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DIOTTO ALESSANDRA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO


MATRICOLA 843670

LEGISLAZIONE DEI BENI CULTURALI

CAPITOLO I – LE ORIGINI DELLA TUTELA

La tutela del patrimonio artistico affonda le sue radici nel Rinascimento, uno dei primi provvedimenti a
riguardo è la bolla Cum almam nostram urbem, emanata da papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) nel
1462: questa imponeva il divieto di distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti -
senza previo ottenimento di una licenza del pontefice - in tutta Roma e provincia, anche se posti in aree di
proprietà privata.
Successivamente, nel 1474 la bolla Cum provida di papa Sisto IV (Francesco della Rovere) vietò la
spoliazione delle chiese dai marmi e dagli antichi ornamenti.
Va notato che l’interesse dei pontefici nel mantenimento dei monumenti e del patrimonio artistico in Roma
si inquadrava nel progetto di conservazione delle tradizioni storiche che connettevano la Roma imperiale
divenuta cristiana al papato.
Questo interesse si intensificò ulteriormente nel corso del tempo: nel 1646 fu introdotto l’Editto sopra
l’estrattioni e cave, in cui si introducevano i primi fondamenti della legislazione di tutela in quanto i beni
artistici erano ora assoggettati ad una licenza per poter essere esportati e così gli scavi archeologici, ora
sottoposti all’obbligo di denuncia alle pubbliche autorità. Queste misure furono necessarie per la
salvaguardia dell’immenso patrimonio romano, oggetto di mire dei principi stranieri e dei mercati al
servizio dei ricchissimi collezionisti europei. Molte opere iniziarono ad essere acquistate da parte dello
stato per costituire musei pubblici, inoltre furono introdotti dei vincoli fedecommissari sulle collezioni per
garantire che i beni fossero ereditati e trasmessi in blocco in linea diretta.
Nel 1726 l’editto del cardinale Annibale Albani proibì l’estrazione di statue di marmo, metallo, figure e
antichità adducendo tra le motivazioni la necessità di conservare il patrimonio in quanto fonte di erudizione
sacra e profana ma anche in quanto fonte di interesse da parte dei forestieri. Altri editti simili furono
emanati da Alessandro Albani nel 1733 e da Silvio Valenti Gonzaga nel 1750.
Anche altri stati preunitari avvertirono la necessità di tutelare il proprio patrimonio artistico, ad esempio
Carlo III di Borbone promosse gli scavi a Ercolano nel 1738 e a Pompei nel 1748.
Un contributo fondamentale dal punto di vista ideologico è sicuramente quello di Winkelmann che, nel
1764, pubblicò l’opera che fece superare all’Europa l’approccio agli studi antiquari e mutò totalmente il
gusto artistico con un’impostazione scientifica.

Tra il 1796 e il 1815 molte opere d’arte conservate a Roma furono oggetto di vicende particolari: durante
le compagne d’Italia Napoleone saccheggiò diverse città, avvalendosi dello jus predae, per arricchire il
patrimonio francese, che aveva subito diverse distruzioni durante la fase rivoluzionaria. Una commissione
appositamente creata organizzò la razzia di motle opere d’arte nei ducati di Modena e Parma, nello Stato
pontificio e nei territori della Repubblica di Venezia. L’Apollo del Belvedere, il Laocoonte e la quadriga di
bronzo di San Marco, ad esempio, furono trasportati in territorio francese.
Il saccheggio bellico fu legittimato giuridicamente dal trattato di Tolentino del 1797, che sancì la pace tra la
Francia e la Santa Sede autorizzando il prelievo di cento opere a scelta.
Il furto delle opere fu contrastato anche in Francia da studiosi del calibro di Quatremère de Quincy, che
scrisse una serie di lettere, poi raccolte in un libello pubblicato a Parigi intitolato Lettres a à Miranda nel
1796.
Le lettere posero il fondamento ideologico di una parte importante della legislazione italiana e delle
convenzioni internazionali sulla tutela dei beni culturali:
o Nella prima lettera si sottolinea la necessità di considerare la comunità culturale europea come
una repubblica generale delle arti e delle scienze, i cui membri sono legati dall’amore per la
ricerca del bello e del vero, compresa la conservazione del patrimonio artistico.
o Nella seconda lettera l’Italia viene indicata come un museo generale delle arti, un luogo di studio
per tutti gli intellettuali perché qui la comunità europea trova la base dei suoi modelli e monumenti
dell’antichità.

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o Nella terza lettera viene espresso il principio secondo cui “dividere è distruggere”, sottolineando il
valore dell’unità del patrimonio artistico di Roma. “Spezzettare il museo di antichità di Roma
sarebbe una ben più alta follia, e con una conseguenza irrimediabile”.
o Nella quinta lettera l’autore insiste su una concezione universale dell’arte e del valore complesso
dei monumenti dell’antichità di Roma, criticando le spoliazioni e sostenendo la necessità di ogni
artista di andare a studiare presso Roma.
L’opera di de Quincy, sebbene sia passata praticamente inosservata a suo tempo, è oggi di grande valore
ed ha lasciato un’eredità ben visibile nell’ambito legislativo italiano e internazionale, ad esempio nella
convezione dell’Aja 1954 e nel Gatt.

Nel 1815, Papa Pio VII (Gregorio Barnaba Chiaramonti) ed il segretario di stato, il cardinale Ercole
Consalvi, inviarono Antonio Canova, all’epoca sovraintendente delle Belle Arti a Roma, a Parigi con
l’incarico di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi.
Oltre alle resistenze politiche, l’artista dovette affrontare anche l’ostacolo giuridico costituito dal trattato di
Tolentino del 1797. Canova scelse di far ristampare a Roma e a Parigi le Lettrés a Miranda da utilizzare
come fondamento ideologico della sua richiesta, la situazione tornò favorevole alla richiesta romana
quando anche l’imperatore d’Austria avanzò pretese sulle opere sottratte dai Ducati di Modena e di
Parma, tuttavia Canova riuscì ad ottenere solo una parte delle opere trafugate: tra queste l’Apollo del
Belvedere.

