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Sommario
Si valuta l’energia immagazzinata in una attrezzatura a pressione, si stimano gli effetti sull’ambiente esterno
e sulle persone, conseguenti alla liberazione di tale energia in caso di cedimento della attrezzatura stessa, e si
illustrano le procedure per il contenimento dei danni. Inoltre, si forniscono le istruzioni operative per
l’esecuzione della prova in pressione e si confronta il contenuto dei Codici più utilizzati in merito
all’argomento trattato.
1. Introduzione
Tutte le attrezzature che operano a pressioni superiori a quella atmosferica devono essere sottoposte a una
prova in pressione prima del loro utilizzo, per accertare, nei limiti del possibile, la loro sicurezza durante
l’uso. In questa memoria sono trattate le procedure per condurre la prova in pressione in modo da ridurre sia
il rischio di infortuni per il personale che conduce il test e per chiunque si trovi in prossimità, sia i danni
materiali. Lo studio è limitato alle attrezzature metalliche, sebbene alcune di esse possano essere costituite da
parti non metalliche (ad es. spie in vetro) che però sono presenti in misura trascurabile rispetto all’intero
apparecchio. Infatti, le modalità di rottura delle attrezzature non metalliche differiscono da quelle metalliche
e non vengono qui considerate. Un’analisi statistica del Health and Safety Executive (HSE) ha rivelato che la
maggior parte degli incidenti si verifica per valori di pressione piuttosto bassi, anche perchè tale condizione
di funzionamento è quella più frequente, e che la percentuale più alta dei cedimenti interessa le chiusure o le
saldature (fig. 1.1).
Fig. 1.1 Statistiche degli incidenti correlati alla pressione e alla tipologia delle attrezzature e dei componenti [2]
Gli effetti della rottura fragile di un reattore di notevoli dimensioni durante la prova in pressione sono
rappresentati efficacemente nella fig. 1.2, mentre la fig. 1.3 mostra un esempio di rottura duttile.
Nelle figg. 1.4 e 1.5 sono evidenziati due casi di infortuni gravi verificatisi durante prove in pressione.
Il pericolo insito nella prova in pressione di una attrezzatura, essendo correlato all’energia ivi
immagazzinata, la quale è proporzionale al volume del recipiente e alla pressione del fluido contenuto, varia
in un ampio intervallo di gravità. Infatti, la pressione può variare da valori poco al di sopra di quella
atmosferica fino a valori dell’ordine delle decine di migliaia di bar, e così anche il volume è compreso tra
valori di pochi cm3 fino a centinaia di m3; pertanto la prova in pressione è di norma poco pericolosa nel caso
di piccoli recipienti e basse pressioni, viceversa è molto pericolosa nel caso di grandi recipienti e alte
pressioni. Tuttavia, da quanto esposto sopra, si evince la necessità di effettuare la valutazione del rischio
connesso alla prova in pressione, che sarà semplice nel caso di pericoli limitati, per i quali le protezioni da
adottare sono minime, mentre si presenterà complessa nel caso di pericoli elevati, dove è necessaria la
massima protezione.
1.1. Tipi di Prove in Pressione
Sebbene la terminologia non sia uniformemente accettata, vengono definiti quattro tipi di prove in pressione:
di ricerca, di collaudo, di tenuta e di funzionamento.
1.1.1. Prova di Ricerca
E’ una prova altamente pericolosa e viene condotta per: a) testare la bontà di un nuovo progetto e non la
qualità della fabbricazione di un recipiente; infatti alcuni aspetti importanti potrebbero essere stati trascurati
durante la progettazione e inoltre durante la prova vengono misurate le deformazioni per verificare la
correttezza delle ipotesi progettuali; b) un altro campo d’impiego della prova di ricerca è quello in cui si
devono determinare alcuni dati metallurgici quali, ad esempio, quelli relativi allo scorrimento viscoso od alla
fatica; ciò si realizza provando piccole bombole fino alla rottura ed eseguendo prove a temperature molto
alte o molto basse; c) quando si voglia eseguire un “autofrettaggio” dei recipienti di grosso spessore allo
scopo di incrementare la pressione di esercizio; l’autofrettaggio si ottiene aumentando la pressione a valori
tali da far superare il limite di snervamento nel materiale che costituisce il recipiente.
1.1.2. Prova di Collaudo
Questa prova viene condotta su attrezzature costruite secondo un progetto già verificato. Si esegue alla fine
della fabbricazione, o quando vi siano modifiche importanti, o in seguito a riparazioni. Gli scopi sono: a) il
controllo della fabbricazione e l’assenza di difetti metallurgici; b) la produzione di un leggero autofrettaggio
del materiale in prossimità delle concentrazioni di tensione (aperture, ginocchi dei fondi, saldature),
riducendo il rischio di formazione di cricche. Si esegue a una pressione superiore a quella di progetto.
