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CONSERVATORIO DI MUSICA

“STANISLAO GIACOMANTONIO”
COSENZA

Corso di Analisi del Repertorio I


A.A. 2016/2017

Relazione finale su:


Trio in Sol maggiore – 1° movimento
C. Debussy

Allievo: Domenico Camera Docente: Filippo Perocco


Matricola: B0638
C. DEBUSSY: TRIO IN SOL MAGGIORE

Scoperto solo di recente (1986), il giovanile Trio in Sol maggiore per pianoforte,
violino e violoncello fu composto da Claude Debussy nel 1879 e terminato
nell’estate del 1880 quando, non ancora diciottenne, si trovava a Fiesole nella Villa
Oppenheim grazie ad un fortuito incontro. Per una seconda volta, quell’estate,
Debussy si trovò a frequentare una persona molto particolare: Nadežda Filaretovna
von Meck, una donna sulla cinquantina, vedova da quattro anni, con cinque figli e
sei figlie di cui quattro già sposate. Suo marito, il barone Karl von Meck, discendeva,
a quanto si pensava, da una stirpe di cavalieri teutonici di Riga. Pur essendo
ingegnere non aveva un grande senso degli affari, ma aveva ugualmente accumulato
una bella fortuna in un’impresa ferroviaria grazie all’aiuto della moglie, assistito con
il passare del tempo dal figlio maggiore Vladimir. Era morto di una crisi cardiaca
nell’apprendere che la moglie lo aveva tradito con Il proprio segretario. 

Dalla sua morte, Nadežda cominciò a viaggiare molto, passando attraverso fasi
alterne di euforia e di depressione. Benché detestasse la gente, aveva un esercito di
domestici e di precettori e conduceva una vita da grande signora, con un vasto
palazzo a Mosca e una immensa proprietà a Brailov, in Ucraina. Dopo la sua
vedovanza, aveva trovato rifugio nella musica. Buona pianista, aveva conosciuto i
Rubinstein e Liszt a Bayreuth nell’agosto 1876: sebbene il loro eccezionale talento
avrebbe incantato chiunque, non era riuscito in ogni caso a detronizzare agli occhi
della von Meck il suo idolo. Poiché ella aveva un “dio”: aveva concepito una
inestinguibile passione per Čajkovskij, al quale versava la rispettabile rendita di circa
1500-2000 rubli al mese. Per quattordici anni gli scrisse lettere piene di calore,
anche se non lo avvicinò mai: si scorsero appena una sera a teatro, ma non si
parlarono mai. Nel 1878 ella affittò per lui una magnifica villa a Firenze, Villa
Bonciani, limitandosi a passare in carrozza davanti alla casa e scrivendogli subito
dopo: «La vostra vicinanza è una delizia infinita...». 

La von Meck era solita scegliere ogni estate una residenza principale, da cui fare
risplendere la propria personalità. Nel 1880 aveva preferito, per i figli, la montagna,
e perciò il 20 luglio Debussy raggiunse la famiglia von Meck a Interlaken, in Svizzera.
Da lui, la signora si aspettava che desse lezioni di pianoforte ai suoi figli, che
accompagnasse la giovane cantante che era sua figlia Julia (di 27 anni) e che
suonasse a quattro mani con lei stessa. Era avida di spartiti a due o a quattro mani, e
incoraggiava all’occorrenza Čajkovskij a trascrivere per pianoforte le sue opere. «L’
altro ieri - scrisse a Čajkovskij - è arrivato qui da Parigi un giovane pianista che ha
appena ottenuto il primo premio al Conservatoire nel corso del signor Marmontel
[...]. Questo giovanotto suona bene, la sua tecnica è brillante, ma è privo di
sensibilità. È ancora troppo giovane. Dice di avere vent’ anni, ma ne dimostra
sedici». Dunque Debussy sentiva il bisogno di migliorare la sua immagine, di darsi un
po’ più di prestigio, sia pure a spese della verità; si attribuiva un’età maggiore di
quella che aveva, un primo premio che non aveva mai ottenuto e si sarebbe poi
anche spacciato per allievo di Massenet senza essere ancora riuscito a iscriversi a un
corso di composizione. 