Già prima dell’azione di Canova, conseguente alla caduta di Napoleone, le scelte dello Stato pontificio
appaiono decisive per lo sviluppo della moderna legislazione in merito alla tutela del patrimonio artistico.
Nel 1802, infatti, il cardinale Giuseppe Doria Pamphilj emanò un editto di Pio VII: il chirografo Chiaramonti,
redatto da Carlo Fea, che ribadiva con vigore il divieto di esportazione delle opere d’arte e quello di
distruggere gli edifici antichi pubblici o i loro resti anche se posti su aree di proprietà privata, come già
imposto dalla bolla Cum Almam Nostram Urbem del 1462, ed aggiunse varie altre disposizioni per la tutela
del patrimonio artistico di Roma, impoverito dalla razzia napoleonica. Stabilì inoltre il divieto di mutilare,
spezzare, alterare o danneggiare statue, bassorilievi, cippi, lapidi ed altri monumenti.
Lo stesso tipo di divieto relativo era imposto anche per le restaurazioni, le alinazioni o le rimozioni di
elementi architettonici o decorativi. Le violazioni erano sanzionate pesantemente.
Gli incaricati a vigilare sul rispetto di queste imposizioni erano il Commissario delle Antichità e l’Ispettore di
Belle Arti, che potevano eventualmente rilasciare licenze per il trasporto o la distruzione di oggetti senza
pregio o facilmente convertibili. Al Commissario e all’Ispettore erano sottoposti degli Assessori,
costituendo così un vero e proprio apparato amministrativo di tutela.
La tutela fu ripresa e sviluppata ulteriormente dall’editto Pacca del cardinale Bartolomeo Pacca nel 1820,
che costituì il fondamento per la legislazione italiana.

Dopo l’unità d’Italia per molti decenni mancò una vera e propria legge di tutela del patrimonio artistico. Nel
1871, con la l.286/1871, fu disposto che continuassero ad avere vigore le leggi ed i regolamenti speciali
preunitari. Per quanto riguarda lo Stato Pontificio rimasero dunque in vigore l’Editto Pacca del 1820 e il
Chirografo Chiaramonti del 1802.
La l.286/1871 regolò anche le collezioni d’arte secondo il principio “dividere è distruggere”, espresso da
Quatremère de Quincy, nel tentativo di proteggere la loro integrità: spesso in passato molte collezioni
erano state adeguatamente protette dagli stessi proprietari mediante l’imposizione di un fedecommesso,
che obbligava la trasmissione al secondo erede già designato dal testamento evitando così lo
smembramento del patrimonio ereditario. Vincolate dal fedecommesso erano le collezioni di Albani,
Barberini, Borghese, Corsini, Doria Pamphilj, Ludovisi Boncompagni, Rospigliosi, Spada Veralli, Torlonia e
Valentini.
Tuttavia i fedecommessi costituivano una limitazione alla circolazione dei beni considerata contraria alle
nuove esigenze di libertà dello sviluppo dei traffici e dei commerci, dunque furono aboliti nel 1865 con
l’art.24 del Codice Civile, che attribuì la proprietà dei beni al possessore in quella data scogliendo anche i
vincoli antecedenti retroattivamente.

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Nel 1871, tuttavia, ci si rese conto che lo scioglimento dei fedecommessi avrebbe potuto comportare
notevoli perdite alle gallerie, alle biblioteche ed alle collezioni d’arte, e, per evitare una possibile
dispersione, la l.286/1871 ribadì l’inalienabilità e l’indivisibilità delle collezioni. Zanardelli, per ovviare alla
necessità di trasferire la collezione Corsini - sottoposta a vincolo ex fedecommissario - allo Stato italiano
attenuò l’inalienabilità, pur mantenendo il divieto assoluto, a titolo oneroso o gratuito ammettendo
l’alienazione in favore di enti pubblici o enti morali con la l.146/1883.
Le leggi del 1871 e del 1883 sulla disciplina delle collezioni già oggetto di fedecommesso sono
attualmente in vigore.

Poco dopo l’emanazione delle leggi sulle collezioni ex fedecommissarie, furono emanate diverse leggi
speciali per la tutela dei singoli monumenti di proprietà pubblica ma per lungo tempo mancò una legge
generale di protezione del patrimonio artistico italiano di proprietà privata. Questo a causa degli ideali
liberali dell’Italia del tempo, di cui il codice civile del 1865 era impregnato. Fu dopo più di trent’anni che il
deputato Giovanni Rosadi propose di valicare il concetto di proprietà privata per “un alto e generale
interesse della nazione che si sovrappone all’esercizio privato”. Solamente nel XX secolo si affermò
compiutamente un interesse pubblico alle cose di antichità e d’arte, come espressione della civiltà del
paese: per questo questi oggetti, pur rimanendo di proprietà privata, furono assoggettate ad una tutela
pubblica con limitazioni delle facoltà proprietarie.
EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA SULLA TUTELA
La prima legge generale di protezione del DEI BENI CULTURALI
patrimonio artistico ed archeologico fu la  LEGGE NASI – L.185/1902
l.185/1902, detta legge Nasi, recante disposizioni  LEGGE ROSADI – L.364/1909 >> CON REGOLAMENTO
PER LA SUA ESECUZIONE R.D.363/1913 E R.D.1163/1911
circa la tutela e la conservazione dei monumenti ed  L.1089/1939
oggetti aventi pregio d’arte o di antichità.  TESTO UNICO 1999 (CONTIENE PER LA PRIMA VOLTA
ARCHIVI E PAESAGGIO)
L’applicazione della legge Nasi fu tuttavia differita  CODICE DEI BENI CULTURALI 2004
fino all’entrata in vigore della l.364/1909 sulle
antichità e belle arti, nota come legge Rosadi, cui PER LE COLLEZIONI EX FEDECOMMISSARIE: L.286/1871 E L.
ZANARDELLI DEL 1883
fece seguito il regolamento per la sua esecuzione
emanato col regio decreto n.363/1913.
La legge Rosadi rimase in vigore fino a quando fu abrogata e sostituita dalla l.1089/1939, sulla tutela delle
cose di interesse artistico e storico, che fu modificata in alcune sue parti ma rimase in vigore per
sessant’anni.
La disciplina degli archivi, che storicamente era sempre stata distinta e disciplinata in particolare dal d.P.R
1409/1963, fu inglobata nel Testo Unico del 1999, il primo a comprendere anche le bellezze naturali e i
beni ambientali.
Al Testo Unico ha fatto seguito il Codice dei Beni Culturali emanato nel 2004 – che ha subito modifiche nel
2006 e 2008 - che è andato ad affiancare i preesistenti regolamenti disciplinati dal r.d. 363/1913 e dal r.d.
1163/1911. È importante sottolineare che le collezioni ex fedecommissarie continuano ad essere
disciplinate dalla l.286/1871 e dalla l. Zanardelli del 1883.