1.1.3. Prova di Tenuta
La prova di tenuta serve a rivelare eventuali fuoriuscite di fluido dalle attrezzature e ciò implica che
l’operatore sia in vicinanza del recipiente mentre lo stesso è in pressione. Al fine di ridurre il rischio
connesso con tale situazione è opportuno che la prova di tenuta sia preceduta da una di collaudo e che il
controllo avvenga dopo che la pressione è stata ridotta al 10% di quella di progetto.
1.1.4. Prova di Funzionamento
In questa prova vengono controllate le parti in movimento, per esempio, le valvole vengono aperte e chiuse
mentre il recipiente è sotto pressione. E’ consigliabile che la prova sia preceduta da una prova di tenuta; la
prova di funzionamento può essere eseguita a un valore pari alla pressione massima di esercizio. Il rischio
associato con la prova di funzionamento è molto simile a quello della prova di tenuta con l’aggravio che
qualche parte di attuatore si distacchi e formi un missile. In circostanze particolari è necessario eseguire la
prova con il fluido che l’attrezzatura è destinata a contenere in servizio e questo può aumentare il rischio,
specialmente quando il fluido sia pericoloso.
1.2. Natura del Pericolo
Due sono i pericoli principali connessi con la prova in pressione delle attrezzature: a) la formazione di
missili, e b) la generazione di un’onda d’urto (ossia di un’onda di pressione che si muove a velocità
supersonica) a seguito della rottura di qualche parte del sistema in pressione. La rottura può avvenire nella
attrezzatura oggetto della prova, nelle strutture di supporto o nella sorgente di pressurizzazione del fluido.
Prove sperimentali condotte da Espraza e Baker [1] hanno evidenziato che non si generano onde d’urto
quando il fluido in pressione è un liquido, e l’effetto prodotto è solo un’onda sonora che non causa danni
all’udito, sebbene sia consigliabile l’uso di otoprotettori. Di conseguenza il rischio di onde d’urto può essere
trascurato quando si esegue una prova in pressione utilizzando acqua a temperatura ambiente. Viceversa, le
onde d’urto si verificano sempre nel caso in cui la pressurizzazione venga eseguita utilizzando un gas o un
liquido saturo. Invece la proiezione di missili può verificarsi qualunque sia il mezzo di pressurizzazione.
2. Valutazione dell’Energia Immagazzinata
L’energia totale immagazzinata in un sistema in pressione Et è data dalla somma di tutte le energie che
possono essere dissipate in una qualunque forma, in seguito alla rottura dello stesso. Posto: 1) Ex=energia di
espansione del fluido; 2) Ec=energia chimica rilasciata; 3) Es=energia di deformazione delle membrature,
possiamo definire che l’energia totale è pari a:
Et = E x + Ec + E s (2.1)
In effetti l’energia rilasciata dipende da: 1) modalità di rottura; 2) tipo di espansione del fluido; 3) natura del
fluido nel recipiente; 4) stato finale del sistema. E’ d’uso distinguere l’energia immagazzinata in primaria e
secondaria. Si dicono primarie, quella di espansione del fluido contenuto nel recipiente e quella di
deformazione delle membrature rilasciate a seguito del cedimento strutturale. Si dice invece secondaria
quella dovuta alla reazione chimica che può verificarsi in seguito alla fuoriuscita di fluido. Per esempio, nel
caso di cedimento di una bombola di idrogeno si ha dapprima la liberazione di energia primaria dovuta alla
espansione del fluido e alla deformazione, cui segue l’esplosione generata dalla reazione dell’idrogeno con
l’ossigeno dell’aria. Nel caso della prova di pressione quasi sempre è possibile utilizzare un fluido che non
conduce a una esplosione chimica una volta rilasciato nell’ambiente, mentre ciò non è possibile nel caso di
prove di funzionamento. Dal principio di conservazione dell’energia, discende che l’energia immagazzinata
nel recipiente, prima della rottura, è uguale a quella ceduta all’ambiente dopo la rottura, ma convertita nelle
seguenti forme: 1) Ek=energia cinetica di tutti i frammenti; 2) Eb=energia della esplosione fisica (onda
d’urto); 3) Eg=energia d’urto sul terreno; 4) Eh=energia termica; 5) Ei=energia radiante, 6) Ea=energia
acustica; 7) Er=energia dei prodotti della reazione chimica. E’ quindi possibile scrivere:
Et = E k + Eb + E g + E h + Ei + E a + E r (2.2)
Ammesso che non si verifichino esplosioni chimiche (Ec ed Er assenti), e trascurando Eg, Eh, Ei ed Ea rispetto
a Ek, ed Eb, si può scrivere:
Et = E k + Eb (2.3)
Ossia le due forme nelle quali si trasforma l’energia immagazzinata sono quella cinetica dei frammenti e
quella di esplosione fisica. Sulla base di quanto detto la (2.1) e la (2.3) forniscono:
E x + E s = E k + Eb (2.4)
Nel seguito del paragrafo vengono valutati i termini a sinistra della relazione di cui sopra.
