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CARTESIO

La vita
Cartesio o Rene de Cartes nasce a La Haye, una cittadina
francese, nel 1596 e apparteneva ad una famiglia aristocratica di
mezzi proprietari terrieri, avendo modo di studiare nelle migliori
scuole e di avere un'ottima formazione umanistica e scientifica,
completa. Infatti nel 1607 viene avviato gli studi superiori nel
collegio gesuita di la Flèche (scuole gesuite molto prestigiose,
tutti i membri dell’ aristocrazia mandavano i loro figli a studiare
qui).Successivamente si laurea in diritto nel 1618 a Poitiers;
parteciperà alla guerra dei 30 anni come ufficiale poiché era un
aristocratico e anche durante questa guerra avrà modo di
studiare e scrivere. Infatti proprio durante questo periodo nel
1619 per la prima volta formula le FASI DEL SUO METODO
DELL’INDAGINE FILOSOFICA. Proprio ispirandosi al suo metodo
nel 1637 pubblicherà “il discorso sul metodo”. In realtà il discorso
sul metodo, non è un opera a se stante, ma è una prefazione,
un’introduzione a una serie di altri 3 saggi che lui scriverà nello
stesso anno(“le meteore”, “la diottrica” e “la geometria”),ma è
molto significativo un pò perché fa riferimento al metodo
dell’indagine filosofica e un pò perché introduce la sua teoria più
importante, quella del COGITO ERGO SUM. Nel 1641 invece,
scriverà la sua opera più nota che si intitola “meditazioni
metafisiche”. E’ un'opera di metafisica, come si evince dal titolo
in cui affronta questioni come l’esistenza di Dio o il rapporto tra
anima e corpo: l’oggetto è la metafisica intesa come sapere,
conoscenza che prescinde dal mondo fisico. Cartesio avvia questa
riflessione sul tema della conoscenza, del metodo, della
metafisica ma comunque egli non sarà solo un filosofo ma anche
un matematico e un intellettuale il cui valore era ampiamente
riconosciuto in tutta Europa. Nel corso della sua vita terrà
rapporti epistolari con importanti personalità del mondo della
cultura, della scienza e della politica dell’epoca. Tra queste
persone c’erano in particolare 2 donne con cui lui ebbe un fitto
scambio di lettere, una di queste era la principessa Elisabetta di
Boemia. La principessa era una donna colta con cui pare che
Cartesio abbia avuto un rapporto di tenerezza, anche se a
distanza e dalle riflessioni che loro si scambiavano in queste
lettere ne nacque un'altra opera. Queste riflessioni che loro
condivisero nelle lettere incentivarono Cartesio nella stesura di
un’altra opera: “Il trattato sulle Passioni” del 1649. E’ tutto un
discorso sulle emozioni e sulla loro natura. L’altra importante
donna con cui Cartesio ebbe contatti e con la quale c’era molta
amicizia e che dimostrò molta stima nei confronti del filosofo è la
regina Cristina di Svezia, la quale stimava talmente tanto Cartesio
che nel 1649 lo invitò a stabilirsi alla sua corte in Svezia perché lo
volle come suo insegnante privato. Questa decisione, però, gli fu
fatale: Cartesio non poteva rifiutare l’invito di una regina in un
incarico così importante, per cui parti in Svezia. Il problema era
che la regina essendo una donna piuttosto impegnata, poteva
tenere le lezioni solo la mattina all’alba, molto presto e con le
temperature molto rigide faceva particolarmente freddo e quindi
Cartesio, non abituato, dopo neanche un anno si ammalò di
polmonite e morì nel 1650.