CAPITOLO II – LA TUTELA INTERNAZIONALE ED EUROPEA

La tutela del patrimonio culturale costituisce l’impegno di ogni singolo Stato ma si svolge anche sul piano
internazionale mediante accordi stipulati dagli Stati nonché mediante l’attività di organizzazioni
internazionali.
Nel 1946 fu istituita l’Unesco, che si propone di favorire gli scambi culturali internazionali, l’educazione
popolare, la diffusione della cultura, lo sviluppo del sapere e di contribuire al mantenimento della pace ed
alla difesa delle libertà fondamentali dell’uomo. L’Unesco opera con una serie di iniziative proprie ma
anche promuovendo la formazione di convenzioni internazionali aperte all’adesione degli Stati.
Una delle prime convenzioni internazionali promosse dall’Unesco è stata quella firmata all’Aja il 14 maggio
1954, intitolata Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato.
Grazie a questa convenzione fu introdotta per la prima volta nel lessico giuridico italiano l’espressione
“beni culturali”, in sostituzione di “cose d’interesse artistico e storico” come da l.1089/1939.

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Nella convenzione dell’Aja è palese l’influsso delle posizioni sostenute da Quatremère de Quincy, in
particolare il concetto di una Repubblica generale delle arti e l’idea che un danno ai beni culturali sia un
danno al patrimonio culturale dell’umanità intera.
o Nell’art.1 si da una definizione di beni culturali: beni mobili o immobili che presentano grande
importanza per il patrimonio culturale dei popoli in quanto dotati di interesse storico o artistico. Gli
edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare o esporre beni culturali come
musei o biblioteche. Infine i centri detti monumentali, dove si raggruppano gli edifici
precedentemente detti.
o Art.2 chiarisce che il fine della convenzione è la salvaguardia ed il rispetto dei beni culturali
o I successivi articoli definiscono gli impegni delle parti contraenti: rispettare i beni sul proprio
territorio e anche sul territorio delle altre parti, astenendosi dall’utilizzazione, distruzione o
deterioramento in caso di conflitto armato dei suddetti.
o La convenzione si presenta come un superamento esplicito dello jus predae.
o Vengono inoltre definite alcune misure di conservazione necessarie in stretta collaborazione con
l’autorità delle parti contraenti che si impegnano, in tempo di pace, a inculcare nel personale
militare uno spirito di rispetto nei confronti delle culture e che costituiscano un limitato numero di
rifugi destinati ad ospitare i beni culturali in caso di conflitto armato.
o Anche il trasporto è posto sotto speciale protezione e comporta l’esenzione da confisca o da
cattura.
La convenzione dell’Aja, pur essendo dotata di un grande valore ideale presenta diversi limiti:
o Non dispone nulla circa le distruzioni, i furti o i sacchetti di beni culturali. Non presenta sanzioni,
l’unica misura che permette alla convenzione di essere rispettata è il giudizio politico.
o Dispone solo per il futuro dunque non è retroattiva.
o Obbliga solamente gli stati contraenti (126 paesi).
o Le parti in guerra civile non si sono sentite vincolate, nel corso degli anni, all’osservanza della
convenzione.
o L’adesione non costituisce una garanzia di effettivo rispetto della convenzione perché manca
un’autorità superiore ai singoli stati che faccia la rispettare, mediante controlli preventivi o
sanzioni successive. Ad esempio il museo di Kuwait City fu saccheggiato nel 1990 dall’Iraq, in
occasione dell’invasione del Kuwait, sebbene entrambi gli stati avessero firmato la convenzione
del 1954.
o Non prevede una protezione da quelle
IL CASO DELL’OBELISCO DI AXUM
parti, nei conflitti, che non hanno la
L’obelisco di Axum è una stele funeraria del III d.C. in pietra basaltica qualifica di stati. Ad esempio, in ex
scura, trafugato nel 1937 in occasione della guerra d’Africa e
collocato a Roma nella zona del Circo Massimo. Jugoslavia, i bombardamenti croati del
La convenzione dell’Aja del 1954 non è reotroattiva tuttavia, l’Italia 1993 hanno distrutto lo Stari Most, un
democratica si era impegnata, in segno di rispetto dei principi
generali espressi dalla convenzione, a restituire l’obelisco all’Etiopia vecchio ponte eretto nel Neretva. Sempre
già col trattato di pace del 1947, poi col trattati di Addis Abeba nel nel 1993 alcuni attentati politico-mafiosi
1956.
L’impegno è stato adempiuto nel 2005. hanno colpito la galleria degli Uffizi a
Firenze.
Ciò che mantiene, indubbiamente, più alto il livello di difesa dei beni culturali è la pace.

I valori sostenuti nelle Lettrés a Miranda del 1796 non sono presenti solamente all’interno della
convenzione dell’Aja del 1954, bensì anche nella convenzione di Parigi del 1972 sui beni immobili. Questa
convenzione è significativa perché costituisce un esempio di come il diritto internazionale proceda verso la
regolamentazione degli interessi dell’umanità intera e non tanto dei singoli paesi, ad essa hanno aderito
191 paesi.
o Il preambolo chiarisce i presupposti e le finalità della convenzione, sostenendo che la
degradazione o la sparizione di un bene del patrimonio culturale costituisce un impoverimento
nefasto per tutti i popoli del mondo. Sottolineando la necessità di un’assistenza collettiva e
dell’azione di ciascuno stato che la completi in maniera efficace.
o L’art.1 definisce il patrimonio culturale in: monumenti, complessi e siti.

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o L’art.4 dispone che ogni Stato parte della convenzione riconosca l’obbligo di assicurare
l’identificazione, la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale,
facilitandone così la trasmissione alle future generazioni. La tutela deve essere effettuata
utilizzando al massimo le proprie risorse economiche, tecniche, artistiche o scientifiche e, in caso
di necessitò, fruendo dell’auto e della cooperazione internazionali.
o L’art.5 definisce la misure essenziali per la tutela: ad esempio assicurando i beni nelle mani di un
personale adeguato e qualificato, dotato di mezzi che consentano i compiti che competono loro.
Attraverso l’adozione di norme giuridiche adeguate alla loro protezione, disposizioni scientifiche e
finanziare sufficienti.
o Nel pieno rispetto della sovranità dei singoli stati la convenzione invita alla cooperazione
internazionale per la tutela del patrimonio culturale in due diverse direzioni: la prima di carattere
negativo, secondo l’art.6, ogni stato si impegna a non adottare deliberatamente alcuna misura
che possa danneggiare direttamente o indirettamente il patrimonio culturale situato negli terriotri
degli altri stati contraenti. La seconda di carattere positivo, ovvero costituendo un sistema di
cooperazione e assistenza miranti a favorire la preservazione.
o Presso l’Unesco viene costituito il Comitato del patrimonio mondiale, l’elenco del patrimonio
mondiale e l’elenco del patrimonio mondiale in pericolo, per il quale si richiede assistenza
economica all’interno della convenzione. Il Comitato decide come utilizzare le risorse del Fondo
del patrimonio mondiale.
o Sebbene l’obbligo di assicurare la conservazione del patrimonio culturale situato sul proprio
territorio non sia dato per scontato una violazione di questo è da ritrovarsi negli eventi che hanno
coinvolto la balle di Bamyan in Afghanistan nel 2001, quando furono distrutte per fanatismo
religioso due statue di Buddha del II-III secolo d.C.

