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TORINO
PROVA FINALE IN
SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA
RELATORE CANDIDATA
PROF. FRANCO PRINA FRANCESCA BELMONTE
“E ti diranno parole
rosse come il sangue, nere come la notte;
ma non è vero, ragazzo,
che la ragione sta sempre col più forte;
io conosco poeti
che spostano i fiumi con il pensiero,
e naviganti infiniti
che sanno parlare con il cielo.
____________________________________________________________________
Indice
Introduzione 6
1. Problematiche 7
2. Obiettivi 9
3. Presentazione capitoli 10
1. Giovani in sostanza:
condizione giovanile e relazione con le nuove droghe 15
2. Come raggiungerli?
La prevenzione dei servizi e le risorse della famiglia 76
Conclusioni 142
Bibliografia 151
Sitografia 160
Filmografia 161
Appendice 167
__________________________________________________________
Introduzione
Questo lavoro esamina la condizione dei nuovi giovani e delle nuove droghe.
Nuovo significa “altro, non visto prima, originale”1: diverse sono le modalità
di assunzione, i tempi e i contesti ludico-ricreativi, di consumo e di abuso, non le
droghe2. Come “nuovi” sono i modelli antropologico-culturali e relazionali3, che
modificano il percorso di autonomia ed emancipazione dei giovani, non la fase
adolescenziale – la pubertà e la costruzione dell’identità personale sono inevitabili
momenti critici del processo di sviluppo.
L’interesse per la condizione dei giovani in relazione alle nuove droghe nasce
in seguito all’esperienza di Tirocinio universitario, svolta presso il Dipartimento di
Patologia delle Dipendenze (Servizio per le Tossicodipendenze) dell’Azienda
Sanitaria Locale TO1 (ex ASL 2) del Distretto 1 della città di Torino. Durante tale
esperienza ho avuto occasione di osservare e di partecipare al progetto “Recreational
1
Il Nuovo Dizionario Italiano Garzanti, Milano, Redazioni Garzanti, 1987, p. 590
2
A partire dal I sec. d.C., l’oppio entra nella medicina. Nel 1805 veniva isolata in laboratorio la
morfina, nel 1874 l’eroina e nel 1855 la cocaina, la cui storia ha origini antichissime – secondo un
manoscritto del 1613, gli Indios avevano l’abitudine di masticare delle foglie di coca per aumentare le
proprie energie, prima d’iniziare a lavorare; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento
educativo, Trento, Edizioni Erickson, 1999, pp. 19 e 33
3
Per una panoramica accurata e aggiornata sulle trasformazioni sociali e culturali che caratterizzano la
società postmoderna e sulle conseguenze che ridefiniscono la sfera individuale e relazionale degli
individui; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, Roma, Carocci Editore, 2003, pp. 17-71
7
Drugs”4 che si rivolge ai consumatori di nuove droghe, ai loro familiari e a tutti gli
operatori che vengono a contatto con il mondo giovanile.
È un progetto di prevenzione, diagnosi e cura che si pone l’obiettivo di intervenire su
una fascia di disagio legata all’uso, occasionale o regolare, delle droghe cosiddette
ricreazionali. L’équipe multiprofessionale – composta da medici, psicologici,
educatori – promuove attività di sensibilizzazione, informazione e formazione sulle
nuove droghe; consulenze mediche, psicologiche ed educative; percorsi di
trattamenti terapeutici e socio-riabilitativi individuali.
1. Problematiche
4
Fino al 2006 era parte del progetto “Urban II”, un programma di riqualificazione urbana promosso
dall’Unione Europea per lo sviluppo di interventi volti al rilancio e al miglioramento della qualità di
vita nelle metropoli europee; cfr. Programma di Iniziativa Comunitaria, Urban II, 2000 – 2006
5
Marcella Ravenna, Erich Kirchler, Immagine di sé e della droga in un campione di giovani
consumatori e non consumatori, Età Evolutiva n. 53, Rivista di Scienze dello Sviluppo, Bologna,
Giunti, 1996, pp. 56-67
6
Ines Testoni, Lucia Ronconi, Tiziana Bivi, Le rappresentazioni dell’ecstasy in giovani frequentatori
di discoteche, Bollettino per le Farmacodipendenze e l’Alcolismo n. 4, Roma, Ministero della Salute,
2001, pp. 50-57
7
Risultano essenziali alcuni aspetti valoriali, quali: il basso livello di pericolosità, la facilitazione
ambientale, la facilitazione relazionale con gli altri, il sostegno alla rappresentazione di sé; cfr. Ines
Testoni, Lucia Ronconi, Tiziana Bivi, Le rappresentazioni dell’ecstasy in giovani frequentatori di
discoteche, cit., cit.
