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Michela Fontana
Matteo Ricci
Un gesuita alla corte dei Ming
OSCAR MONDADORI
ISBN 978-88-04-57473-6
Ristampe:
1 2 3 4 5 6 7 8
INDICE
3 Prologo
L'abito del mandarino
L'udienza, 3
5 I Il gesuita e la matematica
20 II In Oriente
72 V L'orgoglio di Li Madou
147 IX A Pechino!
L'udienza nella Città Proibita, 212 - Altri memoriali sul caso Ricci,
216 - Ricci si stabilisce a Pechino per volere imperiale, 219 -Li
Zhizao e la geografia: la terza edizione del mappamondo, 222 -
Costellazioni, aritmetica e dottrina cristiana, 225
XV Il «dottor Paolo»
Cronologia
Dinastie cinesi
Glossario
Note
MATTEO RICCI
A mio marito
h molto aspirata
u come u se preceduta da j, q, x e y
y come il francese huit nelle sillabe yu, yuan, yue e yun; come la i in
zeri negli altri casi
Prologo
FRANCESCO SAVERIO
L'udienza
Tutto, nella veste e nel portamento del funzionario di mezza età che
amministrava una regione nel Sud della Cina vasta quanto un
piccolo Stato italiano, denotava prestigio. La scelta degli ornamenti
non era lasciata al gusto personale, al caso o al desiderio di esibire
opulenza, ma era regolata da un preciso protocollo che era stato
codificato a Pechino, alla corte dell'imperatore. I particolari
dell'abbigliamento, primo fra tutti il tipo di volatile ricamato sulla
pettorina, indicavano che il «mandarino» - termine con cui i
portoghesi indicavano gli alti dignitari cinesi, mutuando dal verbo
mandare, ovvero comandare - occupava il quarto dei nove livelli
della burocrazia imperiale. Benché non fosse ai vertici
dell'amministrazione statale, il suo potere era sufficiente a intimidire
chiunque si trovasse al suo cospetto.
Trent'anni prima...
La scelta
Approvato da papa Paolo III nel 1540, sei anni dopo la sua
fondazione, l'ordine aveva ottenuto una notevole autonomia dalla
gerarchia ecclesiastica e i suoi membri non riconoscevano l'autorità
di alcun superiore che non appartenesse alla Compagnia, a
eccezione del pontefice. Oltre ai voti di povertà, castità e
obbedienza, i gesuiti, se avevano completato il ciclo di studi previsto
ed erano ritenuti di livello spirituale adeguato, pronunciavano uno
specifico voto, circa missiones, che li impegnava a compiere, senza
alcuna esitazione, ogni missione affidata loro dal pontefice. Capo
supremo dell'ordine era il preposito generale, soggetto solo alle leggi
della Compagnia e al papa. Il lungo tirocinio prima della professione
dei voti e la tecnica di autocontrollo e di ascesi interiore messa a
punto da Ignazio negli Esercizi spirituali, pubblicati nel 1548,
rafforzavano nei membri dell'ordine quelle doti di disciplina, energia,
tenacia e abnegazione che ne facevano strumenti ideali per la difesa
e la propagazione della fede cattolica.11
Ricci non poteva ancora immaginare fino a che punto queste nozioni
teoriche e pratiche sarebbero servite per il lavoro missionario.
Durante il soggiorno in terra cinese molte di esse si sarebbero
rivelate preziose per comunicare con una civiltà diversa, ma
disponibile ad apprendere le conoscenze prodotte da un'altra
cultura.
II
IN ORIENTE
Anche se Ricci sapeva che il suo ritorno dalle missioni sarebbe stato
molto improbabile, non passò per Macerata per rivedere i suoi cari,
un gesto che evidenzia quanto il distacco dalla famiglia fosse per
lui una scelta radicale. A Genova s'imbarcò per Cartagena, da dove
proseguì via terra, raggiungendo Lisbona a fine giugno.
Sulle restanti navi viaggiavano, tra gli altri religiosi, Francesco Pasio,
Rodolfo Acquaviva, figlio del duca d'Atri e nipote di
Claudio Acquaviva, e il portoghese Duarte de Sande. Nessuno di
loro conosceva la propria destinazione finale: la meta certa era Goa,
avamposto dei portoghesi in terra indiana, sede del Collegio gesuita
di San
Ricci non descrisse nelle sue lettere dall'Asia il proprio viaggio, che
può essere ricostruito sulla base di documenti e missive inviate da
altri passeggeri, ma ne fece menzione indiretta quando, nel
1587, minacciato di espulsione dalla Cina, pregò i cinesi di lasciarlo
rimanere, affermando che in nessun modo sarebbe potuto tornare
indietro attraversando «tutti quei mari che si frapponevano tra la
Cina e la sua terra natale».7
L'India, finalmente
Nella stessa missiva Ricci, a tre anni dalla sua partenza dall'Italia,
esprimeva al superiore, che ricordava con l'affetto di un figlio, la
nostalgia per il periodo trascorso a Roma:
Alla fine del 1580 Ricci tornò a Goa per frequentare il secondo e
terzo anno di teologia in attesa di essere assegnato a una
missione. Molti cambiamenti, nel frattempo, erano sopraggiunti. Due
anni prima, nel 1578, re Sebastiano I era stato ucciso nella battaglia
di Alcà-zarquivir contro i turchi e, mentre Ricci era a Cochin, Filippo
II di Spagna era divenuto sovrano anche del Portogallo. Il
mutamento dinastico non avrebbe avuto alcun effetto sul commercio
e la vita delle missioni in Asia dal momento che si era convenuto che
la suddivisione tra le zone di influenza spagnola e portoghese
sarebbe rimasta in vigore secondo gli accordi precedenti.
Ricci fu anche informato sulla sorte degli altri compagni che avevano
già lasciato il Collegio di Goa. L'anno precedente Michele Ruggieri,
dopo aver trascorso qualche mese sulla costa di Malabar, aveva
ricevuto l'ordine di recarsi a Macao, dove avrebbe atteso il momento
propizio per tentare l'ingresso in Cina. Rodolfo Acquaviva si trovava
in missione con due compagni alla corte di Akbar, sovrano
musulmano dell'immenso regno Moghul,15 situato nella parte
settentrionale dell'India, dove sarebbe rimasto tre anni nel tentativo
di aprire la strada al cristianesimo. Al suo rientro, quando Ricci era
ormai partito, il giovane Acquaviva, divenuto superiore della
missione di Salsette, vicino a Goa, sarebbe stato ucciso dagli
indigeni insieme ad altri quattro confratelli. Secondo la ricostruzione
del fatto, avvenuto nel 1583, l'aggressione sarebbe stata scatenata
dal clima di odio verso i religiosi causato dalla distruzione di
centinaia di templi indù della zona da parte dei soldati portoghesi e
dalle inopportune manifestazioni di disprezzo verso la religione
locale manifestato da uno dei missionari.16
Quando Ruggieri era arrivato a Macao alla fine del luglio 1579,
aveva trovato dettagliate note scritte che Valignano aveva
lasciato prima di ripartire alla volta del Giappone, contenenti la
raccomandazione di studiare il cinese. Sarebbe toccato a lui il
compito di aprire la strada verso la Cina mentre Ricci, come si è
visto, era ancora a Cochin, a insegnare svogliatamente grammatica
latina e greca.
Con il passare dei mesi Ruggieri si era reso conto che i suoi
progressi erano molto limitati e lo studio gli costava, come ricostruì
Ricci successivamente, «molto travaglio». Il gesuita non aveva
nemmeno la solidarietà degli altri missionari, che erano convinti
dell'inutilità dell'impresa cinese e non gradivano che il loro
compagno, per volere di Valignano, fosse sollevato da ogni incarico
per potersi concentrare sullo studio. Solo contro tutti, divenuto, come
scrive Ricci, un «mezzo martire con i padri di qui»,27 ossia confratelli
e superiori, Ruggieri aveva chiesto più volte per lettera a Valignano
di poter essere affiancato da Matteo Ricci, il suo compagno di
viaggio sulla San Luigi che non era ancora stato assegnato ad
alcuna missione. Il visitatore aveva infine acconsentito e dato
disposizioni in tal senso alle autorità in India.
III
Se di questo regno non si può dire che i filosofi sono Re, almeno con
verità si dirà che i Re sono governati da filosofi.1
... mia intenzione non è altra se non che vadi molto avanti questa
impresa, la qual, penso, che è una delle più importanti e di più
al servitio di Dio che hoggi si habbi nella christianità, e consideriamo
il bene grande che si ha per le mani di tante anime, quante stanno in
questo altro mondo della Cina.2
MATTEO RICCI 1
Ricci sapeva che il grande impero cinese era di origini antiche, ricco
di cultura e superbo nella convinzione della propria superiorità sugli
altri popoli. Era opinione comune che i cinesi non fossero
particolarmente interessati a scoprire ciò che succedeva al di fuori
dei loro confini, come riferisce il gesuita con un po' di esagerazione:
«... parendogli [ai cinesi] che tutto il sapere del mondo sta nel suo
Regno e che gli altri tutti sono ignoranti e barbari. E parlando nelle
loro compositioni e libri de' regni forastieri, suppongono sempre che
è di gente puoco inferiore alle bestie».7
45
Ricci vide nell'invito di Wang Pan un segno che «poteva più venire
dal Cielo che per opera umana»; ma pensò anche, più
prosaicamente, che la buona mancia lasciata da Ruggieri ad alcuni
impiegati dell'amministrazione, incontrati la prima volta che aveva
soggiornato a Zhaoqing, perché intercedessero in favore dei gesuiti,
avesse finalmente dato i suoi frutti.
I due gesuiti, con il capo e il volto rasati e vestiti con una tunica
grigia con l'aggiunta di un berretto quadrato simile a quello dei
sacerdoti cattolici,26 unico particolare che li distingueva dai
monaci buddisti, si imbarcarono all'inizio di settembre 1583 insieme
ad alcuni servitori e all'interprete Filippo, un cinese nato a Macao e
convertito al cristianesimo. Avrebbero risalito il Fiume delle Perle fino
a Canton, dove avrebbero ricevuto dall'haidao i lasciapassare
necessari a proseguire il viaggio e poi avrebbero continuato la
navigazione lungo il fiume verso Zhaoqing, scortati da un gruppo di
militari incaricati di proteggerli e sorvegliarli su ordine di Wang Pan.
IV
MATTEO RICCI
Vita cinese
Rimasto per la prima volta sul territorio cinese in compagnia del solo
Ruggieri, Ricci si sentiva osservato con curiosità quando camminava
per strada. Gli abitanti guardavano quell'uomo strano venuto da
lontano e sorridevano stupiti di fronte al suo volto e alla forma dei
suoi occhi. A sua volta, il gesuita esaminava il mondo nuovo che lo
circondava, desideroso di comprenderne la diversità ma anche di
scoprire rassicuranti somiglianze con la vita in Europa.
Anche se i lavori per la casa assorbivano buona parte del suo tempo
e delle sue energie, Ricci riprese a studiare il cinese, per rendersi al
più presto indipendente dagli interpreti, e si dedicò ad approfondire
la conoscenza degli usi e dei costumi locali per adattarsi nel miglior
modo possibile alla nuova vita.
Così Ricci si rese conto che, con l'aiuto di un'immagine, molto più
facile da comprendere di una spiegazione a parole nel suo
ancora stentato cinese, il lontano mondo da cui proveniva era
entrato nel-l'immaginario dei letterati e che un contatto significativo
tra la cultura cinese e quella occidentale era stato stabilito.
