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Non si tratta, ovviamente, di una “rinascita” in senso stretto della modalità diatonica
pre-tonale; l’aver transitato per circa due secoli attraverso il territorio “bimodale” della
tonalità armonica maggiore-minore avrebbe comunque lasciato una traccia indelebile
dietro qualunque nuovo cammino si fosse voluto intraprendere.
Un esempio tipico di questa “moda” è il III tempo del quartetto op. 132 di Beethoven,
la Canzona di ringraziamento… in modo lidio. (1824-25).
In questo pezzo troviamo più una ricerca di sonorità arcaicizzanti che una vera e propria
ripresa del sistema modale. Infatti non viene quasi mai usato il tritono, tipico del modo
lidio, né viene applicata in modo intensivo la tipica triade minore sul VII grado.
Il solo utilizzo del si bequadro al posto del si bemolle riesce ad assicurare una vaga
atmosfera modale e a celare la tonalità d’impianto (Fa maggiore), ma un’analisi non
superficiale mostra la natura profondamente tonale della Canzona: infatti il si bequadro
è più da intendersi come sensibile della dominante dell’accordo di Fa maggiore piuttosto
che come tratto caratteristico del modo lidio.
Lo scopo era quello di lavorare con una tonalità fluttuante tra do maggiore e fa
maggiore per creare una vasta zona di indeterminatezza che conferisse un'atmosfera di
sospensione, di non-risoluzione.
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Anche la Chanson du roi de Thulé, dal Faust di Gounod (1859) utilizza elementi modali
per creare un’atmosfera arcaicizzante. Anche in questo caso l’elemento modale è però
chiuso nei vincoli di un sistema tonale.
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A volte si parla di sistema modale semplicemente perché il sistema tonale non è in grado
di spiegare coerentemente il discorso musicale.
Esempio tipico di questo fenomeno è Chopin.
Spessissimo nei suoi brani le funzioni tonali sono oscure: mancanza quasi assoluta di
passaggi V – I, triadi enfatizzate sui gradi deboli, annullamento della sensibile.
Giusto a titolo esemplificativo, consideriamo la Mazurca op. 24 n. 2: il brano (in un
ipotetico la minore) inizia con cinquantasei battute consecutive senza una sola
alterazione.
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Questa sonata rappresenta l’esempio più famoso di sonata in “forma ciclica” in cui uno
stesso motivo o un nucleo di motivi si ripropone nelle forme più svariate dal primo
movimento in quelli successivi.
In questa sua unica sonata per pianoforte Liszt presenta l’articolazione strutturale tipica
dei suoi poemi sinfonici: 4 singoli movimenti tipici di una sinfonia o sonata (allegro-
adagio- scherzo- finale) diventano caratteri di tempo e caratteri espressivi amalgamati
in un unico vasto movimento che osserva lo schema, quanto si voglia modificato, della
forma sonata. Nelle prime diciassette battute è già esposto il materiale melodico su cui
si fonda l'intera composizione.
Le indicazioni principali dei movimenti sono: Lento assai, Allegro energico, Andante
sostenuto, e Lento assai. Il clima infernale, cupo e misterioso dell’inizio si stempera tra
sordi martellamenti di sol e due scale discendenti di sol minore, la prima frigia e la
seconda zigana le quali, portano al vero e proprio primo tema.
La prima scala che si incontra si trova al basso, è in senso discendente ed è una scala
frigia da sol: SOL- LAb – Sib- DO- RE- Mib- FA- SOL. (scala minore naturale con il
secondo grado abbassato)
La seconda scala si trova sempre al basso in senso discendente ed è una scala zigana da
sol: SOL- LA- SIb- DO#- RE- Mib- FA#- SOL. (scala minore armonica con la quarta
aumentata).
L’utilizzo di modi etnici è tipico, anche, della musica russa (o comunque dell’Europa
dell’Est), fortemente influenzata dai modi tipici della tradizione ortodossa e dalla
musica popolare.
Il modalismo in Debussy
Un primo elemento (A) costruito tutto per terze maggiori, che spesso si presentano
graficamente sotto forma di quarte diminuite.
Un secondo elemento (B), espresso sempre nel basso, che ha un carattere puramente
ritmico, vagamente incombente.
Il secondo (batt. 33) presenta un elemento coloristico nella parte acuta, mentre nella
parte centrale si risente la terza idea (C) armonizzata con triadi aumentate e
raddoppiata all’ottava superiore.
Il terzo (batt. 42) è quello dove Cortot, con immagine che al di là di tutto risulta
innegabilmente suggestiva, ha intravisto “un colpo di vento che gonfia la vela di un
barca”.Il pezzo, che fino ad ora era stato rigorosamente esatonale (non era mai uscito
dalla note della scala tranne un brevissimo passaggio dove per fare un cromatismo in
note di passaggio erano stati introdotti un SOL e un REb (battuta 31), diventa qui
pentafonico, per sei battute che si svolgono completamente sui tasti neri del pianoforte.
(E qui, come in tante occasioni in Liszt, in Chopin e in mille altri, appare chiaro come la
struttura fisica di una tastiera di pianoforte abbia suggerito la creazione musicale del
passaggio, o meglio ancora ne abbia evocato la scrittura. Questo non deve stupire poiché
il termine scrittura per un compositore non è sinonimo di grafia ma possiede un
significato enormemente più ampio: vuol dire traduzione con i mezzi strumentali a
disposizione di un’idea musicale, ed è quindi riferito agli aspetti artigianali del
comporre).Alla battuta 48 si ritorna all’esatonalismo puro, dove viene ripresentato
l’elemento (C), ma all’acuto e arricchito da rapide scale esatonali ascendenti, con
funzione coloristica simile a quella delle precedenti scale pentafoniche, e per questo da
considerarsi idealmente legato all’elemento pentafonico delle battute 42-47. Nel basso,
modificato dal salto di ottava, si può ravvisare un’allusione all’elemento (B).
La terza parte è rappresentata dalle sette battute finali, nelle quali, a mo’ di ripresa si
riascolta l’idea iniziale (A), senza comunque abbandonare l’elemento in rapide scale
ascendenti diventato ormai un importante polo di attenzione per l’ascoltatore.
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