Ancora prima della convenzione del 1972 sui beni immobili, l’Unesco promosse a Parigi una convenzione
del 1970 che riguarda i beni mobili, per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e
trasferimento di proprietà dei beni culturali a titolo religioso o profano.
o L’eredità di de Quincy è sicuramente da ritorvarsi nel principio per cui i beni culturali vanno
protetti e tutelati nel proprio contesto originale.
o Secondo la convenzione i beni culturali non vanno assimilati a beni qualsiasi pertanto è
nell’interesse dei paesi contraenti e della comunità internazionale limitare e controllare la
circolazione degli stessi. La convenzione non vieta in modo assoltuto esportazione e
importazione dei beni culturali ma prevede dei controlli pubblici.
o L’art.5 sottolinea la necessità di predisporre dei servizi nazionali di tutela del patrimonio culturale,
dotati di personale qualificato e competente. Inoltre predisposizione la costituzione di un
inventario nazionale di protezione, una sorta di lista contenente tutti i beni più importanti sia
pubblici che privati.
o L’art.6 prevede la creazione di un appropriato certificato mediante il quale lo Stato esportatore
specifica che l’esportazione è autorizzata, la proibizione assoluta di esportazioni prive del
certificato e prevede anche che queste limitazioni vengano rese note al pubblico.
o L’art.7 stabilisce che i paesi contraenti si impegnino a rimediare all’importazione dei beni culturali,
qualora non riuscissero a prevenirla, dedicandosi in particolare all’adozione di misure necessarie
per impedire ai musei e altre istituzioni similari poste sul proprio territorio l’acquisizione di beni
provenienti da un altro stato contraente illecitamente. Proibendo l’importazione dei beni culturali
rubati in un museo o in un monumento pubblico civile o religioso. Adottando misure adeguate per
recuperare e restituire, su richiesta dello Stato d’origine, il bene rubato o importato illecitamente a
condizione che lo Stato richiedente versi un cospicuo indennizzo all’acquirente in buona fede.
o L’art.10 impegna gli stati a fare ogni sforzo per educare adeguatamente il pubblico al sentimento
del valore dei beni culturali e a fare in modo che i servizi internazionali collaborino in caso di
reperimenti e restituzioni di beni importati illegalmente o rubati.

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Il valore del mantenimento dei beni culturali nel loro paese d’origine non è affermato solo dalla
convenzione di Parigi del 1970, ma anche dalla convenzione Unidroit del 1995, firmata a Roma al fine
principale di tutelare gli acquirenti in buona fede di beni culturali illecitamente esportati oppure rubati.
o L’Unidroit non è un’alternativa alle altre convenzioni, si affianca al fine di stabilire un corpus
minimo di regole giuridiche comuni ai fini della restituzione e del ritorno dei beni culturali tra Stati
contraenti.
o Aderiscono solo 36 stati.
o L’art.3 stabilisce un limite di tempo entro cui deve essere richiesta la restituzione dei beni
culturali, dai tre ai sessantacinque anni a seconda dei casi.
o L’art.5 stabilisce che deve essere ordinato il ritorno di un bene nel caso in cui lo Stato richiedente
dimostri che il bene ha un’importanza culturale significativa oppure che la conservazione fisica
del bene o del suo contesto sono compromessi, l’integrità e la conservazione dell’informazione
storica o scientifica sono a rischio o anche che il bene ha un’importanza tradizionale o rituale.
o Per quanto riguarda la legislazione italiana, la convenzione Unidroit costituisce una modifica
all’art.1153 c.c., che esprime la regola del possesso vale titolo, che risulta derogata all’interno
delle sfumature e dei casi trattati dalla convenzione.
o L’interesse economico è comunque tutelato dalla convenzione: l’acquirente in buona fede ha
diritto, al momento della restituzione, al pagamento di un equo indennizzo a condizione che non
abbia saputo o non avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che il bene era stato rubato ed ha
agito con diligenza durante la fase di acquisto.
o La convenzione non si applica all’interno degli stati membri dell’Unione Europea, che regolano i
rapporti con la direttiva 93/7/CEE.

Il valore della conservazione dei beni culturali nel loro contesto è riconosciuto anche dal GATT del 1947,
l’accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio. Il GATT è un accordo internazionale contenente
un complesso di regole fondate sulla non discriminazione e sul divieto di restrizioni quantitative agli
scambi internazionali, nell’accordo tuttavia sono riconosciute caratteristiche e trattamenti peculiari ai beni
culturali.
Il GATT è stato rinnovato nel 1994, l’art.XX sui beni culturali è rimasto tuttavia in vigore totalmente
invariato.

Nel marzo del 1957 a Roma fu firmato il trattato istitutivo della CEE, la comunità economica europea,
costituita dapprima da sei poi da ventotto paesi. Il trattato di Roma fu ripetutamente e largamente
modificato dall’Atto unico europeo di Lussemburgo del 1986, dal trattato sull’Unione Europea di Maastricht
del 1992, dal trattato di Amsterdam del 1997 ed infine dal trattato di Lisbona del 2007.
L’art.5 del trattato di Maastricht 1992 impegna gli IL CASO: ITALIA CONTRO CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
stati aderenti a considerare gli oggetti di valore
La l.1089/1939, all’epoca in vigore in Italia, imponeva una tassa
culturale europeo posti sotto al suo controllo come progressiva sul valore durante l’esportazione dei un bene culturale,
parte integrante del patrimonio culturale d’Europa e oltre alla necessità di ottenimento di una licenza.
La tassa era stata imposta a tutela dei beni, poiché generalmente
di incoraggiare la cooperazione per la salvaguardia e venivano allontanati dal paese col fine di essere alienati ed essa
la conservazione del patrimonio. permetteva allo Stato di ottenere fondi sufficienti all’acquisto di nuovi
beni sostitutivi.
Già con il trattato di Roma del 1957, la comunità La Corte di Giustizia Europea nel 1968 affermò tuttavia che tali divieti
europea, che intendeva creare un mercato comune e restrizioni non fossero in linea con lo spirito comunitario e l’Italia fu
costretta a ratificare la sentenza della Corte europea nel 1972,
caratterizzato dalla libera circolazione delle merci, esentando i beni culturali in movimento verso altri membri della
delle persone e dei servizi, vietando i dazi doganali e comunità dalla tassa di esportazione.
le restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita ha
riconosciuto la peculiarità dei beni culturali, lasciando impregiudicati i divieti e le restrizioni
all’importazione, esportazione o transito al fine di proteggere il patrimonio artistico, storico o archeologico.
Il trattato non imponeva un divieto di circolazione dei beni culturali tra singoli paesi della comunità, tuttavia
erano lasciati liberi di disporre a proprio piacimento in tal senso.
Le disposizioni del trattato di Roma sulla circolazione dei beni culturali sono state confermate anche
dall’Atto Unico europeo firmato a Lussemburgo nel 1986, la realizzazione dell’Unione Europea non ha