I doni che Ricci preparava per le sue visite alle personalità più
importanti erano soprattutto globi celesti e terrestri in ferro e rame
che lui stesso costruiva, oppure copie della sua mappa, oggetti che
servivano a trasmettere la cultura e la scienza occidentali e che lo
aiutavano ad avviare una preziosa forma di comunicazione.
Mostrando ai cinesi i globi terrestri, Ricci sapeva di svelare loro per
la prima volta la rotondità della Terra, nozione acquisita in Occidente
ma ancora sconosciuta in Cina. La maggior parte dei cinesi era
infatti ancora convinta, secondo la visione cosmologica più antica
(detta Gai Tian o teoria dell'«emisfero celeste»), che la Terra fosse
piatta e quadrata, circondata dalla calotta semisferica del cielo, sulla
quale erano incastonati il Sole, la Luna e i pianeti. In realtà
nell'antichità cinese erano state proposte altre ipotesi cosmologiche
e l'idea della rotondità della Terra era già stata sviluppata in una
teoria risalente almeno al IV secolo a.C. (detta Hun Tian o teoria
della «sfera celeste»), secondo la quale il cielo veniva descritto
come «un uovo, rotondo come una palla di balestra» e la Terra come
«il giallo dell'uovo».19 Ma erano pochi gli uomini di cultura di epoca
Ming che conoscevano la teoria o che, se la conoscevano, la
consideravano più fondata delle altre sviluppatesi nel corso della
storia cinese.20
«E venne con queste cose mai viste né udite nella Cina, e con la
dichiaratione del corso delle stelle e dè pianeti e della terra nel
mezzo del mondo, a dar grande credito ai Padri et si sparse fama
che era il maggior matematico di tutto il mondo, per il puoco che loro
sapevano di tutte queste cose.»22
Oltre ai riti codificati dallo Stato erano diffuse in Cina altre forme di
devozione. Ogni cinese, senza distinzione di classe, venerava i
propri antenati. Ricci constatò che in ogni abitazione vi era un
piccolo altare con tavolette di legno su cui era inciso il nome degli
avi, sopra il quale i membri della famiglia, soprattutto il figlio
maschio, deponevano offerte di cibo e bruciavano incensi profumati
in occasione di ricorrenze speciali. Il culto degli antenati, di origine
molto antica, era la forma di devozione più radicata nella cultura
cinese, aveva convissuto con tutte le pratiche religiose sviluppatesi
nella lunga storia dell'impero e rifletteva l'importanza che il passato
aveva sempre avuto nel pensiero cinese. Ricci non la giudicava una
forma di idolatria o di superstizione, anzi riteneva che avesse la
positiva funzione di insegnare ai «figliuoli e alla gente ignorante»24 il
rispetto per gli avi e l'amore filiale.
Stanno i grandi molto bene con noi e vanno perdendo la paura che
hanno di forestieri e molti dicono che siamo quasi quasi come loro, il
che non è puoco in natione tanto serrata e superba.1
MATTEO RICCI
L'orgoglio di Li Madou
73
Per i missionari era sufficiente avere due nomi, ma gli altri cinesi di
classe sociale elevata ne adottavano molti di più nel corso della loro
vita. Soltanto il cognome, che era rappresentato da un unico
carattere, era immutabile: in tutto il paese esistevano meno di un
migliaio di cognomi, di origine antica e mai modificatisi nel tempo.
I nomi propri di una persona, invece, quasi sempre rappresentati
da due caratteri, potevano essere numerosi e la loro scelta
dipendeva dall'età e dalle circostanze in cui venivano impiegati. Un
maschio appena nato riceveva il cosiddetto «nome piccolo»3 e
veniva chiamato anche con il numero che ne designava l'ordine di
nascita tra i fratelli. A tre mesi riceveva un nome proprio, che
avrebbe usato da adulto insieme al cognome per firmare il libretto
delle visite. In età scolare, maestro e compagni si rivolgevano a lui
usando il cosiddetto «nome della scuola». A 21 anni,4 diventato
maggiorenne, il giovane riceveva un altro nome, e poi, se
raggiungeva una posizione sociale elevata, assumeva anche il nome
onorifico, lo hao, con cui lo potevano chiamare tutti tranne i suoi
superiori. I letterati adottavano anche altri soprannomi che
alludevano a qualità morali o intellettuali oppure erano scritti con
caratteri rari, e i monaci assumevano anche i cosiddetti «nomi di
religione». Per le donne, che avevano condizione sociale inferiore, i
nomi erano meno numerosi. In famiglia venivano sempre chiamate
con il «nome piccolo» o con il numero d'ordine tra le sorelle fino a
che si sposavano, mentre gli estranei potevano rivolgersi a loro
usando il cognome del padre. Dopo il matrimonio venivano indicate
con appellativi che si riferivano allo status del marito. Soltanto donne
di stato sociale elevato potevano ricevere altri nomi propri, usati
all'interno della cerchia famigliare.
Era ormai il 1586. L'eco dei progressi della missione cinese aveva
suscitato il plauso delle autorità ecclesiastiche e per celebrare i
successi della Compagnia di Gesù papa Sisto V concesse un
giubileo plenario. Il generale Acquaviva scrisse una lettera di
incoraggiamento ai missionari in Cina e fece arrivare a Macao un
dipinto raffigurante Gesù, tre orologi meccanici da collo e uno da
tavola di preziosa fattura, mentre altri quadri di tema sacro furono
spediti dal Giappone e dalle Filippine. Gli oggetti di valore sarebbero
dovuti servire come omaggi ai funzionari della capitale e
all'imperatore e i quadri erano destinati alle future missioni nel Paese
di Mezzo.
Capitava ogni tanto, però, che qualcuno bussasse alla porta della
missione convinto che i religiosi fossero stregoni e praticassero l'al-
chimia, quel complesso di dottrine filosofiche, pratiche magiche e
investigazioni sulla natura volte a scoprire i segreti della vita e i
princìpi per trasformare i metalli vili in oro e argento. Disciplina di
origini antiche, l'alchimia era praticata anche in Europa e per molti
cinesi era una vera ossessione. Molti credevano che fosse possibile
trasformare in argento il cinabro, un minerale di colore rosso
costituito da solfuro di mercurio, utilizzando l'ambra, che era
conosciuta in Cina soltanto da pochi decenni e veniva considerata
un materiale prezioso dalle qualità magiche. I cinesi si erano convinti
che i portoghesi possedessero ingenti quantità di ambra e le
usassero per produrre argento, perché non sapevano spiegarsi
come mai i mercanti comprassero in Cina grandi quantitativi di
cinabro, li trasportassero in India e in Giappone e tornassero da quei
paesi con le navi cariche di argento.
La cacciata da Zhaoqing
La situazione dei missionari era sempre più difficile. Alla fine del
1588, al compimento del quinto anno della loro permanenza a
Zhaoqing, alcuni funzionari ormai ritirati dalla vita attiva, che
risiedevano a Canton, consegnarono al censore del Guangdong un
memoriale contro i gesuiti. In Cina l'età veniva onorata e l'esperienza
valorizzata e non era inconsueto che gruppi di anziani autorevoli
dessero suggerimenti, tenuti in grande considerazione dalle autorità,
sulle questioni importanti della vita sociale.
Il documento dava voce alle paure dei cinesi nei confronti degli
occidentali e al timore che i portoghesi, dopo la progressiva
colonizzazione di Macao, si proponessero di conquistare tutta la
Cina. Vi si leggeva che i nuovi venuti, «forestieri di regni strani»,14
erano spie intenzionate a impadronirsi dei segreti dell'impero, nemici
pronti a «disperdere la nostra gente dentro il mare come pesci e
balene». Gli stranieri erano descritti come «spine e ortiche» che
avevano piantato le loro radici nella buona terra cinese. Se la loro
presenza a Macao era la manifestazione di una malattia che minava
l'impero ai suoi confini, la permanenza dei gesuiti a Zhaoqing era
una piaga nel cuore del paese. Gli anziani suggerivano di cacciare al
più presto i missionari e di espellere tutti gli stranieri dalla Cina.
Ricci lasciò la sala ricevendo gli omaggi di alcuni funzionari che gli
erano rimasti amici e fu subito scortato alle giunche con Almeida.
I due ebbero appena il tempo di ammassare il bagaglio
indispensabile sulle imbarcazioni, di distribuire tutto il resto tra i
convertiti e di affidare al pilota della barca su cui avevano viaggiato,
che stava rientrando a Canton, una lettera indirizzata a Valignano,
per informarlo della decisione di trasferirsi in un'altra località.
VI
RUGGERO BACONE1 1
alchimista mancato
Non appena sistemati, i gesuiti si resero conto che il clima era torrido
e soffocante, e appresero che la malaria era endemica e colpiva con
più facilità chi non era abituato a vivere in un ambiente subtropicale.
Siccome un ulteriore trasferimento era fuori discussione, i missionari
si diedero da fare per cercare un terreno adatto alla nuova
residenza, che individuarono nella parte occidentale della
città, appena fuori le mura. Si trattava di un grande campo
disabitato, molto vicino a un tempio buddista dove i missionari
presero alloggio in attesa dell'indispensabile autorizzazione del
governatore. Il terreno apparteneva ai monaci e Ricci, consigliato dal
luogotenente, si offrì di acquistarlo. Ma i bonzi, pronti a concludere
un buon affare a spese degli stranieri, chiesero una cifra esorbitante,
almeno dieci volte maggiore di quanto sarebbe stato ragionevole.
Ricci si rifiutò di pagare e aspettò di conoscere le decisioni del
governatore. Ormai il gesuita conduceva i negoziati da solo, perché
conosceva il cinese a sufficienza e non si fidava più degli interpreti.
Ricci decise che era meglio edificare una casa a un piano nello stile
cinese, perché non voleva commettere di nuovo l'errore di costruire
un edificio di stile occidentale che avrebbe potuto suscitare invidia e
gelosie, come era successo a Zhaoqing, ma volle progettare una
cappella più spaziosa della precedente, con la speranza che
nella nuova città avrebbe avuto molti proseliti.
Ricci aveva notato che per fare i calcoli i cinesi usavano l'abaco,5
uno strumento rettangolare di legno con palline scorrevoli
lungo bacchette. Mercanti, piccoli commercianti, letterati e funzionari
lo sapevano maneggiare con destrezza per effettuare somme,
sottrazioni e moltiplicazioni, mentre con molta più difficoltà riuscivano
a eseguire la divisione e l'estrazione di radici quadrate e
cubiche. L'abaco, utilizzato comunemente in Cina dall'XI secolo, era
un discendente delle tavolette per il calcolo impiegate nell'antichità
dai cinesi e ancora prima dai babilonesi - e poi da greci, indiani e
romani - e nei secoli si era evoluto nei vari paesi con caratteristiche
diverse.
Lo stile del testo era una novità per Qu Taisu. Egli, infatti,
diversamente da Euclide, concepiva gli enti matematici, quali i
numeri e le figure geometriche, come oggetti concreti e non come
idealizzazioni astratte della realtà. Come detto, in Cina, anche se
erano stati elaborati metodi di ragionamento e dimostrazioni
scritte,23 non si era sviluppato un concetto di dimostrazione
geometrica di tipo ipotetico-deduttivo paragonabile a quello greco, e
le affermazioni matematiche venivano spesso provate in modo molto
concreto.24 Per esempio il teorema di Pitagora, che afferma che in
un triangolo rettangolo la superficie del quadrato costruito
sull'ipotenusa è uguale alla somma delle superfici dei quadrati
costruiti sui cateti, si poteva dimostrare usando proprietà
geometriche dedotte dagli assiomi e da altri teoremi; oppure,
secondo il procedimento presentato da un antico testo cinese, si
poteva farlo costruendo un triangolo rettagolo e i relativi quadrati
sull'ipotenusa e i cateti e mostrando concretamente che tagliando,
spostando e sovrapponendo i pezzi delle figure, le superfici in
questione combaciavano esattamente, secondo l'enunciato del
teorema.25
VII
Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri.
