I lussuriosi (25-72)
Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che
trascina i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Quando questi spiriti giungono davanti a
una «rovina», emettono grida e lamenti e bestemmiano Dio. Dante capisce immediatamente che si
tratta dei lussuriosi, i quali volano per l'aria formando una larga schiera simile agli stornelli quando
volano in cielo.
Dante vede poi un'altra schiera di anime, che volano formando una lunga linea simile a delle gru in
volo. Chiede spiegazioni a Virgilio e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni dannati, che
sono tutti lussuriosi morti violentemente: tra questi ci sono Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena
(moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime. Dopo aver
sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da profonda angoscia e per poco non si smarrisce.
Dante nota che due di queste anime volano accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro.
Virgilio acconsente e invita Dante a chiamarle, cosa che il poeta fa con un appello carico di passione. I
due spiriti si staccano dalla schiera di anime e volano verso di lui, come due colombe che vanno verso
il nido: sono un uomo e una donna, e quest'ultima si rivolge a Dante ringraziandolo per la pietà che
dimostra verso di loro. Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita
da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella morte; furono entrambi assassinati
e la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti, attende il loro uccisore.
Interpretazione complessiva
Il Canto V è il primo dell'Inferno che ci mostra la pena di una categoria di dannati e Francesca è il
primo peccatore a dialogare con Dante: troviamo anche una figura demoniaca, Minosse, che qui
rappresenta il giudice dei dannati ed è ridotto a una bizzarra parodia della giustizia divina, essendo
descritto come un essere mostruoso e animalesco, con una lunga coda che avvolge intorno a sé per
indicare ai dannati il luogo infernale cui sono destinati (Guido da Montefeltro aggiungerà il particolare
del dosso duro, cfr. Inf., XXVII, 125). Non sappiamo da dove Dante abbia tratto questa curiosa
trasformazione, di cui non c'è traccia nei testi classici cui può essersi ispirato, ma è certo che Minosse
qui si limita ad essere esecutore della volontà divina, una sorta di strumento che agisce senza la
profonda dignità che aveva in Virgilio o negli altri poeti antichi; è probabilmente anche il custode del II
Cerchio, anche se nulla autorizza a collegarlo al peccato di lussuria in quanto nel mito classico egli era
descritto piuttosto come re saggio e giusto.
I lussuriosi sono trascinati da una bufera incessante, che simboleggia la forza della passione sessuale
cui essi non seppero opporsi in vita (Dante li definisce peccator carnali, / che la ragion sommettono al
talento). Molto probabilmente tra essi si distingue un'altra schiera, costituita dai lussuriosi morti
violentemente, tra cui oltre ai due protagonisti del Canto ci sono vari personaggi del mito e della
letteratura, come Didone, Achille, Tristano. Dante intende svolgere un discorso intorno alla letteratura
amorosa, per condannarla in quanto fonte potenziale di peccato e pericolosa per quei lettori che
potrebbero essere indotti a mettere in pratica i comportamenti descritti nei libri. Non a caso i lussuriosi
nominati da Virgilio appartengono quasi tutti alla sfera letteraria o mitologica e Dante li
definisce donne antiche e' cavalieri, con un riferimento preciso alla letteratura francese del ciclo
arturiano (cui appartengono sia Tristano sia Lancillotto e Ginevra, citati dopo da Francesca). Dante
stesso non ha bisogno di spiegazioni per capire che in questo Cerchio sono puniti i lussuriosi e ciò
per il fatto che il poeta era stato avido lettore e produttore di letteratura amorosa, quindi si sente
coinvolto in prima persona nel loro peccato (di qui il turbamento angoscioso che prova dall'inizio
dell'episodio): la sua intenzione è condannare la letteratura che celebra l'amore sensuale e non
spiritualizzato, quindi ritrattare parte della sua precedente produzione poetica, rappresentata
dalle Petrose e forse anche dallo Stilnovo.
Francesca è un personaggio significativo a riguardo, perché il caso suo e di Paolo era un episodio di
cronaca che doveva essere ben presente ai lettori contemporanei. La vicenda, di cui non c'è comunque
traccia nei cronisti del tempo, era quella di un adulterio tra Francesca da Polenta, figlia del signore di
Ravenna, e il cognato Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto che la donna aveva sposato in un
matrimonio combinato per riappacificare le due famiglie. Gianciotto aveva scoperto la relazione e
aveva ucciso entrambi.