Da Interlaken, Nadežda e Claude attraversarono il sud della Francia per raggiungere,


ai primi di agosto, Arcachon, dove si stabilirono a Villa Marguerite. Fra loro
s’instaurò una certa intimità e alcuni echi delle loro conversazioni compaiono anche
nella corrispondenza con Čajkovskij. Lei certamente parlava a Debussy del suo
paese, che lui ancora non conosceva, ma soprattutto discutevano sul valore degli
esponenti della musica dei loro rispettivi paesi. Nadežda venne a sapere che a Parigi
si aveva una grande considerazione sia di Bizet che di Massenet, mentre lei, dal
canto suo, giudicava i pianisti russi assai superiori a quelli francesi. Del resto, lei non
credeva ai concorsi del genere di quelli del Conservatoire e, a proposito di Debussy,
confidava a Čajkovskij: «Adesso studia per il Prix de Rome. Tutti quegli assurdi premi:
roba che non vale niente!».
Ma in fatto di musica russa Debussy non era probabilmente così ignorante come lei
si poteva immaginare. Anche se lui non aveva assistito ai quattro concerti organizzati
da Nicolaj Rubinstein al Trocadero nel 1878, aveva potuto trovarsi da Colonne il 25
gennaio 1880, quando costui aveva diretto con grande successo la Quarta Sinfonia di
Čajkovskij (e non fu quella, in quegli anni, la sola occasione per ascoltare a Parigi
opere di questo compositore). Possiamo tuttavia supporre che la von Meck non si
sia stancata di ripetere sempre la solita solfa al suo giovane pianista e che abbia
intrapreso nei suoi confronti un tentativo di conversione in piena regola alla musica
del proprio idolo. Il 18 agosto siede con lui al pianoforte per leggere a prima vista
proprio la Quarta Sinfonia (che era dedicata a lei), e fin dall’indomani informa il
maestro del risultato: 

Oggi i miei nervi sono in uno stato terribile. Quando la suono, una febbre invade
tutte le fibre del mio essere e per tutta la giornata non posso riavermi da questa
sensazione. Il mio compagno non I’ ha suonata bene, benché l’abbia letta
meravigliosamente. È il suo solo merito, ma è una qualità molto importante. Legge
una partitura, persino la vostra, a prima vista. E ha anche un altro merito, quello di
essere affascinato dalla vostra musica […]. Ieri ho suonato con lui anche la vostra
Suite. È rimasto incantato dalla fuga, e ha detto: «Fra le fughe moderne, non ho mai
visto niente di così bello. Massenet non sarebbe mai capace di fare nulla di simile».

Insoddisfatta della Villa Marguerite, Nadežda lasciò ben presto Arcachon con tutto il
suo seguito per iniziare un lungo giro che la condusse innanzi tutto a Parigi, poi
Nizza, Genova e Napoli, dove per un momento aveva sperato di essere raggiunta da
Čajkovskij; infine Firenze, a Villa Oppenheim, una sontuosa residenza circondata di
terrazze e giardini, sulle colline vicino a San Miniato, in cui s’insediò il 19 settembre.
Anche qui, la musica occupava la maggior parte del loro tempo: «Suono sempre
qualcosa di nuovo, e in ogni caso tutto ciò che suono è nuovo per lui (Debussy)»
scrive. Dal canto suo Claude tirò fuori dalle sue cartelle le sue prime prove
compositive e in particolare una Danse bohémienne per pianoforte, che lei decise di
sottopone a Čajkovskij. Il compositore russo rispose «è una cosa graziosa ma molto
corta, con dei temi che non giungono a conclusione e una forma capricciosa, priva di
unità». Lì Debussy scrisse anche il suddetto Trio in Sol maggiore destinato al piccolo
complesso che la von Meck aveva voluto costituire sul posto, in cui al pianista
Debussy si aggiungevano il violoncellista Danilčenko, che aveva appena terminato gli
Studi al Conservatorio di Mosca, e il violinista Pachul’skij che aveva anche un po’ la
funzione di segretario della casa e aveva chiesto a Čajkovskij di guidarlo nei suoi
studi di composizione.