Lontananza e nostalgia
A Shaozhou però, nel cuore della provincia del Guangdong, gli echi
del conflitto arrivavano attutiti. Ricci continuava l'opera di apostolato
con molta fatica e scarsi risultati, in attesa di essere affiancato da un
nuovo sacerdote. Non dovette aspettare molto perché, verso la metà
del 1594, pochi mesi dopo la morte di De Petris, fu raggiunto da un
connazionale originario di Sarzana, Lazzaro Cattaneo,
precedentemente destinato al Giappone ma poi dirottato in Cina
per decisione di Valignano.
Dal momento che il periodo formato dai dodici mesi lunari non
coincideva esattamente con Tanno solare, era indispensabile,
trascorso un certo numero di anni, inserire nel calendario un intero
mese intercalare, il tredicesimo. Il sistema calendariale cinese,
ancora in vigore in epoca Ming, era stato elaborato dall'astronomo
Guo Shoujing per l'imperatore Qubilay Qan nel 1281, in epoca Yuan,
ed era stato adottato dalla successiva dinastia Ming con il nome di
Datong, senza che venissero apportate modifiche sostanziali. Anche
se era molto avanzato per l'epoca in cui era stato concepito, la
mancanza di successive revisioni lo aveva reso obsoleto, sfasato
rispetto allo scorrere delle stagioni e impreciso nella predizione di
fenomeni astronomici come le eclissi.
Ricci si era dedicato almeno dal 1591 allo studio dei più importanti
testi canonici che i letterati cinesi dovevano conoscere alla
perfezione per superare gli esami imperiali. Si trattava dei cosiddetti
«Quattro libri» del confucianesimo, che tradizionalmente
comprendevano, oltre ai Dialoghi, le opere Il giusto mezzo e La
grande dottrina, dedicate alle norme che regolavano la società
all'epoca di Confucio, e Mencio, che esponeva il pensiero del
filosofo13 vissuto due secoli dopo Confucio e considerato il suo più
importante erede.14 I testi non contenevano un'esposizione
sistematica di un corpus dottrinale elaborato, ma davano piuttosto un
insieme di indicazioni per tenere un corretto comportamento morale
e sociale e suggerimenti per il buon governo.
La metamorfosi in mandarino
111
tenendo che il suo cinese non fosse all'altezza del compito e aveva
preferito aspettare che fosse Ricci a condurla a termine.15
Ricci aveva letto i Quattro libri con lo stesso interesse che aveva
dimostrato per i testi greci e latini studiati al Collegio Romano e
aveva trovato notevoli analogie tra la morale confuciana e i princìpi
dell'etica occidentale, oltre a una particolare affinità tra la filosofia
cinese e lo stoicismo. Giudicava i Quattro libri «buoni documenti
morali»,18 come scriveva al generale Acquaviva, e definiva Confucio
«un altro Seneca» apprezzandolo come aveva a suo tempo
ammirato i grandi pensatori della classicità occidentale: «Nel suo
buon modo di vivere conforme alla natura, non è inferiore ai nostri
antichi filosofi exceden-do a molti».19 Certamente Ricci era stato
colpito dal fatto che il confucianesimo indicasse come dovere primo
dell'uomo la pratica di due virtù fondamentali, la rettitudine e la
benevolenza, o umanità, in cinese ren, ed esortasse i cittadini alla
solidarietà, al rispetto, alla gentilezza e alla fiducia. Inoltre, la filosofia
cinese poneva alla base della società il nucleo famigliare e
concepiva lo Stato come una grande famiglia, tant'è vero che
l'imperatore veniva definito «madre e padre» dei suoi sudditi.
Secondo Confucio, le relazioni più importanti su cui si fondava la
società erano cinque, quelle tra sovrano e suddito, padre e
figlio, marito e moglie, fratello maggiore e fratello minore e quella tra
amici.
Effettuata una breve sosta nella città di Nanxiong, alla ripresa della
navigazione Ricci fu ospitato sulla giunca del mandarino ed ebbe
finalmente l'occasione di viaggiare in uno di quei palazzi
galleggianti riccamente decorati che aveva visto tante volte passare
lungo il fiume dalle finestre della sua casa a Zhaoqing. A bordo
c'erano numerose camere da letto dotate di ogni comodità,
dispensa, cucina e perfino una grande sala per i banchetti che
conteneva una decina di tavoli.27
Arrivando alla città di Ji'an, le giunche furono colte ancora una volta
da una tempesta di vento e il viceministro cominciò a pensare che si
trattasse di un cattivo presagio. Impaurito e desideroso di
raggiungere Pechino al più presto, decise di proseguire via terra con
le donne e una parte del suo seguito, lasciando ad alcuni servitori
il compito di riprendere la navigazione con il bagaglio rimasto
quando le condizioni atmosferiche fossero migliorate. Cambiare
mezzi di trasporto non rappresentava un problema per un guan del
suo rango, che aveva diritto a ricevere rifornimenti, cavalli e
portantine a spese delle amministrazioni locali a ogni tappa del suo
cammino. Lo stesso privilegio non si poteva estendere a Ricci, che
non aveva con sé nemmeno il denaro sufficiente a noleggiare il
necessario per proseguire. Stando così le cose Shi Xing, ormai
convintosi che portare uno straniero a Pechino non fosse stata una
buona idea, consigliò a Ricci di tornare indietro.
Espulsione da Nanchino
VIII
Il Maestro disse: «Colui che esercita il governo grazie alle sue virtù
si può paragonare alla stella polare, che resta salda al suo posto
mentre tutte le altre stelle le ruotano attorno».
Dopo due mesi di intensa vita sociale era così stanco che si lamentò
con l'amico Zhang Doujin. Il filosofo gli suggerì un rimedio: allorché
l'ennesima persona si fosse presentata alla sua porta, sarebbe
bastato far dire dai servitori che il padrone non era in casa. Quando
il gesuita rispose che non poteva farlo perché si sarebbe trattato di
una bugia, il filosofo rise di cuore sostenendo che i cinesi mentivano
in continuazione. Ricci spiegò allora che nel suo paese era
considerato male non dire la verità, soprattutto per un religioso che
voleva insegnare agli altri le virtù morali, e inoltre riteneva suo
dovere aprire sempre la porta a chi lo cercava. Per Zhang Doujin,
che non giudicava la menzogna un peccato contro Dio, la
spiegazione fu una vera sorpresa. E da quel momento in città si
sparse la voce che Ricci era un uomo che non diceva bugie.
dedicata ai cinesi
Ormai accettato nei circoli più esclusivi, Li Madou era di casa nella
residenza del principe Kang Yi. Il suo palazzo, sontuoso quanto la
reggia di un principe europeo, aveva grandi cortili e padiglioni ed era
immerso in un parco arricchito di laghetti, vasche di ninfee e fiori di
loto, dove il principe intratteneva i suoi ospiti in conversazione.
Anche le mappe del cielo erano state realizzate in Cina con netto
anticipo rispetto all'Occidente. Nella più famosa carta stellare
rimasta, il planisfero di Suzhou, realizzato nel 1193 dal geografo,
astronomo e tutore dell'erede al trono Huang Sheng, e
successivamente inciso su pietra, si osserva una tipica suddivisione
cinese della volta celeste, ripartita in 28 spicchi di larghezza diversa,
ciascuno caratterizzato da una particolare costellazione, che serviva
come riferimento.
L'astronomia e l'imperatore
Il Libro delle leggi del tempo, così ricco di implicazioni civili, religiose
e politiche, era il documento più importante dell'impero e la sua
compilazione era ritenuta tanto cruciale per lo Stato che la
produzione in proprio di un calendario veniva punita con la
morte. Nessuno poteva compiere calcoli cosmologici, né possedere
libri di astronomia senza l'autorizzazione governativa.
APECHINO!
e così il Cataio, al mio parere, non è di altro regno che della Cina...
MATTEO RICCI1
Detto cinese
Un giorno ricevette, tra le altre, una lettera di Girolamo Costa che gli
comunicava la notizia della morte di entrambi i genitori; pochi giorni
dopo, il 13 ottobre 1596, Ricci cercò conforto scrivendo al fratello
canonico Antonio Maria, di cui non aveva notizie da tempo.
Il gesuita, che aveva appena compiuto 44 anni, pregava il fratello
di dargli informazioni dettagliate su tutti gli altri membri della famiglia,
e di sé diceva malinconicamente: «Le nuove di me son Tesser già
vecchio, ben occupato in questa Cina, dove sono molti anni che sto
e penso di finirvi la vita».5 La notizia della morte del padre era
in realtà infondata, perché Giovanni Battista Ricci era sicuramente
ancora in vita nel 1596, ma il gesuita lo avrebbe creduto morto a
lungo6 e la rettifica dell'errore lo avrebbe raggiunto soltanto alcuni
anni più tardi, quando il padre era ormai effettivamente deceduto. I
ritardi nell'avere notizie dei cari lontani e l'incertezza che
caratterizzava i viaggi per mare della corrispondenza erano uno dei
crucci che affliggevano i missionari. Da alcuni anni, inoltre, ai
consueti rischi di naufragio si era aggiunto il pericolo degli assalti dei
corsari inglesi e soprattutto olandesi. Infatti, mentre proseguivano
senza successo le spedizioni per raggiungere le Isole delle Spezie e
il Catai passando per il Nord dell'Europa, le flotte delle nuove
potenze marinare avevano iniziato a frequentare le acque
dell'oceano Indiano per strappare ai portoghesi il monopolio dei
commerci con la Cina.
Ricci proseguiva il suo viaggio verso nord alla scoperta del territorio
cinese con crescente interesse. Vedeva scorrere davanti ai suoi
occhi la campagna, piena di villaggi densamente popolati e coltivata
a grano, riso e miglio, e non si stancava di annotare distanze e nomi
di luoghi, o di calcolare in modo approssimato la latitudine delle
località più importanti, segnalando la presenza di laghi, fiumi e monti
di una certa rilevanza. Con meraviglia contava le centinaia e
centinaia di imbarcazioni che passavano vicino alla sua a ogni ora
del giorno e della notte e osservava le giunche che portavano
materiale deperibile, come frutta e ortaggi, fermarsi nelle stazioni di
rifornimento per fare scorta di ghiaccio. In un momento del viaggio,
la sua giunca superò una lunghissima fila di chiatte cariche di
legname trainate da riva da molte migliaia di manovali. Una dietro
l'altra, calcolò il gesuita, si snodavano per quasi tre chilometri lungo
il fiume. I marinai gli dissero che il legname proveniva dalla provincia
centromeridionale del Sichuan ed era destinato alla ricostruzione di
alcuni padiglioni della Città Proibita distrutti da un incendio due anni
prima. Gravate da un tale carico, le chiatte avrebbero impiegato
almeno un anno per raggiungere la capitale.
Era il 7 settembre 1598 quando Ricci entrò per la prima volta nella
capitale dell'impero, dopo quindici anni di permanenza in Cina.
Ne erano passati 323 da quando Marco Polo era arrivato a
Qanbaliq, la capitale del Catai, collocata nella stessa pianura poco
distante da Pechino.
