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Il Mulino - Rivisteweb

Giorgio Panizza
Da due sorelle a due cugine: alle origini del ”Pas-
ticciaccio”
(doi: 10.1419/27866)

Strumenti critici (ISSN 0039-2618)


Fascicolo 3, settembre 2008

Ente di afferenza:
Università degli studi di Genova (unige)

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Giorgio Panizza

Da due sorelle a due cugine: alle origini del


«Pasticciaccio»*

Intervengo non da specialista gaddiano, quale non sono, ma


da lettore si può dire ormai antico di Gadda. Un lettore il qua-
le, quando il caso gli ha messo sotto gli occhi le cronache di cui
stiamo per parlare, lette su giornali indagati per tutt’altre ragioni,
non ha potuto fare a meno di riconoscervi tratti fondamentali del
racconto di Via Merulana. Che la stessa agnizione sia avvenuta
per poligenesi anche a Franco Contorbia, che interviene in questo
stesso convegno, non solo credo confermi la verità del fatto, ma
si dimostra come l’unica modalità in cui le concause si potessero
compiere nel caso del Pasticciaccio: cioè sotto l’insegna del doppio.
La mattina del 20 ottobre del 1945, sabato, la massa sfarfal-
lante dei quotidiani romani, più di una ventina, nella pagina della
cronaca, la seconda del singolo foglio che ancora componeva tut-
ti i giornali, convergeva a mettere in risalto un sanguinoso fatto
di cronaca. Orrendo delitto a Piazza Vittorio titola per esempio il
«Risorgimento liberale» (III, 248), Madre e figlio trucidati da due
ragazze ventenni:

Il più brutale delitto che si sia verificato negli ultimi dodici mesi è stato com-
messo ieri mattina verso le ore 9,30 in un appartamento di Piazza Vittorio Ema-
nuele, 70.

* Pubblico qui l’intervento tenuto al convegno Storia e geografia del Pasticciaccio. Carlo
Emilio Gadda e i luoghi di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana a cinquant’anni dalla
sua pubblicazione, a cura di Andrea Cortellessa, Roma-Frascati, 3-4 ottobre 2007; ringrazio
Andrea Cortellessa per l’opportunità di partecipare e di anticipare il testo; l’incursione
gaddiana è stata confortata dagli scambi d’idee con Mauro Bersani e Claudio Vela; grazie
per le collaborazioni, in varia forma, a Paolo Di Stefano, al personale dell’Archivio Capi-
tolino e della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma, a Gianna Del Bono
e al personale addetto ai periodici della Biblioteca Nazionale di Firenze. Un’anticipazione
di quanto qui sostenuto, attraverso le voci di Franco Contorbia e mia, è stata presentata da
Paolo Di Stefano, La vera storia del «Pasticciaccio», in «Corriere della Sera», 26 luglio 2007.
Che a Roma abbia avuto il piacere di annoverare tra gli ascoltatori Dante Isella ha assunto
il valore di un ultimo, mio, ringraziamento.

STRUMENTI CRITICI / a. XXIII, n. 3, settembre 2008


Giorgio Panizza

Verso le ore 10,20 di ieri mattina il sig. Enrico Ponzi, cugino della signora
Angela Barucca [ma Barruca] di Gaetano, nata a Valmontone 34 anni fa, si recava
in casa di costei per chiederle informazioni circa un impiego al quale egli aspira-
va. Suonò la porta ed attese. Ma passò del tempo senza che nessuno rispondesse.
Suonò nuovamente, e si appoggiò alla porta. Ma cadde quasi nell’interno perché
l’uscio, che era soltanto accostato, si spalancò. Fece qualche passo nell’interno; rag-
giunta la seconda stanza, e precisamente quella nella quale dormivano i bambini,
ebbe una visione spaventosa che lo fece cadere a terra svenuto: la signora Barucca
giaceva a terra, supina vicino al letto, con la gola squarciata dalla quale sgorgava
ancora copioso il sangue. Una coperta rossa era stata gettata sul corpo della povera
donna. Appena ripresi i sensi il signor Ponzi avvertiva il portiere dello stabile, Ce-
sare, che correva a telefonare alla polizia. Accorrevano immediatamente sul posto
il commissario Julia [ma Luglié?] ed alcuni agenti dell’ufficio di P.S. Esquilino.
Ma all’interno della casa una ancora più raccapricciante scoperta veniva fatta: nel
bagno, in una pozza di sangue, il cadaverino del bambino più piccolo della si-
gnora, Gianni. Il cadavere presentava tracce di inaudita violenza: era stato sbat-
tuto contro la vasca da bagno, soffocato e quindi quasi decapitato con un coltello.
La povera signora era la consorte di un impresario e commerciante, l’ingegne-
re Pietro Belli. Viveva in un lussuoso appartamento ma pur amando l’eleganza
conduceva vita ritiratissima, tutta dedicata al marito e ai figli e alla casa. La «Mobi-
le» arrivò sul posto poco tempo dopo al gran completo. Messasi immediatamente
all’opera si procedeva al fermo precauzionale del cugino della morta, del portinaio
e di una donna che puliva le scale. Si apprendeva che durante l’assenza dell’ing.
Belli, rarissime persone di famiglia frequentavano la casa […]. Comunque fu ap-
preso un particolare importantissimo: due ragazze che frequentavano la signora
erano state viste uscire dal portiere. Infatti la signora era appena tornata dall’aver
accompagnato i due bambini maggiori alla scuola Benedetto Cairoli, quindi aveva
comprato il latte ed era rincasata. Dopo una mezz’ora il portiere aveva visto scen-
dere le due ragazze. Chi erano costoro? Due sfollate da Colleferro che si recavano
dalla signora per chiedere aiuti e che erano state varie volte beneficate dalla donna.
Qualche volta, anzi, avevano approfittato della bontà della signora per far sparire
qualche oggetto che faceva loro gola. Mentre una aliquota della «Mobile» partiva
per Colleferro alla ricerca delle due indiziate, altri sorvegliavano le varie stazioni e
i posti di partenza delle corriere. E i commissari Santillo e Morlacchi potevano alle
ore 16.30 (sei ore dopo l’omicidio) pescare due ragazze i cui connotati corrispon-
devano a quelli delle due ricercate a P. Risorgimento mentre stavano salendo su
una corriera per Cesano […]. Le due assassine sono le sorelle Diana [ma Lidia] di
anni 22 e Franca di anni 17, senza fissa dimora, figlie di un macellaio di Colleferro.

L’enfasi su un delitto così atroce, l’orrore per il bambino ucci-


so, sono i tratti dominanti su tutti i giornali. Nelle cronache cam-
biano alcuni particolari, si ricama sui dettagli, si esibiscono infor-
mazioni assunte dal vivo; ma tra i pezzi di quel giorno e quelli dei
successivi vengono ripetuti e definiti in sostanza i medesimi dati di
fatto. Cambia piuttosto il patos del racconto e soprattutto nelle de-
scrizioni l’insistenza sugli aspetti più sanguinosi. Il «Risorgimento
liberale» è il misurato giornale del partito di Benedetto Croce,
altri sono meno compassati, come l’«Italia libera», il quotidiano

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Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

del Partito d’Azione, che dopo aver intitolato Una donna e il suo
bambino sgozzati in una casa di Piazza Vittorio. Le assassine – di-
ciassette e ventidue anni – arrestate: menavano vita allegra e hanno
ucciso per rubare, così racconta il fatto, movimentato dagli inserti
diretti di un cronista che ha avuto la ventura (almeno così dice) di
essere arrivato sul posto «quasi contemporaneamente alla polizia»
(III, 251, 20 ottobre 1945, p. 2):

Un orrendo delitto, il più atroce forse che gli annali della delinquenza roma-
na abbiano registrato da molti anni a questa parte, è stato compiuto ieri mattina
verso le 9,30-10 in Piazza Vittorio, 70.
La signora Angela Barruca in Belli di Gaetano, di anni 34, e il suo bambino
Gianni di anni due e mezzo sono stati sgozzati nella loro abitazione.
Verso le 10 un cugino della signora avendo intenzione di andarla a trovare,
salì le scale e suonò alla porta più volte, ma nessuno rispose. Stava per tornarsene
indietro, quando inavvertitamente spinse leggermente l’uscio che con suo grande
stupore si aprì.
«Fui subito preso da un angoscioso presentimento – ci ha detto non appena
siamo giunti sul posto, quasi contemporaneamente alla polizia…». Entrò, dun-
que, e chiamò, non ricevendo risposta si inoltrò nella casa. Ma giunto sulla soglia
della camera da pranzo uno spettacolo orrendo si presentò ai suoi occhi. La cu-
gina giaceva supina al suolo con la gola squarciata in un lago di sangue. Urlando
disperatamente il giovane fuggì in cerca di aiuto, ma giunto sulla porta di casa
cadde al suolo svenuto.
Poco dopo il nostro arrivo giungevano sul posto i commissari Ercoli e Luglié
dell’Ufficio Esquilino con alcuni altri agenti che iniziavano subito le prime inda-
gini, mentre arrivavano sul luogo anche il dott. Marrocco, Santillo, il maresciallo
Silio [più avanti Sibio] e il brigadiere Calavita della Squadra Mobile. Siamo riu-
sciti a salire anche noi.

