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Dio poteva attuare in molti modi la redenzione dell'uomo.

Solo una cosa doveva sempre avverarsi:


la rinnovazione del cuore umano mediante il pentimento e l'amore, l'abbandono del peccato e il
ritorno a Dio. Altrimenti la redenzione non sarebbe che un procedimento meccanico e naturale
simile alla riparazione di una macchina o alla crescita di una pianta. Essa invece si deve attuare in
modo da lasciare intatta la poss1bilità di un'autodecisione libera e responsabile dell'uomo. Si
capisce però che, in ultima analisi, anche ogni decisione dell'uomo è operata in lui dallo stesso Dio.
L'uomo con il pentimento e l'amore può tornare a Dio, soltanto se Dio medesimo lo afferra e lo
attira a sé. Ma l'uomo, messo in movimento da Dio, conserva la responsabilità di volgersi o no a
lui. L'uomo può amare Dio solo se Dio accende in lui l'amore; e tuttavia, cosi infiammato da Dio, si
dona a lui liberamente (cfr. § 140, 5 e il trattato sulla Grazia). Senza pentimento e amore non vi
può essere alcuna liberazione dalla schiavitu che ci trattiene lontani da Dio, dalla prigionia che ci
isola nel nostro io, dal predominio del peccato (hamartia).

L'amore che dal Calvario sale al Padre è ben piu possente dell'odio che si riversa dall'inferno, e
mostra che il mondo nella sua parte piu intima e profonda è governato dalla carità, cioè da Dio.
Cosi fu ristabilito l'onore divino. Il peccato fu una diffamazione di Dio, un tale oscuramento della
sua gloria da far sorgere non pochi dubbi su Dio stesso. Ma la croce ha palesato che Dio è amore e
santità. L'uomo, peccando, aveva messo Dio al disotto delle creature; Cristo, morendo, lo ha
riconosciuto come supremo Signore e quindi gli ha dato piena soddisfazione.

Quello che bisogna credere, e quello che bisogna credere ai piedi della Croce, è che Gesu
agonizzante è appunto per la sua agonia, piu che per i suoi miracoli, il Salvatore delle anime.
Agonia vuoi dire combattimento, e l'agonia di Cristo fu il grande combattimento contro lo spirito
del male, combattimento in cui Gesu fu definitivamente vincitore. Egli aveva detto ai suoi discepoli
dopo la Cena: Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo (Gv. r6, 33). Sulla Croce riportò la vittoria
definitiva sopra il male piu grave, piu profondo che ci sia al mondo, sopra il peccato e sopra il
demonio. Ma, umanamente parlando, sulla Croce Gesu sembra vinto : l'opera sua, condannata dalla
Sinagoga, può sembrare distrutta per sempre; crocifisso tra due ladroni, è abbandonato dal suo
popolo, dalla maggior parte dei suoi discepoli, i quali sembrano pensare che il cielo non ascolti piti
la loro supplica. Nell'ora del Consummatum est, Maria, indubbiamente, fece il piti grande atto di
fede che mai sia esistito sopra la terra, e non cessò un istante dal credere che il suo Figliuolo
crocifisso era il Salvatore di tutti gli uomini; a questa grande fede della Vergine parteciparono le
sante donne che erano vicino a lei, come pure S. Giovanni, il buon !adrone, il centurione. Essi
credettero in vari gradi, che l'opera della salute si compiva in quest'annientamento della vittima
scelta da tutta l'eternità per portare in nostra vece il peso delle nostre colpe. Ma furono rari quelli
che credettero cosi in quell'ora suprema. I piti non poterono tollerare la morte di Gesti Cristo: Fac ut
portem Christi mortem, si dice nello Stabat Mater. Quello che bisognava credere, quello che
bisogna credere, è che l'oggetto di derisione, considerato come il rifiuto dell'wnanità, colui davanti
al quale si scuoteva il capo facendosene beffe, è la forza e la luce delle anime, quegli che ha vinto il
mondo. Quello che bisogna credere è che l'ora delle tenebre e dell'ignominia, vista dall'alto, è in
ogni tempo l'ora gloriosa della salute, la piu feconda di tutte per le anime. Ebbene, in quell'ora,
molti discepoli, come lo dimostrano quelli di Emmaus, si sentirono vacillare, come può avvenire
nelle ore di persecuzione e di odio. Ecco però quello che bisogna credere, che il Crocifisso, il quale
pare affatto vinto, è vincitore del peccato, è ·• colui che cancella i peccati del mondo " :t (Il
Salvatore e il suo amare per noi, Torino 1948, 303-305).