Per entrare dalla parte meridionale della città, Ricci incontrò due file
di bastioni. I primi erano stati costruiti nel 1553 per delimitare
la cosiddetta «città esterna», l'agglomerato di case sviluppatosi nei
secoli nella zona sud della Pechino originaria. I secondi
consentivano di entrare nel nucleo più antico della metropoli, detto
«città interna». Ricci valutò che le mura, costituite da una base di
pietra su cui poggiava una struttura di mattoni riempita di terra
battuta, erano le più imponenti che avesse mai visto, più alte e
spesse di quelle che circondavano le città europee, e calcolò che
sulla loro sommità a-vrebbero potuto correre dodici cavalli affiancati.
Le porte di accesso alla città erano protette da soldati ed eunuchi
incaricati di riscuotere le gabelle e di notte venivano chiuse e vigilate
da gruppi di militari. La città era costruita come una serie di scatole
cinesi. Nella città interna si trovava infatti un'altra cittadella
circondata da mura, la Città Imperiale, residenza degli addetti alla
corte, il cui accesso era proibito ai comuni mortali e nel cui centro
sorgeva la Città Proibita con i palazzi imperiali e gli alloggi della
famiglia regnante, il vero cuore dell'impero.
Ricci si accorse ben presto che Pechino, dove pioveva di rado, era
avvolta da una nube di polvere che si sollevava dalle strade non
pavimentate e si mescolava con la sottile sabbia marrone
proveniente dal deserto del Gobi. Impercettibile ma onnipresente, la
polvere, da cui gli abitanti si difendevano avvolgendosi il capo con
un velo nero, penetrava nelle case, dentro gli armadi, nei bauli, si
insinuava fra le pagine dei libri e appannava con una leggera patina
le delicate porcellane esposte nelle case più ricche. Anche Ricci
adottò l'usanza di coprirsi il capo, che gli consentiva, molto
opportunamente, di nascondere il suo aspetto forestiero.
A Pechino il clima era molto più secco e rigido che a Nanchino e gli
abitanti scaldavano le case usando carbon fossile, che
bruciavano anche per cucinare. Per sfruttare il calore prodotto
durante la preparazione dei cibi, la stanza da letto veniva quasi
sempre collocata accanto alla cucina. Il giaciglio era costituito da
un'intelaiatura di mattoni, detta in cinese kang, collegata alla cucina
da condutture in muratura che convogliavano il calore dalla zona di
cottura, una struttura diffusa in tutto il Settentrione della Cina.
Sicuro di aver chiarito tutti i dubbi e di essere nel giusto dando ormai
per acquisita l'identità tra Cina e Catai, Ricci scrisse ancora
ai superiori in India e in Italia ribadendo la sua ipotesi, ma non fu
creduto. L'idea dell'esistenza del Catai era così radicata nella
cultura occidentale che non era facile abbandonarla. E il gesuita,
come si vedrà, sarebbe dovuto tornare più volte sull'argomento per
convincere i confratelli di avere ragione.
La ritirata a Sud
Passando dalla provincia dello Shandong allo Jiangsu e via via che
si procedeva verso sud, il clima si addolciva, il paesaggio si
modificava, le piantagioni di tè si alternavano alle risaie e l'acqua
diventava l'elemento dominante, distribuita nella ragnatela di laghi,
canali e fiumi che avvolgeva l'enorme delta dello Yangzi. Ricci non
riusciva a contemplare il paesaggio perché, per la fatica e il freddo
patiti più a nord, si era ammalato, ma aveva deciso di non fermarsi e
proseguiva febbricitante verso la meta. Finalmente, un mese dopo
aver lasciato Linqing, raggiunse Suzhou. Chiamata da Marco Polo
«Sugiu», e descritta nel Milione come la «città dai seimila ponti di
pietra», Suzhou, sulle rive del lago Tai Hu, è una città d'acqua
percorsa da una rete di canali che le è valsa l'appellativo di «Venezia
d'Oriente». Insieme a Hangzhou rappresentava il paradiso terrestre
dell'immaginario cinese. «Il paradiso è in Cielo, sulla Terra ci sono
Hangzhou e Suzhou» è un antico detto, ancora in uso nella Cina
odierna, dove la parola «paradiso» si riferisce al luogo di beatitudine
ultraterreno della tradizione buddista e daoista. In epoca Ming, la
città era un fiorente centro commerciale che godeva della sua
posizione strategica all'imbocco del Canale Imperiale ed era
rinomata come luogo di villeggiatura di funzionari di alto rango. Ricci
non vi si fermò nemmeno un giorno perché venne a sapere che Qu
Taisu si era temporaneamente trasferito nella vicina Danyang, poco
a sudest di Nanchino, e con le ultime forze rimaste riuscì a
raggiungerlo.
Il Tempio del Cielo, il più importante luogo di culto della città, era un
complesso di edifici che rappresentava l'universo, circondato da
mura e da un fossato. I palazzi che lo componevano, aventi tutti la
stessa struttura di base ma diversi per dimensione, erano circondati
da ampi cortili dove crescevano alberi centenari che era
proibito potare. L'edificio principale era il tempio a pianta circolare,
arricchito con decorazioni rosse, blu scuro e oro, che rappresentava
la volta celeste e a cui si accedeva attraverso scalinate di marmo.
Come ogni altro fabbricato era ornato con simboli cosmologici ed era
costruito con un numero di colonne, gradini, pilastri, lastre di pietra,
multiplo di nove, cifra ricorrente nella tradizione cinese in quanto si
riteneva presiedesse all'organizzazione del mondo.
Ricci osservò con interesse gli strumenti più originali, ma gli sembrò
che suonassero insieme senza avere «nessuna consonantia» e non
ricavò alcun piacere dall'ascolto del concerto. Restio ad apprezzare
la musica di un'altra tradizione,3 si convinse che in Cina si
fosse persa per sempre l'«arte dell'armonia».
Il successo di Ricci nella cerchia dei letterati era dovuto alla notorietà
delle sue opere, alle sue competenze scientifiche e alla sua
conoscenza della filosofia confuciana, «cosa inaudita nella Cina»,
che non cessava di stupire gli interlocutori. La sua apertura verso la
cultura degli amici intellettuali si fermava però al confucianesimo
e non riguardava alcun aspetto delle dottrine buddista e daoista,
anche se egli era consapevole che non pochi letterati confuciani
simpatizzavano per entrambe. Anzi, alcuni shidafu professavano una
specie di religione unica, un compendio di confucianesimo,
buddismo e daoismo,4 che aveva avuto una notevole diffusione
proprio a Nanchino e nello Jiangsu. I suoi adepti, che Ricci chiamava
con disapprovazione seguaci delle «tre sette», veneravano statue di
Confucio, Buddha e Laozi le une vicine alle altre, una vera
mostruosità agli occhi del gesuita.
Urtato dalle parole del bonzo, Ricci gli domandò se anche lui fosse
capace di creare, come poteva fare Dio, tutto quello che esisteva in
Cielo e sulla Terra.
«Allora quando voi parlate del Sole e della Luna, andate su nel Cielo
dove stanno questi corpi celesti o sono loro a venire da voi?»
Sanhuai replicò: «Ma allora voi, che siete uomo, avete creato un
nuovo Sole e una nuova Luna e quindi, proprio come avevo detto
io, potete creare tutto quello che volete. Vi ho dimostrato che ho
ragione».
Ogni volta che Ricci discuteva con i cinesi e cercava di far notare
loro quella che lui considerava l'assurdità delle loro concezioni,
per condurli alla rivelazione della dottrina cristiana, si scontrava con
le consuete difficoltà di comprensione reciproca. Il gesuita si
stupiva che i suoi interlocutori non ragionassero secondo la logica
occidentale e non sapessero distinguere, per esempio, i concetti
aristotelici di forma, materia, sostanza e accidente. In effetti la
visione cinese dell'universo, concepito come un grande organismo in
evoluzione, nel quale ogni parte era collegata alle altre, escludeva
separazioni nette come quella tra materia e spirito, tra mondo
sensibile e mondo trascendente, così fondamentali per la cultura
occidentale. Ciò che per Ricci era ovvio, non lo era per i suoi
interlocutori, e viceversa. Per i cinesi, il solo principio costante era il
dao, l'ordine spontaneo, il principio dinamico inerente a ogni
processo naturale. Secondo la cosmologia cinese, l'universo si
evolveva e modificava continuamente grazie all'alternarsi di due
forze complementari e contrapposte, lo yin, il principio femminile
legato all'ombra, alla Terra, alla passività e alla disgregazione, e lo
yang, il principio maschile legato alla luce, al Sole, all'attività e alla
creazione. Dalle due forze erano nati i cinque elementi, o «agenti»,
acqua, terra, fuoco, legno e metallo, visti come processi dinamici che
formavano il Tutto tramutandosi incessantemente gli uni negli altri.
Insieme a Ricci tradusse diverse opere scientifiche, tra cui i primi sei
libri degli Elementi di Euclide.
Sotto: ritratto di Alessandro Valignano, visitatore delle missioni
gesuite in Medio ed Estremo Oriente. Superiore di Ricci, ne guidò
l'attività ispirata ai princìpi dell'adattamento culturale. Incisione.
Archivio storico della Compagnia di Gesù, Roma.
Sopra, a destra: ritratto
Il monaco buddista
Huang Hong'en (Sanhuai)
un banchetto a Nanchino.
All'epoca, il buddismo
GUO QINGLUO1
Lifa Luti2
Prigioniero dell'eunuco
185
autore cinese. Una tra le più famose era la Mappa universale delle
miriadi di paesi del mondo, con nozioni sugli avvenimenti passati e
presenti realizzata nel 1593 da Liang Zhou, un noto shidafu che
aveva presentato l'opera di Ricci con parole lusinghiere:
«Recentemente ho visto la mappa di Li Madou con le sue note, e per
la prima volta mi sono reso conto dell'immensità del Cielo e della
Terra».8 Tra gli ammiratori delle competenze geografiche del gesuita
vi era anche un funzionario di alto grado del ministero del Personale
di Nanchino, Wu Zhongming, più noto con il soprannome di Wu
Zuohai, che gli propose di preparare una nuova e più ricca versione
della mappa, e lo pregò di consegnargli le matrici di legno su cui
l'avrebbe incisa per consentirgli di riprodurla per gli amici.
Ricci sapeva che i doni per Wanli erano il suo più importante biglietto
da visita e quindi ritenne opportuno impreziosire l'orologio grande, il
pezzo forte della collezione, affidandolo alle abili mani di artigiani
locali, eccellenti intagliatori e decoratori. Il lavoro riuscì alla
perfezione. La cassa dell'orologio era stata collocata su un
piano sostenuto da quattro colonne e sopra di essa era stata
costruita una cupola all'interno della quale c'erano le campane che
battevano le ore e i quarti d'ora. Il legno era stato decorato con
figure di draghi in rilievo su uno sfondo colorato in giallo, rosso, blu,
verde e oro. Il quadrante aveva nuove lancette a forma di becco
d'aquila e le ore erano scritte in caratteri cinesi. Era un piccolo
capolavoro che avrebbe suscitato l'ammirazione degli artigiani
rinascimentali.
Mentre i preparativi fervevano, la voce dell'imminente viaggio a
Pechino dei missionari era arrivata a Nanchang e il principe
imperiale di Jian'an aveva convinto l'eunuco esattore delle tasse a
intercedere perché i gesuiti ottenessero un'udienza con Wanli.
Aveva anche inviato a Nanchino un servitore, carico di regali, per
avvertirli, ma l'uomo era stato ucciso e derubato dai banditi.