Gli aspetti fondamentali del suo pensiero
Cartesio è il fondatore del razionalismo, che è una corrente
filosofica importante e fondamentale del 1600. Cosa vuol dire
Razionalismo? (CONCEZIONE RAGIONE) Innanzitutto la parola ci
lascia intendere alcuni aspetti fondamentali di questa corrente
filosofica. Sicuramente ha come radice il termine ragione, infatti
“ismo” è un suffisso che tende ad enfatizzare, quindi è una
filosofia fondata proprio sull’esaltazione della ragione: secondo
Cartesio e tutti i razionalisti la ragione è uno strumento infallibile
di conoscenza, ed è in grado di rispondere a qualsiasi questione,
non ci sono domande a cui la ragione non sia in grado di dare una
risposta, nulla sfugge alle possibilità della ragione, anche per
quanto riguarda le questioni metafisiche (metafisica= oltre la
fisica e studia tutte le questioni che prescindono dal mondo
fisico, dalla nostra esperienza sensibile), quindi secondo Cartesio
la nostra ragione ha un tale potere, che è capace di rispondere
con certezza anche alle questioni di metafisica. Da questa
concezione della ragione nasce la questione fondamentale per
Cartesio “del metodo”. Noi abbiamo infatti lo strumento, che è la
ragione, però per poterlo utilizzare abbiamo bisogno del metodo
adeguato. Cartesio avendo studiato nelle migliori scuole e avendo
acquisito tutto il sapere della sua epoca, aveva precedentemente
avviato una riflessione su questo sapere che lui aveva acquisito e
la riflessione a cui giunse fu che questo sapere era del tutto
insufficiente e insoddisfacente, perché era un sapere che non
consente all’uomo di distinguere il vero dal falso, non ha un
riscontro pratico. E questo può sembrare contradittorio perché
Cartesio afferma che la ragione è infallibile, ma come mai lui
critica la conoscenza dicendo che è una conoscenza
insufficiente? Il problema non è la ragione in sé, perché noi lo
strumento lo abbiamo, il problema è il modo in cui l’uomo fino a
quel momento lo aveva utilizzato, evidentemente non aveva
utilizzato la ragione nella maniera più efficace. Ecco perché, a
partire proprio dal razionalismo di Cartesio, emerge
prepotentemente questo problema del metodo, tant’è che lui nel
1619 formula un nuovo metodo dell’indagine filosofica. La
ragione è uno strumento potente, ma ci vuole il giusto metodo
per poterla utilizzare al meglio e ottenere il massimo
dall’esercizio della ragione stessa. Quindi si è posto questa
questione del metodo. Ma per costruire questo nuovo metodo a
cosa si ispira Cartesio? Qual è il sapere in cui l’uomo ha
raggiunto un’assoluta certezza? Cartesio si ispira alla
matematica perché è l’unico sapere universalmente condiviso e
che non viene messo in dubbio. In filosofia questo non accade e
non accadeva neanche ai tempi di Cartesio perché molte teorie si
contraddicono tra loro e quindi non c’è un universale
condivisone. Cartesio, essendo razionalista, riteneva che con il
giusto metodo filosofico ispirato alla matematica, si potesse
arrivare a conoscenze certe tanto quelle matematiche, anche on
ambito metafisico (altra definizione di Razionalismo), l’idea da
cui parte Cartesio è di costruire un nuovo sapere filosofico e
metafisico che avesse la stessa universale condivisone della
matematica. Quindi innanzitutto Cartesio formula questo nuovo
metodo e poi procede nella sua riflessione filosofica. Il metodo di
Cartesio è costituito da 4 fasi, “le 4 regole”. La prima è “la regola
dell’evidenza” che dice che non bisogna accettare come vera
nessuna idea è distinta. Cosa vuol dire? Vuol dire che l’idea si
imprime nella mia mente con forza e vigore, è ben definita con
confini precisi e non si può confondere con altre idee, perché se
un’idea non ha i confini ben delineati è facile che si confonda con
altre, è un’idea ambigua e non definita che non possiamo
considerare vere, ma si deve partire solo da idee che sono chiare
e distinte. Questo è ciò che accade per la matematica, perché i
concetti matematici sono chiari e distinti, come gli stessi simboli
matematici. La “seconda regola” è la regola dell’analisi. Cosa
vuol dire analizzare? Analizzare vuol dire scomporre qualcosa nei
suoi elementi minimi. Ad esempio quando devo risolvere
un’espressione, la smonto pezzo pezzo partendo dalle parentesi
tonde, poi le quadre e poi le graffe, risolvo prima elementi
minimi. La terza regola è il procedimento apposto all’analisi,
ovvero “la sintesi”. L’ analisi va dal complesso per arrivare al
semplice, mentre la sintesi fa il procedimento opposto: una volta
che io ho scomposto il mio problema in elementi semplici, risolvo
per primi i problemi semplici e procedo via via risolvendo i
problemi più complessi, quindi scompongo e poi ricompongo. La
sintesi va dal semplice per arrivare al complesso. La quarta regola
è “ l’ enumerazione” che impone di ripartire da capo, rivedere
tutti i passaggi precedenti per verificare che non ci siano stati
errori o omissioni.