Tornando al Trio, si tratta di un lavoro di taglio tradizionale e d’ispirazione romantica


(teso tra Schumann e Massenet, si potrebbe dire), dominato da una notevole vitalità
dialogica ed articolato in quattro ampi movimenti: un Allegro introdotto da un
Andantino con moto, la cui ariosa e sorgiva freschezza si oppone alla vitalità e
all’esubero del movimento vero e proprio, chiaramente ispirato a Schumann (autore
cui molti giovani compositori guardavano allora con ammirazione). Ad esso fa
seguito uno Scherzo-Intermezzo di singolare raffinatezza e forza evocativa, derivante
dai pizzicati degli archi al di sopra dei leggeri accordi pianistici (mentre l’Intermezzo
centrale acquista una connotazione più fervida ed elegante). Il terzo movimento è
un Andante espressivo aperto da una delicata melodia, inizialmente affidata al
violoncello, mentre la parte centrale si addensa ulteriormente, dando vita ad uno
squarcio emotivo di inedita intensità. Il Finale, Appassionato chiude la composizione
nel segno dell’eleganza e della levità, sorrette, comunque, da una ricerca espressiva
e da uno slancio di chiara ascendenza romantica.
Analisi 1° movimento
La struttura formale del primo movimento è abbastanza inconsueta: Debussy infatti,
al contrario dei grandi maestri del passato quali ad esempio Schubert e Schumann
(ai quali si è senz’altro ispirato), non costruisce un movimento impiantato sulle
regole della forma-sonata, bensì adopera una struttura costituita da grandi zone di
spazio: macrostrutture che, ricomparendo più volte nel corso del movimento,
innestano una sorta di ciclicità.
All’ interno del movimento si possono identificare almeno 3 macrostrutture nelle
quali vengono esposti gli elementi tematici e le strutture armoniche.
Queste aree vanno:
1. Da battuta 1 a 66
2. Da battuta 67 a 102
3. Da battuta 103 a 151
Insolito è anche l’utilizzo che fa Debussy degli elementi tematici: essi non sono
diversificati e ben distinguibili l’uno dall’altro (come normalmente accade con i due
temi principali della forma-sonata), bensì sono molte volte simili tra loro e
presentano quasi sempre lo stesso profilo e la stessa intenzione musicale,
dimostrando una raffinatissima economia di mezzi.
Il movimento inizia con il pianoforte che sembra annunciare un primo tema, una
sorta di arabesco in Sol maggiore formato da accordi per quarte che si muovono
parallelamente (tipica figurazione del Debussy maturo): il tutto si muove sopra un
pedale di dominante, una sorta di falso bordone (fig. 1). L’arabesco ha la peculiarità
di essere perfettamente speculare (fig. 1a).

Figura 1
b a

AB
A: Discesa b: Salto di
per grado terza
congiunto discendente

Figura 2

Queste prime battute non sono altro che un’introduzione: il vero e proprio “primo
tema” è invece suonato dal violino, a cominciare col levare di battuta 4 (fig.3). Si può
notare come Debussy vari gli elementi ritmici principali (quattro note veloci e/o
quattro lente) per fare apparire il profilo melodico del pianoforte molto simile a
quello del violino, sebbene con qualche cambiamento che ne fa risaltare la diversità
(le suddivisioni interne del tema del pianoforte formano un andamento ritmico
veloce-lento-lento, mentre nel violino l’andamento è veloce-veloce-lento).

