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IL FLAUTO NUOVO DI CLAUDE DEBUSSY / 3

Il canto di Syrinx

La nascita del nuovo flauto traverso, strumento misterioso e misterico, strumento


divino; strumento “religioso”, nella sua funzione rituale di rievocazione del mito
attraverso l'emissione del soffio vitale, appare indissolubilmente legata a quella della
concezione musicale destinata a segnare il secolo ormai alle porte. È con il Prélude à
l'après-midi d'un faune, infatti, che la poetica di Debussy trova una sua prima, matura
affermazione; con tanta forza da creare, di fatto, il Novecento musicale proprio con il
richiamo ammaliante del flauto. Per questo motivo, il flauto traverso è strumento
novecentesco per eccellenza, capace di interpretare e riunire in sé, sotto un tratto
coerente, le molteplici anime, idee, pulsioni dalle quali il secolo nuovo è attraversato.
Non è tanto la completezza tecnica del sistema Boehm a far sì che il flauto sia in grado
di dar voce ai più svariati compositori senza perdere il proprio carattere specifico, bensì
rafforzandolo; ma la sua ridefinizione a opera di Debussy, che, pure, da quella
completezza trae pieno vantaggio.
Se, dunque, con il Prélude il flauto del Novecento nasce e si afferma, è però in un'opera
di molto posteriore che il suo carattere peculiare si manifesta nella forma più completa:
Syrinx, del 1913.

Le origini di Syrinx

Appare significativo che, analogamente a quelle del Prélude à l'après-midi d'un faune, le
origini di Syrinx siano legate a un mancato evento teatrale – evento andato invece in
porto, seppure con una certa perplessità da parte del compositore, nel caso della
seconda versione delle Chansons de Bilitis; tanto più in considerazione dell'affinità
profonda esistente tra l'etica soggiacente alla musica di Debussy e quella latente nel
teatro.
Al centro della musica debussiana vi è un'incessante ricerca di bellezza: l'atto
compositivo, nella sua sublimazione dell'etica in estetica, così come nel sua acquisizione
di una valenza salvifica e – nel senso più ampio – religiosa, assume i tratti di un rito di
ritorno alle origini. Molto similmente, dunque, a quanto avviene per il teatro, la cui
originaria funzione rituale è stata riportata all'attenzione del mondo occidentale dalle
discipline etnologiche e antropologiche e, forse ancor di più, dalla riflessione condotta
da Friedrich Nietzsche in La nascita della tragedia.
Infatti, mentre da un lato l'antropologia culturale individua nel teatro un rito
artisticamente rielaborato, sublimato in senso estetico, dall'altro il filosofo, riconducendo
alla tragedia greca una sorta di forma archetipica del rito, indica in esso le radici del
mondo ellenico e dell'umanità. Un fatto, quest'ultimo, di non poca rilevanza: sebbene
l'elemento rituale sia di fatto all'origine delle più diverse forme di teatro – dalla portata
talvolta paragonabile alla quella della tragedia, come nel caso della sacra
rappresentazione o delle realtà teatrali extraeuropee – è nel mondo greco che l'uomo
moderno, l'uomo profano, desacralizzato, vede l'età del mito. Ed è a questo mondo
greco idealizzato che Debussy attinge nella sua ricerca della Bellezza.
In effetti, Debussy concepisce tutte le forme d'arte come una via d'accesso a un mondo
segreto, in cui si perpetua il mistero dell'Essere, puro e salvifico; ciò appare evidente
dalla vivacità culturale che lo spinge a una ricerca, a tratti spasmodica, della Bellezza
attraverso le esperienze artistiche più varie, e rende chiara l'ammirazione per Gabriele
D'Annunzio, l'esteta che mira a fare della vita stessa, in tutti i suoi aspetti, compresi
quelli apparentemente più lontani dal comune concetto di bello, un'opera d'arte. Appare
dunque naturale che il teatro eserciti sul compositore un'attrazione particolare; tanto da
spingerlo, per tutto il corso della sua vita, a prendervi parte attiva, cercando buoni
soggetti e libretti da musicare – scelti con criteri estremamente selettivi, come si può
evincere dal fatto che di tutte le opere progettate, abbozzate, iniziate, solo una, Pélleas
et Mèlisande, abbia i requisiti per essere portata a termine – o collaborando a varie
manifestazioni drammatiche con a stesura di musiche d scena. Come si è visto, è
proprio una situazione di quest'ultimo tipo a portare alla genesi del Prélude à l'après-
midi d'un faune.
Dunque, anche Syrinx nasce nell'ambito della musica drammatica. Il primo impulso alla
sua composizione viene da Gabriel Mourey, poliedrica figura di poeta, drammaturgo,
critico e traduttore, che con Debussy – e altre conoscenze comuni: Villiers de l'Isle-
Adam, Catulle Mendés, Jules Bois, Stephan Mallarmé, più avanti Gabriele D'Annunzio –
condivide, oltre alla vivacità culturale che contraddistingue quella cerchia, la
frequentazione di diversi circoli letterari e occultistici. Nel 1913, dopo altri progetti
andati a vuoto (quattro, tra i quali gode di particolare rilevanza il primo: L'histoire de
Tristan, per cui il compositore prova vivo interesse), egli chiede la collaborazione di
Debussy per la stesura delle musiche di scena per il suo dramma Psyché, incentrato sul
mito del flauto di Pan; un mito cui egli si è già accostato nel Prélude, naturalmente, e
poi, nel 1900, nella prima delle Chansons de Bilitis (ancora una musica di scena: per
voce recitante, due flauti, due arpe e celesta). E La flûte de Pan è appunto il titolo
originario del brano, l'unico composto tra quelli inizialmente previsti.1

