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Appunti sulla storia della Sinistra


Comunista 'italiana' e la formazione
del Partito Comunista
Internazionalista 1945-1952 (1)
58-78 minutos

"Le battaglie, per quanto riguarda il mondo matematico e


fisico rivoluzionato, punteggiarono la ricerca come sempre,
ma a nessuno venne in mente di creare movimenti scientifici
hilbertisti, maxwellisti, boltzmanisti, hamiltonisti, peanisti,
poincaristi, ecc., mente nei campi che coinvolgevano l'uomo
e la sua mistica, come la biologia e le scienze sociali,
nacquero per esempio i darwinismi, i marxismi e i loro
contrari: religioni appena mascherate con i loro dei e profeti
che ancora oggi suscitano interpretazione, adorazione o
viscerale avversione".[Necrologi affrettati, n+1, n. 0]

Introduzione

L'obbiettivo fondamentale sviluppato in queste pagine è


quello di sottolineare l'importanza del lavoro politico svolto da
quei comunisti che – sfuggiti indenni (negli anni '20 e '30)
dalla morsa del fascismo e, peggio ancora, dello stalinismo –,
con la fine della seconda guerra mondiale (1945), credono
nella possibilità del riproporsi di una situazione simile a quella
del periodo 1918-'20.

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Alla falsa valutazione del periodo storico allora in corso,


segue la inevitabile spinta alla "costruzione" di un Partito
Comunista che non sia solamente proiezione di forze presenti
sul territorio italiano o facenti capo all'emigrazione italiana
(particolarmente Francia e Belgio). In attesa dunque di un
reale affasciamento di fisiche forze internazionali – quale fu
ad esempio il grande esempio dato 25 anni prima
dall'esistenza della Internazionale Comunista – il Partito
Comunista che si va a "costruire" deve essere perlomeno
Internazionalista e capace di sviluppare quel lavoro che lo
porterebbe poi ad essere effettivamente Internazionale.

Per arrivare a ciò, saremo costretti a richiamare alcuni


elementi cardine della lotta della Sinistra Comunista italiana
all'interno del PCd'I contro la degenerazione opportunistica
dell'I.C. (lotta svoltasi nel periodo 1921-'26), nonché la
battaglia continuata durante il periodo della emigrazione:
battaglia materializzatasi attorno agli organi di stampa
Prometeo e Bilan. Non si vuole con questo riscrivere un
ennesimo volume di una storia in ogni caso già tratteggiata –
e che verrà sicuramente ripresa e ampliata in un futuro
purtroppo non immediato – più o meno esaurientemente in
altri lavori, indipendentemente da questo .

Molto più semplicemente, ci proponiamo di ripercorrere a


grandi salti le tappe del percorso di quelle che via via sono
state le espressioni formali del partito storico – quale lo intese
Marx nella sua lettera a Freiligrat: espressioni formali
svolgenti la funzione di ponte fra le passate esperienze del
movimento rivoluzionario comunista degli anni '20 con le
attuali e prossime generazioni. Come non esiste un legame
con le radici date dal passato senza una continuità materiale

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rappresentata da trasmissione fisica attraverso il lavoro delle


generazioni, con i suoi libri, giornali, ecc., ripuliti dalla polvere
delle cantine dalle periodiche lotte del proletariato, così tale
continuità non va ricercata nel movimento continuo delle
lancette dell'orologio che non ammette vuoto e discontinuità.

Il tentativo di questa esposizione, dunque, è quello di


presentare a grandi pennellate una sintesi del significato
storico di quel lavoro che si rifà alla Sinistra comunista
"italiana" .

I compagni che partecipano costantemente alla redazione di


n+1, sanno che avremmo voluto rispondere già con la
riunione di settembre dell'altro anno alla seguente domanda:
quale importanza storica può avere per noi l'esperienza del
lavoro sviluppatosi attorno alle pagine di Programma
Comunista, a partire dal 1952? Allora ci dovemmo
accontentare di alcune premesse generali – vedi Struttura
frattale delle rivoluzioni – di supporto a brevi accenni che
rimandavano ad un futuro lavoro quella risposta che si
sentiva abbastanza urgente. Siamo arrivati a marzo di
quest'anno e sembrava finalmente che sarebbe stato
possibile chiudere questo lavoro.

I presenti rimarranno sicuramente delusi. Non parleremo di


Programma Comunista, perché questa nostra storia
ripercorrerà il segmento 1920-1952: anno che vede la
scissione del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia
Comunista) e la formazione di un nuovo Partito Comunista
Internazionalista (Programma Comunista) .

Per concludere, nell'esposizione di oggi, presenteremo


dunque pochi "fatti", e citeremo pochi "documenti": quelli

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strettamente indispensabili ad indicare le grandi lezioni delle


controrivoluzioni ed a mostrare la strada per non perdere il
legame con il filo del tempo, nonché quei pochi utilizzabili
affinché i concetti indispensabili alla ripresa di un sano lavoro
svolto con spirito di partito non diventino icone,
cerebralmente elaborate, staccate dal movimento reale che
per noi deve essere la Stella Polare di ogni manifestazione
della nostra attività.

I. – Il PCd'I e l'Internazionale comunista

"Abbiamo voluto scegliere per questa conferenza un tema del


più alto interesse del quale, però naturalmente, non potrò
dare un'esposizione completa, data la grande molteplicità dei
suoi aspetti. Molte volte nel prospettare quelli che sono gli
sviluppi della nostra ideologia, del trapasso dal regime
borghese al regime comunista, si insiste molto bene e molto
chiaramente sulla parte storica e politica del tema, si discute
quella che è la formula della conquista politica del potere in
contrasto con le affermazioni di altre scuole, ma non si mette
altrettanto chiaramente in vista quello che è il carattere
economico di questo trapasso tra due epoche due storie, due
regimi. Quindi in questa materia s'incontrano frequentemente
opinioni errate anche fra compagni che appartengono come
dirigenti e capi al nostro movimento. È materia che anche nel
nostro partito non è stata abbastanza approfondita,
abbastanza studiata, sebbene a disposizione di noi tutti, oltre
alle classiche opere dei nostri maestri, stia in questo campo
interessantissimo l'esperienza della rivoluzione russa che
prospetta innanzi ai nostri occhi la transizione dell'economia
capitalista a quella socialista e comunista".

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Così si esprimeva Bordiga ad una conferenza del PCd'I nel


luglio del 1921, denunciando in tal modo i limiti teorici di un
movimento comunista che, nell'Europa capitalisticamente
arcimatura, era costretto a segnare il passo di fronte al corso
di una rivoluzione che inesorabilmente si allontanava sempre
più da Ovest, battendo il passo nella stessa Russia, per
inglobare con sempre maggiore forza la sfera asiatica del
pianeta.

A titolo di esemplificazione, si possono presentare delle brevi


schede – e che poniamo in appendice alla presente
esposizione – che illustrano i limiti nelle acquisizioni teoriche
di alcuni importanti dirigenti del movimento internazionale del
tempo:

a – La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale


del comunismo.

Pubblicato nel 1924 sull'Ordine Nuovo, dove Bordiga critica le


concezioni di Graziadei, a proposito della teoria del valore e
del plusvalore di Marx, che nega la possibilità di calcolare
lavoro necessario e pluslavoro, perché troppe le variabili che
intervengono: per tal motivo, al massimo si può parlare di
'teoria dei prezzi' o dei 'costi'. Bordiga sottolinea che questo
non ha nulla a che vedere col metodo scientifico e che Marx
parla di lavoro socialmente necessario e pluslavoro
socialmente dato (quindi, lavoro necessario e plusvalore
calcolati in media). A nulla serve, continua Bordiga, che si
condanni la teoria del valore e si pretenda di accettare 'tutto il
resto' (lotta rivoluzionaria, dittatura del proletariato, ecc.). Non
si capirebbe su quali basi questo 'tutto il resto' dovrebbe stare
in piedi. È più coerente il classico discorso di un Bernstein
che dalle premesse della critica a Marx trae le conseguenze

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per una politica antirivoluzionaria e riformistica. I 'teorici' alla


Graziadei sono definiti da Bordiga 'comunisti della sesta
giornata'.

b – Economia del periodo di trasformazione di Bucharin


(1920).