Ora, nel mutamento del punto di vista, la soggettiva del croni-


sta risponde alla curiosità degli aspetti più violenti e porta a una
evidente, se pur discreta, sottolineatura del richiamo sessuale:

Il cadavere della poveretta giaceva ai piedi di un divano dai bracciuoli di


legno, un braccio anzi poggiava lievemente su uno di essi, ma al contatto di uno
degli investigatori scivolò al suolo. Era in abito da casa, indossava cioè una ve-
staglia viola e una sottoveste celeste rialzate fin sulla vita. Era stata colpita da
quattro pugnalate: tre al collo sul lato destro e una sulla spalla. Sul divano e per
terra sangue. La vittima era scalza; le scarpe giacevano dall’altra parte della stan-
za e a qualche metro di distanza rinvenimmo la fede d’oro. Sul corpo dell’uccisa,
e nel disordine dell’ambiente, erano evidentissime le traccie di colluttazione. La
donna deve essersi difesa disperatamente.

Il giornalista di «Ricostruzione. Quotidiano del Partito De-


mocratico del Lavoro», che non ha avuto la fortuna del collega

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Giorgio Panizza

perché «la polizia che ha provveduto a circondare l’edificio ed a


chiudere il portone, ci ha inibito l’ingresso» (esattamente come
succederà nel Pasticciaccio, dove «ai cronisti non gli riusci d’ol-
trepassare il portone, data la vigilanza e dato ch’era chiuso», p.
333)1, il giornalista dunque nel suo primo pezzo del 20 ottobre
(III, 246) sul Fosco delitto a Piazza Vittorio rielabora le voci sulla
vittima «ancora giovane e molto bella», così che il suo cadavere è
trovato «nella camera da letto, dove evidenti erano tracce di lotta,
in un lago di sangue, ai piedi di un divano» «con indosso le sole
mutandine e con la gola squarciata per un colpo d’arma da taglio».
Solo il giorno dopo, in un articolo che, per recuperare i limiti del
precedente, fornisce la foto tessera di Franca Cataldi e una pianta
disegnata dell’appartamento, il racconto rivede la scena in termini
più esatti:

Il sangue sprizzò tutt’attorno e la signora Angela scivolò cadavere al suolo.


Un braccio le restò sollevato, poggiato contro un bracciolo del divano... la vesta-
glia nera, macchiata di sangue le salì verso la vita lasciando scoperte le gambe2.

Bastano i passi riportati per mostrare il nesso stretto tra le cro-


nache di questo caso e l’invenzione del delitto di via Merulana,
s’intende del secondo e centrale delitto, quello di Liliana Balducci.
Vittima una donna coniugata, bella e ancor giovane, 34 anni
Angela, poco più di trenta Liliana («In dodici anni de matrimonio,
a momenti, che, che!... manco l’inspirazzione: e aveva sposato a di-
ciannove!», racconta il Balducci nella prima redazione, cui occor-
re innanzitutto guardare in questo confronto, p. 393)3. Benestante

1
Le citazioni del testo delle due redazioni del Pasticciaccio provengono dall’edizione a
cura di Giorgio Pinotti, in C. E. Gadda, Romanzi e racconti, II, a cura di Giorgio Pinotti,
Dante Isella, Raffaella Rodondi, Milano, Garzanti, 1989. Dove non è diversamente indica-
to, la citazione si intende dalla prima redazione in rivista.
2
III, p. 247. Mi ha segnalato Paolo Di Stefano che del delitto si occupa anche una
recente rassegna di delitti al femminile: Maria Vittoria Giannotti, Cattive. Cento anni di cro-
naca nera al femminile in Italia, Sesto Fiorentino, Editoriale Olimpia, 2007, pp. 49-55, che
per questo caso segue le cronache della «Tribuna del popolo». Per la stampa romana del
periodo vedi Loredana Magnanti, Catalogo dei quotidiani romani dell’Emeroteca dell’Archi-
vio Storico Capitolino, Roma, Fratelli Palombi, 1993; Andrea Sangiovanni, La rinascita della
stampa libera a Roma e le condizioni della città (1944-45), in «Rivista storica del Lazio»,
6, 1997, pp. 205-41; A. Sangiovanni, La stampa romana tra rinascita e disincanto, e Giulia
Albanese, Un laboratorio per la nuova Italia, e l’elenco di Giornali e riviste edite a Roma
nel periodo 6 giugno 1944 – 31 dicembre 1945, in Istituto romano per la storia d’Italia dal
fascismo alla Resistenza, Roma 1944-45: una stagione di speranze, Milano, Angeli, 2005.
3
Nella redazione definitiva cambiano i fattori, ma non la somma finale: «In dieci anni de
matrimonio, a momenti, che, che! manco l’inspirazzione: e aveva sposato a ventuno», p. 124.

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Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

il marito, sempre fuori per lavoro, mentre alla moglie va la cura


della casa e della famiglia: «Viveva in un lussuoso appartamento
ma pur amando l’eleganza conduceva vita ritiratissima, tutta dedi-
cata al marito e ai figli e alla casa», scrive «Risorgimento liberale»;
«Una certa modestia di gusti [...]. Un certo riserbo [...]» caratte-
rizza i Balducci (p. 367), secondo spiega il marito per giustificare
perché siano rimasti ad abitare in via Merulana: se dunque quello
del romanzo non è un appartamento di lusso, si trova pur sempre
nel «palazzo degli ori», di tipo analogo a quello della cronaca,
con l’immancabile portineria, e soprattutto mantenuto da Gadda
all’Esquilino, in una delle vie che scorrono vicine al luogo del vero
delitto, piazza Vittorio.
Identico l’orario, e quindi la situazione4. Alle 10 e 30 il cugi-
no di Angela Barruca ne scopre il cadavere; «Hanno telefonato
ch’ereno le dieci e mezzo» dice il Porchettini trafelato a Ingravola,
quando gli dà il primo annuncio del fattaccio (p. 326). È una tran-
quilla mattina casalinga, la vittima è sola, sbrigati i compiti di ma-
dre-moglie dalla vita molto riservata; «durante l’assenza dell’ing.
Belli, rarissime persone di famiglia frequentavano la casa», «la si-
gnora era appena tornata dall’aver accompagnato i due bambini
maggiori alla scuola Benedetto Cairoli, quindi aveva comprato il
latte ed era rincasata» (così «Risorgimento liberale» del 20 otto-
bre); il suo doppio di carta, la «povera Balducci», «stando alle
affermazioni unanimi degli inquilini, pareva non avesse ricevuto
nessuno in quelle due ore, le ultime ore della vita! [...]. Nessuno:
all’infuori del suo carnefice» (p. 354); la sua «pupilla» del momen-
to, la Gina, «dopo il caffè e llatte, prima dell’otto, aveva salutato la
“mamma”, ne aveva avuto il solito bacio del mattino, con la solita
domanda: “Che, ce la sai, la lezzione? [...]”, lei aveva detto di sì:
era uscita». Appena prima era uscito «il Cristoforo, il fattorino del
Balducci» (pp. 332-33).
Ancora più forte, fino alla sovrapposizione, la convergenza che
riguarda il modo e la scena dell’omicidio, di una violenza messa
già in primo piano dai giornali, ma i cui singoli aspetti vengono
enfatizzati nel romanzo, dove assumono, come è notissimo, un va-
lore cruciale.