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Dante non intende affatto risarcire i due amanti clandestini della loro morte, né giustificare in alcun
modo il loro peccato, ma piuttosto mettere in guardia tutti i lettori dai rischi insiti nella letteratura di
argomento amoroso. Francesca, infatti, è una donna colta, esperta di letteratura: cita
indirettamente Guinizelli e lo stesso Dante, dei quali riprende alcuni versi nella famosa anafora Amor...
amor... amor, nonché le leggi del De amore di A. Cappellano, testo notissimo nel Medioevo e base
teorica della lirica provenzale. Il suo amore con Paolo è nato per una reciproca attrazione fisica e
l'occasione è venuta proprio dalla lettura di un libro, il romanzo cortese di Lancillotto e Ginevra (che
Dante sicuramente non conosceva direttamente, ma attraverso qualche volgarizzamento tardo). La loro
colpa non è tanto di essersi innamorati, ma di aver messo in pratica il comportamento peccaminoso dei
due personaggi letterari; hanno scambiato la letteratura con la vita e ciò ha causato la loro irrevocabile
dannazione.
La pietà provata da Dante verso di loro non è dunque una generica compassione né la riabilitazione del
loro amore clandestino (errata è dunque l'interpretazione dei critici romantici, come De Sanctis), ma è il
turbamento angoscioso di uno scrittore che prende coscienza della pericolosità della poesia amorosa da
lui prodotta in passato. Non è del resto un caso che una lussuriosa sia il primo dannato descritto da
Dante, mentre gli ultimi penitenti del Purgatorio (Canto XXVI) saranno Guido Guinizelli e Arnaut
Daniel, condannati proprio in quanto poeti amorosi.
FRANCESCA E PAOLO
Sono i protagonisti del Canto V dell'Inferno, posti fra i lussuriosi del II Cerchio. Francesca era figlia di
Guido il Vecchio da Polenta, signore di Ravenna, che dopo il 1275 aveva sposato Gianciotto Malatesta,
il figlio deforme del signore di Rimini. Paolo era il fratello di Gianciotto e fu capitano del popolo
a Firenze nel 1282-83. Secondo il racconto di Dante, di cui però non c'è traccia nelle cronache del
tempo, Francesca ebbe una relazione adulterina col cognato Paolo e i due, sorpresi dal marito di lei,
furono entrambi trucidati.
Nell'episodio infernale è Francesca la sola a parlare, mentre Paolo tace e piange alla fine del racconto
della donna. Le due anime volano affiancate nella bufera infernale che trascina i lussuriosi e Dante
chiede a Virgilio il permesso di parlare con loro; Francesca dapprima si presenta e ricorda l'assassinio
subìto ad opera del marito, poi (su richiesta di Dante) spiega la causa del loro peccato, ovvero la lettura
del romanzo di Lancillotto e Ginevra che li spinse a intrecciare una relazione amorosa.
Francesca è presentata come una donna colta, esperta di letteratura amorosa (cita indirettamente lo
Stilnovo e Andrea Cappellano, quindi conosce i dettami dell'amor cortese).
Attraverso il suo personaggio Dante compie una parziale ritrattazione della sua precedente produzione
poetica (stilnovistica e, soprattutto, delle Petrose), che avendo l'amore come argomento poteva
spingere il lettore a mettere in pratica gli esempi letterari e cadere nel peccato di lussuria. Francesca è il
primo dannato che pronuncia un discorso nell'Inferno dantesco, mentre Guido Guinizelli (citato
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indirettamente dalla donna) e il trovatore provenzale Arnaut Daniel saranno gli ultimi penitenti a
dialogare con Dante nel Purgatorio (Canto XXVI), colpevoli anche loro di lussuria e produttori di
quella letteratura amorosa di cui Francesca era stata appassionata lettrice.
Dante e Virgilio giungono all’ingresso del secondo cerchio custodito da Minosse, giudice infernale dai
tempi di Omero. Davanti a lui si presentano a uno a uno i dannati, confessano le loro colpe e attendono
la sentenza: Minosse li ascolta in silenzio, poi attorciglia la sua lunga coda intorno al corpo di ciascuno,
tante volte quanti sono i cerchi che il peccatore dovrà scendere per trovare il luogo dove sconterà la sua
pena.
È la prima volta che Dante viene in contatto con i dannati. In questo cerchio sono puniti i lussuriosi,
cioè coloro che si sono fatti travolgere dalle passioni terrene; per questo, secondo la legge del
contrappasso1, nell’aria buia e tempestosa, un vento inarrestabile e vorticoso li trascina con sé come
fuscelli, senza dar loro mai pace. Per descriverli mentre il vento li trascina, il poeta, ispirandosi a
Virgilio nell’Eneide, paragona i morti per amore agli uccelli che migrano e alle gru che volano in file
compatte.