2.1. Energia di Espansione del Fluido
L’energia posseduta da un fluido contenuto in un recipiente in pressione è principalmente rappresentata dal
lavoro speso per comprimere il fluido stesso; tale energia sarà rilasciata in caso di espansione. Per stimare
l’energia rilasciata si ipotizza che il processo di espansione sia reversibile e che sia talmente rapido da
considerarlo adiabatico. Il primo principio della termodinamica, nel caso di sistemi chiusi stabilisce che:
ΔU = Q + W (2.1.1)
dove ΔU è la variazione di energia interna per un sistema chiuso; Q è il calore fornito al sistema e W è il
lavoro eseguito sul sistema. Per un processo reversibile il lavoro è dato da:
pf
W = −∫ p ⋅ dV (2.1.2)
pi
Se poi il processo di compressione, oltre che reversibile è anche adiabatico, si ricava, essendo Q=0, che:
ΔU = W (2.1.3)
Quindi la variazione di energia interna, che coincide con l’energia immagazzinata, è pari al lavoro eseguito
sul sistema. Nel caso di interesse, ossia per l’espansione adiabatica, il lavoro è negativo in quanto eseguito
dal sistema sull’ambiente, per cui:
E x = −W (2.1.4)
2.1.2. Sistemi Pressurizzati con Gas
2.1.2.1. Prodotto Pressione x Volume
Il prodotto pressione per volume ha le dimensioni di un’energia ed è utilizzato da molti regolamenti
nazionali per disciplinare il regime delle verifiche. Volendo assumere il prodotto p x V quale stima della
energia di espansione Ex, si commetterebbe un errore di sottovalutazione poiché p x V non considera né il
tipo di gas, né il processo di espansione. Qualora si utilizzi tale prodotto, è consigliabile l’espressione:
E x = η ⋅ p ⋅V con η=1,5 per p≤500 bar (2.1.2.1.1)
2.1.2.2. Caso del Gas Perfetto
Una valutazione più accurata dell’energia di espansione si ricava dall’ipotesi che l’attrezzatura sia riempita
con gas perfetto. L’equazione di stato dei gas perfetti è:
pV = nRT (2.1.2.2.1)
3
Con p=pressione assoluta (Pa); V=volume interno della attrezzatura (m ); n=numero di moli (mol);
R=costante universale dei gas (8,314 J/mol·K); T=temperatura assoluta (K). La quantità di energia rilasciata
dipende dalla trasformazione termodinamica con cui il gas compresso si espande. I due casi limite che si
considerano sono:
a) espansione isoterma di un gas perfetto
⎛ pf ⎞
W = piVi ln⎜⎜ ⎟⎟ (2.1.2.2.2)
p
⎝ i ⎠
b) espansione adiabatica di un gas perfetto:
γ −1
⎡ ⎤
1 ⎢ ⎛ p ⎞ γ
W = piVi ⎜⎜
f
⎟ − 1⎥ (2.1.2.2.3)
γ −1 ⎢ pi ⎟ ⎥
⎝ ⎠
⎣⎢ ⎥⎦
con pf=pressione finale assoluta (atmosferica) (Pa); pi=pressione iniziale assoluta (Pa); Vi=volume iniziale
dell’attrezzatura (m3); γ=rapporto tra il calore specifico a pressione costante e quello a volume costante cp/cv.
L’energia rilasciata è, in base alla relazione (2.1.4), E x = −W . E’ ovvio che l’espansione di un gas reale non
è isoterma e neppure adiabatica, ma ricade tra queste due condizioni limite. Stante la rapidità con cui si
verifica un’esplosione, è ragionevole supporre che il processo si avvicini maggiormente alla condizione
adiabatica piuttosto che a quella isoterma. Peraltro, l’assunzione del maggior valore di Ex fornito dal
processo isotermo è più conservativo e per tale motivo è suggerito da molti autori.
2.1.2.3. Caso dei Gas Reali
Il modello del gas perfetto corrisponde a un fluido aeriforme caratterizzato da elevata temperatura e bassa
pressione; condizioni opposte a quelle che si verificano durante le prove in pressione. Qualora si voglia
considerare il gas come reale, l’energia di espansione può essere ricavata utilizzando diagrammi
termodinamici che riportano le proprietà delle sostanze per vari stati. Un secondo metodo di calcolo di Ex
utilizza le equazioni di stato che legano le variabili termodinamiche del gas reale.
