire la solennità e l’importanza politica della
nostra assemblea con una attenzione alle esigenze dei singoli delegati, in modo tale che ognuno di
voi possa svolgere appieno il suo ruolo. C’è anche l’URD, che non è solo una cittadina del sud della
Francia, ma un servizio finalizzato alla cura del congressista. Speriamo di esserci riusciti. Se ci
saranno disguidi e pecche, invochiamo la vostra benevolenza! Staremo insieme quattro giorni per
prendere grandi decisioni, ma anche per conoscerci meglio, per confrontarci con numerosi
interlocutori esterni, per scambiarci informazioni ed esperienze. Ci sarà spazio anche per lo svago e
il divertimento, grazie al grande impegno e alla squisita ospitalità del nostro Movimento del
Trentino, a cui vanno i miei più sentiti ed affettuosi ringraziamenti.

Al passo col futuro: il coraggio, la voglia e il potere di cambiare le cose


Abbiamo scelto come tema del Congresso il futuro, intendendo con questa parola quanto
indicato nel sottotitolo: la voglia, il coraggio e il potere di cambiare le cose. Si tratta
indubbiamente di una scelta audace e un po’ pretenziosa, ma proprio per questo
stimolante e densa di sviluppi.

Un’epoca di passioni tristi


Viviamo in un’epoca nella quale si parla poco di futuro e quando lo si fa lo si cita per
prefigurare una sequela di pericoli e minacce: l’inquinamento, l’assenza di lavoro per i
giovani, la crisi del welfare state, le disuguaglianze crescenti, la precarietà della vita
umana e il conflitto globale. È come se si fosse ribaltato un paradigma. Siamo passati nel
giro di pochi anni da una fiducia smisurata e messianica in ciò che ci si prefigurava e ci si
aspettava che accadesse in futuro (il “non ancora”) ad una diffidenza altrettanto estrema
nei confronti del futuro.
In un recente e interessante libro di due psichiatri francesi, per rappresentare questo stato
delle cose, si cita il grande filosofo Spinoza: viviamo in un’epoca di “passioni tristi”.
Spinoza intendeva per “passioni tristi” non tanto la tristezza del pianto, quanto quel
sentimento che emerge quando ci si sente impotenti, disgregati, incapaci di prevedere il

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domani. Da questo stato d’animo derivano varie conseguenze: l’idea che tanto non ci si
può far nulla, che è necessario rompere tutti i legami solidali e che forse vale il principio
del “dopo di me il diluvio”. Anche i grandi della terra, quando si riuniscono nelle loro
assise mondiali (Davos, ecc.) dichiarano il disastro e tendono ad avvalorare l’idea che i
problemi non si risolvono. Il sistema stesso sembra essere vittima di un ordine portatore
di una minaccia di catastrofi che nessuno dichiara di volere. La situazione ci viene
presentata come se fossimo davvero in presenza di una nuova natura, sicuramente
degenerata, ma inevitabile, di fronte alla quale l’unica soluzione è quella di dire “Si salvi
chi può”, giustificando un certo tasso di irresponsabilità. Questo vale per le guerre, per
l’equilibrio ecologico del pianeta, per la povertà, per i conflitti etnici, per il terrorismo.
Pensate solo al comportamento della Presidenza degli Stati Uniti: per rispondere ad una
minaccia gravissima, quale quella del terrorismo, ha scatenato un conflitto senza fine.
Lungi dal preoccuparsi delle conseguenze per tutti noi, essa ha congiunto la crociata per
la sicurezza con obiettivi di potenza economica e militare americana.
Di fronte a questi scenari passano in secondo piano questioni come l’interesse generale,
l’interdipendenza, la tutela dei beni comuni, i legami sociali, il ruolo dei governati.
Sembra quasi che essi non servano per risolvere i problemi, dato che i problemi sono
irrisolvibili.
Ma le cose stanno veramente così? O, meglio, è veramente impossibile trovare risposte
non violente, di grande respiro, attente alle esigenze dei singoli e dei gruppi, soprattutto
responsabili, di fronte alle sfide che abbiamo di fronte?
A mio parere, esistono almeno tre buoni motivi per decidere di essere al passo col futuro.

1. La cittadinanza attiva: il miglior posto in cui vivere


Nessuno ha la bacchetta magica, tantomeno un movimento di cittadini, che non ha certo
in mano i destini dell’umanità. Posso dire solo una cosa: l’esperienza maturata in questi
ventisei anni di storia, il confronto continuo con altre esperienze, nazionali e
internazionali, simili alla nostra, il colloquio quotidiano con tanti cittadini di questo paese
come dei paesi della nuova Europa, ci dicono che il futuro è molto più nelle nostre mani
di quanto noi stessi pensiamo e crediamo. Il nostro modo di essere, di fare politica, di
promuovere cultura, di tutelare diritti, di creare legami e alleanze tra individui e gruppi,

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è già uno strumento per costruire un futuro meno minaccioso e denso di pericoli, ma più
attento e pacifico.
Condivido in pieno quanto afferma Herbert J. Rubin, studioso americano dell’attivismo
dei cittadini “Una società con organizzazioni di impegno civico è il miglior posto in cui
vivere, sia per chi è debole, che per chi è forte”. Come cittadini occidentali del
ventunesimo secolo abbiamo una fortuna: abbiamo visto cadere tutte le illusioni, abbiamo
assistito al crollo di miti e speranze e non ne abbiamo nostalgia, né nutriamo il rimpianto
per quello che non è stato. Non siamo quindi legati al passato, con tutto il rispetto che
ognuno di noi deve avere per le proprie radici, ma proiettati verso il futuro, perché il
futuro ci sta di fronte e non ci mette tanta paura. I motivi di questo scarso timore sono
molteplici. Innanzitutto l’aver visto, nelle cose grandi come in quelle piccole, che la
presenza dei cittadini e la loro capacità di mobilitazione può cambiare tante cose.
L’uscita della Spagna dal fronte iracheno è dipesa dalla reazione della cittadinanza
all’attentato terroristico dell’11 marzo, ma anche dall’aver smascherato i tentativi da parte
del governo di occultare la verità.
A Scanzano Ionico le scorie radioattive non sono state interrate nel “Terzo Cavone”
perché i cittadini si sono ribellati, non solo per timore delle conseguenze dell’operazione,
ma anche per non averci visto chiaro e non essere stati coinvolti nelle scelte operate.

2. Trovare quello che si desidera, non desiderare quello che si trova


In secondo luogo, scommettiamo sul futuro perché il presente non ci soddisfa. Sono
troppi i diritti dei cittadini calpestati, scarsa l’attenzione riservata ai cittadini attivi,
crescenti le situazioni di disagio e di malessere, assolutamente insufficiente lo spazio per
una dimensione civica della politica in Italia e in Europa.
Si dice che nella nostra società se le persone non trovano quello che desiderano, si
accontentano di desiderare quello che trovano. Per noi non è così. Siamo troppo esigenti
per accontentarci.
Non basta assegnare i fondi per ricostruire la scuola di San Giuliano di Puglia, ma è
necessario trovare i 9 miliardi di Euro che servono per mettere in sicurezza tutte le scuole
italiane, perché ad altri non accada quello che è successo a quelle famiglie; così come è
inaccettabile un accordo con la Società Autostrade, sul blocco dei prezzi dei pedaggi,
subito dopo che sono stati fatti gli aumenti. Molte volte mi è capitato di pensare ai grandi

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del passato che per noi rappresentano un riferimento imprescindibile, come Gandhi. Ho
cercato di immaginare cosa avrebbe fatto lui al nostro posto, dato che non ha mai mollato
prima di aver ottenuto l’indipendenza dell’India. Di una cosa sono certa: non avrebbe
mai accettato un accordo al ribasso con Gamberale!

3. La nostra passione gioiosa


C’è un terzo motivo per cui siamo al passo col futuro. Esso risiede nel fatto che abbiamo
un nostro progetto politico.
Infatti non avrebbe senso mettersi in marcia se non avessimo una idea su come costruire
qualcosa di diverso per il nostro paese. Di solito quando si pensa al domani si cade nella
retorica. Tutti vorrebbero, almeno a parole, un futuro senza guerre e senza armi o un
futuro in cui tutti siano felici, come recita la Costituzione americana. Come non essere
d’accordo? Il problema è che i desideri devono incardinarsi in programmi e bagnarsi di
concretezza.
Per questo abbiamo deciso di fare dell’attuazione dell’art. 118, u.c., della Costituzione il
nostro progetto politico, vale a dire di lavorare per integrare i poteri tradizionali con
quelli dei cittadini al fine di arricchire la nostra democrazia e rendere più tutelabili i
diritti.
L’art. 118 è la nostra “passione gioiosa”, sempre per rovesciare Spinoza, è la potenza che
diamo alla nostra azione. Forse non riusciremo a cambiare il mondo, ma se il cittadino,
singolo o associato, diventerà a tutti gli effetti un attore della vita pubblica e se riusciremo
a costruire una dimensione civica dell’agire politico in cui al primo posto ci siano
l’interesse generale e la cura dei beni comuni avremo fatto molto, perché avremo
costruito il pezzo mancante della democrazia. Senza questo pezzo, apparentemente
piccolo e irrilevante, la democrazia non può andare avanti e il rinnovamento della
politica non può essere garantito.
L’esempio lo abbiamo davanti agli occhi e sono le elezioni europee: gli elettori con la loro
astensione hanno detto con chiarezza che non si può fare l’Europa senza i cittadini e che
non sono interessati ad una dimensione europea autoreferenziale, tutta interna agli
equilibri tra i governi, estranea ai grandi problemi sociali ed economici che ogni paese sta
vivendo. Come cittadina europea e convinta europeista, sono scandalizzata delle

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dichiarazioni del premier polacco, Aleksander Kwasniewski, che ha accusato i suoi
concittadini di essere immaturi ed irresponsabili perché non sono andati a votare.
Quello che il Movimento sta facendo mediante i programmi di Active citizenship
network dimostra proprio il contrario: i cittadini attivi in Europa sono presenti e
agguerriti (ad oggi collaborano con Acn 70 organizzazioni dei 30 paesi della nuova
Europa) e stanno lavorando per promuovere la presenza delle organizzazioni civiche
nelle politiche pubbliche in Europa. Il problema è che, appunto, gli establishment europei
non se ne sono accorti e che trattano ancora i cittadini come sudditi. E, come abbiamo
visto, i sudditi si ribellano.
Dentro questo progetto c’è il motivo per il quale continuiamo a non presentarci alle
elezioni. A differenza del flot fatto dal Codacons, noi sommando adesioni individuali e
collettive, più parenti, amici e simpatizzanti, con un po’ meno arroganza e cialtroneria,
forse avremmo avuto un nostro rappresentante a Strasburgo. Ma non è questa la nostra
missione. Non è per paura o sottovalutazione delle nostre forze che non partecipiamo alla
contesa elettorale. Come recita la Carta della sussidiarietà, proclamata il 12 marzo scorso
nel corso della Prima Convenzione nazionale della sussidiarietà, noi lavoriamo per affermare
una nuova forma di esercizio della sovranità popolare, che completa le forme tradizionali
della partecipazione politica e della partecipazione amministrativa. Credo che non
potremo mai ringraziare a sufficienza Peppino Cotturri per aver scritto quella norma, che
a questo principio conferisce una dignità costituzionale.
Ci sono tanti modi per dire la stessa cosa: far sì che il cittadino conti; non essere solo
elettori, ma attori della vita pubblica; dimostrare che il cittadino rappresenta una risorsa
per la democrazia, o ancora, dare dignità al cittadino. La sostanza è sempre la stessa: -
aprire spazi, costruire politiche, agire nella società, tutelare i diritti, interloquire con le
istituzioni e i partiti, facendolo da cittadini, in quanto cittadini, come cittadini. Quindi
niente competizioni elettorali, semmai una spina nel fianco per chi crede che fare politica
significa necessariamente fare il cosiddetto “salto”.

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Sono passati due anni dall’ultimo Congresso e dal momento della mia elezione a segretario
generale. È mio compito fare un consuntivo di questi due anni. Di quelli precedenti ricorderete la
relazione di Giovanni Moro a Cianciano 2, che ci ha consentito di fare questo in continuità e che
ora ci consente di lanciare i temi e le sfide per i prossimi quattro anni. Non è un compito facile,
perché sono successe tantissime cose. Per quanto riguarda i nostri obiettivi futuri, io ne lancerò
alcuni, che ritengo prioritari ma che non saranno assolutamente esaustivi, rispetto all’ampio
dibattito che in questi mesi ha visto protagonisti le assemblee territoriali della cittadinanza attiva e
i Congressi regionali. So che ci sono molti documenti, mozioni, ordini del giorno. Questa ricchezza
di proposte e di politiche è già uno dei risultati del lavoro di questi anni: ci troviamo di fronte a un
Movimento più vivo, più attento e più esigente.