8
Eloisa Ciccia, Maurizio Azzalini, Indagine sulle opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti di
130 studenti circa l’uso di droghe e alcool. Ricerca condotta nelle classi prime dell’Istituto Tecnico
Agrario Statale “G. Dalmasso” di Pianezza (TO), Salute e Prevenzione, La Rassegna Italiana delle
Tossicodipendenze n. 38, Milano, FrancoAngeli, 2004, pp. 53-65
9
I contesti del sé (modificare gli stati di coscienza, ricercare sensazioni piacevoli, regolare le
emozioni, migliorare l’immagine e la presentazione di sé), della relazione con i coetanei (favorire
sentimenti di appartenenza e di prestigio), del proprio stile di vita (percepirsi e proporsi come persona
autonoma, emancipata, in grado di sfidare le norme sociali), degli aspetti salienti della propria fase di
sviluppo (alleviare gli stati di disagio che si associano al superamento di determinati compiti e
particolari eventi); cfr. Marcella Ravenna, Erich Kirchler, Immagine di sé e della droga in un
campione di giovani consumatori e non consumatori, cit., cit.
8
sostanze può essere favorito da tratti di personalità orientati alla “non convenzione”10
– come ribellione, trasgressione, incapacità o disinteresse alla realizzazione
personale, bassi livelli di autostima.
Nell’ultimo decennio, sono state fatte molte campagne di prevenzione, allo
scopo di informare i giovani sui rischi e sugli effetti delle sostanze psicoattive11. Le
istituzioni hanno valutato la comprensione di tali messaggi informativi da parte dei
giovani e hanno verificato i loro atteggiamenti e le loro percezioni connesse all’uso e
all’abuso delle suddette sostanze. Ora i giovani sono molto informati, ma continuano
ugualmente a consumare droga e alcool12 – forse tutte queste informazioni
incentivano la loro curiosità, accrescendone “la voglia di provare”.
La sola informazione non è sufficiente a prevenire il disagio giovanile 13; è necessario
che le notizie date siano accompagnate da una presa di coscienza individuale: ogni
giovane deve personalizzare i dati appresi, deve riuscire a trovare un legame
significativo tra le nozioni acquisite e le proprie azioni14.
Fondamentale è il ruolo dei servizi competenti – tuttora poco conosciuti tra i
giovani15. Hanno l’importante compito di coinvolgere le famiglie, sostenendole nel
recupero delle capacità e responsabilità genitoriali, e le agenzie, formali e informali,
nella realizzazione di un progetto integrato di prevenzione.
La famiglia non rappresenta più il luogo privilegiato dove i genitori
trasmettono ai figli i valori e le aspettative, ma è il gruppo dei pari a essere il nuovo
punto di riferimento fondamentale16, la cui caratteristica principale è il vivere “qui e
10
Idem
11
Angelo Livreri Console, Prevenzione primaria delle Tossicodipendenze. Un’esperienza di ricerca
operativa a Marsala e Licata, Esperienze Sociali n. 74, Palermo, 1997, pp. 13-44
12
Mario Santi, Duilio Borselli, Stefano Bertoletti, Susanna Giaccherini, Eloisa Mingione. Fabrizio
Schifano, Giovani ed ecstasy. Quale percezione del rischio?, Bollettino per le Farmacodipendenze e
l’Alcolismo n. 2, Roma, Ministero della Salute, 1997, pp. 39-43
13
I risultati analitici di svariate ricerche realizzate in Italia evidenziano che l’informazione ha
sviluppato criteri di generica acculturazione, in quanto carente di metodi e di sistemi di controllo che
verifichino i significati dell’informazione stessa e i meccanismi di coscientizzazione dei dati ricevuti;
cfr. Angelo Livreri Console, Prevenzione primaria delle Tossicodipendenze. Un’esperienza di ricerca
operativa a Marsala e Licata, cit., cit.
14
Eugenia Avidano, Valentina Sciubbia, Mario Vigna, Silvia, lo sai…Educare ad affrontare le
droghe, Note di Pastorale Giovanile n. 8, Roma, Elledici, 1999, pp. 65-80
15
Il nuovo consumatore non si rivolge ai servizi, in quanto non si riconosce tossicodipendente; cfr.