Razionalismo
Cartesio parte dal presupposto che la ragione sia infallibile, ma la
conoscenza dell’uomo fino ad allora era insufficiente, molte
teorie in contrasto fra loro. Quello che bisognava cambiare era il
metodo, che doveva essere cambiato nella direzione della
metafisica, unico ambito con conoscenze universalmente
condivise. Fino ad allora si era utilizzato il metodo sillogistico di
Aristotele, ma la conoscenza umana si era evoluta e bisognava
trovare un metodo adatto alla conoscenza attuale. Cosa fa
Cartesio una volta formulato il metodo? Bisogna ricostruire
l’edificio da 0, trovare gli errori è diverso, è più semplice
abbattere e azzerare l’edificio per ripartire da capo, dalle
fondamenta. Cartesio comincia trovando verità certe alla base
della conoscenza. Per trovarla Cartesio passa in rassegna tutte le
conoscenze che l’uomo aveva acquisito fino a quel momento.
Utilizza il DUBBIO METODICO, il metodo del dubbio: di fronte ad
un’opinione o ad un’idea, Cartesio ne evidenzia i punti deboli e
utilizza un metodo opposto rispetto a quello che normalmente
usiamo, ovvero noi cerchiamo i punti forti che rendono valida la
nostra affermazione, lui fa il contrario. Questa conoscenza è
dubitabile? Sia pure in maniera remota, in piccola parte, perché
se è così non ne possiamo fare il fondamento del nostro sapere
applicando questo dubbio metodico, esamina le conoscenze che
sono di due tipi:
 INDUTTIVE= fondate su fatti, basate sull’esperienza
sensibile, per arrivare ad una teoria generale;
 DEDUTTIVE= partendo dalla teoria generale, si arriva al
dettaglio.
Le conoscenze di tipo induttivo (sensibili) sono non affidabili,
perché i sensi ci ingannano, testimoniano qualcosa di dubitabile
(es. teoria geocentrica). Le conoscenze deduttive(matematiche)
sono universalmente condivise, non sono soggettive come quelle
che derivano dai sensi, esse sono chiare e distinte. Ma il fatto che
sia universalmente condivise ci assicurano che siano vere?
Secondo Cartesio è possibile dubitare anche delle verità
matematiche, riesce a porre il dubbio anche sulla matematica.
Ipotizziamo di essere stati creati da un genio maligno, da una
divinità che ci ha creato perché si diverte ad ingannarci. Noi
penseremo che le verità matematiche sono chiare ed evidenti e
quindi vere, ma in realtà questa nostra visione è frutto di un
inganno collettivo. Per cui anche le verità matematiche, sia pure
per assurdo, possono essere dubitabili, seppure per una
possibilità remota ma cmq quella possibilità remota non mi
consente di considerare la matematica come il fondamento del
nostro sapere. Ne devo cercare un altro. Cosa ci rimane quindi,
se abbiamo eliminato le conoscenze deduttive e induttive?
L’unica cosa certa è il dubbio, una verità di cui non si può
dubitare, i filosofi medievali chiamavano la verità del dubbio con
il nome di “conseguenitia mirabilis” cioè sono quelle
affermazioni che non possono essere negate, perché nel
momento in cui io cerco di negarle, in quel momento stesse le
rafforzo, le confermo ancora di più. Infatti se io provo a negare il
dubbio, sto dubitando di dubitare, concetto che non posso
negare perché se cerco di negarlo lo rafforzo, il dubbio è
innegabile per cui è l’unica certezza indubitabile, incontrovertibile
che noi abbiamo. E da li dobbiamo partire per costruire tutto
l’edificio del sapere. Cartesio qui si inspira ad agostino, che diceva
che noi dobbiamo cercare la verità assoluta che è in Dio, per
cercarla dobbiamo partire da una parvenza di verità, Agostino era
platonico e quindi l’unico riflesso della verità che l’uomo
possiede dentro di sé è il dubbio. Bisogna partire dal dubbio e
avviare questa indagine per arrivare a Dio, che è la verità
assoluta. Però Cartesio va oltre Agostino perché dice che se io
dubito, penso in quanto il dubbio è una forma di pensiero e se
penso sicuramente esisto, quindi se il dubbio è certo, è certo che
ci sono io che sto dubitando, che sono un essere pensante.
Questa è la famosa teoria del COGITO ERGO SUM: penso,
dubito, dunque esisto. Il fondamento di tutto il sapere è la mia
esistenza come essere pensate, come essere che dubita, la “res
cogitas” (sostanza pensante). Quindi io non posso sapere se
esisto come corpo, ma di certo esisto come pensiero, come
essere razionale, tutto parte dalla mia esistenza, in quanto
ragione. Quindi il fondamento del sapere è la mia esistenza come
essere razionale, tutto ciò che io conosco lo conosco perché
piano piano lo costruisco attraverso un procedimento
rigidamente razionale. Quindi Cartesio dice che il dubbio
dimostra la mia esistenza in quanto essere pensate “res cogitas”.