Figura 3

Inoltre, l’uso che fa sin dall’inizio, e poi in seguito, dell’accompagnamento e quanto


di più “rigoroso” ci si possa aspettare: un contrappunto quasi serrato per tutta la
durata del movimento (eccezion fatta per sporadici spiragli di poliritmia, presenti
perlopiù nella terza area tematica).
A battuta 13 il violoncello riprende in si minore la prima “idea tematica”, imitando il
profilo melodico del violino e quello ritmico del pianoforte (inizialmente con un
andamento veloce-lento-veloce, che abbandonerà presto per dedicarsi ad una
figurazione quasi melismatica nella regione centrale). A battuta 20 finalmente
sentiamo i tre strumenti insieme, con pianoforte e violino che creano un
accompagnamento cantabile e il violoncello che ripete esattamente quella che era la
prima idea tematica espressa dal violino all’inizio (fig. 4): la frase si chiude a battuta
28.
Figura 4

Da battuta 29 a 35 il pianoforte si occupa di collegare l’episodio melodico espresso


prima (da battuta 1 a 28) con quello che avverrà da battuta 36 in poi: questo
collegamento avviene con una serie di note, dal profilo prima ascendente e poi
discendente (fig. 5), che potrebbero essere l’anticipazione invertita di quello che
sentiremo più avanti nell’allegro appassionato di battuta 67 (fig. 5a e 5b).

Figura 5

Figura 5a Figura 5b

Finita questa “zona di mezzo” a battuta 36 spunta quella che sembrerebbe, a tutti gli
effetti, una riproposizione della melodia d’introduzione del pianoforte, stavolta ad
opera del violino. L’alternanza quasi contrappuntistica degli elementi melodico-
ritmici da parte dei tre strumenti è ancora visibile: alle battute 40 e 41 l’elemento
formato da quattro note brevi si alterna tra violino, violoncello e pianoforte (fig. 6).
Figura 6

Più avanti, a battuta 52 (fig. 7a), Debussy rimodula ulteriormente un tema già
sentito in precedenza, affidato al violino a battuta 36 (fig. 7b) e fa dialogare la
melodia del pianoforte con quella del violoncello (fig. 7) che, quasi, si unisce ad esso
completandola (come accadrà dopo quattro battute, dove la melodia è imitata il
violino, e dopo otto battute, quando sarà il violoncello ad imitarla).

Figura 7a Figura 7b

Figura 7
Questo episodio si fa via via sempre più concitato, con numerose modulazioni di
passaggio, fino a soffermarsi sulla settima di dominante della nuova tonalità di
approdo (battuta 66), dove la prima macro area tematica lascia spazio all’Allegro
appassionato (fig. 8). Sebbene quest’ultimo sia di carattere più brillante a quanto già
sentito finora, Debussy usa ingegnosamente un elemento ritmico già sentito in
precedenza, prima dal pianoforte a battute 30 e 32, poi ripetuto dal violino a battuta
33 (fig. 8a).

Figura 8 Figura 8a

Oltre a questo elemento melodico (batt.67) Debussy ne utilizza un altro


complementare (batt. 71), che richiama quasi il ritmo di cake-walk (fig. 9). Questi
due elementi sono affidati al violino e al violoncello che, per quasi tutta la durata
dell’Allegro (da batt. 66 a 90), suonano in maniera omoritmica a distanza di ottava,
raddoppiando tutta la linea melodica e creando il tipico colore locale. Il pianoforte si
occupa, di tanto in tanto (batt. 83 e battute 92-92), di imitare la figurazione dei due
archi, ma nell’insieme serve a dare sostegno armonico alla melodia che, altrimenti,
ne risulterebbe priva.