«C’era allora una sola


volontà di Cristo e di Maria, e tutti e due offrivano insieme (pariter offerebant) un solo olocausto:
Ella nel Sangue del Suo Cuore, Egli nel Sangue della Sua Carne»
 –
 (ARNALDO DI CHARTRES, De laudibus, citato in: R. Coggi, Trattato di Mariologia. I misteri
della fede in Maria, pp. 207-208). «Maria ha pagato il prezzo della nostra Redenzione. Lo ha pagato
come una donna forte e pia, quando Cristo ha patito sulla Croce per pagare questo prezzo, purificare
e redimere; allora la Beata Vergine è stata presente, ha accettato e si è conformata alla volontà
divina. Ha acconsentito che il Frutto del suo Seno venisse offerto in Croce per noi»
 –
 (SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Collationes de donis Spiritus Sanctis, Ed.
Quaracchi, V, 1891, p. 486). Sia sufficiente osservare che la prima volta che si trova applicato a
Maria il termine di Corredentrice è nel XV secolo, mentre il titolo di Redentrice lo si trova già nel X
secolo (cfr. R. Laurentin, Le titre de Corédemptrice in “Marianum”, n. 13, 1951, p. 429).
 Il Beato Pio IX, nella Bolla Dogmatica “Ineffabilis Deus”,
nel 1854
scrive: “I Padri videro designati [nei versetti della Genesi] Cristo Redentore e Maria congiunta con
Cristo da un vincolo strettissimo e indissolubile, esercitando insieme con Cristo e per mezzo di Lui
sempiterne inimicizie contro il velenoso serpente, e riportando sopra di lui una pienissima
vittoria”

Dio non accorda all’uomo il perdono per pura misericordia senza una riparazione dell’uomo, perché ciò
contrasterebbe con la sua infinita giustizia. L’uomo deve dunque soddisfare per il peccato, deve rendere a Dio
l’onore che Gli ha tolto e dovrebbe dare anche di più se vuole veramente compensare con il bene il male fatto. E
se ciò non avviene, 39cioè se l’uomo non soddisfa volentieri, viene imposta da Dio la pena o punizione. -L’uomo
però, in realtà, non può soddisfare perché deve tutto a Dio, e quando fa atti di penitenza non fa che rendere a Dio
l’onore che Gli è dovuto, e quindi non paga niente per il peccato già commesso; inoltre il peccato è un male
incalcolabile (valore negativo) e di conseguenza riparare il peccato non è alla portata dell’uomo. -Se la
soddisfazione non è alla portata dell’uomo significa che soltanto Dio può soddisfare. Di conseguenza sorge il
disegno sull’Incarnazione. La soddisfazione deve essere compiuta quindi da un uomo che sia allo stesso tempo
Dio. In quanto uomo corrisponderà a Lui dare soddisfazione(giacché era l’uomo a dover riparare il suo peccato), e
in quanto Dio sarà in grado di soddisfare, perché soltanto Dio è in grado di soddisfare, tale potere non appartiene
all’uomo. -Si chiariscecosì il motivo dell’Incarnazione ma non il modo in cui la soddisfazione avvenga. Per risolvere
tale questione S. Anselmo continua il suo itinerario razionale: In Cristo anche l’obbedienza umana è dovuta a Dio,
perché a rigore l’uomo deve sempre ubbidire al suo creatore 52 e quindi l’obbedienza di Cristo non serve a
cancellare il peccato. Serve invece offrire qualcosa di non-dovuto, ma questo è precisamente la sua morte. Cristo
offrendo liberamente la sua vita compie un atto al quale non era obbligato (supererogatorio): infatti Egli essendo
uomo-Dio non era obbligato a morire né per il peccato né per debolezza 53. Quindi poté offrire la sua vita a titolo di
52 Non si dice con questo che Cristo sia una creatura. In S. Anselmo il termine uomo applicato a Cristo non si interpreta come uomo
assunto in senso nestoriano; vuole semplicemente indicare la natura umana: cf. M. Serenthà, o.c., p.260. Allora se il Verbo assume la
natura umana, assume anche tutto quanto Dio ha stabilito per essa: la legge naturale e le altre leggi, ecc.; e quindi anche l’obbligo
principale di lodare e obbedire a Dio. Una missione del Verbo al di fuori di questi inserimenti o aprirebbe un contrasto tra ciò che è
buono e ciò che Dio comanda all’uomo o vorrebbe dire che il Verbo non si fa in tutto simile agli uomini. 53 Intendiamo dire che non era
sottoposto alla legge della morte (non essendo Egli un peccatore) e neppure era indigente dinnanzi al processo naturale di dissoluzione
corporea (poiché possedeva come propria l’onnipotenza divina): perciò era 40adeguata soddisfazione per gli uomini.