È in questa sala il primo risultato


Voi, in questa sala, siete i maggiori protagonisti di uno dei risultati che portiamo a questo
Congresso: la crescita numerica e qualitativa del Movimento.
Circa un anno fa abbiamo avviato il lavoro di ricostituzione delle assemblee territoriali, in
applicazione del nostro Statuto che prevede una sorta di check point del Movimento ogni
quattro anni. Quello che è successo ha superato notevolmente le previsioni. Il Movimento
è passato in quattro anni da 47.000 a 76.000 aderenti complessivi con un incremento del
60%. Di queste adesioni circa 36.000 vengono dal territorio (il 47%), mentre 40.000 (il 52%)
vengono dalle associazioni nazionali federate.
Credo che sia molto significativo il fatto che ben 11 associazioni nazionali e molte altre al
livello locale abbiano dato la loro fiducia a Cittadinanzattiva. Si tratta di associazioni che
si occupano di singoli temi (ad esempio le associazioni di malati cronici) o di realtà
professionali (i pompieri in pensione di Napoli), di sezioni locali di associazioni nazionali
(il WWF di Gorizia) o, ancora, di piccole realtà di paese o di quartiere. Il motivo per cui
tali associazioni hanno stretto un patto federativo con il Movimento è più o meno sempre
lo stesso: avere una maggiore impatto politico e legare le proprie battaglie al tema più
generale del protagonismo dei cittadini e del loro ruolo nella vita pubblica.
Siamo passati da 170 assemblee territoriali della cittadinanza attiva a 232, con almeno
altre 20 assemblee in via di costituzione, aumentando notevolmente la capillarità e il
legame con il territorio da parte del Movimento. A Roma si sono fatte assemblee di

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municipio, in Campania di area geografica e culturale (un esempio: Irpinia d’oriente); in
Lombardia le assemblee si sono quasi triplicate; in Toscana si è ormai coperto tutto il
territorio regionale. Vorrei precisare che nelle situazioni dubbie, nelle quali non erano
dimostrabile la correttezza nella raccolta delle adesioni e la effettiva costituzione delle
assemblee, abbiamo bloccato le attività, in attesa di una verifica in loco da parte dei
Congressi regionali. Quindi nessuna raccolta di massa di adesioni e nessuna costituzione
a pioggia di assemblee, ma assemblee vere di cittadini attivi veri.
Sappiamo bene quanto sia stato difficile conseguire questo risultato, anche perché aderire
a Cittadinanzattiva non significa apporre una firma, ma impegnarsi concretamente a dare
una mano e a partecipare. Si tratta di un grande successo di cui dobbiamo andare
orgogliosi, il cui merito va ad ognuno di noi. A dispetto di tante analisi funeste sulla
passività dei cittadini, in Italia, a volte in controtendenza con altri paesi, l’attivismo civico
c’è ed è in crescita. Noi ne siamo uno dei testimoni.

Siamo una nuova palestra della democrazia


Ho avuto la fortuna in questi mesi di girare parecchio. Ho visto i grandi entusiasmi, ma
anche le difficoltà, le durezze e l’incertezza circa le modalità di organizzare un
Movimento, ormai così cresciuto, sul territorio. Dovremo lavorare tantissimo per far sì
che le nostre assemblee riescano a rispondere a quella voglia di partecipazione che
abbiamo visto nei tanti volti di persone che sono state coinvolte nella loro costituzione. Di
questo però parlerò più avanti.
Quello che invece mi ha colpito è vedere come il nostro Movimento, non certo da solo ma
comunque con una sua “specialità”, stia diventando una sorta di nuova palestra della
democrazia, come recentemente lo ha definito l’assessore Mariella Gramaglia del
Comune di Roma. Per anni in Italia questo ruolo lo hanno svolto i partiti e i sindacati che
hanno consentito a grandi quantità di cittadini di uscire dalla sfera della vita quotidiana
per accedere alla dimensione pubblica. Da tempo questi soggetti non svolgono più questo
compito, né potrebbero ormai svolgerlo. Ho l’impressione che movimenti come il nostro,
nei quali le persone non danno solo un assenso o ritirano una tessera in cambio di una
tutela, ma vogliono giocare un ruolo attivo, possono rappresentare un grande strumento
di alfabetizzazione alla democrazia, senza il quale non c’è ricambio di classi dirigenti e
non c’è futuro.

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E di alfabetizzazione si tratta perché la democrazia non è un attributo innato dell’uomo,
ma un elemento di civilizzazione che si acquisisce. La democrazia è anche fatta di valori e
di comportamenti: la scelta per il principio di legalità, il rispetto degli altri, la non
violenza, la socialità, la collegialità. La democrazia ha anche alcuni grandi nemici come
l’arroganza del potere, il leaderismo, la legge del più forte, i pregiudizi sociali.
Noi dobbiamo lavorare affinché le nostre assemblee siano luoghi concreti in cui i cittadini
praticano la democrazia affrontando problemi di grande rilevanza come la cura della
salute, l’aumento dei prezzi, la lentezza dei processi, la presenza di barriere
architettoniche e così via. Penso che questo modo di fare politica, portato alle radici
dell’erba, sia uno strumento per costruire un capitale sociale, utile anche per le istituzioni
rappresentative e per il futuro del paese.

Cittadinanza attiva contro politica delle “facce”


Fino a qualche tempo fa potevamo avere il dubbio che praticare questa strada fosse un
po’ una utopia anche troppo semplicistica.
I risultati italiani delle elezioni di pochi giorni fa ci confortano invece in questa direzione.
Al di là delle propensioni di ognuno di noi e nel rispetto della trasversalità del
movimento, c’è una politica che è stata sconfitta ed è quella che io chiamo “delle facce”,
che significa in pratica delega in bianco ad un leader, primato dell’immagine sulle cose,
paternalismo, sottopercezione dell’intelligenza dell’elettore; una politica che, come dice
Ilvo Diamanti, è senza la società, senza la partecipazione, senza il territorio.
La principale vittima, in quanto ne incarna l’insieme dei significati, è stato il Presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi. Cattivi auspici ne hanno tratto anche i leader dell’Ulivo,
che quando, come nel voto europeo (completamente diverso è stato l’atteggiamento
premiante avuto nel voto amministrativo), hanno seguito anche essi la politica delle facce,
hanno rischiato brutto, dando per scontato di poter trarre consensi illimitati senza aver
risolto le frantumazioni interne e senza aver aperto, come dissero nella prima ora, al
mondo esterno.
Guai quindi, ancora una volta, a sottovalutare i cittadini!

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È estremamente difficile fare l’elenco completo dei risultati ottenuti sulle tante politiche promosse
dal Movimento. Se dovessi in sintesi rappresentare quello che abbiamo fatto direi che abbiamo
rafforzato il Movimento, lo abbiamo aperto al mondo esterno, che abbiamo ampliato la gamma delle
nostre politiche e che abbiamo aumentato la nostra incisività attraverso alcune scelte fondamentali,
come ad esempio la difesa ad oltranza del servizio sanitario nazionale o la lotta alla corruzione, che
il Congresso è chiamato a discutere e potenziare. Proverò quindi a fare solo alcuni flash su 10 assi
portanti.

1. L’attuazione dell’art. 118, u.c., della Costituzione italiana


Questo tema pervade tutto ciò che facciamo. Parlerò quindi solo delle iniziative specifiche
che hanno investito il Comitato “Quelli del 118”, che ci ha consentito di unire le forze e di
mettere insieme 17 organizzazioni diverse, ambientaliste, di volontariato, dei
consumatori. Lavoro questo di cui dobbiamo essere riconoscenti a Gregorio Arena e
Vittorio Ferla.
Abbiamo fatto molte cose: la già citata Prima Convenzione nazionale, che ha visto il
coinvolgimento di 450 persone tra istituzioni, parlamentari, organizzazioni civiche,
funzionari P.A., imprese e cittadini comuni; la Carta della sussidiarietà; la predisposizione
di una proposta di legge sulla defiscalizzazione delle attività di interesse generale dei
cittadini; il lancio del progetto Labsus (Laboratorio della sussidiarietà) per lo studio della
materia in collaborazione con Astrid e il sostegno della Fondazione Cariplo e della
Legacoop. Questi eventi recenti sono stati preparati dalla celebrazione di una Conferenza
nazionale di Cittadinanzattiva dal titolo: "Sussidiarietà e poteri dei cittadini. Istruzioni per
l'uso"; dalla redazione di un emendamento al Ddl La Loggia (sull'attuazione del Titolo V
della Costituzione) depositato presso la Commissione Affari costituzionali del Senato e
da questa approvato; dalla realizzazione di un primo seminario nazionale su “Cittadini
attivi per una nuova amministrazione. L’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione:
frontiera avanzata della democrazia”, con la partecipazione di studiosi di diritto
amministrativo, di responsabili di organizzazioni civiche e di esponenti del mondo
politico-istituzionale; dalla redazione di un Appello ai cittadini e alle istituzioni come
premessa per il lancio di una rete di amministratori locali e di comitati locali “Quelli del 118”;
da sussidi, repertori di azioni, tematizzazioni specifiche; dalla nascita di primi comitati a
Bologna, Napoli, Matera, San Severo.

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Credo però che l’iniziativa più importante realizzata in questo ambito sia stata “Obiettivo
barriere”, che ha portato all’abbattimento delle 118 barriere architettoniche, oltreché al
coinvolgimento di decine di associazioni, alla mobilitazione degli Enti locali, al
partnerariato con numero imprese e ad una presenza massiccia sui mezzi di
comunicazione (decine di uscite su giornali quotidiani e settimanali, più di 48 spot
televisivi trasmessi dalla televisione nazionale), fino ad arrivare alla comparsa della
nostra campagna negli stadi, come è avvenuto il 7 e 8 febbraio scorso, giornate nelle quali
i giocatori di serie A e B e gli arbitri (compreso il mitico Collina) hanno indossato le
nostre magliette all’inizio delle partite.
Con questa impresa abbiamo dimostrato di saper coniugare le questioni alte della politica
(l’applicazione della Costituzione) con la tutela concreta dei diritti dei cittadini e di
saperlo fare mediante la mobilitazione di tanti soggetti istituzionali e della società.
Continueremo questo lavoro anche quest’anno, mediante la realizzazione del primo
censimento nazionale della accessibilità degli impianti sportivi e la ristrutturazione di
alcuni di essi. Preparatevi quindi per settembre.

2. La crescita delle politiche dei consumatori


Dai piani annuali di attività delle assemblee territoriali, così come dalle politiche regionali
e nazionali dei Procuratori dei cittadini, emerge un costante e massiccio impegno del
Movimento sul fronte delle politiche dei consumatori. Nella mia relazione parlerò più
volte di questa politica. Qui vorrei fare solo un elenco di alcune delle iniziative che hanno
visto protagonista Giustino Trincia con lo staff dei procuratori dei cittadini e la rete sul
territorio. Ci siamo occupati di risorse idriche, appalti, assicurazioni, di banche, di buone
pratiche, di call center, delle carte dei servizi, di conciliazione, di clima, di prezzi, di fisco,
di trasporti, di prezzi, di telecomunicazioni e di risparmio. Particolare importanza hanno
avuto gli effetti della causa vinta, grazie all’impegno di Giustizia per i diritti, contro
l'ANIA per l'eliminazione di clausole vessatorie nei contratti assicurativi, tra cui la ratifica
un protocollo di intesa con l'ANIA e il Ministero delle attività produttive per il
contenimento delle tariffe RCA (maggio 2003); grazie alla vittoria in un’altra importante
causa contro l'ABI per l'eliminazione di clausole abusive nei contratti bancari, si è avviata
una revisione civica dei contratti di conto corrente bancario di uno dei più importanti
gruppi bancari presenti a livello nazionale, Unicredit, che ha portato al cambiamento di

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numerosi elementi di criticità (riformulazione e semplificazione del linguaggio; modifiche
di norme o condizioni contrattuali comunicate a domicilio del cliente; tempi più lunghi
per recedere dal contratto in caso di modifica delle condizioni; foro competente spostato
da quello della sede legale della Banca a quello di residenza dei clienti; nessuna spesa
addebitata per le correzioni delle scritture contabili); sono stati analizzate 29 strutture di
call center di enti pubblici, aziende erogatrici di servizi, amministrazioni comunali e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento della Funzione Pubblica ha ospitato
nel manuale “Il call center nelle amministrazione pubbliche” la metodologia e le griglie di
monitoraggio impiegate da Cittadinanzattiva; si è avviato il servizio S.O.S. risparmio a
tutela dei sottoscrittori dei famigerati bond, dopo gli scandali finanziari con la
promozione di procedure di risarcimento con Unicredit; sono stati istituiti, primo caso in
Italia, tavoli di conciliazione con due dei più importanti gruppi bancari, BancaIntesa e
Capitalia, per la risoluzione stragiudiziale di casi di risparmio tradito; sul tema degli
appalti e della partecipazione civica sono state realizzate 4 indagini sul servizio di
ristorazione collettiva, conclusesi con la realizzazione di altrettante conferenze dei servizi;
è stata effettuata una indagine sull’istituto del Garante del contribuente con il
monitoraggio e il coinvolgimento diretto di 17 uffici del Garante sui 21 presenti in Italia,
che ha portato sia ad una interrogazione parlamentare sui risultati emersi, sia all’apertura
di un primo tavolo di lavoro con l’ufficio del Lazio; da annoverare il grande lavoro fatto
dal servizio Pit al livello nazionale e dai primi Pit locali, il successo delle due annualità
del premio Buone pratiche nei servizi di pubblica utilità, il recepimento di indicazioni in
tema di tutela dei consumatori nelle linee guida per le carte dei servizi dei gestori di
servizi di telefonia; l’iniziativa “Stazioni aperte” con il coinvolgimento di oltre 3500
utenti in 19 stazioni e 40 istituti scolastici, che ha permesso di operare alcuni
miglioramenti ai servizi di stazione, nonché l’animazione di diverse consulte dei
pendolari. Siamo stati anche molto duri quando abbiamo visti violati i diritti dei cittadini
consumatori: siamo stati contro il Decreto Salvacompagnie, abbiamo chiesto il
risarcimento dei cittadini che hanno subito danni dal blackout del settembre 2003, la
stessa cosa l’abbiamo pretesa per la revisione delle tariffe ferroviarie, abbiamo ottenuto
una doppia condanna (dell'antitrust e del giurì dell'IAP-Istituto Autodisciplina
Pubblicitaria) di una campagna pubblicitaria di tipo ingannevole di un prodotto Nokia e
avviati altri procedimenti analoghi verso regione Sicilia e società autostrade; abbiamo

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protestato – lo avrete visto sui giornali – contro le modalità di raccolta di consenso per la
messa in elenco del proprio numero di cellulare.
Ma forse il risultato più importante, un successo da 118, è stato l’aver ottenuto la
destinazione dei fondi delle multe antitrust ad iniziative a favore dei diritti dei
consumatori. Questo ha permesso di riversare grandi risorse al livello nazionale,
regionale e locale per promuovere politiche dei consumatori e per far nascere, come sta
avvenendo, servizi Pit al livello locale, indispensabili per tutelare i diritti in un’epoca di
federalismo e di liberalizzazione dei servizi, mentre al livello nazionale è sorto un
osservatorio sui prezzi e le tariffe. Non si è trattato di un lavoro facile, non solo per
l’ampiezza del fronte delle politiche che abbiamo dovuto affrontare, ma anche per la
concorrenza, a volte sleale, che abbiamo incontrato da parte di alcune organizzazioni di
consumatori, malate di presenzialismo. Abbiamo avuto la forza e la saggezza di
mantenere sempre la nostra indipendenza, di difenderci quando è stato necessario, ma
anche di superare i dissensi quando è stato possibile.

