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Campisano Editore
Atti del Convegno Internazionale La cultura del restauro.
Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte,
a cura di Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva
(Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme -
Università La Sapienza, 18-20 aprile 2013)
© copyright 2013 by
Campisano Editore Srl
00155 Roma, viale Battista Bardanzellu, 53
Tel +39 06 4066614 - Fax +39 06 4063251
campisanoeditore@tiscali.it
www.campisanoeditore.it
ISBN 978-88-98229-17-8
La cultura del restauro
Modelli di ricezione
per la museologia e la storia dell’arte
a cura di
Maria Beatrice Failla
Susanne Adina Meyer
Chiara Piva
Stefania Ventra
Campisano Editore
Testo realizzato con il contributo del PRIN (Ricerca di
Rilevante Interesse Nazionale del Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca) per il progetto “Cultura
del restauro e restauratori, modelli di ricezione per
la museologia e la storia dell’arte antica e moderna.
Un archivio informatizzato”, coordinatore scientifico
nazionale Michela di Macco, Sapienza Università di Roma.
In copertina
Mauro Pelliccioli e Ettore Modigliani, 1934,
ritaglio di giornale, Lurano (BG), Associazione
Giovanni Secco Suardo, Archivio Mauro Pellicioli
Indice
pag. 9 Prefazione
Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva, Stefania Ventra
12 Riflessioni in introduzione
Michela di Macco
APPARATI
703 Gli autori
709 Indice dei nomi
a cura di Maria Maddalena Radatti
Per un’indagine sulla fortuna collezionistica degli affreschi italiani
(strappati e staccati) in Europa e negli Stati Uniti
Luca Ciancabilla
Fin dai primi istanti che segnarono, a partire dal terzo decennio del Sette-
cento, gli esordi della sperimentazione estrattista, le pitture murali furono og-
getto di collezionismo non solo in patria, ma anche oltralpe: è noto infatti che
entro la metà del Secolo dei Lumi giunsero – con ogni probabilità – a Vienna,
destinati alla corte di Carlo VI d’Asburgo, alcuni affreschi di Giulio Romano
che Antonio Contri aveva strappato da una parete di Palazzo Ducale a Manto-
va, mentre poco dopo oltrepassarono la Manica Due teste di mano di Domeni-
co Panetti già sui muri di una cappella in San Giorgio fuori le mura a Ferrara 1.
Del resto il metodo inventato dal ferrarese, a differenza del tradizionale
massello, non solo, implicitamente, trasferendo gli affreschi sulla tela li riduce-
va, anche qualora fossero di dimensioni importanti, in quadri da galleria, ma
allo stesso tempo, rendendoli agevolmente arrotolabili, ne facilitava lo sposta-
mento da una città all’altra, da una nazione all’altra, poiché leggeri e quindi
idonei a viaggiare senza problemi di spazio e di carico su carri e navi (cosa as-
sai più complicata per gli affreschi trasportati a massello, che invece dovevano
muoversi insieme al loro muro).
Da quel momento in poi nulla sarà più come prima per l’antico patrimonio
pittorico murale italiano, destinato, in particolare nei due secoli seguenti, a su-
bire ingenti perdite a favore del mercato antiquario e quindi del collezionismo
– privato e pubblico – europeo ed extraeuropeo. Dopo le prime avvisaglie set-
tecentesche infatti – determinate sì dall’interesse di godere delle opere dei più
noti maestri dell’arte italiana, ma all’unisono anche dalla ricerca della meravi-
glia 2 – fu però solo a partire dal primo quarto del XIX secolo, contestualmente
alla maggiore diffusione sul territorio italiano della pratica estrattista, che pre-
se avvio con decisione l’inesorabile diaspora di quei tesori oltre i confini natu-
rali della penisola.
Nonostante il notevole interesse manifestato da Vivant Denon per le opere
che decoravano i muri delle chiese e i palazzi delle nostre città però, è oppor-
tuno sottolineare, nessun affresco ebbe a lasciare l’Italia durante l’occupazione
napoleonica. Gli invasori, che insieme alle tele e alle tavole dei più grandi mae-
stri italiani avrebbero desiderato portare oltre le Alpi anche capolavori come
la Camera di San Paolo del Correggio a Parma, o le Stanze di Raffaello a
Roma 3, non riuscirono in realtà ad appropriarsi di alcun affresco a causa della
poca dimestichezza con quel genere di operazioni, ma anche per la poca colla-
238 LUCA CIANCABILLA
borazione che ottennero da parte degli estrattisti italiani attivi in quegli anni 4.