Da La flûte de Pan a Syrinx

La composizione di Syrinx avviene in tempi piuttosto brevi: infatti, le prime menzioni di


La flûte de Pan nella corrispondenza debussiana risalgono all'ottobre 1913, e la prima
esecuzione avviene il 1° dicembre dello stesso anno.
Per questa prima versione, il compositore si avvale di una scrittura particolarmente
evocativa – anche sotto il profilo grafico, visuale: lo spartito si avvale di una sorta di
notazione in tempo libero, amensurale. Gli accenti non sono, dunque, determinati da
una scansione metrica regolare, bensì dall'articolazione delle frasi.
La prima esecuzione, nel teatro di Louis Mors, è affidata a Louis Fleury (1878-1926), al
quale Debussy dedica l'opera. Allievo di Paul Taffanel, primo premio nel 1900, egli
condivide con il maestro uno spirito contraddistinto da grande vivacità culturale.
La carriera di Fleury appare contraddistinta dalla scelta – oltremodo singolare per un
flautista di quel periodo – di lasciare presto l'attività orchestrale per concentrarsi su
quella cameristica e solistica. Egli ha, così, modo di mettere appieno in luce la
sottigliezza che contraddistingue il suo stile interpretativo; diventa un musicista
acclamato, ottenendo grande successo in Europa e in America.
Sulla scia di Taffanel, Fleury contribuisce all'ampliamento del repertorio flautistico non
solo introducendovi opere nuove, ma anche attraverso un rinnovato interesse la
letteratura più antica. In qualità di revisore, egli cura la pubblicazione di brani del
diciassettesimo e diciottesimo secolo in edizione moderna.
Attivo anche in ambito critico, Fleury collabora con diverse riviste scrivendo articoli
relativi al flauto o ad altri argomenti di carattere musicale. Per l'Encyclopédie de la
Musique et Dictionaire du Conservatoire di Lavignac (1920-31) redige la voce Flûte,
basandosi su appunti lasciati da Taffanel e da lui integrati.2
Purtroppo, non si dispone di registrazioni del rinomatissimo Fleury, neppure risalenti agli
ultimi anni della sua carriera; ma è comunque possibile farsi un'idea del suo modo di
suonare dai suoi scritti e, soprattutto, dalle sue revisioni di musica antica. Da queste
ultime emerge la personalità di un interprete raffinatissimo, che alla chiarezza di un
fraseggio delineato con eleganza e naturalezza d'eloquio unisce una estrema sensibilità
coloristica, capace di sfruttare la tavolozza timbrica dello strumento in tutte le sue
sfumature. Dunque, un esecutore ideale per Debussy, il quale esige la massima
aderenza a una scrittura tale da richiedere e suggerire le diverse tinte di volta in volta
assunte.
In qualche modo, tutta la vicenda successiva del brano viene condizionata dalla figura di
Fleury. Questi, infatti, comprendendone la statura artistica altissima – tanto più in
confronto alla musica da salotto di cui si compone la maggior parte del repertorio
flautistico ottocentesco, che egli stesso ha a definire sprezzantemente “semplice
ginnastica del tutto priva di gusto” – decide di legare definitivamente quel capolavoro al
suo nome: mantenendone l'esclusiva di esecuzione per tutta la vita.
La composizione viene, così, pubblicata solo quattordici anni dopo la “prima”. Per
curarne l'edizione a stampa – per Jobert – Debussy si avvale della collaborazione di
un'altra figura fondamentale nella storia dello strumento: Marcel Moyse (1889-1984),
allora (e per molto tempo ancora) il più prestigioso dei flautisti di Francia, nonché
insegnante al Conservatoire dal 1932 al 1949. Moyse, sotto la supervisione dell'autore,
provvede a suddividere lo spartito in battute, inserendovi le stanghette di suddivisione,
