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“STANISLAO GIACOMANTONIO”
COSENZA
Scoperto solo di recente (1986), il giovanile Trio in Sol maggiore per pianoforte,
violino e violoncello fu composto da Claude Debussy nel 1879 e terminato
nell’estate del 1880 quando, non ancora diciottenne, si trovava a Fiesole nella Villa
Oppenheim grazie ad un fortuito incontro. Per una seconda volta, quell’estate,
Debussy si trovò a frequentare una persona molto particolare: Nadežda Filaretovna
von Meck, una donna sulla cinquantina, vedova da quattro anni, con cinque figli e
sei figlie di cui quattro già sposate. Suo marito, il barone Karl von Meck, discendeva,
a quanto si pensava, da una stirpe di cavalieri teutonici di Riga. Pur essendo
ingegnere non aveva un grande senso degli affari, ma aveva ugualmente accumulato
una bella fortuna in un’impresa ferroviaria grazie all’aiuto della moglie, assistito con
il passare del tempo dal figlio maggiore Vladimir. Era morto di una crisi cardiaca
nell’apprendere che la moglie lo aveva tradito con Il proprio segretario.
Dalla sua morte, Nadežda cominciò a viaggiare molto, passando attraverso fasi
alterne di euforia e di depressione. Benché detestasse la gente, aveva un esercito di
domestici e di precettori e conduceva una vita da grande signora, con un vasto
palazzo a Mosca e una immensa proprietà a Brailov, in Ucraina. Dopo la sua
vedovanza, aveva trovato rifugio nella musica. Buona pianista, aveva conosciuto i
Rubinstein e Liszt a Bayreuth nell’agosto 1876: sebbene il loro eccezionale talento
avrebbe incantato chiunque, non era riuscito in ogni caso a detronizzare agli occhi
della von Meck il suo idolo. Poiché ella aveva un “dio”: aveva concepito una
inestinguibile passione per Čajkovskij, al quale versava la rispettabile rendita di circa
1500-2000 rubli al mese. Per quattordici anni gli scrisse lettere piene di calore,
anche se non lo avvicinò mai: si scorsero appena una sera a teatro, ma non si
parlarono mai. Nel 1878 ella affittò per lui una magnifica villa a Firenze, Villa
Bonciani, limitandosi a passare in carrozza davanti alla casa e scrivendogli subito
dopo: «La vostra vicinanza è una delizia infinita...».
La von Meck era solita scegliere ogni estate una residenza principale, da cui fare
risplendere la propria personalità. Nel 1880 aveva preferito, per i figli, la montagna,
e perciò il 20 luglio Debussy raggiunse la famiglia von Meck a Interlaken, in Svizzera.
Da lui, la signora si aspettava che desse lezioni di pianoforte ai suoi figli, che
accompagnasse la giovane cantante che era sua figlia Julia (di 27 anni) e che
suonasse a quattro mani con lei stessa. Era avida di spartiti a due o a quattro mani, e
incoraggiava all’occorrenza Čajkovskij a trascrivere per pianoforte le sue opere. «L’
altro ieri - scrisse a Čajkovskij - è arrivato qui da Parigi un giovane pianista che ha
appena ottenuto il primo premio al Conservatoire nel corso del signor Marmontel
[...]. Questo giovanotto suona bene, la sua tecnica è brillante, ma è privo di
sensibilità. È ancora troppo giovane. Dice di avere vent’ anni, ma ne dimostra
sedici». Dunque Debussy sentiva il bisogno di migliorare la sua immagine, di darsi un
po’ più di prestigio, sia pure a spese della verità; si attribuiva un’età maggiore di
quella che aveva, un primo premio che non aveva mai ottenuto e si sarebbe poi
anche spacciato per allievo di Massenet senza essere ancora riuscito a iscriversi a un
corso di composizione.
Oggi i miei nervi sono in uno stato terribile. Quando la suono, una febbre invade
tutte le fibre del mio essere e per tutta la giornata non posso riavermi da questa
sensazione. Il mio compagno non I’ ha suonata bene, benché l’abbia letta
meravigliosamente. È il suo solo merito, ma è una qualità molto importante. Legge
una partitura, persino la vostra, a prima vista. E ha anche un altro merito, quello di
essere affascinato dalla vostra musica […]. Ieri ho suonato con lui anche la vostra
Suite. È rimasto incantato dalla fuga, e ha detto: «Fra le fughe moderne, non ho mai
visto niente di così bello. Massenet non sarebbe mai capace di fare nulla di simile».