3. La visibilità del Movimento


Tra gli obiettivi del biennio, particolare rilievo ha avuto la strategia di dare una visibilità
unitaria al Movimento. Ancora c’è molta gente che non conosce Cittadinanzattiva, ma
sicuramente essa è molto meno numerosa di due anni fa. Ne sono la prova l’uscita in 3240
articoli di carta stampata, esclusi periodici di settore; 50 partecipazioni a “Uno Mattina
Sabato e domenica”; 10 partecipazioni a “In famiglia; 10 partecipazioni a “Cominciamo
bene”; la collaborazione fissa settimanale a “Consumi e consumi”, Rainews24; 24
partecipazioni a “Mia Economia” – Sky; 40 partecipazioni a "Italia, istruzioni per l'uso" -
GR Rai, con una media mensile di 15 presenze tra interviste radio e tv. Siamo intervenuti
su numerosi temi: non solo sulla salute, ma anche sulle politiche dei consumatori, sulla
scuola, sulla giustizia, sulla sicurezza. Sfido chiunque a dire, come succedeva spesso
qualche anno fa, “Ma perché non andate mai in televisione?”. Sempre più spesso arrivano
alla sede nazionale le cronache locali con articoli su Cittadinanzattiva che si confronta con
le diverse problematiche del territorio, dalle discariche abusive all’arredo urbano, dagli
insegnanti di sostegno per i ragazzi disabili al servizio di dialisi nelle zone montane. Il
Movimento parla, è presente, si esprime con molta più sicurezza del passato, anche se
ancora ciò che emerge dai giornali e dalla televisione è solo il 20% di ciò che facciamo. E’

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uscito inoltre il giornale “Cittadinanza attiva”, diretto da Puccio Corona, con una tiratura
di 30.000 copie, che dovrebbe migliorare la capacità del Movimento di comunicare
all’esterno e al suo interno; al nostro sito accedono circa 8.000 visitatori al mese e siti locali
e regionali stanno nascendo; mentre ogni settimana mandiamo una newsletter sulla
nostra attività a circa 200 interlocutori istituzionali.

4. L’aumento delle relazioni politiche e la presenza nella vita pubblica


Il Movimento è sempre stato un po’ “ostico” nei confronti del mondo politico, sia per il
gusto che ha sempre avuto di segnare la sua diversità, sia per la difficoltà a trovare una
sintonia di temi e di proposte. Ricordiamoci sempre che l’agenda della politica
tradizionale è molto diversa da quella dei cittadini e che la distanza tra istituzioni e
società, soprattutto ai livelli alti, tende sempre più ad aumentare.
Nonostante questo il Movimento è stato presente nelle più diverse occasioni: audizioni
parlamentari, incontri con il governo, congressi e convenzioni dei partiti, incontri con
parlamentari, con le Authority, con i tre sindacati confederali, rapporti con le giunte
regionali, con sindaci ed assessori, sulle politiche sanitarie, sulle politiche del risparmio,
sul tema delle tariffe, sulla scuola, sulla giustizia, sulla procreazione assistita, sulla nuova
legge sulla privacy, sugli statuti regionali, sui prezzi, sui farmaci, sulle liste di attesa.
L’elenco potrebbe allungarsi ulteriormente. Anche qui: riusciamo a rappresentare al
mondo politico meno della metà di quello che facciamo e spesso pecchiamo di modestia,
rispetto a coalizioni, forum e personaggi che navigano nel mondo della politica. Una delle
nostre caratteristiche è che, sia al livello locale, che regionale e nazionale, dedichiamo la
gran parte del nostro tempo ad altro: a promuovere la partecipazione, a realizzare
progetti e tutelare diritti, e resta poco spazio per il resto. Tutto questo è per noi motivo di
orgoglio, ma attenzione a non farne un vezzo, una forma di isolamento, una
riproposizione del doppio complesso di superiorità morale e di inferiorità politica, di cui
ci parliamo da anni.
Abbiamo comunque fatto grandi passi in avanti. Vorrei fare due esempi molto bipartisan:
il rapporto strategico con il sistema Lega delle cooperative e il Protocollo d’intesa con la
Regione Lazio. Nel primo caso, dopo iniziali incertezze, abbiamo costruito una
partnership a 360 gradi con la Lega, con rapporti e collaborazioni che vanno dalla
politiche sugli appalti con l’Ancst e la Camst alla loro partecipazione ad “Obiettivo

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barriere”, dal sostegno al progetto Euro, la campagna sulle risorse idriche e la
sperimentazione del piano sociale partecipato, realizzati con la Coop Toscana Lazio, alla
partecipazione alla costruzione del bilancio sociale della Coop Nord Est, dalla
collaborazione dell’Unipol ai programmi sulla cittadinanza d’impresa ed europei al
sostegno alla Convenzione sulla sussidiarietà e al programma Civicus. La Lega con le sue
varie articolazioni sostiene numerosi programmi del Movimento, così come il Movimento
la sta aiutando a riattualizzare la sua missione e il suo ruolo nella società italiana. Questa
partnership trova il suo quadro di riferimento nell’art. 118, u.c., della Costituzione, perché
la Lega sta reinterpretando se stessa come uno dei soggetti della sussidiarietà orizzontale,
in quanto, come dice la Carta, i cittadini posso decidere di dare vita ad imprese di loro
proprietà per realizzare direttamente autonome iniziative di interesse generale che altri
non fanno e, quindi concorrere alla produzione, cura e valorizzazione dei beni comuni.
Sotto lo stesso quadro va l’accordo sulla sanità stipulato con la Regione Lazio e con il suo
Presidente Francesco Storace: i cittadini, grazie all’art. 118, valuteranno autonomamente
l’operato dei direttori generali delle Asl e questa valutazione concorrerà alla loro
riconferma e alla eventuale gratifica annuale; tra i contenuti dell’accordo la lotta alle liste
di attesa ed un impegno per l’applicazione della Carta europea dei diritti del cittadino
malato. Alcuni interlocutori di schieramento opposto hanno storto il naso dicendo che il
Tribunale per i diritti del malato si era in qualche modo venduto, dimenticando che per
anni abbiamo chiesto le stesse cose alla giunta regionale di centrosinistra senza ottenere
risposte. L’accordo è talmente vero che ad esso stanno seguendo altri protocolli e
convenzioni in altre regioni: dall’Emilia Romagna alla Marche, dal Friuli Venezia Giulia,
alla Sicilia, alla Puglia e alla Basilicata.

5. La cittadinanza europea
Fino al 2002 non avevamo un impegno sistematico del Movimento sulla politica europea.
Eravamo presenti in eventi che riguardavano le politiche dei consumatori e la salute,
avevamo realizzato alcuni progetti importanti. E’ con Active citizenship network e grazie
all’impegno prima di Giovanni Moro, e oggi di Charlotte Roffiaen, che tale impegno ha
trovato un suo forte radicamento. Ed è per far capire l’importanza di offrire un contesto
europeo alla nostre politiche della cittadinanza che abbiamo voluto iniziare il Congresso
con una tavola rotonda con alcuni dei nostri partner.

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Active citizenship network, di cui ho già accennato, non ha solo permesso al Movimento
di realizzare ben cinque programmi sulla cittadinanza europea, sulle politiche di sostegno
alla partecipazione civica in Europa, sulla rappresentatività e la rappresentanza delle
organizzazioni, sul principio di sussidiarietà, sulla tutela dei diritti del malato con la
Carta europea dei diritti, ma ha consentito di dare una voce libera, estranea alle lobby
bruxellesi, radicata sul territorio e sui problemi, alle organizzazioni civiche della nuova
Europa. Abbiamo partecipato alle consultazioni sulla Costituzione europea, sulle
politiche dei consumatori, sulla sanità, sulla giustizia. Siamo stati invitati dalla
Convenzione europea, dall’Ocse, da alcune Università straniere, dal Ministero
dell’economia francese, dalla Banca Mondiale, dal governo sloveno, da società medico-
scientifiche, dal Consiglio d’Europa, da altre organizzazioni di cittadini europee. Gli
stessi programmi hanno dato ottimi risultati: oltre alle 70 organizzazioni già citate, esiste
una newsletter telematica inviata mensilmente a 2000 altre; la Carta europea dei diritti è
stata elaborata con altre 15 organizzazioni, è stata diffusa al livello europeo (tutti i
Ministri della sanità la possiedono); in questo momento se ne sta monitorizzando
l’attuazione nei singoli Stati, ottenendo sostegno e riconoscimenti; il programma sul
principio di sussidiarietà in Europa ha coinvolto 16 paesi e ha toccato in Italia il legame
tra questo principio e le politiche dei consumatori; il programma sulle politiche pubbliche
sull’attivismo civico, “Citizens for the New Europe”, ha coinvolto 32 partner di 28 paesi e
i suoi risultati sono stati presentati nel novembre del 2003 in una Conferenza Europea a
Varsavia, nel corso della quale è stata varata un documento e un impegno politico
comune, l’Agenda dei cittadini. Sono stati preparati due manuali sulla cittadinanza attiva
per l’Albania e la Macedonia; sono stati realizzati seminari con gruppi di cittadini nelle
due Cipro; ci sono buone possibilità di estendere il nostro lavoro mediante un rapporto
tra Europa e ONG dell’America Latina.
Abbiamo rafforzato i nostri rapporti con la Commissione europea, così come faremo con
il nuovo Parlamento. Un rammarico: come ho già detto, anche in Europa c’è una grande
distanza tra politiche dei cittadini e politiche dei governi. L’approvazione della
Costituzione Europea è un grandissimo passo in avanti. Non dimentichiamo però che in
essa non c’è nulla di avanzato sul dialogo con i cittadini e, nonostante le richieste di Acn,
il principio di sussidiarietà orizzontale non è stato introdotto. Vorrà dire che dovremo
insistere, perché non ci può essere Europa senza cittadini!

