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Gli esopianeti: caratteristiche e nuove scoperte

Collegio Superiore dell’Università di Bologna, seminario ’Hot Topics


in Contemporary Astrophysics’, Anno 2020/2021

Dimitri Corradini

27 gennaio 2021

Introduzione
Gli esopianeti, o pianeti extrasolari, sono pianeti che non appartengono al sistema
solare[1]. Lo studio di tali corpi ha avuto inizio solo relativamente di recente, e
rappresenta un campo prolifico dell’astrofisica odierna. Tale ricerca, oltre a fornire
interessanti dati sulle generali caratteristiche dei pianeti e sul modo in cui si formano,
è affascinante anche per l’astrobiologia, permettendo di studiare la possibilità che la
vita si sia sviluppata in un pianeta lontano dalla Terra.

1 Storia delle osservazioni


Pur se teorizzati da centinaia di anni, la reale esistenza di corpi planetari esterni
al sistema solare è rimasta a lungo un’idea priva di conferme sperimentali. Negli
ultimi secoli molti astronomi hanno sostenuto di aver individuato oggetti di questo
tipo, spesso in conseguenza di anomalie nel comportamento di una stella; tuttavia
in ultimo esse sono risultate attribuibili a fattori esterni, quali calcoli errati o errori
sistematici degli strumenti. Solo nel 1992 è stato osservato con sicurezza il primo
sistema planetario extrasolare, grazie allo studio di dati sulla rotazione di una stel-
la pulsar[2]. Da allora, un affinamento dei metodi osservativi e un miglioramento
della tecnologia necessaria ha reso possibile identificare oltre 4300 esopianeti. La
missione che ha contribuito maggiormente a questa ricerca è certamente quella del
telescopio Kepler, sviluppato dalla NASA e rimasto in attività dal 2009 al 2018.
Equipaggiato per svolgere affinate misure fotometriche, grazie ad esso sono stati
identificati più di 2500 pianeti[3]. Il suo successore, TESS, è stato lanciato in orbita
due anni fa, e ad oggi ha individuato 2000 possibili esopianeti (non ancora confer-
mati). Altri contributi interessanti sono stati forniti anche da osservatori terrestri:
tra tutti, il progetto OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment) dell’Uni-
versità di Varsavia merita una menzione per avere individuato, grazie alla tecnica
del gravitational microlensing, pianeti anche molto lontani, appartenenti a stelle del
Centro Galattico[4].

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Figura 1: Mappa degli esopianeti individuati da Kepler, dove ogni piccolo simbolo
giallo rappresenta un esopianeta. A sinistra è indicato il sole, mentre a destra è
visibile il centro della Via Lattea. Immagine tratta dal sito della NASA[5].

Figura 2: Mappa di alcuni esopianeti individuati da OGLE, dove ogni piccolo sim-
bolo giallo rappresenta un esopianeta individuato con il metodo del transito, mentre
i simboli bianchi rappresentano pianeti scoperti grazie al microlensing. A sinistra
è indicato il Sole, mentre a destra è visibile il centro della Via Lattea. Immagine
tratta dal sito della NASA[5].

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2 Metodi osservativi
A causa delle loro piccole dimensioni, e non emettendo radiazioni intense, gli eso-
pianeti sono generalmente scoperti e studiati in maniera indiretta, principalmente a
causa degli effetti che hanno sulla gravitazione e la luminosità dell’astro che orbitano.

2.1 Velocità radiali


Metodo tuttora in uso, era tuttavia più comune nelle prime fasi della ricerca degli
esopianeti. Si basa sul fatto che pianeti massivi in orbite vicine al loro astro inducano
in questo una rotazione attorno al comune centro di massa, che quindi lo sposta
relativamente alla Terra in un moto periodico. L’indizio di questa variazione di
velocità radiale è ricavato dallo studio accurato dello spettro stellare, che mostra
in tal caso un blueshift e un redshift periodico. Sebbene tali variazioni di velocità
siano solitamente dell’ordine di qualche metro al secondo, gli strumenti odierni sono
in grado di osservarne l’evoluzione; tuttavia se il periodo di rivoluzione del pianeta
è lungo, tale processo può richiedere numerosi anni. Attraverso le velocità radiali
posso inoltre inferire la massa del pianeta osservato. Per limitazioni date dalla
precisione degli strumenti, risulta ad oggi quasi impossibile individuare in questo
modo pianeti lontani con una massa simile a quella della Terra.