e ad aggiungervi le indicazioni di respiro, per mezzo delle quali il fraseggio risulta
definito in modo inequivocabile. È, infine, l'editore Jobert a mutare nel più incisivo
Syrinx il titolo originale, mantenendo La flûte de Pan come sottotitolo.3
La rilevanza e la portata della pubblicazione di Syrinx non sono limitate a quelle di una –
pur importante – operazione editoriale. Infatti, con la revisione di Moyse, complice anche
la fama e il carisma di quest'ultimo, la composizione viene consegnata ai musicisti
insieme a una traccia interpretativa che va oltre a una semplice indicazione di lettura; e,
al tempo stesso, gli sviluppi novecenteschi della vicenda storica ed estetica dello
strumento si legano definitivamente a quelli della scuola flautistica francese. L'ideale
sonoro da essa propugnato – quello di un suono capace delle trasformazioni più radicali,
fino ad assumere le inflessioni più sottili, restando, però, sempre gradevole – trova qui
un'incarnazione perfetta, tanto da conferire allo spartito di Syrinx un carattere
paradigmatico.

Il mito sul palcoscenico

L'argomento del dramma di Mourey è tratto dal mito relativo alla nascita del flauto, così
come si trova tramandato da Ovidio nelle Metamorfosi. Al centro della narrazione
poetica è l'amore; sia pure da parte del bestiale dio Pan, che, scorta la ninfa Syrinx
danzare sulle rive del fiume con le compagne, se ne invaghisce. La natura semiumana
di Pan fa sì che egli viva il sentimento come una pulsione animalesca, totalmente
improntata alla fisicità più sfrenata: oscenamente acceso di desiderio, il dio insegue e
perseguita la ninfa. Selvaggiamente braccata, in breve a Syrinx non rimane altra via di
salvezza che la preghiera. Gli dei la trasformano così in una canna, attraverso la quale il
vento potrà fare ancora risuonare la sua dolce voce. Alla fine, è l'amore ad avere il
sopravvento: Pan taglia e lega insieme sette pezzi di canna,così da costruire
ingegnosamente un flauto, che prenderà il nome di siringa, da portare sempre con sé e
con cui dare malinconicamente voce al suo sentimento frustrato: in-finito.
Diverse sono le metamorfosi presenti nella leggenda. Quella di Syrinx in canna è solo la
più appariscente: più importanti mi paiono quella che vede l'umanità prevalere sulle
forze incontrollabili della natura attraverso l'ingegno, la tecnica (Pan costruisce il flauto);
e, soprattutto, quella operata dall'amore, che, condotto all'estremo, sublima la passione
in canto, Pan in Eros.
Di tutto questo è necessario tener conto accostandosi a Syrinx. Le letture esegetiche
dell'opera appaiono riconducibili a due correnti interpretative: una vede nella melopea
del flauto il canto di morte di Pan, mentre l'altra la intende come canto d'amore. La
prima, che tra i suoi sostenitori include nomi di spicco come quello di Auréle Nicolet,
sembrerebbe appoggiarsi al carattere malinconico del mito, che apparirebbe, però,
ridotto a un mero pretesto o, al più, a una suggestione dal vago color locale
arcaicheggiante;4 la seconda – sostenuta, per esempio, da Emilio Galante – è, a mio
avviso, preferibile: in quanto coglie pienamente lo spirito che anima il testo ovidiano. 5
Comprende, sì, la malinconia dell'amore frustrato; ma, soprattutto, il carattere di
sublimazione proprio dell'amore e della musica attraverso cui esso si esprime – un'idea
riconducibile alla visione debussiana dell'arte come strumento salvifico.
Quella che emerge dal testo è una grecità in primo luogo viva, misteriosa in quanto
prossima al mistero dell'esistenza, del quale la morte non costituisce che una parte e in
cui si risolve nell'Essere.