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6. La difesa del servizio sanitario nazionale
In questi due anni è stato uno dei nostri impegni prevalenti e grande spazio dovrà avere
negli anni a venire. Passerà molto tempo prima che il mondo della sanità si possa liberare
di Cittadinanzattiva e della voce del Tribunale per i diritti del malato.
Ma difendere un servizio comprende sempre anche l’impegno per la sua qualità. Le due
facce, accessibilità e adeguatezza, sono inseparabili. E in questa direzione siamo andati,
facendo i conti con una pratica del federalismo che per i cittadini ha significato quasi
sempre perdita di servizi, aumento della spesa privata, riduzione dei diritti. Anche in
questo caso è quasi impossibile fare un elenco completo delle iniziative promosse e che
sono state coordinate da Stefano Inglese, con la collaborazione dello staff del Tribunale e
delle realtà locali. Ci proverò per sommi capi.
Abbiamo affisso 100 targhe in altrettante strutture sanitarie per rappresentare la volontà
dei cittadini di avere un servizio sanitario pubblico e per vigilare sulla sua intoccabilità, ai
sensi dell’art. 118 della Costituzione; abbiamo contrattato la chiusura dei piccoli ospedali,
impedendone la liquidazione e pretendendo altri servizi in cambio; ci siamo impegnati
per diffondere l’audit civico, che oggi tocca 60 Asl e che la Regione Emilia Romagna ha
inserito come criterio per l’accreditamento delle strutture sanitarie; abbiamo contribuito
alla semplificazione delle procedure per l’accesso alla terapia del dolore ed abbiamo
promosso una specifica Carta dei diritti; abbiamo lavorato per aumentare i fondi per le
strutture per la radioterapia; abbiamo ottenuto l’inserimento di rappresentanti della
cittadinanza attiva nella Commissione nazionale trapianti, nella Commissione unica per
la diagnostica e negli organismi previsti dalla legge sul sangue; Ospedale sicuro è
diventata una campagna che ormai interessa circa la metà delle Asl. Molti dei nostri
risultati hanno riguardato il settore dei farmaci e dei presidi e la loro concessione in
regime di gratuità: l’abolizione della classe B del Prontuario farmaceutico, la concessione
degli antistaminici per i malati di allergie, gli sgravi fiscali per presidi innovativi per
piaghe da decubito, nuovi farmaci per i cefalalgici; inserimento in fascia A di creme,
pomate e colliri per patologie croniche; allargamento della concedibilità di farmaci
innovativi o indispensabili per l’osteoporosi, per il diabete, per il morbo di Parkinson, per
l’ictus, per la sclerosi multipla; l’introduzione di nuove terapie antiaggreganti; la
concessione delle lacrime artificiali per i pazienti con sindrome di Sjorgen; è stato

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approvato un decreto sulle malattie rare, al quale abbiamo dato un forte contributo
assieme alle altre associazioni; altre sedici associazioni sono entrate nel Coordinamento
delle associazioni dei malati cronici.
Il risultato più importante che vorrei annunciare a questo Congresso riguarda le liste
d’attesa: dal primo luglio in tutta Italia sarà proibito chiudere le liste di attesa ed impedire
ai cittadini di accedervi, così come è previsto l’obbligo di separazione netta, sin dalla
prenotazione delle prestazioni, del canale istituzionale da quello intramoenia.
Grandissimo è stato il lavoro del Pit salute e delle realtà locali del Tribunale per i diritti
del malato, che spesso, proprio attraverso il loro lavoro, hanno fatto emergere situazioni
individuali e collettive da mettere sotto tutela. Abbiamo fatto molte campagne di
informazione per i cittadini: sul fumo, sulle malattie cardiovascolari, sul consenso
informato, sull’incontinenza, sulla fecondazione assistita, tema questo su cui il Congresso
dovrà prendere un posizione e assumere un impegno.
Abbiamo ottenuto quindi grandi successi, ma siamo altresì consapevoli che, per evitare
“l’erosione carsica” del servizio sanitario nazionale, dobbiamo, a partire da questo
congresso, tirare fuori gli artigli e lottare più che mai per la salvaguardia dei uno dei più
importanti beni comuni di questo paese: un servizio pubblico a garanzia del diritto alla
salute.
In questi due anni il rapporto con il mondo medico non è stato pacifico (quando mai lo è
stato!). Credo che ciò sia avvenuto per la grande difficoltà a far capire loro che la chiusura
corporativa, che li ha portati a scioperare più di una volta, senza alcun dialogo preventivo
con i cittadini, non giova né alla categoria né alla buona riuscita di un contratto. Siamo
solidali con loro, medici ospedalieri e medici di famiglia, perché è inaccettabile che
Governo e Regioni continuino nei fatti a negare un rinnovo contrattuale dovuto ed
apprezziamo il loro spendersi, soprattutto i medici di famiglia, nella difesa del servizio
sanitario nazionale e degli utenti più deboli. Ma ci sono alcune cose che devono cambiare.
Solo una parte del mondo medico ospedaliero si è scandalizzata della norma approvata
sulla reversibilità a gogò della scelta sulla incompatibilità tra impiego ospedaliero
pubblico e libera professione privata. Quindi è evidente che c’è chi scende in piazza
difendendo a parole il servizio, ma poi è ben contento di potersi riconquistare uno spazio
privato e autonomo di professione. Un po’ più di chiarezza per capire da quale parte si
sta non nuocerebbe. Abbiamo proposto alla FIMMG di rafforzare la nostra antica

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alleanza, che qui io voglio ribadire e confermare, su quattro questioni: la ricerca di strade
alternative all’astensione dal lavoro in caso di sciopero, il loro assenso ad una apertura
del tavolo della convenzione nazionale ad una rappresentanza dei cittadini, l’impegno a
promuovere l’audit civico sulla qualità del loro servizio, nonché quello per affrontare
seriamente la questione morale in sanità. Questo Congresso è anche un momento per
ottenere delle risposte.

7. L’accesso alla giustizia e la tutela legale


Pur non avendo grandi strutture, né risorse adeguate, anche per quanto riguarda la tutela
dei diritti dei cittadini alla giustizia e attraverso la giustizia, importanti risultati sono stati
conseguiti, grazie all’impegno di Stefano Maccioni, dei suoi collaboratori e della rete.
Innanzitutto nel campo del servizio giustizia: la Carta dei diritti del cittadino è stata
presentata e adottata dai Consigli dell’ordine di Salerno e Catanzaro; per la prima volta
nel 2004 un’associazione civica è stata ammessa a partecipare all’inaugurazione dell’anno
giudiziario presso la Cassazione; abbiamo anche partecipato alla commissione
ministeriale sulla tutela delle vittime, contribuendo alla elaborazione della Legge quadro
sulle vittime dei reati; stiamo gestendo uno sportello nazionale sull’accesso alla giustizia
in Europa; abbiamo promosso in Toscana e Puglia convegni sul tema del diritto alla
giustizia; abbiamo diffuso nel 2003 la Carta in occasione della Giornata europea della
giustizia in 12 città.
Il risultato però più rilevante è stato quello di aver rafforzato il rapporto con i magistrati e
il mondo dell’avvocatura, spingendo queste categorie ad occuparsi della giustizia dal
punto di vista del cittadino. Siamo intervenuti sia alla Giornata nazionale della giustizia
promossa dall’Associazione nazionale magistrati, sia al loro Congresso di Venezia. Lo
abbiamo fatto dicendo la nostra, vale a dire sostenendo i giudici contro un tipo di riforma
che, al di là di alcuni aspetti positivi, non porterà alcun miglioramento complessivo al
servizio, e che renderà ancora più farraginoso e burocratico l’iter del cittadino. Li
abbiamo difesi, nonostante le tante pecche di questa categoria, perché crediamo
nell’indipendenza e nell'autonomia della magistratura e perché riteniamo che il clima di
scontro permanente non giovi alla causa della giustizia.
Forse ciò che ci indigna di più come cittadini è la presenza di una doppia agenda della
giustizia: quella del palazzo, attenta a fare di corsa leggi a tutela dei potenti, e quella dei

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cittadini, dove al primo posto ci sono le lungaggini dei processi, la mancanza di
informazioni, i costi, la violazione della dignità delle persone, di cui nessuno si occupa.
A magistrati ed avvocati, con i quali abbiamo organizzato il 21 aprile scorso un
importantissimo convegno nazionale, La giustizia, un bene comune, chiediamo di sposare la
nostra agenda, uscendo da logiche autoreferenziali e corporative. Avevamo chiesto ai
magistrati di dare un segnale non astenendosi dal lavoro in occasione degli ultimi
scioperi. Non ci siamo riusciti, perché le vecchie logiche e le cattive abitudini sono dure a
morire. Vorremmo veramente che capissero, loro ma anche i loro colleghi avvocati, che
l’unico modo di rompere l’isolamento in cui si trovano è quello di stringere una alleanza
forte con i cittadini, spalancando le porte, spiegando le loro ragioni, accettando le nostre
critiche, cambiando i loro comportamenti. A quanto pare c’è ancora molto da lavorare.
Occuparsi di giustizia significa anche fare le cause, vale a dire tutelare i cittadini
mediante il ricorso alla giurisdizione. Cittadinanzattiva è sempre stata tiepida in questo
settore, avendo privilegiato sempre la tutela sociale dei diritti e l’intervento diretto dei
cittadini. Ma è anche vero che la tutela, per essere efficace, deve essere integrata. Per
questo, si è sentita l’esigenza di dare nuovo impulso all’intervento legale a partire
dall’inizio del 2003. La Direzione nazionale ha varato un programma (diretto da Giustino
Trincia e Stefano Maccioni), con l’obiettivo di promuovere, nell’area delle politiche dei
consumatori e della salute, tante cause pilota. Avevamo avuto già risultati importanti con
alcune sentenze delle prima trenta cause pilota (ABI, ANIA, Telecom), promosse con il
contributo dell’Unione Europea nel 1998. Sono state avviate in un anno altre venti cause,
promosse al livello nazionale. Esse riguardano telefonia, sicurezza ascensori, contratti
bancari, prodotti finanziari, telecomunicazioni, giustizia, mercato immobiliare,
infortunistica stradale, sanità ed energia. Le cause hanno avuto per oggetto clausole
vessatorie od abusive nei contratti, o comportamenti delle aziende/enti lesive della tutela
alla trasparenza e dei diritti del consumatore. Attraverso la promozione di queste cause,
si è voluto creare un precedente significativo, una sorta di apripista per settori relativi alla
tutela dei diritti dei consumatori. Tutti i procedimenti si caratterizzano per il gran
numero di soggetti coinvolti come parte lesa e per la novità dell’argomento affrontato in
sede giudiziaria da un’associazione di cittadini. Con riferimento a tali azioni giudiziarie
abbiamo già conseguito: una importante sentenza innanzi al Giudice di Pace di Roma, che
ha accolto le nostre richieste nei confronti della compagnia telefonica Wind nel campo dei

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servizi non richiesti; il riconoscimento da parte di una nota agenzia immobiliare, a
seguito della nostra diffida, della vessatorietà di alcune clausole presenti nei suoi
contratti; una sentenza del tribunale civile di Albano Laziale che ha riconosciuto l’obbligo
per la ASL di somministrazione di un protocollo terapeutico costituito da farmaci
rientranti nella classe C per una patologia non terminale; il riconoscimento alla
legittimazione del Movimento a costituirsi parte civile nel processo per l’assegnazione
delle frequenze UMTS in corso a Roma. Siamo, inoltre, presenti già nella fase delle
indagini preliminari in noti processi come quelli contro Cirio, Parmalat e Glaxo.
Proprio con riferimento al settore penale dobbiamo anche segnalare il riconoscimento
espresso da parte della Cassazione della nostra legittimazione a costituirci parte civile nei
processi che abbiano ad oggetto reati commessi da singoli sanitari (omicidio colposo,
falso in cartella clinica, etc.). Sentenza quest’ultima che apre la strada ad una diffusa
costituzione, in un numero rilevantissimo di processi penali e civili, al fine di ottenere il
ristoro dei danni, morali e non, subiti da Cittadinanzattiva a seguito di tali fatti.
In questi ultimi anni molti avvocati si sono avvicinati al Movimento, anche per il loro
interesse professionale a sviluppare certi tipi di tematiche. Questo fatto, indubbiamente
positivo, ha fatto emergere l’esigenza di chiarire maggiormente il rapporto tra
professionisti – ci metto anche i medici legali – e Cittadinanzattiva, e fra questi e i
cittadini. In questo Congresso discuteremo anche del testo di nuova convenzione
preparato da un gruppo di lavoro del Movimento. Il fine è quello di favorire al massimo
la promozione della tutela legale dei diritti – con gli spazi offerti dalla legge dei
consumatori e con le gravissime violazioni a cui assistiamo nella sanità sarebbe assurdo
non provare ad avere grandi numeri – garantendo chiarezza, correttezza e serietà
professionale da parte di chi se ne occupa.

8. L’exploit di Cittadinanzattiva nel mondo della scuola


Fino a due anni fa la nostra presenza nelle istituzioni scolastiche era assolutamente
irrilevante. Si era avviato un lavoro sullo Statuto dei diritti degli studenti e delle
studentesse, così come c’erano alcuni progetti sperimentali di educazione alla
cittadinanza, il programma sulla sicurezza nella scuola stava muovendo i suoi primi
passi. Poi c’è stata la tragedia del terremoto del Molise, con il suo carico di bambini morti
e di disperazione delle famiglie. Come successe per “Ospedale sicuro”, campagna nata

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dopo l’ennesimo incidente in ospedale – l’incendio della camera iperbarica del Galeazzi –,
“Imparare sicuri” è sorta per rispondere ad una emergenza nazionale, alla quale si sta
cercando di porre rimedio nonostante il ritardo di decenni e lo stato di avanzato degrado
di almeno la metà degli edifici scolastici italiani. Ci siamo mossi a seguito della
testimonianza di Nunziatina, una delle mamme di San Giuliano: “Sono la mamma di
Luigi, la mamma di tutti questi angeli… Chiedo una sola cosa, che le nostre scuole siano
più sicure. Non voglio assolutamente che nessuna mamma e nessun papà pianga più i
suoi figli”. Dopo quell’evento non c’è stata solo tristezza e rassegnazione, ma tanta voglia
di costruire un futuro diverso, perché non sta scritto da nessuna parte che la situazione
non possa cambiare. “Imparare sicuri”, un programma che si propone di monitorare la
sicurezza degli edifici scolastici e di promuovere una politica in tale direzione, quest’anno
verrà realizzato in circa 250 scuole, con l’aiuto dei ragazzi, dei genitori e degli insegnanti.
Ancora non abbiamo ottenuto molto, ma qualche qualcosa si sta muovendo: ad esempio,
nella maggior parte delle scuole monitorate, è partita una politica della sicurezza ed
esistono nuclei di cittadini attivi che stanno coinvolgendo tutte le autorità preposte ad
intervenire. Il Ministero, con il quale abbiamo iniziato ad avere rapporti sistematici e che
partecipa al Tavolo della sicurezza nella scuola, ha stanziato qualche lira per la sicurezza,
ancora nulla rispetto alle esigenze.
Per come si stanno mettendo le cose e per l’entusiasmo con cui il Movimento sta
partecipando a questo programma, credo che di scuola ci occuperemo molto nei prossimi
anni. Non solo però per “Imparare sicuri”, ma per il veicolo che la scuola sta diventando
per le politiche della cittadinanza. Abbiamo cominciato dalla sicurezza, ma non ci siamo
fermati qui. Adriana Bizzarri, che dirige questi programmi con grande passione, ha fatto
un calcolo degli studenti che Cittadinanzattiva ha raggiunto e sensibilizzato e formato in
un anno, mediante le sue iniziativa all’interno dei diversi istituti in tutta Italia. 1.800
attraverso la partecipazione a progetti (sicurezza, Statuto degli studenti, sicurezza
domestica, prevenzione delle devianze giovanili, introduzione alla cittadinanza attiva,
campagna “obiettivo barriere” a scuola, mostra dei diritti umani, partecipazione ed
educazione civica); 6.500 mediante l’iniziativa di diffusione della bozza di Costituzione
europea; altri 7.000 nella giornata del 25 ottobre di sensibilizzazione sulla sicurezza a
scuola (che ripeteremo anche quest’anno), per un totale di 15.000 studenti.