2.2 Transito
Il metodo del transito sfrutta la variazione di luminosità dovuta al passaggio di un
corpo planetario davanti al disco della sua stella. Tale variazione è in percentuale
minima, ma risulta ad oggi piuttosto facile osservare con precisione eventi di questo
tipo. In base a quanto impiega il pianeta per entrare nel disco della stella, alla
durata e alla profondità del transito (ovvero a quanto varia la luminosità osservata),
è possibile giungere a considerazioni sull’orbita e sulle dimensioni del pianeta, e si
possono ottenere indicazioni di massima circa la composizione della sua atmosfera.
Chiaramente tutto ciò è possibile nel solo caso in cui ci sia un allineamento quasi
esatto tra il piano orbitale e l’angolo di osservazione, che è in generale un caso
piuttosto raro. Inoltre, spesso sono scambiati per transiti eventi che con essi non
hanno nulla a che vedere, e il numero di falsi positivi è piuttosto alto[6]. Il satellite
Kepler della NASA faceva prevalentemente uso di questa tecnica.

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Figura 3: Esempi di dati tipici su transito e velocità radiali in una stella dotata di
un pianeta. Credit: Treccani

2.3 Microlente gravitazionale


Il microlensing, o microlente gravitazionale, è ad oggi il terzo metodo per numero
di pianeti osservati, ed è stato il primo a raggiungere una precisione tale da rendere
possibile osservare pianeti simili alla Terra in stelle della sequenza principale (ovvero
stelle ”comuni”). L’utilizzo di questo metodo è però limitato dall’estrema rarità
dell’evento osservato e dalla sua non-replicabilità: si studiano infatti gli allineamenti
fra due stelle e la nostra linea di osservazione. I fotoni provenienti dalla stella più
lontana dalla Terra sono in questo caso visibili in un anello attorno alla stella più
vicina, per effetto della deformazione dello spazio da essa provocata. Se quest’ultima
ha un pianeta, inoltre, esso contribuisce alla deformazione; è pertanto possibile
inferirne l’esistenza, oltre che la massa approssimativa.

2.4 Altri metodi


I primi esopianeti osservati sono stati scoperti per l’effetto che avevano sulla pulsazio-
ne della stella pulsar che orbitavano. Data l’estrema regolarità del moto rotazionale
di queste stelle, è possibile compiere misure molto precise, e individuare pianeti
anche molto più piccoli della Terra; tale metodo è detto pulsar timing. La sua
utilità è però limitata dal fatto che raramente si formano pianeti attorno a stelle di
neutroni. Altri metodi includono l’osservazione diretta della radiazione termica
infrarossa del pianeta, o l’osservazione delle variazioni di intensità luminosa dovute
alla riflessione o all’emissione di radiazioni da parte di un pianeta vicino alla sua
stella.

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3 Caratteristiche degli esopianeti
La caratterizzazione degli esopianeti è di solito operata attraverso la misura della loro
massa e delle proprietà della loro atmosfera, deducibili dalle proprietà gravitazionali
e spettrali del corpo. L’età di un esopianeta è di solito stimabile attraverso modelli
teorici dell’evoluzione del sistema stellare di cui fa parte. Considerata la maggiore
facilità di osservazione di pianeti più grandi e massivi, non sorprende il fatto che la
grande maggioranza dei pianeti osservati sia costituita da corpi gassosi: tra questi,
quasi 1500 sono corpi nettuniani, simili ovvero a Nettuno e Urano per massa e, a
volte, per composizione. Quest’ultima caratteristica, tuttavia, è spesso difficile da
determinare per via delle spesse nubi, che assorbono buona parte delle radiazioni.
In qualche caso, quando è stato possibile osservare l’atmosfera, sono state trovate
possibili tracce di vapore acqueo[9]. La maggioranza di questi pianeti si trova oltre
la cosiddetta snow line, nelle zone periferiche dei sistemi stellari; tuttavia non manca
qualche eccezione, nella forma dei cosiddetti nettuniani caldi, orbitanti in prossimità
della loro stella. Altre tipologie comuni sono quelle dei pianeti gioviani (e i rispettivi
gioviani caldi ), di massa paragonabile a quella di Giove e fino ad arrivare, per i più
grandi, al limite inferiore delle nane brune (« 15MJ ). La formazione dei gioviani
caldi non è ancora stata compresa appieno; in particolare, è oggetto di dibattito
se essa avvenga in situ o ex situ, anche se la teoria più efficace sembra quella che
essi si formino nelle regioni esterne[10]. La terza categoria più osservata non ha
analogo nel nostro sistema solare, ed è pertanto forse la più interessante: si tratta
delle cosiddette Super Terre, corpi rocciosi e/o gassosi, di massa superiore rispetto al
nostro pianeta (2-10 MC ). Si tratta di una categoria potenzialmente molto variegata,
della quale per ora sappiamo poco. Vi sono poi alcune scoperte relative a pianeti
rocciosi con massa uguale o inferiore rispetto a quella della Terra; a causa delle
difficoltà osservative, e forse di una loro maggiore rarità, il numero di oggetti di
questo tipo ad oggi conosciuti è inferiore a 200.