Fra tutte queste anime, due attraggono lo sguardo di Dante: non volano separate come le altre, ma unite
insieme e sembrano straordinariamente leggere nel vento. Il poeta chiede di poter parlare con loro ed
esse si avvicinano (vedi il video).
Sono Francesca da Rimini, sposa di Gianciotto Malatesta, e Paolo, suo cognato. Mentre Paolo rimane
in silenzio e piange, Francesca racconta a Dante la loro storia: travolti dalla passione, erano diventati
amanti; Gianciotto li aveva sorpresi e uccisi.
Per bocca di Francesca, Dante spiega anche la sua idea dell’amore, che richiama la teologia cristiana:
nessuna persona amata può non contraccambiare l’amore, e l’amore che ciascuno dona agli altri, viene
sempre restituito.
La storia dei due giovani tocca così tanto il poeta che quando Francesca termina di parlare, Dante, vinto
dall’emozione, perde i sensi e cade a terra.
A differenza delle altre donne lussuriose, descritte con distacco e freddezza, Francesca è raffigurata
come una creatura di animo nobile e gentile che, pur se dannata, prova il desiderio di pregare perché
Dante trovi conforto e pace.
L’attenzione del poeta si rivolge in particolare a Paolo e Francesca. La donna racconta, dietro richiesta
del poeta, la vicenda che toccò in sorte a lei e al suo amante, il loro peccaminoso amore che è stato
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causa della loro morte. Dante è particolarmente interessato a capire come questo amore è iniziato, e
Francesca - mentre Paolo non proferisce mai verbo e piange silenziosamente - racconta che tutto
nacque leggendo dell’amore tra Lancillotto e Ginevra. Quest’ultimo passaggio ci indica
come all'amore-virtù (e alla sua espressione letteraria...) possa spesso sostituirsi l'amore-passione,
Lancillotto e Ginevra
Sono i protagonisti di un noto romanzo cortese del ciclo arturiano, citati da Dante nel Canto
V dell'Inferno. Lancillotto del Lago (Lancelot in lingua d'oïl) è un cavaliere della Tavola Rotonda di re
Artù e si innamora della regina Ginevra, moglie dello stesso Artù. La relazione fra i due è favorita da
Galeotto (Galehaut), siniscalco della regina, che spinge quest'ultima a baciare il cavaliere che le sta
davanti pallido ed esitante. Dante con ogni probabilità non conosceva il testo originale, ma ne aveva
letto un volgarizzamento più tardo (infatti nel poemetto francese è Ginevra a baciare Lancillotto, non il
contrario). La vicenda era l'esempio perfetto dell'amor cortese, ovvero l'amore adulterino fra un nobile
cavaliere e la moglie del suo signore, tema di tante liriche dei trovatori provenzali.
Lussuriosi morti violentemente
Sono le anime dei lussuriosi incontrate da Dante nel II Cerchio, nel Canto V dell'Inferno: anche se non
viene detto esplicitamente, sono accomunate dal fatto di essere personaggi morti in modo violento a
causa dell'amore (fra loro vi sono anche Paolo e Francesca). È Virgilio a mostrare a Dante questi
dannati: si tratta di
Semiramide, la leggendaria regina degli Assiro-Babilonesi divenuta simbolo di condotta lussuriosa nel
Medioevo (Dante segue il racconto di Paolo Orosio, storico del V sec. d.C., che la voleva uccisa dal
figliastro);
Didone, leggendaria regina di Cartagine e protagonista del libro IV dell'Eneide, in cui è narrato che la
donna si innamora di Enea e, abbandonata dall'eroe, si suicida;
Cleopatra, storica regina dell'Egitto, amante di Cesare e Marco Antonio e morta anche lei suicida dopo
la battaglia di Azio;
Elena, personaggio dell'Iliade e moglie di Menelao, uccisa da una donna greca che voleva vendicare la
morte del marito a Troia;
Achille, che secondo una tradizione diffusa nel Medioevo sarebbe morto non nel duello con Paride,
bensì in un tranello tesogli per l'amore che provava per Polissena, figlia di Priamo; Paride, figlio di
Priamo e protagonista dell'Iliade, che con il rapimento di Elena scatenò la guerra di Troia e morì per
mano di Filottete;
Tristano, personaggio del ciclo arturiano dei romanzi cortesi, innamoratosi di Isotta e ucciso dallo
zio, re di Cornovaglia.
