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Corso di “Storia dei sistemi produttivi musicali”, professor David

Douglas BRYANT
1. La musica come forma d’arte e/o forma di artigianato
Quando si parla di produzione musicale, si pone sempre l’accento sulla parte estetica, sulla parte,
potremmo dire, “di facciata”. Si considera la musica come un prodotto bello, come mera produzione
artistica. Ci si dimentica, però, che la musica è anche una forma di artigianato, un prodotto pratico, soggetto
alle leggi economiche delle diverse società. Bisognerebbe, a mio parere, abbandonare l’idea romantica
dell’artista, nel caso specifico, del compositore che, ispirato dalle muse o da qualsivoglia entità astratta,
compone qualcosa di meramente eccezionale. Certamente il compositore compone un’opera per mezzo di
ispirazione, inoltre una composizione sicuramente ha un importante valore estetico ma non solo. Il
compositore, prima di tutto, compone per esigenze economiche, per ricavare profitto. Ne consegue, quindi,
che il compositore è soggetto alle leggi del mercato che in ogni epoca prediligono che i prodotti vengano
eseguiti in abbondanza e in poco tempo.
Si potrebbe fare un semplice esempio. Il compositore Antonio Vivaldi compone nel 1725 la raccolta
di 12 concerti per violino solista, Il Cimento dell’armonia e dell’invenzione. Di questa raccolta il primo
movimento del primo concerto, detto La Primavera, viene ripreso in altre opere dello stesso compositore
con numerose varianti. Infatti, per esempio, nel Coro delle ninfe della Dorilla in Tempe (Venezia, 1726)
viene riutilizzato il tema della Primavera sia nell’ouverture (qui in un’altra tonalità, do maggiore, laddove
nel concerto originario era mi maggiore) che nel coro, dove viene ripreso integralmente il tema nella
medesima tonalità. Viste queste premesse, si potrebbe anche comprendere come mai Vivaldi abbia deciso di
far pubblicare i concerti del Cimento dell’armonia e dell’invenzione ad Amsterdam, presso l’editore Le
Cène, piuttosto che in Italia. La pubblicazione ad Amsterdam gli avrebbe garantito un buon successo
economico nell’Europa settentrionale ma contemporaneamente avrebbe permesso allo stesso Vivaldi di
riutilizzare quegli stessi concerti in altri lavori, con il minimo sforzo.
Un concetto del genere è simile alle formule tipiche della poesia epica classica. Infatti, nella
composizione di un poema epico, i poeti, i rapsodi avevano a disposizione una fitta trama di elementi, di
frasi, di semplici concetti che garantivano da un lato un’immediata memorizzazione, dall’altro una certa
facilità compositiva, in quanto perfettamente inseribili all’interno del procedimento metrico.
Alcuni esempi di queste formule sono: gli epiteti, ovvero aggettivi ed espressioni ricorrenti affibbiate a
determinati personaggi e/o situazioni (es: Achille è definito “piè veloce”); i patronimici (Pelide, ovvero
figlio di Peleo; Atride, figlio di Atreo). Tutte queste espressioni garantiscono un’immediata memorizzazione
per il cantore grazie alla loro ripetitività, mantengono elevata l’attenzione del pubblico e permettono una
composizione più semplice in quanto queste espressioni, in lingua greca, riescono a incastrarsi perfettamente
all’interno del complesso sistema metrico dell’esametro.

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Esempi di riutilizzo si possono trovare anche nelle arti visive. In pittura come in scultura si possono
trovare moltissimi temi ricorrenti, se non addirittura veri e propri materiali riciclati. In epoca tardo-antica e
medievale erano diffusissimi i riusi di materiale, soprattutto d’epoca romana, nella costruzioni di basiliche e
cattedrali. Basti pensare, per esempio, ai fregi e ai rilievi dell’arco di Costantino (315 d.C.). I tondi risalgono
all’epoca adrianea così come sono presenti rilievi e fregi risalenti all’impero di Marco Aurelio e Traiano.
Tutti questi rilievi, detti “di spoglio” 1, sono utilizzati non solo per semplificare ulteriormente il lavoro di
realizzazione dell’opera, ma anche perché essi si collegano a imperatori molto famosi e amati dalla
popolazione romana. Il fatto che, quindi, venissero riutilizzati degli elementi appartenenti a personaggi di
spicco della realtà romana avrebbe potuto garantire all’imperatore un’eccellente richiamo politico per la
popolazione, in quanto avrebbe manifestato la volontà di richiamarsi come modello ai grandi imperatori del
passato ed emularli.
Si può notare, quindi, come l’arte non sia solo mera espressione estetica ma anche, prima di tutto, un
prodotto artigianale ed economico. Lo dimostrano, infatti, i numerosissimi riutilizzi in campo musicale così
come nelle arti visive, motivati sia da esigenze economiche che culturali.

