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L’EDUCAZIONE DEI FIGLI NELLA FAMIGLIA CRISTIANA

Post author:adiadmin
Post published:19 Marzo 2015
Post category:Studi Biblici
Premessa

Prima di essere genitori si è marito e moglie. Il matrimonio nel pensiero di Dio non è la semplice
convivenza di un uomo e una donna, ma è la comunione profonda di due esseri che condividono
ogni aspetto della loro esistenza (Gen.2:22-24) e che sono in stretta comunione con Dio. Il
matrimonio cristiano è più che essere “una stessa carne” , è l’essere “uno” in Cristo (Gal.3:28).
I rispettivi ruoli sono stati stabiliti da Dio: il marito è la guida e il punto di riferimento della famiglia
(Ef.5:25-30), la moglie è l’aiuto convenevole (Gen.2:18) che sottomette spontaneamente la propria
volontà a quella del marito (Ef.5:22-24).
L’essere una famiglia cristiana non consiste semplicemente nel perseguire nobili principi religiosi,
morali e sociali o partecipare alla vita comunitaria, ma vuol dire cooperare in un vincolo di amore e
dedizione affinché la volontà di Dio sia manifestata nella vita di ciascuno.
La Scrittura paragona la comunione esistente tra coniugi a quella che si realizza tra Cristo e la
Chiesa (Ef.5:25-32). La famiglia cristiana dovrebbe perciò manifestare al mondo l’amore divino in
azione ed essere una potente testimonianza della grazia salvatrice di Dio…e i figli dovrebbero
essere i primi a trarne beneficio.
L’amore cristiano fra coniugi si manifesta attraverso:
il rispetto (Fil.2:3)
la fiducia (Ef.4:25)
la comprensione (1Cor.10:12)
la disponibilità (Mt.7:12)
il perdono (Pr.10:12)
L’amore che deriva da una vita sottomessa alla signoria di Cristo e conforme alla Parola di Dio non
può non manifestare il frutto dello Spirito (Gal.5:22-23).
Quei genitori che dimostrano di realizzare la volontà di Dio nel proprio rapporto di coppia avranno
più credibilità agli occhi dei figli e saranno agevolati nella loro educazione.
E’ inevitabile che i figli siano restii ad apprendere quegli insegnamenti che i genitori vorrebbero
impartire loro senza però averli prima realizzati nel loro rapporto di coppia. Non sarà facile ad
esempio guadagnarsi il rispetto da un figlio che assiste a litigi in cui i genitori si offendono o si
rivolgono aspri giudizi. Allo stesso modo non ci si potrà aspettare che un figlio impari a manifestare
i suoi pensieri quando non vede i genitori propensi al dialogo e al sereno confronto.
Il rapporto di coppia non è sempre facile: ognuno ha la sua personalità, il suo modo di vedere le
cose, le sue capacità. E’ perciò inevitabile che anche tra coniugi cristiani possano verificarsi
divergenze di opinione che a volte finiscono con lo sfociare in piccoli conflitti causati da esigenze o
convinzioni personali che tendono ad emergere e imporsi. E’ necessario in certe circostanze
evitare che una manifestazione emotiva sfugga all’autocontrollo e che magari trascenda fino a
provocare sentimenti di amarezza o di frustrazione (Ef.4:26-27). Per evitare che il confronto si
faccia esasperato sarebbe opportuno confrontarsi con la Scrittura, anteponendo alle proprie
convinzioni i principi biblici, rimanendo comunque aperti al dialogo anche quando si è convinti
delle proprie idee.
L’armonia familiare non si realizza istantaneamente il giorno delle nozze, ma va alimentata e
difesa costantemente con l’aiuto del Signore (Sl.127:1).
I figli risentono moltissimo dell’ambiente familiare in cui vivono: un ambiente sereno infonderà
loro sicurezza e favorirà la loro crescita spirituale. Fin da piccoli dovrebbero sentirsi parte
integrante della famiglia e si dovrebbe perciò evitare di relegarli al ruolo di spettatori passivi nelle
circostanze in cui si ritiene che la loro partecipazione non sia opportuna. Piuttosto che metterli a
tacere con un secco “Zitto tu: Non sono affari tuoi”, evitiamo di trattare certi argomenti in loro
presenza e riserviamoci dei “momenti privati” in cui confrontarci liberamente. In particolare
sarebbe bene evitare che i figli siano spettatori dei conflitti interni alla coppia, soprattutto quando
si tratta di problemi che li riguardano più o meno direttamente in modo da non creare in loro una
condizione di disorientamento e sfiducia. In ogni caso è necessario che marito e moglie
raggiungano un accordo circa la linea di condotta da seguire prima di intraprendere qualunque
iniziativa, in modo da condividerne i privilegi e le responsabilità, evitando così eventuali ed inutili
recriminazioni (Amos 3:3).
Quando siamo insieme ai nostri figli coinvolgiamoli nei nostri discorsi e diamo loro l’opportunità di
esprimersi liberamente. La conversazione è un metodo efficacissimo per suscitare in loro
opportuni sentimenti e convinzioni ed anche per correggere eventuali errori di valutazione. Se
dimostriamo di tenere in debita considerazione i loro pensieri ed evitiamo che si sentano giudicati
quando deludono le nostre aspettative, i nostri figli si sentiranno incoraggiati a cercare in famiglia
e non altrove il sostegno e l’aiuto necessario per affrontare i piccoli e i grandi problemi della loro
vita.