Per queste ragioni fallì il trasferimento al Musée Napoleon della Deposizione
dipinta da Daniele da Volterra nella Cappella Orsini a Trinità dei Monti, stac-
cata da Pietro Palmaroli fra il 1809 e il 1810, ma fuori dal suo studio solo a peri-
colo cessato, quando ormai non poteva più essere oggetto delle mire transalpi-
ne 5. E in Francia non giunsero nemmeno altri due affreschi staccati in quei
medesimi anni dalla limitrofa cappella Massimi: stiamo parlando della Resurre-
zione di Lazzaro di Perin del Vaga (fig. 1) e della Santa Maria Maddalena soste-
nuta da angeli di Giulio Romano e Gianfrancesco Penni, trasportati su tela fra
il 1810 e il 1815 (con ogni probabilità dallo stesso Palmaroli). Entrambi infatti
riuscirono ad evitare il viaggio a Parigi durante l’occupazione francese, ma non
per questo sfuggirono, negli anni seguenti, all’alienazione in terra straniera.
Il primo, dopo essere giunto in mano al fratello dell’imperatore Luciano Bo-
naparte, che lo volle esposto all’interno di Villa Tuscolana a Frascati, prese la
via dell’Inghilterra nel 1816 (a Restaurazione già avviata) insieme a tutta la sua
collezione di opere d’arte (oggi si trova, dopo vari passaggi di mano, al Victo-
ria and Albert Museum di Londra 6). Il secondo ebbe sorte simile, approdò al
di là della Manica se non in quegli stessi anni, qualche tempo dopo, per poi es-
sere acquistato dalla National Gallery di Londra verso la metà dell’Ottocento
(dove si trova tuttora) 7.
Del resto non la Francia, bensì la Gran Bretagna, come si evince da queste
prime avvisaglie, avrebbe di fatto recitato la parte del leone per tutto la prima
parte del secolo. Se infatti, nel 1810 circa, erano già a Londra alcuni frammenti
di affreschi di Spinello Aretino trasportati a massello dalla Cappella Manetti al
Carmine di Firenze (distrutta dopo l’incendio che l’aveva colpita nel 1771) 8, a
partire dal 1820 prenderanno la strada dell'Inghilterra altri illustri maestri del
Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento italiano.
Primo fra tutti Paolo Veronese, i cui affreschi che decoravano la Villa So-
ranzo (o alla Soranza) a Castelfranco Veneto furono oggetto delle attenzioni
del conte Filippo Balbi, estrattista che si preoccupò di strapparli dalle pareti
che li ospitavano da secoli onde farli sfuggire alla demolizione dell’edificio, già
avviata nel 1815 per volontà del governo austriaco. Un totale di centoventi
frammenti di varie misure donati al Duomo di Castelfranco (meno di una de-
cina, ancora lì custoditi) e ad alcuni suoi sodali come Giovanni Vendramin,
colui che negli anni venti ne promosse il trasporto a Londra favorendone l’im-
missione sul mercato antiquario locale, dove l’attenzione per le opere del Ca-
liari era viva da secoli 9.
A un altro veneto invece, il farmacista padovano Giuseppe Zeni, si deve il
trasporto su tela degli affreschi che Bernardino Parenzano aveva eseguito nel
chiostro dell’abbazia di Santa Giustina a Padova. Estratti nel 1820 a causa del
pessimo stato di conservazione in cui versavano i muri che li ospitavano dopo
l’abbandono dell’edificio a causa delle soppressioni napoleoniche, i dipinti del
Parentino passarono immediatamente sulla piazza antiquariale approdando in
collezioni italiane, ma anche, in seconda battuta, estere. E anche in questo ca-
so l’Inghilterra fece la sua parte accogliendo, a partire da una data imprecisata,
PER UN’INDAGINE SULLA FORTUNA COLLEZIONISTICA DEGLI AFFRESCHI ITALIANI 239
venderebbero all’estero non pur le pitture, ma persino i chiodi d’Italia» 12, così
come la successiva emanazione, nel 1839, per volontà del Camerlengato, che a
quelle date esercitava le funzioni di organo centrale per la tutela dei monu-
menti dello Stato Pontificio, di un provvedimento in cui – proprio per fini
protezionistici – si intimava a tutti gli estrattisti che operavano nei territori pa-
pali «il divieto di eseguire distacchi senza le necessarie autorizzazioni» 13.