4
Appena diverso il giorno: venerdì il delitto Barruca, sabato quello di Liliana, ma i
giornali sono di sabato.

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Giorgio Panizza

La gola di Angela è, per ripetere il participio di quasi tutti i


cronisti, «squarciata» da un coltello, vale a dire, scrive l’«Avanti!»,
«tagliata in due da una coltellata»5. In Gadda l’orrore del taglio
è moltiplicato dai punti di vista che successivamente tornano a
descriverlo:

Co’ ‘a gola tutta resecata, tutta tajata da na parte ... Ma vedesse che tajjo,
dottó! … […] Un tajjo! … che manco er beccaio (p. 326);

Un profondo... un orribile taglio rosso le apriva la gola, ferocemente. Aveva


preso metà del collo, dal davanti verso destra... cioè verso sinistra, pellei..., destra
per loro che guardaveno: sfrangiato ai due margini come da un reiterarsi dei
colpi, lama o punta... un orrore! da non se potello vede (p. 328);

ma che lo sguardo si spinge a vedere lo stesso, fino ai celebri det-


tagli della dissezione anatomica, quasi una testa alla Gericault:
«Manifestava come delle filacce rosse... strani aspetti» eccetera,
superfluo citare. E di nuovo:

L’incaricato dell’ufficio criminologico escluse il rasoio, che dà tagli più netti,


ma più superficiali, così opinò, e, in genere, multipli: non potendo venir adibito
di punta, né con tanta violenza... Violenza?... Sì, la ferita era profondissima, orri-
bile ... aveva resecato metà il collo, a momenti... (p. 337).

Nelle cronache del delitto il coltello è un richiamo costante.


È un coltello da macellaio, che Lidia Cataldi ha portato con sé
e che sa maneggiare, in quanto figlia di un ex macellaio6. L’arma
però manca alla scena del delitto perché viene abbandonata dalle
sorelle per strada poco lontano da Piazza Vittorio, e da via Meru-
lana (verrà ritrovata con modalità grottesche talmente gaddiane,
a partire dal nome di una Cesira Pavani in Baldani, che lo stesso
Carlo Emilio non ne poté approfittare); una volta recuperata si
vede trattarsi di un coltello lungo esattamente 25 centimetri (15 di
lama e 10 di manico) con l’impugnatura di legno, molto affilato.
Un particolare raccapricciante è che la punta al momento del ri-
trovamento era ripiegata a succhiello7.

5
XLIX, n. 247, sabato 20 ott. 1945
6
È un’informazione presente in molti quotidiani e anche in particolare sul «Nuovo
corriere» (di Firenze), I, 120, lunedì 22 ottobre 1945.
7
«Italia Libera», III, 254, 24 ottobre. Si dà il caso che il coltello sia conservato al
Museo Criminologico del Ministero della Giustizia, che ha sede a Roma: vedi http://www.
museocriminologico.it/cataldi.htm, dove se ne può vedere la fotografia.

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Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

«Nessun’arme fu rinvenuta» nemmeno in casa di Liliana.


«Armi, no», ma la ferita e quelle gocce che cadono come rintocchi
rivelano senza dubbio lo strumento dell’omicidio:

Un coltello «affilatissimo» e del tutto assente era il più indiziato d’aver potu-
to lavorare a quel modo. Le gocce, anziché da mano assassina, parevano goccio-
late giù dal coltello... Nere, ora... La inopinata lucentezza, il tagliente e la breve
acuità d’una lama. In lei uno sgomento... Lui, di certo, aveva colpito a un tratto:
e insistito poi nella gola e nella carotide con efferata perizia (pp. 336-37).

La violenza metallica del coltello, che s’esprime nell’emergere


del lucido, dell’acuto e del rapido, percorre l’intero libro e diventa
anche, come è stato osservato, metafora dello «sguardo come fe-
rita», o meglio come feritore, preannuncio nel lampo degli occhi
dell’azione assassina8.
Innanzitutto Virginia, nella redazione in «Letteratura»:

«[...] La Virginia», fece Ingràvola col testone sul foglio, co la penna in mano,
«quegli occhi! [...]», e ripensò alla cena di San Francesco, alle perdute gentilezze.
«[…] L’ho vveduti una volta sola, quegli occhî! [...] Ma, se ce penze, ereno d’una
sardegnola di sicuro... Non è che in Sardegna ch’hanno quella luce!.... Un lampo,
uno sguardo!...».
«[...] Come se specchiassero na lama de cortello [...]».
«[...] Un lampo cupo[…]»
«[...] Come se te promettessero ‘n quarche cosa de poco buono, [...] si nun
fai come dicheno loro, [...] che sso pratici [...]» (p. 439)9.

E poi Assunta, in quella del 1957:

Si trovò di faccia... un viso, un par d’occhi! nella penombra lustravano [...]


la stupenda serva dei Balducci, con lampi neri sotto le ciglia nerissime [...] due
scuri lampi le pupille, di nuovo, lucide nell’ombra (pp. 270-71).

Ma la sorella Cataldi pratica di macelleria sembra essere all’ori-


gine delle scene dove con più energia si anticipa la violenza di
Virginia, come risulta dai racconti del Balducci, durante l’interro-
gatorio poi espunto dall’edizione del 1957:

Er cortello de cucina se sa che taja: è fatt’apposta: bé lei te l’aveva preso co’


na zampata, avea detto: «Si nun me volete bene, vedete questo?...», che luccicava
per aria, co’ a punta: «Si nun me regalate l’ori che m’avete promesso... ve lo pian-

8
Vedi Ferdinando Amigoni, La più semplice macchina. Lettura freudiana del «Pastic-
ciaccio», Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 124-25.
9
In Amigoni, p. 125, è indicata per svista p. 424.

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Giorgio Panizza

to nel core...». E l’aveva baciata sulla bocca, pe’ fforza [...]. Ma intanto ciaveva
sempre in mano er cortello (p. 405);

[...] quarche mossaccia cor cortello... si stava a ttajà l’arrosto in cucina... Cre-
pa, crepa! diceva: e je sprofondava drento er cortello, ... che ne veniva certe fette
dde fa’ paura... grosse du’ dita, a momenti, e tutte buggerate de punta de cortel-
lo. Vojjo provà come se fa, fijjo de tu madre!, je diceva...Crepa, crepa!... A l’arro-
sto!... E lo strizzava co’ l’antra mano, de ppare’ che voleva suffocarlo (p. 424)

(i cui gesti per altro ricordano quelli dell’uccisione del bambino


riportati nelle cronache):

E poi boccacce, e poi mossacce cor cortello, addosso al filetto... der rosbif-
fe,... e crepa! e vojjo vedé come se fa a crepà!... Che Liliana finì pe’ ppessuadesse
ch’era pazza... (p. 431).

Del resto non solo il paragone col «beccaio» si è subito affac-


ciato nelle parole già citate del Porchettini quando dà il primo
avviso a Ingravola, ma un padre, o quasi, macellaio rimane anche
nel Pasticciaccio, poiché tale è il patrigno della Gina10.
Scontata, in un atto come questo, la presenza del sangue, an-
che se molti quotidiani ripetono l’immagine consunta del «lago
di sangue» e non si spingono oltre la frase-tipo «la gola squarcia-
ta dalla quale sgorgava ancora copioso il sangue». In Gadda il
sangue dilaga, rifrangendosi anch’esso nella plurivocità dei di-
scorsi (quando diventa ««in quella pozzaccia de sangue», p. 326,
o «quella pozza de spavento», p. 329), portando a sovrapporre
Liliana a Clorinda uccisa da Tancredi, rivelando la soggettività di
Gadda-Ingravallo nel ricordo della Prima Guerra Mondiale e del-
la morte del fratello:

Er sangue aveva ‘mpiastricciato tutto er collo, il davanti d’a camicetta, na


manica: la mano: una spaventevola colatura d’un rosso nero, da Faiti o da Cen-
gio: (don Ciccio rammemorò subito, con un lontano pianto nell’anima, povera
mammà!). S’era accagliato sul pavimento, sulla camicetta, tra i seni: n’era tinto
anche l’orlo della gonna, il lembo rovescio de quella gonna de lana buttata su, e
l’altra spalla: pareva si dovesse raggrinzare da un momento all’altro: doveva de
certo resultarne un coagulo... tutto appiccicoso... Come quelli tondi molli molli
delli pollaroli, o de certe vetrine de salumaio (p. 329);

10
Vedi pp. 398 e 413.

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Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

e spargendosi infine per la stanza, «portato attorno dai tacchi, dal-


le suole di qualcuno» (p. 329). Ma il particolare dell’acquaio risale
alle cronache:

in tutta la camera da pranzo, no, nessun indizio... all’infuori del sangue... In giro
pe’ l’altre camere... nemmeno. Salvoché ancora sangue... delle tracce palesi...
nell’acquaio de cucina...: diluito, che pareva quello d’una rana...: e molte gocce
scarlatte, o già nere, sur pavimento, rotonde o radiate come ne fa il sangue a
lassallo gocciolà per terra, come sezioni d’asteroidi [...] Quelle gocciole davan
segno d’un itinerario evidente: dal superstite ingombro del corpo, dalla tepida
testimonianza di lei... morta!... Liliana!... infino all’acquaio de cucina... al gelo e
al lavacro... al gelo che d’ogni memoria ci assolve [...] (pp. 337-38)11.