Bucharin parte dal corretto concetto che all'interno del


processo di produzione di ogni singola merce – vale a dire
all'interno del processo della cooperazione che vede l'operaio
parziale trasformarsi in operaio complessivo – non vi è
produzione di valore (quindi merce) e che questa diventa tale
solamente all'esterno di tale processo, vale a dire sul
mercato, nel momento in cui un qualsiasi prodotto si rapporta
a qualsiasi altro in termini di uguaglianza di tempo di lavoro
incorporato, quindi in termini di valore.

È all'esterno di ogni singolo processo di produzione, quindi


nel rapporto fra aziende diverse che vive il rapporto
mercantile di valore. Tale rapporto sviluppa una
centralizzazione sempre maggiore del capitale fino al livello di
un vero e proprio 'trust capitalistico di Stato' che porta a
negare i rapporti commerciali all'interno di una entità
nazionale. Giunto a questo punto si può cominciare a parlare
di rapporti commerciali solamente fra nazioni.

E qui Bucharin è molto esplicito: "La riorganizzazione dei


rapporti di produzione del capitale finanziario procede nella
direzione della organizzazione universale del capitalismo di
stato, con l'eliminazione del mercato, con la trasformazione
del denaro in una unità di calcolo, con la produzione
organizzata su scala statale, con la subordinazione dell'intero
meccanismo economico-nazionale' agli scopi della

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concorrenza mondiale, cioè prima di tutto a quelli della


guerra" .

Dato che tutto ciò è ormai sviluppato alla scala nazionale,


mostrando una differenza qualitativa con la scala mondiale (e
ponendo arbitrariamente un parallelo con Marx che indica
una differenza qualitativa fra divisione del lavoro all'interno
della manifattura e divisione del lavoro all'interno della
società) si può allora parlare di "piano di produzione reale" (o
comunismo) … in un paese solo.

E' sicuro che il 1920 non è il 1926, ma Stalin da solo non ce


l'avrebbe fatta.

c – La legge fondamentale dell'accumulazione socialista di E.


Preobrazenskij (1924).

L'autore – ricordiamo che stiamo parlando di uno dei più


importanti teorici del partito bolscevico e quindi
dell'Internazionale – mette a confronto lo sviluppo della
rivoluzione borghese con lo sviluppo di quella comunista e
afferma che mentre quella è un momento interno allo sviluppo
del modo di produzione capitalistico che parte con la
'cosiddetta accumulazione originaria capitalistica' descritta da
Marx nel I Libro del Capitale, al contrario il comunismo (che
Preo chiama 'socialismo') parte con la conquista del potere
politico da parte del proletariato che può realizzare la società
senza classi alla sola condizione di una 'accumulazione
originaria socialista' che deve precedere la vera
'accumulazione socialista'.

Quale la differenza fra i due termini? Per accumulazione


socialista egli intende quel processo che vede la gran parte
del plusprodotto non riservato al consumo, ma alla

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riproduzione allargata, mentre per accumulazione originaria


socialista intende l'accumulazione nelle mani dello Stato "di
risorse materiali provenienti prevalentemente da fonti esterne
al complesso economico statale".

Ma qui Preo non si rende conto che queste 'risorse materiali'


non sono altro che le risorse date dalla miseria e che per
combattere questa ed uscire da un livello precapitalistico ed
andare almeno verso il capitalismo di Stato – in attesa della
rivoluzione comunista internazionale – vi è bisogno sì di una
'accumulazione' ma che rimane sempre accumulazione
originaria capitalistica. Qui come nell'Inghilterra del XIV, XV e
XVI secolo.

E' dunque la stessa cosa, raccontata con parole diverse … e


non è sicuramente sufficiente il potere nelle mani del partito
comunista affinché le parole possano cambiare natura ai fatti
materiali. Il potere nelle mani del partito comunista ricorda re
Mida: mentre quello aveva la capacità di trasformare in ora
tutto ciò che toccava, ora può essere trasformato in oro tutto
ciò di cui si parla.

Conclude Preobrazenskij: "Criticando tale impostazione del


problema i miei oppositori non polemizzano con me
personalmente o con tutti i nostri industrialisti, ma protestano
in sostanza contro tutte le condizioni oggettive nelle quali
avviene la costruzione del socialismo in un paese solo e per
giunta agricolo" .

Ha forse esagerato Bordiga quando, in Struttura economica e


sociale della Russia d'oggi, scrive che, alla data 1920, il
partito comunista dell'URSS non può più dare nulla al
movimento comunista mondiale?

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Sicuramente, col periodo 1924-25, il partito "comunista"


dell'URSS è ormai perduto!

d – L'involuzione tattica e programmatica della III


Internazionale.

In questo capitolo tracceremo velocemente gli elementi


fondamentali della storia della Sinistra Comunista "italiana";
storia segnata dalla lotta contro la degenerazione
opportunista e, in seguito, controrivoluzionaria della IIIa
Internazionale: degenerazione che ha toccato lo Zenit con la
guerra di Spagna ed i suoi 'fronti popolari', concludendo
soprattutto con l'attiva adesione al secondo macello mondiale
chiuso nel 1945.

Diciamo subito che ciò che caratterizza la corrente passata


alla storia col nome di Sinistra Comunista 'italiana' – corrente
alla quale fa riferimento tutto il nostro lavoro – è la sua
impostazione dei problemi tattici ed organizzativi in assoluta
coerenza e dipendenza dalle finalità del programma del
comunismo.

Una affermazione del genere per noi risulta estremamente


chiara (sicuramente a livello di enunciazione!), ma bisogna
ben vedere che altra cosa era aver chiaro e difendere tutto
ciò, con caparbietà, di fronte ai grossi calibri
dell'Internazionale (i Lenin, i Trotskj, i Bucharin, gli Zinoviev,
ecc.) che – 'loro' – una rivoluzione 'l'avevano fatta'.

Il congresso di fondazione dell'I.C. è del marzo 1919, anche


se bisogna aspettare l'anno successivo perché si abbia un
congresso (il secondo, nel luglio-agosto 1920) ritenuto, dal
punto di vista programmatico, il reale momento di formazione
di quello che, per la Sinistra (a quel tempo organizzata

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attorno a Il Soviet, nella corrente di sinistra del PSI), sarà


sempre considerato il partito mondiale della rivoluzione.

Le polemiche del '20 a proposito dell'astensionismo difeso dal


Il Soviet – polemiche tirate continuamente e strumentalmente
in ballo, come fosse stato il suo carattere distintivo –, non
devono cancellare il fatto che per la nostra corrente il
boicottaggio della partecipazioni alle elezioni aveva la
funzione di cartina al tornasole di fronte alla necessità di
lavorare alla scissione dal PSI in funzione della formazione di
un Partito comunista: un partito che per definizione veniva
costituito per la lotta a morte contro la macchina dello Stato
borghese e che dunque doveva essere saldo contro ogni
lusinga e deviazione democratica e riformista . La Sinistra
sostenne con vigore le proprie concezioni anti-elettoraliste
anche in sede del secondo congresso dell'I.C., sorbendosi le
rampogne dei dirigenti dell'Internazionale; non ne fece in ogni
caso mai una questione di principio, perché per essa era il
centralismo – la centralità della direzione tattica e
programmatica del partito – mondiale, una questione di
principio.

Questo sarà sempre il suo carattere distintivo, che l'ha


portata prima a combattere contro l'Ordine nuovo in Italia, poi
a volersi distinguere nettamente dalle correnti di sinistra del
nord Europa (tribunisti olandesi, kaapesti e unionisti tedeschi,
ecc.), e in seguito a combattere la stessa tattica sempre più
opportunista della stessa Internazionale.