Uno strumento che voleva avere finalità di controllo più che di coercizione
e che, proprio per questo, non evitò l’alienazione su larga scala di alcuni fra i
più importanti capolavori murali di Roma e delle altre province pontificie. Da
Bologna presero la strada delle Alpi per poi finire la loro corsa in Inghilterra
fra la fine degli anni trenta e quella degli anni quaranta dell’Ottocento L’Erco-
le e l’Idra di Ludovico Carracci (Londra, Victoria and Albert Museum) e L’alba
separa il giorno dalla notte di Guido Reni (Kingston Lacy, Dorset, John Banks
Collection) 14.
Il primo – già su un camino di Palazzo Grassi – trasportato su tela dall’imo-
lese Pellegrino Succi, il secondo – già su un soffitto di Palazzo Zani – dal cen-
tese Giovanni Rizzoli, entrambi estrattisti di fama, entrambi decisivi, nel favo-
rire l’esodo di altri capolavori su muro in terra straniera.
Si pensi, per quanto riguarda Pellegrino Succi, al Presepe che il Perugino
aveva dipinto nella chiesa di Fontignano nei pressi di Perugia, strappato nel
1843 e dal 1862 nelle sale del Victoria and Albert Museum. Agli affreschi che,
per opera di Annibale Carracci e Francesco Albani, decoravano la Cappella
Herrara in San Giacomo degli Spagnoli a Roma, resi mobili nel 1835 circa e da
lì a poco condotti verso la penisola iberica (ora sono divisi fra il Prado di Ma-
drid e il Museo Nazionale d’Arte della Catalogna di Barcellona). O ancora alle
Storie di Apollo del Domenichino, traslate dai muri di Villa Aldobrandini a
2. Pinturicchio, Il ritorno
di Ulisse, Londra,
National Gallery
PER UN’INDAGINE SULLA FORTUNA COLLEZIONISTICA DEGLI AFFRESCHI ITALIANI 241
Frascati nel 1836 e dopo una lunga permanenza in patria, nel 1892 emigrati a
Vienna e infine, dal 1958, a Londra, alla National Gallery. Agli affreschi di
scuola romana di metà Cinquecento della Villa La Crescenza nei pressi di Ro-
ma, strappati agli esordi degli anni quaranta dell’Ottocento e poi, qualche de-
cennio dopo, acquistati dal collezionista francese Walther Fol che poi li donò,
nel 1871, alla città di Ginevra 15 (insieme ad alcuni frammenti di mano Innocen-
zo da Imola che con ogni probabilità Pellegrino aveva strappato nella Chiesa
di Sant’Agostino a Imola in quei medesimi tempi anch’essi oggi parte delle
collezioni del Musée d’Art et d’Histoire). A Il ritorno di Ulisse di Pinturicchio
(fig. 2), La riconciliazione di Coriolano e Il trionfo della Castità di Luca Signo-
relli distaccati nel 1844 dai muri del Gabinetto di Pandolfo Petrucci nel Palaz-
4. Sandro Botticelli,
Le sette arti
liberali,
Parigi, Musée
du Louvre
5. Beato Angelico,
Madonna col
Bambino fra i
santi Domenico
e Tommaso
d’Aquino,
San Pietroburgo,
Hermitage
244 LUCA CIANCABILLA
lizioli aveva strappato nel 1845 insieme alle altre decorazioni che rendevano
unico il salone di Palazzo Calini a Brescia, compravendita a cui fece seguito,
nel 1889, quella del camerino frescato da Antonio della Corna in Casa Maffi a
Cremona 22 – col passare dei decenni e con l’approssimarsi al nuovo secolo, co-
minciarono a oltrepassare le Alpi, la Manica, ma anche gli Oceani (perché ora
anche gli Stati Uniti erano della partita), anche frammenti, scene, teste, porzio-
ni più o meno significative dei cicli su muro del nostro Trecento e Quattrocen-
to (talvolta, però, dei veri e propri falsi, secondo una “tradizione” avviata nella
seconda metà dell’Ottocento).