L’elemento comune più evidente e più caratterizzante è infine


la posizione del corpo assassinato e l’implicazione erotica nella
descrizione del cadavere. Si è letto nell’articolo di «Italia libera»:

Era in abito da casa, indossava cioè una vestaglia viola e una sottoveste cele-
ste rialzate fin sulla vita;

e in quello di «Ricostruzione»:

Un braccio le restò sollevato, poggiato contro un bracciolo del divano... la


vestaglia nera, macchiata di sangue le salì verso la vita lasciando scoperte le gam-
be.

Cosa diventi questa immagine in Gadda e con quale centralità


e valenza è tanto risaputo che di nuovo non è necessario fare ci-
tazioni.

Mi pare fuor di dubbio che questo sia l’episodio di cronaca


determinante per l’ideazione del Pasticciaccio. «Devo aggiungere
– dirà Gadda in un’intervista del 1957 – che l’occasione esterna
di narrare i casi di Liliana Balducci mi venne, dopo la liberazione,
da un amico; da Giorgio Zampa che, allora, a Firenze, mi nar-
rò un fatto di cronaca appena accaduto. E Alessandro Bonsanti

11
Cfr. «Il Giornale del Mattino», I, 235, sabato 20 ottobre 1945: «Il lavabo era in-
sanguinato e il rubinetto dell’acqua aperto»; «Ricostruzione», III, 247, 21 ottobre 1945:
«Una delle due si lavò le mani nel lavabo dello stanzino: Franca invece, che maneggiando
il coltello s’era ferita, corse in cucina lasciando lungo il corridoio la traccia sanguinante
del suo passaggio, ma, pensando che se si fosse lavata nello sciacquatoio avrebbe potuto
essere scorta dalla finestra che dà in cortile, tornò anch’essa nel bagno. Anche sulla parete
maiolicata intorno al lavabo le assassine fecero schizzare del sangue».

373
Giorgio Panizza

mi chiese per la rivista «Letteratura», da lui diretta, un “racconto


poliziesco”»12. Solo diversi anni dopo Zampa, scrivendo di «come
nacque il Pasticciaccio», raccontò di aver letto su «Risorgimento
liberale» la «cronaca di un delitto commesso a Roma, quasi in-
credibile nella sua efferatezza e ingenuità» e di averlo segnalato a
Gadda per una nuova rubrica intitolata Fatti diversi che si era pen-
sato di affidargli sul «Mondo» di Bonsanti, agli inizi del 194613.
Zampa non scrive, non ricorda, di quale delitto si tratti. È poi
Alba Andreini a identificarlo in quello delle anziane sorelle Stern,
trovate col cranio fracassato in un appartamento di Via Gioberti,
delitto «dilagante sulle colonne del quotidiano nel febbraio ’46».
Indicazione quindi passata nella vulgata della storia del Pasticciac-
cio e ripresa in particolare da Amigoni, che ripubblica gli articoli
di «Risorgimento liberale»14. Il delitto Stern ha tuttavia somiglian-
ze molto tenui con quello di Via Merulana, come è evidentissi-
mo oggi che abbiamo ritrovato l’episodio che ha davvero ispirato
Gadda. Ma prima di tutto non può aver contribuito all’ideazione
del Pasticciaccio per ragioni cronologiche, poiché, come ha chia-
rito Pinotti sulla scorta dei documenti, il romanzo è stato iniziato
da Gadda precisamente nell’ottobe del ’45. Dell’incongruenza si
accorse bene lo stesso Zampa, che vide come ci fosse nella sua
ricostruzione qualche «difetto di memoria», e cercò tuttavia, ma
invano, una qualche soluzione che tenesse assieme i dati avanzati
fin’allora, quasi preoccupato delle conseguenze messe in moto dai
suoi ricordi15. Zampa in effetti ha ragione, perché nell’articolo del
1973 non aveva mai parlato del delitto Stern, bensì, come si è det-
to, di un innominato «delitto commesso a Roma, quasi incredibile
nella sua efferatezza e ingenuità». Vale a dire: «Una signora era
stata uccisa e derubata di tutti i suoi preziosi da due sorelle che
aveva a servizio, giovanissime, appena arrivate dalla Ciociaria. La

12
C.E. Gadda, «Per favore, mi lasci nell’ombra», a cura di Claudio Vela, Milano, Adel-
phi, 1993, pp. 57-58. Vedi anche la lettera a Contini del 29 dicembre 1945: «Bonsanti mi ha
dannato a un “racconto poliziesco”, un giallo che non mi riesce» (C.E. Gadda, Carissimo
Gianfranco, a cura di Giulio Ungarelli, Milano, Archinto, 1998, p. 29).
13
Giorgio Zampa, Come nacque il «Pasticciaccio». I primi passi di Gadda scrittore, in
«Corriere della sera», 29 giugno 1973.
14
Alba Andreini, Studi e testi gaddiani, Palermo, Sellerio, 1988, p. 140; F. Amigoni, La
più semplice macchina, cit., pp. 157-75.
15
G. Zampa, Via Repetti 11. Gadda e Firenze, Gadda a Firenze, in Per Carlo Emilio
Gadda, Atti del Convegno di Studi, Pavia 22-23 novembre 1993, in «Strumenti critici», 75
(maggio 1994), pp. 309-325, alle pp. 320-21.

374
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

polizia le catturò quasi subito in una pensione, se ricordo bene,


nei pressi di Termini». Zampa ricorda quasi bene: sbaglia appunto
solo il luogo dell’arresto e poco altro. Questo non è il delitto Stern
(dove le vittime sono due e sono appunto loro a essere sorelle,
mentre le assassine, che sono state al loro servizio, sono amiche; e
non vengono affatto identificate subito). Questo è il delitto Barru-
ca, le cui responsabili sono indicate come ciociare, e che Zampa
rievoca già con qualche contaminazione più col Pasticciaccio, che
con altro (i «preziosi» rubati, le sorelle «che aveva a servizio»)16.
Non importa dunque la rubrica del «Mondo», bensì, Gadda
asserente, il suggerimento di Zampa. Del delitto Barruca parlano
in verità tutti i quotidiani del Paese, anche quelli fiorentini, vale
a dire «La Nazione del popolo. Organo del Comitato toscano di
liberazione nazionale» e il «Nuovo corriere» (si tenga conto che in
quel periodo «La Nazione» era ancora sospesa, così come a Roma
«Il Messaggero» e a Milano il «Corriere della sera»). Ma nelle cro-
nache di questi mancano quei tratti della descrizione del cadave-
re, che sono invece così importanti per Gadda17. Mancano anche
dagli articoli di «Risorgimento liberale», come si è avuto modo di
notare. Così da dover pensare che se anche Gadda avesse letto il
giornale citato da Zampa, integrasse poi con altri, probabilmente
romani, che poteva comunque leggere a Firenze. Il rapporto col
delitto Barruca è tanto chiaro che diventa persino meno importan-
te certificare esattamente quali giornali Gadda abbia visto18.

