La corruzione
nel regime
nazionalsocialista
Frank Bajohr
11 Cfr. G.R. Ueberschär e W. Vogel, Dienen und Verdienen. Hitlers Geschenke an seine
Eliten, Frankfurt, 1999.
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le alte cariche del Partito erano tassati presso due soli uffici delle
imposte, Berlino Centro e Monaco di Baviera/Quartiere Nord, dove
la loro documentazione giaceva protetta come un segreto di stato.
Molte personalità del gruppo dirigente più ristretto non pagavano le
tasse o solo una quota ridotta, in conseguenza di una disposizione
impartita dal sotto-segretario del ministero delle finanze, Fritz
Reinhardt, il quale usava coprire politicamente le scandalose evasio-
ni fiscali.
Abusando delle proprie cariche molti rappresentanti di vertice del
regime si erano procurati tenute e dimore signorili, riserve di caccia
e collezioni d’arte, con cui mettevano in scena, con compiacimento
narcisistico, una vita lussureggiante, imitando i costumi della nobil-
tà ed esibendo il proprio potere al di fuori e all’interno del movimen-
to12. In questa maniera il Gauleiter di Berlino e ministro della propa-
ganda Joseph Goebbels, grazie ai sussidi della città e delle imprese
cinematografiche possedute dal Reich, acquistò diverse dimore fa-
stose. Similmente il ministro degli Esteri Ribbentrop ottenne come
residenza estiva il castello di Fuschel, il cui proprietario era stato
deportato in un campo di concentramento. Nel Mecklenburgo il
Gauleiter Hildebrandt, un ex-lavoratore agricolo, acquisì per un 73
I valori in contanti e i gioielli requisiti in molti casi non sono stati registra-
ti regolarmente, di modo che risulta impossibile precisare se e quanto di
quei valori non sia già stato fatto sparire. Nel Governatorato generale si è
verificato un passaggio di grande dimensione di gioielli, sequestrati per ope-
ra del gruppo d’azione SS Reinhardt, nelle mani rispettivamente del capo
delle SS e del capo della polizia di Lublino, senza registrazione dettagliata né
verbalizzazione da parte del commando di sequestro. Un caso veramente
esemplare si è verificato presso l’ufficio esterno di Stanislau in Galizia: soldi
e gioielli sequestrati sono stati sottratti in dimensione ingente. Gli incaricati
della corte dei conti durante una indagine in loco hanno trovato nelle stanze
del funzionario responsabile grosse quantità di danaro, anche in valuta au-
rea e in numerose altre valute, tra cui 6.000 dollari, così come hanno reperi-
to scatole piene di gioielli preziosissimi mai registrati ufficialmente14.
Tipologie di corruzione
14 «Erinnerungen des Prüfungsgebiets VI 6 aus dem letzten Jahre, die sich gegen Ei-
gennutz, Verschwendung usw. richten», Bundesarchiv Berlin, R 2301/2073/2, Bl. 86 s.
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stesso tempo la praticavano su larga scala nei loro comportamenti
effettivi. Si possono identificare tre varianti circa l’atteggiamento del
regime verso la corruzione.
La prima riguardava una corruzione promossa e messa in atto
ufficialmente da parte dello stato e del movimento nazista. Essa
quindi non era determinata da un abuso delle cariche ricoperte da
parte di singoli, ma rappresentava un sistema organizzato d’abuso di
potere, perseguito non esclusivamente a scopi privati, ma finalizzato
alla stabilizzazione funzionale del sistema di dominio. Il favoritismo
organizzato a vantaggio dei membri del partito e le elargizioni di
Hitler e degli altri gerarchi sono solo degli esempi di tale corruzione
istituzionalizzata.
Si distingueva da tal genere di corruzione quella tollerata, ossia
quella che si era diffusa in ragione delle debolezze strutturali della
lotta contro la corruzione ed era più o meno consapevolmente am-
messa per forza di cose. Ne facevano parte i traffici sul mercato nero,
particolarmente nei territori occupati, passivamente accettati, così
come la progressiva erosione delle finanze pubbliche mediante la
creazione di fondi e di fondazioni straordinarie che non sottostavano
ad alcun controllo effettivo. 75
In terzo luogo, anche sotto il regime nazista c’era una corruzione
che veniva perseguita, cioè reati contro cui si procedeva legalmente
secondo le normative. Ne faceva parte in primo luogo il largo campo
della corruzione a danno del Partito e delle sue organizzazioni, come
la già citata sottrazione di contributi dei camerati e di donazioni.