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dunque comportato il disconoscimento delle specificità dei patrimoni culturali nazionali e il tramonto delle
dispozioni precedenti.
L’applicazione dell’accordo di Schengen del 1985, ha comportato la soppressione dei controlli alle
frontiere interne tra i paesi aderenti all’accordo, in via ordinaria. L’eliminazione dei controlli sistematici alle
frontiere rende più difficile il controllo da parte dei singoli Stati sull’osservanza delle proprie disposizioni
circa la limitazione della circolazione dei beni culturali.

L’esportazione dei beni culturali fuori dall’Unione europea è stata disciplinata dal regolamento
n.3911/92/CE, codificata nel regolamento 116/2009/CE: il regolamento riguarda i rapporti commerciali con
paesi terzi e ha solo finalità di istituire un regime controlli uniformi alle frontiere esterne dell’Unione.
Questo regime consiste in una licenza di esportazione, rilasciata dal paese in cui il bene culturale da
esportare si trova lecitamente e definitivamente dalla data del 1 gennaio 1993. La licenza di esportazione,
o autorizzazione, può essere rifiutata nel caso in cui i beni culturali in questione siano tutelati in quanto
patrimonio nazionale. La licenza di esportazione è valida in tutta l’Unione e ciascuno Stato stabilisce le
sanzioni da applicare in caso di violazione del regolamento comunitario.

La direttiva n.93/7/CE riguarda invece la circolazione dei beni culturali tra paesi membri dell’Unione.
Questa direttiva ha istituito il diritto degli Stati membri della Comunità di ottenere la restituzione dei beni
culturali usciti dal proprio territorio dopo il 1 gennaio 1993, in violazione delle disposizioni nazionali sulla
protezione del patrimonio culturale o di quelle del regolamento 116/2009/CE.
L’azione di restituzione si prescrive nel termine dei trent’anni dalla data in cui il bene culturale è uscito
illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente. Il termine di prescrizione è elevato a
settantacinque anni nel caso di beni delle collezioni pubbliche e dei beni ecclesiastici, a meno che non vi
siano accordi bilaterali presi tra singoli Stati membri.
Un giudice competente ordina la restituzione del bene.
Anche la direttiva 93/7/CE costituisce una correzione al principio possesso vale titolo, al pari della
convenzione Unidroit.
In Italia, questa direttiva è confluita nel Codice dei beni culturali art.75.

CAPITOLO III – LA DISCIPLINA INTERNA DEI BENI CULTURALI

I beni culturali sono sempre stati in parte di proprietà pubblica, in parte di proprietà privata.
I beni di proprietà pubblica sono soggetti ad un regime speciale contenuto nella disciplina del demanio
posta dall’art.822 del codice civile (demanio pubblico).
Il demanio si divide in:
o Il demanio necessario: costituito dai beni che appartengono esclusivamente allo Stato e si
articola nel demanio marittimo, nel demanio idrico e nel demanio militare.
o Il demanio accidentale o eventuale: che comprende strade, autostrade, immobili, acquedotti, ecc.
Dunque in cui rientrano anche i beni culturali.
I beni del demanio accidentale possono appartenere allo Stato o ad altri soggetti: dunque non
sono di necessaria appartenenza pubblica.
I beni culturali rientrano anche nel patrimonio indisponibile, regolamentato dall’art 826 c.c., in quanto beni
nel sottosuolo che non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalla legge.
Il codice dei beni culturali ha confermato la disciplina del codice civile stabilendo con l’art. 53 co.1, che i
beni culturali appartengono allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali. Viene dunque a
costituirsi la categoria del demanio culturale, una mera sintesi verbale, i cui beni non possono essere
alienati o formare oggetto di diritti a favore di terzi. La regola di non alienabilità dei beni culturali non è
dunque assoluta, bensì generale poiché in alcuni casi, alle condizioni e nei limiti stabiliti dal codice dei
IL CODICE DEI BENI CULTURALI beni culturali, possono essere alienati.
o Titolo primo, artt. 1-9: contenente le disposizioni generali.
I beni di proprietà privata, tutelati dall’art.832 c.c.,
o La seconda parte, Beni Culturali, divisa in due titoli: vengono disposti dal proprietario in modo pieno ed
o Titolo primo, artt.10-100: dedicato alla tutela.
o Secondo titolo, art..101-130: sulla fruzione e
valorizzazione.
o La terza parte, art.131-159: dedicata ai beni paesaggistici.
o La quarta parte, art.160-181: dedicata alle sanzioni.
o La quinta parte, art.182-184: dedicata alle disposizioni 7
transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore.
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esclusivo, entro i limiti della legge, con l’eccezione dei beni di interesse artistico: questi sono sottoposti
alle disposizioni delle leggi speciali.
Le leggi speciali e il codice dei beni culturali configurano un regime speciale per la proprietà privata dei
beni culturali: il proprietario ha diritto di godere e di disporre di tali beni, entro i limiti e con l’osservanza di
obblighi molto più penetranti di quelli stabiliti in linea generale dal codice civile. Ulteriori distinzioni sono
poste a seconda che i proprietari siano:
o persone fisiche e persone giuridiche private con scopo di lucro (quali le società commerciali).
o persone giuridiche private senza scopo di lucro (come le associazioni e le fondazioni).
Gli art..2 e 10 del c.b.c. pongono una definizione generale di beni culturali, sottolineando che ogni bene
mobile o immobile di interesse artistico, archeologico, storico, etnoantropologico, archivistico e
bibliografico sia da considerarsi all’interno di questa categoria seppur non collegato con l’attuale cultura
italiana.