Le critiche
Questa teoria del cogito, la nostra certezza incontrovertibile e da
cui costruiamo il nostro sapere, in realtà è stata oggetti di
notevoli critiche da varie parti. Le critiche sono
fondamentalmente due. La prima è una critica che riguarda la
forma logica dell’affermazione cogito ergo sum, è una critica
formale. Questi critici affermano che il cogito ergo sum è un
ragionamento non corretto e non valido dal punto di vista
formale. Lo definiscono un PARALOGISMA cioè un ragionamento
mal costrutto. Andando nel dettaglio secondo i critici di Cartesio il
cogito ergo sum sarebbe un sillogismo mal formulato. Che cos’è
un sillogismo? il sillogismo è composto da tre proposizione, di cui
due sono le premesse e l’altra è la conclusione, che deriva
logicamente dalle due premesse. Il “cogito ergo sum” sarebbe
“penso, dubito, esisto” ma cosa manca? Manca una premessa e
vi sono solo una premesse e una conclusione, quindi è un
ragionamento mal costruito perché manca di una premessa che
evidentemente è implicita e non viene esplicitata, ma in un
procedimento logico e corretto non ci può essere qualcosa di
implicito. Quindi questo sillogismo è incompleto perché non c’è
una della premesse. La premessa che mancherebbe è TUTTI GLI
ESSERI PENSANTI ESISTONO. Ma i critici affermano che questo
ragionamento non è valido in quanto la seconda premessa è
implicitata e la conclusione non può essere presa in
considerazione. Quando la conclusione, che deriva dalle due
premesse, è valida? Quando le due premesse sono vere. “Tutti
gli essere pensanti esistono” siamo certi che sia vero? Non
abbiamo la certezza di questa premessa, che è la premessa
maggiore, perché è implicita e non essendo stata esplicitata non
può essere neanche considerata eventualmente vera(Questa è la
prima critica).Come reagisce Cartesio di fronte a questa critica?
In realtà Cartesio non reagisce e non contesta perché il cogito
ergo sum non è un ragionamento di nessun tipo, ben che meno
un sillogismo, quindi per lui è una critica che già di per se e nei
suoi presupposti non ha nessun motivo di esistere. Secondo il
filosofo il cogito ergo sum è in intuizione immediata, non è una
dimostrazione, non è un’argomentazione. Qual’è la differenza fra
l’affermazione derivante da un ragionamento e un intuizione?
Noi abbiamo visto che il sillogismo è un procedimento logico che
prevede la concatenazione di diverse affermazioni che ci
conducono ad una verità e questo è un ragionamento; un
intuizione non ha bisogno di questa struttura, nell’intuizione non
c’è una serie di premesse da cui deriva la conclusone ma c’è solo
un’affermazione che è vera per evidenza perché è evidente, per
cui non dev’essere dimostrata e ne tanto meno la posso
dimostrare proprio perché è evidente, non si ha bisogno di
costruire un percorso logico per arrivare ad affermarla. Quindi il
cogito ergo sum avverte questa natura, è un intuizione; cioè
Cartesio dice se Io sto pensando, so di esistere e non lo devo
dimostra perché sto pensando in questo momento. Cioè che può
trattare in inganno è la conclusione ergo che potrebbe farci
pensare che si tratti di un ragionamento, ma in realtà non è così
perché nel momento in cui penso, io so di esistere(Questa è la
prima Critica).
La seconda critica viene introdotta da un filosofo francese
contemporaneo di Cartesio che si chiama Pier Gassendi. Egli
introduce una critica che entra nel merito del concetto del Cogito
Ergo Sum, quindi non formale, e dice che se io posso affermare
che se penso esisto, allora vuol dire che qualsiasi azione che io
compia conferma la mia esistenza (Se mangio, esisto). Pensare è
un’azione come le altre per cui qualsiasi azione io compia ,
conferma la mia esistenza. Cosa risponde Cartesio? L’atto del
pensare non può essere paragonato a tutte le altre azioni perché
l’atto del pensiero ci connota in quanti esseri umani, e noi non
possiamo non pensare, non c’è un istante nella nostra vita in cui
noi pensiamo e persino quando dormiamo noi pensiamo. Quindi
non può essere considerato il pensare un’azione come tutte le
altre. Per cui alla fine, a questa critica, Cartesio risponde dicendo
che non è paragonabile il pensare a tutte le altre azioni perché il
pensiero ci connota in quanto essere umani. Aristotele infatti
diceva che l’uomo è un animale pensaste perché ciò che ci
distingue è il pensare. Quindi non si può desumere la nostra
esistenza da qualsiasi azione ma la possiamo desumere soltanto
dall’atto del pensare. In conclusione Cartesio sta dicendo che
siamo essere pensanti e tutto quello che siamo è pensiero, una
visione dell’uomo che è essere come ragione. E il razionalismo è
la forma più estesa di questa concezione dell’uomo. Quindi tutta
la certezza della realtà che ci circonda si fonda propria sul mio
essere una sostanza pensate, sul mio essere un animale
pensante, siamo fondamentale pensiero e anche la nostra
dimensione sentimentale ed emotiva è riconducibile a quella
razionale perché le emozioni sono espressione della ragione,
come tutto d'altronde. Quindi Il cogito ergo sum va considerata
come una verità certa e defunta, il fondamento di ogni sapere da
cui poi derivano tutte le altre verità. Il cane, per esempio, non
possiamo essere certi della sua esistenza, perché appartiene alla
conoscenza sensibile e quindi io ci devo arrivare tramite un
percorso a dare fondamento alla conoscenza sensibile.