Rimasero in Europa, approdando a Londra, alla National Gallery, alcune
porzioni della decorazione che Spinello Aretino aveva realizzato negli ambien-
ti della Compagnia di San Michele Arcangelo ad Arezzo, staccate ancora nel
1855, ma giunte in Gran Bretagna solo nel 1886, mentre viaggiarono fino al Mu-
seo Nazionale delle Arti di Budapest l’Eterno Benedicente e i Quattro evangeli-
sti di Jacopo Zabolino che costituivano la volta della chiesa di Santa Caterina
dello Stelletto a Spoleto 23.
Poco dopo invece attraversarono l’Oceano Atlantico gli affreschi trecente-
schi attribuiti da Federico Zeri in parte a Allegretto Nuzi, in parte ad autore
anonimo, per poi fermare la loro corsa, fra il 1918 e il 1925, nel Fogg Art Mu-
seum dell’Harvard University di Cambridge, in Massachusetts 24. Lo stesso
toccò alla Testa di Madonna attribuita al portoghese Alvaro di Pietro uscita
dall’Italia in data imprecisata e giunta poco dopo il 1911 nella Walters Art Gal-
lery di Baltimora, a cui si aggiunse prima del 1922, il frammento di medesimo
soggetto di mano di Francesco da Rimini proveniente dal refettorio della chie-
sa di San Francesco a Bologna, luogo da cui era stato allontanato (su tela) pri-
ma del 1881 25. Senza dimenticare il Cristo in Pietà di Niccolò di Tommaso
strappato da una nicchia di una chiesa fiorentina agli esordi del Novecento,
poi migrato negli Stati Uniti e quindi giunto al Metropolitan di New York nel
1925, museo che tanti affreschi ebbe ad accogliere fra la fine dell’Ottocento e il
secondo dopoguerra (talvolta acquistati immediatamente a seguito dell’inter-
vento dell’estrattista, talvolta lì giunti a giochi fatti, cioè decenni dopo il loro
trasporto sulla tela 26).
Basti citare al proposito il San Cristoforo che Domenico Ghirlandaio aveva
frescato all’interno della cappella privata di Villa Michelozzi a Firenze, migra-
to al Metropolitan poco dopo la sua estrazione dal muro, nel 1880, e questo
grazie a una donazione perpetuata dal magnate americano Cornelius Vander-
bilt; o ancora gli affreschi con scene mitologiche che Baldassarre Peruzzi aveva
lasciato nella loggia di Villa Stati Mattei, distaccati nel 1856 dal solito Pellegri-
no Succi e dopo vari passaggi collezionistici lì approdati poco dopo a fine del-
la Seconda Guerra Mondiale; senza dimenticare il soffitto che il Pinturicchio
aveva decorato nel Palazzo del Magnifico di Siena che non tardò a seguire ol-
tralpe, a Parigi, le sottostanti pareti strappate dal Succi (già ricordate poco so-
pra) per poi entrare nella collezione newyorkese nel 1914 27. Sorte toccata anche
a numerosi affreschi di Giambattista Tiepolo un tempo sulle pareti della de-
molita Villa Marchesi della Chitarra di Mira (o forse da Palazzo Valle Marche-
PER UN’INDAGINE SULLA FORTUNA COLLEZIONISTICA DEGLI AFFRESCHI ITALIANI 245
sini Sala di Vicenza 28), già a New York prima del 1915, ma entrati al Metropoli-
tan solamente nel 1943 a seguito di un lascito testamentario.
Tiepolo e le sue pitture murali erano da tempo, fin dagli anni immediata-
mente successivi l’Unità d’Italia, oggetto prediletto degli estrattisti e quindi
del collezionismo nostrano ed internazionale. Basti pensare al caso più ecla-
tante al riguardo: quello degli affreschi che Giambattista – con l’aiuto di Gian-
domenico e di Girolamo Mengozzi Colonna – aveva lasciato sui soffitti di Villa
Contarini (Palazzo dei Leoni) a Mira (fra cui il notissimo Ricevimento di Enri-
co III ), strappati nel 1893 e subito condotti a Parigi per opera dei coniugi
Edouard André e Nélie Jacquemart 29.