Insoddisfatta della Villa Marguerite, Nadežda lasciò ben presto Arcachon con tutto il
suo seguito per iniziare un lungo giro che la condusse innanzi tutto a Parigi, poi
Nizza, Genova e Napoli, dove per un momento aveva sperato di essere raggiunta da
Čajkovskij; infine Firenze, a Villa Oppenheim, una sontuosa residenza circondata di
terrazze e giardini, sulle colline vicino a San Miniato, in cui s’insediò il 19 settembre.
Anche qui, la musica occupava la maggior parte del loro tempo: «Suono sempre
qualcosa di nuovo, e in ogni caso tutto ciò che suono è nuovo per lui (Debussy)»
scrive. Dal canto suo Claude tirò fuori dalle sue cartelle le sue prime prove
compositive e in particolare una Danse bohémienne per pianoforte, che lei decise di
sottopone a Čajkovskij. Il compositore russo rispose «è una cosa graziosa ma molto
corta, con dei temi che non giungono a conclusione e una forma capricciosa, priva di
unità». Lì Debussy scrisse anche il suddetto Trio in Sol maggiore destinato al piccolo
complesso che la von Meck aveva voluto costituire sul posto, in cui al pianista
Debussy si aggiungevano il violoncellista Danilčenko, che aveva appena terminato gli
Studi al Conservatorio di Mosca, e il violinista Pachul’skij che aveva anche un po’ la
funzione di segretario della casa e aveva chiesto a Čajkovskij di guidarlo nei suoi
studi di composizione.
Figura 1
b a
AB
A: Discesa b: Salto di
per grado terza
congiunto discendente
Figura 2
Queste prime battute non sono altro che un’introduzione: il vero e proprio “primo
tema” è invece suonato dal violino, a cominciare col levare di battuta 4 (fig.3). Si può
notare come Debussy vari gli elementi ritmici principali (quattro note veloci e/o
quattro lente) per fare apparire il profilo melodico del pianoforte molto simile a
quello del violino, sebbene con qualche cambiamento che ne fa risaltare la diversità
(le suddivisioni interne del tema del pianoforte formano un andamento ritmico
veloce-lento-lento, mentre nel violino l’andamento è veloce-veloce-lento).
Figura 3
Figura 5
Figura 5a Figura 5b
Finita questa “zona di mezzo” a battuta 36 spunta quella che sembrerebbe, a tutti gli
effetti, una riproposizione della melodia d’introduzione del pianoforte, stavolta ad
opera del violino. L’alternanza quasi contrappuntistica degli elementi melodico-
ritmici da parte dei tre strumenti è ancora visibile: alle battute 40 e 41 l’elemento
formato da quattro note brevi si alterna tra violino, violoncello e pianoforte (fig. 6).
Figura 6
Più avanti, a battuta 52 (fig. 7a), Debussy rimodula ulteriormente un tema già
sentito in precedenza, affidato al violino a battuta 36 (fig. 7b) e fa dialogare la
melodia del pianoforte con quella del violoncello (fig. 7) che, quasi, si unisce ad esso
completandola (come accadrà dopo quattro battute, dove la melodia è imitata il
violino, e dopo otto battute, quando sarà il violoncello ad imitarla).
Figura 7a Figura 7b
Figura 7
Questo episodio si fa via via sempre più concitato, con numerose modulazioni di
passaggio, fino a soffermarsi sulla settima di dominante della nuova tonalità di
approdo (battuta 66), dove la prima macro area tematica lascia spazio all’Allegro
appassionato (fig. 8). Sebbene quest’ultimo sia di carattere più brillante a quanto già
sentito finora, Debussy usa ingegnosamente un elemento ritmico già sentito in
precedenza, prima dal pianoforte a battute 30 e 32, poi ripetuto dal violino a battuta
33 (fig. 8a).
Figura 8 Figura 8a
Figura 9
Dopo aver confermato la tonalità di questo episodio (Do maggiore) le figurazioni dei
tre strumenti si attenuano sensibilmente, girovagando sempre nella tonalità di Do
laddove, sempre contrappuntisticamente, il pianoforte porta avanti una melodia e
gli strumenti “accompagnano” (fig. 10), e viceversa (fig. 11).
Figura 10
Figura 11
Una brevissima frase di quattro battute (fig. 12), dove il violino imita parte
dell’elemento ritmico di battuta 71 e il pianoforte suona degli accordi discendenti
che ricordano vagamente l’elemento ritmico di battuta 67, serve a collegare la
sezione appena ascoltata con quella successiva dove, al “Un poco rallentando”,
comincia la terza area tematica (in Fa maggiore).
Figura 12
Se le prime due grandi sezioni tematiche avevano un carattere ora andantino mosso,
ora allegro appassionato, quest’ultima sezione è di carattere del tutto diverso e
complementare alle prime due: sotto un andamento sincopato del pianoforte si
staglia la purissima melodia del violoncello (fig. 13) con un ritmo che passa da
terzine brevi a note lunghe e a quartine brevi.