Tuttavia, i confini tra corruzione istituzionalizzata, tollerata e con-
trastata erano labili e tendevano a sovrapporsi. Mentre gli impiegati
pubblici e i funzionari senza una forte protezione politica dovevano
giustificarsi per via disciplinare anche in seguito alla più piccola tra-
sgressione, e si vedevano anzi minacciati da un elenco sempre più
lungo di possibili reati (come «la mancanza di disponibilità alle elar-
gizioni» oppure gli «atteggiamenti amichevoli nei confronti di
ebrei»), i gerarchi ebbero a temere denunce per corruzione solo se
avevano perso ogni utilità agli occhi dei loro protettori o erano finiti
negli ingranaggi di qualche lotta di potere all’interno del regime. Al-
cuni reati di corruzione, come il mercato nero, furono di volta in
volta oggetto di promozione ufficiale o di tolleranza o di contrasto.
Queste oscillazioni costituivano le caratteristiche tipiche di un si-
stema sciolto da vincoli normativi. La denuncia per corruzione di-
pendeva in prima linea da criteri di opportunità, come la posizione e
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l’utilità della persona in causa o il ruolo del protettore all’interno
dell’apparato.
Più della metà era convinta di aver patito degli svantaggi sul lavoro per-
ché erano nazionalsocialisti. In prima linea, i più giovani e gli anziani rac-
contavano di tali «sacrifici» per il bene del movimento. Il 30% interpretava le
proprie difficoltà economiche come effetto dell’attività svolta a favore del
Partito. I resoconti citati assomigliavano in gran parte a deliranti narrazioni
di persecuzioni e di minacce permanenti da parte di un mondo circostante
ostile15.
15C. Schmidt, Zu den Motiven «alter Kämpfer» in der NSDAP, in D. Peukert e J. Reule-
cke (a cura di), Die Reihen fast geschlossen, Wuppertal, 1981, pp. 21-42, cit. p. 28.
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zato il burocrate pignolo bensì l’individuo spregiudicato, privo di ri-
spetto per i principi etici, che quasi con piacere trasgrediva i regola-
menti formali se ciò serviva al movimento o ai propri fini. Si potreb-
be chiamare questo meccanismo una selezione naturale, in cui alla
fine prevalevano i gerarchi senza scrupoli e privi di rispetto per la
proprietà altrui. In un movimento che proclamava la mancanza di
scrupoli un valore positivo (si pensi alle parole d’ordine «fare piazza
pulita senza scrupoli» oppure «eliminare senza scrupoli»), in un mo-
vimento in cui il rispetto dell’altro era bollato come «sentimentali-
smo», la presunta «legge del più forte» trionfava sul comportamento
condizionato da norme e principi. «Quando avremo vinto, chi ci
chiederà ragione dei nostri metodi?», così Goebbels aveva riassunto
la regola di condotta. La retorica idealistica non poteva celare la
mancanza nel nazionalsocialismo di un nucleo di valori fondamen-
tali. Il nazionalsocialismo propagò un idealismo senza ideali che ca-
muffava a fatica l’avidità materiale di tanti militanti del Partito. Esi-
steva un’evidente interdipendenza tra la mancanza di valori fonda-
mentali e quella di scrupoli e di senso morale. Mentre il movimento
cercava, nella rappresentazione di se stesso, di identificarsi con au-
78 torità, disciplina e ordine, il tipo del funzionario senza scrupoli, svin-
colato da ogni regolamento formale, impersonava de facto un ele-
mento anarchico. Autorità e anarchia interagivano nel nazionalso-
cialismo in una problematica mistura.
16 Cfr. il rapporto del Gauleiter di Sassonia al presidente del consiglio dei ministri
della Prussia, 10 maggio 1935, in Geheimes Preußisches Staatsarchiv Berlin-Dahlem,
Rep. 90 P, Lageberichte, 10.3, Bl. 91.
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ne politica dell’accusato veniva camuffata con formule artificiose.