Teniamo a mente (discorso più esteso in appendice dove si


parla della accumulazione socialista di Preobrazenskij) gli
immani problemi economici e politici che si aprono in Russia
con la fine della guerra mondiale e la presa del potere da

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parte del partito comunista. Il "comunismo di guerra" – non


essendo altro che il "comunismo della fame" – viene sostituito
dalla Nuova Politica Economica (NEP), la quale ha il compito
di permettere al Partito comunista di resistere al potere,
nell'attesa che la rivoluzione dilaghi anche negli altri paesi.
Resistere alla pressione di cento milioni di contadini che non
sanno che farsene del migliore dei discorsi sul comunismo
mondiale quando non hanno i mezzi (macchine operatrici,
ecc.) per aumentare quella produttività loro richiesta
necessaria non solo a sfamare se stessi, ma indispensabile
pure per sfamare le città nonché dare un surplus che serva di
aiuto alla rivoluzione mondiale.

Il tempo scorre senza pietà e la necessità di sopravvivenza


del potere sovietico impone a quest'ultimo di premere sulle
sezioni dell'Internazionale affinché queste imparino a "legarsi
alle masse", per accelerare lo sviluppo della rivoluzione e
contrastare l'azione dei riformisti.

Come se il problema della tattica fosse diventato un problema


di 'ragioneria statistica' si comincia a mettere in discussione,
volenti o nolenti, il motivo fondamentale per cui sono state
fondate le sezioni nazionali (i partiti comunisti interni ad ogni
paese) dell'I.C.: ossia l'assoluta impossibilità dell'utilizzo dei
partiti della socialdemocrazia internazionale, nonché di sue
parti (o 'ali sinistre'), ai fini di un'azione di classe che aiutasse
il proletariato ad avanzare sul terreno dell'acquisizione delle
finalità del programma del comunismo, e dunque di tutte le
sue implicazioni tattiche.

Ma non ci si lega alle masse senza dei ben precisi passi


politici. È così che il terzo congresso del 1921 sanziona la
tattica della conquista della 'maggioranza' del proletariato:

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indicazione che ha preso avvio dall'esempio dell'invito (la


famosa Lettera aperta scritta da Levi e considerata da Lenin
un 'passo politico modello') all'azione comune rivolto dal
partito comunista di Germania alla socialdemocrazia tedesca
per azioni comuni.

La sinistra comunista si opporrà strenuamente a queste


indicazioni. Lo farà non per un cosiddetto 'purismo
rivoluzionario' – e nemmeno per una diversa 'cartina al
tornasole', come per il caso dell'astensionismo elettorale –,
bensì per le più immediate necessità di coerenza e chiarezza
organizzativa in vista del necessario lavoro di preparazione
rivoluzionaria .

Una cosa deve essere chiara: non è assolutamente vero che


la Sinistra fosse contro l'unità del proletariato. Essa era
favorevole e propugnava il fronte unito delle organizzazioni a
carattere immediato: essa non solo era dunque contraria alle
scissioni in campo sindacale, ma quando vi fossero delle
divisioni precedentemente esistenti fra organismi sindacali,
proponeva la loro unità nella lotta. Essa era fermamente
contraria alle indicazioni dell'Internazionale. Trotsky dirà ad
un certo punto che non avrebbe avuto alcun senso parlare di
fronte unico del proletariato se non si parlava di fronte unico
delle organizzazioni del proletariato, quindi di fronte unico dei
partiti del proletariato.

Già qui si vede come la necessità della scissione viene


messa in discussione, perché i partiti socialisti (almeno quelli
non troppo sputtanati e colpevoli di omicidio contro i proletari,
come la socialdemocrazia tedesca), non sono più considerati
l'ala sinistra della borghesia, dunque partiti borghesi, ma
partiti occupanti l'ala destra del proletariato coi quali si

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devono sviluppare delle convergenze tattiche.

Attirare a sé dunque le masse, mostrare le contraddizioni dei


partiti con i quali ci si alleava (come se questo nascondesse
le proprie contraddizioni consistenti nell'allearsi con l'ala
sinistra della borghesia per combattere la borghesia). La
pretesa di fondere in un corpo unico il proletariato con l'invito
a vere e proprie fusioni fra partiti della classe o fra parti di
questi stessi partiti che non si fossero sbracati
completamente sull'appiattimento con l'ideologia borghese: il
tutto con la falsa – nei casi di buona fede – speranza di
facilitare quel movimento che avrebbe dovuto portare al
potere il proletariato, almeno nei principali paesi.

Il bisogno di forzare il movimento rivoluzionario in Europa per


dare respiro al potere del partito comunista in Russia porterà
dunque la direzione dell'Internazionale ad etichettare di
estremismo – nonché amante della frase rivoluzionaria –
qualsiasi forza pretenda di attenersi a quanto stabilito nelle
tesi fondamentali del secondo congresso del '20. Chiunque
non accetti il nuovo corso, che a partire dalla Lettera aperta,
si sviluppa via via in maniera sempre più netta fin dal III
congresso del '21, viene tacciato diinfantilismo e di
astrattismo incapace di rendersi conto che la 'concretezza'
dei proletari non si accontenta di parole, ma vuole 'fatti': ed è
in onore di questi 'fatti' che un po' alla volta la precisa
indicazione della dittatura del proletariato – che 50 anni prima
è stata scritta col sangue dalla Comune di Parigi – comincia a
trasformarsi nella vaga indicazione di 'governo operaio':
indicazione in ogni caso che risulta del tutto coerente con
l'impostazione politica che si sta dando al movimento
rivoluzionario .

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Ai recalcitranti appartenenti alle più diverse formazioni di


sinistra nell'Internazionale veniva imposta una cosiddetta
"bolscevizzazione" che, in nome dell'unità e delcentralismo
della Internazionale, imponeva una falsa omogeneità che non
aveva nulla a che fare con quella che la Sinistra rivendicherà
sempre: ovvero, il centralismo organico.

La Sinistra non si piegherà mai al centralismo di facciata della


bolscevizzazione che un po' alla volta diventerà vera
pressione organizzativa fino a trasformarsi – in Russia ad
esempio, ma non solo – in vero e proprio terrore che fa uso
dell'azione repressiva della macchina dello Stato.

Ormai l'Internazionale si sta avviando sul terreno che non può


più essere di classe. Se infatti la tattica del fronte unico fra il
partito comunista ed altri partiti 'proletari' si può considerare
un grave errore tattico, l'indicazione del 'governo operaio'
composto da quegli stessi partiti diventa un gravissimo errore
di principio, perché mette in causa la concezione che i
comunisti hanno da sempre – e accuratamente precisato fin
dal 1917 con la pubblicazione di Stato e rivoluzione di Lenin –
della natura e funzione dello Stato.

Il 1926 si sta avvicinando velocemente e quello che


inizialmente (1919-'20) poteva essere considerato il partito
mondiale della rivoluzione, sta perdendo sempre più ogni
connotazione di classe.

La teoria del 'socialismo in un paese solo', che per comodità


datiamo al 1926 e che il povero Stalin si vedrà appioppare
quale unico responsabile, rappresenta storicamente la presa
d'atto – e poco importa che chi la sostiene non ne sia
consapevole fino in fondo e magari ritenga il contrario – che i

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passi politici che la Russia compie sono ormai dettati da


interessi esclusivamente nazionali e l'"internazionalismo", che
fino a poco prima nessuno si sarebbe sognato di mettere in
discussione, si sta trasformando e si trasformerà sempre più
in sudditanza verso le esigenze del nazionalismo grande-
russo che Stalin rappresenta alla perfezione.

Non a caso, la politica dell'Internazionale contribuirà non


poco al fallimento della lotta dei minatori inglesi del '26, e
ancora peggio al fallimento del movimento rivoluzionario del
1925-'27 in Cina.

II – La Sinistra Comunista "italiana" (SCi) all'estero e le


opposizioni di sinistra comunista

L'Internazionale ormai, dal punto di vista del comunismo,


appare svuotata di ogni contenuto e molte correnti di
opposizione di sinistra si apprestano ad un lavoro di
organizzazione per costruire delle alternative.