Per flauto solo

Syrinx costituisce un unicum all'interno del catalogo debussiano e, insieme, una sintesi
dei diversi elementi essenziali del flauto; tanto pregnante da apparire fatidica – da
imporsi nella letteratura e nella storia dello strumento con l'autorità di un manifesto
programmatico.
In effetti, si tratta dell'unico brano per strumento solo composto da Debussy al di fuori
del vasto corpus della musica pianistica, che, comunque, presenta caratteristiche tali da
costituire un mondo a sé. È un fatto tanto più significativo in considerazione della scelta
di uno strumento monodico: apparentemente, l'uso dell'armonia in funzione coloristica
ed espressiva che caratterizza la scrittura del compositore lo mostrerebbe più incline a
sfruttare le possibilità polifoniche – per esempio – di uno strumento ad arco. E, d'altra
parte, l'impiego del flauto solo in Syrinx non può essere ridotto all'adempimento di
un'esigenza drammatica: l'idea di una simile autoimposizione risulta perlomeno
improbabile in considerazione dello spirito libero di Debussy; che, inoltre, con il suo
intuito e la sua inventiva, avrebbe certo saputo trovare soluzioni a lui più congeniali.
In realtà, nella produzione debussiana Syrinx rappresenta un caso eccezionale, ma
assolutamente non un'anormalità. L'estetica di Debussy, infatti, è incentrata sul
processo creativo che il musicista definisce come arabesco: processo di creazione
continua di forme e colori. I caratteristici procedimenti armonici di cui sopra sono
impiegati proprio in tale senso, cioè in senso coloristico; e, in quanto tali, vengono
sfruttati come risorse timbriche.
Colore e forma, timbro e melodia sono gli elementi costitutivi dell'arabesco. Affidare la
monodia di Syrinx a un unico strumento non accompagnato è, di fatto, indicativo della
volontà di sondarne e sfruttarne al massimo le risorse foniche; il flauto traverso, con la
sua tavolozza inesauribile, consente all'arabesco di modellarsi in una varietà di forme e
inflessioni pressoché illimitata, di spingere la sua ricerca di libertà all'estremo. In essa
rientra l'iniziale adozione di una scrittura amensurale, il cui mancato mantenimento
nell'edizione a stampa è dovuto al timore, da parte dell'autore, di un suo stravolgimento
da parte di esecutori incapaci di renderne le sottili sfumature ritmiche, trasformando la
precisa articolazione del disegno melodico in uno scarabocchio indistinto, caotico, in cui
si perdono contorni e colori.
La scrittura di Syrinx impone al flauto l'impiego della più ampia varietà di risorse
espressive a sua disposizione. Momenti di canto spiegato e di nettezza ritmica,
abbandoni e impennate, smaglianti luminosità meridiane e abissi tenebrosi, politezza
delle linee ed effetti fonici spinti a esplorare i limiti del suono: tutto questo si trova in
Syrinx.
Con Syrinx, Debussy del flauto coglie l'essenza e l'anima, poiché l'ideale tecnico e
sonoro ivi rappresentato nasce assecondandone le caratteristiche meccaniche e
foniche, e da esse traendo il massimo. E se tutto questo è già pienamente ravvisabile
nel Prélude à l'après-midi d'un faune, qui, nel trattamento a solo, viene attuato in
maggior profondità e riceve nuova evidenza; così da fare della composizione una sorta
di vocabolario tecnico-espressivo destinato a divenire l'imprescindibile punto di
riferimento e di confronto tanto per gli sviluppi dell'estetica flautistica quanto per il suo
impiego nella musica a successiva.