Le idee e la dimostrazione dell’esistenza di Dio
A partire da questa verità, dalla res cogitas, e utilizzando il
metodo delle 4 fasi, Cartesio costruisce ogni nostra singola
conoscenze in maniera rigorosa e logica. Dopo aver dimostrato la
nostra esistenza come pensiero, parte dal presupposto
fondamentale che se siamo pensiero, abbiamo delle idee perché
il pensiero ha sempre un contenuto e pensare significa avere
delle idee e se siamo pensiero, nella nostra mente ci sono delle
idee. Bisognerebbe capire se queste idee hanno una
corrispondenza nella realtà, cioè se sono vere e fondate. Quindi Il
passaggio successivo è vedere quali idee sono certamente
fondate. Per questo è importante dire che le idee non sono tutte
uguali, nella nostra mente ce ne sono tante che tra loro sono
differenti e sono caratterizzate da natura differente e derivano da
origini differenti; non si può fare quindi un discorso generale e
dire che tutte le nostre idee esistono, bisogna fare delle
distinzioni. Cartesio parte dalla classificazione delle idee e dice
che fondamentalmente nella nostra mente ci sono tre tipi di idee
differenti. Il primo tipo sono le IDEE FATTIZIE O FITTIZIE: sono
quelle idee che derivano dall’immaginazione, quelle che la nostra
mente costruisce attraverso un processò immaginario (es. le
sirene sono un esempio perché non sono qualcosa che hanno una
corrispondenza nella realtà, ma è prodotto della nostra
immaginazione) Quindi queste idee non sono fondate e non lo
Vogliono essere per definizione, quindi è chiaro che sono
automaticamente escluse e non possono essere considerate
parte della nostra conoscenza perché appartengono al mondo
delle immaginario. Poi abbiamo le idee AVVENTIZIE: sono quelle
idee che noi acquisiamo attraverso l’esperienze sensibile. (es. il
sole che sorge è un esempio perché l’abbiamo acquisita dai nostri
sensi). Queste idee avventizie di certo hanno una corrispondenza
nella realtà perché Cartesio è un razionalista e quindi per lui la
conoscenza non può derivare dai sensi, ma deriva sempre dai
sensi, è la ragione che da fondamento alla nostra alla nostra
esperienza sensibile perché i sensi vanno guidati dalla ragione in
quanto ci ingannano e ci forniscono solo una visione apparente
delle cose, quindi non ci possiamo affidare ai sensi e anche
queste idee Cartesio non le prende in considerazione ma le tiene
da parte. Mentre quelle fittizie va da se che non sono fondate,
quelle avventizie le tiene in sospeso perché c’è sempre questo
problema che i sensi vengono ingannati. Il terzo tipo di idee sono
quelle INNATE: sono quelle idee che non sono frutto delle
immaginazione, ma che possediamo dalla nascita, un idea con cui
nasciamo e che possediamo da sempre (es. idea di Dio è innata
perché non l’apprendiamo con l’esperienza, nessuno fa
esperienza di Dio, non parliamo di Dio ma del concetto di Divinità
che è un concetto che esiste da sempre; es. idee matematiche
sono innate perché la matematica è un sapere deduttivo che non
deriva dall’esperienza, quindi i concetti di base della matematica
sono innati, c’è li abbiamo da sempre). Cartesio parte proprio
dalle idee innate per iniziare a dimostrare che queste idee
coincidono con la realtà, sono reali e in particolare parte dall’idea
di Dio. Quindi Cartesio prima dimostrato la nostra esistenza in
quanto res cogitas, ovvero anime pensanti e la seconda cosa che
fa è dimostrare che Dio esiste, proprio a partire dalla res cogitas
che è la prima delle idee innate. Che ragionamento utilizza per
dimostrare l’esistenza di Dio? Egli utilizza un ragionamento
puramente logico-deduttivo; in realtà le argomentazioni che