Va ricordato che fin dagli inizi degli anni '20, a partire dalle
tragiche esperienze delle lotte in Germania del 1919 e 1923,
si radicalizzano delle tendenze che saranno sempre più
critiche non solo verso la socialdemocrazia classica, e verso
il KPD, ma anche verso la stessa Internazionale, accusata di
imporre la "propria volontà" indipendentemente dalla reali
esigenze del movimento in Europa. Non dimenticando lo
storico gruppo olandese dei "tribunisti", ricordiamo appena
che nell'aprile del 1921 nasce il KAPD (Kommunistische
Arbeiter-Partei Deutschlands) dal quale si staccano subito
dopo le "Unionen". Dalle costole della rinata organizzazione
anarco-sindacalista (FAUD) si stacca la AAUD (Allgemeine

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Arbeiter-Union Deutschlands); la fine del '20/inizi '21, vede la


formazione della AAU(E), sigla dell'Allgemeine Arbeiter-
Union(Einheitsorganisation ).

Tutte queste formazioni propugnano una tattica che contrasta


con le indicazioni della III Internazionale e che aiuta – il più
delle volte superficialmente se non addirittura
opportunisticamente – ad accostarle al lavoro compiuto della
SCi. Esse erano, è vero, contro il parlamentarismo e contro la
tattica del fronte unico, ma è falso accostarle alle posizioni
della Sinistra: in primo luogo la sinistra era per il lavoro nei
sindacati operai e per la loro unità e mai avrebbe concepito la
formazione di "sindacati rivoluzionari"; in secondo luogo
questa non ha mai considerato la questione del
parlamentarismo un problema di principio.

Il partito unico, fortemente e centralmente organizzato era


una questione di principio ed è proprio per tale motivo che
sarà sempre contro l'Internazionale di fronte ogni sorta di
espedienti tattici. Si può dire, infatti, che ciò che caratterizzò
la SCi in quegli anni, fu la consapevolezza della necessità di
un preciso piano di possibilità tattiche (una rosadi tali
possibilità) che impedissero in modo inequivocabile ogni
'situazionistica' svolta ed improvvisazione . Proprio perché
vuole un forte partito centralizzato a livello internazionale la
sinistra combatte ogni ondeggiamento tattico, nella piena
consapevolezza che è la corretta tattica che rende forte e
credibile il partito comunista senza il quale il proletariato non
può sperare di vincere nella sua lotta contro la macchina
dello Stato borghese.

Nulla può unirla agli antipartito del Nord-Europa che, al di là


di ogni distinguo, alzano lo stendardo della contrapposizione

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capi-masse e vedono nella forma-partito e dunque nella


Internazionale il 'male originario' di ogni degenerazione
opportunistica, e per tal motivo essi elevano a principio
motore della rivoluzione l''autocoscienza' che i proletari
dovranno dotarsi con l'aiuto delle opportune forme
organizzatine.

Ma la rivoluzione non è questione di forme di organizzazione,


bensì di forze storiche, di programmi che siano il prodotto di
una corretta lettura delle esperienze del passato e dunque di
una corretta anticipazione del futuro.

a – Lettera di Bordiga a Korsch

Questa dunque la situazione che si presenta al 1926 e che


sarà compito delle generazioni successive non banalizzare
con lo stupido 'gioco delle colpe e dei meriti'. Certo, non per
nascondere le eventuali colpe e meriti in tale o talaltro pur
importante segmento storico specifico, ma unicamente per
sottolineare con fermezza che il soggettofondamentale di
ogni rottura rivoluzionaria rimane sempre la rivoluzione –
ovvero il movimento reale del comunismo – che, pur
seguendo permanentemente le sue linee di forza
geostoriche, di tanto in tanto mette nella forgia i propri
strumenti specifici. Si ricerchino pure dunque le colpe ed i
meriti (anche questo è sano lavoro di limatura per la migliore
conoscenza degli utensili), ma non dimentichi mai che, come
non è merito dei bolscevichi la presenza della rivoluzione
nell'area russo-asiatica, così, se la rivoluzione in Europa è
'mancata', ciò è dovuto al fatto che l'autobus della rivoluzione
qui non era passato, non alle 'colpe' di chicchessia.

Ma questo si capirà meglio negli anni a venire.

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Alla data 1926 ci si domanda inevitabilmente 'cosa fare' per


frenare un processo degenerativo della lotta rivoluzionaria del
proletariato.

È a questo punto che può risultare utile inserire un commento


alla lettera che Bordiga spedisce a Korsch, in risposta alle
sollecitazioni per la costituzione di una 'opposizione di sinistra
internazionale' allo stalinismo ormai imperante.

Ricordando la vecchia accusa rivolta alla SCi di 'negare


l'esame delle situazioni', Bordiga risponde che ciò non è vero.
"Tuttavia – scrive – noi miriamo alla costruzione di una linea
di sinistra veramente generale e non occasionale, che si
ricollega a se stessa attraverso fasi e sviluppi di situazioni
distanti nel tempo e diverse, fronteggiandole tutte sul buon
terreno rivoluzionario, non certo ignorandone i caratteri
distintivi oggettivi" .

All'attivismo di quanti (Korsch fra questi, evidentemente)


propongono di forzare le situazioni per facilitare una 'ripresa'
dell'ondata rivoluzionaria che nell'Europa occidentale in realtà
non c'è mai stata e che per tal motivo dunque sarebbero
costretti a cadere sullo stesso terreno (formalistico e
'manovriero') dell'avversario, Bordiga aggiunge: "In genere io
penso che in primo piano, oggi, più che l'organizzazione e la
manovra, si deve mettere un lavoro pregiudiziale di
elaborazione di ideologia politica di sinistra internazionale,
basata sulle esperienze eloquenti attraversate dal Comintern.
Essendo molto indietro su questo, ogni iniziativa
internazionale riesce difficile".

Per Bordiga e la SCi, dunque, provocare formalisticamente


qualsiasi tipo di iniziative che possano portare ad una

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scissione con l'Internazionale, può solo impedire la


comprensione dell'intero processo di degenerazione di quel
partito che si è sempre voluto considerare il partito mondiale
della rivoluzione, anche se a questo punto si riconosce che
"uno dei difetti della Internazionale attuale sia stato di essere
'un blocco di opposizioni' locali e nazionali". Per tale motivo,
ogni concezione attivistica diventa dannosa in quanto non
bisogna correre il pericolo scissionista; non si deve arrivare
alla scissione degli attuali partiti comunisti perché "bisogna
lasciar compiere l'esperienza della disciplina artificiosa e
meccanica col seguirla nei suoi assurdi di procedura fino a
che sarà possibile, senza mai rinunciare alle posizioni di
critica ideologica e politica e senza mai solidarizzare con
l'indirizzo prevalente".

b – Trotsky e la SCi (Prometeo)

Con la vittoria del fascismo, e nonostante la sconfitta al


congresso di Lione nel 1926, i militanti della SCi decidono di
continuare a lavorare all'interno dell'Internazionale, quindi
all'interno dei partiti comunisti del paese in cui si trovano. Una
tale prospettiva in Italia è impossibile da realizzarsi a seguito
delle leggi eccezionali del 1926 emanate dal fascismo. Gli
elementi più attivi del partito comunista italiano sono costretti
ad emigrare.

Russia, Francia Belgio, sono i paesi che vedono la maggiore


emigrazione politica dall'Italia.

Gli stessi componenti della SCi sono costretti all'emigrazione:


essi si concentrano soprattutto in Francia ed in Belgio e, nel
1927, si costituiranno in Frazione comunista del PCd'I. Ad
essa aderisce inizialmente circa un migliaio di elementi che

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calerà a circa un centinaio nel 1928; pubblicherà il giornale


Prometeo e, nel maggio 1928, dopo l'espulsione di Trotsky
dal PCbR, si denominerà senza equivoci 'Frazione di sinistra
dell'Internazionale comunista'.

Accanto alla Frazione, e non solo in Francia e Belgio,


nascono diverse altre formazioni, la cui costituzione è il frutto
non tanto di una tradizione programmatica maturata negli
anni – si pensi alla continuità del lavoro della SCi a partire dal
1921 con la direzione del PCd'I – quanto dell'azione catalitica
che la figura di Trotsky produce intorno alla sua persona,
quale massimo oppositore dello stalinismo.

Nel giugno 1928, una di queste formazioni – contre le


Courant – avanza la proposta di una conferenza di tutte le
opposizioni di sinistra internazionale, contro lo stalinismo, con
la finalità della costituzione di una nuova autentica forza
internazionale comunista.