2.1.3. Sistemi Pressurizzati con Liquidi
Il calcolo dell’energia di espansione è concettualmente simile a quello già visto per i gas. Anche in questo
caso si ha un sistema termodinamico chiuso e l’energia di espansione coincide con la variazione di energia
interna. Le differenze derivano dal fatto che i liquidi sono molto meno comprimibili dei gas. Detta κs la
comprimibilità isoentropica di un liquido si ha:
1 ⎛ ∂V ⎞
κs = − ⎜ ⎟⎟ (2.1.3.1)
V ⎜⎝ ∂p ⎠s
da cui si ottiene:
dV = −Vκ s dp (2.1.3.2)
che sostituita nella (2.1.2) dà:
pf
W =∫ pVκ s dp (2.1.3.3)
pi
Per un liquido la comprimibilità isoterma κt è più grande di quella isoentropica κs e pertanto, utilizzando κt al
posto di κs, si ottengono valori di W e quindi dell’energia rilasciata che sono a favore della sicurezza. Poiché
per un liquido la comprimibilità assume valori bassi, e per piccole variazioni di pressioni le grandezze V e κt
possono essere ritenute costanti, ne discende che la relazione precedente si semplifica nella:
pf
W = Vκ t ∫ pdp (2.1.3.4)
pi
Fig. 2.4.3 Energia di Espansione dell’Azoto [2] Fig. 2.4.4 Energia di Espansione di Vari Liquidi [2]
3. Frammentazione
Le dimensioni e le velocità iniziali dei frammenti formatisi a seguito della rottura di un recipiente a pressione
dipendono dalla modalità del cedimento che può avvenire per: 1) frammentazione completa in parti
numerose dovuta a rottura fragile, 2) frammentazione completa in poche parti di grandi dimensioni dovuta a
rottura duttile, 3) perdita di una membratura principale (p.e. fondo) in modo duttile, 4) perdita di membrature
secondarie (p.e. passi d’uomo) che consentono l’accesso al recipiente, 5) perdita di tappi e altre piccole
chiusure che consentono un accesso limitato al recipiente. In questo paragrafo si esprimeranno le velocità dei
frammenti qualora si utilizzi un gas e, in seguito, si daranno le istruzioni per ricavare le stesse in caso di
liquido, quindi si tratterà la condizione di un recipiente riempito prima con gas e poi con liquido.
3.1. Rottura Totale Fragile
Sebbene un recipiente a pressione non debba mai cedere in modo fragile, tale eventualità può tuttavia
verificarsi a causa di errori commessi in fase di fabbricazione o per utilizzo improprio. La rottura di una
attrezzatura a pressione in modo fragile è molto simile a quella di un recipiente contenente esplosivo che si
rompa a causa della detonazione di quest’ultimo. La velocità di ciascun frammento si ricava eguagliando
l’energia disponibile per la formazione dei frammenti Ek, alla somma delle energie cinetiche di ciascun
frammento: nell’ipotesi che tutti i frammenti abbiano la stessa velocità iniziale V, e indicando con m la massa
totale del recipiente, si ha:
1
Ek = mV 2 (3.1.1)
2
La maggior parte delle fonti informative sulle dimensioni e le velocità dei frammenti sono costituite dai test
militari sugli armamenti. Dall’esame di questa letteratura, Saville e al. [2] suggeriscono di ripartire l’energia
immagazzinata nel recipiente come segue: il 35% si trasforma in energia cinetica dei frammenti e il 65% si
converte nell’onda d’urto associata alla rottura del recipiente. La suddivisione sopra riportata vale se il fluido
di pressurizzazione è un gas, mentre nel caso di liquido la mancanza di informazioni sperimentali conduce ad
assumere a favore di sicurezza che tutta l’energia disponibile si trasformi in energia cinetica dei frammenti,
stante, come già detto, l’assenza di onda d’urto nel caso di pressurizzazione con liquido. Quanto visto finora
si applica a recipienti di spessore uniforme, trascurando le parti compatte (p.e.: passi d’uomo, tronchetti,
flange, tappi filettati) la cui massa per unità di superficie è molto più grande di quella del cilindro principale.
L’influenza di tali componenti secondo Saville e al. [2], può essere considerata nel modo seguente: 1) si
determina la massa di un recipiente con stessa forma e spessore uguale a quello del mantello del recipiente in
esame, ma senza le parti compatte; 2) si utilizza la massa così trovata per ricavare la velocità dei frammenti
del cilindro principale, con la (3.1.1); 3) si calcola il rapporto tra la massa di ciascuna membratura compatta
e quella del cilindro principale; 4) si valuta la velocità della membratura compatta, dividendo la velocità
comune ai frammenti del corpo principale per la radice quadrata del rapporto tra le masse di cui al punto
precedente. Se la quantità e le dimensioni dei frammenti nella rottura fragile sono sconosciuti, è invece certo
che il loro numero è elevato. Per il dimensionamento delle protezioni è possibile assumere che il frammento
più grande sia pari al 20% del fasciame e il più piccolo sia l’1%. Inoltre, è possibile individuare alcuni
elementi che saranno proiettati intatti: fondi, fondelli, coperchi dei passi d’uomo, tronchetti, le flange cieche,
etc.