L’art.10 co.5, stabilisce che non sono sottoposte alla disciplina di tutela poste dal titolo primo e dalla parte
seconda del codice le opere di autore vivente o la cui esecuzione non risalisse a oltre cinquanta anni. Essi
sono tutelati dal codice civile del 1942, artt.2575-2583 e dalla l.633/1941 sul diritto d’autore.
Il diritto d’autore comprende:
o il diritto morale, ovvero la possibilità di rivendicare la paternità dell’opera e quella di opporsi a
qualsiasi deformazione, mutilazione o modificazione a danno dell’opera stessa. Il diritto morale è
inalienabile e imprescrittibile.
o I diritti di utilizzazione economica dell’opera: che comprende il diritto esclusivo di pubblicare
l’opera, di produrla o riprodurla con qualsiasi mezzo, di rappresentarla, di eseguirla e recitarla, di
distribuirla e di tradurla. L’autore rimane titolare dei diritti di utilizzazione economica anche nel
caso di alienazione dell’opera a terzi, mettendo così in atto la separazione tra corpus
mechanicum e corpus mysticum.
Il diritto d’autore, per quanto concerne l’utilizzazione economica dell’opera, dura tutta la vita del
titolare e fino al settantesimo anno solare successivo alla sua morte.
A questo tipo di opere, tuttavia, si applicano gli artt. 64 e 178 del c.b.c, oltre alla l.1062/1971.: quando
viene esercitata la vendita al pubblico o l’esposizione ai fini del commercio è necessario che il
commerciante rilasci attestati di autenticità e provenienza beni venduti, a garanzia della regolarità
dell’attività commerciale e a tutela degli acquirenti. L’art.178, tutela invece gli autori e gli acquirenti dalla
diffusione di opere contraffatte (frode).

I beni appartenenti agli enti ecclesiastici sono soggetti da sempre alla tutela delle cose di interesse
artistico o storico. La l.185/1902 stabilì che le collezioni di oggetti d’arte e antichità, i monumenti, ecc
appartenenti a fabbricerie, confraternite o enti ecclesiastici di qualsiasi natura, compresi gli adorni di
chiese e edifici pubblici, fossero inalienabili. La l.364/1909 stabilì che questi enti presentassero
all’amministrazione l’elenco descrittivo delle cose soggette alla legge di spettanza. Anche il Concordato
del 1929 non andò ad intaccare le norme in tema di patrimonio artistico e storico.
La conferenza episcopale italiana ha riconosciuto esplicitamente che i beni culturali di proprietà di enti
ecclesiastici sono soggetti sia al codex juris canonici che alla legislazione statale di protezione dei beni
culturali: le parti collaborano e armonizzano la propria azione – venendo incontro alle esigenze di culto – a
tutela del patrimonio artistico.
Si precisa che gli enti ecclesiastici della Chiesa Cattolica sono una particolare categoria di persone
giuridiche private, il codice accomuna questa categoria a quella delle persone giuridiche private senza fini
di lucro, come stabilito dall’art.10.

A differenza dei beni culturali di proprietà dello Stato, degli Enti territoriali o pubblici e degli enti
ecclesiastici, che erano soggetti a tutela ope legis, ovvero senza bisogno di alcun provvedimento
amministrativo, così come stabilito in passato dal Chirografo Chiaramonti del 1802 e dall’art.4 1089/1939. I
beni di proprietà di persone fisiche o giuridiche private con scopo di lucro sono soggetti alla tutela soltanto

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se l’amministrazione abbia emanato e notificato al proprietario un provvedimento di dichiarazione


dell’interesse culturale (o vincolo diretto), come stabilito dall’art.10.
In passato, ai tempi della l.364/1909, questo provvedimento veniva chiamato notifica o vincolo, pur nella
consapevolezza che queste definizioni fossero del tutto corrette. L’art.13 b.c.b. stabilisce che la
dichiarazione accerta la sussistenza dell’interesse storico o artistico particolarmente importante – o
eccezionalmente importanti nel caso di collezioni librarie o particolari categorie ambientali – delle cose
mobili o immobili.
Il provvedimento con cui si accerta l’esistenza di un interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico particolarmente importante è attribuito alla competenza della Commissione regionale
per il patrimonio culturale.
La dichiarazione di interesse non è un vincolo a carattere espropriativo, dunque non prevede una
ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi alla sottoposizione a tutela.
Il procedimento per la dichiarazione è regolato dagli artt. 14, 15 e 16 del codice.
o Il Soprintendente, anche su richiesta della Regione, inizia la valutazione con delle indagini
dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore. Se il procedimento riguarda
complessi immobiliari, la comunicazione è inviata anche al Comune e alla Città.
La comunicazione da avvio al procedimento e contiene gli elementi di identificazione e
valutazione della cosa, le principali disposizioni previste dalla tutela di legge e l’indicazione del
termine per presentare eventuali osservazioni.
o La dichiarazione è notificata al proprietario, possessore o detentore per mezzo della posta
raccomandata. Se si tratta di beni immobili, la dichiarazione è trascritta nei registri immobiliari e
avrà valore anche per i successivi proprietari.
o Contro la dichiarazione di interesse culturale è ammesso un ricordo in via amministrativa per
motivi di legittimità e merito, esso va presentato entro novanta giorni.
o Durante la verifica i beni sono sottoposti ad una tutela temporanea.
o La verifica negativa comporta una fuoriuscita dalla tutela del codice dei beni culturali e un rientro
nel regime ordinario. La verifica positiva consolida, invece, quella provvisoriamente posta così
come stabilito dall’art.12 del codice.
o Anche i beni di proprietà pubblica possono essere sottoposti a verifica, al fine di sottrarre i beni
alla protezione del codice e di poterne dunque disporre liberamente (sdemanializzazione) nel
caso di esito negativo.

Per le collezioni d’arte ex fedecommissarie, come stabilito dall’art.129 del codice, sono ancora in vigore le
leggi del 1871 e la modifica del 1883.
Per le altre collezioni d’arte il codice civile vigente offre una tenue tutela nell’art.727, dove suggerisce che
è preferibile evitare, per quanto possibile, di frazionare biblioteche, gallerie e collezioni di importanza
storica, scientifica o artistica.
Le collezioni diverse da quelle ex fedecommissarie possono essere sottoposte a dichiarazione d’interesse
culturale, così come stabilito dall’artt.10-15 del codice.
Il divieto di sembramento è, in realtà, nel caso di collezioni non ex fedecommissarie un divieto relativo:
secondo l’art.21 del codice, infatti, le collezioni possono essere sembrate su autorizzazione del Ministero
dei beni e delle attività culturali.
L’interesse di godimento e fruizione pubblica è tutelato dal codice in maniera ampia, le collezioni vincolate
possono essere in parte assoggettate a vista da parte del pubblico per scopi culturali, tutte le modalità
vengono concordate tra il Soprintendente ed il proprietario. Questa possibilità vale anche per i beni
immobili il cui valore eccezionale è riconosciuto oppure nel caso in cui un restauro totale o parziale sia
stato a carico dello Stato.

