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Mentre l'Italia discute su Sanremo, su Conte e su Draghi e sul vaccino (sì, ma quale e
per chi?), di Covid si continua a morire. La triplice alleanza “Riposo, tachipirina e
tampone (spesso aspettando giorni e giorni)” continua a mietere ricoveri e vittime.
Eppure c'è chi dice che con i farmaci giusti e con una cura tempestiva si possono evitare
intasamenti dei pronti soccorsi e morti, anche. Lo dicono diversi medici di famiglia, da
diverso tempo.A Piero Sestili, docente di farmacologia all'università di Urbino, con
pubblicazioni internazionali, una domanda secca: Professore, ma non è folle che ancora
non ci siano delle linee guida per il trattamento domiciliare del paziente covid?
«Sembrerebbe folle, ma non è follia. E’ disinteresse? Scarsa competenza? Non so. E’
una cosa che però mi lascia perplesso. Non si tratta di inventarsi chissà cosa. Solo di
applicare alcune nozioni di base della farmacologia una volta chiarite le basi
patogenetiche di Covid, che sono state comprese meglio da almeno dieci mesi. Mi
spiego: Covid, più che una singola malattia, sembra essere una duplice malattia. Una
prima legata al virus, meno pericolosa, un’altra più pericolosa che sembra prendere le
consegne dal virus per poi innescare una reazione infiammatoria polmonare e sistemica,
a volte letale. Sul virus possiamo agire – come stiamo facendo - con la vaccinazione,
con gli anticorpi monoclonali e con i farmaci antivirali (questi ultimi in fase di sviluppo).
Ma ancora queste misure non hanno raggiunto una diffusione tale da garantire piena
efficacia. E allora, per chi si ammala oggi e continuerà ad ammalarsi domani, occorre
concentrarsi sulla “seconda malattia”, l’iperinfiammazione, cercando di prevenirla da
subito. Lo si può fare a patto che si ammetta ufficialmente il valore degli antinfiammatori
non steroidei (per esempio acido acetil salicilico, ibuprofene ecc.) al posto del
paracetamolo, l’efficacia spesso risolutiva del cortisone e poche altre indicazioni. E
soprattutto è fondamentale che si riconosca l’importanza di agire subito, senza aspettare
l’evoluzione dei sintomi. La “vigile attesa” ministeriale mi rimanda al capezzale dei
moribondi narrati da Emìle Zola, nell’800…»
Lei con altri docenti universitari, ricercatori e medici ha bussato alla porta del ministro
della salute. Ma senza ottenere risposta.
«Vero. Il 24 aprile scorso tramite i parlamentari Alessia Morani ed Emilio Carelli
consegnammo nelle mani di Speranza e Sileri un appello ampio e articolato. Tra i primi
firmatari Roberta Ricciardi, Matteo Ciuffreda, Natalia Pizzi, Stefano Manera. Poi molti
altri medici, circa 40, colleghi universitari di discipline biomediche e farmacisti. Un
parterre molto qualificato che garbatamente, sommessamente, invitava il Ministro a
riflettere e far riflettere gli organi tecnici sulla opportunità (necessità?) di uscire dalla
logica della terapia intensiva, della corsa in ospedale, dell’ossigeno che nemmeno si
trovava, e verificare se quello che non si stava facendo - cioè curare a casa - fosse
invece possibile. Oltre alla domanda, cercammo di fornire una risposta: antinfiammatori,
cortisone, eparina, antibiotici se necessari e tempestività. Giocare d’anticipo, insomma.
Al tempo indicammo anche l’idrossiclorochina, unica a godere di ottima reputazione
anche presso il Ministero. Strano che il Ministero, sempre assai critico verso i comuni
antinfiammatori, avesse tollerato, se non accolto favorevolmente, l’idrossiclorochina che
poi divenne invece il farmaco più discusso. Forse prevalse l’indirizzo di accettare
acriticamente le indicazioni provenienti dalla Francia, dal Ministro della Salute Olivier
Veron che, spinto dai gruppi di ricerca marsigliesi di Raoult e Micallef, tifava per
clorochina e paracetamolo, e fischiava contro cortisone e antinfiammatori. Molte altre
indicazioni, invece, vennero accolte dal nostro Ministero così come il nostro appello: non
degnandole di alcuna risposta».
Alcuni medici insistono nel dire che, se somministrata nei primi giorni, l'idrossiclorochina
abbinata a un antibiotico (azitromicina) funziona.