Eloisa Ciccia, Maurizio Azzalini, Indagine sulle opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti di 130
studenti circa l’uso di droghe e alcool. Ricerca condotta nelle classi prime dell’Istituto Tecnico
Agrario Statale “G. Dalmasso” di Pianezza (TO), cit., cit.
16
Lidia Agostini, Federica Protti, Claudio Baraldi, Paolo Ugolini, Discoteche: tempi e spazi
stupefacenti? Una ricerca e un progetto nella provincia di Forlì-Cesena, Sestante n. 11, Osservatorio
Dipendenze Patologiche AUSL Cesena e AUSL Forlì, 2000, pp. 10-15
9
2. Obiettivi
17
L. Formisano, G. Di Lauro, M. T. Pini, L. Vallefuoco, Adolescenti e nuovi abusi, Salute e
Prevenzione, La Rassegna Italiana delle Tossicodipendenze n. 21, Foggia, DITE Edizioni Scientifiche,
1997, pp. 30-32
10
risultati raggiunti? Cosa ne pensano i giovani? Cosa conoscono e che percezione dei
rischi hanno?
Numerosi sono i riferimenti alla letteratura sociologica, psicologica e socio-
giuridica, nel tentativo di trovare gli elementi che compongono il complesso quadro
della condizione giovanile nella società postmoderna, in riferimento all’assunzione
delle nuove droghe – contro le quali vengono progettate diverse modalità e strategie
di intervento di prevenzione, finalizzate alla promozione del ben-essere e alla cura
della salute.
3. Presentazione capitoli
18
Esprime l’insieme dei modi con cui l’individuo umano reagisce, vive e si comporta nelle varie
situazioni e nei vari momenti della sua vita; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento
educativo, cit., p. 12
19
Numerosi sono i riferimenti alla letteratura psicologica e sociologica; cfr. Eugenia Scabini, Raffaela
Iafrate, Psicologia dei legami familiari, Bologna, Il Mulino, 2003; cfr. Chiara Saraceno, Manuela
Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2001
11
20
Per una panoramica accurata e aggiornata sulle trasformazioni sociali e culturali che caratterizzano
la società postmoderna e sulle conseguenze che ridefiniscono la sfera individuale e relazionale degli
individui; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
21
L’impatto culturale della tecnologia ha comportato l’assottigliamento, se non la perdita, di alcuni
cardini fondamentali nella storia umana, svalutando l’importanza del passato e considerando un
fattore di disturbo la consequenzialità tra razionalità, previsione, programmazione e risultati; cfr.
Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 196-199
22
Numerosi sono i riferimenti ad autori che definiscono i comportamenti dei nuovi giovani in
relazione alle nuove droghe, considerando i mutamenti psicologici, antropologici-culturali e sociali
della società postmoderna
12
Nel secondo capitolo si fornisce una ricostruzione del tema della prevenzione
dei servizi e delle risorse della famiglia, partendo dalla definizione della cultura e
delle strategie preventive. Se ne descrivono la struttura, gli obiettivi, i riferimenti
normativi e i dati degli ultimi rapporti annuali nazionali.
La prevenzione è un impegno finalizzato a stimolare, sostenere e coordinare le
risorse esistenti, soprattutto sollecitando la disponibilità personale ad assumersi un
ruolo attivo e responsabile, nella promozione dello star bene, del prendersi cura e del
vivere insieme ai membri che sperimentano diversi stati di disagio.
La famiglia rappresenta un riferimento obbligato per l’educazione e la
formazione dei figli; il capitolo rivolge l’attenzione alla coppia genitoriale e alla sua
centralità, in quanto risorsa fondamentale. Dare centralità alla coppia non vuol dire
solo individuare in essa il luogo originario della mancanza23 – colpe, inadempienze,
inganni – bensì significa riconoscerne anche l’insostituibile ruolo, all’interno del
difficile e delicato passaggio dell’assunzione della responsabilità24, come processo
necessario per conseguire un’identità adulta.
Essendo la famiglia fonte principale di tutte le soluzioni, si tende a delegarle
ogni problema, a scaricarle i gravosi compiti e oneri nei confronti dei propri membri
in difficoltà; il secondo capitolo ricostruisce lo scenario di fondo dei servizi, formali
e informali, descrivendone le tipologie, i ruoli e le strategie di intervento. La scuola e
i servizi competenti in materia di dipendenza patologica – Ser.T., comunità
terapeutiche, unità di strada – devono assumersi nuove e più impegnative
responsabilità educative, tra le quali progettare prevenzione, all’interno di un lavoro
di rete tra le diverse agenzie del territorio, quotidianamente in contatto con gli
adolescenti.