utilizza sono tre. Tutte le tre argomentazioni si fondano sulla
verità di base, cioè il mio esistere in quanto res cogitas, sostanza
pesante (unica intuizione immediata pk tutto il resto viene
dimostrato). “Io sono sostanza pensate e dentro di me ho l’idea
di Dio” questo è il presupposto. Per dimostrare l’idea di Dio a
partire da questo presupposto, da questa verità di base, Cartesio
parte da una premessa: la causa di un’idea, cioè la mente che
genere un’idea, non può essere mai più perfetta della mente che
l’ha generata, la causa non può essere mai meno perfetta
dell’effetto che lo provoca. Che vuol dire questo? Vuol dire che
noi nella nostra mente abbiamo l’idea di perfezione, ma l’idea di
perfezione è stata generata dalla nostra mente? Ha origine nella
nostra mente? Un idea perfetta non può essere generata dalla
mente imperfetta perché la causa non può essere imperfetta e
l’effetto perfetto. Per cui Sicuramente la mia res cogita non è
all’origine dell’idea di perfezione perché la mia mente è
imperfetta, mentre l’idea lo è. Quindi soltanto dio può aver
generato l’idea di perfezione ovvero l’idea di se stesso, e questo
dimostra che è Dio che ha creato la mia mente, che ha creato me
in quanto res cogitas ed ha impresso nella mia mente l’idea di sé.
Il fatto stesso che io, essere imperfetto, posseggo innatamente
l’idea di perfezione, ciò dimostra che Dio esiste perché quella
idea non posso custodirla io nella mia mente da sempre in
quanto io sono essere in essere imperfetto. Questa teoria si
chiama TEORIA DEL MARCHIO DI FABBRICA (Dio è come il
marchio di fabbrica: prima ci crea e dopo imprime nella nostra
mente l’idea di perfezione, cioè il suo marchio). Questa è la
prima dimostrazione. La seconda dimostrazione (relativa
all’origine della res cogita dovuta alla mente di dio)= partiamo
sempre dalla res cogitas. Io esisto in quanto sostanza pensante,
io in quanto essere pensante da dove ho origine? Non è
possibile che io abbia in me stesso l‘origine della mia esistenza
perché secondo Cartesio io, res cogitas, non esisto per me stesso,
non sono causa di me stesso, non è possibile in quanto dentro di
me c’è l’idea di perfezione e io invece sono imperfetto. Se fossi
causa di me stesso, mi renderei perfetto perché mi ispirerei nel
generare me stesso all’idea di perfezione che posseggo. Quindi
evidentemente la res cogitas non si genera da sé, ma esiste
perché ha origine in Dio, la perfezione. L’ultima dimostrazione,
egli si inspira alla dimostrazione di Anselmo d’Aosta, una
dimostrazione A PRIORI, con un procedimento deduttivo. E fa
ausilio del principio di identità e di non contraddizione: dimostra
l’esistenza di Dio a partire dall’idea di Dio e quindi ci dice che
siccome dio è perfezione (principio di identità) la perfezione a sua
volta possiede tutte le qualità al massimo livello, e la perfezione
possiede anche l’esistenza come attributo, quindi Dio esiste. È
bene ricordare che si tratta di dimostrazioni A PRIORI, di tipo
DEDUTTIVO, perché è tipico dell’impostazione razionalista partire
dai principi logici, dalle idee innate, da ciò che è presente nella
mente e non partire dall’ interrogare i sensi, osservare la realtà.
Una volta che abbiamo dimostrato Dio, che è la perfezione
perché noi parliamo sempre del concetto di Dio in senso
filosofico, quindi al di la di quella che puo essere l’impostazione
religiosa, parliamo di Dio in senso Filosofico, cioè inteso come
ente perfetto. Quindi una volta dimostrato questo, va da sé che
possiamo recuperare una conoscenza che inizialmente Cartesio
aveva dovuto mettere in dubbio. Quale conoscenza andiamo a
recuperare nel momento in cui Dio è perfetto, cioè esiste?