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Abbiamo fatto questo senza avere risorse ad hoc e senza appoggi o grandi
sponsorizzazioni economiche e politiche. Nella scuola sono inoltre finiti molte delle
nostre pubblicazioni su tutti i temi di cui ci occupiamo: libretti, opuscoli, depliant,
campagne, adesivi, magliette, manuali. Tutto questo è stato possibile perché ovunque
siamo andati abbiamo trovato, sì qualche oppositore, facilmente debellato, ma soprattutto
tanti alleati, persone che ci hanno spalancato le porte o che ci hanno chiesto aiuto. Questi
eventi dovrebbero dirci qualcosa circa il ruolo che il Movimento potrebbe avere in una
politica di tutela della scuola pubblica e di intervento per il miglioramento della sua
qualità.

9. Il rapporto con le aziende pubbliche e private e la cittadinanza d’impresa


Come molti di voi sanno, l’interesse di Cittadinanzattiva per questo tema nasce alla metà
degli anni ’90. Una profonda crisi finanziaria, dovuta principalmente a una strategia di
raccolta fondi legata a fondi pubblici, ha spinto il Movimento ad orientarsi verso i
soggetti privati. Il 70% del budget per le solo attività centrali è da qualche anno coperto
da centinaia di soggetti diversi, provenienti del mondo del privato.
Tale strategia, che ha avuto tra i suoi principali artefici Antonio Gaudioso, ha seguito
regole precise e rigorose: niente finanziamenti a fondo perduto ma solo collaborazioni per
progetti specifici; niente pubblicità dei prodotti; nessun rapporto di cointeressenza;
attenta selezione dei partner in relazione ai loro comportamenti sul mercato; nessuna
limitazione dei conflitti, come è avvenuto per i farmaci contro l’AIDS in Africa e per il
caso Lipobay.
Nel corso di questa attività è emerso sempre più chiaramente che i rapporti che si stavano
istaurando con molte aziende non erano di pura e semplice sponsorship, quanto piuttosto
di partnership; le aziende non si limitavano a dare soldi o chiedere di comparire, ma
coinvolgevano se stesse, tendevano a ripensare e modificare la loro missione e a
riorganizzarsi per dare centralità a programmi di responsabilità sociale.
Tutto questo è coinciso con lo sviluppo al livello internazionale di un dibattito e di
iniziative sulla “corporate citizenship” o “corporate social responsabily”, promosso
soprattutto dai soggetti del sistema delle Nazioni Unite, delle imprese multinazionali,
delle organizzazioni non governative, degli organismi finanziari internazionali, della
comunità scientifica. A partire dalla nostra esperienza e da tale contesto internazionale è

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nato, ormai quattro anni fa, il Gruppo di Frascati per la responsabilità sociale
dell’impresa, composto da Abb, Ancst Legacoop, Day Medical, Barilla, UniCredit, Unipol,
Ethicon Johnson & Johnson, Formenti, Pfizer, Apindustria Vicenza, Merck Sharp &
Dohme. Rientrano comunque nella strategia della cittadinanza di impresa, il rapporto con
Unicredit sui contratti bancari e molte delle iniziative realizzate col sistema Coop, la
campagna “Obiettivo barriere”, parte della Convenzione sulla sussidiarietà.
Un significato politico e simbolico di grande importanza ha la nostra adesione al Global
Compact, programma promosso da Kofi Annan per coinvolgere le imprese nel sostegno
alle politiche di sviluppo, nella lotta alla povertà e nella promozione dei diritti umani.
“Scegliamo di unire il potere dei mercati all’autorevolezza degli ideali universalmente
riconosciuti – ha detto Kofi Annan – scegliamo di riconciliare la forza creativa
dell’iniziativa privata con i bisogni dei più svantaggiati e le esigenze delle generazioni
future”. Siamo stati noi ad organizzare due anni fa la presentazione pubblica in Italia del
programma, così come partecipiamo alla costituzione del network che dovrà
promuovere, accompagnare e verificare l’adesione delle imprese e di altri soggetti al
Global Compact. In questa strategia noi possiamo avere un compito fondamentale: fare
della responsabilità sociale dell’impresa non un tema di facciata o lo spunto per un
convegno, ma un perno attraverso il quale garantire un cambiamento profondo del modo
di fare impresa e di partecipare alla vita sociale. Non è sufficiente limitarsi a controllare
che le aziende si comportino bene, ma è necessario pretendere che si comportino meglio.
Non crediamo che cittadinanza d’impresa significhi fare beneficenza con la destra e
corrompere con la sinistra, né pensiamo che sia solo una questione di soldi e versamenti
per le politiche di welfare, a corto di fondi pubblici, come pensa il Ministro Maroni. Per
questo pur essendo questo un tema apparentemente lontano alla nostra sensibilità ci deve
interessare ed impegnare, perché i cittadini devono giocare il loro ruolo anche nel
contesto dell’economia globalizzata.
Due esempi legati alla nostra esperienza con il Global Compact possono far comprendere
cosa intendo dire: il rapporto con l’Eni e la controversia con la Pfizer. L’Eni:
Cittadinanzattiva ha chiesto all’Eni, componente del Global Compact, di dimostrare la
sua volontà di fare cittadinanza d’impresa, voltando pagina nelle modalità di gestione
degli stabilimenti ex Enichem, oggi Syndial, di Priolo in Sicilia. In quel luogo, teatro
anche di scandali legati allo smaltimento dei rifiuti industriali, è necessaria una profonda

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opera di risanamento ambientale con il coinvolgimento delle popolazioni locali, sia altri
interventi finalizzati alla salvaguardia della salute dei cittadini. Come può essere
conciliabile infatti il ruolo di Eni nelle politiche di sviluppo, senza la riparazione dei
danni compiuti nel passato in Italia? Di qui si è avviata una difficile trattativa, ancora in
corso, con i vertici Eni, sotto la supervisione dell’ufficio di New York delle Nazioni Unite.
Noi comunque non molleremo finché non saremo riusciti ad ottenere quello che i
cittadini di Priolo meritano. Il secondo caso riguarda la Pfizer, grande multinazionale del
farmaco, con la quale abbiamo realizzato per anni una delle iniziative più interessanti del
Movimento, il programma sulle buone pratiche in sanità e il Premio Andrea Alesini.
Ebbene circa un anno fa, dopo alcuni scandali di cui hanno parlato i giornali ed il
ripetersi di episodi di corruzione, abbiamo deciso di sospendere i rapporti con la Pfizer,
rinunciando anche ai finanziamenti. Abbiamo stabilito di invitare l’azienda a procedere
ad una revisione profonda dei meccanismi commerciali, individuando regole e procedure
nuove e più trasparenti. Sono stati coinvolti i medici di famiglia della Fimmg, per fare
assieme a noi questo lavoro. Non abbiamo ancora finito, ma siamo a buon punto: gli
informatori scientifici non avranno più un budget libero da gestire, l’elenco dei gadget
per i medici sarà predeterminato, i convegni medici dovranno avere tutti l’autorizzazione
del Ministero della salute (ECM). Dopo aver applicato i nuovi criteri, da allargare poi
anche ad altre ditte farmaceutiche, sarà possibile ripensare ad un rapporto di
collaborazione con la Pfizer. Penso che a questo punto abbiate capito cosa significa per il
Movimento responsabilità sociale dell’impresa.

10. Le partnership e le alleanze con le associazioni


Allo scorso Congresso abbiamo a lungo parlato della necessità di aprire le porte, di
stringere alleanze, di lavorare assieme agli altri, soprattutto a coloro che appartengono al
nostro stesso mondo, la cittadinanza attiva. Molta strada abbiamo fatto, su questo piano,
sia al livello nazionale che regionale e locale. Direi anzi che il Movimento ha spesso
funzionato da catalizzatore di altri, proprio perché ha fatto capire di non essere geloso, di
non avere smanie egemoniche, di non voler rappresentare tutto e tutti e di essere
talmente ambizioso da preferire una vittoria ottenuta con tutti, piuttosto che fare il primo
della classe, ottenendo magari solo “un piatto di lenticchie”. Le esperienze sono state
molteplici, molte già citate. Active citizenship network, il Coordinamento nazionale delle

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associazioni dei malati cronici, il Comitato “Quelli del 118”, il gruppo di Frascati, il
comitato promotore di “Obiettivo barriere”, l’esperienza di collaborazione alla campagna
“Sbilanciamoci” di Lunaria. Vorrei anche ricordare che qualche anno fa il Movimento è
entrato in una rete internazionale, denominata Civicus e con sede in Sud Africa, come
referente italiano. Con essa stiamo realizzando il progetto “Civic society index”.
Civicus si occupa di una cosa che a noi interessa molto: il rafforzamento delle società
civili nel mondo. Abbiamo cercato di stringere questi legami privilegiando i programmi e
le strategie e non le etichette. Per questo nel 2003 siamo usciti dal Forum nazionale del
terzo settore, che – parlo del livello nazionale – costituisce un organismo che per voler
rappresentare tutti, alla fine non rappresenta nessuno o quasi.
Una esperienza particolare è stata ed è quella di “Consumatori indipendenti”, una
coalizione costituita da Cittadinanzattiva, Movimento difesa del cittadino, Unione
nazionale consumatori, Confconsumatori, Movimento consumatori, tutte organizzazioni
presenti nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. Il suo intento è quello di
aprire una fase nuova nella tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti sottolineando
il loro ruolo specifico e autonomo. Numerose iniziative di cui ho parlato al riguardo delle
attività dei Procuratori dei cittadini, sono state fatte assieme (su Rc auto, un protocollo
con l’Abi per il progetto “PattiChiari”, la gestione di SOS risparmio e le proposte
presentate al governo sul medesimo tema, opuscoli informativi sulla spesa conveniente,
la battaglia sul paniere Istat). La presenza di questo gruppo, che ci ha tenuto a
contraddistinguersi dallo schieramento dell’Intesa, ha permesso di far emergere una voce
del consumatore indipendente dai partiti e dagli schieramenti, meno presenzialista e
meno scandalistica, più attenta ai risultati e alla soluzione dei problemi. Siamo stati
certamente meno visti di altri, ma almeno abbiamo contribuito a dare maggiore dignità
alla figura del cittadino consumatore. L’importanza di una alleanza diventa ancora più
chiara quando ci si trova di fronte ad una emergenza. È il caso dello sciopero della fame
dei dirigenti dell’associazione AIMA, che si occupa dei malati di Alzheimer e che fa parte
del Cnamc: per sedici giorni sono rimasti davanti al Ministero digiunando e non hanno
voluto che anche noi o altre associazioni digiunassimo con loro, proprio per accentuare la
disperazione della loro situazione. Noi siamo riusciti, dopo vari dinieghi del Ministro
della sanità e grazie all’interessamento della Presidenza della Repubblica, ad ottenere un
incontro con la Commissione unica del farmaco. Assieme abbiamo avuto tutto quello che

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si chiedeva: la messa in commercio di un nuovo farmaco, l’aumento del numero degli
specialisti che possono seguire questi malati e la rimodulazione, fatta con il contributo dei
cittadini, del Progetto Cronos, che regola le procedure per la cura di questa malattia. E un
po’ semplicistico, ma viene davvero da dire che l’unione fa la forza!

Tutte queste cose non sarebbero successe se non ci fosse stato alle spalle un movimento forte e
combattivo. Qualcosa quindi devo dire sullo stato del Movimento. Ho già parlato delle adesioni e
delle nuove assemblee. Abbiamo fatto insieme grandissimi sforzi per adeguare il Movimento alle
sfide che aveva di fronte. E questi sforzi li hanno fatti tutti.