Una compravendita che in patria ebbe diversi strascichi polemici, anche sul-
la stampa nazionale 30, alla stregua di un’altra celebre alienazione, anch’essa av-
venuta poco prima della fine del secolo, anch’essa assai dolorosa per il patri-
monio pittorico italiano, ma chiusasi con finale decisamente non scontato.
Quando, nel 1895, gli affreschi quattrocenteschi che decoravano la conca ab-
sidale della chiesa di Sant’Agata al Monte a Pavia furono strappati da Giusep-
pe e Franco Steffanoni, presero immediatamente la via dell’Europa finendo
nello studio di un noto mercante parigino, l’antiquario Roul Heilbronner. Da
lì, in grande segreto, entro il primo decennio del Novecento, migrarono verso
gli Stati Uniti per trovare dimora nel Philadelphia Museum of Art, istituzione
che li ha custoditi fino al 1991. Perchè in quel medesimo anno, caso più unico
che raro, gli affreschi sono tornati in Italia per restarci per sempre (nelle sale
dei Musei Civici di Pavia) 31. Un evento eccezionale, dovuto alla non scontata
liberalità del museo statunitense, che rappresenta un unicum nel panorama in-
ternazionale, visto che non possiamo citare – o almeno non conosciamo – altri
casi simili.
Una vicenda conosciuta da pochi, che come tutte quelle accennate in questo
saggio, è ora di approfondire con maggiore determinazione e chiarezza onde
favorire la redazione di un repertorio storico-critico degli affreschi che hanno
oltrepassato i nostri confini fra il XVIII e il XX secolo.
NOTE
1
Riguardo agli esordi e la diffusione su larga scala della sperimentazione estrattista si veda A. Con-
ti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1988, pp. 199-122; L. Ciancabilla,
Stacchi e strappi di affreschi fra Settecento e Ottocento. Antologia dei testi fondamentali, Firenze 2009.
2
In riferimento alla fortuna collezionistica delle pitture strappate e staccate fra Settecento e Otto-
cento in quanto meraviglie dell’arte, ma anche del genio ingegneristico e meccanico dell’uomo cfr.
L. Ciancabilla, Di diverse pitture staccate dal muro e trasportate dall’Italia in Gran Bretagna e special-
mente di due affreschi bolognesi di Ludovico Carracci e Guido Reni, in R. Cioffi, O. Scognamiglio,
a cura di, Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, Napoli 2012, pp. 385-397.
3
Queste, almeno, erano le intenzioni del direttore del Musèe Napoleon Vivant Denon e del gene-
rale francese Pommer, ma cfr. M. L. Blumer, La mission de Denon en Italie (1811) in «Revue des étu-
des napoléoniennes», 38 (1934), p. 237-57; P. Wescher, Vivant Denon and the Musée Napoléon, in
«Apollo», 80 (1964), p. 178-86; F. Boyer, Le monde des arts en Italie et la France de la Révolution et de
l’Empire, Torino 1969, pp. 241-247.
4
A questo proposito va ricordato il caso esemplare di Giacomo Succi, nel 1796 nominato da Pio
VI “Estrattista delle pitture del Sacro Palazzo Apostolico”, che si rifiutò, per patriottismo e devozio-
246 LUCA CIANCABILLA
ne al pontefice, già passato nelle carceri francesi, di staccare alcuni dei più celebri affreschi della città
di Roma disubbidendo così agli ordini degli invasori. Lo stesso, da lì a poco, avrebbe fatto il figlio
Pellegrino, che però, nei decenni a seguire, come vedremo oltre, non esitò a strappare affreschi poi
destinati al mercato estero, per questo deve essere presa con le dovute riserve l’unica fonte ottocente-
sca che ci avverte di quei fatti, W. Fol, Catalogue du Musée Fol, Ginevra-Parigi 1876, t. III, p. 325.