La posizione di Prometeo non può essere che di netto rifiuto:


non può esservi alcuna discriminante sulla base di un
cosiddetto 'antistalismo'. Prometeo è contro la scissione degli
esistenti partiti comunisti e dell'Internazionale. Questa
diversità di impostazione del lavoro politico non impedisce ad
ogni modo che vi siano dei rapporti fra le varie correnti: la
Frazione pubblica in diverse occasioni, e a titolo di
conoscenza, degli articoli di esponenti di altri raggruppamenti.

Nell'aprile 1928, la Ligue Comuniste organizza una


Conferenza internazione della opposizione di sinistra
comunista. La Frazione non vi partecipa ("informata" a tempo
o "non informata" a tempo, poco importa, perché questo
aspetto della faccenda potrebbe far parte solo della storia

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delle baruffe delle comari!); la cosa fondamentale è che essa

a) si considera d'accordo sulla formazione di un segretariato


delle opposizioni ai cui lavori parteciperà, senza voler far
parte dei suoi organismi direttivi, e

b) si dice in disaccordo sul metodo di lavoro, causato dalla


fragilità della sua base ideologica.

Vi è un grande rispetto per Trotsky e per i suoi sforzi di


unificazione, ma "l'organizzazione internazionale del
proletariato non è l'agglomerato artificiale di gruppi o di
personalità di tutti i paesi attorno ad un dato gruppo" . Per la
Frazione l'unità deve avvenire dunque su base
programmatica e sul riesame critico dei primi congressi
dell'Internazionale comunista: esame critico che vieta di
elevare a feticcio i primi quattro congressi, allo stesso modo
che deve impedire una sorta di riedizione del manovriamo
tipico del periodo della cosiddetta "bolscevizzazione".

Alla fine del 1932, ad una conferenza a Copenaghen, Trotsky


sancisce definitivamente l'incompatibilità politica fra il
Segretariato unificato delle opposizioni con il lavoro svolto da
Prometeo, e riconosce come unica rappresentante di sinistra
comunista per l'Italia la NOI . Formalmente e ipocritamente la
rottura viene nascosta dalla scusa che la Frazione sarebbe
una piccola setta "a carattere nazionale"; realmente, la causa
della rottura si basa – e sarà lo stesso Trotsky a chiarirlo in
seguito – sul "rifiuto di lottare per rivendicazioni democratiche
in qualsiasi condizione e per una qualunque politica di fronte
unico nella direzione della socialdemocrazia oggi, nel 1933".

A questa data, la disgregazione del movimento comunista


mondiale è giunta a tal punto che non si può più parlare di

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riconquista dei vecchi partiti comunisti ormai completamente


stalinizzati, come non si può più fare affidamento a forze di
cosiddetta "sinistra comunista" incapaci di portare una critica
radicale all'esperienza passata dell'Internazionale.

Le reali questioni dunque della rottura con Trotsky e con le


formazioni che in un modo o nell'altro accetteranno la sua
impostazione dei problemi politici si possono in tal modo
sintetizzare nel modo seguente:

questione spagnola: realizzazione del programma minimo


della repubblica democratica (Trotsky), contro l'indicazione
della dittatura proletaria (SCi);

Hitler e la Germania e la vecchia polemica sul fronte unico


con la socialdemocrazia;

frazione e partiti comunisti dell'I.C.: i vecchi PC


completamente stalinizzati non potranno più essere
"raddrizzati" attraverso un rientro nelle loro file delle forze di
opposizione di sinistra comunista. Ora la Frazione considera
se stessa 'il solo canale' attraverso cui il partito conquisterà la
capacità di guidare il proletariato alla vittoria".

c – Bilan

Nel 1933 esce Bilan (Bullettin théorique de la Fraction de


gauche du PCI): ne verranno pubblicati 46 numeri, fino al
febbraio 1938.

Per la frazione il 1933 segna la fine del periodo rivoluzionario


apertosi con l'Ottobre 1917. Ora, il lavoro fondamentale che
la Frazione si propone è il bilancio dell'esperienza della
Internazionale comunista: lavoro difficile in una situazione in
cui il rapporto di forza fra le due classi fondamentali è

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decisamente mutato a favore della borghesia, nonostante "il


capitalismo si trovi ad essere definitivamente condannato
come sistema sociale" .

Comunque, nel riconoscere la generale debolezza teorica si


stigmatizza – a differenza del trotskysmo che comincia a
parlare di una nuova Internazionale (la IVa) – ogni velleità di
'costruzioni' volontaristiche di nuovi partiti comunisti.

L'onda lunga della grande crisi del 1929 si fa sentire


acutamente: lo Stato, in tutti i paesi, interviene sempre più
massicciamente nella vita economica e sociale ed il potere
legislativo (il parlamento) perde sempre più la sua importanza
a favore del potere esecutivo. Le lotte operaie, represse con
sempre maggiore violenza, vedono le grandi organizzazioni
sindacali esistenti divenire sempre più delle appendici dello
Stato: funzionali al dominio del capitale.

Il giudizio della Frazione è netto a proposito della natura del


fascismo. Forte dell'esperienza dell'andata al potere – in
vagone letto – del fascismo in Italia, Bilan denuncia
chefascismo e democrazia sono assolutamente
complementari, in quanto questa è sempre pronta a
preparare il terreno prima ed a cedere pacificamente il passo
poi a quello.

Si marcia ormai verso la guerra per la ridivisione del mondo


fra i maggiori Stati capitalistici; una guerra i cui elementi si
trovano già nella "pace di Versaille" (fine primo dopoguerra)
che ha prodotto la famosa "vittoria decapitata" per l'Italia,
nonché la messa in ginocchio per lungo tempo della
Germania: situazione che porterà alla prossima alleanza di
guerra nazi-fascista. Alla vecchia contrapposizione

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capitalismo-comunismo, si sostituisce ora quella di fascismo-


democrazia.

La grande "infamia" che può addebitarsi al fascismo è quella


di aver prodotto l'antifascismo e la fame di democrazia: "… il
governo democratico è di gran lunga quello che meglio si
adatta alla conservazione dei suoi (della borghesia) privilegi,
perché meglio del fascismo essa [la democrazia] penetra nel
cervello dell'operaio che lo fa marcire interiormente, mentre il
fascismo schiaccia con la violenza una maturazione di classe
che il capitalismo non riesce a far scomparire" (Bilan, n 22). È
per tal motivo che come non può esservi nessuna tattica di
fronte unico con la sinistra della borghesia (ovvero con la
socialdemocrazia storica) allo stesso modo vi deve essere
assoluta condanna di ogni Fronte Popolare che pretenda di
opporsi al fascismo in nome della democrazia.

Il maggiore responsabile di questa indicazione 'fronte-


popolaresca' rimane l'Internazionale: "Avrà fatto più la Russia
per uccidere l'idea della rivoluzione proletaria, dello Stato
proletario, che una feroce repressione del capitalismo" (Bilan,
aprile 1937) .

Ma qual è la natura dello Stato russo per Bilan?. La


definizione è decisamente contorta: 'proletaria' per le sue
origini nel quadro russo – "il fatto che i posti fondamentali
dell'economia in Russia sono ancora controllati dallo Stato e
sottoposti alla legge della socializzazione, ci ha fatto
concludere che lo Stato russo era e restava uno stato
proletario" – ma capitalista per la sua integrazione al sistema
capitalistico mondiale con la sua adesione alla Società delle
Nazioni. "L'entrata della Russia nella SDN pone
immediatamente il problema della partecipazione di questa

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ad uno dei blocchi imperialistici per la futura guerra".

Di fronte a situazioni di questo tipo, il congresso della


Frazione che si tiene nell'estate del 1935, ritiene che sia
l'Internazionale quanto ogni suo singolo partito siano ormai
forze politiche passate completamente nel campo degli
interessi del capitalismo; per tal motivo decide di sopprimere
il termine "frazione del PCI" e adotta la denominazione di
"frazione italiana della sinistra comunista" (Bilan, n 23,
ottobre 1935).