L’interesse archeologico, al pari di quello artistico o storico, giustifica la dichiarazione di interesse culturale
di proprietà privata. L’interesse archeologico è legato anche ai beni posti nel sottosuolo e ancora non
rinvenuti, in questo caso, se lo scavo darà esito negativo la dichiarazione potrà essere revocata.
Le limitazioni alla proprietà privata sono particolarmente intense quando si tratta di beni archeologici.

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Le ricerche archeologiche sono riservate allo Stato, come stabilito dall’art.88, che può disporre anche
dell’occupazione temporanea o dell’espropriazione; i privati possono eseguire scavi solo mediante
concessione da parte dello Stato.
Lo scopritore fortuito (art.90) deve fare denuncia entro ventiquattro ore al Soprintendente o al sindaco,
all’autorità pubblica di sicurezza, delle cose rinvenute e deve lasciarle nelle condizioni e nel luogo di
rinvenimento: già la l. 364/1939 stabilì che, a differenza del tesoro, gli scavi fossero di appartenenza dello
Stato. Il codice dei beni culturali prevede l’acquisto a titolo originario da parte dello stato di tutti i beni
culturali rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini, e non dei soli beni di interesse archeologico.
La proprietà privata dei beni archeologici è estremamente limitata:
o Beni ritrovati prima dell’entrata in vigore della l.364/1939, non retroattiva.
o Beni rilasciati dallo stato come premio in natura.
o Beni rinvenuti in scavi in aree di proprietà privata e rilasciati in sostituzione dell’indennità in
denaro per l’occupazione.
o Beni acquisiti a seguito di alienazione da parte di amministrazioni pubbliche.
o Beni acquistati all’estero e importati in Italia.

I beni culturali, secondo l’art.20, indipendentemente da chi ne sia il proprietario, non possono essere
distrutti, danneggiati o adibiti ad usi incompatibili con il loro carattere storico oppure tali da creare
pregiudizio alla loro conservazione e integrità. Non possono essere rimossi o demoliti senza
autorizzazione, art.21, attualmente di competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale.
Una disciplina più lieve è concessa per lo spostamento di dimora o di sede del detentore o del
proprietario, questo tipo di spostamento non è soggetto ad autorizzazione ma deve essere
tempestivamente denunciato al Soprintendente.
Per i beni culturali le normali facoltà di godimento proprietarie sono soggette ad una penetrante ingerenza,
a fini di protezione o tutela, dell’amministrazione pubblica. I provvedimenti di autorizzazione hanno
carattere tecnico e sono sempre attribuiti alla competenza di organi burocratici e non al vertice politico.

Oltre al vincolo diretto – ovvero la dichiarazione di interesse culturale – esiste anche un vincolo indiretto,
disciplinato già dall’art.21 della l.1089/1939 ed ora definito dall’art.45 del codice. Il vincolo indiretto
concerne il caso in cui si voglia proteggere l’ambiente circostante un bene culturale immobile già soggetto
a tutela: esso non tocca il regime del bene culturale immobile, soltanto l’area circostante al fine di evitare
che sia messa in pericolo l’integrità del bene o ne sia danneggiata la luce o la prospettiva con alterazioni
delle condizioni ambientali o del decoro ad esso circostante. Si tratta di un’alternativa all’espropriazione
per fini strumentali, che invece comporta un indennizzo.
La competenza all’adozione del provvedimento di vincolo indiretto spetta alla Commissione regionale per il
patrimonio culturale, non al Soprintendente che ha avviato la procedura.
Il provvedimento viene trascritto negli appositi registri immobiliari e ha efficacia nei confronti di ogni
successivo proprietario, detentore o possessore a qualsiasi titolo degli immobili a cui si riferisce.
A differenza del vincolo diretto, l vincolo indiretto non è rigidamente predeterminato dal codice.
L’antica città di Paestum è stata con la costituzione di una zona di rispetto della profondità di mille metri
dalla cinta muraria, mediante leggi speciali, ad esempio.

La circolazione dei beni culturali è disciplinata in modo differenziato a seconda della natura dei beni e del
soggetto proprietario, ne sono tuttavia esclusi tutti i beni non ancora sottoposti a dichiarazione di interesse
culturale ai sensi dell’art.13 del codice.
L’alienazione dei beni cultuali è stata regolamentata dal testo unico del 1999, poi superata dal
regolamento n.283 del 2000.
I beni culturali dello Stato e di altri enti territoriali si distinguono in:
o Beni inalienabili, tutelati dall’art.54 del codice: immobili e aree di interesse archeologico, immobili
dichiarati monumenti nazionali, raccolte e archivi, immobili di particolare interesse, immobili di
autore vivente o deceduto da meno di cinquanta anni se inseriti tra raccolte statali o territoriali e

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cose di interesse archeologico o storico o artistico di proprietà di enti pubblici o persone


giuridiche senza fini di lucro.
I beni inalienabili possono essere oggetto di scambio tra lo Stato e gli enti pubblici.
o Beni alienabili previa autorizzazione, come previsto dall’art.55 del codice: tutti gli altri immobili del
demanio culturale sono alienabili previa autorizzazione del ministero a patto che la destinazione
d’uso non arrechi danno alla preservazione e alla fruizione o non sia incompatibile con la sua
natura. La richiesta di autorizzazione all’alienazione è accompagnata da:
o Indicazione della destinazione d’uso in atto
o Programma delle misure necessarie ad assicurarne la conservazione
o Indice degli obbiettivi di valorizzazione
o Indicazione della destinazione d’uso prevista
o Modalità di fruizione pubblica del bene
L’autorizzazione è rilasciata dal Soprintendente, il Ministero ha la facoltà di indicare destinazioni
d’uso ritenute compatibili con il carattere e le esigenze del bene.
L’alienazione dei beni culturali appartenenti a persone fisiche o giuridiche private con fini di lucro non è
soggetta ad autorizzazione, tuttavia vi è obbligo di denuncia al Ministero sia per le alienazioni che per i
trasferimenti di proprietà in caso di successione. Nel caso in cui i beni culturali siano alienati a titolo
oneroso lo Stato può esercitare il diritto di prelazione (artt.60-62 del codice): ovvero può sostituirsi
all’acquisto del bene al prezzo denunciato o al valore attribuito. La prelazione è esercitata entro i sessanta
giorni: in caso di denuncia tardiva o incompleta entro centoottanta giorni, al fine di perseguire l’interesse
all’ampliamento delle collezioni pubbliche.

