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02/12/2020 Śrīvidyā - Wikipedia

Śrīvidyā
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Śrīvidyā è una tradizione religiosa tantrica sviluppatasi nell'alveo


del Kula dal ramo detto Dakṣiṇa-āmnāya ("tradizione
meridionale").[1] La Śrīvidyā tuttora sopravvive in India e in Nepal, e
i fedeli sono devoti principalmente alla dea Tripurasundarī, la "Bella
dei tre mondi".[2]

Indice
Generalità
I testi Fuoco sacrificale in onore alla Dea,
cerimonia dello Śrīvidyā
Teologia
Meditazione con lo śrīcakra
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni

Generalità
La tradizione denominata Dakṣiṇa-āmnāya era una tradizione religiosa spiccatamente śākta (tradizioni
queste, tipiche dell'India meridionale[3]), nelle quali la o alcune delle divinità principali sono
personalizzate come femminili e vi si trovano elementi che non possono ricondursi al brahmanesimo[4].
Le divinità sovrane erano la coppia Kāmeśvara e Kāmeśvarī, rispettivamente Il Signore e la Signora del
Desiderio.[2]

Questi culti tantrici erano per lo più costituiti da pratiche visionarie, con riti che prevedevano una
rappresentazione aniconica della Dea e meditazioni visive complesse. Alcune cerimonie facevano, e
fanno tuttora uso di sostanze proibite in seno al mondo vedico e brahmanico.[2] Si tratta delle cosiddette
"cinque M": maithuna (unione sessuale), māṃsā (carne), madya (vino), matsya (pesce), mudrā (cereali
arrostiti).[5] Altra caratteristica molto importante di queste tradizioni era l'apertura sia alle caste più
basse sia alle donne, donne che dal cerimoniale vedico restavano del tutto escluse.[6]

Fra le varie tradizioni tantriche, la Dakṣiṇa-āmnāya era quella che meno si discostava dall'ortodossia, e
che nel corso della sua evoluzione finì per assimilare elementi brahmanici e del Vedānta.[7] Segno di
questa evoluzione è la sopravvivenza nello Śrīvidyā attuale di questa tensione fra coloro che usano le
cinque M e coloro che invece le rifiutano. Si parla, nel primo caso di "tantrismo della mano sinistra", e
nel secondo "della mano destra".[8]

https://it.wikipedia.org/wiki/Śrīvidyā 1/4
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I testi
La fonte più antica è il Vāmakeśvara Tantra, suddiviso in Nityāṣodaśikārṇava e Yoginīhṛdaya. Il primo
tratta del rituale, il secondo ha un carattere più esoterico e tratta principalmente dello śrīcakra, uno
yantra dai molteplici significati e che costituisce la forma fondamentale di rappresentazione e adorazione
della Dea Tripurasundarī. Successivo è il Tantrāraja Tantra ("Re dei Tantra"). Attualmente molto
popolari sono il Saundaryalaharī ("Oceano della Bellezza"); il Lalitāsahasranāma ("Mille nomi di
Lalitā", essendo Lalitā un altro nome col quale è nota Tripurasundarī); la Tripura Upaniṣad ("Segreto
delle Tre Città").[9]

Il Tantrāraja Tantra ha come argomento l'omologia fra il corpo umano e il cosmo, e la descrizione dei
tre aspetti di Tripurasundarī, che ricordiamo vuole appunto significare "La Bella delle Tre Città"[10]. Le
tre città sono il suo aspetto supremo, quello sottile e quello grosso, in corrispondenza coi tre modi di
venerarla: con la mente (cioè con la meditazione), con la parola (cioè coi mantra), con il corpo (cioè con
la ritualità).[5] Ma triplice è anche il corpo umano:

«Triplice è in noi la città del corpo / poiché è formata da tre elementi: / sottile, grossolano e
causale.»

(Tripurā Upaniṣad, 1; citato in Jean Varenne, L'insegnamento segreto della divina Shakti, traduzione di Pasquale Faccia,
Edizioni Mediterranee, 2010, p. 95)

Il corpo grossolano è quello che percepiamo coi sensi; il causale è quello che "riceviamo" alla nascita dal
karma, cioè quello determinato da vite anteriori; il sottile è infine un corpo non accessibile ai sensi, che
occorre ricostruire con pratiche immaginali.