16
Un’ultima conferma; scrivendo ad Anita Fornasini a proposito del Pasticciaccio usci-
to in volume, Gadda dice: «è imperniato sulla mancata maternità della eroina, che viene
trovata uccisa. Si tratta di un avvenimento reale, di un fatto accaduto a Roma nel dopoguer-
ra (1945, credo), che non ha nulla a che vedere con altri casi» (lettera del 26 luglio 1957, cit.
da Gian Carlo Roscioni, Il Duca di Sant’Aquila, Milano, Mondadori, 1997, p. 280).
17
Vedi «La Nazione del popolo», ed. del pomeriggio, II, 281, sabato 20 ottobre 1945; e
n. 285, mercoledì 24 ottobre 1945; per il «Nuovo corriere» v. qui la nota 7. Non ho potuto
consultare «La Patria. Quotidiano per l’esercito», ed. dell’Italia centrale (su cui Gadda ha
pubblicato un articolo: vedi il n. 1945, 9 bis, nella Bibliografia a cura di Dante Isella nel vol.
V delle Opere, Milano, Garzanti, 1992; l’esemplare della Bibl. Nazionale di Firenze risulta
per ora irreperibile; il giornale è pubblicato a Roma, diversamente da quanto indicato nella
Bibliografia, dall’Ufficio stampa del Ministero della Guerra; l’indirizzo e il nome di riferi-
mento, «Colonnello Ugo Maraldi» «Amico di Antonio Baldini», sono segnati nell’agenda
di Gadda che cito alla nota 28); a Firenze con lo stesso titolo principale («La Patria. Quo-
tidiano indipendente») esce il quotidiano liberale diretto da Alberto Giovannini, ma inizia
il 24 ottobre 1945 e non riporta articoli sull’omicidio Barruca.
18
Quando era a Roma, tra ’44 e ’45, con ogni probabilità Gadda leggeva «Risorgi-
mento liberale», di cui in Eros e Priapo cita «un incantevole elzeviro» di Antonio Baldini:
vedi Saggi giornali favole, II, a cura di Claudio Vela, Gianmarco Gaspari, Giorgio Pinotti,

375
Giorgio Panizza

Tra i moventi della produzione sua di quel periodo indubbio è


il bisogno di guadagno immediato, come si vede tra l’altro dall’as-
siduità e dal tipo di collaborazione al «Mondo» di Bonsanti e dagli
sparsi articoli su altri periodici. Da questa esigenza muoverà anche
il progetto del «volume giallo», di dodici poi sei racconti. Per un
Gadda da sempre curioso lettore di cronaca è facile immaginare
una rinnovata attenzione alle pagine della «nera»19. Nei mesi su-
bito seguenti la progressiva liberazione della Penisola, la cronaca
dilaga di crimini di ogni genere, da delitti feroci a furti e rapine dal
campionario più variegato, a truffe e sparizioni. È l’Italia in preda
a un rimescolamento vorticoso e spesso tragico, che durerà tempo
ad assestarsi, nel quale però una nazione boccaccesca e aretinesca
non manca di esibire episodi di incredibile anche se per lo più
involontaria comicità. Ma è anche, nello stesso tempo, la rivincita
dei giornali e della curiosità pubblica dopo anni di finzione e di
occultamento fascisti.
Materia straordinaria per un Gadda, che possiamo ritrovare in
un racconto di quel momento, Una fornitura importante. Tuttavia,
come ha ben sottolineato Raffaella Rodondi, cui si deve la messa
a punto di una storia così intricata come quella dei racconti, nella
quale rientra il disegno «giallo», Gadda, pur combattendo col bi-
sogno di denaro, con difficoltà proprie e altrui spesso insuperabili,
pur costretto a compromessi che non rendono il senso ultimo dei
suoi progetti, non manca mai di tendere quanto può al suo fine.
Di fatto, tanta o poca cronaca abbia allora seguito, il caso Bar-
ruca dà il via a un processo creativo in cui Gadda compie il passo
decisivo, forse culminante della propria carriera, alimentato da
quella «sorta di incontenibile ed esplosiva urgenza del suo animo
1945-1946», che ricorderà a processo esaurito20. È chiaro che nei
racconti di quel delitto Gadda ha letto qualcosa che si è connesso
con i movimenti più profondi della sua invenzione. In effetti, se lo
poniamo a confronto con altre sue prove narrative, un tema si im-

Franco Gavazzeni, Dante Isella, Maria Antonietta Terzoli, Milano, Garzanti, 1992, pp.
275 e 1059.
19
Si vedano le osservazioni di Raffaella Rodondi nella nota al testo ad Accoppiamen-
ti giudiziosi, in C.E. Gadda, Romanzi e racconti, II, p. 1271; e l’ottima ricostruzione di
Donatella Martinelli, Il «bel ragnatelo». Cronistoria della bancarotta dell’«Adalgisa», in «I
Quaderni dell’ingegnere», 4 (2006), pp. 249-85.
20
Vedi Il Pasticciaccio (I viaggi la morte), in C.E. Gadda, Saggi giornali favole, I, a cura
di Liliana Orlando, Clelia Martignoni, Dante Isella, Milano, Garzanti, 1991, a p. 507.

376
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

pone: l’incontro di due realtà opposte, l’incrocio tra la quiete e la


normalità di un’ordinata famiglia benestante e la violenza sangui-
nosa ed erotica (delitto al femminile, il corpo svelato) dell’omici-
dio. Perché una violenza pur tanto assurda, che colpisce gratuita-
mente anche l’incolpevole per eccellenza, un bambino, per il costo
di due pellicce, non è la manifestazione del contatto momentaneo
di due mondi paralleli, retti da principi opposti, che sono entrati
in collisione, magari per caso. Antichi legami e consuetudini uni-
vano la vittima e le assassine; risentimenti e «complessi» profondi,
che molti giornali mettono in luce, avevano mosso le sorelle oltre il
denaro; anche a loro appartiene una strana normalità che le porta
a compiere un atto insensato e «ingenuo» (come diceva Zampa). Il
delitto di Piazza Vittorio appare agli occhi di Gadda un’ulteriore
dimostrazione del fatto che non si tratta di due mondi separati,
ma dello stesso, unico mondo, le cui «decenti parvenze» non sono
che la superficie, il primo aspetto di una realtà che è invece il mo-
mentaneo compiersi di infinite relazioni tra uomini e cose. Come
ha ben ricostruito Bertoni, le innumerevevoli e sempre mobili im-
plicazioni che costituiscono la «realtà» si dispongono per Gadda
lungo un processo verticale, la loro complicazione si rivela nello
scendere con l’indagine o nell’emergere degli eventi oltre la pelle
delle cose21. Quanto appunto si ritrova nel Pasticciaccio:

La insospettata ferocia delle cose [...] le si rivelava d’un subito [...] brevi
anni! [...] una dolciastra, una tepida sapidità della notte [...] (p. 337);

oppure:

Ci sono dei torbidi attimi nel lento gocciolare delle ore... delle ore di puber-
tà... Il male affiora a schegge, imprevisto... orribili schegge... da sotto la coltre...
la pelle delle chiacchiere: un bel diploma di ragioniere,... di dottore:... da sotto
la coltre delle decenti parvenze... Come il sasso, affiora, che nemmeno si vede:
come la buia carne della montagna... in un prato... (p. 349).

L’idea di «normalità» è una presunzione superficiale, che non


coglie tali «coinvoluzioni». Non lo dichiara Gadda stesso, in pro-
iezione autobiografica, in uno scritto giustamente celebre, Come
lavoro, di poco successivo al primo Pasticciaccio?

21
Vedi la «Parte prima» di Federico Bertoni, La verità sospetta. Gadda e l’invenzione
della realtà, Torino, Einaudi, 2001.

377
Giorgio Panizza

Non sono, non riesco ad essere, un lavoratore normale, uno scrittore «equi-
librato»: e tanto meno uno scrittore su misura. Il cosiddetto «uomo normale» è
un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio, di indecifrate (da lui medesimo)
nevrosi, talmente incavestrate (enchevêtrées), talmente inscatolate (emboîtées) le
une dentro l’altre, da dar coàgulo finalmente d’un ciottolo, d’un cervello infran-
gibile: sasso-cervello o sasso-idolo: documento probante, il migliore che si possa
avere, dell’esistenza della normalità: da fornire a’ miei babbioni ottimisti, idolatri
della norma, tutte le conferme e le consolazioni di cui vanno in cerca, non una
tralasciata […].
In realtà la differenza tra il normale e lo anormale è questa qui: questa sola:
che il normale non ha coscienza, non ha nemmeno il sospetto metafisico, de’ suoi
stati nevrotici o paranevrotici... non ha dunque, né può avere, coscienza veruna
del contenuto (fessissimo) delle sue nevrosi, le sue bambinesche certezze lo im-
munizzano dal mortifero pericolo d’ogni incertezza: da ogni conato d’evasione,
da ogni tentazione d’apertura di rapporti con la tenebra, con l’ignoto infinito:
mentre lo anomalo raggiunge, qualche volta, una discretamente chiara intelli-
genza degli atti e delle cause, origini, forma prima, sviluppo, sclerotizzazione
postrema, e cessazione con la sua propria morte delle sue proprie nevrosi22.