3.2. Rottura Totale Duttile
Tale tipo di rottura comporta la formazione di pochi frammenti di grandi dimensioni. L’ipotesi che la
velocità di fuga sia la stessa per tutti i frammenti è meno probabile in questo caso e non ci sono ragioni per
ritenere che la distribuzione di energia sia la stessa del caso precedente. Ancora Saville e al. [2] suggeriscono
una soluzione conservativa a questo problema, proponendo di trattare la rottura totale di un recipiente come
una serie di singole rotture in cui solo una parte per volta del recipiente viene eiettata, in tale modo si ricade
nel caso trattato nel paragrafo successivo.
3.3. Perdita di una Sezione di Grandi Dimensioni
La sezione di grandi dimensioni che è più probabile venga espulsa in una rottura duttile è una chiusura, che
può essere sia il fondo di un recipiente saldato che una flangia cieca. Nel caso di un recipiente di gas,
l’accelerazione della chiusura avviene in due fasi. Nella prima fase il gas fuoriesce dal recipiente attraverso
una apertura circonferenziale tra la chiusura e il recipiente stesso e accelera il frammento fino a una distanza
pari alla metà del raggio dell’apertura; nella seconda fase la situazione è più complessa poiché il getto di gas
fuoriuscito inizia a depressurizzare il recipiente e la forza che esercita sul frammento è variabile. Moore [3]
propone un metodo semplificato che tiene conto dell’accelerazione iniziale agente per una distanza pari al
diametro del foro lasciato nel recipiente. L’accelerazione deriva dalla forza agente sul frammento diviso la
sua massa. Tale forza è data dalla pressione iniziale per la superficie della apertura. Nel caso di un recipiente
con liquido, la pressione decade molto più rapidamente di quando il recipiente è riempito con gas e quindi
l’assunzione che l’accelerazione della chiusura sia costante non è più valida a meno che il volume del
contenitore sia molto grande rispetto al volume fuoriuscito dalla chiusura stessa durante il suo distacco;
pertanto per valutare la velocità della chiusura si può procedere nel seguente modo: 1) si valuta la velocità
assunta dal frammento nell’ipotesi che il fluido contenuto sia un gas; 2) si assume che tutta l’energia
immagazzinata nel recipiente (calcolata nell’ipotesi che sia riempito con liquido) si converta in energia
cinetica della chiusura e quindi si determina la velocità; 3) la velocità scelta per il frammento è la minore tra
le due.
3.4. Velocità di un Frammento Assimilabile a un Razzo
Quando, a causa di una rottura, un frammento di grandi dimensioni, ad esempio un fondo di chiusura, si
distacca da un recipiente contenente gas, ne segue che la parte restante (virola + fondo) può essere assimilata
a un razzo. Una relazione per il calcolo della velocità di tale parte è la seguente [2]:
1
γ +1 ⎧ 1
γ −1
⎤ 1 ⎡ 2 ⎤ ⎫⎪
⎡ D ⎤2 α ⎡ 2 ⎤ ⎡ − ⎤ α ⎪ ⎡ β ⋅ D ⎤ 2 ⎡ 2γ
Vmax = ⎢α ⋅ (β − 1) ⋅ ⎥ + ⎢ ⎥ ⋅ ⎢1 − β 2γ ⎥ + ⎨⎢ ⎥ − ⎢ β − 1⎥ ⋅ κ ⋅ ⎢ γ − 1⎥ ⎬ (3.4.1)
⎣ 2β ⎦ κ ⎣ γ + 1⎦ ⎢⎣ ⎥⎦ β ⎪ ⎣ 2 ⋅ (β − 1) ⋅ α ⎦ ⎢⎣ ⎥⎦ ⎣ ⎦⎪
⎩ ⎭
1 γ +1
π D2 p ⎡ γ ⋅ R ⋅ T0 ⎤ 2 Cd ⎡ 2 ⎤ 2(γ −1)
dove: α = p 0 (m/s2); β = 0 ; κ = ⎢ ⎢ ⎥ (1/s); p 0 è la pressione iniziale
4 m pa ⎣ M ⎥⎦ L ⎣ γ + 1⎦
nel recipiente (Pa); p a è la pressione ambiente (Pa); T0 è la temperatura iniziale (K); L è la lunghezza
interna del recipiente (m); D è il diametro interno del recipiente (m); m è la massa del recipiente (kg); C d
è il coefficiente di scarico: si può usare un valore unitario; γ è il rapporto tra i calori specifici del gas; M è
la massa molare del gas (kg/kmol); R è la costante universale dei gas (8,314 J/mol·K).