Teologia
La Dea è al contempo l'Assoluto che trascende il mondo e il mondo stesso come Sua manifestazione.
Questo aspetto immanente è descritto come "energia" (śakti) che permea ogni elemento materiale e
immateriale del cosmo, come per esempio il corpo stesso dell'uomo e come per esempio i mantra,
considerati forme foniche del divino. Anche quando la Dea è venerata come ente personale, il seguace è
sempre conscio della sua trascendenza.[11]

Tripurasundarī, o anche Lalitā nella versione vedantizzata a partire


dal XVI sec., sono gli appellativi ricorrenti per la Dea nello Śrīvidyā.
Quando raffigurata come "persona", Tripurasundarī è rappresentata
vestita di rosso, adagiata su un loto, sorridente e pacifica.[12]

La rappresentazione tipica in questa tradizione non prevede però


immagini o statue, bensì uno yantra, cioè un diagramma simbolico,
bidimensionale o anche tridimensionale, utilizzato come "veicolo" (è
uno dei significati del termine) per le pratiche meditative e i riti
religiosi. Si tratta dello śrīcakra, o anche śrīyantra.[11]
Uno Śrīcakra tridimensionale
Il fine soteriologico è sempre la salvezza, la liberazione dal ciclo delle presso il tempio di Parashakthi,
Pontiac, Michigan, USA
rinascite (saṃsāra) cioè, il mokṣa, qui come in molte altre tradizioni
tantriche inteso come un viaggio a ritroso verso la Dea, origine di
tutto. Si tratta di un percorso concepito come un viaggio nel corpo
sottile dell'adepto.[11]
https://it.wikipedia.org/wiki/Śrīvidyā 2/4
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Meditazione con lo śrīcakra


Nelle pratiche meditative con lo śrīcakra la Dea è immaginata
risiedere nel punto centrale dello yantra, nel bindu che si espande
verso la periferia a simboleggiare la manifestazione del cosmo fino al
quadrilatero esterno che rappresenta la Terra. Queste manifestazioni
sono presiedute da nove divinità femminili immaginate in nove
cerchi concentrici.[12]

Nell'omologia fra macrocosmo e microcosmo, queste nove divinità


sono anche quelle che presiedono le tappe del percorso yogico a
ritroso verso la Dea: i nove chakra principali che questa tradizione
prevede nel corpo sottile:

Un disegno moderno che riproduce


«Nove sono le matrici originarie / che Ella detiene come uno Śrīcakra bidimensionale
Sovrana; / nove i cakra del corpo sottile.»

(Tripurā Upaniṣad, 5; citato in Jean Varenne, L'insegnamento segreto della


divina Shakti, traduzione di Pasquale Faccia, Edizioni Mediterranee, 2010,
p. 95)

Lo yantra presenta al centro quattro triangoli con la punta verso l'alto e cinque con la punta verso il basso
che si intersecano avendo dimensioni differenti. I primi rappresentano Śiva, i secondi Śakti, la cui unione
il devoto deve realizzare anche in se stesso nell'identificazione rituale che la pratica prevede.[13]

Note
1. ^ Flood 2006, p. 226.
2. Padoux 2011, p. 77.
3. ^ Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro,
BUR, 2010, p. 329.
4. ^ Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro,
BUR, 2010, p. 334.
5. Flood 2006, p. 258.
6. ^ Flood 2006, p. 238.
7. ^ Flood 2006, p. 238 e 252.
8. ^ Flood 2006, p. 252.
9. ^ Flood 2006, pp. 254-255.
10. ^ Sundarī è traducible con "donna bella".
11. Flood 2006, p. 256.
12. Padoux 2011, p. 80.
13. ^ Flood 2006, p. 257.

Bibliografia
Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
André Padoux, Tantra, a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.
https://it.wikipedia.org/wiki/Śrīvidyā 3/4
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