2. Rapporto tra atto compositivo ed atto esecutivo


La storiografia musicale per molti secoli ha fatto una certa distinzione tra l’atto compositivo, la
partitura, e l’atto esecutivo, distinzione che è, però, molto labile e varia in relazione alle varie culture e
civiltà2. Il rapporto tra questi due atti è molto complesso. Se, da un lato, la composizione, la partitura, si può
dire rimanga più o meno invariata nel lungo termine, lo stesso non si può dire dell’esecuzione. Infatti, è
nell’atto esecutivo che si realizza l’azione economica della composizione, l’atto del far conoscere la
composizione e del guadagno, che non sempre coincide con la partitura.
Per fare un esempio di questo concetto, potremmo guardare alle musiche per la terza ora di preghiera
del compositore fiorentino Pietro Lappi (1575 – 1630). Queste, come ben evidenziato anche nel frontespizio
dell’opera, sono delle musiche da chiesa contenenti varie preghiere (si nota, per esempio, un Te deum) e
litanie. La partitura dice che la composizione dovrebbe essere eseguita a 8 voci, suddivise in due cori da 4
voci ciascuna. In realtà, l’esecuzione non è assoggettata alla partitura. Ci dice lo stesso compositore, infatti,
che a piacimento la composizione può essere eseguita con voci soliste e accompagnamento d’organo o di
qualsiasi strumento a piacere (violino, viola). Inoltre la melodia della partitura è estremamente semplice, con
note ribattute senza grossi cambiamenti tonali. Saranno gli esecutori, durante l’esecuzione, ad aggiungere
eventuali fioriture e/o abbellimenti. Si può scegliere, quindi, di eseguire la partitura così come è scritta
oppure di modificare il numero di esecutori o la melodia stessa, considerando la partitura come semplice
materiale d’uso.

