Che un sistema basato sulla crescita costante e illimitata non sia più perseguibile, ormai è assodato: la Terra infatti non ha risorse sufficienti ad alimentare una produzione di beni e merci al ritmo attuale di crescita e in quantità tali da soddisfare tutta la popolazione mondiale. Pensiamo per un attimo ad alcuni paesi emergenti che stanno passando da un’economia rurale ad un sistema capitalistico, quale fabbisogno di energia e materie prime hanno: petrolio, acciaio, legno, carta, energia elettrica … Soltanto Cina e India, messe insieme, hanno una popolazione di 2,5 miliardi di persone ed un economia in forte espansione: tra pochi anni, al ritmo attuale di crescita consumeranno più risorse di quanto oggi ne consuma tutto il pianeta! Si capisce facilmente che non ce la possiamo fare. Nello stesso tempo però, il sistema economico mondiale non vuole riconoscere la parola diminuzione, decrescita. E’ basato sull’assunto che l’economia, la produzione, devono sempre crescere. Deve crescere il Pil, il Prodotto Interno Lordo, che è il parametro utilizzato per misurare il livello di sviluppo di un paese. Sembrerebbe un paradosso: non possiamo che aumentare i consumi, pena la stagnazione o, peggio, la recessione economica, e nello stesso tempo non abbiamo le risorse per farlo. Nel tentativo di perseguire la crescita a tutti i costi stiamo depauperando l’ambiente in cui viviamo, consumando più risorse naturali di quante se ne riformino, e producendo più scorie e rifiuti, di quanto l’ambiente sia in grado di metabolizzare. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, dai cambiamenti climatici alla deforestazione, alla desertificazione, alla guerra per il petrolio, ai milioni di persone che soffrono la fame, all’aumento di patologie legate all’inquinamento ambientale delle città, etc. Siamo condizionati dalla necessità della crescita economica a tal punto che quando le cose vanno male si usa il termine “crescita negativa”. Uno che non ha paura ad usare i termini corretti è Maurizio Pallante, che nel suo libro “La decrescita felice” (Editori Riuniti) offre una soluzione, semplice e affascinante, all’apparente paradosso della crescita illimitata. Partendo dal presupposto che il nostro attuale stile di vita non ha futuro, non possiamo che diminuire i consumi di merci, dove per “merce” si intende tutto ciò che viene acquistato in cambio di denaro. Per realizzare ciò, si possono percorrere due strade: 1. ridurre l’uso di merci che comportano utilità decrescenti e disutilità crescenti, che generano un forte impatto ambientale, che causano ingiustizie sociali; 2. sostituire nella maggiore quantità possibile le “merci” con “beni”. La prima è la strada della sobrietà. La seconda è la strada dell’autoproduzione e degli scambi non mercantili, basati sul dono e la reciprocità. La diminuzione del Pil che consegue alla riduzione del consumo di merci, secondo l’Autore, non avrà le temute conseguenze relative alla perdita di posti di lavoro, alla riduzione della ricchezza, etc, bensì produrrà posti di lavoro in settori strategici e migliorerà la qualità della vita individuale e delle condizioni ambientali, contribuendo alla riduzione delle tensioni sociali. Seguendo il consiglio dell’Autore di non limitarsi a parlarne, a Messina ci sono già gruppi di persone (tra questi: Bilanci di Giustizia, l’Ass. Terra e Cielo e altri) che hanno deciso di mettere in pratica uno stile di vita più sobrio, e di contribuire alla diffusione della cultura della decrescita, consapevoli dei benefici che questo può apportare a tutti noi, creando movimenti di decrescita..