Le modalità di intervento attivate sono molteplici; nel capitolo si propone di
analizzare le misure di prevenzione contro le nuove droghe, attuate nella città di
Torino. In particolare, l’attenzione è rivolta a quattro progetti di prevenzione,
realizzati dalle Aziende Sanitarie Locali del territorio cittadino – rispettivamente
“O.N.D.A.1” dell’ASL TO1 (ex ASL 1), “Recreational Drugs” dell’ASL TO1 (ex
23
Il mondo degli adulti pare non assumersi responsabilità etiche, come proporre valori assoluti, ma la
preoccupazione prevalente nei confronti dei propri figli sembra essere quella della cura del corpo,
indotta da sollecitazioni prodotte dai mass media e dalle industrie che la sostengono; cfr. Lucio
Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 54-62
24
La responsabilità implica un legame, fondato sullo scambio tra persone; se la coppia non si assume
responsabilità tanto gerarchiche quanto reciproche, non solo snatura il legame con i propri figli, ma
può anche negarlo o rimuoverlo, inibendo la trasmissione delle novità, dinamiche necessarie allo
sviluppo delle generazioni in crescita; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo,
cit., pp. 184-187
13
ASL 2), “Esta siEsta si” dell’ASL TO2 (ex ASL 3) e “Clipper 2” dell’ASL TO2 (ex
ASL 4) – e si espone il confronto dei loro obiettivi, azioni e risultati, al fine di
comprendere le soluzioni attivate, per sfuggire e affrontare il malessere e il disagio
giovanile, e di verificarne l’efficienza e la validità.
L’opinione giovanile è l’elemento fondamentale per assodare se l’esito dei
progetti di prevenzione avviati nella città di Torino, sia positivo o meno; il secondo
capitolo presenta la ricerca, personalmente condotta, sulla conoscenza e sulla
percezione dei rischi degli adolescenti in materia.
Lo scopo dell’indagine è stato dimostrare che il lavoro di prevenzione, svolto finora,
non sia totalmente soddisfacente in quanto, nonostante vengano offerti da abili
professionisti validi spazi di ascolto e di accoglienza, nei ragazzi permane la
convinzione che “tanto a me non succederà mai”. Sebbene siano correttamente
informati, i giovani non percepiscono su di loro i pericoli e i rischi che causano
l’assunzione di droga25.
È stato da me somministrato un questionario anonimo, di undici domande sia aperte
sia a scelta multipla, a 300 ragazzi tra i 15 e i 25 anni in un locale notturno – luogo
primario di aggregazione del tempo libero – e negli istituti di tre differenti scuole
medie superiori – un istituto professionale, un liceo scientifico e un istituto tecnico,
presenti sul territorio di appartenenza del Ser.T. dell’ASL TO1 (ex ASL 2) del
Distretto 1 della città di Torino.
Gli obiettivi dello studio sono stati:
1. valutare il livello di conoscenza sul concetto di dipendenza;
2. analizzare il contesto nel quale si ricevono le prime informazioni sulla droga;
3. verificare il livello di conoscenza sulle diverse tipologie di sostanze esistenti e
sulla differente percezione del rischio;
4. esaminare l’ambito nel quale gli adolescenti si rivolgono in caso di problemi con
la droga;
5. osservare l’opinione dei giovani sugli interventi di prevenzione attuati, riflettendo
sui destinatari, sui contenuti dei messaggi e sulle modalità di trasmissione degli
stessi;
6. verificare il livello di informazione e di conoscenza sull’esistenza e sulle funzioni
dei servizi specialistici;
25
Mario Santi, Duilio Borselli, Stefano Bertoletti, Susanna Giaccherini, Eloisa Mingione. Fabrizio
Schifano, Giovani ed ecstasy. Quale percezione del rischio?, cit., cit.
14
7. conoscere il pensiero dei giovani, al fine di sapere come e cosa sia realmente
importante comunicare, affinché il messaggio sia recepito e condiviso.
Queste pagine hanno l’ambizione di proporre un ipotetico progetto di
prevenzione, al fine di integrare e di arricchire le dinamiche di concretizzazione di
solide forme di collaborazione, orientate alla costruzione di un unico sistema
formativo integrato, messe in atto dalle istituzioni pubbliche e private.