Nonostante le verità matematiche siano verità che a noi
appaiono chiare e distinte, Cartesio riesce a metterle in dubbio
introducendo la teoria del genio maligno. Ma dopo che Cartesio
ha fatto un percorso a partire dal cogito, ergo, sum e ha
dimostrato l’esistenza di Dio in seconda battuta, succede che alle
verità matematiche decade la teoria del genio maligno proprio
perché il filosofo ha dimostrato che noi siamo stati generati da un
ente perfetto, e un ente perfetto non è maligno. Quindi decade
l’ipotesi del genio maligno, per cui nel momento in cui
dimostriamo che dio esiste, Dio rappresenta il GARANTE DELLA
NOSTRA CONOSCENZA matematica, garantisce che ciò che a noi
appare chiaro e distino, lo sia per davvero, per cui è vero in
quanto non è frutto di un inganno, proprio perché la perfezione
non può mentire e ingannare e, se noi lo facciamo, lo facciamo
per due ragioni: o perché non si conosce la verità e quindi siamo
portati a mentire, oppure si mente perché si teme qualcosa. La
perfezione è onniescente e quindi non può non sapere ed è ogni
potente e quindi non può avere paura di nulla, per cui non può
mentire. Quindi nessuno ci inganna e quello che a noi appare
chiaro e distinto secondo la prima regola del metodo, sarà
effettivamente fondato. In conclusione Cartesio recupera il
sapere matematico, cioè le conoscenze innate. ( quindi siamo
partiti dal cogito ergo sum, il fondamento, abbiamo costruito il
piano terra, cioè l’esistenza di Dio con dimostrazione deduttiva e
successivamente la dimostrazione di Dio porta con sé la validità
anche del sapere matematico, quindi siamo arrivati al primo
piano del nostro edificio). Cosa ci rimane che non abbiamo
dimostrato come fondato? Non abbiamo dato fondamento alle
conoscenze induttive, quelle derivanti dall’esperienza sensibile e
che abbiamo messo in discussione perché i sensi ci ingannano,
non si può fare affidamento su di essi. Una volta che Cartesio ha
dimostrato l’esistenza di Dio, accade che Dio non solo
rappresenta il Garante delle nostre conoscenze matematiche, ma
rappresenta anche il GARANTE DELLA NOSTRA CONOSCENZA
SENSIBILE. Noi sappiamo che tutto ciò che appartiene alla nostra
esperienza sensibile non è affidabile finché il razionalista non
interviene, attraverso un procedimento razionale, a garantire la
validità della mia esperienza sensibile, in questo caso dimostrare
l’esistenza di Dio. Per dimostrare razionalmente che la realtà che
io percepisco con i sensi è fondata, devo basarmi non su quello
che percepisco ma sul procedimento razionale, è la ragione che
da fondamento alla mia esperienza sensibile. Immaginiamo di
raccogliere un pezzo di cera dall’alveare. I nostri sensi ci diranno
che il pezzo di cera sarà ambrato come il miele, la sua consistenza
sarà appiccicosa e plasmabile, il suo odore sarà lo stesso del
miele e il suo sapore è dolce, questo però appena raccolta. Nel
momento in cui viene lavorata, sarà bruciata e diventa liscia,
solida e dura, cambia colore e sapore, cambia odore; per cui le
informazioni sensibili che mi arrivano da quel pezzo di cera sono
completamente diverse e non corrispondono più, ma io so che
quella è sempre cera. Ciò significa che anche se le informazioni
sensibili sono discordanti, io so che quello è sempre lo stesso
oggetto ed è la ragione a dirmelo. Quindi è questo quello che
vuole dire Cartesio: per dare fondamento alla mia conoscenza
sensibile, io devo affidarmi alla ragione e non ai miei sensi,
perché in questo caso, se mi fossi affidato ai miei sensi avrei
pensato di trovarmi di fronte a due oggetti diversi, quando non è
cosi. Ma che vuol dire che la ragione dimostra che la realtà
sensibile esiste? E soprattutto Sono tutti gli aspetti della realtà
sensibile che sono fondati o solo alcuni? Già Galileo ci aveva
detto che la natura presenta aspetti differenti, è suddivisa in due
livelli differenti: certi rientrano nell’ambito dell’indagine
scientifica perché sono quelli oggettivi, ovvero le qualità primarie
sono quantificabili in termini numerici e per questo sono
oggettive (volume); altri aspetti , le qualità secondarie (colore),
sono quegli aspetti del mondo sensibile che noi non possiamo
quantificare e sono, di conseguenza soggettivi, ovvero legati al
modo in cui l’oggetto si approccia e si presenta. Quando Cartesio
dice che dimostrando l’esistenza di Dio, si da fondamento anche
alla conoscenza sensibile, si riferisce alla parte della conoscenza
sensibile quantitativa, quella che si può misurare perché se Dio
esiste, vuol dire che tutto ciò che a me appare chiaro e distinto, è