Sappiamo che questi sono i nodi della meditazione filosofica


che Gadda è venuto elaborando fin dagli inizi della propria carrie-
ra, ma forse meno condiviso è il rilievo (che pure si impone grazie
all’edizione Isella del Racconto italiano e agli studi di Lucchini) di
quanto l’officina del filosofo sia strettamente legata a quella dello
scrittore e di come anzi quelle meditazioni trovino nella scrittura
creativa la propria traduzione più conseguente23. La dissoluzione
dell’idea di norma in quella di groviglio, se possiamo così sintetiz-
zare il punto di vista che abbiamo pensato di cogliere nella lettura
gaddiana del delitto Barruca, è alle origini stesse delle sue prove
narrative, fin dall’inizio orientate verso il «giallo», in quanto è il
delitto il cortocircuito privilegiato a rompere la superficie, a dimo-
strare il «pasticciaccio»24.
Pensiamo al Racconto italiano di ignoto del novecento, dove,
anche se nel pieno di un laboratorio così fermentante e irrisolto,
Gadda enuncia quale tema fondamentale il seguente:

22
Vedi I viaggi la morte, in Saggi giornali favole, I, pp. 440-41.
23
Cfr. la Prefazione di Isella a C.E. Gadda, Racconto italiano di ignoto del novecento, a
cura di Dante Isella, Torino, Einaudi, 1983 (poi in I Lombardi in rivolta, Torino, Einaudi,
1984, pp. 276 sgg.); Guido Lucchini, L’istinto della combinazione. Le origini del romanzo
in Carlo Emilio Gadda, Firenze, La Nuova Italia, 1988, pp. 13-54; e Gli studi filosofici di
Carlo Emilio Gadda (1924-1929), in Per Carlo Emilio Gadda, pp. 223-245. Vedi anche Elio
Gioanola, Carlo Emilio Gadda. Topazi e altre gioie familiari, Milano, Jaka Book, 2004, pp.
150-51.
24
Su questo vedi anche le considerazioni di Gioanola, pp. 344-45 (e pp. 143-44).

378
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

«Anche i fatti anormali e terribili rientrano nella legge, se pure apparentemente


sono ex lege». Per mezzo dello spostamento della sensibilità e della coscienza del
disperato (o criminale) io voglio esprimere artisticamente questa verità filosofica.

E poco oltre:

Comunque, limitandomi al romanzo posso assumere questa idea-base: che


l’abnorme ha la sua misteriosa (per ora) giustificazione, che fa esso pure parte
della vita, e che, se la necessità sociale ha creato un determinato tipo sociale, nella
vita rientra anche il dissociale (teoria giuridica)25.

E misurandosi coi problemi della gestione dell’intreccio:

Se vi fossero in noi oscure reminescenze di qualunque atto, è evidente che


sulla base di questi monconi percettivi o rappresentativi, noi potremmo abba-
stanza agevolmente innestare una più compiuta ed abbastanza accettabile rap-
presentazione. Di un delitto, per esempio26.

Pensiamo a quando nel 1928 da un caso di cronaca non meno


tragico di quello romano, il delitto Pettine, aveva provato a ri-
cavare la Novella 2ª, vale a dire Dejanira Classis. Come spiega la
«Nota compositiva», l’ispirazione del racconto muove appunto
da un diverso giudizio, direi anzi da una diversa percezione della
«anormalità» del giovane omicida. Cito pochi riscontri:

Il recente processo del giovine Pettine alle Assise di Milano può offrire uno
spunto quasi shakespeariano, sia in sé stesso, sia nelle possibili deformazioni
[…]. Dai resoconti dei giornali io non ho potuto farmi un’idea profonda della
verità. Ma ho l’impressione che una eccessiva durezza di giudizio ha colpito lo
sciagurato […].
Sento questo.
La questione si è storicamente complicata con l’aria di rigore morale (scuola
classica, responsabilità integrale, ecc.) che tira di questi tempi, i quali sono pro-
fondamente corrotti sotto tutti gli aspetti, e vogliono parer santi, puri, rigorosi,
ecc. – Anche ciò complica shakespearianamente la già complessa trama della
sciagura.

25
C.E. Gadda, Scritti vari e postumi, a cura di Andrea Silvestri, Claudio Vela, Dante
Isella, Paola Italia, Giorgio Pinotti, Milano, Garzanti, 1993, pp. 405 e 407 (corsivi di Gad-
da); vedi anche un passo intermedio: «In sostanza io voglio affermare che anche le azioni
immorali e criminali rientrano nella legge universale e mi afferro più che al determinismo-
eredità (Lombroso, neurologia, psicologia sperimentale, studî biologici) alla mia idea della
combinazione-possibilità» (p. 406). Vedi anche Isella, Prefazione a Racconto italiano, pp.
XIV-XV (285-86).
26
Ivi, p. 463, con l’aggiunta in nota: «Se non fosse possibile agli onesti p. e. rappresen-
tarsi un delitto “ab interiore”, cioè entrando nell’animo del delinquente, l’arte è inutile che
stesse a perderci tempo intorno».

379
Giorgio Panizza

Noi vivamo una vita fittizia e strana, oggi in Italia, dopo il 1923-24 [...].
Non può darsi che il trauma morale inerente alla tragica scena, abbia scon-
volto la sua anima già debole, tarata, malata?
«Demenza» non vuol dire soltanto lingua spiovente, andatura da paralitico,
discorso da cretino. Si può essere dementi nelle facoltà superiori, conservando
larghe possibilità fisiche, fisiologiche e locomotorie [...].
È veramente shakespeariana la confluenza storica di circostanza diverse ed
estranee nel determinare la sorte giudiziaria del giovane mostruoso [...]27.

Da allora Gadda non ha cambiato idea sul «groviglio» del reale,


tanto è vero che il Pasticciaccio è la sede per esibire una concezione
che aveva ideato e tentato di teorizzare appunto nella Meditazione
milanese, di quasi vent’anni prima, ma cui si è aggiunta ora ben
altra esperienza di scrittore, tale da arrivare finalmente a chiudere
il cerchio iniziato da quei disegni, a compiere (quasi), tra ’45 e
’57, la forma-romanzo che aveva da subito tentato come migliore
rappresentazione dell’indissolubile implicarsi delle cose.
Ma occorre avanzare di un altro passo lungo quest’ordine di
considerazioni. Al momento del fatto e dell’immediata ispirazione
che gli deriva dalla lettura della cronaca, Gadda è a Firenze, fresco
però di un soggiorno a Roma, nella Roma appena liberata che è
ancora lo sfondo di quel delitto e che inevitabilmente doveva in
quell’occasione rivivere ai suoi occhi. È lecito pensare che non
ammettesse di ambientare il romanzo in quella stessa contempo-
raneità, benché qualcosa vi lasciasse il segno, come la «Regia Que-
stura» di «Via Santo Stefano del Cacco 55», che nella capitale ave-
va dovuto frequentare per i permessi di viaggio (così risulta da un
suo indirizzario romano registrato in un’agenda oggi nel Fondo
Garzanti)28. E che ancor più volesse evitare ogni confusione con
la «catena crudamente obiettivante della cronaca neorealista», in
cui in primo piano era appunto messa la contemporaneità del do-
poguerra29. Il romanzo è invece spostato a quasi vent’anni prima,

27
Romanzi e racconti, II, pp. 1314-17 (corsivi di Gadda).
28
Milano, Biblioteca Trivulziana, Archivio Garzanti, Quaderno IA, p. 12: «Regia Que-
stura Permessi viaggio Via Santo Stefano del Cacco 55». Pur nel suo carattere di nudo
elenco, con i numeri alla Gadda ossessivamente ripetuti, la serie di indirizzi è molto in-
teressante, è la fotografia di un mondo di relazioni; segnalo tra gli altri, a p. 14: «56. Per
psicanalisi e medicina. 863.504 / Dott. Nicola Perrotti Accogliente colto / Telefonare 14.30
Corso Trieste N.° 146 / Telefono 863.504 Presentato da De Benedetti» (il ms. è descritto
da Paola Italia, Il Fondo «C. E. Gadda» dell’Archivio Garzanti (4), «I quaderni dell’inge-
gnere», 4 (2006), pp. 329-31).
29
Un’opinione sul neorealismo (I viaggi la morte), in C.E. Gadda, Saggi giornali favole,
I, p. 629.