“I figli sono un dono che viene dall’Eterno” (Sl.127:3)

Ogni genitore dovrebbe essere consapevole di quale grande privilegio sia quello di essere lo
strumento usato da Dio per dare la vita ad una creatura umana. Per i genitori cristiani, il privilegio
è ancora maggiore poiché Dio offre loro l’opportunità di guidare i propri figli verso la vita eterna.
Quello dei genitori infatti, più che un “mestiere”, è da definirsi un “ministero”.
Si dice che genitori non si nasce e che s’impara ad esserlo giorno dopo giorno, ma è da considerare
che si è chiamati a svolgere un vero e proprio “mandato”: condurre i propri figli a Cristo. E’ questa
“l’eredità” che ogni genitore cristiano si dovrebbe preoccupare di lasciare ai figli: la fede in Dio
(Pr.13:22).
I figli crescono in fretta e a volte rimane il rimpianto di non aver fatto tutto il possibile per la loro
crescita spirituale. Certamente nessun genitore può convertire i propri figli, ma ciò non autorizza
l’indolenza e la negligenza di coloro che come Balaam sperano che i figli muoiano della morte dei
giusti (Nu.23:10), senza fare nulla affinché vivano come i giusti. Alcuni purtroppo cadono
nell’inganno di ritenere che non si possa far altro che aspettare un’opera sovrana della grazia di
Dio e non considerano che il cuore umano è paragonato alla terra: se lasciata a se stessa non
produce che erbacce (Pr.29:15).
Chiediamo ogni giorno al Signore di benedire sia noi che i nostri figli perché “ molto può la
supplicazione del giusto, fatta con efficacia “ ( Giac. 5:16 ) .

“Inculca al fanciullo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne
allontanerà” (Pr.22:6)