1
http://www.sapere.it/enciclopedia/spòglio².html
2
Boris Porena, Musica Riflessa, Lulu, 2017, p. 204
2
Emerge, quindi, come la composizione non sempre coincida con l’esecuzione. Piuttosto la si
potrebbe considerare come un punto di partenza per la messa in vendita delle proprie capacità. Il
compositore, infatti, vende una melodia piuttosto semplice e, quindi, eseguibile da una larga fetta di persone,
garantendosi, in questo modo, lauti guadagni. Allo stesso tempo gli esecutori saranno liberi di modificare a
loro piacimento, a seconda dell’occasione e della loro personale abilità tecnica, la composizione durante
l’esecuzione. Il compositore, in sintesi, fornisce semplici materiali d’uso per la vendita che potranno essere
riutilizzati a piacimento dagli acquirenti.
Un principio simile è presente in tutte le arti, letterarie e visive. È già stata citata precedentemente
l’epica, caratterizzata da una forte auralità, laddove il testo poetico scritto era un semplice materiale di
partenza per l’esecuzione orale. Si potrebbe, però, parlare anche della prosa. Pensiamo, per esempio, a
Erodoto e alle sue Storie. Esse non erano altro che una raccolta di “logoi”, ovvero di discorsi, di racconti
contenenti descrizioni etnologiche di diverse popolazioni dell’Asia e dell’Africa (Egizi, Etiopi, Persiani),
che fornivano da supporto scritto per una sorta di conferenze, “performance” orali che venivano tenute in
varie aree d’influenza greca. Anche qui è evidente il rapporto tra atto compositivo ed atto esecutivo. Poeti e
logografi componevano dei testi scritti che venivano, poi, eseguiti oralmente. La diffusione orale del testo
consentiva loro di raggiungere una certa fama, garantendo una rapida ed immediata diffusione della
composizione.
Stesso discorso si potrebbe fare per la cosiddetta “performance art”, diffusa soprattutto a partire dagli
anni sessanta. Come dice il nome stesso, si parla di un’arte basata sull’esecuzione e sul rapporto diretto tra il
corpo dell’artista, che può anche mettersi letteralmente a nudo, e il pubblico che può interagire con esso.
Si potrebbe prendere, come esempio specifico, la celebre performance Rythm 0 dell’artista serbo –
statunitense Marina Abramović, avvenuta presso lo studio Morra di Napoli, nel 19763. In quest’installazione
l’artista posa su un tavolo diversi oggetti, come una rosa, del pane, delle forbici, un piatto, alcuni con finalità
legate al piacere, altre al dolore, inoltre è presente pure una pistola. Viene detto al pubblico presente che per
sei ore l’artista avrebbe concesso in maniera totalmente passiva il proprio corpo al pubblico, che avrebbe
deciso come interagire con lei e gli oggetti presenti sul tavolo. Se per le prime ore il tempo passava piuttosto
tranquillo, con i presenti che semplicemente osservavano il corpo dell’artista oppure le posavano gli oggetti
gentilmente, appena il pubblico si rese conto della totale accondiscendenza dell’artista, i contatti e le
provocazioni aumentarono. Ci fu chi le strappò i vestiti, chi le bucava la pelle con le spine della rosa, chi le
provocava delle ferite con delle lame e chi addirittura tentò di violentarla. A un certo punto tra i presenti si
formarono due gruppi: chi la aggrediva e ne violava il corpo; chi cercava di difenderla. Proprio quando le sei
ore stavano per finire, qualcuno puntò la pistola alla sua tempia. In quel momento, nel preciso istante in cui
la performance finì, tutti i presenti si trovarono davanti a ciò che avevano fatto: un corpo nudo e
insanguinato privo di qualunque dignità e considerazione, violentato da persone che, fino a quel momento,
non avrebbero mai pensato di essere capaci di simili atrocità.
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https://www.storienapoli.it/2017/09/20/rhytm-0-la-performance-marina-abramovic/
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Con questo esempio si può ben comprendere il rapporto esistente tra l’atto compositivo e quello esecutivo.
L’artista ha progettato una performance che, nel momento dell’esecuzione, ha raggiunto esiti inaspettati per
la stessa artista, come ha dichiarato in un’intervista nel 2016 4. Si può ben dire, quindi, che composizione o,
come nel caso precedentemente descritto, progettazione ed esecuzione non procedano necessariamente su
una stessa linea. Anzi, l’esecuzione può produrre degli effetti inaspettati volontari (come nel caso degli
esecutori di una partitura musicale) oppure involontari, come nel caso della Performance art.