Lapidaria l'affermazione sulla centralità della Frazione,


dunque di se stessa, nel lavoro per il futuro partito: "C. – La
Frazione dichiara chiusa la fase prevista nel 1928 per quel
che riguarda una possibile rigenerazione dei partiti
[comunisti] e della IC e ritiene: I. – che la frazione di sinistra si
assume il compito di ricostruire in maniera indipendente, ed
esclusivamente intorno a sé, il partito comunista di domani,
attraverso il proprio lavoro di formazione di quadri. …" (Bilan,
n 18) .

È inevitabile che una posizione del genere aumenti


l'isolamento della frazione che, ora, alla normale repressione
delle forze di polizia francese e belga si unisce la denuncia
da parte degli stalinisti .

Dopo il 1934, la rottura con Trotsky è ormai totale. Se prima


Trotsky e trotskysmo venivano condiserati due problemi
diversi, ora i due termini vengono accomunati: "… nella
situazione attuale bisogna condurre una lotta dura e senza
pietà contro di lui e i suoi partigiani, che hanno passato il
Rubicone e si collegano alla socialdemocrazia" .

In questa situazione dunque, la Frazione è isolata. Ciò non

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significa che essa rifiuti qualsiasi rapporto con altre


formazioni. Essa mette in atto sempre il possibile lavoro di
chiarificazione politica con quelle formazioni che si pongono
al di fuori dell'impostazione trotskysta; sulla base dunque dei
principi che da sempre hanno caratterizzato la Sinistra
Comunista italiana e che ormai caratterizzeranno il suo
lavoro: condizione indispensabile senza la quale non vi potrà
essere in un domani – vicino o lontano che sia – la ripresa
per un corretto lavoro per la formazione del partito di classe.

d – Bilan e la guerra di Spagna

Con il 1931 si apre in Spagna la lotta che diventerà sempre


più drammatica per il proletariato – lotta che durerà diversi
anni, culminante nel 1936 con lo scontro fra le coalizioni
internazionali 'democratiche' e le forze del generale Franco
appoggiato da Italia e Germania – per la instaurazione della
Repubblica 'democratica'. La monarchia – re Alfonso XIII –
dovrà lasciare campo alle forze della Repubblica, appoggiata
quasi al gran completo da stalinisti e antistalinisti.

Di fronte agli avvenimenti di Spagna, si verificherà la


definitiva e totale rottura fra le forze che si richiamano al
trotskysmo e la SCi. Per Trotsky la repubblica spagnola va
appoggiata con tutte le proprie forze, causa la situazione
economica semifeudale della Spagna e la relativa
arretratezza politica del proletariato che non capirebbe il
'salto' dalla situazione esistente alla indicazione della dittatura
del proletariato.

Nettamente in contrapposizione si pone Bilan, con


l'affermazione che la Spagna è ormai un paese capitalistico
anche se arretrato e per tal motivo va denunciata come

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controrivoluzionaria la falsa contrapposizione 'sinistra-destra',


'democrazia-fascismo', 'repubblica-monarchia'. L'unica
contrapposizione che possa essere accettata da parte dei
comunisti e per la quale si devono impegnare le proprie forze
diviene 'dittatura della borghesia – dittatura del proletariato'.

Nel luglio del 1936 si assiste al colpo di Stato del generale


Franco che produce un rapido sollevamento degli operai di
Barcellona e di Madrid. Istintivamente consapevoli che il
potere nelle mani di Franco significherebbe immediata
repressione sanguinaria delle organizzazioni della classe, il
movimento 'antifranchista' si estende a tutte le zone operaie
più importanti.

Qui va sfatata una gratuita infamia politica rivolta verso la


SCi: il suo deciso rifiuto di lottare "contro il fascismo e a
favore della democrazia", è sempre stato propagandato come
rifiuto di "lottare contro il fascismo", dimenticando –
volutamente – che fra tutte le correnti della Internazionale,
solo nell'inquadramento e nell'azione del PCd'I, allora diretto
dalla SCi, fin dal 1921, si può riscontrare l'esperienza di lotta
– arrivando allo scontro armato quando vi era la necessità –
contro le squadre d'azione fasciste. È falso dunque affermare
che la Frazione rifiutava di lottare contro il fascismo: essa,
forte della vecchia esperienza, affermava che lo scontro
armato contro il fascismo doveva essere inquadrato nel
chiaro programma della rivoluzione comunista e dunque con
la finalità non del ripristino della democrazia, ma
dell'affermazione della conquista del potere a propri fini
specifici di classe, dunque con la finalità della dittatura del
proletariato con il comunismo come propria finalità. Il
fondamentale corollario doveva essere: consapevolezza che,

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di fronte ad un tale programma il proletariato sarebbe stato


solo, che da solo avrebbe dovuto lavorare alla ricostituzione
del proprio partito di classe.

Di fronte al grande movimento che si sviluppa in Spagna,


sorge dunque la necessità di definirne la natura: si può
parlare di 'rivoluzione' oppure ci si deve limitare a
considerarlo un 'tumulto sociale sanguinoso'?

Per la Frazione, in Spagna non vi è alcuna rivoluzione per le


cause che si possono brevemente sintetizzare:

assenza di un partito di classe;

trasformazione del moto spontaneo di classe in fronte


"antifascista" (con l'intervento di Germania, Italia e Russia in
Spagna, la guerra civile si trasforma subito in guerra
imperialista);

la forza della borghesia spagnola che vede il suo Stato non


intaccato nella sua solidità, anche là dove al potere vi sono i
partiti "del proletariato": POUM, CNT, ecc.;

la trappola delle "collettivizzazioni" e della violenza. Qui si


osserva facilmente come il capitale, durante tutto il secolo
scorso, abbia assoggettato sempre più lo Stato e le
"nazionalizzazioni" siano avvenute in importantissimi settori
della vita produttiva, senza che per questo si dovesse parlare
di 'rivoluzione proletaria'. In quanto alla violenza esercitata
contro singoli capitalisti, preti, grandi proprietari fondiari,
poliziotti, ecc., tutto ciò non ha nulla di rivoluzionario, perché
non è il palazzo del capitalista che deve essere distrutto, ma
la macchina statale dell'insieme dei capitalisti.

l'"unione sacra" ed il conseguente divieto di scioperare, per

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non arrecare danno alla repubblica democratica;

isolamento del proletariato spagnolo .

In Spagna non vi è dunque alcuna rivoluzione e le brigate


internazionali delle opposte sponde rappresentano –
particolarmente con l'appoggio di Italia, Germania da una
parte e Russia dall'altra – il prologo di una nuova guerra
mondiale. Va sottolineato come la falsa contrapposizione
"democrazia-fascismo" porti tutti i partiti ed organizzazioni
varie che si richiamano alla lotta di classe sul terreno del
sostegno alla Repubblica, al punto di bloccare delle lotte
spontanee del proletariato, perché queste andrebbero a
danneggiare la Repubblica.

Pure all'interno della frazione ad un certo punto suona la


sirena della lotta contro il fascismo ed una minoranza
aderisce 'criticamente' al fronte antifascista, oltre che aderire
'non-criticamente' alla condanna delle lotte operaie per la
difesa dei propri interessi immediati. Apparirà infatti sul
Prometeo un articolo dove si condanneranno chiaramente
queste lotte: "Come si può sostenere l'agitazione nelle
fabbriche, provocare scioperi, quando i combattenti del fronte
hanno bisogno che le fabbriche lavorino per le forniture
militari ed il sostegno della lotta. Oggi non si dovrebbero
avanzare in Catalogna semplici rivendicazioni di carattere
economico. Siamo in periodo rivoluzionario. La lotta di classe
si manifesta nella lotta armata".

Una posizione del genere porterà alla rottura con il resto della
Frazione; rottura che si consumerà definitivamente nel
novembre dello stesso anno.

Attenzione: nel condannare le posizioni della minoranza non

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vi è alcun atteggiamento operaistico che elevi a mito la lotta


di fabbrica. Nel corso di una rottura rivoluzionaria, quando il
rumore delle armi da fuoco copre tutte le chiacchiere vuote, è
lo stesso Partito comunista al potere che pone la priorità della
lotta contro le forze controrivoluzionarie.