8Poi, alzandosi, disse:“Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre
suppliche.”L’angelo scomparve ma la sensazione di soprannaturale fu così intensa che per molto
tempo i bambini rimasero inginocchiati nella stessa posizione in cui li aveva lasciati, quasi
inconsapevoli della loro stessa esistenza, mentre ripetevano più volte la stessa preghiera.“La presenza
di Dio si sentiva così intensa e intima, che non ci decidevamo a parlare neppure fra di noi. Il giorno
seguente, sentivamo lo spirito ancora avvolto da questa atmosfera che andò scomparendo soltanto
molto lentamente.Di questa apparizione nessuno pensò di parlare, né di raccomandare il segreto. Essa
lo impose da sé. Era così intima, che non era facile pronunciare su di essa la minima parola. Ci fece
anche, forse, maggiore impressione, per il fatto che fu la prima chiara manifestazione dell’Angelo.”Ma i
bambini erano pur sempre bambini e quel fervore andò via via scemando, facendoli tornare ai consueti
giochi dell’infanzia. Un effetto durevole tuttavia lo ebbe e influenzò tutti gli eventi successivi. I tre
piccoli cuginetti infatti si ritrovarono sempre più spesso a stare insieme.Durante la torrida estate
Portoghese, i tre fanciulli si svegliavano di buon ora e portavano il gregge a pascolare quand’ancora
l’erba dei campi era ricoperta di rugiada. Dopo che le pecore si erano saziate, nel momento più caldo
della giornata, i fanciulli le riportavano nella stalla, da dove le avrebbero fatte uscire nuovamente solo
a pomeriggio inoltrato. Quell’estate i tre cuginetti passarono gran parte delle giornate assieme,
giocando sotto l’ombra invitante dei fichi; quand’erano troppo stanchi si adagiavano sotto i freschi
rami d’ulivo o dei mandorli che crescevano copiosi in quella terra. Fu durante uno di questi giorni che
l’angelo apparve nuovamente. Lucia ci racconta cosa accadde:“Che fate?” disse all’improvviso l’Angelo,
comparendo accanto a loro.“Pregate! Pregate molto! I cuori di Gesù e di Maria hanno sopra di voi
disegni di misericordia. Offrite costantemente all’Altissimo preghiere e sacrifici!”“Ma come dobbiamo
sacrificarci?” chiese Lucia.“Di tutto quello che potrete, offrite un sacrificio in atto di riparazione dei
peccati con cui Lui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirate così sopra la vostra
patria la pace. Io sono il suo angelo custode, l’angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate
con sottomissione le sofferenze che il Signore vi manderà.”Solo Lucia e Giacinta furono in grado di
ascoltare le parole dell’Angelo, mentre Francesco poteva solo vederlo. Pieno di curiosità su ciò che
l’Angelo poteva aver rivelato a Giacinta e Lucia, Francesco chiese a sua sorella:“Giacinta, dimmi cosa ti
ha detto l’Angelo!”