Nonostante l'offerta del principe, Ricci era risoluto a non accettare
l'aiuto dei taijian e preferì farsi rilasciare un lasciapassare per
Pechino dal censore Zhu Shilin. Poi, spinto dalla fretta di partire,
commise l'imprudenza di accettare un passaggio proprio sulla
giunca di un eunuco, che si era offerto di trasportarli verso nord. Il
taijian doveva consegnare a corte un carico di seta e aveva capito
che avere a bordo personalità di riguardo con doni per l'imperatore
avrebbe potuto procurargli qualche buon affare. Il gruppo s'imbarcò il
19 maggio 1600 salutato da Zhu Shilin, che augurò loro ogni
successo tenendo tra le mani il prisma che Ricci gli aveva lasciato in
regalo.
Il destino dei missionari era ormai nelle mani del più temuto dei
taijian e, mentre i gesuiti venivano trasferiti su un'altra imbarcazione,
l'eunuco che li aveva consegnati all'esattore veniva autorizzato
a proseguire verso Pechino, dopo aver ottenuto l'esenzione dalla
tassa doganale in cambio delle sue preziose informazioni.
Prigionia e liberazione
Pechino era il centro politico dei Ming, ultima grande dinastia cinese
che regnava da quasi tre secoli su un paese dai forti contrasti, la cui
popolazione, di 200 milioni di abitanti, era più che raddoppiata dal
suo insediamento al potere.
Pechino, più di ogni altra città cinese, era lo specchio del paese. In
un ambiente ricco di nuove idee e pieno di contraddizioni stimolanti,
dove cultura popolare e ufficiale, sapere teorico e pratico erano solo
apparentemente separati ma in realtà si influenzavano a vicenda e
dove il desiderio di nuove forme di conoscenza si faceva sentire con
forza, Matteo Ricci avrebbe presto trovato interlocutori preparati,
intellettuali curiosi del sapere «occidentale».
Pochi giorni dopo la consegna dei doni le prime notizie sulle reazioni
dell'imperatore cominciarono a trapelare dalle stanze della Città
Imperiale. Le voci riferivano che il Figlio del Cielo aveva ammirato i
dipinti sacri e aveva affermato che le divinità raffigurate sembravano
vive. Le sue parole colpirono la fantasia dei cinesi e, da quel
momento, ci fu chi cominciò a indicare i gesuiti come le persone che
avevano presentato a corte un «dio vivo».14 Ma Wanli aveva presto
cominciato a sentirsi a disagio nell'osservare quei volti troppo intensi
e aveva preferito liberarsene mandandoli in dono all'imperatrice
madre, che era molto devota alle divinità buddiste e daoiste
e avrebbe accettato più volentieri, così pensava l'imperatore, la
presenza nelle proprie stanze di immagini sacre. Ma, passata
l'iniziale curiosità, anche lei si stancò di quei visi che sembravano
fissarla con severità e i quadri furono definitivamente trasferiti nelle
sale del tesoro imperiale.
Ricci e Pantoja furono ospitati per tre giorni nella Città Imperiale per
tenere un corso accelerato sui princìpi di funzionamento degli orologi
meccanici agli eunuchi matematici. Poiché non esistevano parole
cinesi per indicare meccanismi e tecniche ideate in una diversa
cultura, Ricci coniò per l'occasione uno specifico lessico in
mandarino. Gli eunuchi pendevano dalle sue labbra e annotavano
tutto minuziosamente, terrorizzati di non ricordarsi qualche
particolare.
Terminato l'apprendimento, gli orologi furono riportati negli
appartamenti imperiali. Wanli premiò gli eunuchi che avevano
imparato a caricarli promuovendoli di grado e permise loro di recarsi
ogni giorno nelle sue stanze private per regolare l'orologio più
piccolo, da cui non voleva separarsi mai. Da quel momento i
quattro taijian acquisirono maggiore influenza a corte e
incominciarono a ricevere regali e manifestazioni di deferenza dai
loro colleghi. A loro, la visita dei gesuiti aveva portato fortuna, perché
non c'era oggetto a cui Wanli tenesse come all'orologio, come
dimostra l'episodio che qualcuno riportò ai missionari, infrangendo le
regole della discrezione. Un giorno l'imperatrice madre, incuriosita
dalla descrizione delle «campane che suonano da sole», aveva
chiesto che le portassero l'orologio piccolo. Temendo che se ne
volesse appropriare, il sovrano aveva ordinato agli eunuchi di
consegnarle l'oggetto soltanto dopo che fosse finita la carica.
L'imperatrice, non sentendo suonare l'orologio come si sarebbe
aspettata e non avendo ottenuto alcuna spiegazione sul suo
funzionamento, lo aveva rimandato al figlio delusa, come Wanli
aveva sperato.
Ancora una volta Ricci e Pantoja furono chiamati a corte per posare
per i pittori. Nel giorno convenuto furono fatti entrare in una zona più
interna della Città Imperiale e oltrepassarono anche la seconda
porta, ma nemmeno in quella circostanza riuscirono a incontrare,
come forse speravano, il Figlio del Cielo. Completata la
preparazione dei ritratti, Wanli, curioso, se li fece portare
immediatamente e, osservando le barbe lunghe dei missionari, pare
abbia esclamato che sembravano dei musulmani, ma i taijian
risposero che non potevano esserlo perché li avevano visti mangiare
carne di maiale. Non ancora soddisfatto delle informazioni ricevute
sul mondo da cui provenivano i gesuiti, Wanli fece chiedere loro
come fossero vestiti i sovrani dell'Occidente e come fossero costruiti
i loro palazzi. Ricci, non avendo altro a disposizione, gli fece
pervenire una piccola incisione che raffigurava un Cristo, davanti al
quale erano inginocchiati gli angeli del Cielo, i dannati dell'inferno e
gli uomini sulla Terra, inclusi il papa, l'imperatore, re e regine. Wanli
apprezzò l'illustrazione sacra, ma, poiché non riusciva a distinguere i
diversi personaggi, ordinò ai suoi pittori di prepararne una copia
molto più grande. E ancora una volta, Ricci e Pantoja furono
chiamati a corte per aiutare gli artisti nel lavoro.
I versi delle canzoni erano in sintonia con lo stile di Ricci, esperto nel
porgere i propri insegnamenti morali con la grazia leggera
dell'umanista, ed erano stati composti con l'intento di «insegnare a
ben vivere» e non soltanto per «dilettare le orecchie».17
LIANG ZHOU1
L'incontro con Wanli avrebbe dovuto costituire, nei sogni dei religiosi,
un momento di svolta per la vita della missione, l'occasione per
chiedere il permesso di predicare la dottrina cristiana sul
territorio dell'impero, ma il traguardo tanto agognato non era così
vicino. Era infatti chiaro che i gesuiti erano stati chiamati a
un'udienza collettiva ed era molto improbabile che avrebbero avuto
la possibilità di dialogare con Wanli, anche se forse Ricci sperava
che l'evento rappresentasse il primo di una serie di contatti
ravvicinati con il Figlio del Cielo.
«Con che restorno i nostri molto contenti» scrive Ricci «dando grafie
a Dio, e ritornorno a guadagnare qualche puoco di riputatio-ne, che
avevano perso con quella mezza prigione di quel castello.»6
L'amico di Ricci, che tanto aveva fatto dal carcere per favorire la
diffusione delle opere del gesuita, non si sarebbe mai battezzato
perché, uscito di prigione tre anni dopo usufruendo di un'amnistia
concessa per l'apparizione in cielo di una cometa (il 10 ottobre
1604), si trasferì a Nanchino, dove morì prima di incontrare ancora i
missionari. Era un'ulteriore prova del fatto che molti intellettuali
cinesi erano tanto sinceramente interessati alle opere di morale e di
scienza di Ricci quanto diffidenti nei confronti dei suoi insegnamenti
religiosi, e che la maggior parte di loro preferiva, per prudenza,
evitare o procrastinare scelte impegnative come l'adesione al
cattolicesimo.
In alcuni casi le copie stampate venivano dipinte con vari colori per
differenziare i cinque continenti. Oltre alle versioni a stampa con o
senza colori, si realizzavano copie dipinte a mano, spesso per
iniziativa degli eunuchi del palazzo imperiale. I cinesi
continuarono negli anni a riprodurre il mappamondo di Ricci e, a
partire dalla fine del Seicento,10 le copie dipinte a mano vennero
arricchite da disegni di velieri che solcavano gli oceani, di animali
marini come balene, squali e trichechi e animali terrestri più o meno
fantastici come struzzi, elefanti, rinoceronti e dinosauri. Delle sei
copie manoscritte della mappa completa giunte sino a noi, una ha
mantenuto uno straordinario stato di conservazione. Di datazione
incerta, è dipinta su carta con tenui colori e tratto delicatissimo e
arricchita con disegni di velieri e animali. Acquistata nel 1923 nel
distretto di Liuli-chang, a Pechino, e custodita nel museo della Città
Proibita fino al 1936, fu trasferita negli archivi del museo di
Nanchino, dove si trova tuttora. L'unica parte di una copia
manoscritta conservata in Occidente, il terzo dei sei pannelli, che
contiene il disegno di una balena, ha trovato la sua sistemazione,
dopo varie peripezie nel mondo del collezionismo, in un piccolo
museo sulla caccia alle balene a Sharon, nel Massachusetts, 80
chilometri a sud di Boston.11
Madou a tradurre alcune opere che il gesuita aveva con sé, come
aveva fatto anni addietro Qu Taisu con il primo libro degli Elementi di
Euclide. Ricci accettò volentieri e tradusse in cinese con lui il Trattato
sulle costellazioni (Jingtian gai), un poemetto formato da 420
settenari che il missionario aveva trovato il tempo di scrivere nei
primi mesi del suo insediamento a Pechino. Nel volume erano
descritte le principali costellazioni cinesi con il nome, la posizione
relativa e la luminosità delle più importanti stelle situate nella regione
del cielo che circonda la stella polare, nella fascia dello zodiaco e
nella zona intermedia tra le due. Scrivere in forma poetica, uno stile
inconsueto per il gesuita, era verosimilmente uno stratagemma per
favorire la memorizzazione.
Il trono vuoto
227
Prima della formazione del cielo e della terra c'era qualcosa in stato
di fusione. Tranquilla e immateriale, essa esiste da sola e non muta;
essa circola ovunque senza stancarsi. Si può considerarla come la
Madre di Tutto-sotto-il-cielo. Io non ne conosco il nome, ma la
designo con l'appellativo di Dao.
L'altro ostacolo all'apostolato tra gli shidafu era il ben noto problema
della poligamia, la «catena difficile da spezzare», per usare le parole
di Ricci, un'usanza profondamente radicata nella società, che aveva
impedito fino a quel momento la conversione di Qu Taisu e
Li Zhizao, incapaci di compiere una scelta totale che imponeva
rinunce dolorose e contrarie alla legge e ai costumi cinesi.