3. La composizione musicale e il suono della musica come simbolo socio - economico


La musica, come tutte le arti, ha anche un’importante connotazione socio – economica e politica.
Prendiamo come esempio due madrigali: uno è Il bianco e dolce cigno di J. Arcadelt, compositore franco –
fiammingo di largo successo nel XVI sec.; l’altro è Io parto e non più dissi di Carlo Gesualdo.
I due madrigali non potrebbero essere più diversi. Il primo, di Arcadelt, è una composizione piuttosto
semplice, caratterizzata dalla melodia lineare e consonante armonicamente parlando. Dal punto di vista
contrappuntistico, le diverse voci cantano in maniera omogenea, omofonica e omoritmica, senza grandi
divisioni. Si tratta, infatti, di un madrigale per un largo consumo, dedicato a degli esecutori non
particolarmente abili, atto, quindi, a un’esecuzione di consumo.
Situazione diametralmente opposta è quella rappresentata dal madrigale di Carlo Gesualdo, principe
di Venosa. Qui la melodia è ricca di fioriture e virtuosismi, oltre che di dissonanze. Addirittura, alla strofa “o
interrotti omei”, il compositore inserisce una pausa che imita i singhiozzi. Questo madrigale è, infatti,
dedicato a un’esecuzione cortese, dove gli esecutori sono molto abili. Lo dimostra la tessitura stessa della
partitura e il fatto che non sia mai stata pubblicata per la larga diffusione.
È importante il rapporto che lega la musica e, in generale, l’arte con la società. Le opere d’arte sono
prodotte sempre per un contesto e sulla base di esso costruiscono la propria fisionomia. Nel caso visto
precedentemente in esame, abbiamo notato come il madrigale di Arcadelt fosse piuttosto semplice da
eseguire in quanto dedicato al largo consumo, mentre il madrigale di Gesualdo, in quanto rappresentazione
di un’elite, fosse assai più complesso e virtuosistico.
Anche nella letteratura possiamo notare come le composizioni possano variare in base al contesto.
Pensiamo, per esempio, alle cosiddette Laude d’epoca medievale. Si tratta di canzoni a tema sacro in lingua
volgare con lo scopo di avvicinare i fedeli, che non conoscevano la lingua latina e né i testi sacri, alla vita
religiosa, permettendo una loro maggiore partecipazione. Queste laude, i cui compositori più famosi sono S.
Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi, potevano addirittura essere recitate, sfociando in quella che diverrà
la Sacra rappresentazione. Queste composizioni hanno un’importante valore sociale. Permettono, infatti,
grazie al linguaggio semplice e popolare, l’avvicinamento dei fedeli alla vita religiosa, la conoscenza delle
usanze e dei contenuti sacri, accessibili altrimenti solamente a coloro che conoscono la lingua latina.

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https://www.youtube.com/watch?v=xTBkbseXfOQ&t=0ms
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4. Il peso del quotidiano e della consuetudine vs. il peso dell’innovazione nella storia della
musica. L’importanza della quotidianità e della consuetudine nella pratica museale come
garante della stabilità economica della professione
Il Concetto precedentemente affrontato s’inserisce nel tema generale del rapporto tra consuetudine e
innovazione. Si tende a considerare nella storiografia musicale l’eccezione come la regola. Per fare un
esempio, si parla quasi sempre della contrapposizione tra la realtà musicale veneziana, identificata con la
cappella ducale di S. Marco, e la realtà romana, identificata con la cappella papale. La realtà è, però, ben
diversa. Infatti la realtà musicale della Basilica di S. Marco non rappresenta la consuetudine: stiamo
parlando, infatti, di una cappella principesca, della cappella privata del doge, la cui musica sarà,
inevitabilmente, di qualità diversa rispetto a tutte le altre chiese presenti nel territorio veneziano.
Certamente l’innovazione è molto importante in quanto garantisce lo sviluppo delle pratiche
artistiche ma non si può non tenere conto della realtà consuetudinaria.
Importanti fonti per scoprire la realtà musicale veneta sono i documenti di natura fiscale contenenti le
dichiarazioni delle decime che il clero veneto versava alle autorità locali. Tali documenti venivano
compilati ogni tre anni ma, confrontando tra loro i dati, si può notare come in linea di massima le
informazioni rimangano più o meno le stesse, in quanto gli introiti erano piuttosto uguali.
Da questi documenti possiamo comprendere come ogni chiesa, da quelle principali come I Frari o S.
Zanipolo a quelle minori, avesse una o più cappelle musicali e ingaggiasse per le festività principali gruppi
più o meno numerosi di musicisti. I musicisti e cantori non venivano ingaggiati soltanto durante la festa del
santo titolare o per tutte le feste del calendario liturgico (Pasqua, Candelora, Natale) ma anche per le feste
dei santi degli altari laterali, nelle chiese che li possedevano. A queste festività bisogna, naturalmente,
aggiungere tutte quelle occasioni quali battesimi, matrimoni, ordinazioni sacerdotali.
Tutto questo costituiva per i musicisti importanti occasioni di lavoro, grazie, soprattutto, alla ciclicità
di queste occasioni, che rappresenta realmente la natura consuetudinaria di questa realtà musicale. Lavori
che non di rado venivano trasmessi in famiglia, in quanto occasioni di guadagno stabili. È così che si
formarono nel tempo vere e proprie grandi famiglie di musicisti.