380
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

nella Roma del 1927: quando Gadda era un più stabile, meno for-
tunoso residente nella capitale, ma quando soprattutto dominava
il Mascellone. Che l’urgenza espressiva del ’45-’46 riguardi la per-
sonale ansia liberatoria contro Mussolini e il disastro dell’abbaglio
proprio e collettivo è chiaro e lo dimostra Eros e Priapo, un libro
però dai tratti abnormi, del quale un Gadda dominato dalle Furie
ha come perso il controllo e che di fatto pubblicherà molto più
tardi, inabile a resistere alla pressione degli editori30. Mentre è nel
Pasticciaccio che le ragioni e irragioni di fondo che avevano mosso
il «libello» trovano un esito ben più controllato. Non importano
tanto i vari tratti di sarcasmo e di polemica esplicita (oltre alle
varie connessioni intertestuali), quanto il fatto che nel romanzo si
viene «a mano a mano a raggiungere» quella «disperata conoscen-
za» che era il proposito di Eros e Priapo, la conoscenza di «que’
modi e que’ procedimenti oscuri, o alquanto aggrovigliati e intor-
ti, dell’essere», del «putrido lezzo» che «redole, su dal calderone
della istoria»; nel romanzo si percorrono gli «oscuri cammini»,
che «più degli stati erotici coscienti» seguono «il filo ariadneo de’
latenti»:

Latenze erotiche subsistono, operatrici indefesse, al nostro vivere e al nostro


morire d’ogni giorno: a’ modi, agli atti, a ’penzieri, a’ sogni, a le mestizie, a le
angosce, a le brame: vo’ vu’ me lo potete impertire: e non osate. Movono i dipor-
tamenti «normali» de le genti «normali», delle persone ragionevoli e delle società
ragionevoli. Eros è alle radici della vita del singulo e della mente individua: ed è
fonte all’istinto plurale e a la sociale pragmatica d’ogni socialità e d’ogni associa-
zione di fatto, e d’ogni fenomeno qual vo’ vu’ dite «collettivo»31.

Appunto il «quanto di erotia» che Ingravola sa mescolato «an-


che ai «casi di interesse», ai delitti apparentemente più lontani
dalle tempeste d’amore» (p. 283)32.
In quale forma meglio del racconto di un’indagine (cioè di un
libro giallo) si può svolgere una simile ricerca? Anche perché tale

30
Vedi la nota al testo di Giorgio Pinotti in Saggi giornali favole, II, pp. 993-1023.
31
Eros e Priapo, in Saggi giornali favole, II, pp. 236-37; le citazioni precedenti e le
seguenti (sui «bugiardi clamori» ecc.) alle pp. 230-31. E si veda anche il passo ben noto
alle pp. 244 ss.: «“La causale del delitto”, cioè i torbidi moventi che hanno costituito per
la banda euforica l’impulso primo verso una serie di azioni criminali, è una causale non
esclusivamente ma prevalentemente “erotica” (nel senso lato che, come avrete avvertito,
io conferisco al vocabolo) nel suo complesso: segna il prevalere di un cupo e scempio Eros
sui motivi di Logos».
32
La «diffusa “erotia” della vita» anche in Eros e Priapo, p. 240.

381
Giorgio Panizza

«cognizione» si compie in opposizione alle parvenze normali, ai


«bugiardi clamori d’una vita finta», in quanto rivela «non per am-
bage delfica ma per chiaro latino, ciò che a pena è ’ntravisto, e
sempre e canonicamente è taciuto, in ne’ nobili cicalari delle per-
zone da bene».
Di tali «bugiardi clamori» il fascismo è stata la manifestazione
storica più acuta. Alla sua esaltazione narcissica pertiene la nega-
zione del groviglio, l’imposizione della «morale ufficiale corren-
te», una sorta di obbligo enfatico della normalità erotica, che ha
dovuto fondarsi sull’occultamento del reale sotto una patina di
finta austerità:

Il folle narcissico (o la folle) è incapace di analisi psicologica, non arriva mai a


conoscere gli altri […]. Tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine
erubescente dell’Io-minchia… sono assassini circondati da assassini, ladri circon-
dati da ladri, oltreché moralisti integrali cioè cretini integrali;

o, come diceva la prima illuminante stesura, già messa in eviden-


za da Pinotti, «maiali moralisti, eterosessuali assoluti cioè cretini
assoluti»33.
Ecco pertanto che, trasponendo il delitto nell’età del Regime,
la causa d’origine della narrazione, il rapporto che nella realtà del
1945 ha legato il romanziere ai giornali, si deve trasformare, e nel-
lo stesso tempo implicitamente dichiarare, rivelando esso per pri-
mo la mistificazione dell’era mussoliniana:

La mattina dopo i giornali diedero notizia del fatto. Era de domenica. I cro-
nisti e il telefono avevene rotto l’anima tutta ‘a sera: tanto a via Merulana che giù,
a Sante Stefene. Sicché, ‘a mattina, un subisso. «Orribile delitto a via Merulana»
[che è, sia detto per inciso, il titolo de «Il Giornale del Mattino» di sabato 20
ottobre 1945: Orribile delitto a Piazza Vittorio] […]. Dentro, un titolo in neretto
su due colonne: ma, poi, sobrio e arquanto distaccato il referto […]. Ereno pas-
sati i bei tempi… che per un pizzicotto in der panettone a na serva, ar giardino
zoologico,… c’era na brodata de mezza pagina. La moralizzazione dell’Urbe e de
tutt’Italia inzieme, er concetto d’una maggiore austerità civile, si apriva allora la
strada… Seppuò dì, anzi, che procedeva a gran passi… Delitti e storie sporche
ereno scappati via pe ssempre de la terra d’Ausonia, come ‘n brutto inzogno che
se la squajja […]. Relitti d’un epoca andata […]. Il coltello, in quegli anni… pa-
reva davvero che fusse sparito di scena pe’ nun tornacce più (pp. 345-46).

33
Eros e Priapo, pp. 343-44 e 1011.

382
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

Di nuovo Gadda chiude il cerchio; come si è visto, nella nota a


Dejanira, non solo per questo aspetto segnale parziale ma precoce
di un disadattamento al fascismo, aveva scritto:

La questione si è storicamente complicata con l’aria di rigore morale (scuola


classica, responsabilità integrale, ecc.) che tira di questi tempi, i quali sono pro-
fondamente corrotti sotto tutti gli aspetti, e vogliono parer santi, puri, rigorosi,
ecc. [...]
Noi vivamo una vita fittizia e strana, oggi in Italia, dopo il 1923-24, tra la
licenza, talora necessaria, che la vita moderna ci impone... e il tradizionale rigori-
smo cattolico-italiano-ottocentesco-post manzoniano, fatto di paroloni [...]34.

Aver riconosciuto il materiale su cui Gadda lavora lo conferma.


Il punto di partenza resta la realtà, il dato offerto dalla cronaca;
questo è il suo «vero storico». Non si tratta però di raccontare la
storia «vera», che equivarrebbe a fermarsi alla superficie delle cose
e a concepirle quali non sono, cioè come un oggetto immobile ed
esterno all’io osservatore-narratore. Tanto meno si tratta di ricava-
re dalla cronaca materiali per costruire intrecci che esauriscano in
sé, nel fascino della loro invenzione, l’interesse per il racconto. Lo
scrittore non è un «inventore», ma un indagatore. Come Manzoni,
ma un Manzoni post-freudiano e molto altro.
Si tratta allora di leggere nella realtà l’intreccio delle forze che
la percorrono, il connettersi di tensioni apparentemente irrelate,
il processo infinito del compiersi o disperdersi degli atti. Non
importa quanto tale lettura sia rivelatrice delle ossessioni gaddia-
ne, perché è nella forza che muove da tali ossessioni che risiede
la carica conoscitiva, che si ricavano le rappresentazioni più acu-
te. Come davanti alla tela di San Luigi dei Francesi o ai Promessi
sposi, lo sguardo di Gadda vede la propria realtà, la deforma in
uno spasmo conoscitivo che tuttavia non la nega né la sostiuisce.
La «deformazione» o «complicazione», che nei primi passi della
sua ricerca narrativa Gadda aveva senza esito cercato in schemi
romanzeschi, nell’illusione di governare un intreccio impossibi-

34
Romanzi e racconti, II, p. 1315. Un altro segnale di insofferenza precoce mi pare la
nota critica in difesa dell’avvocato di Pettine, Genunzio Bentini, contro l’intervento parla-
mentare di Angelo Manaresi: v. p. 1316 (l’articolo del «Corriere della Sera» cui si rifà Gad-
da per Manaresi è riportato da Piero Gelli nella sua edizione di Novella seconda, Milano,
Garzanti, 1971, p. 162). E a proposito della mistificazione fascista, applicata di nuovo a
reati sessuali particolarmente torbidi, si veda la lunga nota del primo Pasticciaccio sul caso
Girolimoni (pp. 364-65).