3.5. Perdita di un Tappo o di una Piccola Chiusura
In questo caso si ipotizza che il volume del recipiente sia talmente grande da poter trascurare la perdita di
pressione fintanto che il tappo non sia ben distante, e quindi la forza agisce più a lungo su di esso. Baum [4],
assume che la pressione agisca fino a che la distanza tra il recipiente e il tappo diventa pari a due volte il
diametro del tappo stesso. La procedura appena vista vale per i recipienti di gas; Saville e al. [2] propongono
di usare la medesima procedura per i recipienti di liquidi, purché l’energia cinetica del missile non superi
quella immagazzinata nel recipiente.
3.6. Protezione con Barriere
La protezione contro i frammenti proiettati a seguito della rottura di una attrezzatura a pressione viene
realizzate con barriere. Gli studi a cui riferirsi per il loro dimensionamento discendono principalmente dalle
esperienze militari, però deve essere considerato che la velocità di un missile prodotto dal cedimento di un
apparecchio a pressione è differente da quella di un missile bellico (meno di 500 m/s contro 1000 m/s).
Poiché manca una teoria che comprenda tutte le dimensioni e forme dei missili nonchè tutti gli spessori e tipi
di materiali, per il dimensionamento delle barriere ci si riferisce alle correlazioni dei risultati sperimentali.
3.7. Protezione con Barriere Duttili
Le barriere duttili più utilizzate e sperimentate sono quelle realizzate in acciaio al carbonio. Qui riportiamo la
correlazione del Ballistic Research Laboratory (BRL), proposta da Brown [5]:
t = 4,9 × 10 −7 (M ⋅ V 2 )
0 , 667
d (3.7.1)
dove t è lo spessore della barriera che viene perforato dal 50% dei missili (m); M è la massa del missile
(kg); V è la velocità del missile (m/s); d è il diametro del missile (m). Secondo il BRL aumentando del
25% lo spessore ottenuto con la formula di cui sopra si impedisce la perforazione per il 100% dei frammenti.
Saville e al. [2] propongono di non utilizzare spessori minori di 3 mm.
3.8. Protezione con Barriere di Cemento Armato
Kennedy [6], ha dimostrato che la formula del National Defense Research Committee (NDRC) è la migliore
regressione dei dati sperimentali e viene qui proposta. Occorre calcolare dapprima la profondità di
penetrazione in un muro infinitamente spesso:
G( x d ) = 2,55 × 10 −9 K ⋅ N ⋅ M ⋅ V 1,80 d 2,80 (3.8.1)
con G( x d ) = ( x 2d ) se G x d ≤ 1 (ossia se x d ≤ 2,0 ) e G( x d ) = ( x d ) − 1 se G( x d ) ≥ 1 (ossia se
2
varia tra 0,72 per un missile a punta piatta a 1,14 per un missile a punta aguzza; M è la massa del missile
(kg); V è la velocità del missile (m/s); d è il diametro del missile (m); x è la profondità di penetrazione in
un muro di calcestruzzo infinitamente spesso (m). Determinato x / d , lo spessore si calcola come segue:
t / d = 3,19 ⋅ (x d ) − 0,718 ⋅ ( x d ) per x d ≤ 1,35
2
(3.8.2)
t / d = 1,32 + 1,24 ⋅ ( x d ) per x d ≥ 1,35 (3.8.3)
s / d = 7,91 ⋅ ( x d ) − 5,06 ⋅ ( x d ) per x d ≤ 0,65
2
(3.8.4)
s / d = 2,12 + 1,36 ⋅ ( x d ) per x d ≥ 0,65 (3.8.5)
dove t (m), e s (m) sono rispettivamente lo spessore di perforazione che produce schegge dalla parte
opposta all’urto, e lo spessore di perforazione che non produce schegge. Se viene utilizzata una piastra
antischegge lo spessore s può essere ridotto a t .
3.9. Protezione con Barriere di Policarbonato
Il policarbonato è utilizzato nella forma di pannelli leggeri e trasparenti. Per il dimensionamento delle
barriere in policarbonato si utilizza la formula di Recht, elaborata da Smith ed Hetherington [7]:
M ⎡ a ⎤
t = 1,61 ⋅ ⎢V − ln (1 + [b ⋅ V / a ])⎥ (3.9.1)
b⋅ A ⎣ b ⎦
dove t è lo spessore della barriera che resiste alla perforazione del 50% dei missili (m); a = 2τ ln (2 z ) ;
b = 0,25 ⋅ (Kρ ) ; z = (E / σ y ) / (1 + 2 E / σ y ) ; M è la massa del missile (kg); A è l’area della sezione
0,5 0,5
frontale del frammento (m2); V è la velocità del missile (m/s); ρ è la densità del materiale della barriera
(kg/m3); K è il modulo di comprimibilità del materiale della barriera (Pa); E è il modulo di Young del
materiale della barriera (Pa); σ y è lo snervamento del materiale della barriera in tensione (Pa), τ è la
tensione di rottura a taglio per sforzo di compressione del materiale della barriera (Pa).