Ma il punto è che in Spagna, lo abbiamo già detto, non vi era


alcuna rivoluzione!

Ovviamente, la condanna dell'antifascismo da parte della


Frazione veniva bollato da tutto il fronte anti-franchista come
atteggiamento filo-fascista, perché è evidente (!!!) che chi
rifiuta la 'lotta contro il fascismo per la democrazia', rifiuta la
'lotta contro il fascismo' … ergo, appoggia oggettivamente il
fascismo. Con bolso sillogismo, gli antifascisti di tutti i colori
condannano la Frazione, non ultimi fra quelli i trotskysti.

Lo sviluppo degli avvenimenti porta sempre più velocemente


verso la conflagrazione della prossima guerra mondiale. Fra
Stati Uniti, che si sta apprestando a diventare il maggior
paese imperialistico al mondo, e Russia sovietica, il 'grande
faro del socialismo', vengono ristabilite normali relazioni
diplomatiche e quest'ultima entra nella Società delle Nazioni,
preludio al suo schieramento su uno dei due fronti nell'ormai
prossimo conflitto mondiale.

Ormai la Frazione è costretta, dagli avvenimenti nonché dalla


ferrea volontà di difendere le corrette posizioni di classe per
la ripresa del futuro movimento rivoluzionario, ad un sempre
maggiore isolamento politico.

Dalla storia di tutti questi ultimi anni – dalla formazione


dell'Internazionale fino al suo epilogo con la guerra di Spagna
e nella prospettiva della prossima guerra mondiale –,Bilan si

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promette di stendere un bilancio. Bilancio che deve partire da


precise prese di posizione:

a) "La consegna dell'ora: non tradire";

b) il riconoscimento della "virtù dell'isolamento": ovvero il non


voler cedere al piatto di lenticchie di un 'rapporto con le
masse' che si nutra del compromesso opportunista prima e
controrivoluzionario dopo;

c) la considerazione di essere il solo canale attraverso cui


passa la possibilità di ristabilire correttamente le basi del
programma della rivoluzione, nonché dell'organizzazione
formale del futuro partito.

e – Verso la guerra mondiale

La necessità di un approfondito lavoro teorico per la


restaurazione del marxismo, non trasforma i compagni della
Frazione in un cenacolo di studiosi: al contrario il loro lavoro
si svolge nel vivo degli avvenimenti correnti ed è alimentato
da questi.

A tal fine viene costituito nel 1938 il Bureau internazionale


delle frazioni di sinistra comunista, il cui organo di stampa era
Octobre .

Una delle domande fondamentali che al momento ci si pone,


è la seguente:

a) la guerra che si sta avvicinando, a causa delle enormi


sofferenze che causerà al proletariato, riaprirà il ciclo della
rivoluzione sull'esempio dell'Ottobre 1917 (Vercesi), oppure

b) va negata quella "specie di virtù taumaturgica alla guerra in


sé, per la maturazione della coscienza di classe del
proletariato (Verdaro, ossia Gatto Mammone) .

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Sulla natura della guerra nell'epoca dell'imperialismo, nonché


sul periodo storico che si sta attraversando (fine anni '30), la
Frazione sbanda non poco.

Dopo il 1914, con la prima guerra mondiale per la divisione


del mondo, il capitalismo mostra di essere giunto alla sua
fase suprema oltre al quale non può più essere "progressivo".
Mitchel della Frazione in Belgio specifica che "il capitalismo
non è un sistema progressista per sua natura, ma per
necessità"; in questa sua formulazione non vi è alcuna
valenza moralistica del termine, che materialisticamente deve
leggersi: "… 'progresso' capitalista significa proletarizzazione
crescente e sfruttamento sempre maggiore dei proletari".
Data la propria sovrapproduzione, il capitale deve cercare
sbocchi oltre le frontiere nazionali per la propria
valorizzazione. Da ciò deriva la formazione delle colonie che
è sottomissione, da parte delle potenze imperialistiche, delle
varie popolazioni arretrate (da un punto di vista capitalistico)
e sfruttamento delle terre da essi abitate per accaparrarsi le
ricchezze presenti in loco e per sfruttare la forza lavoro dei
territori occupati.

Tutto ciò in maniera relativamente "pacifica" dal punto di vista


imperialistico.

Ma quando il plusvalore prodotto non è più sufficiente alla


valorizzazione dei capitali nazionali, quando le terre coloniali
sono insufficienti per erogare alla madre-patria ricchezza
sufficiente, oppure quando i rapporti di forza cominciano a
moficarsi e qualche nuovo concorrente comincia a pretendere
il proprio spazio vitale – che è sottrazione di spazio vitale
altrui –, allora, per le potenze coloniali, si pone il problema di
una nuova ripartizione del mondo: nuova ripartizione che non

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può più avvenire in maniera pacifica.

Questa la causa fondamentale della guerra mondiale:


plusvalore, senza aggettivi.

Giunti a questa fase imperialistica, dunque, la Frazione


giudica che non possono più esistere guerre "giuste"
condotte dalla borghesia. L'unica guerra che il proletariato
deve rivendicare d'ora in poi – in ciò viene ribadito un
assoluto rifiuto di ogni forma di pacifismo – è la propria guerra
di classe contro lo Stato del capitale e nel rifiuto assoluto di
ogni unità d'azione con la borghesia.

Anche nelle colonie! E qui la frazione metterà in discussione il


principio della 'autodeterminazione dei popoli' di Lenin del
1917, nonché le Tesi del II congresso della Internazionale.
Per la frazione, la borghesia nazionale non può lottare
coerentemente contro una potenza imperialistica per portare
a termine la propria rivoluzione nazionale. Per fare questo
essa sarebbe costretta a mettere in moto il proletariato che
ben presto potrebbe scavalcarla; di fronte a tale possibilità,
riterrà sempre conveniente il compromesso con le forze
imperialistiche lasciando cadere la propria finalità storica. A
supporto delle proprie tesi viene ricordata il moto
rivoluzionario cinese del 1925-27, schiacciato dalle forze di
Chiang Kai-shek con la grave responsabilità politica
dell'Internazionale comunista.

Non ci dilunghiamo su questo aspetto. Basti ricordare che se


è vero che la borghesia può fermarsi ai più disgustosi
compromessi quando il proletariato è sospinto
dall'entusiasmo di un moto vittorioso (febbraio e soprattutto
Ottobre 1917), e quindi massacrare barbaramente i proletari

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come a Canton e Shangai (1925-'27), è altrettanto vero che


essa non lo teme più quando riesce ad imbrigliarlo nella
unione sacra della lotta per la 'Patria' (Cina 1949).

Rimane netta comunque – al di là dell'errore a proposito del


problema della 'autodeterminazione' e delle guerre di
liberazione nazionale dei popoli soggetti ad occupazione
coloniale – la consegna per il periodo storico che si sta
aprendo ed al macello mondiale imminente: nessun appoggio
alla propria borghesia nazionale, nessuna 'scelta di campo'
nel rapporto fra fascismo/democrazia, disfattismo contro il
massacro reciproco di milioni di proletari, fraternizzazione e
lotta per la distruzione della macchina statale borghese, in
direzione del il comunismo.

f – Bilancio della rivoluzione russa

Per la Frazione il lavoro fondamentale rimane ora quello di


fare un bilancio di tutta l'esperienza del corso della
rivoluzione russa: bilancio che potrà avanzare solo per
approssimazioni successive, in quanto "oggi non possiamo
che balbettare" . Ciò non toglie che si abbia la
consapevolezza che solo attraverso questo lavoro si possano
delimitare nettamente le basi dell'unico programma di classe.

Facendo proprio il concetto che Lenin espresse fin dal 1903 –


senza teoria rivoluzionaria, non è possibile alcun partito
rivoluzionario – la direzione del lavoro della frazione si dirige
verso i tre punti seguenti: a) condizioni della rivoluzione; b)
strumenti della rivoluzione: partito, sindacati, dittatura del
proletariato; c) comunismo.