La tassa di esportazione è venuta meno per le esportazioni verso membri della Comunità Europea nel
1972. LA l.88/1998 ha poi soppresso la tassa di esportazione anche nel caso in cui i beni culturali
vengano esportati fuori dal territorio dell’Unione Europea, in linea con il principio comune condiviso dai
regolamenti comunitari.

L’uscita definitiva dei beni culturali dal territorio nazionale è disciplinata sul piano interno dall’art. 65 del
codice, il quale propone due diversi divieti assoluti:
o I beni mobili indicati nell’art. 10 commi 1,2,3: beni culturali appartenenti ad enti pubblici e persone
giuridiche private senza fini di lucro, raccolte, archivi e librerie dei suddetti enti, beni appartenenti
a privati o persone giuridiche con fini di lucro sottoposte a dichiarazione di interesse culturale.
o Beni mobili appartenenti allo Stato ed enti pubblici territoriali di autore non più vivente o di
esecuzione superiore a cinquanta anni, cui non è ancora stata effettuata la verifica di interesse
culturale ma che il Ministero ha già escluso dall’uscita in quanto perdita compromissoria del
patrimonio culturale.
Il codice prevede poi un divieto relativo di uscita definitiva dal territorio nazionale, anche esso tutelato
dall’art. 65 del codice. Questo divieto colpisce tre categorie di beni:
o Le cose che presentino interesse culturale di autore non vivente o la cui esecuzione non risalga a
più di cinquanta anni.
o Gli archivi ed i singoli documenti appartenenti a privati recanti interesse culturale
o I beni che rientrano nell’art.11 del codice: fotografia, matrici e negativi che siano manifestazioni
sonore o verbali, cinematografiche o audiovisive di rilevanza culturale, mezzi di traporto aventi
più di settantacinque anni, beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica.
L’art.68 del codice stabilisce che chiunque intenda far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica
oggetti culturali soggetti a divieto relativo deve farne denuncia e presentarli agli uffici di esportazione del
Ministero dei beni culturali indicando il valore veneale al fine di ottenere un attestato di libera circolazione,
la cui validità è triennale. L’ufficio di competenza rilascia l’attestato entro quaranta giorni dalla richiesta, il
diniego di rilascio dell’attestato comporta automaticamente l’avvio del procedimento di verifica di interesse
culturale.

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L’ufficio di esportazione può proporre al Ministero l’acquisto coattivo (art.70) del bene entro quaranta giorni
dalla presentazione della denuncia per l’ottenimento dell’attestato di libera circolazione. In questo caso il
termine di rilascio dell’attestato è prorogato di sessanta giorni che si aggiungano ai quaranta originari.
L’acquisto coattivo prescinde il trasferimento di proprietà, la facoltà può essere esercitata rinunciando
all’uscita del bene o ritardandola. Il mancato acquisto coattivo non pregiudica la possibilità di negare il
rilascio dell’attestato di libera circolazione e di promuovere il procedimento per la dichiarazione
dell’interesse culturale del bene.

L’uscita temporanea di un bene culturale dal territorio nazionale è soggetta ad una speciale disciplina
regolata dagli artt. 66, 67 e 71 del codice.
Il Ministero può autorizzare l’uscita temporanea dal territorio dei beni culturali per manifestazioni, mostre o
esposizione d’arte di alto interesse culturale, se siano garantite l’integrità e la sicurezza dei beni.
L’autorizzazione all’uscita temporanea può essere rilasciata anche per i beni culturali gravati da divieto
assoluto in uscita definitiva.
Non possono assolutamente uscire dal territorio:
o I beni suscettibili di subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni sfavorevoli.
o I beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di museo,
pinacoteca, galleria o altro.
L’uscita temporanea dal territorio nazionale può essere consentita anche quando:
o I beni costituiscano mobilio privato di cittadini italiani che ricoprono, presso sedi diplomatiche,
consolari o istituzioni comunitarie, cariche che comportano il trasferimento all’estero durante il
loro mandato.
o I beni che debbono essere sottoposti ad analisi, indagini o interventi di conservazione da
eseguire necessariamente all’estero.
o I beni la cui richiesta di uscita sia stata attuata da accordi culturali con istituzioni museali straniere
in regime di reciprocità.
Chi intende far uscire temporaneamente i beni dal territorio nazionale deve farne denuncia e presentarli al
competente ufficio di esportazione del Ministero, indicando contestualmente e per ciascuno di essi il
valore venale e il responsabile della sua custodia all’estero. Contro il diniego è ammesso il ricorso.
L’attestato di circolazione temporanea reca le prescrizioni necessarie e stabilisce il termine di rientro,
prorogabile su richiesta dell’interessato (mai più di diciotto mesi).
L’uscita temporanea dei beni indicati dall’art.65 deve essere garantita mediante una cauzione o polizza
fidejussoria, per un importo superiore al dieci percento del valore accertato col rilascio dell’attestato. La
cauzione è incamerata dall’amministrazione se i beni non rientrino nel territorio nazionale nel termine
stabilito. La cauzione non è richiesta per i beni appartenenti allo Stato o altri enti pubblici.

Come previsto dalla direttiva UE 93/7/CE, uno Stato ha diritto di ottenere la restituzione dei beni culturali
illecitamente usciti dal proprio territorio. A disciplinare internamente i beni culturali da restituire e richiesti
indietro sono gli artt.75-81 del codice, per i beni che l’Italia deve restituire, e artt.82-83, per i beni che
l’Italia ha richiesto in restituzione.
L’azione giudiziaria di restituzione dei beni culturali usciti illegalmente dal territorio è esercitata, con
l’assistenza dell’Avvocatura generale di Stato, dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione
internazionale, davanti ad un giudice dello Stato membro dell’Unione europea in cui si trova il bene.
Qualora la restituzione fosse positiva e il bene non fosse di proprietà dello Stato, il Ministero provvederà
alla sua custodia fino alla consegna all’avente diritto. Qualora non sia conosciuto l’avente diritto, il
Ministero ne darà notizia con avviso pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e, se non reclamato entro cinque
anni, sarà di proprietà del demanio culturale.

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