Le persecuzioni antibuddiste
A seguito del tragico evento, il ministro dei Riti Feng Qi, buon a-mico
dei gesuiti, scrisse un memoriale in cui criticava il buddismo ed
emanò un decreto che proibiva, com'era già accaduto in passato, di
citare opere buddiste nelle scuole. Gli studenti che non avessero
rispettato i suoi ordini non sarebbero stati ammessi agli esami
imperiali e i funzionari che avessero manifestato simpatie buddiste
avrebbero perso il loro incarico. L'anno successivo, era il dicembre
1603, un altro grave fatto infiammò gli animi. Un mattino, all'alba, i
dignitari più importanti di Pechino trovarono sulla soglia di casa un
libello anonimo intitolato Discussione sul pericolo di una successione
al trono, in cui si affermava che l'imperatore, dopo essere stato
costretto a designare quale erede il primogenito contro la propria
volontà, aveva intenzione di tornare sui suoi passi e modificare la
successione a favore del terzogenito. Il tema era molto delicato e
aveva già contrapposto Wanli ai mandarini di corte, sicché nessuno
dei funzionari voleva che la questione tornasse alla ribalta,
rischiando di compromettere i delicati equilibri di potere all'interno
della Città Proibita. L'autore del Libretto del cattivo augurio, come lo
scritto fu subito ribattezzato, non doveva per nessuna ragione
restare impunito e ben presto si scatenò una caccia alle streghe di
cui molti approfittarono per screditare i rivali politici.
Anche se erano forse turbati dalla crudeltà delle punizioni, del resto
non dissimili da quelle praticate in Occidente, i missionari si
rallegrarono che il movimento antibuddista e le persecuzioni contro i
presunti autori del libello avessero temporaneamente neutralizzato
i loro più diretti antagonisti. E Ricci interpretò gli eventi come un
«castigo divino» ai danni dei suoi rivali.10
Alla fine del 1603, dopo tre anni di permanenza nella capitale, Ricci
era pronto a dare alle stampe l'opera apologetica a cui teneva più
di ogni altra, il Catechismo, frutto di almeno dieci anni di studio e di
riflessione, il punto d'arrivo del suo metodo missionario ispirato
all'accomodamento culturale. D'accordo con Valignano, aveva
deciso di affidare il suo massimo sforzo di persuasione
all'argomentazione scritta perché sapeva che i letterati, abituati allo
studio, potevano essere più facilmente convinti della validità di una
dottrina leggendo un testo, piuttosto che ascoltando una predica.
Quando parlava della sua dottrina a un letterato, capitava spesso
che quest'ultimo gli chiedesse un libro sull'argomento, in modo da
potervi riflettere con la necessaria concentrazione.
levò dall'animo la sospitione di altri fini cattivi ad altri, amici della sua
suspitione, aumentò l'odio contro di noi».21
Mai in mia vita mi vidi sì povero di tempo, tanto che alle volte per
ricomandarmi a Dio mendico il tempo, in tempo che ne ho maggior
bisogno.
Il letterato, che aveva allora 41 anni, dieci meno di Ricci, era nato a
Shanghai, all'epoca piccola cittadina poco distante dal mare
nella provincia dello Jiangsu. Il padre era un mercante di modeste
condizioni, la madre proveniva da una famiglia di shidafu. Come tutti
i giovani che potevano permetterselo, Xu Guangqi aveva
intrapreso la lunga strada per entrare nell'amministrazione dello
Stato. Il suo percorso di studio era stato un'altalena di riconoscimenti
e insuccessi e il giovane uomo non era ancora riuscito a diventare
jinshi, nonostante avesse già tentato due volte l'esame.
Nel racconto che Ricci fornisce, nella sua «Storia della missione»,
della vita del letterato e del cammino che lo portò alla
conversione, non mancano cenni a sogni premonitori e a segni del
destino. Provvidenziale viene considerato il suo fallimento agli esami
di terzo livello. Infatti, se li avesse superati, Xu Guangqi si sarebbe
potuto permettere una concubina e avrebbe avuto maggiori difficoltà
ad abbracciare il cristianesimo. Tanto più che, verosimilmente,
avrebbe ottenuto un incarico in una provincia lontana e non avrebbe
potuto recarsi a Nanchino per ricevere il battesimo.
Esami e battesimi
Il «dottor Paolo:
245
«Mandatemi un astronomo»
Voglio priegare molto una cosa che molti anni sono chiesi né mai mi
fu risposto, et è che una delle cose più utili che potrebbero de là
venire per questa corte, era alcun padre o anco fratello buon
astrologo [astronomo]. E dico astrologo perché di queste altre cose
di geometria, horioli e astrolabi, ne so io tanto e ne ho tanti libri che
basta, ma loro non fanno tanto conto di questo, come del corso e
vero luogo de pianeti e del calcolo delle eclisse et in summa di uno
che possa fare efemeridi Se qua venisse questo matematico che
dissi, potressimo voltare le nostre tavole [astronomiche] in lettera
sinica, il che farò assai facilmente, e pigliar l'assunto di emendare
Tanno [correggere il calendario] che ci darebbe grande reputatione,
aprirebbe più questa entrata nella Cina e staressimo più fissa e
liberamente.21
In attesa degli agognati rinforzi scientifici, Ricci includeva fra le sue
attività un'intensa e crescente vita sociale. Fortemente convinto che
la sua disponibilità fosse parte integrante del lavoro missionario, non
rifiutava mai di ricevere chiunque lo volesse conoscere e accettava
tutti gli inviti. L'afflusso di visite nella capitale era superiore a quello
mai avuto in ogni altra residenza, non solo perché Pechino era
popolosa, ma perché la città si riempiva ogni anno di migliaia
di dignitari e letterati che partecipavano a eventi e celebrazioni
speciali. Al via vai di shidafu e guan si aggiungeva il flusso
pressoché continuo dei mercanti che arrivavano da altri centri e dalle
campagne per rifornire la Città Imperiale e la corte. Molti visitatori
occasionali approfittavano del soggiorno a Pechino per conoscere Li
Madou, e i vecchi amici affrontavano volentieri il viaggio nella
capitale per andarlo a trovare.
Ricci voleva che la casa fosse sempre aperta: «Se bene la fatica è
grande» scriveva «procurano i vostri di fare a tutti buona accoglienza
per guadagnare la benevolentia di tutti, oltre il parlare sempre con
loro delle cose della nostra Fede».22 Sapeva che i contatti con
i mandarini più importanti servivano a far progredire la missione e
a garantire protezione ai confratelli che vivevano nelle altre città.
Era infatti convinto che se i magistrati di passaggio avessero potuto
constatare quanto Li Madou era stimato a corte, avrebbero avuto più
rispetto per i gesuiti residenti nelle altre province. Ricci riceveva
quotidianamente fino a venti libretti per le visite, che arrivavano a
cento in occasione delle festività, e ogni due o tre giorni usciva a
piedi o a cavallo per restituire gli inviti, come voleva l'etichetta.
Il libro con la descrizione dei gesuiti era stato letto da uno shidafu di
passaggio a Pechino per sostenere l'esame di dottorato, che si
presentò a casa dei missionari per conoscerli. L'uomo, di razza non
cinese, era un ebreo di nome Ai Tian proveniente dalla provincia
dell'He-nan, nella Cina centrale, che immaginava che i gesuiti
fossero suoi correligionari, tant'è vero che, quando fu accompagnato
nella cappella e vide le effigi della Madonna, di Gesù e di Giovanni
Battista, li scambiò per Rebecca e i suoi figli Giacobbe ed Esaù. Ai
Tian disse di essere israelita e di non conoscere il termine «giudeo»
e, quando Ricci gli mostrò la Biblia Regia, riconobbe la scrittura
ebraica anche se non era in grado di leggerla.
Ricci gli chiese conferma delle voci che aveva raccolto da mercanti
musulmani circa l'esistenza sul territorio cinese di comunità
cristiane i cui membri venivano chiamati «adoratori della croce».29 Ai
Tian rispose che ve n'erano a Kaifeng e in altre località della Cina; si
caratterizzavano per l'uso di fare un segno della croce sopra ogni
cosa che mangiavano o bevevano e di disegnare una piccola croce
nera sulla fronte dei fanciulli. Sapeva in modo vago che risiedevano
in Cina da
Colpito dalle informazioni sugli «adoratori della croce», tre anni dopo
l'incontro con l'ebreo, Ricci avrebbe incaricato un confratello cinese
di rintracciarli, nella speranza di poterli accogliere nella sua Chiesa,
ma la missione si sarebbe rivelata un vero fallimento:
ormai dimentichi dell'antica religione, gli «adoratori della croce»
volevano essere considerati cinesi a tutti gli effetti e temevano che il
contatto con gli stranieri potesse danneggiarli.
Senza questo libro [gli Elementi di Euclide] non si poteva far niente,
specialmente per essere le demonstrationi di questo libro molto
chiare.1
MATTEO RICCI
La morte di Valignano
Mancava meno di un mese alla fine del 1606 quando Ricci ricevette
una lettera proveniente da Suzhou, nell'attuale Gansu, provincia
dell'estremo Nordovest, confinante con la Mongolia. Era firmata
da Bento de Góis, «fratello Benedetto», come scrive Ricci, un
coadiutore gesuita che raccontava di aver viaggiato per anni
pensando di raggiungere il Catai e pregava i missionari di mandare
del denaro per aiutarlo a proseguire il viaggio e sfuggire ai
musulmani che lo avevano depredato. Ricci, che aspettava da molto
tempo di ricevere notizie dal confratello partito cinque anni prima
dall'India e di cui si erano perse le tracce, capì dal tono della missiva
che la situazione era disperata e si affrettò a mandare i soccorsi.
Anche se il Gansu distava tre mesi di cammino e il freddo
dell'inverno avrebbe sconsigliato di intraprendere il viaggio, incaricò
Zhong Mingli, un cinese poco più che ventenne che stava per
entrare nel noviziato, chiamato in portoghese Joào Fernandes e in
italiano semplicemente Giovanni,5 di partire per Suzhou insieme a
un altro convertito che gli avrebbe fatto da guida, con una somma di
denaro sufficiente ad affrontare ogni imprevisto
Nonostante l'apprensione per la vita di De Góis, Ricci era soddisfatto
perché il suo arrivo dimostrava con certezza che Cina e Catai erano
lo stesso paese. Il gesuita aveva cominciato a sospettarlo almeno
dal suo primo viaggio a Nanchino, vent'anni prima, e ogni volta che
aveva trovato conferme alla sua ipotesi ne aveva scritto ai superiori
in Europa e in India, ma i confratelli lontani non avevano creduto alle
sue affermazioni. La convinzione che esistesse un altro
paese collocato a nord della Cina, raggiungibile seguendo le vie
della seta come avevano fatto i fratelli Polo nel XIII secolo, era così
saldamente radicata nella cultura europea che le parole di Ricci,
affidate alle sporadiche lettere che impiegavano anni a giungere a
destinazione, non suonavano convincenti. Tanto più che le credenze
popolari parlavano ancora della presenza nel Catai di comunità
cristiane, mentre Ricci sosteneva che in Cina erano rimasti soltanto
gli «adoratori della croce», che non si potevano nemmeno più
definire cristiani.
Senza continuità con la produzione del passato, era difficile per gli
intellettuali cinesi riannodare in modo costruttivo i fili con la
tradizione scientifica e compiere significativi passi avanti. Eppure la
matematica e le sue applicazioni erano più che mai necessarie. Non
solo una matematica più avanzata avrebbe permesso di descrivere
con maggior precisione il movimento dei corpi celesti e di compilare
un calendario più accurato, ma progressi in aritmetica e algebra
erano indispensabili alle esigenze del commercio, della cartografia,
della progettazione ingegneristica e di ogni altro settore dell'attività
umana.
L'opera di Euclide era stata scritta in greco nel III secolo a.C.,
tradotta in arabo nell'VIII secolo d.C. e in latino nel XII. Era stata
data per la prima volta alle stampe, nella versione originale greca,
nel 1533 e, cinquantanni dopo, probabilmente nel maggio 1607,
venne xilografata in mandarino, con una prefazione di Ricci e una di
Xu Guangqi. Il gesuita ne inviò ai superiori alcune copie, due delle
quali destinate a Cristoforo Clavio,11 che di certo si sarà compiaciuto
nel vedere stampata in caratteri cinesi l'opera che lui stesso aveva
contribuito a diffondere.