I giovani della sede nazionale e in giro per l’Italia


I collaboratori della sede centrale hanno giocato sicuramente un ruolo importantissimo. Si
tratta di 50 persone, prevalentemente di età inferiore ai 35 anni, che hanno acquisito una
professionalità nelle cose che fanno e una passione per il Movimento, che molte altre
organizzazioni ci invidiano.
Devo dire che la politica, iniziata con Giovanni Moro, di investire sui giovani funziona,
non solo perché consente alle nuove generazioni di acquisire competenze nel lavoro non
profit, ma anche perché ci offre come valore aggiunto una freschezza e una attenzione al
futuro che al Movimento serve per avere la forza e il coraggio di “cambiare il mondo”.
Non dimentichiamo poi che i giovani servono anche per garantire un ricambio nel
gruppo dirigente. Per questo motivo mi ha lasciata perplessa una delle proposte di
modifica dello statuto, tesa a precludere l’accesso agli organi direttivi a chi ha un
qualsiasi rapporto di lavoro con il Movimento. In pratica si concretizzerebbe in una
esclusione di molti giovani dalla direzione di Cittadinanzattiva.
In realtà questo processo di svecchiamento (senza alcuna offesa per noi più grandi!),
prima appannaggio della sede nazionale, sta cominciando ad investire tutto il
Movimento. Non è stato ancora possibile fare una analisi degli iscritti al Movimento, ma
sono quasi certa che l’età si sia abbassata, prova ne sono l’aumento dei delegati giovani a
questo congresso. Abbiamo addirittura il segretario di una regione importante come il
Lazio, Peppe Scaramuzza, che ha 34 anni, mentre alcuni coordinatori di assemblea non
arrivano a 30. L’essere entrati nel mondo della scuole, alcune delle politiche dei

26
consumatori, l’impegno sul tema delle barriere architettoniche, l’avvicinarsi di tanti
giovani avvocati ci hanno sicuramente dato una mano.
Ritengo però che l’esperienza più significativa sia l’ingresso nelle sedi del Movimento di
120 volontari del servizio civile, sparsi nelle Regioni, persone che hanno scelto di passare
un anno con noi per imparare a fare i cittadini attivi e alle quali dovremmo cercare di
dare una prospettiva per il futuro. Si tratta di un grande patrimonio di risorse umane, che
nel tempo potrà incrementarsi, anche grazie al fatto che Cittadinanzattiva è stata
accreditata tra gli enti del servizio civile nazionale dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Ricordo quando ci arrovellavamo su come aprire un settore giovani nel Movimento. In
realtà era la porta principale che bisognava spalancare!

La crescita della leadership


Ci sono altri elementi che hanno aiutato il Movimento a diventare più forte, soprattutto
sul territorio. Uno è sicuramente la crescita della sua leadership, a cui hanno contribuito
sia la diversificazione delle politiche del Movimento, sia eventi di grande produttività
come i weekend della cittadinanza attiva. Avere sul territorio circa un migliaio di leader non
è una piccola cosa per un movimento di cittadini: persone coraggiose, motivate, ottimiste
quanto basta. Il problema è quello di rompere il loro isolamento e creare una rete, di dare
loro il giusto supporto, sia motivazionale che operativo: i già citati weekend sono stati
sicuramente uno strumento, così come lo sono il Laboratorio civico della salute e i
seminari sui progetti “Consumatori per la qualità dei servizi”. Le occasioni andrebbero
però moltiplicate e il Congresso dovrà dire la sua su questo tema.

Le regioni e le politiche regionali


Un altro elemento sono le regioni e le politiche regionali. Un movimento come il nostro
non può vivere senza una politica regionale. Il federalismo, la liberalizzazione dei servizi,
ma anche la maggiore vitalità che offre la dimensione regionale della politica, ci spingono
in questa direzione. Eppure il livello regionale è stato sempre quello che nel Movimento
ha avuto più problemi: di risorse umane, di risorse economiche, a volte anche di politiche.
Nonostante le difficoltà, in questi due anni si sono fatti notevoli passi in avanti. Un ruolo
importante lo ha avuto, pur con tutte le sue difficoltà di funzionamento, la Conferenza delle

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regioni. Essa ha gestito una politica intelligente di gestione del Fondo per le regioni, un
contributo annuale che per tre anni è uscito dal bilancio nazionale, a sostegno e
incoraggiamento di una politica regionale di raccolta fondi: non finanziamenti a pioggia,
ma richiesta di piani di messa a norma e sviluppo per favorire una responsabilizzazione
dei gruppi dirigenti regionali. È stato grazie all’impegno della Conferenza, in
collaborazione con il Tribunale per i diritti del malato, che è stato possibile fare le 100
manifestazioni a difesa del servizio sanitario nazionale. La Conferenza è utile soprattutto
come interfaccia non decisionale, ma operativo, tra dimensione nazionale e dimensione
regionale, in quanto permette non solo lo scambio di informazioni, ma anche la
costruzione di politiche comuni.
Un altro elemento che ha favorito la crescita della dimensione regionale è stato
l’esplodere un po’ ovunque della questione sanitaria. Noi ci siamo trovati a dover gestire
un confronto durissimo con gli interlocutori istituzionali sulla riorganizzazione dei
servizi e la spesa sanitaria e ci siamo resi conto della necessità, proprio in queste
situazioni, di essere un gruppo dirigente compatto e competente, duro e incisivo. Siamo
riusciti a tenere testa a tante situazioni, prova ne sono i citati protocolli d’intesa e
l’interlocuzione avviata in molte regioni.
Sono però convinta che o c’è un allargamento dei gruppi dirigenti regionali o sarà molto
difficile reggere il confronto. Questo discorso vale per la sanità, ma anche per le politiche
dei consumatori. Anzi sono proprio queste politiche che ci stanno aprendo le porte anche
per un potenziamento della raccolta fondi regionale. Ormai abbiamo cominciato ad
entrare negli albi regionali dei consumatori, così come nelle varie consulte. In alcune
regioni, grazie alla nostra politica e ai nostri progetti, stiamo accedendo ai finanziamenti
per sportelli, monitoraggi e compagne a favore dei consumatori. Ciò significa che il
Fondo per le regioni, per quanto insufficiente, ha dato una spinta per consentire un
ulteriore balzo in avanti.
Purtroppo queste buone notizie non hanno riguardato tutte le regioni e si registra sempre
una grande difficoltà delle pur volenterose realtà meridionali di accedere ai finanziamenti
pubblici. Molte delle questioni di cui sto parlando emergono anche dalla lettura dei
documenti dei Congressi regionali, ricchi anche di proposte per il futuro, sia sulla
politiche, sia sull’assetto del Movimento, sia sui finanziamenti.

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La dimensione locale del Movimento
Per quanto riguarda la dimensione locale del Movimento, è davanti agli occhi di tutti la
sua esplosione (in senso positivo). Ho avuto modo di leggere, al di là degli aspetti
numerici, numerosi resoconti dei risultati ottenuti grazie al lavoro delle assemblee
territoriali. L’elenco è lunghissimo. Ne citerò solo alcuni.
Partecipazione a tavoli di concertazione su trasporti e servizi locali, incontri sulla
sussidiarietà con i comuni, apertura di un punto di ascolto in una libreria ad Ascoli
Piceno; presenza nelle carceri, collaborazione con molte associazioni locali, impegno per
pulizia e ordine pubblico nei quartieri, eliminazione barriere, diffusione dell’audit civico,
lotta all’inquinamento acustico, corsi di formazione a Torino; collaborazione con il
Provveditorato scolastico di Alessandria con monitoraggio 26 istituti; ottenuti alcuni
importanti risultati sulla questione dell’elettrosmog a Catania; eliminate le clausole
vessatorie dei contratti d’acquisto di Mercatone Uno, seminari su sessualità ed handicap,
eliminazione di ricoveri impropri in case di cura a Casarano in Puglia; realizzazione
dell’indagine “Ospedale senza dolore” a Casale Monferrato; vinta una causa sulla
pubblicità ingannevole a Vicenza; campagna per la prevenzione dell’osteoporosi e
monitoraggio periodico delle liste di attesa a Gallipoli; istituzione di Pit Servizi e
ottenimento della spedizione a domicilio degli accertamenti diagnostici, istituzione del
Tavolo della Pace a Matera; promozione del tavolo della qualità sugli anziani non
autosufficienti, partecipazione all’Osservatori prezzi e impegno sul funzionamento dei
nuovi contatori Enel a Cagliari; nascita delle consulta delle associazioni di volontariato,
raccolta di firma per l’introduzione dell’insegnamento sui diritti umani a scuola, acquisto
attrezzatura video al Pronto soccorso a Chioggia; impegno per la chiusura di una
discarica, riduzione delle liste di attesa in ospedale, diffusione nelle scuole dell’opuscolo
sulla lotta al fumo “Attenti a quei due” a Sessa Aurunca; potenziamento delle cure
palliative territoriali, impegno sul rispetto della legge per i permessi di soggiorno,
supporto ad un progetto sperimentale sulla salute mentale nella Lucchesia.
L’espandersi del Movimento ha fatto però anche emergere l’esigenza di una maggiore
chiarezza sui suoi confini e sulle regole da seguire. Ci abbiamo messo due anni e le
energie del vice presidente Giuliana Trentalance come Commissario e della buona
volontà di un nucleo di aderenti per venire a capo della situazione determinatasi a
Napoli, dove il Movimento era stato scambiato per un feudo di alcuni personaggi che,

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evidentemente, non avevano capito nulla di partecipazione civica e che costituivano le
assemblee negli incontri con quattro amici al bar. Altrettanto pesante è stata l’accesa
conflittualità di situazioni come Potenza, anch’essa risolta, dove per una poltrona al
Tribunale per i diritti del malato si è quasi venuti alle mani e sono piovute denunce e
querele. Altri casi di qua e di là ci sono e vanno sanati.
Dicevo all’inizio che dobbiamo diventare una palestra di democrazia e di civilizzazione.
Questo presuppone che la gente non debba fuggire a gambe levate da un Movimento
dove l’insulto e la calunnia sono prassi ordinarie. Per questo ritengo, proprio per isolare e
risolvere i problemi, che lo statuto debba contemplare, tra le incompatibilità, non solo gli
aspetti strettamente legali, ma anche quelli politici e comportamentali legati allo stile che
deve vigere in una organizzazione democratica e civile, così come è indicato nella nostra
missione, che deve diventare un punto di riferimento imprescindibile come lo è lo
Statuto.

Alla luce dell’attuale stato del Movimento ritengo che le parole d’ordine debbano essere quattro:
risorse materiali con finanziamenti e sedi e risorse progettuali con autonomia, unità.

1. Finanziamento
La prima parola d’ordine è trovare risorse finanziarie, perché, per il livello di responsabilità
a cui il Movimento è arrivato, non è più pensabile che un’opera sistematica di raccolta
fondi venga fatta prevalentemente a livello nazionale. Inoltre quel Fondo delle regioni, e
quindi un sostegno diretto da parte del bilancio nazionale (che, tra Fondo, progetti,
rimborsi e ospitalità, è stato negli ultimi tre anni di oltre un milione di Euro) non è più
sostenibile, e aveva senso soprattutto in chiave promozionale. Certo l’esperienza
accumulata e i rapporti costruiti a questo livello possono rappresentare – come in alcuni
casi hanno rappresentato – un volano per trovare nuove risorse. Ma dobbiamo fare molto
di più e produrre maggiori sinergie, anche per rendere più forti determinate strategie
(l’accesso dei giovani, la scuola, la giustizia, il 118). Per trovare i soldi ci sono due strade: i
progetti e l’autofinanziamento.
I primi richiedono un grande lavoro e quindi un investimento in risorse umane e
organizzative, ma hanno la forza di aumentare la competenza e la legittimazione stessa
del Movimento: pensate a che cosa ha significato il progetto Euro o quello sulla Sicurezza

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nella pratica medica. Gli sportelli Pit unificati, le campagne, i corsi di formazione, i
progetti di monitoraggio, sono ottimi spunti per promuovere progetti e trovare sostegni.
L’autofinanziamento è una pratica molto più diffusa al livello locale che regionale e
nazionale, ma che rappresenta, a mio avviso, una delle strade per il nostro futuro.
L’autofinanziamento permette al Movimento di essere molto più libero nei movimenti, di
coprire anche attività che nessun partner è interessato a finanziare e crea un legame molto
più forte con i cittadini. Il nostro biglietto da visita sono le nostre attività e la fiducia che
riusciamo a raccogliere nel paese. Uno strumento di grande forza potrebbe essere la
rivista, i cui abbonamenti potrebbero essere raccolti a beneficio soprattutto della
dimensione regionale e locale. Sicuramente questo Congresso dovrà pronunciarsi su
questo tema, come anche su quello delle quote – come chiedono alcuni Congressi
regionali e prevede la Legge sui consumatori.

2. Sedi
La seconda parola d’ordine è sedi. Perché le sedi sono indispensabili: sono aumentate in
questi anni, ma non sono sufficienti. Le soluzioni sono state fantasiose, dalla Stazione
ferroviaria all’ex farmacia. Ora bisogna continuare, trovando appoggi e fondi, perché
hanno aderito al Movimento 36.000 cittadini al livello territoriale, senza contare gli altri
40.000 che comunque vorranno avere rapporti col Movimento soprattutto alla base. Le
sedi servono per riunirsi, per avere recapiti, per accogliere le persone, metterci i
computer, i telefoni, i fax, le fotocopiatrici.
Sono certa che ci riusciremo, perché recentemente c’è stato un evento di buonissimo
auspicio per tutti noi. Il Comune di Roma ci ha assegnato in comodato d’uso per 24 anni
un edificio di 450 metri quadri all’interno di una villa con 3000 ettari di giardino, per
favorire le nostre attività a tutela dei diritti dei cittadini. È un posto bellissimo, anche se
da ristrutturare. Ebbene io propongo al Congresso di fare di questo bel posto un Centro
internazionale della cittadinanza attiva, nel quale svolgere attività di formazione, incontrare i
nostri partner italiani ed internazionali, fare convegni, realizzare i nostri incontri
nazionali, invitare studiosi e gruppi e tante cose che via via ci verranno in mente. Ci
abbiamo messo due anni, ma alla fine ci siamo riusciti.