5
Il dipinto, che i francesi avevano provato a trasportare a massello alla fine del secolo con pessimi
risultati, tanto da interromperne il distacco per evitare il crollo della cappella, venne perciò staccato
solo qualche anno dopo per opera di Pietro Palmaroli, che in quell’occasione sperimentò per primo
la tecnica dello stacco (che a differenza dello strappo portava sulla tela anche una piccola porzione di
intonaco). L’affresco però lasciò il suo studio, nonostante le incessanti richieste di Denon, che lo vole-
va assolutamente a Parigi, solo a giochi fatti anche grazie all’intervento di Vincenzo Camuccini, allora
Ispettore alle Pubbliche Pitture di Roma. I francesi, nella persona dell’ambasciatore a Roma Chateau-
briand riprovarono anche più avanti nel tempo ad appropriarsene, quando si era nel 1828, non riu-
scendo a farcela nemmeno in quell’occasione, ma cfr. G. Albers, P. Morel, Pellegrino Tibaldi e Marco
Pino alla Trinità dei Monti. Un affresco ritrovato, Pietro Palmaroli e l’origini dello stacco”, in « Bolletti-
no d’Arte », 48 (1988), pp. 69-92 ; C. Hoeniger, The Art Requisitions by the French under Napoléon
and the Detachment of Frescoes in Rome, with an Emphasis on Raphael in «CeROArt. Conservation,
Exposition, Restauration, D’Objets d’Art», Hors serie, 2010, rivista on-line.
6
C.M. Kauffmann, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Foeign Paintings. I. Before 1800,
London 1973.
7
C. Baker, T. Henry, The National Gallery. Complete illustrated catalogue, London 2000.
8
Gli altri frammenti sono divisi fra la il Museo di San Matteo di Pisa e i Musei Civici di Pavia (nel-
la Pinacoteca Malaspina).
9
Cfr. G. Schweikhart, Die Fresken der Villa Soranza in England, in «Mitteilungen des Kunsthistori-
schen Institutes in Florenz», XXI (1977), pp. 327-329; studio ripreso e aggiornato in G. Schweikhart,
Paolo Veronese in der Villa Soranza, in G. Schweikhart e U. Rehm, a cura di, Die Kunst der Renaissan-
ce. Ausgewählte Schriften, Köln 2001, pp. 62-74.
10
I Benedettini a Padova e nel territorio padovano attraverso i secoli. Saggi storici sul movimento be-
nedettino a Padova, Catalogo della Mostra a cura di A. De Nicolo Salmazo e F. G. Trolese, (Padova,
Abbazia di S. Giustina, ottobre-dicembre 1980), Treviso 1980.
11
Riguardo le vicende del trasporto degli affreschi della Pelucca da parte di Stefano Barezzi e la se-
guente dispersione collezionistica si veda F. Autelli, Pitture Murali a Brera. La rimozione: notizie stori-
che e fortuna critica. Catalogo ragionato, Milano 1989, pp. 164-180.
12
F. L. Cicognara, Del distacco delle pitture a fresco, in «Antologia», LII (maggio 1825), p. 2.
13
F. Giacomini, “Questo distaccare le pitture dal muro è una indegna cosa”. Il trasporto dei dipinti
murali nell’Ottocento e l’attività di Pellegrino Succi, in S. Rinaldi, a cura di, Restauri pittorici e allesti-
menti museali a Roma tra Settecento e Ottocento, Firenze 2007, p. 80.
14
L. Ciancabilla, Di diverse pitture... cit.
15
Cfr. M. Natale, D. Queloz-Iacuitti, A. Rinuy e F. Schweizer, Historie et restauration: les fresques
de la villa la Crescenza in «Geneva», n. s., XXIV (1976), pp. 323-346.
16
I tre affreschi furono trasferiti su tela dal Succi proprio in vista del necessario trasferimento nella
sua collezione a Parigi. In precedenza, nel 1821, le altre due scene ancora visibili del ciclo, quelle fre-
scate da Girolamo Genga, erano state trasportate a massello per volontà del pittore Bernardino Mon-
tini che le aveva vendute (come pitture di Baldassare Peruzzi) agli Uffizi, che le destinarono, in cam-
bio di una permuta, alla Galleria dell’Accademia di Siena. Oggi si trovano esposte insieme al loro mu-
ro (contenute in apposite cornici) nella Pinacoteca di Siena, ma cfr. C. Ricci, La sala del Pinturicchio
nel Palazzo del Magnifico a Siena, in “Arte italiana decorativa e industriale”, 1901, n. 8, p. 63; A. Con-
ti, Vicende e cultura del restauro, in Storia dell’arte italiana, Torino 1981, vol. X (Conservazione, falso,
restauro), p. 71 e in particolare G. Agosti, Precisioni su un “Baccanale perduto del Signorelli” in «Pro-
spettiva», XXX (1982), p. 70 nota 7.