Una volta compreso e accettato il dato che il rischio26 rappresenta un compito
evolutivo per l’adolescente, appare evidente che la fase di crescita non è avulsa dalla
rete sociale e familiare di riferimento. Affinché i progetti di prevenzione abbiano
successo, si auspica che siano il risultato di un lavoro integrato, fondato sulla sinergia
e sulla cooperazione, di tutte le agenzie di socializzazione e di formazione – famiglia,
scuola e servizi competenti in materia di dipendenza patologica.
Dunque, la prevenzione non deve avere una valenza magica, né deve essere
vissuta come una nuova funzione da aggiungere a quelle tradizionali, ma deve
rientrare nel quotidiano compito genitoriale e nelle consuete attività formative e
informative delle istituzioni pubbliche e private.
26
Il rischio è un passaggio obbligato per affermare la propria identità ed è una tappa fondamentale per
la capacità di costruzione dei limiti, e quindi della responsabilità; cfr. Lucio Pinkus,
Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 50-54
15
1
___________________________________________________
Giovani in sostanza:
condizione giovanile e relazione con le nuove droghe
27
Silvia Corbella, Il lavoro di gruppo con gli adolescenti, Vol. IV I Quadrimestre 2002, Gruppi nella
clinica, nelle istituzioni, nelle società, Milano, FrancoAngeli, 2002, pp. 29-48
28
La famiglia è diventata un luogo permissivo, un’area relativamente protetta che fornisce un insieme
di servizi e che concede spesso agli adolescenti una grande libertà, rendendo l’emancipazione più
complessa: mentre il Sessantotto aveva permesso ai giovani di trovare un’identità collettiva forte,
nella coesione antagonista al mondo adulto e ai valori tradizionali, oggi i ragazzi, proprio perché meno
in conflitto con la famiglia, non hanno sviluppato un’identità collettiva altrettanto forte. Gli
adolescenti hanno lo stesso bisogno di aggregazione; ciò che li unisce non sono più sogni comuni di
costruzione, ma è il bisogno di sentire una relazione che non è stata loro insegnata e di disfare ciò che
ingombra, cfr. Silvia Corbella, Il lavoro di gruppo con gli adolescenti, cit., cit.
16
L’età adolescenziale non ha più una coincidenza con la fase della pubertà, che
da sempre ha marcato il passaggio tra l’età infantile e quella adulta33.
La pubertà fisica significa il raggiungimento dello status biologico dell’adulto.
29
Idem
30
Risulta problematico per i tossicodipendenti superare le dinamiche relazionali della dipendenza
infantile affettiva ed entrare in relazione con un oggetto intero, investito affettivamente in maniera
matura. Inoltre, non arrivano ad assumersi la responsabilità della cura e della difesa del proprio corpo,
ma si comportano come se ritenessero loro diritto mettere in pericolo la propria salute, lasciandone ad
altri il compito di proteggerla e di ristabilirla; cfr. Vito Sava, Elena La Rosa, Attraverso i
gruppi:adolescenza e tossicodipendenza, cit., pp. 101-116
31
Scoppia per tutti una sorta di adolescentismo generalizzato ed eterno; cfr. Vito Sava, Elena La Rosa,
Attraverso i gruppi:adolescenza e tossicodipendenza, cit., cit.
32
Silvia Corbella, Il lavoro di gruppo con gli adolescenti, cit., cit.
33
L’adolescenza è una malefica invenzione del tutto contemporanea, malefica nella misura in cui si
sono creati dei sistemi sociali che costringono ad uno stadio di latenza socialmente determinato e, in
quanto tale molto artificiale, a un indeterminato permanere in una terra di nessuno dove non si riesce
mai ad afferrare bene cosa possa marcare il passaggio tra uno stadio evolutivo e l’altro; cfr. Calogero
Lo Piccolo, Gioacchino Borruso, Lavorare assieme agli adolescenti: progettare il futuro, cit., pp. 59 e
60
17
34
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 73
35
Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, Trento, Edizioni Erickon, 1999, pp. 178 e
179
36
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., pp. 73 e 74
37
Italo Carta, L’età inquieta, Varese, Edizioni Frassinelli, 1991, pp. 148 e 149
18
38
Nell’ultimo secolo si è riscontrata una diminuzione dell’età del menarca, abbassandosi da 16-17
anni a circa 13 anni; tendenza simile si è verificata per l’altezza, aumentando di 1,5 cm ogni decennio.