Figura 9

Dopo aver confermato la tonalità di questo episodio (Do maggiore) le figurazioni dei
tre strumenti si attenuano sensibilmente, girovagando sempre nella tonalità di Do
laddove, sempre contrappuntisticamente, il pianoforte porta avanti una melodia e
gli strumenti “accompagnano” (fig. 10), e viceversa (fig. 11).
Figura 10

Figura 11

Una brevissima frase di quattro battute (fig. 12), dove il violino imita parte
dell’elemento ritmico di battuta 71 e il pianoforte suona degli accordi discendenti
che ricordano vagamente l’elemento ritmico di battuta 67, serve a collegare la
sezione appena ascoltata con quella successiva dove, al “Un poco rallentando”,
comincia la terza area tematica (in Fa maggiore).

Figura 12
Se le prime due grandi sezioni tematiche avevano un carattere ora andantino mosso,
ora allegro appassionato, quest’ultima sezione è di carattere del tutto diverso e
complementare alle prime due: sotto un andamento sincopato del pianoforte si
staglia la purissima melodia del violoncello (fig. 13) con un ritmo che passa da
terzine brevi a note lunghe e a quartine brevi.

Figura 13

La stessa melodia è affidata, dopo 8 battute, al violino, con il violoncello che


risponde alla melodia e col pianoforte che comincia a incalzare il suo
accompagnamento con delle quartine (fig. 14). Questa volta la melodia affidata al
violino non dura più 8 battute ma 4: interrompendola prima (pur continuando a
usare lo stesso materiale ritmico insieme al violoncello, a volte raddoppiando
all’ottava come accadeva nell’Allegro Appassionato precedente), l’episodio sfocia in
un fortissimo affidato al pianoforte che riprende la melodia (fig. 15) con gli strumenti
che la imitano in maniera contrappuntistica, sempre suonando in maniera
omoritmica a distanza di ottava e creando una sorta di poliritmia fra le varie voci.

Figura 14
Figura 15

In seguito, a battuta 137, il pianoforte è lasciato solo a ripetere la melodia


principale, melodia che viene affidata a diversi registri della tastiera, quasi come se
stesse emulando le diverse entrate degli strumenti sentiti in precedenza (del violino
da 137, del violoncello da 141).
Una modulazione a Si maggiore (fig. 16) conduce i tre strumenti al Tempo primo
(batt.152) che potrebbe rappresentare una sorta di Ripresa ma che, in effetti, viene
trattata da Debussy come una riproposizione, quasi letterale, della prima area
tematica nella sua interezza (da battute 1 a 66), dove il pianoforte replica la melodia
principale e gli altri due strumenti suonano a distanza di seste maggiori creando un
tappeto armonico (fig. 17).

Figura 16
Figura 17

A battuta 157 i due archi si uniscono, sempre a distanza di ottava, facendo emergere
uno stralcio di melodia che non si era ancora sentita finora (fig. 18), salvo per la
componente ritmica già udita in precedenza, in maniera “velata”, dal pianoforte a
battuta 17: questo stralcio di melodia viene ripetuto poi a battuta 159, a conclusione
della formula di cadenza in Si maggiore.

Figura 18

Dopo la cadenza il pianoforte non procede come all’inizio, ma fa a meno del


materiale che si era sentito da batt.13 a 51 per passare immediatamente alla
melodia di battuta 52, stavolta in Mi maggiore (fig. 19): come all’inizio, stavolta la
melodia è affidata al pianoforte per quattro battute per poi lasciarla al violino per
altre quattro battute.

Figura 19
Lo slancio melodico del violoncello di battuta 167 viene ripetuto dal pianoforte nella
battuta successiva e ancora nella battuta seguente, crescendo molto e portando gli
strumenti ad una “cascata” di accordi discendenti (fig. 20) che anticipano e
conducono all’Allegro appassionato.

Figura 20

Come prima sembra che la ripresa dell’Allegro di battuta 67 (la seconda area
tematica) sia letterale: eppure Debussy inserisce tra il violino e il pianoforte la
melodia del violoncello (fig. 21) che ricorda quella della terza macro area (Un poco
rallentando), anche se stavolta il ritmo della melodia è per aumentazione e in tempo
tagliato (quartine invece che terzine).