4 Abitabilità
Si parla in generale di abitabilità per indicare la possibilità che un pianeta ospiti
la vita. Le condizioni affinché ciò avvenga sono solitamente assunte simili a quelle
che possiede la Terra: pianeta roccioso, presenza di acqua liquida, atmosfera stabile,
assenza di radiazioni stellari eccessivamente intense. Inoltre, la stella che ospita tali
pianeti non può essere troppo giovane, poiché si presume necessario che trascorra un
certo periodo di tempo prima della comparsa della vita. La maggioranza dei pianeti
extrasolari osservati non corrisponde certamente a questa definizione, e anzi solo
una minima percentuale di questi si può considerare simile al nostro pianeta. Per
permettere una più chiara classificazione in questo senso, è stato sviluppato l’ Earth
Similarity Index (ESI), un indice che si propone di quantificare la somiglianza degli
esopianeti alla Terra. Tuttavia non è detto che un indice più alto implichi maggiore
abitabilità, come spiegato in numerosi articoli[11]. Nel seguito sono approfondite
alcune delle caratteristiche più importanti per la caratterizzazione (finora ipotetica)
dell’abitabilità.

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4.1 Massa e composizione
La massa di un pianeta determina la gradazione con cui esso è in grado di attrarre
a sé gas per costituire un atmosfera. Inoltre, tanto minore è il raggio di un pianeta,
quanto più facilmente esso termina la sua attività geologica, a causa della perdi-
ta di energia dovuta a un rapporto superficie/volume maggiore. La composizione
della vita su altri pianeti si deve ritenere simile alla nostra, in quanto gli elementi
costituenti della biologia terrestre sono i più comuni elementi reattivi nell’univer-
so. Inoltre, è inevitabile che un pianeta che ospiti la vita debba possedere grandi
quantità di acqua. In analogia con la Terra, l’apporto di acqua liquida al pianeta
dovrebbe con ogni probabilità provenire da regioni remote del sistema stellare, do-
ve essa è rimasta allo stato solido. La presenza di comete potrebbe dunque essere
importante per lo sviluppo della vita.

4.2 Zona abitabile


La zona abitabile è la regione circumstellare entro la quale il calore emanato dal-
la stella permette l’esistenza di acqua liquida. In generale, le sue dimensioni e la
sua posizione variano ovviamente a seconda della tipologia dell’astro. Recentemente
sono state individuate numerose stelle aventi pianeti in questa fascia; tra tutti, è
celebre il sistema di TRAPPIST-1, individuato nel 2015, che presenta sette pianeti
di dimensioni terrestri, di cui tre nella zona abitabile. Negli ultimi anni il ruolo
imprescindibile della zona abitabile per lo sviluppo della vita è stato tuttavia riva-
lutato, poiché è possibile che acqua liquida si trovi anche in zone più remote, grazie
ad effetti mareali o calore proveniente da decadimenti radioattivi.

4.3 Stelle adatte


La classe spettrale della stella che ospita un sistema planetario è forse la caratteri-
stica più importante per valutare la possibilità che esso sia adatto alla vita. In base
alla sua temperatura superficiale, a ogni stella viene assegnata una classe (O, B, A,
F, G, K, M in ordine di temperatura decrescente). Si stima che le stelle di classe
O, B ed A (le ”stelle blu” e ”azzurre”) siano estremamente inospitali per la vita:
le intense radiazioni e la breve durata del loro ciclo vitale rendono difficile anche la
formazione stessa dei pianeti. Al polo opposto, le più comuni stelle M e K (”stelle
rosse”) sembrano avere qualche possibilità di ospitare pianeti abitabili: tuttavia la
vicinanza della loro zona abitabile fa sı̀ che i pianeti contenuti in essa si trovino
probabilmente in una condizione di tidal locking. Inoltre, le stelle più piccole sono
sovente soggette a brillamenti, che potrebbero facilmente disperdere l’atmosfera di
un pianeta. Le stelle più adeguate sembrano essere quelle intermedie, dal basso F
fino alle prime stelle K: esse creano una zona abitabile ottimale; inoltre forniscono
energia sufficiente perchè si sviluppi con facilità un processo di fotosintesi e per ca-
talizzare alcune reazioni importanti per i cicli biologici, senza radiazioni eccessive
che potrebbero mettere a repentaglio la formazione di molecole organiche. Restano
dubbi anche sulla possibilità che i sistemi binari, che si ritengono essere assai comu-
ni, possano ospitare pianeti abitabili: in generale, le recenti scoperte suggeriscono