9Il giorno dopo, appena sveglio, Francesco chiese a sua sorella: “Tu sei riuscita a dormire? Io sono stato
sveglio tutta la notte per cercare di capire che cosa vi ha detto l’angelo.”Lucia decise allora di dirglielo, ma
mentre lo faceva Francesco non comprendeva le parole dell’Angelo e continuava ad interromperla: “Cosa
vuol dire “l’altissimo?” Che cosa vuol dire che ‘i cuori di Gesù e Maria stanno attenti alle nostre preghiere e
alle nostre suppliche’?”“Non appena Lucia gli spiegava il significato di quelle parole,Francesco rifletteva su
di esse” riferisce Lucia, “ma subito ricominciava a porre altre domande. Ma non mi sentivo libera di parlarne
e gli dissi di aspettare il giorno seguente.”“Riuscì ad aspettare un poco, ma alla prima opportunità ci poneva
nuove domande, tanto che Giacinta gli dovette dire: “Stai attento! Non possiamo parlare troppo di queste
cose.”“Ogni volta che parlavamo dell’Angelo,” ricorda Lucia, “non so cosa ci accadesse, ma ad esempio
Giacinta mi diceva che non era in grado di parlare giocare o cantare; non aveva più la forza di fare
alcunché!” E Francesco aggiungeva: “nemmeno io! Ma cosa importa? L’angelo è più importante, parliamo di
lui!’”Successivamente, Lucia avrebbe rivelato che: “Queste parole dell’Angelo s’impressero nel nostro cuore
come una luce che ci faceva capire chi era Dio, come ci amava e come voleva essere amato; il valore del
sacrificio e quanto esso Gli fosse gradito, perché grazie ad esso convertiva i peccatori. Perciò, da quel
momento, cominciammo a offrire al Signore tutto ciò che ci mortificava, ma senza darci da fare per cercare
altre mortificazioni o penitenze se non quella di restare per lunghe ore prostrati per terra, ripetendo la
preghiera che l’Angelo ci aveva insegnato.”L’Autunno si stava avvicinando e i fanciulli si apprestavano a
portare il gregge sui pascoli, quando ricevettero un’altra visita sorprendente.“Passavamo dalla Pregueira (un
piccolo oliveto appartenente ai miei genitori) alla grotta, facendo il giro della costa dalla parte di Aljustrel e
Casa Velha,” continua Lucia. “Là recitammo il nostro Rosario e la preghiera che ci aveva insegnato l’Angelo
nella prima apparizione. Mentre eravamo li, ci apparve per la terza volta, tenendo in mano un calice e su di
esso un’Ostia, dalla quale cadevano nel calice alcune gocce di sangue. Lasciando il calice e l’Ostia sospesi in
aria, si prostrò per terra e ripeté per tre volte l’orazione:“‘Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io
Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo,
presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi, delle indifferenze da cui
Egli medesimo è offeso. Per i meriti infiniti del suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria io Vi
chiedo la conversione dei poveri peccatori.’”L’angelo, alzatosi, prese di nuovo in mano il calice e l’Ostia e la
diede a Lucia, mentre il contenuto del Calice lo dette da bere a Giacinta e Francesco, dicendo allo stesso
tempo:Questo gruppo di statue si erge sul luogo dove i tre fanciulli videro l’Angelo e ricevettero da
lui la Santa Eucaristia.
10Il pozzo nel giardino di Lucia, dove apparve l’Angelo per la seconda volta.“Prendete e bevete il
Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e
consolate il vostro Dio.”Di nuovo si prostrò per terra e ripeté con i fanciulli, ancora tre volte, la stessa
orazione: “Santissima Trinità...” E poi scomparve
Tommaso d'Aquino insegna che la gratitudine è una realtà umana complessa (e perciò sussegue che la sua
espressione verbale sia in ogni lingua frammentaria: questo o quel aspettogancio è accentuato): "La
gratitudine si compone di diversi gradi. Il primo consiste nel riconoscere (ut recognoscat) il beneficio
ricevuto; il secondo consiste in lodare e render grazie (ut gratias agat); il terzo consiste in retribuire
d'accordo con le possibilità e secondo le circostanze più opportune di tempo e luogo" (II-II, 107, 2, c).

     Questo insegnamento, apparentemente così semplice, può essere rincontrato nei diversi modi con cui le
diverse lingue si valgono per ringraziare: ognuna accentuando un aspetto della multiforme realtà della
gratitudine.

     Alcune lingue esprimono la gratitudine prendendola nel primo livello: esprimendo più nitidamente la
riconoscenza di chi ha ricevuto la grazia. Per di più riconoscenza (come reconnaissance in francese) è
proprio un sinonimo di gratitudine.