La voce maschile cambiava più tardi (a circa 17 anni) rispetto a quanto accade ai giorni nostri (14-15
anni) e la barba non cresceva fino ai 20 anni (oggi avviene a circa 17 anni); cfr. Peter K. Smith, Helen
Cowie, Mark Blades, La comprensione dello sviluppo, Firenze, Giunti Gruppo Editore, 2000, pp. 249-
281
39
Tutti questi cambiamenti fisici sono associati a determinate trasformazioni biologiche; il ruolo
chiave è giocato dall’ipotalamo, poiché svolge un’azione simile a quella di un termostato che regola la
temperatura (quando nel corpo circolano livelli abbastanza elevati di ormoni sessuali, l’ipotalamo si
blocca). Gli ormoni sessuali – in particolare gli androgeni, il testosterone, l’estrogeno e il progesterone
– vengono prodotti dalla corteccia surrenale e dalle gonadi (ovaie e testicoli). La crescita di queste
ultime è a sua volta stimolata dagli ormoni rilasciati dalla ghiandola pituitaria. Con la pubertà vi è un
cambiamento nella sensibilità dell’ipotalamo e, di conseguenza, la ghiandola pituitaria lavora più
intensamente, aumentando i livelli di ormoni sessuali; cfr. Peter K. Smith, Helen Cowie, Mark Blades,
La comprensione dello sviluppo, cit., cit.
40
Idem
41
L’adolescente cerca di ricostruire quell’immagine che vede cambiata alla specchio, facendo ricorso
agli artifizi più diversi in cui rivela capacità di inventiva a volte eccezionali, non prive di una buona
dose di crudeltà verso quel corpo con cui non convive più pacificamente – come le feroci spremiture
19
Gli adolescenti hanno un vissuto molto fragile e vulnerabile del proprio corpo, in
quanto minacciato da mille pericoli sconosciuti; essi osservano attentamente tutte le
sue banali modificazioni e si interrogano angosciosamente sul loro significato42.
Questa constatazione porta a un riesame dell’adolescenza, non più pensata come
mera fase di transizione, ma come stadio vitale caratterizzato da un compito
evolutivo specifico: la formazione di un’identità più consapevole.
La definizione del sé e la progettualità sono i due cardini centrali del processo
di costruzione dell’identità personale. La dimensione della progettualità, vissuta
prevalentemente come esplorazione, o crisi, e solo parzialmente come impegno
operativo nella scelta dei valori, risente talmente delle sollecitazioni del contesto
culturale che gli adolescenti rischiano di permanere nella fase di esplorazione, senza
riuscire a passare a quella dell’impegno e della competenza sociale decisionale, più
significativa e stabile43.
Una delle componenti che concorrono alla costruzione dell’identità, e che è
più fragile negli adolescenti, è l’autostima.
Una definizione molto semplice di autostima è “la considerazione che un individuo
ha di se stesso”, cioè l’insieme integrato, o costellazione, di elementi a cui una
persona fa riferimento per descrivere se stessa44.
L’autostima si basa sulla combinazione di due tipi di informazioni:
1. le informazioni oggettive che riguardano se stessi – il Sé reale che
corrisponde a una visione oggettiva delle caratteristiche, o qualità, che
l’individuo possiede, o di cui è carente;
2. la valutazione soggettiva di quelle informazioni – il Sé ideale che rappresenta
il soggetto che ci piacerebbe essere, non in senso superficiale, ma pensando
dei brufoli, l’occultamento delle rotondità del corpo nelle ragazze mediante atteggiamenti posturali
viziati. Il corpo è uno sconosciuto per l’adolescente, in quanto l’armonia del corpo infantile è
offuscata dai cambiamenti della pubertà; cfr. Italo Carta, L’età inquieta, cit., pp. 19-38
42
Le lamentele ipocondriache degli adolescenti sono spesso una richiesta di attenzione alla quale non
si deve rispondere con un’azione, sotto forma di visita medica, ma con un ascolto affettivo, ossia i
genitori non devono dedicare più tempo, in senso quantitativo, ai propri figli, ma devono offrire loro
più serenità, al fine di parlare delle paure che hanno, o hanno avuto; cfr. Italo Carta, L’età inquieta,
cit., cit.
43
L’adolescenza può essere caratterizzata come fase esplorativa perenne, in cui l’identità rimane
incompiuta rispetto al progredire delle richieste, sia sociali che dello sviluppo intrapsichico, perché
diventa una condizione critica permanente in cui la conflittualità e il disagio spingono verso soluzioni
regressive, oppure di autodistruzione; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo,
cit., pp. 180-183
44
Idem
20
45
Se la distanza tra Sé reale e Sé ideale supera una certa soglia si presentano problemi di autostima.