3. Autonomia

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La terza parola d’ordine è autonomia. Perché noi abbiamo sempre scommesso sulla
crescita dal basso del Movimento e sulla soggettività dei cittadini attivi.
Oggi dopo quattro anni di rodaggio le assemblee della cittadinanza attiva, che sono lo
strumento per questo obiettivo, ci sono. Devono però essere messe in condizione di
operare, essendo libere di sviluppare appieno le loro potenzialità. Per questo in questo
Congresso verrà avanzata una proposta elaborata da un gruppo di lavoro guidato da me
e dal Presidente per avviare un processo di autonomia amministrativa e statutaria, con
due condizioni: che ogni regione decida nei suoi Congressi se scegliere per il
rafforzamento delle deleghe dal regionale alle assemblee, senza autonomia o dare
direttamente l’autonomia; che per chi si renderà autonomo vengano rispettate alcune
condizioni vincolanti (una adeguata formazione in sede tecnica, la garanzia di
trasparenza nei confronti degli aderenti e degli organi nazionali e regionali, il rispetto
delle norme fiscali e contabili, il principio del mutuo aiuto, soprattutto nei confronti delle
Segreterie regionali, l’obbligo del rendiconto annuale agli organi superiori). Sono certa
che se approveremo questa norma il Movimento ne trarrà molta forza, perché aumenterà
moltissimo il senso di responsabilità delle leadership locali.

4. Unità
La quarta, e ultima, parola d’ordine è unità. Perché in questi anni abbiamo lavorato
soprattutto per rendere Cittadinanzattiva un movimento coeso ed unitario, ma questo è
un processo che va proseguito, perché sono ancora forti le spinte a costruirsi i propri
orticelli. È ormai superato un po’ ovunque il divario tra Tribunale e Movimento, come è
sempre più forte la identificazione delle politiche dei Procuratori con Cittadinanzattiva
tout court. Qualche problema si è verificato nel campo della giustizia, non per cattiva
volontà ma per quell’idea che abbiamo un po’ tutti che della giustizia si occupano gli
avvocati e che quindi è un terreno separato. Anche queste difficoltà si stanno superando.
Il problema non sono i principi, ma la quotidianità. È lì che le divisioni e l’isolamento si
ricreano soprattutto al livello territoriale o si vive la paura che privilegiare
Cittadinanzattiva rispetto a una sua rete sia come essere derubati di una identità. Io
personalmente, avendone diretta una, ho un’alta concezione della funzione strategica
delle reti nel Movimento: esse danno concretezza, competenza, legame con la realtà e con
i temi. Il problema è scegliere sempre per l’unità del Movimento, facendo, quando è

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necessario, anche qualche passo indietro nell’equilibrio dei poteri, cominciando dal basso.
Alcune delle modifiche statutarie vanno in questa direzione e le discuteremo assieme.
Veniamo ora alle sfide che abbiamo di fronte e che io vi propongo di affrontare nei prossimi quattro
anni. Esse non possono che partire da un chiarimento circa il nostro ruolo nella situazione attuale
in cui versa il paese. Noi siamo indipendenti, ma non siamo neutrali. Anzi, se non riusciamo a
trarre le conseguenze del lavoro che facciamo, lanciando proposte e politiche a tutto il paese,
tradiamo la fiducia che tanti cittadini hanno riposto in noi. Come cittadina e come dirigente di un
movimento civico, io mi rifiuto di dover fare continuamente attenzione a non dire troppo da una
parte o dall’altra. Quando attacchiamo i sindacati e gli scioperi ci dicono che siamo di destra,
quanto protestiamo per gli sms di Palazzo Chigi dicono che siamo di sinistra; quando firmiamo con
Storace siamo di nuovo di destra, quando ce la prendiamo col Ministro Sirchia ci rispostiamo a
sinistra. Noi agiamo da cittadini e vogliamo costruire una politica dalla parte dei cittadini. E
questo non è qualunquismo, ma un modo per restituire la politica alla realtà e ai fatti, sottraendola
almeno ogni tanto al gioco dei partiti. Crediamo in una democrazia a più voci, nella quale i
cittadini possano esercitare diritti, poteri e responsabilità. Tra queste responsabilità c’è quella di
essere liberi e autonomi. La libertà è un attributo che comporta legami ed obblighi verso gli altri,
verso la città e verso il luogo in cui si vive. Per questo di fronte alla situazione in cui versa il paese,
con le sue sofferenze e i suoi problemi irrisolti, anche noi dobbiamo far sentire alta la nostra voce,
almeno su sei punti: la difesa dei tre grandi servizi pubblici, sanità, scuola e giustizia; la lotta alla
corruzione; la questione energetica; la promozione dell’articolo 118 in ogni comune; il costo della
vita; il diritto all’informazione. Non rinunceremo ad affermare il nostro punto di vista anche su
altro, all’occorrenza. Ma questi sei punti di programma ci paiono già un grosso contributo della
cittadinanza attiva al governo del paese.

1. La difesa dei tre grandi servizi pubblici, sanità, scuola e giustizia


Cittadinanzattiva è chiamata nei prossimi quattro anni ad agire con decisione a difesa di
tre grandi servizi pubblici, che servono a tutelare e garantire alcuni beni comuni
fondamentali: l’istruzione dei giovani, la legalità e il diritto, la salute di tutti. Siamo
consapevoli che sia il servizio sanitario, che la scuola e la giustizia, vadano
profondamente riformati per renderli adeguati alle attesa dei cittadini, ma per
migliorarne la qualità bisogna investirci e nessuno lo sta facendo in modo serio. Un
processo si può fermare perché mancano gli stenografi o il telefono per fissare la prima

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udienza davanti al collegio; la riduzione del tempo pieno riporterà molte mamme a casa e
bambini davanti alla televisione; camminare o restare a letto invalidi dipende ormai dalla
qualità della riabilitazione e dei presidi che è disposta a darti la Asl; anche ammalarsi di
tumore sta diventando un lusso. Nei giorni scorsi la signora Erminia Manfredi di fronte
ad un intervistatore radiofonico che cercava di spingerla a sostenere la sanità privata, ha
dichiarato infastidita che, per onorare la memoria del marito, si impegnerà a portare nella
sanità pubblica le cose belle che ha visto nelle sale di rianimazione di quella privata.
Questa affermazione sintetizza quello che pensano molti italiani e noi dobbiamo
impegnarci a fare in tutti e tre i grandi servizi. Per ognuno dei tre settori dobbiamo
elaborare proposte e costruire politiche ed iniziative all’altezza della sfida.
Con questo Congresso cominciamo da ciò che sappiamo fare meglio, cominciamo dalla
sanità. Sono convinta che o si parte dalla questione centrale del legame stretto tra livelli
essenziali di assistenza e risorse finanziarie destinate ad essi, o continueremo ad inseguire
i problemi uno per uno. Tutti gli atti di governo degli ultimi anni hanno posto al primo
posto le risorse rispetto ai bisogni, mentre la gran parte dei giuristi da noi consultati
contestano questo ordine di priorità, contestazione avvalorata da sentenze su casi singoli
della stessa Corte Costituzionale. In parole povere: le prestazioni essenziali devono essere
garantite a prescindere dalla necessità, assolutamente lecita e sottoscritta dalla stessa
Corte, di tenere conto delle risorse a disposizione del Paese e della loro corretta ed
equilibrata utilizzazione. La nostra iniziativa dovrebbe puntare a far sì che la Corte
esprima un giudizio di legittimità sul comma 3 dell’art. 1 del D. Lgs. 229/99 (quello che
subordina i bisogni alle risorse), noto come Riforma Bindi, o a chiarire che, pur
conservando la sua legittimità, esso non può essere inteso come premessa per
subordinare i Livelli essenziali di assistenza alle risorse individuate dal Documento di
programmazione economica e finanziaria, ma semmai il contrario. Voi capite
l’importanza di una iniziativa del genere, che ci permetterebbe di riportare al centro del
servizio sanitario nazionale i diritti dei cittadini e di avere una grande arma per la tutela
del singolo, così come per la difesa del servizio.

2. Prezzi e tariffe

Dal 1° gennaio è partito un progetto nazionale sulla “Rilevazione civica e proposte sui
prezzi e le tariffe dei servizi di pubblica utilità”, cofinanziato dal Ministero delle attività

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produttive per il biennio 2004/2005. Ritengo che si tratti di uno strumento importante a
fronte della crescita costante - come documenta l’ultimo Rapporto Pit servizi - fuori da
ogni ragionevole misura dei prezzi dei beni e dei prodotti e delle tariffe dei servizi.
Inaccessibilità ai servizi fondamentali e aumento dei prezzi, sono due facce della stessa
medaglia. Se accompagniamo a questo dato i tagli delle due ultime leggi finanziarie ai
comuni, che hanno portato in molti casi all’aumento dell’addizionale Irpef e dell’Ici, e se
sommiamo ancora l’aumento della spesa sanitaria privata, ne ricaviamo il quadro di un
paese dove molta gente fatica ormai ad arrivare alla fine del mese. La riduzione del
potere d’acquisto è calcolato, da una indagine del Corriere Lavoro, del 7,7% per i
dirigenti; al 5,5% per i quadri; al 13,2% per gli impiegati e al 9,2% per gli operai. La cosa
peggiore è che i soliti furbi non hanno perso l’occasione per addossare la responsabilità
dell’accaduto all’euro, dimentichi dei benefici passati, presenti e futuri che l’euro porta in
dote. La mancanza di una adeguata politica pubblica di controlli (un po’ a tutti i livelli)
nella filiera che dal produttore porta al consumatore e i forti ritardi che abbiamo
accumulato in alcuni settori strategici proprio sul piano dell’introduzione di una reale
concorrenza (con le necessarie riforme) nel nostro Paese. La liberalizzazione, salutata da
noi positivamente, o non c’è stata o si è limitata a premere l’acceleratore sugli aspetti
deteriori della privatizzazione, dimenticando che molti di questi servizi – pensate a quelli
pubblici locali – fanno parte dei nostri beni comuni. Per questo ritengo che tutto il
Movimento debba mobilitarsi su questi temi, con proposte, politiche e forme di
mobilitazione sui prezzi e le tariffe della sanità, dell’energia, della Pubblica
Amministrazione, dei trasporti, della giustizia, dei servizi finanziari, dei servizi locali,
della scuola, della fiscalità locale e nazionale, dei sistemi di telecomunicazione. Per
ridurre il disorientamento dei cittadini, per introdurre maggiore trasparenza e qualità,
per contrattare gli aumenti, per fare della liberalizzazione e del federalismo uno
strumento di aiuto al cittadino e non viceversa.

3. La lotta alla corruzione

Il 17 giugno si è avviata la raccolta di adesioni dei parlamentari ad un disegno di legge


sul sequestro cautelativo e la confisca dei beni degli indagati per corruzione nella
Pubblica Amministrazione. In pratica si estende la legge 109/96, relativa ai reati di mafia,

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voluta dall’associazione Libera. Questa proposta nasce dalla nostra lunga esperienza di
tutela dei diritti dei cittadini nell’ambito dei servizi di pubblica utilità. Troppo spesso
abbiamo assistito a scandali scoppiati per fenomeni di corruzione, che alla fine, anche
dopo la sentenza definitiva, non hanno comportato alcuna restituzione alla comunità del
denaro illegalmente intascato come tangente. Nel frattempo infatti gli indagati avevano
provveduto ad occultare i beni. Un dossier preparato dall’ufficio stampa di
Cittadinanzattiva con la collaborazione dell’osservatorio ambiente e legalità di
Legambiente, ci da qualche esempio degli scandali in corso: il racket del caro estinto a
Torino, gli appalti truccati per gli asili nido di Trapani, tangenti sul servizio
accompagnamento disabili di Albano Laziale, scandalo edilizio all’isola d’Elba,
corruzione nello smaltimento dei rifiuti ospedalieri a Fabriano, la truffa sulle case della
Coop Casa Lazio, appalti truccati per per assegnare i lavori per il dissesto idrogeologico a
Milano. L’iniziativa è fatta in collaborazione con Libera e con il Comitato “Quelli del 118”
e vuole dare un segnale concreto della volontà dei cittadini italiani di combattere la
corruzione attraverso strumenti che abbiano in sé funzioni “riparatorie” e non solo
punitive. Si propone infatti l’assegnazione in uso dei beni confiscati ad iniziative sociali
realizzate autonomamente dai cittadini, nel solco dell’attuazione dell’art. 118 della
Costituzione. Abbiamo deciso di coinvolgere il Parlamento, perché riteniamo che sia un
punto d’onore per il paese che siano le stesse istituzioni maggiormente rappresentative a
farsi carico di questo impegno. Sono però convinta che senza il nostro pungolo e la nostra
mobilitazione, assieme a quella delle associazioni aderenti, la legge rischia di fermarsi al
primo ostacolo. Per questo il Congresso è chiamato a decidere le modalità con cui tutto il
Movimento intende sostenere questa proposta, raccogliendo firme, mobilitando le
amministrazioni, informando i cittadini. Dare un segnale forte sulla lotta alla corruzione
sarebbe anche un bel modo per far capire da che parte stiamo, se da quella dei condoni,
dell’abolizione degli scontrini fiscali e del falso in bilancio, o dei cittadini “civici” del 118.