5. La storiografia delle eccezioni vs. la storiografia del normale


Anche dal punto di vista storiografico si possono notare delle differenze tra l’eccezione e la
consuetudine. Per quanto tradizionalmente la storiografia musicale si sia basata soprattutto sulla descrizione
e l’analisi dell’eccezione, risulta fondamentale anche l’analisi e lo studio dei fenomeni consuetudinari, più
diffusi. Questo porta inevitabilmente ad avere una storiografia più completa e, soprattutto, più aderente alla
realtà.
Si potrebbe fare un semplice esempio, oltre a quello già evidenziato sopra relativo alla musica sacra
nelle chiese veneziane oltre alla cappella ducale. Pensiamo all’opera Orfeo di Claudio Monteverdi, andato in

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scena presso la corte di Mantova nel 1607 e confrontiamolo con un altro Orfeo, di Antonio Sartori
(compositore) e Aurelio Aureli (librettista).
Il primo Orfeo fu rappresentato durante un’occasione di grande importanza: le nozze tra il duca Vincenzo
Gonzaga ed Eleonora de’ Medici. Si trattava di un’unione dinastica tra due delle più importanti famiglie del
tempo. L’occasione era, quindi, impregnata di un forte significato politico. L’esecuzione fu, quindi,
enormemente sfarzosa, corredata di eccellenti solisti, un grande organico orchestrale e perfino dei ballerini
presenti sulla scena. L’evento era stato costruito in modo da risultare memorabile, anche e, soprattutto, allo
scopo di esaltare lo sfarzo, la ricchezza e il potere della corte di Mantova. La stessa partitura esemplifica un
concetto simile. Essa è, infatti, ricca di informazioni relative all’organico e alle modalità d’esecuzione. Si
potrebbe parlare di opera Souvenir, ovvero di un’opera riprodotta in stampa con il semplice scopo del
ricordo per i partecipanti dell’evento, irripetibile, tanto più che l’opera venne eseguita poche volte e circolata
in maniera limitata.
Caso totalmente diverso rappresenta l’Orfeo di Antonio Sartori. Innanzitutto non possediamo
nemmeno la partitura originale, quanto, piuttosto, una sua copia fatta eseguire dall’impresario teatrale Marco
Contarini. Qui le informazioni, rispetto all’opera di Monteverdi, sono assai scarse. Non abbiamo la
descrizione dell’organico, né tantomeno la descrizione delle modalità d’esecuzione. Inoltre possiamo
immaginare che l’organico, rispetto all’opera omonima di Monteverdi, sia decisamente ridotto.
Si può, quindi, notare, con questo esempio, come la storiografia dia molta più importanza alle opere e
alle situazioni d’eccezione, d’elite, rappresentate dall’opera di Monteverdi, invece che alle situazioni
consuetudinarie, di più ampio consumo, dal momento che l’opera del Sartori possiede pochissime
informazioni.

6. L’importanza della funzione – o dell’insieme delle funzioni – di una composizione


musicale nel determinare la sua fisionomia e il suo suono
Nell’arte il concetto di funzione è fondamentale. È in base all’occasione che un artista crea un’opera
e può, eventualmente, modificarla. L’occasione e la funzione dell’opera risulta inevitabilmente connessa
all’esecuzione, per mezzo della quale si realizza l’attività economica e sociale dell’arte.
Inevitabilmente un concetto simile porta l’artista a sacrificare, in nome di una maggior facilità
lavorativa e un maggior guadagno, la propria libertà artistica. Abbiamo già fatto l’esempio di Antonio
Vivaldi e del suo riutilizzo del tema della Primavera nell’opera il Giustino e ne la Dorilla in Tempe; così
come abbiamo visto nelle litanie e nei canti per la terza di preghiera di Pietro Lappi come gli esecutori
possano modificare sulla base delle proprie necessità la partitura.
Un concetto simile si applica anche nella fisionomia di una composizione musicale e nel suo suono.
Prendiamo, come esempio, il melodramma. Nel melodramma, per mezzo della compresenza di musica e