     In questo senso è estremamente interessante verificare l'etimologia: nella saggezza della lingua inglese to
thank (ringraziare) e to think (pensare) sono nella sua origine, e non per caso, la stessa parola.

     Al definire l'etimologia di thank l'Oxford English Dictionary è chiaro: "The primary sense was therefore
thought"(7). E nello stesso modo in tedesco danken (ringraziare) è originariamente denken (pensare).

     Tutto questo è insomma molto comprensibile, poi come tutti sanno, solo si sente veramente grato chi
pensa nel favore che ha ricevuto come tale.

     Solo è grato chi pensa, pondera, considera la liberalità del benefattore. Quando questo non ocorre, viene il
giustissimo rammarico: "Che mancanza di considerazione!" (8).

     Perciò S. Tommaso - facendo notare che il massimo negativo è la negazione del grado infimo positivo
(l'ultima a destra di chi sale è la prima a sinistra di chi scende...) - afferma che la mancanza di riconoscenza,
l'ignorare, è la suprema ingratitudine(9): "il malato che non si rende conto del morbo, non si vuol curare" (10).

     L'espressione araba di ringraziamento, shukran, shukran jazylan, si trova direttamente nel secondo livello:
quello di lode del benefattore e del beneficio ricevuto.

     Già la formulazione latina per gratitudine, gratias ago, che si è proiettata nel italiano grazie, nel
castigliano (gracias) e nel francese (merci, mercè)(11) è relativamente complessa. S. Tommaso dice (I-II, 110,
1) che il suo nucleo, grazia, comporta tre dimensioni:

1) ottenere grazia, entrare nelle grazie, nei favori, nell'amore di qualcuno che dunque ci fa qualque beneficio;

2) grazia indica anche un dono, qualcosa di non dovuto, gratuitamente dato, senza merito da parte del
beneficiario;

3) la retribuzione, "fare grazie" (render grazie) da parte del beneficiario.

     Nel trattato De Malo (9,1) si aggiunge un quarto significato di gratias agere: quello di lode; chi considera
che il bene ricevuto procede da un altro e che deve essere lodato.

     Nel ampio quadro che abbiamo mostrato in vista - quello delle espressioni di gratitudine in inglese,
tedesco, francese, castigliano, italiano, latino ed arabo - rissalta il carattere profondissimo della forma
portoghese: "obrigado".
     La formulazione portoghese, così incantevole e singolare, è l'unica a trovarsi chiaramente nel più
profondo livello di gratitudine di cui parla S. Tommaso, il terzo (che naturalmente racchiude in sé i due
anteriori): quello del vincolo (ob-ligatus), del obbligo, del dovere di retribuire.

     Possiamo adesso analizzare la ricchezza che racchiude in sé anche la forma giapponese per
ringraziamento: Arigatô.

     Questa rimette ai seguenti significati primitivi: "l'esistenza è difficile", "è difficile vivere", "rarità",
"eccellenza (eccellenza della rarità)". I due ultimi sensi sopra riferiti sono comprensibili: in un mondo in cui
la tendenza generale è quella d'ognuno pensare a sé e, se tanto, i rapporti umani si regolano per la stretta e
fredda giustizia, "l'eccellenza" e la "rarità" si fanno notare come caratteristiche del favore.

     Ma "difficoltà d'esistere" e "difficoltà di vivere", a prima vista niente hanno a che vedere col
ringraziamento. Tuttavia S. Tommaso insegna che la gratitudine deve - per lo meno nell'intenzione - superare
il favore ricevuto. E che ci sono debiti per natura insaldabili: d'un uomo in relazione ad un altro suo
benefattore, e sopratutto in relazione a Dio: "Che cosa renderò al Signore - dice il Sal 115 - per quanto mi ha
dato?".

     In queste situazioni di debito impagabile - così frequenti alla sensibilità di chi è giusto - l'uomo
riconoscente si sente in imbarazzo e fa tutto quello che è alla sua portata (quidquid potest), tendendo a
spandersi in un excessum che si sa insufficiente(12) (cfr. III, 85, 3 ad 2).

     Arigatô si riferisce così al terzo grado di gratitudine, significando la coscienza di quanto difficile diviene
l'esistenza (dal momento in che si è ricevuto tale favore immeritato, e perciò si è rimasti nel dovere di
retribuire, sempre impossibile di compiere...).

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