«L’idrossiclorochina oggi ha perso molto dello “smalto” iniziale non avendo confermato
l’efficacia attribuitagli fino a maggio scorso (ma non c’è ancora oggi pieno consenso);
anche l’antibiotico azitromicina è stato rivalutato in senso critico: anche io sono scettico
sull’uso generalizzato e indiscriminato di un antibiotico in assenza di una sospetta
sovrainfezione batterica. Inoltre al “decalage” di questi farmaci ha anche contribuito il
fatto che l’uso sapiente (la sapienza la mette il medico curante) e tempestivo dei farmaci
che ho citato - antinfiammatori, cortisonici, eparina, antibiotici se necessari - dà di per sé
risultati considerevoli».
Nei mesi scorsi lei e Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, avete dato indipendentemente indicazioni anche con altri
farmaci. C'è dunque, un ventaglio, di ipotesi di cura.
«Sull’utilità di questi farmaci in diverse combinazioni c’è molto più di una ipotesi. Ci sono
risultati e osservazioni cliniche, Il gruppo dei Prof. Remuzzi e Suter li hanno pubblicati; lo
staff del Professor Cavanna pubblicherà a breve le sue eccezionali esperienze di cura.
Molti altri studi stanno emergendo in Europa, USA e altri Paesi. Lo so perché come
coeditore di un numero speciale della rivista Frontiers in Pharmacology dedicato alle
cure precoci di Covid li ricevo in anteprima. Molti articoli ci stanno pervenendo
dall’estero, ad esempio, sull’utilità dei farmaci antistaminici. Si tratta di studi svolti in
strutture ospedaliere da professionisti qualificati, sottoposti a revisione critica di esperti
anonimi prima di poter essere pubblicati. Non sono né chiacchiere da Facebook nè da
bouvette del Parlamento, con tutto il rispetto dovuto. Questi risultati non sono stati
ottenuti, prevengo le critiche che immagino mi verranno rivolte, in studi clinici
randomizzati che sono quelli più adeguati a verificare l’efficacia di un trattamento
farmacologico. Sono case studies, oppure osservazionali ma con adeguati controlli, più
che sufficienti comunque a rischiarare il cammino in una situazione di emergenza,
specie se parliamo di farmaci “repurposed”, cioè già in uso per altre patologie. Gli studi
randomizzati sono l’optimun, sì, ma hanno il difetto di dare risultati solo dopo un lungo
periodo: anche accelerandoli al massimo parliamo comunque di un anno e più, e di
tempo come sappiamo non ce n’è e non ce n’era. E a chi, ancora scettico protestasse
che queste evidenze non sono sufficienti, replico che quando una malattia non si
conosce a fondo (come Covid) l’evidenza non è una rivelazione, ma va costruita giorno
per giorno anche coi tentativi».
C'è un punto fermo, comunque: i farmaci vanno prescritti da un medico. Anzi due punti
fermi: intervento tempestivo del medico che prescrive i farmaci. Con il Covid non si deve
perdere tempo
«Certo, come dicevo il ruolo del Medico di Medicina Generale, o del medico curante, è
fondamentale, dirimente. Nessuno, men che meno il sottoscritto può entrare nelle
dinamiche di cura del paziente. Ma il medico, se confortato da una base di consenso
scientifico come sarebbero gli indirizzi terapeutici emanati da autorità competenti, è
agevolato e valorizzato nel proprio ruolo. E non mi scandalizzo se un medico obietta alle
considerazioni mie o di altri dicendo “scusi ma lei chi è? Se il mio Ministero, il mio Ordine
mi dicono paracetamolo, e cortisone solo dopo tre giorni dalla persistenza di sintomi
abbastanza seri io medico, se permette, seguo queste indicazioni, non le sue!”. Se
invece si restituisse al Medico “di famiglia” piena dignità operativa e di ruolo,
sottolineando l’importanza di intervenire senza porre indugi all’uso dei farmaci che sanno
usare a occhi chiusi, forse oggi conteremmo molti meno ricoveri (evento comunque
angosciante per il paziente e stressante per gli ospedali).Sulla tempestività, infine, mi
piace ricorrere una metafora: con una copiosa perdita d’acqua in casa, useremmo subito
degli asciugamani (quello che abbiamo in casa, cioè le cure precoci) per raccoglierla
prima che dilaghi, o non faremmo niente (la vigile attesa!) aspettando l’idraulico? Certo,
con gli asciugamani non blocchiamo la perdita, ma almeno non allaghiamo il piano sotto!
In realtà, invece, non si è puntato affatto sugli asciugamani…».
Il fatto che queste linee guida vengano ignorate dà una grossa mano alle tesi