“Inculcare” un insegnamento significa “imprimere”, cioè far sì che esso venga interiorizzato.
Il ruolo dei genitori pertanto non è solo quello di istruire i figli, cioè di “trasmettere” loro certe
informazioni teoriche, ma soprattutto quello di educarli.
“Educare” significa modellare, formare il carattere e la personalità di un individuo, sviluppandone
le facoltà intellettuali, fisiche, morali e spirituali. L’obiettivo è quello di prepararli ad affrontare la
vita. Per i cristiani l’obiettivo primario è quello di prepararli alla vita “vera”, quella eterna e perciò
gli insegnamenti più preziosi sono quelli che riguardano Dio e il Suo piano di salvezza per
l’umanità. I principi e i metodi su cui i genitori cristiani fondano l’educazione dei propri figli
possono perciò risultare non al passo coi tempi, diversi da quelli comunemente adottati, ma sono
sicuramente i più efficaci, perché basati sulla Scrittura. Le opinioni del mondo sono instabili e
imperfette, i pensieri di Dio sono immutabili e perfetti.
L’educazione di un figlio comincia nel momento stesso in cui viene al mondo. Il bambino comincia
a comunicare da subito con i suoi genitori. Non è raro il caso di genitori che si dichiarano disposti
al dialogo e pronti ad offrire “amicizia” ai loro figli quando questi sono già adolescenti, avendo fino
a quel momento trascurato di “comunicare” con loro. Non c’è da stupirsi se in tal caso il dialogo
risulta difficile, inattuabile. E’ improbabile che un adolescente sia disposto a condividere le sue
ansie, i suoi pensieri se i genitori non si sono mostrati disponibili nei suoi confronti quando era
bambino. Troppo spesso si rischia di anteporre le esigenze del lavoro, della casa, dei rapporti
interpersonali e di riservare ai figli gli eventuali avanzi del nostro tempo e delle nostre energie. E’
invece indispensabile trascorrere del tempo con loro fin da quando sono piccoli, dimostrando di
saper entrare a far parte del loro mondo, di saper condividere i loro entusiasmi, le loro difficoltà, le
loro fantasie. Impariamo a giocare, a pensare insieme a loro. L’apostolo Paolo si faceva giudeo con
i giudei…dal canto nostro facciamoci bambini con i nostri bambini. In fondo si tratta di rispolverare
un mondo che purtroppo abbiamo dimenticato. Il tempo dedicato ai nostri figli è investito, non è
mai sprecato.
Impariamo a conoscere i nostri figli, a saperli ascoltare, a seguire i loro cambiamenti, a saper
mettere ordine nei loro pensieri senza caricarli di pesi che non potrebbero portare. Il bambino è
una persona e come tale va rispettato: non sottovalutiamo e soprattutto non ridicolizziamo i suoi
pensieri, le sue emozioni. Evitiamo che i nostri figli finiscano con il sentirci degli estranei e si
convincano che possono fare a meno di noi; potrebbero cercare altrove, forse in cattive
compagnie, ciò che non abbiamo saputo dare loro.
In una parola, dimostriamo loro che possono contare sul nostro amore, in qualunque circostanza.

“Sii d’esempio…nel parlare, nella condotta, nell’amore, nella fede, nella castità” (1Tm.4:12)

Queste parole furono rivolte dall’apostolo Paolo al giovane Timoteo e possono essere rivolte a
tutti coloro che svolgono un ministero nella Chiesa del Signore. L’esortazione è peraltro applicabile
a tutti i cristiani e in particolare ai genitori cristiani poiché, come è stato detto, essi sono chiamati a
essere ministri di Dio nella propria casa.
Gli insegnamenti, i consigli, i rimproveri servono a ben poco se non saranno accompagnati
dall’esempio. Qualcuno ha detto che dare ai bambini un buon insegnamento e un cattivo esempio
è come indicare loro con un cenno della testa la via del paradiso mentre li si prende per mano
guidandoli sulla via che porta all’inferno.
Un giovane che fu raggiunto dal messaggio evangelico mentre si trovava in prigione esclamò: ”Non
parlatemi di diventare cristiano, tutti voi cristiani non siete altro che degli ipocriti! I miei genitori si
definivano cristiani ma non dicevano mai una cosa buona di qualcuno della chiesa, incluso perfino
il mio insegnante della scuola domenicale. Neanche il predicatore era di loro gradimento; noi
bambini ascoltavamo tutta questa robaccia ed eravamo stufi di tutte queste maldicenze: Sono
stufo dei cristiani, punto e basta.”
Purtroppo storie come queste non sono rare. Difficilmente i figli percorreranno sentieri che i
genitori hanno disprezzato. Non illudiamoci che le parole siano sufficientemente convincenti. Un
genitore che si impegni a spiegare cosa sia la fede o la gioia di essere figlioli di Dio e intanto vive
una vita contrassegnata dallo scoraggiamento, dal pessimismo, dall’insoddisfazione, non può certo
sperare di risultare credibile. Così pure quel genitore che si affanna a convincere il figlio della
necessità di frequentare la scuola domenicale e che poi dal canto suo diserta la maggior parte
delle riunioni.
I bambini sono abili osservatori, percepiscono subito l’ipocrisia. E’ pertanto necessario essere di
esempio nella fede, nell’amore, nell’umiltà, nella sincerità…in qualunque manifestazione pratica o
verbale che sia. Non si sta affermando che da un genitore ci si debba aspettare l’infallibilità o la
perfezione e neppure che sia degradante mostrare ai figli i propri limiti. Si vuole invece mettere in
evidenza che l’efficacia dell’educazione impartita ai figli dipende dalla serietà con la quale i
genitori hanno preso l’impegno di essere figli di Dio e di vivere come tali nel mezzo della propria
famiglia, oltre che fuori. Se dimostriamo ai nostri figli che pur nelle nostre debolezze e nelle nostre
imperfezioni ci disponiamo a lasciarci guidare e correggere dal Padre, trasmetteremo loro la
certezza che Dio esiste e che opera nella vita di ciascuno, determinando quei cambiamenti
microscopici ma continui che rappresentano l’evidenza che la nostra resa al Signore è autentica.
Dobbiamo sempre ricordare che se Dio affida un compito, non lascia mai soli e che è sempre
pronto ad aiutare ed incoraggiare e che perciò, come genitori, potremo fare affidamento sul Suo
aiuto per poter essere un buon esempio per i nostri figli.