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scena, il compositore deve rappresentare determinati stati d’animo e nel farlo utilizza dei meccanismi
standardizzati, comuni a tutti i compositori.
Prendiamo, per esempio, l’opera Il Giustino di Vivaldi. La trama narra delle vicende eroiche di un giovane
contadino, Giustino, che decide, in seguito al sogno della dea Fortuna, di combattere come militare per
l’imperatore di Bisanzio, Anastasio, in guerra contro Vitaliano. Nel momento in cui, nell’atto primo, un
messaggero si reca alla corte di Anastasio per comunicargli offensive condizioni di pace, tra le quali la
concessione della mano della moglie di Anastasio, Arianna, a Vitaliano, Anastasio rifiuta sdegnosamente e
dichiara guerra a Vitaliano cantando un’aria di guerra, slanciata e concitata, e successivamente un’aria di
lamento, colma di dolore, caratterizzata da una scala discendente. Prendendo ad esempio proprio quest’aria,
si può notare come un meccanismo simile venga utilizzato da altri compositori per esprimere il medesimo
stato d’animo. Il compositore inglese Henry Purcell nel suo celeberrimo Lamento di Didone utilizza,
nell’esprimere il dolore della protagonista per l’abbandono dell’amato Enea, ugualmente delle scale
discendenti. Questa è la dimostrazione di come, per esprimere determinati stati d’animo, i compositori
utilizzino meccanismi standardizzati.
Meccanismi simili si possono trovare anche nelle altre arti, per esempio nel teatro. In particolare,
soprattutto nell’era dei grandi divi e dive di Hollywood degli anni ’40, era molto diffusa una tecnica di
dizione molto particolare, oggi considerata eccessivamente manieristica e viziata: il Birignao5. Il Birignao è,
nello specifico, una tecnica recitativa caratterizzata da una dizione leziosa ed eccessivamente artificiosa,
dove il linguaggio del corpo, qui detratto in favore dell’espressività vocale, viene utilizzato solamente per
mezzo di clichè. Abbiamo, per esempio, l’aggrottarsi delle sopracciglia per indicare rabbia, il portare la
mano alla fronte per indicare il pensiero. Si tratta di clichè che, seppur in misura minore, vengono utilizzati
ancora oggi, seppur il birignao si sia decisamente ridotto e venga considerato genericamente un difetto di
dizione, per esprimere determinati stati d’animo.
Anche nelle arti visive la rappresentazione è soggetta alla funzionalità dell’opera. Basti pensare, per
esempio, all’arte sacra, alle pale d’altare. Gadamer, filosofo tedesco del XX sec., parla di Differenziazione
dell’estetico6, ovvero di come le opere d’arte, sacre e non, siano state tolte dal loro contesto originario e
messe all’interno di un ambiente astratto, “differenziato” (quale può essere, per esempio, un museo o una
galleria d’arte) che ne consentirebbe la pura contemplazione estetica privandole della loro originale
funzione. In realtà le opere d’arte che noi vediamo nei musei avevano al tempo una loro funzione e
funzionalità. Per esempio l’arte sacra, le pale d’altare erano nel periodo medievale ma anche nel ‘900
venerate come presenza del divino. I fedeli le adoravano in occasione della festa del santo ed elargivano
anche cospicue offerte per la manutenzione delle opere.

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Spiegazione del termine Birignao
https://www.youtube.com/watch?v=wJQizBpVkgw
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H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, 2001
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L’arte e la musica non ha, quindi, solo ed esclusivamente un valore estetico ma anche una sua
funzionalità economica e sociale come prodotto d’artigianato, funzionalità che deve essere inclusa e
analizzata nel momento in cui si traccia un’eventuale storiografia della musica.
Bibliografia
- David Bryant, Elena Quaranta e gruppo di lavoro “Treviso” dell’Università Ca’ Foscari di Venezia,
Come si consuma (e perché si produce) la musica sacra da chiesa? – sondaggi sulle città della
Repubblica Veneta e qualche appunto storiografico
- De Vecchi, Cerchiari, Arte nel tempo, Bompiani, 2006 (vol. 1)
- David Bryant, Elena Quaranta, Per una nuova storiografia della musica sacra da chiesa in epoca
pre – napoleonica
- H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, 2001
- Boris Porena, Musica Riflessa, Lulu, 2017, p. 204 (via Google Books)

Sitografia
- Definizione del termine Spoglio: http://www.sapere.it/enciclopedia/spòglio².html
- Per la descrizione dell’esibizione Rythm 0 di Marina Abramovic:
https://www.storienapoli.it/2017/09/20/rhytm-0-la-performance-marina-abramovic/

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