Nella prefazione alla propria versione latina del testo, Clavio aveva
tessuto le lodi della matematica con enfasi per persuadere le
autorità gesuite della necessità di includere la disciplina nei
programmi dei collegi e Ricci fece lo stesso, tralasciando gli
argomenti filosofici inadatti al pubblico cinese e dilungandosi invece
in un'appassionata presentazione delle innumerevoli applicazioni
dell'aritmetica e della geometria. Clavio aveva paragonato la
matematica a una fontana da cui sgorgano le altre branche della
scienza. Ricci la equiparava a una scala, necessaria per raggiungere
le vette della conoscenza. La matematica, scriveva, permette di
penetrare i misteri del cosmo, di misurare lo spessore delle sfere
celesti, di disegnare carte geografiche, di predire il corso delle
stagioni e di realizzare il calendario. Tutti se ne dovrebbero servire,
anche gli uomini di Stato. Com'è possibile, infatti,
realizzare un'efficace politica estera se non si sanno calcolare le
distanze reciproche dei paesi e delle città, se non si è in grado di
disegnare la forma delle frontiere? Anche i medici, continuava il
gesuita, hanno bisogno della matematica per conoscere l'influenza
dei corpi celesti sulla vita dell'uomo. Non deve stupire che Ricci
facesse riferimento alle credenze astrologiche, perché la
convinzione che gli astri influenzassero la vita e la salute delle
persone era diffusa tanto in Cina quanto in Occidente.
Ricci era molto soddisfatto del lavoro svolto con i propri amici e si
rendeva conto che, grazie al loro aiuto, stava realizzando finalmente
il sogno di insegnare in modo sistematico la scienza europea ai
cinesi. Ma purtroppo anche la proficua collaborazione con Xu Paolo
ebbe fine, interrotta dalla morte improvvisa del padre del letterato,
alla fine del 1607, un evento che costrinse il guan a
lasciare l'Accademia e a recarsi a Shanghai per osservare il
consueto periodo di lutto di tre anni. Pur non potendo più lavorare al
fianco di Ricci, Xu Guangqi continuò gli studi, mantenendosi in
costante contatto epistolare con il gesuita. Egli era deciso ad
approfondire la conoscenza del sapere occidentale, non per
rinnegare la propria cultura, ma per riscoprirne le caratteristiche
peculiari, valorizzandole con l'apporto delle nuove competenze e del
nuovo metodo appreso da Ricci.17 A tal fine si dedicò allo studio di
antichi testi di matematica cinese e nel 1608 pubblicò Uguaglianze e
differenze nella misura (Ce-
XVII
Zhuangzi1
Sulla falsariga delle parole dei grandi del passato, affrontava, tra gli
altri, il tema della morte, che i cinesi temevano al punto di evitare di
menzionarla, pensando che il farlo avrebbe portato sfortuna. Ric-ci
sapeva che molti mandarini spendevano ingenti somme per
procurarsi pozioni che promettevano l'immortalità. Di fronte al
terrore dei cinesi per il «nulla» che, secondo la loro cultura, li
avrebbe attesi alla fine della vita, il maceratese proponeva il
paradosso di non temere la morte, anzi, invitava addirittura i suoi
lettori a pensarvi costantemente e con serenità. Suggeriva di
attendere con speranza la vita eterna che avrebbe accolto i credenti
quando, secondo la dottrina cattolica, i dolori terreni sarebbero
cessati e chi avesse sofferto e agito correttamente sarebbe stato
premiato in paradiso.
Connessa alla paura di morire era un'altra usanza cinese che Ricci
metteva sotto accusa perché incompatibile con la morale cristiana:
l'abitudine di ricorrere agli indovini, i prodigatori di inutili profezie
che prestavano la loro opera in ogni via della capitale. A Pechino,
secondo i suoi calcoli, ve n'erano almeno cinquemila, ed egli
metteva in guardia i «miseri» cinesi di ogni estrazione sociale che li
pagavano per essere ingannati. Di paradosso in paradosso, il
gesuita invitava i cinesi a meditare sulla preziosità del tempo e a
preferire ai discorsi vani le azioni corrette, spiegava il significato
della penitenza e del digiuno, esortava a compiere un esame di
coscienza quotidiano e concludeva illustrando i danni dell'avarizia e
criticando l'accumulo delle ricchezze.
In realtà non tutte le forme di austerità care alla morale cristiana che
Ricci proponeva nel suo trattato sarebbero apparse irragionevoli e
stravaganti ai lettori cinesi. Molti letterati, infatti, praticavano forme di
ascetismo e amavano la meditazione. Alcuni si
raccoglievano rimanendo immobili e controllando la respirazione -
una pratica yo-ga di origini buddiste indicata con l'espressione
«accovacciarsi nella calma» -, altri compivano quotidianamente
l'equivalente di un esame di coscienza - una riflessione silenziosa
sulle proprie cattive azioni chiamata «solitaria sorveglianza di sé» -
restando fermi di fronte a una ciotola d'acqua e a un bastoncino
d'incenso.4 Per nessuno di loro, però, tali azioni avevano il
significato di espiazione dei peccati compiuti contro le leggi di Dio. Il
gesuita si proponeva quindi di indirizzare le loro usanze verso una
consapevolezza morale più profonda e rivolta a fini religiosi.
Coloro che vivranno fra cento generazioni non sono ancora nati, e io
non so dirti che tipo di persone saranno. Grazie all'esistenza della
cultura scritta, però, anche quelli che verranno al mondo fra diecimila
generazioni saranno in grado di penetrare nella mia mente come se
fossero miei contemporanei. E così, anche gli spettabili personaggi
che vissero cento generazioni or sono sono scomparsi: eppure,
grazie ai libri che essi hanno lasciato, noi che veniamo tanto più tardi
possiamo udire il tono dei loro discorsi, vedere i loro comportamenti,
capire il buon ordinamento e insieme il caos dei tempi in cui essi
vissero, precisamente come se stessimo vivendo fra loro.7
Nel primo dei cinque libri in cui l'opera è suddivisa, Ricci fornisce
una descrizione della Cina e dei suoi usi e costumi, raccontando per
la prima volta al pubblico europeo come funzionava il sistema degli
esami imperiali, com'era organizzata la burocrazia, come si svolgeva
la vita di tutti i giorni nelle campagne e nelle città, e
dando informazioni sulla struttura geografica del paese. Sono
osservazioni preziose e in buona parte inedite, a cui hanno attinto gli
studiosi del mondo asiatico e la cui diffusione ha fatto di Ricci il
primo sinologo del mondo occidentale. Gli altri quattro libri sono una
dettagliata cronaca dell'avventura dei gesuiti in Cina, in cui Ricci,
raccontando in terza persona, ripercorre le tappe del suo lavoro
missionario, dal primo insediamento a Zhaoqing al trasferimento a
Shaozhou, dalla creazione delle altre residenze a Nanchang e
Nanchino fino all'ingresso e alla sistemazione a Pechino.
A Pechino era nel frattempo tornato Li Zhizao, che aveva ceduto alle
insistenze di Ricci e degli altri amici shidafu perché lasciasse
il volontario esilio. Il letterato, ormai riabilitato, ottenne presto la
nuova nomina a magistrato di distretto nella provincia centrale
dell'Hu-bei. Mentre attendeva la preparazione dei documenti per
l'investitura, convinse i servitori del suo palazzo a convertirsi, ma,
ancora una volta, con rinnovato disappunto dei missionari, si rifiutò
di farlo egli stesso. La resistenza di Li Zhizao e di altri intellettuali alla
conversione dimostrava che non era affatto scontato che gli amici e
gli ammiratori di Ricci si lasciassero persuadere a compiere una
scelta totale come quella proposta loro dai missionari, anche se molti
erano genuinamente interessati al sapere occidentale.
Ricci era ormai sicuro che non sarebbe più tornato in Europa. Anche
se avesse voluto, sapeva che i cinesi glielo avrebbero impedito, in
ossequio alla regola che proibiva a chiunque fosse vissuto in
Cina troppo a lungo di ritornare in patria, nel timore che potesse
ordire qualche congiura ai danni dell'impero. Un giorno si trovò a
riflettere sul fatto di essere rimasto solo, unico sopravvissuto dello
sparuto gruppo di missionari entrati per primi in Cina. Michele
Ruggieri era morto a Salerno nel 1607, Antonio de Almeida e il
superiore della missione Duarte de Sande erano morti da molti
anni18 e anche l'insostituibile Valignano, l'uomo che più di ogni altro
aveva sostenuto la missione cinese, se n'era andato per sempre
lasciando un grande vuoto. La carica di visitatore era stata conferita
a Francesco Pasio, il compagno di studi che aveva viaggiato con
Ricci e Ruggieri sulle caracche verso Oriente. Vivendo da molti anni
in Giappone, egli non conosceva a fondo la Cina e Ricci temeva che
potesse non comprendere i princìpi, condivisi da Valignano, che
avevano ispirato il suo lavoro. Intuendo di avere poco tempo davanti
a sé, riteneva di dover fornire al superiore lontano tutti gli elementi
affinché questi continuasse l'opera di sostegno alla missione iniziata
dal predecessore e indirizzasse con lo stesso spirito i confratelli che
sarebbero arrivati in Cina dopo la sua morte.
Nei primi mesi del 1610 Ricci ultimò la stesura della «Storia della
missione», riordinò lo studio pieno di libri, raccolse tutte le sue carte
e bruciò le lettere. Poi preparò due documenti, il primo contenente le
indicazioni per i confratelli di Pechino, l'altro indirizzato a Niccolò
Longobardo, destinato a diventare superiore della missione dopo la
sua morte. A Lazzaro Cattaneo scrisse una lettera salutandolo per
sempre.21
Il tributo di Wanli
I gesuiti furono invitati a scegliere il luogo più adatto per la tomba del
fondatore della missione cinese fra quattro siti che i funzionari
imperiali selezionarono per loro. La preferenza cadde su una grande
villa di trentotto stanze in mattoni e legno, circondata da un vasto
appezzamento di terreno e collocata appena fuori dalla
Fuchengmen, la porta a ovest della città interna, in località Zhala.
L'edificio, costruito trent'anni prima, era appartenuto a un taijian
caduto in disgrazia e ancora in carcere in attesa di essere
giustiziato. Poiché era stato trasformato in un tempio buddista e
quindi cadeva sotto la giurisdizione del ministero dei Riti, a nulla
valsero i maneggi degli eunuchi amici del proprietario per impedirne
la cessione ai gesuiti. Due editti, a firma del governatore di Pechino
Huang Jishi e del ministro dei Riti Wu Daonan, testimoniarono
l'avvenuta donazione «per volere dell'imperatore»; i missionari
ottennero l'esenzione permanente dalle tasse sulla loro nuova
proprietà e sopra l'ingresso dell'abitazione fu apposto un pannello
con l'iscrizione «Per liberalità imperiale». Il governatore fece
poi recapitare in solenne corteo una tavola di legno con l'iscrizione
«A colui che è venuto attratto dalla giustizia e all'autore di tanti libri.
A Li Madou del Grande Occidente», destinata alla tomba del gesuita
che vi sarebbe stata costruita.