Figura 21

La linea melodica del violoncello non è più omoritmica a quella del violino com’era
accaduto nella seconda macro area, ma stavolta sembra quasi fondersi col
pianoforte ed entrambi si occupano di dare sostegno alla melodia del violino.
Finalmente, dopo un progressivo sgonfiarsi e rigonfiarsi del materiale musicale, a
battuta 190 la melodia dell’Allegro torna al pianoforte in fortissimo mentre i due
archi tornano all’unisono come già ascoltato in precedenza: i tre strumenti, in
crescendo, espandono al massimo l’intensità sonora al culmine di battuta 196 per
poi, poco a poco, ristabilire la calma in un disteso Re maggiore (da battuta 198 a
201).
Questo stesso disegno (198-201) viene ripetuto dai tre strumenti mutando in una
settima di La minore, con la figurazione melodica che passa dagli archi al pianoforte
(fig. 22): una volta risolto per un attimo in Mi minore, il pianoforte fa riemergere nel
registro basso l’incipit della melodia del “Un poco rallentando” su un pedale di
dominante che conduce direttamente alla ripresa della terza area tematica.

Figura 22

Stavolta sulla melodia principale, affidata al violoncello, il pianoforte e il violino


creano un accompagnamento ad arpeggi sciolti (fig. 23) con il profilo ritmico dei due
strumenti complementare ma invertito in maniera speculare (arpeggi discendenti e
poi ascendenti del pianoforte, ascendenti e poi discendenti per il violino): il tutto
accade sotto un bordone del pianoforte che con dei bicordi nella regione bassa
ricorda quasi delle campane dalle quali si genera il suono degli strumenti.

Figura 23
Dopo questa ampia campata (da battuta 210 a 217) il pianoforte replica, con una
figurazione a ottave, il tema affidato al violoncello (stavolta con una diminuzione
ritmica, anticipando di una battuta la risoluzione del violoncello) e i tre strumenti si
ritrovano insieme, con una serie di accordi marcati che confermano la tonalità di Do
maggiore con una secca fermata a battuta 226. Da qui alla “coda” finale si assiste ad
una commistione di materiali diversi (fig. 24): il pianoforte replica in pianissimo la
melodia sentita finora (in Do maggiore) a cui risponde il violino con la melodia
sentita all’inizio nell’Andantino (in Re maggiore); segue il violoncello con la
figurazione a terzine e, dopo una breve modulazione a Si maggiore, i tre strumenti
(quasi in maniera omoritmica) si fermano momentaneamente su una settima di Re
maggiore per poi iniziare la “coda” con il tema della prima area tematica nella
tonalità d’impianto.

Figura 24

Stavolta la figurazione del pianoforte si dimostra più propositiva, con arpeggi che si
distaccano dall’accompagnamento più secco, quasi “corale”, che si era udito
all’inizio. Una volta conclusa la frase, a battuta 241 torna la melodia del violoncello
udita all’inizio (battuta 13) come risposta a quella del violino. Finito anche questo
episodio torna a sentirsi, stavolta da parte del violino, la melodia suonata
inizialmente dal pianoforte a battuta 52: questa frase è sostenuta dal pianoforte con
accordi che sembrano quasi “affievolire” la componente ritmica, così vivace finora.
Difatti, da battuta 256 fino alla fine, il ritmo comincia lentamente a spegnersi (fig.
25), complice anche la figurazione del pianoforte, fatta di masse accordali come si
erano sentite all’inizio e dei due archi (il tema dell’adagio “Un poco rallentando” che
ritorna per l’ultima volta, allargato nel tempo). Il movimento si spegne su un placido
Sol maggiore, con la figurazione in pianissimo della cellula melodico-ritmica di
battuta 157 (fig. 26) ripetuta due volte, sempre più piano e più rallentata fino alla
fine.
Figura 25

Figura 26

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