Un dirigente politico del Partito si tramutava in questo modo in una
persona «attiva in una organizzazione con funzioni di responsabili-
tà».
La struttura del potere che si stava delineando come «stato del
Führer» aiutava la corruzione in maniera particolare. Il vertice del
regime non era interessato nella lotta alla corruzione, e si considera-
va parte dirigente della comunità di «camerati» nazionalsocialista, in
cui il rapporto tra il Führer e seguaci non si fondava esclusivamente
sul carisma del primo, ma su un ampio sistema di patronato. In que-
sta prospettiva la posizione di Hitler assomigliava a quella di un ca-
pobanda politico.
Nel contempo si stava sviluppando una anarchia policratica delle
competenze, che rese vana qualsiasi forma di controllo del potere
grazie alle sue metastasi istituzionali. Compiti nuovi non venivano
delegati alle istituzioni esistenti, ma a uffici speciali o a commissari
dello Stato che sottostavano direttamente al Führer. I confini tra le
istituzioni politiche dello Stato e quelle del Partito tendevano a con-
fondersi. In questa maniera fu distrutta non solo la compagine unita-
ria dello Stato, ma tendenzialmente anche quella del bilancio statale, 79
minacciato in maniera crescente da fondi neri o speciali.
Le istituzioni di controllo sopravvissute persero in maggior parte
la propria indipendenza, diventando elemento funzionale dello «sta-
to del Führer». Le Corti dei Conti, per esempio, non erano più in
grado di rivendicare il controllo finanziario del governo. Un control-
lo efficace fu possibile soltanto in quei casi in cui riuscirono a trovare
degli alleati potenti nella rete di istituzioni che rivaleggiavano tra
loro. In questo processo, gli organi di controllo delle finanze, un tem-
po dotati di grande potere, si trasformavano in istituzioni dipendenti,
ridotte ad una funzione di «sostegno e consulenza». Alla Corte dei
Conti del Reich, per esempio, fu sottratto il compito di esaminare le
spese esorbitanti nel settore degli armamenti o le elargizioni in favo-
re del Partito da parte dello Stato. Nel 1938 il nuovo presidente della
Corte dei Conti, il nazista Hans Müller, reagì alla perdita effettiva
delle competenze originarie da parte dell’istituzione sostituendole
appunto con la formula «sostegno previsionale e consulenza»17.
17 R. Weinert, «Die Sauberkeit der Verwaltung im Kriege». Der Rechnungshof des Deut-
schen Reiches 1938-1946, Opladen, 1993.
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Anche l’apparato giudiziario era politicizzato e controllato. Le sue
competenze nella lotta contro la corruzione venivano strettamente
limitate dal potere dei gruppi di «camerati» e delle cricche naziste.
Persino nelle fattispecie in cui la repressione era di interesse vitale
per i nazionalsocialisti, come nei casi di sottrazione dei contributi al
partito, l’apparato giudiziario non aveva largo spazio d’azione. Ai
procuratori dello Stato era proibito esplicitamente condurre indagi-
ni autonome o sequestrare bilanci e fatture. Il tribunale per emettere
una sentenza doveva ricorrere esclusivamente alle informazioni for-
nite dall’amministratore del Partito e ai rapporti dei suoi revisori dei
conti. L’amministratore del Partito poteva escludere il pubblico, deci-
dere sui testimoni e gli esperti, e limitare l’estensione del processo a
singoli reati. I revisori partecipavano alle sedute del tribunale in fun-
zione di testimoni, periti o osservatori, accertando che queste regole
fossero rispettate.
Nelle sue indagini, l’apparato giudiziario s’imbatteva spesso nel-
la resistenza accanita da parte di gerarchi di alto rango, che ritene-
vano un dovere naturale di tutela porre ostacoli alla punizione dei
colpevoli, avendo spesso sviluppato un profondo risentimento con-
80 tro la polizia e la giustizia durante i propri «anni di battaglia». Se-
condo gli uffici della polizia di stato i leader del Partito bloccavano
le indagini e proteggevano i sospetti. Il diario ufficiale del ministro
del Reich per la giustizia, Gürtner, segnala molti casi in cui i fun-
zionari del Partito scavalcavano polizia e giustizia e prima di tutto
intimidivano e minacciavano giudici e procuratori. Il Gauleiter del-
l’Alta Baviera, Wagner, vietò senza spiegazioni ad un procuratore
di Monaco, interessato all’indagine su un reato di corruzione, «l’ar-
resto di funzionari del Partito», dicendosi «in nessun modo disposto
a tollerare un tale procedimento». Insisteva nell’affermare che in
tutti i casi occorreva avere prima «il proprio consenso in qualità di
alto incaricato del Partito»18.