383
Giorgio Panizza

le35, è l’esplicarsi dell’atto stesso del conoscere, che, come in ogni


altra circostanza, lega e modifica reciprocamente in quel momento
l’io narratore e il mondo: il fascio di luce che, mentre di traverso
ci rivela Matteo, in tale medesimo stravolgimento, in tale enfatiz-
zazione, svela anche Caravaggio.
Al centro del quadro stanno tre donne: Angela e due sorel-
le, Liliana e due cugine. Gadda le isola e contrappone ancor più
che nella cronaca, legandole tra loro con nomi che rimandano alla
purezza: Liliana, Virginia, Assunta. Nel delitto reale la maggiore
atrocità è l’uccisione del bambino. Ma il tragico che questo tema
sviluppa comporta il senso dell’innocenza infantile e della gioia
familiare a contrasto della loro distruzione. In Gadda non esi-
stono famiglie felici, non esiste che un unico bambino «cui non
risere parentes». Per lui la sola vittima che importi è la donna,
sulla quale si traferisce tutta la carica dell’innocenza violata. Per
quanto dunque nella scena lo scrittore non «veda» il bambino, la
donna resta tuttavia una madre, ma una madre mancata. Perché
questo vuol essere il «tema essenziale» del romanzo: «è il dram-
ma – sono parole di Gadda – della non ottenuta maternità di una
donna – (moglie) – che perviene gradualmente alla disperazione
e alla rovina della mente in una terra e fra un popolo dove le spe-
ranze legate al connubio sogliono per lo più allietarsi a certezza
di prole rinnovata»36. Tema quanto si voglia autobiografico, per
il legame con la vicenda della sorella, che è però essenziale per la
costruzione del «narcisismo» di Liliana, cioè della sua ossessione e
progressiva rovina, motore primario, nel groviglio delle cause, del
compimento della sua dissoluzione.
A lato gli uomini, ai quali nella cronaca non tocca un ruolo
molto maggiore che quello di comparse e che nel romanzo di-
ventano personaggi. Un marito la cui assenza dalla casa e dalle
cronache37 si traduce nella lontananza di un viaggio. «Dottori»,

35
«Mio desiderio di essere romanzesco, interessante, Dumas, Conandoyliano: non nel
senso istrionico (Ponson du Terrail) ma con un fare intimo e logico. Orgasmo inespresso
emanante dal racconto. Piuttosto Conan Doyle, ricostruttore logico. / Differire però da lui
perché ormai il pubblico lo sa a memoria e non ci si diverte più. – In tal caso non basta
lo schema tragico del processo Pettine puro e semplice. Occorre complicarla romanze-
scamente. / In questa novella io voglio movimento romanzesco, scherlokholmesismo, per
diverse ragioni / [...] Dunque: complicazione del tema [...]» (Romanzi e racconti, II, pp.
1317-18).
36
Incantagione e paura, in Saggi giornali favole, I, p. 1214.
37
Per un’eccezione vedi «Il Tempo», II, n. 249, 21 ottobre 1945.

384
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

commissari, agenti, brigadieri, meri nomi per l’onore della citazio-


ne sul giornale, benché con titoli diversi dal «solerte» che i cronisti
non lesinavano all’Ingravola del romanzo (v. p. 321), da cui il vivo
popolo dei questurini e dei carabinieri del romanzo e lo stesso
commissario-personaggio-autore, come a dire il pittore dentro il
quadro. Un cugino ragazzino che bussa alla porta lasciata aperta
dalle assassine e che scopre il cadavere: nella cronaca un perso-
naggio minore, per un momento sotto il fuoco del riflettore per
poi sparire; rimasto nella medesima funzione e con atti identici, si
trasforma nel personaggio a tutto tondo che rappresenta il rappor-
to impossibile di Liliana, l’oggetto del suo «sogno»: la mascolinità
feconda, vitale e bellissima.
Del diverso tempo e invece della medesima ora si è già detto,
essenziale quest’ultima per rendere le circostanze in cui la violenza
rompe la superficie della casa traquilla.
Anche dello spazio già si è detto, ma solo di quello romano.
Le sorelle Cataldi (come la vittima) sono di Colleferro, sfollate
a Velletri, o viceversa (le indicazioni dei giornali non sono iden-
tiche), e viaggiano tra il suburbio e la capitale: la sera del delitto
sono arrestate mentre stavano prendendo la corriera per tornare
alla loro residenza38. Il non-caso ha voluto che venissero dai Colli
Albani, uno dei luoghi cari a Gadda da prima del romanzo. Si
potrà ragionare sul perché Gadda si fermi nella prima redazione
alle soglie del viaggio a Marino. Resta che l’apertura verso l’antro
della Zamira, la campagna dove stanno Assunta e Virginia, la dop-
pia scena su cui è impiantato il Pasticciaccio fin dall’inizio, nasce
dalla cronaca.
Dalla Roma di Angela/Liliana alla campagna delle sorelle/cugi-
ne. Mi ero ripromesso di non toccare in questa ricerca il problema
del colpevole. Ma come avrete capito, la questione si è affacciata
da sola. Nel caso reale, l’arresto tempestivo delle sorelle è prodot-
to dal fatto che vengono viste scendere le scale:

Comunque fu appreso un particolare importantissimo: due ragazze che


frequentavano la signora erano state viste uscire dal portiere […]. Dopo una
mezz’ora il portiere aveva visto scendere le due ragazze;

38
Che è probabilmente un campo profughi a Cesano, come dicono quasi tutti i giornali
(prendono la corriera a Piazza Risorgimento).

385
Giorgio Panizza

Poco prima della scoperta del delitto, una donna che stava facendo la puli-
zia delle scale ci ha dichiarato di averle viste uscire appunto dall’appartamento
dell’uccisa con in mano una valigia che prima non avevano39.

Anche nel romanzo, tra i risultati delle prime indagini troviamo


un riscontro dello stesso genere:

e lei [la «pupa» figlia dei Felicetti «ch’era salita dai Bottafavi»] co na vocina da
tontarella confermò ch’era vero, ch’aveva incontrato solo du’ donne, che discen-
neveno le scale. Aveveno du sporte, una per una, come ppe fà le compere […]
«Ma pareveno de campagna», soggiunse la Pettacchioni di sua scienza (p. 330);

riscontro su cui Ingravola si sofferma «distrattamente», chieden-


do «Che donne erano? […]», e tornando subito a occuparsi del
cugino. È in effetti una falsa pista:

Fu appurato che le due donne erano salite dall’avvocato Cammarota (quarto


piano), cioè da su moje, a portajje du’ caciotte fresche: erano fornitrici bisettima-
nali de caciotte (p. 333).

Ma l’idea deriva dalla coppia di donne della cronaca, anch’essa


«de campagna». Un anticipo a rispecchiamento della soluzione?
I passi restano nella redazione del 1957 (pp. 61, 63-64), quan-
do Ingravallo arriva alla soglia della conclusione:

«No, nun so’ stata io!». Il grido incredibile bloccò il furore dell’ossesso. Egli
non intese, là pe llà, ciò che la sua anima era in procinto d’intendere (p. 276).

Così grida l’Assunta. Anche Franca Cataldi, la minore, accusa-


va l’altra, la sorella maggiore. È sempre nel quarto capitolo della
redazione in rivista, quello espunto da Gadda perché troppo anti-
cipatore della soluzione, che Fumi ha l’intuizione del nesso albano
che lega i delitti di via Merulana e dove si scopre la parentela che
lega Virginia e Assunta, residenti a poca distanza, l’una alla Pa-
vona, l’altra a Tor del Gheppio (pp. 421 e 423). Sappiamo bene
come più tardi, nella redazione del ’57, Ingravallo si riprometta di
visitare l’uno e l’altro luogo. È stata Virginia del resto a imporre
l’assunzione di Assunta.

39
V. rispettivamente «Risorgimento liberale», III, 248, sabato 20 ottobre 1945, e «Italia
Libera», III, 251, 20 ottobre 1945 (espressione quasi identica su «La Nazione del popolo»,
ed. del pomeriggio cit. del 20 ottobre 1945).

386
Da due sorelle a due cugine: alle origini del «Pasticciaccio»

Due partiti (con qualche formazione minore) hanno diviso i


gaddisti. Forse possiamo ora pensare che il dato della coppia di
assassine letto nella cronaca reale sia valso per Gadda come uno
dei “veri storici” di cui “divinare” il groviglio. E che insomma,
anche nel romanzo, giocando parti differenti, a compiere l’assas-
sinio siano due, quell’Assunta e quella Virginia che sempre sono
state giustamente lette in reciproco rimando. Chiudo tornando al
titolo, sia pure volgendone l’apodissi in domanda: da due sorelle
a due cugine?

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