Il canto sublimato

La scrittura di Syrinx appare caratterizzata dall'estrema flessuosità delle linee, tali da


curvarsi e incresparsi nei modi più sinuosi senza per questo perdere la chiarezza dei
contorni, in un connubio di tratti netti e profonde risonanze espressive paragonabile
all'elegante sensualità di una stampa giapponese, come quelle di cui Debussy ama
adornare la sua abitazione, o al carattere austeramente misterioso di un geroglifico
egizio: si tratta di una scrittura ben delineata e, al tempo stesso, allusivamente
indefinita. Questa dicotomia linguistica è riconducibile alla sovrapposizione del fluire
melodico a una ritmica sfaccettata.
La struttura tripartita del brano è stata di volta in volta interpretata come una forma
Lied o, anche, come una forma sonata. 6 Tuttavia, la sostanziale assenza di un momento
di sviluppo inteso in senso tradizionale mi pare rendere quest'ultima ipotesi arduamente
sostenibile.
Infatti, la tecnica dell'arabesco trova in Syrinx un'applicazione esemplare: tutta la
composizione appare una continua variazione, o, meglio: germinazione derivata dalla
prima misura. In questa, dunque, è possibile individuare i principî unificatori del brano.

Fig. 1: Claude Debussy, Syrinx, mis. 1-2

I cinque bemolli presenti nell'armatura in chiave non comportano, in realtà,


l'appartenenza a una tonalità precisa, in quanto il brano, nella varietà di inflessioni
assunta, presenta piuttosto caratteri modali.7 Piuttosto, essi costituiscono già
un'indicazione di timbro e di colore: la presenza di numerose alterazioni porta lo
strumento ad alleggerire il suono per legare i passaggi in maniera più fluida. La scala
impiegata, inizialmente esafonica e, nel finale, a toni interi, conferisce alle volute
melodiche un aspetto vagamente esotico – come l'uso reiterato dell'intervallo di
seconda eccedente – e, soprattutto, un andamento indefinito. Dunque, l'adozione di
procedimenti non riconducibili alla tradizione musicale europea (né, in verità, a
nessun'altra in particolare) conferisce alla scrittura debussiana quel senso di mistero, di
allusività indefinita già osservato relativamente al Prélude. Qui, inoltre, esso può
avvantaggiarsi di un trattamento melodico imperniato su una fioritura inesausta: alla
continua variazione – ritmica e timbrica – del motivo iniziale corrisponde una
esplorazione del flauto in tutte le sue possibilità espressive. L'arabesco comincia a
svilupparsi fin dalla seconda apparizione della cellula melodica iniziale, spingendo la
ricerca del canto verso l'acuto.

Fig. 2: Claude Debussy, Syrinx, mis. 3-8

Nelle indicazioni dinamiche è presente anche un'indicazione coloristica: la realizzazione


del rapido crescendo seguito dal piano improvviso della sesta misura, per esempio, data
la collocazione nel registro grave, comporta un ispessimento – un inasprimento, quasi –
del suono, con un colore più scuro, e quindi l'adozione di un timbro vuoto, simile a
quello prodotto da una canna. Quando, poi, il discorso musicale prende a spostare il
proprio baricentro verso la tessitura grave, quella più duttile, la scrittura si arricchisce di
sfumature.