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MINOSSE
Personaggio della mitologia classica, figlio di Giove ed Europa, leggendario re e legislatore di Creta (è
legato al ciclo minoico, insieme a Teseo, Arianna, il Minotauro). Già nell'antichità era diventato il
giudice delle anime nell'Ade e Omero ne dà una rappresentazione maestosa nel Libro XI dell'Odissea,
come Virgilio nel Libro VI dell'Eneide.
Dante lo colloca nel Canto V dell'Inferno, quale giudice dei dannati che indica loro a quale Cerchio
sono destinati. Minosse è posto all'ingresso del II Cerchio (lussuriosi) e ha caratteri bestiali: ringhia, ha
una lunga coda che avvolge attorno al corpo tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato (il quale gli
confessa tutti i suoi peccati) deve discendere. Nel Canto V accoglie Dante con parole minacciose ed è
zittito da Virgilio con la stessa formula già usata con Caronte in Inf., III, 95-96.
Minosse è poi citato da Guido da Montefeltro in XXVII, 124-127, il quale aggiunge il particolare che il
demone ha il dosso duro e che si è morso la coda per gran rabbia. Griffolino d'Arezzo (XXIX, 120)
afferma che a Minosse fallar non lece, alludendo al fatto che il demone è strumento della giustizia
divina, di cui è una bizzarra e stravolta parodia.
La protagonista del canto è Francesca, la figlia di Guido da Polenta (signore di Ravenna) che a
quindici anni la diede in sposa a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, probabilmente per
siglare un'alleanza politica tra le due famiglie nobili: secondo una tradizione che risale a Dante
e ai commentatori posteriori ma di cui non c'è traccia nelle cronache del tempo, la giovane si
innamorò del fratello di Gianciotto, Paolo, con cui ebbe una relazione adultera, finché i due
furono scoperti dal marito di lei e uccisi. Dante include i due amanti tra i lussuriosi in quanto si
sono abbandonati alla passione carnale e intende fare attraverso la loro storia un discorso
intorno alla letteratura amorosa, che egli condanna in quanto può indurre i lettori a mettere in
pratica ciò che vi viene descritto e a peccare, come è accaduto ai due adulteri romagnoli. Paolo
e Francesca fanno probabilmente parte di una schiera di dannati morti di morte violenta, come i
personaggi del mito e della letteratura che Virgilio elenca nei versi precedenti (tra cui
Cleopatra, Didone, Achille, Semiramide).
Francesca è il primo dannato con cui Dante dialoga nell'Inferno ed è la sola a parlare
nell'episodio, mentre Paolo si limita ad ascoltare e a piangere: si presenta come una donna colta,
esperta lettrice e conoscitrice di quella letteratura amorosa di cui Dante era stato un produttore e
ciò spiega perché il poeta si senta particolarmente coinvolto nel suo peccato.
Già nella sua prosopopea Francesca indica Ravenna con un'elegante perifrasi geografica (è la
città che sorge sul delta del Po, dove il fiume sfocia per aver "pace" coi suoi affluenti),
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poi parla di sé e di Paolo con la celebre triplice anafora dei vv. 100-108, che riprendono i
dettami dell'amor cortese e citano i testi dello Stilnovo; il v. 100 combina insieme due versi
della canzone di Guinizelli Al cor gentil e del sonetto di Dante Amor e 'l cor gentil sono una
cosa, del cap. XX della Vita nuova , mentre il v. 103 riprende un concetto espresso da A.
Cappellano nel trattato De amore, ovvero l'impossibilità per chi è amato di non riamare a sua
volta.
L'amore peccaminoso tra Paolo e Francesca è nato quasi per caso, durante la lettura comune di
un libro (il romanzo cortese che narra la storia di Lancillotto e Ginevra) che ha mostrato loro la
relazione di due personaggi d'eccezione, spingendoli a mettere in pratica gli stessi
comportamenti nella vita: ciò li ha portati a peccare e attraverso questo esempio Dante intende
condannare almeno in parte la letteratura cortese, che se fraintesa dai lettori può provocare
turbamento e portare alla dannazione eterna. In questa condanna Dante include anche parte
della propria opera, dal momento che in questa fase della sua produzione poetica egli ha ormai
superato lo Stilnovo ed ha intrapreso un percorso che lo porterà agli altissimi versi
del Paradiso, dove l'amore cantato sarà quello di Dio e non quello cortese che, se male
interpretato, può causare danni irreparabili al pubblico. Non è del resto un caso se Francesca sia
il primo dannato con cui parla Dante, mentre Guinizelli e Arnaut Daniel saranno gli ultimi
penitenti da lui incontrati in Purgatorio, entrambi inclusi tra i lussuriosi e puniti in quanto
produttori della stessa poesia amorosa di cui Francesca è rimasta vittima