Per Bilan, riprendendo i temi sviluppati dall'Internazionale al


suo nascere, la prima guerra mondiale aveva mostrato che il

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presente modo di produzione aveva raggiunto il massimo


delle sue possibilità e che ora rappresentava un freno allo
sviluppo ulteriore delle forze produttive. Le condizioni
oggettive della rivoluzione sono dunque mature e non
dovranno essere ricercate paese per paese, in quanto il
"criterio di maturità" deve essere dato dall'insieme della
struttura internazionale del capitalismo. Da qui si continua,
sottolineando l'esempio dell'Ottobre 1917 russo, che una
nuova rottura rivoluzionaria potrà scoppiare in un paese
arretrato, ossia in un prossimo 'anello debole' della catena di
conservazione del capitalismo.

Bisogna lavorare dunque a delineare le basi programmatiche


delle future 'condizioni soggettive' di tale rivoluzione,
accompagnato da un rifiuto categorico di ogni costituzione
volontaristica di tale partito: "Alla formula <è necessario un
partito di classe per creare la lotta di classe> il Bureau
oppone l'altra formula <è necessaria la lotta di classe per
fondare il partito>" . La Frazione rimane dunque il depositario
della possibilità futura di costituzione del partito: "senza
frazione niente partito, senza partito niente rivoluzione". Il
lavoro di oggi consiste dunque nello sviluppare le condizioni
soggettive per il partito di domani che non potrà essere una
federazione di partiti nazionali (non sarà quindi una nuova
Internazionale): esso sarà un partito mondiale,
organicamente centralizzato.

Di fronte al problema del lavoro nei sindacati, la Frazione


rimane ferma alle iniziali indicazioni dell'Internazionale e del
PCd'I. Pur riconoscendo che le organizzazioni sindacali
vengono sempre più assorbiti nella sfera della politica
accentratrice dei vari Stati borghesi, va svolto il lavoro

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all'interno delle organizzazioni sindacali.

Grande importanza assume il lavoro a proposito della natura


della Russia sovietica. Tale indagine a poco a poco era
andata oltre le indicazioni di carattere tattico che il partito
bolscevico dava all'Internazionale, per soffermarsi sulle
caratteristiche specifiche di natura economica e sociale che si
sviluppavano all'interno dell'URSS, nonché sulla natura dello
Stato che un tempo era stato dei soviets.

Era l'URSS un paese socialista? Per gli stalinisti non vi era


dubbio, ma pure quasi tutti gli "anti-stalinisti" – e fra questi,
Trotsky in primo piano – vedevano nei piani quinquennali,
nella rapida industrializzazione, un chiaro indizio della
presenza del socialismo in URSS, malgrado le "deformazioni
burocratiche dello Stato". Questo porterà Trotsky a schierarsi
per la "difesa dell'URSS" nell'imminente guerra mondiale .

Negli anni '30 e '40 si sviluppano alcune teorie sulla


burocrazia vista come una nuova classe sociale (vedi Treint,
Ricci, Trotsky, Burnham). Di fronte a questa tesi si
contrappone lentamente la posizione di Bilan e Octobre: "…
l'industria statale può benissimo trasformarsi in capitalismo di
Stato … senza per questo sia necessario riaffermare il regime
borghese della proprietà privata". Il capitalismo di Stato,
dunque, come "proprietà" collettiva del capitale nazionale da
parte della borghesia o, come si dirà una ventina di anni
dopo, "uso" collettivo del capitale.

Altro grande problema: quali insegnamenti a proposito della


dittatura del proletariato si possono trarre dall'insegnamento
dell'azione dello Stato nella Russia dei Soviets?

Bilan proclama una "diffidenza quasi istintiva" verso lo Stato

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(e in questo caso si parla dello Stato della dittatura del


proletariato): "NON È CON LA FORZA E LA VIOLENZA CHE
SI IMPONE IL SOCIALISMO AL PROLETARIATO".

Senza rendersi pienamente conto, qui si scivola verso la


contrapposizione partito-masse, laddove non si comprende
che il processo è unitariamente dato dalla lotta rivoluzionaria
del proletariato che si dà un partito – vedi il Marx del
Manifesto – e quindi si erge a classe dominante, imponendo
la propria dittatura, la propria macchina repressiva, il proprio
Stato. "La dittatura del partito – scrive Bilan nel n 26 – non
può diventare … imposizione alla classe operaia delle
soluzioni adottate dal partito, non può soprattutto significare
che il partito possa fondarsi sugli organi repressivi dello Stato
per soffocare ogni voce discordante, basandosi sull'assioma
che ogni critica, ogni posizione proveniente da altre correnti
operaie è per ciò stesso controrivoluzionaria …". A dare forza
a questa tesi si sottolinea la critica della repressione della
base sul Baltico di Kronstadt (1921) da parte dei bolscevichi,
e questo diventa illuminante per quel che riguarda il
"balbettio" di questo primo bilancio: meglio perdere Kronstadt
piuttosto che diventare i boia del proletariato .

Tutto questo deriverebbe dal fatto che i piani quinquennali


dell'URSS vogliono privilegiare sviluppo del settore I° dei beni
di produzione di cui parla Marx ne Il Capitale, a scapito del
settore II° dei beni di consumo. "Quello che è necessario
cambiare è il modo di produzione che non dovrà più obbedire
al continuo aumento di superlavoro, ma alle leggi opposte di
un miglioramento costante e continuo delle condizioni di vita
dei lavoratori" (Bilan, agosto 1935).

Quello che qui Bilan non riesce a comprendere è che lo

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sviluppo del settore I° dei mezzi di produzione, non è il


prodotto di una "volontà politica" che può dettare a piacere
verso quali settori privilegiare la produzione, bensì,
all'opposto, è la necessità dello sviluppo dei beni di consumo
a dettare la necessità della produzione dei mezzi di
produzione: industria pesante, ecc.. Di fronte a questo la
volontà politica (che non è certo 'malanimità' verso il
proletariato) non può far altro che adeguarsi per accelerare il
processo.

In conclusione del presente capitoletto, citiamo da Partito


Internazionale Stato di Ottorino Perrone il seguente brano:

"Abbiamo messo in luce, nel primo capitolo, il fatto che la


classe, pur essendo il riflesso del meccanismo produttivo,
accede al ruolo di forza storica solo alla condizione di essere
chiamata a realizzare una forma particolare di organizzazione
sociale. Così abbiamo potuto confutare "il meccanismo
economico" e mettere in evidenza il fatto che, oggi, la partita
si gioca tra il capitalismo che intende conservare i suoi
privilegi attraverso la conservazione della società borghese e
il proletariato che combatte per instaurare la società
comunista. Dunque la lotta è ingaggiata tra due sociali
radicalmente opposte e non tra due classi che lottano nel
quadro esclusivo dei loro specifici interessi economici. Le due
classi antagoniste fondamentali della società attuale non
disputano per un organo di dominio, lo Stato, che, una volta
conquistato, permetta alla classe vittoriosa d'imporre
violentemente la sua sovranità. Ma la battaglia si conduce su
di un fronte ben più vasto: la costruzione di una nuova
società o la conservazione della vecchia".

Questa citazione è importante per due motivi precisi. Il primo

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motivo è che al di là di ogni "balbettio" passato, presente e


futuro, – per usare le parole stesse della rivista – ci sembra
significativa per la sua estrema sintesi nell'indicare quali
siano i soggetti strutturali che indicano la prassi per
conseguire determinate finalità: soggetti strutturali che a volte
possono essere difficili da identificare nei loro lineamenti
precisi, ma non per questo meno fondamentali per relegare
nel magazzino dei ferrivecchi ogni soggettivismo che blatera
sulla sua volontà di "costruire" movimenti, organizzazioni di
lotta, partiti e socialismi vari. Il secondo motivo è che ci porta
ad immaginare il percorso tortuoso delfilo del tempo che
passa da una generazione all'altra, a volte da un testo
all'altro, a volte si formalizza in una singola espressione
presente in un singolo testo. Questa citazione merita di
essere posta all'attenzione dei compagni perché, ammesso e
non concesso che Bilan abbia prodotto dei semplici balbettii,
basta da sola a considerare importantissima la presenza
della rivista nel lavoro di passaggio del "testimone" alle
generazioni future.

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