“Sia il vostro parlare: si, si; no, no.” (Mt.5:37)

Il processo logico dei bambini risulta spesso disarmante. C’è il bianco e c’è il nero; il grigio non
esiste. Col tempo la logica si fa meno esasperata ma hanno comunque bisogno di punti di
riferimento e di certezze stabili per costruire dei principi a cui riferire le loro esperienze. E’ per
questo che i bambini avvertono il bisogno di continue conferme o a volte assumono atteggiamenti
di sfida: per verificare la stabilità di certi principi. E’ inevitabile quindi che la mancanza di coerenza
crei nel bambino confusione e disorientamento.
Egli deve poter contare sul fatto che i suoi genitori distinguono chiaramente ciò che è giusto da ciò
che è sbagliato, ciò che è consentito da ciò che è vietato. Deve poter constatare che mamma e
papà, benché diversi, procedono concordi in qualunque circostanza, sempre sottomessi alla
volontà di Dio e fiduciosi del Suo sostegno. Sarebbe perciò poco saggio usare la figura paterna
come lo “spauracchio” di cui la madre si serve per intimorire i figli (“Vedrai quando lo saprà
papà…”) o assumere un atteggiamento di complicità (“Non diciamolo alla mamma…”) o anche
ergersi a loro difensori quando l’altro genitore li rimprovera. Il “no” del papà non può essere
contraddetto dal “si” della mamma e viceversa, altrimenti giungerebbe alla conclusione che non
esiste una valutazione oggettiva di ciò che è permesso o vietato. I figli dovrebbero essere
consapevoli che gli insegnamenti che provengono dai genitori non sono mai ingiustificati e
arbitrari ma sono fondati su precise convinzioni di ordine morale e spirituale.
Essere coerenti significa anche fare in modo che gli insegnamenti e le norme di comportamento
non dipendano da situazioni contingenti o da momentanei stati d’animo. Il bambino non dovrebbe
essere indotto a pensare che i suoi genitori decidono per comodità o per una presa di posizione,
ma dovrebbe essere consapevole che essi agiscono esclusivamente nel suo interesse e che perciò
rappresentano una guida affidabile. Se desideriamo che i nostri figli prendano sul serio i nostri
“no” dovremo stare attenti a non permettere che questi diventino dei “si” solo perché siamo
stanchi o indaffarati;lo stesso vale per i “…solo per questa volta” concessi senza una valida ragione.
E’ per questo che non bisognerebbe essere precipitosi nel parlare e che, sebbene possa a volte
risultare difficile, prima di vietare o permettere qualcosa ci si fermi a riflettere per evitare di
doversi contraddire (Pr.29:20; Gc.1:19-20). Lo stesso criterio va applicato nel caso in cui ci si
impegni a dare o a fare qualcosa La parola data va sempre mantenuta, e se proprio ci si dovesse
trovare nell’impossibilità di adempierla ci si deve preoccupare di spiegarne le ragioni.
Siamo sempre sinceri, a qualunque costo (Ef.4:25). Se veramente desideriamo che i nostri figli non
siano contagiati da una società in cui la menzogna e il compromesso vengono considerati
inevitabili, dimostriamo loro che è possibile realizzare dei rapporti basati sull’onestà e sulla lealtà.