3.10. Protezione con Terrapieni
Il terreno è un materiale non omogeneo e anisotropo, perciò il comportamento dei missili che lo colpiscono è
diverso rispetto ai casi visti prima: il missile può rimbalzare sul terreno (se compatto) oppure penetrarvi
seguendo un percorso non sempre rettilineo (se appuntito). Smith ed Hetherington [7] raccomandano l’uso
della relazione che segue, sviluppata dai Laboratori Sandia per missili con rapporto lunghezza/diametro >10:
0,5
(
x = 6,06 ⋅10−3 S ⋅ N (M / A) ln 1 + 2,15 ⋅10 −4V 2 )
per velocità ≤ 61 m/s (3.10.1)
x = 1,16 ⋅10 −4 S ⋅ N (M / A) (V − 30,5)
0,5
per velocità ≥ 61 m/s (3.10.2)
dove x è la profondità di penetrazione (m); M è la massa del missile (kg); V è la velocità del missile
(m/s); S è il parametro del terreno pari a 4-6 per sabbia densamente compattata, 8-12 per argilla dura; 10-15
per terreno di riporto; N = 0,56 è il fattore di forma per missili appuntiti. Le equazioni valide per le barriere
realizzate con terreni, non hanno la stessa affidabilità di quelle relative all’acciaio e al calcestruzzo, pertanto
per ottenere lo spessore di un terrapieno che non venga perforato dai missili, Brown [5] suggerisce di
moltiplicare i risultati delle formule (3.10.1) e (3.10.2) per un fattore pari a tre.
4. Onda d’Urto e Carico sulle Strutture
L’esplosione fisica di un recipiente genera in un dato punto una variazione di pressione nel tempo che si
distingue da quella prodotta da sostanze esplosive in quanto l’onda negativa e l’iniziale onda positiva che la
precede differiscono di poco. Altre distinzioni si riscontrano pure su scala spaziale, ma gli effetti delle
interazioni tra le onde di pressione e le barriere che circondano il recipiente rendono trascurabili queste
differenze. Pertanto, ci si può riferire agli studi sulle onde di pressione condotti quasi esclusivamente in
ambito militare. Le caratteristiche dell’onda d’urto, cioè di quella discontinuità nell’aria in cui si determina
una elevata differenza di pressione tra il lato a monte e quello a valle della perturbazione, dipendono dalla
quantità di energia immagazzinata nel recipiente e dalla rapidità di rilascio della stessa. La maggior parte
delle prove e quindi delle eventuali rotture sono comprese tra i due seguenti casi limite: 1) recipiente che
contiene un gas ad alta pressione e si rompe in modo fragile; 2) recipiente che contiene un liquido ad alta
pressione e si rompe in modo duttile. Nel caso in cui i recipienti siano provati con liquidi non volatili, come
l’acqua, non si determina un’onda d’urto, ma solo un forte rumore, tuttavia non è trascurabile l’impatto dei
missili contro le barriere protettive. In tutti gli altri casi si deve prendere in considerazione la formazione di
un’onda d’urto che determina un picco di pressione e un impulso sulle barriere protettive. Per ricavare le
suddette grandezze, si espone la seguente procedura, proposta da Saville e al. [2]: 1) si determinano i valori
di picco di pressione e impulso su una camera contenente il recipiente dovuti all’onda d’urto; 2) in caso di
camera chiusa, con o senza aperture, si sommano alle grandezze precedenti i valori di picco di pressione e
impulso dovuti al gas rilasciato dal recipiente.
4.1. Picco di Pressione e Impulso dell’Onda d’Urto su un Cubicolo Protettivo
Dagli esperimenti di Ayvazyan e al. [8] condotti su sostanze esplosive si sono ricavati vari diagrammi per
determinare il carico su un cubicolo causato da un’esplosione. Saville e al. [2], ritengono che i risultati
ottenuti possano essere estesi alle esplosioni fisiche dei recipienti a pressione e hanno elaborato i due
diagrammi riportati nelle figure seguenti:
Fig. 4.1.1 Picco di pressione all’interno di un cubicolo [2] Fig. 4.1.2 Impulso all’interno di un cubicolo [2]
Essi sono validi per il caso di una camera cubica con la sorgente dell’esplosione posta al centro del cubo (o
al centro di un cubo fittizio in caso di singola parete) e forniscono le medie del picco di pressione e
dell’impulso, dove le lettere hanno il significato che segue: A) singola parete; B) parete di un cubicolo con
due pareti – parete laterale di un cubicolo con tre pareti – tetto di un cubicolo a due pareti con tetto; C) parete
posteriore di un cubicolo con tre pareti – parete di un cubicolo con quattro pareti – parete di un cubicolo a
due pareti con tetto – parete laterale o tetto di un cubicolo a tre pareti con tetto; D) parete posteriore di un
cubicolo a tre pareti con tetto – parete o tetto di un cubicolo a quattro pareti con tetto. La distanza in scala
riportata in ascisse è, per entrambi i diagrammi, il rapporto tra la distanza dell’esplosione dalla parete e la
radice cubica dell’energia rilasciata durante l’esplosione. L’impulso, in ordinate nel grafico di fig. 4.1.2, è
diagrammato con lo stesso fattore di scala.