Tale distanza si può esprimere come sopravvalutazione o autovalutazione o sottovalutazione per
un’errata considerazione che ciascuno può avere di se stesso rispetto agli altri, o alla situazione in cui
di volta in volta si trova a operare. Il riferimento ideale è quello di un’alta autostima, cioè di una
visione sana di se stessi, capace di riconoscere e apprezzare le proprie qualità senza sentirsene
intimoriti, e al tempo stesso in grado di vedere e accettare realisticamente le proprie insufficienze e
difetti, pur non essendo ipercritici nel considerarli; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento
educativo, cit., cit.
46
L’io non agisce mosso in prevalenza dal timore di punizioni o di apprezzamenti negativi da parte
degli altri, ma in funzione dei suoi bisogni e dei suoi obiettivi vissuti sanamente; cfr. Lucio Pinkus,
Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., cit.
47
Gli adolescenti a rischio sono per lo più portati a una svalutazione globale di se stessi, assumendo
un atteggiamento di sfiducia, in quanto non si sentono bene con se stessi e con gli altri. Vivono male
la propria realtà corporea – si perde molto presto ogni capacità di provare soddisfazione per il modo
con cui il loro corpo appare e per le prestazioni che riesce a produrre –; le relazioni familiari – si
ritiene di non essere capaci di intrattenere rapporti con la propria famiglia o ci si vergogna di
quest’ultima –; le relazioni sociali – si degenera nella collusione dell’omertà con il gruppo dei pari,
assumendo forme relazionali paradossali in quanto incapaci di legami solidi o autentici; cfr. Lucio
Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., cit.
21
48
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., pp. 109 e 110
49
Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 192-196
50
Idem
22
51
Si tratta del compito evolutivo fondamentale dell’adolescenza, perché proprio dalla formazione
dell’identità e dallo sviluppo del Sé si determinano le basi della progettualità, orientata su opzioni di
valore; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., cit.
52
http://it.wikipedia.org/wiki/Identit%C3%A0_(scienze_sociali)
53
Dunque, in questo percorso di autonomia, gioca un ruolo decisivo l’evoluzione costante dei rapporti
tra figlio, genitori, famiglia, altre persone e ambiti significativi, come la scuola e il lavoro; cfr. Lucio
Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 183-191
54
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., pp. 137-158
23
55
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., cit.
56
Idem
57
Ibidem
58
Prima e dopo l’età adolescenziale, per riferirsi alle relazioni sociali più intime con i coetanei, si
parla di amicizia, anziché di compagnia. L’amicizia può restringersi a due sole persone; al contrario, il
termine “compagnia” comprende un insieme di persone, più o meno numeroso, che condivide tempo
libero, interessi, gusti, ideali di vita, finalità e scopi; cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta
degli adolescenti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, pp. 119-138
24
59
Idem
60
Con il passare del tempo, non ci si riconosce più nel contesto abituale; il mondo al quale si è
appartenuti diviene estraneo, talvolta ostile. In realtà, le circostanze della vita allontanamento e
separano gradualmente, quasi inavvertitamente, dal gruppo dei coetanei; cfr. Guido Burbatti, Ivana
Castoldi, Il pianeta degli adolescenti, cit., cit.
61
Idem
25
62
Il disagio esprime, in modo esagerato ed esaltato, il desiderio/bisogno di sfidare la tradizione o di
contrapporsi all’ordine di appartenere alla famiglia, di esserne accolto e integrato.; cfr. Lucio Pinkus,
Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 196-202
63
Idem
64
Da ciò nasce l’impossibilità di progettare e, quindi, anche il rischio della perdita di uno dei fattori
più importanti del processo maturativo umano, che è appunto il saper pensare e costruire in una
dimensione dilatata e spostata nel tempo; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento
educativo, cit., cit.
26
sensibilità nei confronti di eventi fondamentali del processo vitale come la nascita, la
malattia, i sentimenti, la morte65.
Il comportamento di molti giovani verso le esperienze vitali come amore, lavoro,
beni materiali viene definito “empirismo dell’usa e getta”, paragonabile a una fame
di oggetti che vengono ingurgitati in fretta e poi espulsi come escrementi. Ciò li
rende molto fragili di fronte alle frustrazioni, perché ogni dilatazione nel tempo viene
vissuta come un rifiuto, una possibilità negata che, coniugandosi alla mancanza di
prospettiva sul futuro, si configura come una catastrofe irripetibile, ovvero
insostenibile66.