“…allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore” (Ef.6:4)

Per “disciplina” si intende comunemente l’azione che ha per fine l’osservanza di certe norme
stabilite da un’autorità.
Per comprendere cosa la Scrittura intenda con questo termine è necessario riferirsi alla disciplina
che Dio stesso esercita nei confronti dei Suoi figlioli.(Eb.12:7,8,11) Ogni vero credente rispetta
l’autorità divina, è disposto all’obbedienza e accetta le eventuali correzioni perché è consapevole
dell’amore che Dio ha per lui e che la disciplina non ha mai uno scopo punitivo fine a se stesso ma
si propone sempre un amorevole recupero oltre che un preciso obiettivo didattico. Lo stesso
dovrebbe essere per tutti i figli che rispettano il ruolo dei propri genitori.
E’ Dio stesso ad aver disposto che i genitori esercitino autorità sui propri figli. (Pr.29:15,17) Essa
consiste nel guidare la loro vita con amore ma anche con fermezza e determinazione. Gli episodi
riguardanti la vita di Eli (1Sam.3:13) o di Davide (1Re1:6) risultano molto istruttivi: i genitori che
trascurano di disciplinare i propri figli non possono evitare sofferenze e delusioni.
La vera autorità non si impone come drastica severità, ma va conquistata mostrando di essere
degni di stima e di fiducia. Frasi tipo: “Fai come ti dico o sarà peggio per te!” indurranno forse un
figlio ad obbedire perché è costretto a farlo, ma non certo perché considera quell’ordine impartito
nel suo interesse. La rabbia e la durezza possono spaventare, ma non persuaderanno mai i nostri
figli ad ascoltarci e a credere in noi. La paura porta il bambino a chiudersi in se stesso e favorisce
l’abitudine alla falsità e all’ipocrisia.
Piuttosto che correggere, è meglio prevenire l’insorgere di qualunque atteggiamento scorretto.
Uno degli obiettivi che l’educazione si prefigge è proprio quello di inculcare delle buone abitudini
ed occorre soprattutto badare non tanto al risultato momentaneo quanto alle conseguenze a cui
possono condurre atteggiamenti inopportuni o parole sconsiderate. L’obbedienza non va estorta
con l’uso di parole amare, che feriscono profondamente, e che possono produrre danni
irreversibili. Dire per esempio a un bambino: “ Se farai questo, la mamma non ti vorrà più bene” o
peggio ancora “Gesù non ti vorrà più bene” equivale a dire che l’amore che egli riceve non è
spontaneo, ma è in funzione della sua condotta e che perciò non è una realtà su cui può fare
sempre affidamento. Per difendersi dalla sensazione di smarrimento e frustrazione che ne deriva
imparerà a farne a meno, diventando freddo e distaccato… e se un bambino chiude la porta del
suo cuore sarà molto faticoso riuscire ad aprirla. Il momento in cui invece il bambino ha più
bisogno di comprensione è proprio quello in cui ha sbagliato e magari merita una punizione. Il
rimprovero o la punizione devono essere sempre impartiti dimostrando al bambino che sono
motivati dall’amore e dall’interesse che si hanno per lui. Quando nostro figlio sbaglia sarebbe
opportuno dirgli: “Ti voglio bene, ma non posso tollerare ciò che hai fatto”. D’altra parte non è
così che Dio agisce con noi?
Il genitore che punisce solo quando “non ce la fa più”, magari in uno stato d’animo collerico e
esasperato, ha solo sfogato i suoi sentimenti repressi provocando un danno piuttosto che un
beneficio. La disciplina che non viene applicata coerentemente e razionalmente e che non è
accompagnata dalla pazienza e dalla comprensione produrrà solo scoraggiamento ed insicurezza
(Col.3:21).
E’ possibile cadere nell’eccesso opposto e cioè essere troppo indulgenti e permissivi. Lasciar fare al
bambino ciò che vuole ritenendo che non sia giusto imporgli delle regole che ancora non è in
grado di capire è come permettergli di infilare le dita in una presa di corrente fino a quando non
sarà in grado di capire cosa sia l’energia elettrica.
