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Interpreti formidabili di una trama scritta nei secoli, siamo consumatori indaffarati a
svolgere il ruolo di apparenti “sovrani” del sistema, che nel mitico gioco di equilibrio
bisogni. Ma da decenni il mito della “sovranità del consumatore” – ancor oggi insegnato
sui banchi delle scuole di economia – è stato smontato. Ad esempio già dall’Ottocento
“spersonalizzante” dei rapporti umani, ognuno può farsi da sé, migliorare il proprio
status e parlare di sé e del suo successo attraverso l’ostentazione dei propri consumi.
di breve periodo. Con un’industria del marketing, del branding, della pubblicità e della
comunicazione che assorbe oltre la metà dei bilanci delle imprese, l’applicazione di
sulla pelle degli esclusi dal mercato e del pianeta ma necessari a foraggiare pochi e
grandi gruppi di potere economico e finanziario. Indifferente ai limiti posti dal pianeta
indifferente ai diritti e alla dignità umane e alla sovranità popolare, il sistema procede
sulla via della crescita senza limite sostenuto da un’ideologia che ha attraversato i
confini degli stati, che ha permeato gli organi di governo, le istituzioni a tutti i livelli,
introdurre quei “correttivi del mercato” che aiutino a tenere conto che c’è bisogno qua
Con lo stesso criterio si pensa di correggere i numeri che descrivono il sistema. Il Pil,
Il Pil infatti è un indicatore che misura la crescita economica, ovvero quanta ricchezza
l’anno); ricchezza intesa come reddito creato dal processo di produzione. Un esempio:
e grazie al lavoro del collaboratore e del mulino, trasforma il grano in farina che
rivende ad un fornaio. La differenza tra il ricavato dalla vendita della farina e il costo
di acquisto del grano è il Pil, ovvero il “valore aggiunto” che si è creato grazie
all’impiego del lavoro e del capitale (la ricchezza immobilizzata nel mulino) e grazie al
rischio d’impresa sostenuto dal mugnaio. Il Pil, dunque è il reddito in senso ampio che
Per comprendere cosa ha mosso molti studiosi nel tempo a mettere in discussione il
Pil, è utile guardare a cosa c’è effettivamente nel Pil: peccando di generalizzazione,
possiamo dire che c’è tutto ciò che si scambia sul mercato e che ha un prezzo in
anche eticamente contestabile - come la produzione e vendita di armi). Cosa non c’è?
Non c’è tutto ciò che non si scambia sul mercato: cura dei figli, baratto, volontariato,
auto-riparazioni, autoproduzioni. Chiaramente i beni e servizi entrano nel Pil con il loro
valore di scambio: per cui un’automobile vale più di un chilo di pane, anche se senza
pane non si vive e senz’auto si potrebbe!! Non rientrano nel Pil neanche le cosiddette
deteriora… Ma il deterioramento del fiume non fa diminuire il Pil (in quanto riduzione
di ricchezza), anzi: le spese per ripristinare la qualità del fiume lo faranno aumentare.
E per finire il Pil è un numero solo: ci dice quanto è stato prodotto ma da solo non ci
dice come si distribuisce la ricchezza tra chi l’ha prodotta (lavoro, capitale investito,
rischio d’impresa).
Di fronte a questo tipo di indicatore è quindi lecito chiedersi: il Pil misura il benessere
correggere il Pil, perché in esso siano anche quantificate in moneta le attività non di
mercato (cura dei figli, cura della casa,…) e il danno ambientale (quanto vale di meno
evidenza come la crescita del Pil realizzata negli ultimi decenni sarebbe stata molto
Se si corregge il Pil, avremo un solo numero nel quale attraverso convenzioni contabili
e ipotesi di calcolo, avremo dato un prezzo a ciò che non ha prezzo ma non avremo la
un solo indicatore. La sintesi non dà conto della complessità della realtà. Per guardare
C’è parte della realtà quantificabile e già quantificata: la ricchezza di altri indicatori
può da subito entrare a pieno titolo nelle agende e nelle scelte politiche.
Ad esempio l’agenzia dell’Onu per lo Sviluppo (UNDP) nel pubblicare ogni anno il suo
rapporto sullo “sviluppo umano” ci dice che “il reddito è certamente uno dei mezzi
principali per espandere le scelte e il benessere, ma non è tutto nella vita delle
persone”. E così, nel rapporto UNDP accanto al Pil di ogni paese compaiono tassi di
L’Istat, che ha il compito di calcolare il Pil, pubblica ogni anno anche la Namea, ovvero
una tavola dove accanto alla produzione realizzata da ogni settore produttivo e
quantità di inquinanti e rifiuti prodotti nel loro “contributo” all’effetto serra, alla
Affiancare indicatori di altra natura al Pil ci dice dove stiamo andando a vantaggio di
statistico!
E’ il Pil che non ci piace oppure è ciò che rappresenta? Ci interessa cambiare il Pil o il
sistema di riferimento?
Penso che il Pil faccia bene il suo mestiere di “indicatore di crescita”. Il punto è
trattarlo come tale. L’errore è stato nel tempo ritenere che la crescita economica
coincidesse col benessere; l’errore è nel fatto che le politiche economiche rispondono
solo a obiettivi di crescita; che i vincoli per stare in Europa sono espressi da
soddisfazione dei bisogni possibile solo acquistando merci sul mercato; che prescinde
dai costi sociali e ambientali, anzi li vede come opportunità di crescita ulteriore.
Federica Battellini
(Laboratorio Itinerante sulla Decrescita – Roma)