effettivamente vero. Per cui dell’esperienza sensibile mi appare
chiaro tutto ciò che è oggettivo. Quindi è vero che Dio è, non solo
il garante della conoscenza matematica, ma anche della
conoscenza sensibile, ma solo di quelli aspetti che sono chiari e
distinti, cioè quelli misurabili e quantificabili, quelli soggettivi
rimangono legati alla variabilità delle nostre percezioni, per cui il
colore di un oggetto non è un aspetto chiaro e distinto. Quelle
che Galileo chiamava “qualità primarie”, Cartesio le chiama RES
EXTENSA, CHE SIGNIFICA SOSTANZA ESTESA perché della realtà
io posso misurare la sua estensione, la sua capacità di occupare
uno spazio, la natura intesa come sostanza che possiede
un’estensione nella realtà sensibile. Questo è il passaggio in cui è
più evidente il razionalismo di Cartesio perché ,se ripercorriamo
tutto il percorso, ha costruito un procedimento logico
rigorosissimo per dare fondamento ad ogni conoscenza,
passaggio per passaggio, proprio perché è un razionalista. E in
questo percorso Cartesio parte giusto dalla dimostrazione di Dio,
per poi arrivare alla fine e dimostrare che esiste anche la realtà
sensibile. Questo è il modo in cui procede un razionalista: prima
di poter dire che qualcosa che io tocco, sento e vedo è reale, ho
bisogno prima di dimostrare che Dio esiste. E questo avviene
perché, per un razionalista, la conoscenza sensibile non ha
nessun valore se non è fondata sulla ragione, Io non posso
acquisire nessuna conoscenza tramite i sensi, solo la ragione può
guidare i miei sensi. E l’esempio della cera ne è la dimostrazione
perché io ho due oggetti che mi inviano informazioni percettive
diverse, ma io so che quei due oggetti sono Cera grazie alla
ragione che mi da la possibilità di capirlo. Tutto questo percorso
ci porta ad un dualismo, Cioè Cartesio costruisce tutto questo
ragionamento molto rigoroso e, suo malgrado, arriva ad una
aforia, perché il dualismo è una aforia. In passato, anche secondo
il filosofo Platone esistono due realtà,che sono contrapposte e
non possono in nessun modo coesistere. Cartesio con il suo
ragionamento è giunto alla stessa aforia, ovvero una questione
irrisolvibile e aperta; Infatti dualismo significa che noi abbiamo
una realtà lacerata e spezzata in due, quindi è un problema
filosofico perché noi non sappiamo come coniugare queste due
realtà visto che sono completamente opposte. Cartesio è partito
dalla res cogitas, sostanza pensante, quindi la prima cosa che ha
fatto è dimostrare che noi esistiamo in quanto pensiero. Alla fine
arriva a dimostrare l’esistenza di una res extensa, di una sostanza
estesa. Queste due sostanze non possono coesistere perché sono
completamente opposte: la res cogitas è immateriale perché è
pensiero, quindi è intangibile e non la percepiamo con i sensi, è
semplice perché non è composta da parti e non è divisibile, è
libera perché non è soggetta a rapporti necessari deterministici di
causa e effetti; dall’altra parte la res extensa che è materiale
perché la materia occupa spazio, quindi è tangibili e la possiamo
percepire attraverso i sensi, è composta perché la materia è
divisibile , infatti è l’aggregazione di più elementi ed è meccanica
perché agisce in vista di un impulso esterno. Cartesio arrivato a
questo punto è consapevole di essere di fronte a un aforia ,che
diventa una questione particolarmente spinosa se facciamo
riferimento all’uomo; infatti l’uomo è nello stesso tempo res
cogitas e res extensa. Com’è possibile? Cartesio questa questione
non la riesce a risolvere, ci prova e lo fa proponendo una teoria
che ,dal punto di vista filosofico, non è particolarmente efficace
perché lui attraverso l’osservazione del corpo umano, durante le
dissezione dei cadaveri (tipica dell’epoca moderna della
rivoluzione scientifica), aveva visto che il cervello umano è
costituito da due emisferi speculari: ogni parte del nostro
emisfero celebrare ha una parte corrispondente nell’altro
emisfero, tranne una ghiandola che si trova nel cervelletto, vicino
la zona della nuca. Questa ghiandola, che secerne un ormone
responsabile dell’equilibrio tra il sonno e la veglia, è chiamata
EPIFISI al giorno d’oggi, ma Cartesio la definisce ghiandola pineale
perché assomiglia ad una pigna. Secondo Cartesio questa
ghiandola avrebbe proprio questa funzione, cioè sarebbe la parte
in cui le due sostanze entrano in comunicazione, perché è l’unica
parte a non essere doppia. Quindi egli termina il suo pensiero con
questa conclusione che dal punto di vista filosofico non è proprio
solida.

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