4. La questione energetica

Il 28 settembre dell’anno scorso c’è stato un gravissimo blackout. Esperti e gestori hanno
già annunciato che nei prossimi tempi ce ne saranno altri. Cittadinanzattiva, come ho già
detto, in quella occasione ha aiutato i cittadini, mediante un modulo, a fare un richiesta di

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risarcimento al gestore della rete e all’ Autorità per l’energia elettrica e il gas. A San
Severo, in Puglia, già da alcuni anni siamo mobilitati per far sentire la voce dei cittadini
nelle scelte che riguardano l’insediamento delle Centrali termoelettriche in Capitanata.
Assieme a molte autorità locali e ad un cartello di associazioni chiediamo che sia un
referendum a stabilire se una concentrazione così alta di centrali possa essere insediata in
un unico territorio. I procuratori dei cittadini hanno realizzato seminari di informazione e
gestito un progetto, in occasione della sostituzione dei contatori Enel, per garantire
appunto che in questa operazione fossero rispettati i diritti dei cittadini. In questo
Congresso presenteremo il progetto Banca del clima, realizzato in collaborazione con il
WWF, con il fine di coinvolgere i cittadini in una politica quotidiana per il risparmio
energetico. Io sono convinta che ci dobbiamo occupare in modo forte nei prossimi anni di
questione energetica, affiancandoci con il nostro specifico punto di vista a quanti lo
stanno facendo da tanto tempo. E farlo in due direzioni: coinvolgendo e
responsabilizzando direttamente i cittadini in comportamenti virtuosi finalizzati a ridurre
quel 30% di consumi domestici, impegnandosi affinché le politiche dei governi, delle
regioni e dei comuni favoriscano lo sviluppo delle fonti rinnovabili, non limitandosi,
come è avvenuto, ad approvare il Decreto salva-centrali ad accettare lo status quo, anzi
incentivando le fonti energetiche dannose, a base di combustibili fossili. Una prima
azione potrebbe essere quella di allargare il numero di comuni che fanno una politica di
sostegno ai cittadini che decidono di scegliere impianti alternativi, come quello solare.
Anche questo sarebbe un buon modo per applicare l’art. 118 della Costituzione italiana.

5. Il 118 in ogni Comune

Anche se abbiamo fatto tanto per affermare i principi della sussidiarietà circolare, ancora
poco si è fatto per praticarla sul serio in tutto il paese. Noi dobbiamo far sì, come dicevo
all’inizio, che il pezzo mancante della democrazia, il cittadino attivo, diventi parte
integrante di un sistema allargato di governo della vita pubblica. Per questo propongo
che nei prossimi quattro anni molte delle nostre energie si concentrino in questa
direzione, facendo sì che in ogni comune, ma anche in ogni Asl e in ogni Regione, ci sia
almeno una realizzazione da 118. Usiamo tutto quello che abbiamo a disposizione:
protocolli d’intesa per fare verifiche della qualità dei servizi pubblici locali e della sanità,

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inserimento nelle procedure d’appalto per i servizi di pubblica utilità, attuazione della
legge 328 sull’assistenza, inserimento della norma negli statuti regionali, provinciali e
comunali, accordi di programma partecipati per la sviluppo dei servizi sociali,
mobilitazioni degli studenti per ripulire le scuole, abbattimento di barriere
architettoniche, sportelli di informazione, campagne di sensibilizzazione all’attivismo
civico, sgravi fiscali per le azioni da 118. Ricordiamo, come dice sempre Gregorio Arena,
che il 118 diventa operativo solo se sono i cittadini a metterlo in moto. Quindi facciamolo.
Questa azione deve però, a mio avviso, essere accompagnata da un impegno per il
cambiamento o la corretta interpretazione delle norme che regolano la presenza
dell’attivismo civico nel paese. Come dice il Presidente Cotturri, la nostra azione viene
continuamente limitata da un legislazione che vede la cittadinanza attiva come un
fenomeno a canne d’organo, assolutamente blindato e compresso: l’albo del volontariato,
l’iscrizione alla legge dell’associazionismo, l’albo delle associazioni dei consumatori, e
così via. Questo ci obbliga spesso a scegliere la soluzione meno peggio, e a dover
continuamente ribadire che il 118 deve favorire l’autonoma iniziativa così com’è. Una
proposta, oltreché lavorare per cambiare queste leggi, potrebbe essere la seguente:
iscriviamoci in massa a tutti gli albi, per affermare il principio che siamo cittadini a 360°
gradi. In Friuli Venezia Giulia ci sono riusciti: noi siamo sia un movimento di
consumatori che di volontariato. Proviamoci ancora!

6. Il diritto all’informazione

Il diritto all'informazione è un diritto quotidianamente negato nel nostro paese. Nel


raffronto con le altre nazioni l'Italia dimostra di essere ai livelli più bassi per quanto
riguarda la qualità dell'informazione: una stampa poco libera, molto autoreferenziale e
pigra, ben lontana da quei modelli presenti nei film americani con i giornalisti trasformati
in detective. Ci sono molte eccezioni, ma purtroppo sono eccezioni. Un problema enorme
è costituito certamente dall’assetto proprietario: se una persona da sola possiede quasi
tutti i mezzi, dalla pubblicità alle televisioni, e per di più ha anche il potere politico, è
difficile che ci possa essere una stampa libera e aperta. Se si fosse trattato dell’Italia e non
degli USA avremmo mai saputo quello che abbiamo appreso sulle torture in Iraq? Ma i
problemi vengono da lontano. La Rai è l'esempio vivente di una questione irrisolta: da

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sempre, più che una azienda è stata una propaggine del potere politico, come ci ricordava
pochi giorni fa Piero Ostellino. Oggi la situazione è la stessa con l'aggravante che quel
potere sembra essere ben più aggressivo e prepotente di prima. In questa situazione non
si riesce più a parlare di niente e ad entrare nel merito di questioni come la qualità
dell'informazione o la correttezza dei giornalisti o, ancora, il rapporto tra spettacolo e
informazione di servizio.

Per una organizzazione di cittadini, che ha scarso accesso alle dinamiche e ai conflitti nel
mondo dell'informazione, non è facile ritagliarsi un ruolo. I cittadini sono solo coloro che
"devono" guardare la televisione e leggere i giornali. Anzi si continua a ripetere che se il
livello delle trasmissioni è basso, è colpa dei cittadini che mostrano di volere quel tipo di
spettacoli. Quindi noi, non solo siamo esclusi da qualsiasi controllo di qualità, ma
addirittura saremmo la causa delle cose peggiori prodotte dalla Rai come dalle TV
private.
Eppure, quando come cittadini o organizzazioni civiche produciamo notizie, spesso
siamo vittime di atteggiamenti non proprio corretti. Ne vorrei citare alcuni capitati a
Cittadinanzattiva. Un giornalista della "Vita in diretta" intervista una famiglia il cui figlio
è morto a causa di errori medici. Quando si tratta di far dire una battuta
all'organizzazione dei cittadini che ha sostenuto la famiglia, facendo valere i suoi diritti
anche in Tribunale, si passa ad altro, perché quello che conta è la storia pietosa e non la
rappresentazione di un’Italia in cui i cittadini hanno cominciato ad organizzarsi per
contrastare la malasanità.
Altra vicenda: come ho già detto, Cittadinanzattiva ha organizzato un convegno
nazionale sulla giustizia. Erano presenti centinaia di persone a parlare della lentezza dei
processi, della mancanza di privacy, della violazione della dignità delle persone, della
sporcizia dei Tribunali, della scarsità di soldi e così via. Erano presenti anche alcuni
giornalisti e alcune televisioni, ma sono rimasti fuori dal Convegno, ad aspettare il
Ministro Castelli. Quando è arrivato il Ministro hanno invaso la sala, per poi andarsene
alla sua uscita. Il giorno dopo sul convegno non è uscito quasi nulla, se non qualche
dichiarazione di Castelli senza indicare il contesto in cui erano state rilasciate. D'altra
parte i giornalisti, non avendo ascoltato altro, che cosa avrebbero potuto scrivere!
Il terzo episodio riguarda la capacità di autocensura dei giornalisti Rai. In occasione delle
manifestazioni in difesa del servizio sanitario nazionale, con affissione di targhe negli
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ospedali, con grande fatica riusciamo a far venire il un tg della Rai in un ospedale
romano. Il servizio non va però in onda. Sospettiamo che qualcuno in redazione abbia
preferito non mettersi nei guai pubblicizzando iniziative di protesta, promosse dai
cittadini senza alcuna copertura politica. Se non si è etichettati si è molto più pericolosi!
C'è chi parla di "struzzismo", chi di abbandono dell'etica professionale. Come cittadini
dovremmo fare di più per tutelare i nostri diritti. Mi vengono in mente almeno tre cose:
non farci togliere quello che c'è. Le trasmissioni che si occupano di società e diritti dei
cittadini in Italia non sono molte e noi dobbiamo difenderle. Agire più sui contenuti che
sui contenitori. Al di là delle polemiche, che seguono la soppressione di alcuni
programmi (Il Fatto, Sciuscià, Raiot), vorremmo che i cittadini potessero avere voce in
capitolo già in fase di programmazione televisiva, come previsto dal Contratto di servizio
Rai. Dobbiamo pretendere un controllo della qualità come lo facciamo su altri servizi di
interesse pubblico, a cominciare dalla Rai. Per questo abbiamo aderito al Tavolo di
confronto Media e Società Me/So - nato presso l'Associazione Stampa Romana, in cui
giornalisti, studiosi, associazioni civiche si confrontano su come far recuperare credibilità
al mondo del giornalismo nel rapporto con i cittadini, contrastando l'omologazione e il
conformismo nell'informazione. Una idea fantasiosa potrebbe essere quella di farci il
nostro sistema Auditel, magari a partire dai delegati al Congresso nazionale, e monitorare
i servizi televisivi, esprimendo periodicamente il nostro punto vista e il nostro
gradimento. Se non saremo ascoltati, potremmo studiare il modo per non pagare più il
canone. E potrebbe essere una gran bella iniziativa.

Ho finito. Non mi resta da dire altro, se non che cosa intendo fare nel futuro, e ringraziare chi mi
ha aiutato.

Do la mia disponibilità a ricandidarmi alla carica di segretario generale di


Cittadinanzattiva per almeno due motivi: non posso cavarmela con solo due anni di
servizio: fare il segretario generale di questo Movimento è faticoso, ma anche divertente,
proprio perché ogni giorno è possibile costruire un pezzo di futuro e sentirsi utili per il
paese. Ho potuto fare il segretario in questi due anni perché non sono stata mai sola. Ho
sempre avuto accanto a me persone che mi hanno sopportata, consigliata e aiutata. Ormai

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esiste in questo Movimento un gruppo dirigente nazionale, composto da persone che
vengono sia dalla sede centrale che dalla dimensione regionale e locale. Questa è una
grande ricchezza, che fa sì che anche una persona, non particolarmente dotata, possa fare
il segretario, senza combinare troppi pasticci. Ho intenzione nel futuro di rendere più
snella la segreteria, di favorire al massimo l’interfaccia tra segreteria, regioni e assemblee,
di lavorare per rendere la Direzione un organo rappresentativo di tutti i volti del
Movimento, compreso quello delle organizzazioni associate, di rispettare al massimo,
come ho sempre fatto, l’autonomia del Collegio di garanzia.

Procedo quindi ai ringraziamenti. Ringrazio innanzitutto Giuseppe Cotturri, che con


pazienza e saggezza mi ha quotidianamente affiancato; Alessio Terzi, pronto sempre a
consolarmi e a darmi una mano; Giovanni Moro, che, proprio per aiutarmi, non si è mai
immischiato nel mio lavoro, mentre ha dato grande impulso alla crescita della
Fondazione per la cittadinanza attiva; ringrazio i due vicesegretari, che spero vogliano
continuare a starmi accanto; i coordinatori delle reti e tutti i componenti della segreteria
nazionale uscente, che in questi anni mi hanno sostenuta. E tanti altri sia dello staff
centrale che del territorio: oltre a quelli già citati, Alessandro Cossu, Barbara D’Alessio, la
mia assistente, Cinzia Dottori, Anna Lisa Mandorino, Rosanna Marchio, Daniela
Mondatore, a cui va un grazie particolare per aver organizzato questo Congresso, Franco
e Annamaria Tempesta, i ragazzi dei Pit, del Tribunale, dei Procuratori e delle altre reti,
dei servizi e dei programmi, tutto il gruppo del networking con Elio Rosati e Adele
Bottiglieri. Un ringraziamento particolare va a tutti voi per avermi aiutato, a volte anche
criticandomi, a fare il mio lavoro. Non so se l’ho fatto bene, né se le prospettive che vi ho
indicato siano soddisfacenti per il Movimento. Lo deciderete voi con il Congresso e con il
vostro voto.

Vorrei terminare veramente leggendovi un breve brano di Marco Revelli che Michele De
Pasquale, responsabile delle politiche per la pace e la non violenza di Cittadinanzattiva,
ha inserito nel nostro sito e che vorrei dedicare a Tom Benettollo, presidente dell’Arci,
recentemente e prematuramente scomparso, e a voi che mi ascoltate:

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“Decine, centinaia di migliaia di donne e di uomini sono al lavoro, negli interstizi del
disordine globale, per riannodare i nodi, ricucire le lacerazioni, elaborare il male.
Sono loro che vedono e raccontano quello che i giornalisti professionisti ignorano.
E sono loro che riparano ciò che gli eserciti frantumano.
Molti li guardano con un sorriso di commiserazione, come si guardano le anime belle.
Ma sono loro l'unico embrione, fragile, esposto, di uno spazio pubblico non avvelenato
[...].
Non sono ancora il presente, sono un presagio di futuro, di una possibile ed inedita
politica del futuro".

Grazie per avermi ascoltata e buon Congresso.

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