In altri casi, i presidenti delle Corti si sottomisero prontamente
alle rimostranze dei funzionari. Quando, nel 1937, il Gauleiter del
Mecklenburgo, Hildebrandt, si lamentò, in un caso di corruzione,
del modo in cui era stato condotto il processo, che si era tradotto «in
un’unica accusa e in una figuraccia per il Partito», il presidente del
tribunale attaccò pesantemente il giudice responsabile per non aver
18 Per questo caso e per altri simili cfr. F. Bajohr, Parvenüs und Profiteure, cit., pp. 148 ss.
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escluso il pubblico «al fine di non umiliare un alto funzionario del
movimento e con ciò il movimento stesso agli occhi del pubblico».
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L’apparente severità in epoca bellica
23 Cit. in Die Tagebücher von Joseph Goebbels, a cura di E. Fröhlich, parte II, vol. 7,
München, 1993, p. 454, annotazione del 2 marzo 1943.
24 «Das Schwarze Korps», 25 gennaio 1945.
25 La citazione è presa dalle annotazioni di Edgar Eichholz (1944-45), proprietà pri-
vata, p. 43.
26 Per quanto segue cfr. F. Bajohr, Parvenüs und Profiteure, cit., p. 164 ss.
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soprattutto a causa dei fenomeni di sgretolamento del «fronte inter-
no». La corruzione, secondo l’ufficio della polizia criminale del Rei-
ch, aveva rappresentato «uno dei motivi principali del crollo del
1918». In un decreto del 21 marzo 1942 «sulla condotta dei dirigenti»,
Hitler pretendeva da loro un «atteggiamento esemplare» obbligan-
doli a sottomettersi «con la massima cura e naturalezza» a tutte le
eventuali limitazioni della vita quotidiana. Nel suo discorso al Reich-
stag del 26 aprile 1942, Hitler proclamò l’intento di allontanare colo-
ro che a suo giudizio avevano violato i doveri connessi «alle cariche e
alle posizioni occupate, senza riguardo alle persone o quali che sia-
no i loro diritti acquisiti». Stando alle informazioni del Servizio di
Sicurezza questo annuncio fu accolto dalla popolazione come «una
spietata dichiarazione di guerra a qualsiasi forma di corruzione e
violazione dei doveri», ma si diede anche voce all’aspettativa che si
facesse «piazza pulita senza scrupoli» con «licenziamenti di persona-
lità di vertice» e «diverse condanne».
Il regime, quindi, aveva assunto degli impegni nei confronti del-
la popolazione, ma non andò oltre il sacrificio di qualche pedina:
gerarchi corrotti di seconda fila furono condannati a morte, per
84 aver sottratto aiuti destinati alla popolazione che aveva subito dan-
ni dagli attacchi aerei, o per aver fornito ad altri funzionari del Par-
tito prodotti di consumo soggetti a tesseramento, oppure per aver
usufruito di riserve alimentari e di altri generi fuori dai limiti e dai
regolamenti.
Le misure draconiane e l’applicazione ai funzionari del partito del
«decreto contro coloro che danneggiano il popolo», a partire dal
1942, miravano bensì a segnalare alla popolazione una «determina-
zione irremovibile», ma non indicano in nessun modo un successo
reale nella lotta contro la corruzione. Le esecuzioni ostentate di al-
cuni funzionari non facevano che confermare la popolazione nella
convinzione che «si prendono i piccoli, mentre si lasciano andare i
grandi». Nonostante il sacrificio di qualche figura di second’ordine e
i decreti-ammonimenti rivolti ai vertici a condurre un più modesto
tenore di vita, il regime, anche durante la seconda fase della guerra,
fu incapace di far rispettare i regolamenti da parte degli stessi diri-
genti del Partito. I medesimi reati furono giudicati con misure total-
mente diverse, secondo il grado delle persone coinvolte.