E’ vero che il bambino ha il diritto di ricevere le opportune spiegazioni tutte le volte in cui questo
risulta possibile, ma è altrettanto vero che deve imparare a considerare che la conoscenza e
l’esperienza degli adulti è superiore alla sua. L’umiltà è una caratteristica che si acquisisce fin da
bambini e se si vuole evitare che i nostri figli diventino orgogliosi e caparbi è necessario insegnare
loro che non possono presumere di capire ogni cosa prima di obbedire. Ragioniamo pure con i
nostri bambini, ma preoccupiamoci di far loro comprendere che devono imparare a fidarsi e che la
loro conoscenza limitata e imperfetta non consente loro di comprendere sempre il “perché” delle
cose. Isacco non pretese di sapere il quando , il dove, il come, il perché, prima di seguire il padre,
ma si sottomise alla sua volontà perché si fidava di lui. E’ importante che i figli imparino a fidarsi
dei propri genitori ed è perciò necessario che i genitori dimostrino ai figli di sapere esattamente
ciò che è bene per loro e di agire nel loro interesse. Con questo non si vuole dire che si debba
avere la pretesa di apparire infallibili. I nostri figli devono poter constatare che, pur non essendo
perfetti, ci impegniamo a far loro da guida nel miglior modo possibile. Nel caso in cui ci dovessimo
rendere conto di aver sbagliato nei loro confronti sarà certamente più educativo ammettere il
nostro errore ed eventualmente chiedere scusa, piuttosto che difendere orgogliosamente la
nostra posizione. La nostra autorità non verrà minimamente scalfita, anzi sarà proprio questo
atteggiamento di onestà a conquistare la loro stima e la loro fiducia.
Anche quelle che possono sembrare “piccole cose” non vanno sottovalutate e quindi assecondate.
Il “lasciar correre” oggi un atteggiamento lievemente irrispettoso potrebbe indurre domani a
manifestazioni di aperta ribellione. Anche se a volte procura dispiacere, è necessario saper dire di
“no” ai nostri figli e lo si deve fare senza ripensamenti e inutili discussioni (Pr.13:24). Si può essere
“amici” dei propri figli e quindi instaurare con loro un rapporto sincero, privo di formalità e di falsi
pudori, senza con questo stravolgere i ruoli che Dio ha stabilito. Gesù stesso era sottomesso ai suoi
genitori (Lc.2:51). Se non si impara a rispettare l’autorità dei genitori quando si è bambini, da
adulti non si rispetterà nessuna autorità, neppure quella di Dio (Deut.8:5). Come si può sperare di
insegnare ai nostri figli a riporre fiducia in Dio e quindi a sottomettersi alla Sua volontà se non
siamo in grado di insegnare loro ad avere fiducia in noi e ad obbedire anche quando non sono in
grado di comprenderne le ragioni? (Gio.13:7)
I nostri figli dovrebbero anche comprendere che esistono dei confini, dei limiti entro cui
circoscrivere le proprie azioni e che il superamento di questi comporta la giusta punizione
(Pr.19:18). La punizione risulta quindi educativa solo nel caso in cui la trasgressione sia volontaria e
consapevole e non quando è accidentale o non è stata preceduta da un chiaro avvertimento.
Perché la punizione, fisica o morale che sia, risulti veramente efficace, è indispensabile collegarla
con la trasgressione. Il bambino deve avere chiaro il motivo per cui viene punito, altrimenti non
saprà mai in cosa deve correggersi. Perciò piuttosto che vietare innumerevoli piccole cose solo
perché ci infastidiscono, mostriamo fermezza nell’impedire quelle che risultano effettivamente
dannose per la sua crescita, tenendo anche conto del fatto che la caratteristica dei bambini è
proprio quella di manifestare una naturale esuberanza che deve essere contenuta e non repressa.
Non è sempre facile educare con equilibrio e saggezza e nessuno può dirsi capace di impartire una
disciplina perfetta, ma avere le idee chiare circa quelli che sono i doveri che i genitori hanno nei
confronti dei figli aiuterebbe ad ottenere dei risultati graditi a Dio.