Fig. 3: Claude Debussy, Syrinx, mis. 14-17

La figurazione basata sulla terzina con l'acciaccatura sulla seconda nota, che ricorre con
frequenza sempre maggiore a partire dalla misura 14, richiede un ampio spettro di
variazioni non solo dinamiche, ma anche timbriche: in ogni crescendo il suono prende
corpo, in ogni decrescendo si svuota e si schiarisce, ancora una volta con un effetto
simile a quello di una siringa. Questo punto costituisce anche un significativo esempio
dell'impiego dell'arabesco: la prima cellula della figura, infatti, appare desunta dal passo
presente nella quarta misura, derivato a sua volta dal tema iniziale, a riprova di come
tutto il materiale del brano si sviluppi a partire dell'impulso iniziale. Esso ritorna
un'ultima volta nella forma originaria verso la chiusura del brano, dando luogo a una
sorta di ripresa nella quale l'arabesco, condotte al culmine le proprie possibilità di
sviluppo, pare ritirarsi per concludere il suo ciclo vitae. Tornato al tema, l'arabesco
conclude la propria parabola raccogliendosi su sé stesso: dopo un'ultima, brusca
impennata di quella prima cellula ormai stanca, la figurazione a terzina torna per
fondervisi in un ultimo movimento, con il quale tutto il brano si spegne definitivamente.
Fig. 4: Claude Debussy, Syrinx, mis. 29-35

Proprio nelle battute conclusive si può osservare un'ulteriore ricorso alle amplissime
risorse coloristiche del flauto. Sia che la forcella posta sul si bequadro della penultima
misura vada interpretata come sforzato sia che – in linea con le revisioni frutto delle
indagini più recenti – sia da intendersi come un segno di diminuendo, l'indicazione di
marqué che la precede prescrive che il timbro si svuoti rapidamente, per poi farsi
ancora più trasparente nella scala e nella nota finali, perdendosi. Ancora una volta, il
riferimento è all'antico strumento di canna; attraverso un atto di ritorno alle origini, il
flauto trova nella scrittura idiomatica di Syrinx la sua vera natura e, lungi da ricoprire un
mero ruolo di strumento “di carattere”, si inscrive nella contemporaneità.
La melopea del fauno appare un canto carico di sensualità, di fisicità quasi; ma, al
tempo stesso, anche sublimato in quel continuo processo di avvicinamento all'Assoluto
che è la germinazione vitale dell'arabesco. Un processo molto vicino a una tecnica
tipicamente classica, quella della variazione tematica, portata alle estreme
conseguenze da Beethoven, per esempio, nel movimento conclusivo della Sonata op.
111; tuttavia, con presupposti del tutto opposti. Laddove, infatti, Beethoven lavorava
sulla forma per piegarla, arricchirla, espanderla, e giungere a un puro suono, questo
costituisce per Debussy l'elemento di partenza, il germe da cui sviluppare la vita e
sfiorare l'Infinito. E allora il canto di Syrinx non può che essere puro amore, spirito
creatore che soffia attraverso un flauto per portare la salvezza attraverso la Bellezza, e
per suo mezzo, mediante, cioè, il rito del ritorno all'Essere per mezzo dell'arte, riformare
il mondo nel segno della vita.
1 Si noti, per inciso, come tale titolo corrisponda a quello del poema di Pierre Louÿs da Debussy messo in
musica nella prima delle Trois chansons de Bilitis per canto e pianoforte.
2 BLAKEMAN, Edward, voce Flury, Louis, in AA. VV., da The New Grove Dictionary of Music and
Musicians; s.n., voce Fleury, Louis-Auguste da AA. VV., DEUMM.
3 Cfr. GALANTE, Emilio, «Il flauto nel Novecento», in LAZZARI, Gianni, Il flauto, EDT, Torino 2003, pagg.
185-6.
4 NICOLET, Auréle, Syrinx, in Wie Meister üben, Paris 1967.
5 GALANTE, op. cit., pag. 188.
6 In particolare, in ORLEDGE, Robert, Debussy and the Theatre, Cambridge University Press, New York
1982, pag. 254.
7 Cfr. GALANTE, op. cit., pag. 189.

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