In altre [lettere] mi ricordo havere scritto a' miei fratelli che pensino
spesso a noi religiosi, che stiamo in questi paesi come in un
volontario esilio, lontani non solo da' nostri cari, padre, madre, fratelli
e parenti, ma anco da gente christiana e della nostra natione, et alle
volte in luoghi, dove in diece e venti anni non capita neppure un
huomo d'Europa, et alcuni, come quei che stiamo nella Cina, senza
mangiar mai pane, né bever vino; altri, come in Malacca, con
sostentarsi di farina d'alberi, et altri di radiche d'erbe: alcuni vanno
scalzi nel sole tanto ardente, che di sopra gli stempra la testa, et
di sotto la terra gli abbrugia i piedi: tutti poi vestiti in habito peregrino.
Qui stiamo con le barbe lunghe et con li capelli sino alle spalle in
case, che né i nostri lavoratori l'hanno sì triste; e molte volte
fuggiamo i nimici che ci vengono a far male, come una volta
avvenne a me, che saltai da una finestra e mi torsi un piede, che in
sin hora mi duole.
Altri fanno naufragii nel mare e nei fiumi, come anche toccò a me la
mia parte; altri fumo dai nemici crocifissi, altri trapassati con frezze,
altri con dardi; et quei che viviamo, sempre stiamo con la morte
avanti gli occhi, stando fra milioni di gentili, tutti nostri nimici; et tutto
questo per amor di Dio, et acciò Dio ci perdoni i nostri peccati et ci
liberi dall'inferno: et con tutto ciò piangiamo e spargiamo ogni giorno
molte lagrime, non sapendo qual sarà il giuditio di Dio.
Che dunque dovrà far chi sta in sua casa con i suoi parenti et amici,
sicuri, in mezzo alle commodità e piaceri? ... Io nel vero non posso
promettermi molti anni, e già sto bianco tutto, e questi Cinesi si
maravigliano che in età non molto provetta io sia sì vecchio, e non
sanno che loro sono la causa dei miei cani capelli.23
1
mappamondo imperiale
IL DOPO RICCI:
JOSEPH NEEDHAM1
scienza.3 Due mesi dopo gli faceva eco il superiore della missione
Niccolò Longobardo, sollecitando le autorità a inviare in Cina
«belli matematici».4 Tanta insistenza era dettata dalla convinzione
che i tempi fossero ormai maturi per proporre alle autorità cinesi di
affidare ai gesuiti la correzione del calendario.
La produzione scientifica
299
301
305
Subito dopo la morte di Ricci era emerso che non tutti i missionari
condividevano le scelte del loro predecessore. Il superiore della
missione, Niccolò Longobardo, che non approvava l'uso dei
termini Tian, Cielo, e Shangdi, Signore dall'Alto, impiegati dal
fondatore della missione insieme a Tianzhu, Signore del Cielo, per
indicare Dio, aveva sollevato la questione con le autorità
ecclesiastiche. Ma la scelta della terminologia religiosa era soltanto
uno dei problemi aperti dal lavoro apostolico in Cina. Altre
controversie ben più gravi, nate al di fuori della Compagnia di Gesù
e animate anche dalla competizione tra ordini religiosi, sarebbero
seguite.
Nella seconda udienza che il legato ebbe con Kangxi, nell'estate del
1706, questi fece la scelta inopportuna di impiegare come interprete
proprio il vicario apostolico Maigrot, uno dei più acerrimi oppositori
dei gesuiti. Nonostante avesse già vissuto vent'anni in Cina, Maigrot
non aveva grande dimestichezza con la lingua e durante l'udienza
non riconobbe alcuni caratteri che Kangxi gli fece leggere,
non seppe identificare il nome cinese «Li Madou» e ammise di non
aver letto la Dottrina cristiana del maceratese. L'imperatore si
indispettì per l'ingiustificabile dimostrazione di ignoranza, si offese di
fronte alla pretesa di Maigrot di insegnare ai cinesi come giudicare i
riti che erano parte integrante della loro cultura millenaria e lo fece
allontanare. Nel dicembre successivo promulgò un editto in cui
ordinava che ogni missionario dovesse portare con sé un documento
con cui prometteva che sarebbe rimasto in Cina per tutta la vita e
che avrebbe aderito all'interpretazione dei riti cinesi data da Li
Madou. Il clima di tolleranza verso la religione cristiana era finito per
sempre.
Otto anni più tardi, nel 1715, il papa condannò definitivamente i riti
cinesi nella bolla Ex Illa Die e inviò un nuovo legato, il patriarca di
Alessandria Ambrogio Mezzabarba, con l'incarico di chiedere
all'imperatore di permettere ai suoi sudditi di professare il
cristianesimo nella forma prescritta da Roma e di riconoscere la
giurisdizione del papa sui cristiani cinesi in materia di religione.
Kangxi morì nel 1722 e due anni dopo il ministero dei Riti, facendo
proprie le accuse del governatore generale del Fujian, dichiarò la
Chiesa cattolica la più perniciosa di tutte le false sette. Il nuovo
imperatore Yongzheng mise al bando il cattolicesimo e ordinò la
confisca delle chiese e l'esilio dei religiosi prima a Macao e poi a
Canton, facendo eccezione soltanto per i missionari che prestavano
servizio come astronomi alla corte di Pechino. Da quel momento i
sacerdoti che cercarono di continuare la loro attività
clandestinamente furono espulsi o arrestati. In Europa le autorità
religiose ordinarono, nel 1742, ai missionari in partenza per la Cina
di giurare che avrebbero trattato come idolatri coloro che avessero
aderito ai riti cinesi. Solo pochi anni prima, nel 1736, durante il regno
dell'imperatore Qian-long, diverse opere di Ricci, tra cui il Trattato
sull'amicizia e la traduzione degli Elementi di Euclide, erano state
incluse nella Collezione completa delle quattro raccolte, l'edizione
ufficiale dei più importanti libri pubblicati in Cina.
In Europa, intanto, era stato dato alle stampe nel 1735 il volume del
gesuita francese Jean-Baptiste Du Halde Description géographique,
hi-storique, chronologique, politique, et physique de l'empire de la
Chine et de la Tartarie chinoise, uno dei più celebrati resoconti
settecenteschi sul Paese di Mezzo, interamente basato, come quello
di Kircher, sui rapporti dei missionari. Nel 1740 la sinofilia degli
illuministi francesi raggiunse il culmine con Voltaire, che giudicava
l'organizzazione dell'impero cinese la migliore del mondo e
apprezzava il pensiero confuciano. Il filosofo dedicò al Paese di
Mezzo l'opera teatrale Orphelin de la Chine, ispirata a un dramma
cinese del XIII secolo, che venne rappresentata a Parigi il 20 agosto
1755.
Ma la principale fonte di informazioni su quell'impero tanto
idealizzato dagli illuministi, ossia le relazioni dei gesuiti missionari in
terra cinese, venne meno. Nel 1773, dopo che per quasi due
secoli circa cinquecento gesuiti avevano lavorato in Cina seguendo
la strada indicata da Matteo Ricci, la Compagnia di Gesù fu
soppressa da papa Clemente XIV e le missioni nel Paese di Mezzo
furono affidate ai lazzaristi. I membri del disciolto ordine religioso
rimasero alla guida dell'Ufficio astronomico fino al 1774, anno della
scomparsa dell'ultimo direttore, Augustin de Hallerstein, che
ricopriva l'incarico dal 1746.41
309
CRONOLOGIA
1552
1571
1572
1578
1582
1583
1583-1588
1589
1591-1594
1595
1596
1597
1598
1599
1599-1600
1600
1601
1603
Dà alle stampe Il Vero Significato della dottrina del Signore del Cielo
(noto anche come Catechismo).
1605
1607
1608
1609
1610
11 maggio. Si spegne dopo nove giorni di malattia.
1611
Cronologia 313
1613
1622
1629
1644
1692
1773
1774
DINASTIE CINESI5
XIA
SHANG
ZHOU
Zhou occidentali (xI sec. - 771 a.C.) Zhou orientali (770-256 a.C.)
221-207 a.C.
HAN
220-265
JIN OCCIDENTALI
265-316
Nord
Touba Wei
Sud
Liang
Chen
SUI
581-618
TANG
618-907
CINQUE DINASTIE (periodo di divisione) 907-960
SONG
960-1279
YUAN (Mongoli)
1264-1368
MING
1368-1644
QING (Manciù)
1644-1912
REPUBBLICA CINESE
GLOSSARIO
Cha Tè
Dao Via
Dao De Jing Libro della Via e della Virtù, il testo classico del
daoismo Daoren Predicatore letterato
Shuyuan Accademia
Taijian Eunuco
Tian Cielo
Palazzo d'Estate
NOTE
Abbreviazioni2
I. Il gesuita e la matematica
1Cit. in Denis Twitchett e Frederich W. Mote (a cura di), The Ming
Dinasty 1368-1644, in The Cambridge History of China, a cura di
Denis Twitchett e John K. Fairbank, 15 voll. previsti, New York,
Cambridge University Press, 1988, vol. VIII, 1998, p. 808.
2Idati del 1617 parlano di 13.889 abitanti (FR, libro V, cap. XXI, p.
549, n. 2).
3 Ivi, p. 549 e Q, p. 611.
4 FR, libro V, cap. XXI, p. 550 e QL, p. 575.
5 Sabatino de Ursis (1575-1620), gesuita, compagno di Ricci nella
missione cinese, fu l'autore della sua prima biografia, P. Matheus
Ricci S.I. Relaçào escripta pelo seu companheiro, Roma, 1910.
6 Il portoghese Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona
Speranza, a sud dell'Africa, nel 1488. Nel 1498 il suo conterraneo
Vasco da Gama approdò a Calicut, in India.
7 Cenni biografici si possono trovare anche in FR, Introduzione,
pp. CI sgg., e libro V, cap. XXI, pp. 549 sgg.
8 Elaborate da Ignazio di Loyola tra il 1541 e il 1550.
9 FR, libro V, cap. XXI, p. 553.
10 Francisco de Jassu y Xavier (1506-1552). Nel 1542 fondò a Goa
(India) il Collegio di San Paolo. Fu canonizzato nel 1622 insieme a
Ignazio di Loyola.
11 Carlo Capra, Età moderna, Firenze, Le Monnier, 1996, pp. 112
sgg.
12 Frati francescani erano entrati in Cina nel XIII e XIV secolo
durante la dinastia mongola Yuan (cfr., qui, cap. VII, par. Il Catai di
Marco Polo e la Cina).
13 Da una lettera scritta dal segretario di Ignazio di Loyola, Alfonso
Polanco, nel 1551, in Riccardo G. Villostrada, Storia del Collegio
Romano, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1954, p. 111.
14 Ivi, pp. 112-13.
15 Ivi, pp. 14-15.
16 FR, libro V, cap. XXI, p. 556, n. 1.
17 Mario Fois, Il Collegio Romano ai tempi degli studi del P. Matteo
Ricci, Atti del convegno internazionale di Studi Ricciani, Macerata-
Roma, 22-25 ottobre 1982, a cura di Maria Cigliano, Macerata,
Centro Studi Ricciani, 1984, p. 206.
18 Ivi, p. 207.
19 OS II, p. 12.
20 M. Fois, Il Collegio Romano ai tempi degli studi del P. Matteo
Ricci, cit., p. 215.
21 R.G. Villostrada, op. cit., p. 72.
22 Galileo Galilei, Il Saggiatore, Milano, Feltrinelli, 1965, p. 38.
23 Cit. in Morris Kline, Storia del pensiero matematico, trad. it.
Torino, Einaudi, 1991, p. 71.
24 Il titolo dell'opera di Clavio è Euclidis Elementorum libri XV,
Romae apud Vincentium Accoltum, 1574. Alcune edizioni degl