“Queste mie parole… le insegnerete ai vostri figli …” (Deut.11:19)

Spesso gli adulti non sono abbastanza consapevoli di quanto i bambini siano propensi a
comprendere le verità bibliche. Essendo ancora liberi da pregiudizi e da condizionamenti riescono
invece ad apprendere con più facilità degli adulti anche i concetti apparentemente complessi.
Gesù stesso ha dichiarato che è proprio la semplicità dei bambini a permettere l’accesso al regno
dei cieli (Lc.18:15). Pertanto non sarà mai troppo presto cominciare ad insegnare ai nostri figli cosa
sia la fede in Dio o in cosa consista l’opera redentrice di Gesù. Qualcuno ha detto che il bambino
apprende più teologia dai due ai sei anni che in tutto il resto della sua vita, se i genitori sanno
rispondere coscienziosamente alle sue domande.
Benché non sia sempre facile, è necessario impegnarsi affinché le risposte siano esaurienti, oneste
e logiche in modo da aiutarli a sviluppare delle convinzioni ben radicate e conformi alla Parola di
Dio. Piuttosto che dare risposte superficiali o inesatte sarebbe più onesto dichiarare di aver
bisogno di tempo per riflettere o per approfondire l’argomento. E’ importante che le verità
riguardanti la fede siano insegnate in modo chiaro e senza possibilità di errore (1Pt.3:15). Poiché i
bambini elaborano le risposte e le inseriscono in un contesto che vanno continuamente
ampliando, sarebbe opportuno verificare l’esatta comprensione e la giusta collocazione di quanto
viene loro insegnato. Le domande dei bambini sono delle preziose opportunità che non vanno
sprecate. Non accontentiamoci quindi di dare una risposta sbrigativa, anche se apparentemente
esauriente, ma soffermiamoci a dialogare e a riflettere insieme a loro. Cerchiamo inoltre per
quanto è possibile di collegare l’insegnamento teorico agli aspetti pratici della vita, o viceversa,
cogliamo l’occasione di un episodio di ordine pratico e riconduciamolo ad un insegnamento
biblico.
Un bambino è molto più propenso ad imparare da un semplice racconto piuttosto che da una
lunga predica e la Bibbia è ricchissima di storie istruttive che possono essere raccontate a seconda
delle circostanze. I nostri figli dovrebbero essere consapevoli fin da piccoli che la Bibbia non è un
libro qualsiasi, ma che è la Parola di Dio a cui la famiglia fa riferimento in ogni circostanza della vita
quotidiana (2 Tim. 3:16) .
Allo stesso modo dovrebbero comprendere che se la Bibbia è il mezzo scelto da Dio per parlare
agli uomini, la preghiera è lo strumento di cui l’uomo dispone per parlare a Dio. La preghiera è il
primo passo che i nostri figli possono compiere nel loro cammino di fede. Incoraggiamoli quindi a
rivolgersi a Dio e ad esprimere liberamente i loro sentimenti, i loro timori e i loro bisogni.
Un momento che non dovrebbe mancare in ogni famiglia cristiana è quello riservato al culto in
famiglia. Oltre ad essere motivo di edificazione, esso offre l’opportunità di insegnare ai nostri figli
che nonostante i mille impegni quotidiani, sappiamo dare a Dio la giusta priorità ( Dt. 8:18) .
In ogni circostanza insegniamo loro che è doveroso accostarsi a Dio con riverenza e che neppure il
fatto di essere suoi figlioli ci autorizza a sottovalutare la Sua santità e la Sua maestà (Eb.12:28).
Bambini che vagano rumorosi tra i banchi della chiesa o adolescenti che sghignazzano parlottando
fra loro durante i culti non sono solo motivo di distrazione, ma denunciano anche la scarsa cura
che i genitori hanno della loro educazione cristiana. I nostri figli dovrebbero essere incoraggiati fin
da bambini a partecipare ai culti e a considerare che durante la preghiera Dio è pronto ad
ascoltare anche i più piccoli e che la predicazione della Parola può essere, almeno in parte
compresa anche da loro. Una volta tornati a casa, preoccupiamoci di chiedere loro se qualcosa è
risultata poco chiara e soffermiamoci sui punti fondamentali di ciò che hanno visto e udito. Col
tempo in loro nascerà spontaneamente il desiderio di conoscere sempre meglio le cose di Dio e di
partecipare attivamente alla vita della comunità. Se, come alcuni ritengono,i bambini non fossero
davvero in grado di partecipare ad un culto, non si spiegherebbe perché nella Scrittura venga più
volte citata la presenza dei bambini nelle riunioni ( Es. 10:9; Giosuè 8:35; Atti 21:5) . In realtà
anche i bambini hanno bisogno di realizzare la presenza del Signore. La partecipazione alle
riunioni, più che un dovere, è un grande privilegio. Facciamo in modo che i nostri figli siano
coscienti del fatto che non è Dio ad aver bisogno di loro ma che sono loro, come noi, ad aver
bisogno di Dio in modo che,insieme a noi, possano pregare :“O Eterno, insegnami la tua via; io
camminerò nella tua verità; unisci il mio cuore al timor del tuo nome” (Sl.86:11) .

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