4.2. Picco di Pressione e Impulso del Gas Rilasciato su un Cubicolo Protettivo
Il carico determinato dal gas su un cubicolo è rilevante solo quando quest’ultimo è totalmente o quasi
totalmente chiuso. Si ipotizza, a favore di sicurezza, che il gas rilasciato raggiunga istantaneamente la
temperatura ambiente, cosicché il calcolo del picco di pressione dovuta al gas stesso, al tempo zero, è
immediatamente eseguibile con la legge di Boyle-Mariotte. Se il cubicolo non ha aperture, allora la
sovrappressione permane indefinitamente, mentre se è provvisto di aperture la rapidità di decadimento della
sovrappressione dipende dalle aperture stesse. Utilizzando una relazione approssimata proposta da Baker [9]
si trova la durata dell’impulso dovuto al rilascio di gas, ossia il tempo necessario perché la sovrappressione
ritorni alla pressione ambiente. La durata dell’impulso e il suo valore sono dati rispettivamente dalle
espressioni seguenti:
tim = c ⋅ ln ( p1 / p0 ) (4.2.1)
i g = p1 ⋅ c ⋅ [1 − exp(− t im / c )] − p0 t im (4.2.2)
con c = V / (2,13 ⋅ α e ⋅ As ⋅ a0 ) ; p1 è la pressione di picco del gas (bara); p 0 è la pressione ambiente (bara);
α e è il rapporto tra l’area di sfiato e l’area della parete; As è l’area della superficie interna (m2); V è il
volume interno (m3); a 0 è la velocità del suono alle condizioni ambiente (circa 340 m/s).
4.3. Carico Dovuto all’Impatto di un Missile
Sebbene l’urto di un missile contro una parete sia concentrato, per il calcolo dell’impulso si assume che il
carico sia uniformemente distribuito sulla parete, in tale ipotesi si ha:
ii = mv / A (4.3.1)
dove m è la massa del missile (kg); v è la velocità del missile (m/s); A è l’area del muro impattato dal
missile (m2). La durata dell’impulso t i viene stimata ipotizzando che la decelerazione del missile all’interno
della parete sia costante, quindi:
ti = 2 x / v (4.3.2)
dove x è la profondità di penetrazione del missile nella parete. Assumendo un impulso triangolare, la
pressione di picco è:
pi = 2ii / t i (4.3.3)
Si può stimare la profondità di penetrazione di un missile con le relazioni riportate al paragrafo 3,
uguagliandola allo spessore di una parete in grado di resistere alla perforazione.
5. Risposta Strutturale alla Esplosione
Poiché i danni strutturali maggiori si verificano quando la struttura risponde a una sollecitazione dinamica
con la più bassa frequenza di vibrazione, ne consegue che l’analisi del comportamento strutturale può essere
condotta assumendo un solo grado di libertà. Inoltre, poiché le singole parti della struttura si muovono allo
stesso istante, e quindi sono in fase tra loro, se si assume una singola frequenza di vibrazione, si deduce che
lo studio può essere condotto considerando una singola massa.
5.1. Limiti della Risposta Strutturale
Sono possibili due situazioni limite: 1) se la durata della fase positiva è lunga rispetto al periodo naturale, si
dice che la struttura è caricata quasi staticamente. In questo caso, il massimo spostamento è funzione soltanto
del picco di pressione e della rigidezza della struttura e non coinvolge la durata della fase positiva o la massa
della struttura; 2) se la durata della fase positiva è corta rispetto al periodo naturale, l’onda d’urto si sarà
esaurita prima che la struttura inizi a muoversi e si dice che la struttura è caricata impulsivamente. Nei casi
intermedi è necessario risolvere numericamente l’equazione del moto per ottenere la risposta della struttura.
5.2. Diagrammi Pressione-Impulso per le Strutture Protettive
Le strutture protettive utilizzate nelle prove di pressione sono realizzate, nella maggioranza dei casi, con
piastre rettangolari in acciaio o cemento armato, e possono circondare, da uno a sei lati, l’attrezzatura da
provare. Pur essendo compito da esperti la completa analisi dinamica della risposta di tali strutture, spesso la
stessa è inappropriata poiché la conoscenza dei dettagli dell’esplosione è approssimata. Pertanto, secondo
Baker [8] e [9] e Saville [2], è più indicata una soluzione ingegneristica come di seguito proposta.