17
M. Boni, Il restauro dei dipinti murali nella prima metà del XIX secolo a Bologna, in «Bollettino
ICR», n. s., 4 (2002), p. 14.
18
H. Wohl, The paintings of Domenico Veneziano (ca. 1410-1461). A study in Florence Art of the
early Renaissance, Oxford 1980, pp. 114-116.
19
Chi scrive non ha avuto la possibilità di verificare direttamente la bibliografia coeva al trasporto
e alla vendita a Parigi (C. Conti, Découverte de deux fresques de Sandro Botticelli, in «L’Art», XXVII
(1881), pp. 86-87 e XXVIII (1882), pp. 59-60; V. Lee, Botticelli at the Villa Lemmi in «The Cornhill
Mgazine», (July-December 1882) per avere notizia del nome dell’estrattista, certamente da individua-
re fra quelli attivi in Toscana nell’ultimo quarto del secolo.
PER UN’INDAGINE SULLA FORTUNA COLLEZIONISTICA DEGLI AFFRESCHI ITALIANI 247
20
J. Pope Hennessy, Fra Angelico, London 1974, p. 197.
21
Cfr. L. Ciancabilla, Affreschi di primitivi strappati e staccati nell’Italia Unita fra restauro, salva-
guardia, musealizzazione e collezionismo in «Annali di Critica d’Arte», IX (2013), 2, pp. 205-215.
22
Kauffmann, Victoria and Albert... cit.
23
F. Todini, La pittura Umbra. Dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, vol. I, p. 335.
24
B. B. Fredericksen, F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Paintings in North American Pu-
blic Collections, Cambridge 1972, pp. 4-224.
25
F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimore 1976, vol. I, pp. 35-36; 61-63.
A Baltimora giunse anche, nel 1951, dopo che fin dal 1925 si trovava nella collezione del newyorkese
Saidie A. May, una Testa di Santo attribuita ad Agnolo Gaddi proveniente da una chiesa fiorentina,
ma cfr. Italian paintings XIV-XVIIIth Centuries from the collection of The Baltimore Museum of Art,
Baltimore 1981, pp. 24-31.
26
Cfr. F. Zeri, E. E. Gardner, Italian Paintings. A catalogue of the Collection of The Metropolitan
Museum of Art. Florentine school e North Italian School, New York, 1971, pp. 90-91.
27
Cfr. B. Burroughs, A ceiling by Pinturicchio from the Palazzo del Magnifico in Siena, in «Bullettin
of the Metropolitan Museum of Art», II, (January 1921), pp. 3-11; F. Joni, Le memorie di un pittore di
quadri antichi, Siena 1932, p. 237.
28
C. B. Tiozzo, La dispersione del patrimonio artistico alla Mira lungo la riviera del Brenta dopo l’u-
nità d’Italia, con particolare riguardo agli affreschi strappati dalle sue ville, in «Ateneo Veneto», N. S.,
XXXV (1997), pp. 167-174.
29
P. N. Sainte Fare Garnot, Les Tiepolo du musée Jacquemart-André“, in Venise en France. La fortu-
ne de la peinture vénitienne, des collections royales jusqu’au XIXe siècle, Actes de la journée d’étude
(Paris-Venise, École du Louvre et Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, École du Louvre, 5 fé-
vrier 2002), Paris 2004, pp. 193-194.
30
L. Bertolucci, Un brutto affaire tra Mira e Parigi, ovvero, come andò la contrastata vendita degli
affreschi di Villa Contarini (Palazzo dei Leoni) a Mira, Mira (s. d.)
31
O. Ciferri ed altri, L’affresco di Sant’Agata al Monte di Pavia: ricerche ed analisi per il restauro,
Milano 1996; D. Vicini, L’affresco di Sant’Agata al Monte in L’affresco di Sant’Agata al Monte. Dal
Philadelphia Museum of Art ai Musei Civici di Pavia, Pavia 1991.