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Figura 4: L’immagine mostra la zona abitabile delle stelle (distanze su asse x) in
relazione alla loro tipologia (masse solari sull’asse y). Credit: ESO (European
Southern Observatory)

che la formazione di pianeti potrebbe essere molto meno comune in questi sistemi[7],
ma anche che non è da escludere l’abitabilità di alcuni di essi[8].

4.4 Altre caratteristiche


La Luna sembra svolgere un ruolo fondamentale nella stabilizzazione dell’asse ter-
restre; si ritiene dunque che potrebbe essere necessaria la presenza di un satellite di
questo tipo per permettere la vita. Inoltre, la presenza di un astro simile a Giove,
che stabilizzi la configurazione gravitazionale del sistema e ”catturi” gli asteroidi
provenienti dalle zone periferiche, potrebbe aumentare l’abitabilità dei pianeti più
interni.

5 Prospettive future
Lo studio degli esopianeti nei prossimi anni fornirà certamente altre immense quan-
tità di dati all’astrofisica, che con ogni probabilità permetterà di arrivare a una
comprensione accurata dei fenomeni di formazione dei sistemi stellari, e di come
essi si presentino in generale. Il telescopio James Webb, il cui lancio è previsto per
quest’anno, avrà tra gli altri obiettivi anche la ricerca di esopianeti[12]. In ultimo,
il progetto Breakthrough Starshot ha ideato un concept per una sonda interstellare
che potrebbe essere inviata verso l’esopianeta a noi più vicino, orbitante nella zo-

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na abitabile di Proxima Centauri, a circa 4 anni luce dalla Terra. Tale progetto è
ovviamente ipotetico, e ad oggi ben lontano dall’essere realizzato[13].

Riferimenti bibliografici
[1] Definizione ufficiale IAU di esopianeta, https://www.iau.org/science/
scientific_bodies/commissions/F2/info/documents/

[2] Wolszczan, A., Frail, D. A planetary system around the millisecond pulsar
PSR1257 + 12. Nature 355, 145–147 (1992).

[3] Kepler’s legacy: discoveries and more https://exoplanets.nasa.gov/


keplerscience/#:~:text=Suggestions,than%20half%20a%20million%
20stars.

[4] Przemek Mróz et al., Two new free-floating or wide-orbit planets from
microlensing, A& A, 622 A201 (2019).

[5] NASA - Eyes on exoplanets beta version, https://exoplanets.nasa.gov/


eyes-on-exoplanets

[6] Francois, F. et al., The false positive rate of Kepler and the occurrence of planets,
The Astrophysical Journal 766(2) (2013).

[7] NASA website - Discovery alert: a forgotten planet found in


a triple-star system https://exoplanets.nasa.gov/news/1667/
discovery-alert-a-forgotten-planet-found-in-a-triple-star-system/

[8] Welsh, W., Orosz, J., Carter, J., Fabrycky, D. Recent Kepler Results On Circum-
binary Planets. Proceedings of the International Astronomical Union, 8(S293),
125-132 (2012).

[9] Yayaati C. et al., A Hubble PanCET Study of HAT-P-11b: A Cloudy Neptune


with a Low Atmospheric Metallicity, AJ, 158, 244 (2019)

[10] Dawson, Rebekah I.; Johnson, John Asher Origins of Hot Jupiters. Annual
Review of Astronomy and Astrophysics. 56, 175–221 (2018).

[11] Armstrong, D. J. et al., The host stars of Kepler’s habitable exoplanets: su-
perflares, rotation and activity”. Monthly Notices of the Royal Astronomical
Society. 5 (3), 3110–3125 (2015).

[12] NASA - James Webb website https://www.jwst.nasa.gov/content/


science/origins.html

[13] Breakthrough initiatives website https://breakthroughinitiatives.org/


concept/3

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