Figura 13
Figura 14
Figura 15
Figura 16
Figura 17
A battuta 157 i due archi si uniscono, sempre a distanza di ottava, facendo emergere
uno stralcio di melodia che non si era ancora sentita finora (fig. 18), salvo per la
componente ritmica già udita in precedenza, in maniera “velata”, dal pianoforte a
battuta 17: questo stralcio di melodia viene ripetuto poi a battuta 159, a conclusione
della formula di cadenza in Si maggiore.
Figura 18
Figura 19
Lo slancio melodico del violoncello di battuta 167 viene ripetuto dal pianoforte nella
battuta successiva e ancora nella battuta seguente, crescendo molto e portando gli
strumenti ad una “cascata” di accordi discendenti (fig. 20) che anticipano e
conducono all’Allegro appassionato.
Figura 20
Come prima sembra che la ripresa dell’Allegro di battuta 67 (la seconda area
tematica) sia letterale: eppure Debussy inserisce tra il violino e il pianoforte la
melodia del violoncello (fig. 21) che ricorda quella della terza macro area (Un poco
rallentando), anche se stavolta il ritmo della melodia è per aumentazione e in tempo
tagliato (quartine invece che terzine).
Figura 21
La linea melodica del violoncello non è più omoritmica a quella del violino com’era
accaduto nella seconda macro area, ma stavolta sembra quasi fondersi col
pianoforte ed entrambi si occupano di dare sostegno alla melodia del violino.
Finalmente, dopo un progressivo sgonfiarsi e rigonfiarsi del materiale musicale, a
battuta 190 la melodia dell’Allegro torna al pianoforte in fortissimo mentre i due
archi tornano all’unisono come già ascoltato in precedenza: i tre strumenti, in
crescendo, espandono al massimo l’intensità sonora al culmine di battuta 196 per
poi, poco a poco, ristabilire la calma in un disteso Re maggiore (da battuta 198 a
201).
Questo stesso disegno (198-201) viene ripetuto dai tre strumenti mutando in una
settima di La minore, con la figurazione melodica che passa dagli archi al pianoforte
(fig. 22): una volta risolto per un attimo in Mi minore, il pianoforte fa riemergere nel
registro basso l’incipit della melodia del “Un poco rallentando” su un pedale di
dominante che conduce direttamente alla ripresa della terza area tematica.
Figura 22
Figura 23
Dopo questa ampia campata (da battuta 210 a 217) il pianoforte replica, con una
figurazione a ottave, il tema affidato al violoncello (stavolta con una diminuzione
ritmica, anticipando di una battuta la risoluzione del violoncello) e i tre strumenti si
ritrovano insieme, con una serie di accordi marcati che confermano la tonalità di Do
maggiore con una secca fermata a battuta 226. Da qui alla “coda” finale si assiste ad
una commistione di materiali diversi (fig. 24): il pianoforte replica in pianissimo la
melodia sentita finora (in Do maggiore) a cui risponde il violino con la melodia
sentita all’inizio nell’Andantino (in Re maggiore); segue il violoncello con la
figurazione a terzine e, dopo una breve modulazione a Si maggiore, i tre strumenti
(quasi in maniera omoritmica) si fermano momentaneamente su una settima di Re
maggiore per poi iniziare la “coda” con il tema della prima area tematica nella
tonalità d’impianto.
Figura 24
Stavolta la figurazione del pianoforte si dimostra più propositiva, con arpeggi che si
distaccano dall’accompagnamento più secco, quasi “corale”, che si era udito
all’inizio. Una volta conclusa la frase, a battuta 241 torna la melodia del violoncello
udita all’inizio (battuta 13) come risposta a quella del violino. Finito anche questo
episodio torna a sentirsi, stavolta da parte del violino, la melodia suonata
inizialmente dal pianoforte a battuta 52: questa frase è sostenuta dal pianoforte con
accordi che sembrano quasi “affievolire” la componente ritmica, così vivace finora.
Difatti, da battuta 256 fino alla fine, il ritmo comincia lentamente a spegnersi (fig.
25), complice anche la figurazione del pianoforte, fatta di masse accordali come si
erano sentite all’inizio e dei due archi (il tema dell’adagio “Un poco rallentando” che
ritorna per l’ultima volta, allargato nel tempo). Il movimento si spegne su un placido
Sol maggiore, con la figurazione in pianissimo della cellula melodico-ritmica di
battuta 157 (fig. 26) ripetuta due volte, sempre più piano e più rallentata fino alla
fine.
Figura 25
Figura 26