In tal senso, il disagio risiede nella difficoltà, o nell’incapacità, di gestire la
complessità e le contraddizioni della vita quotidiana, soprattutto per chi, come
l’adolescente, è meno dotato di strumenti interpretativi, o è più fragile sotto il profilo
evolutivo. Tale disagio rischia di generare delle vere e proprie forme di
disadattamento, che si possono tradurre in comportamenti psicopatologici e/o
devianti, come il consumo e l’abuso di sostante psicotrope.
65
La morte che il giovane conosce è quella spettacolare, immediata, che ignora l’agonia, il dolore, è
una morte che non comprende l’esperienza della perdita dei legami affettivi, ma che tende ad essere
asettica, se non addirittura divertente. La morte reale, pertanto, viene vissuta come una ricerca
inconscia, e in un certo senso empirica, attraverso prove di coraggio, sfide con la morte, giochi
inventati per divertirsi sull’onda dell’azzardo e del rischio; cfr. Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e
intervento educativo, cit., cit.
66
All’interno di questa dinamica si delinea la possibilità che la vita venga percepita e vissuta come un
fascio di esperienze sensoriali; ciò significa che il giovane è cosciente nella misura in cui avverte
stimoli sensoriali, i quali sono esterni e scollegati da una lavoro di elaborazione mentale; cfr. Lucio
Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., cit.
67
Idem
27
Accanto allo sviluppo del singolo si ha l’evoluzione della coppia dei genitori;
ogni novità costituisce per la famiglia anche un fattore di crisi, in quanto rende
inadeguata la sua omeostasi precedente ed esige un processo di riorganizzazione, sia
come struttura che sotto il profilo relazionale. Le esigenze rinnovate dell’adolescente
comportano un rimodellamento continuo dell’intero nucleo familiare e le
trasformazioni del figlio, in particolare il bisogno di autonomia, mettono in crisi in
modo speculare anche il sistema genitoriale68.
Esistono varie spiegazioni dell’ostilità di alcuni genitori, nei confronti dei
loro adolescenti, e degli ostacoli che impediscono, o rallentano, la loro
emancipazione di questi ultimi:
1. l’emancipazione dell’adolescente segna la fine di un periodo in cui i genitori
si sentono utili per il loro figlio e la delusione è tanto più grande se hanno
centrato la loro vita esclusivamente su di lui;
2. conoscono bene, o credono di conoscere bene, il loro figlio, le sue debolezze
e hanno paura di lasciarlo affrontare la vita da solo, o che faccia qualcosa che
discrediti la famiglia;
3. c’è la lunga abitudine di circa dodici anni di dominio che impedisce loro di
prendere coscienza dei cambiamenti che avvengono nella persona del loro
figlio e della necessità di trattarlo in modo diverso;
4. i genitori, in quanto adulti, sono rappresentanti di una classe di età
privilegiata che impedisce ai giovani di accedere al loro status; la differenza
di età può causare incomprensioni, conflitti di interesse e incomunicabilità;
5. lo slittamento dei metodi educativi autoritari a quelli democratici, che esigono
che gli adulti rispettino i giovani come persone di uguale valore, suscita in
loro paura e un’ostilità accresciuta che si manifesta in modi indiretti, come la
seduzione e la manipolazione;
6. il conflitto tra gli adolescenti e i genitori corrisponde all’urto tra due
narcisismi; il genitore inconsciamente vede il proprio figlio come
un’estensione di sé, di conseguenza, egli desidera che il figlio rifletta quegli
aspetti di sé che gli piacciono e non gli altri. Se il figlio non riesce a
realizzare le sue aspettative, egli risente di una ferita al suo orgoglio;
7. la riattivazione, a livello inconscio, del complesso edipico e il rafforzamento
delle difese contro l’incesto, mediante proibizioni eccessivamente rigide,
68
Ibidem
28
69
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., cit.
70
Idem
71
Una “buona” dipendenza è, dunque, la condizione che permette all’adolescente di sviluppare e di
far maturare la capacità di elaborare una visione del mondo personale, e di agire coerentemente con
essa. Nello stesso tempo, l’adolescente deve continuare a sentire la presenza protettiva dell’adulto, il
suo incoraggiamento e la sua approvazione, cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta degli
adolescente, cit., pp. 155-173
72
Amare un figlio quando è bambino significa anche correggerlo, guidarlo, dargli le indicazioni;
amarlo quando è cresciuto significa invece rispettare la libertà delle sue scelte e la sua eventuale
diversità di vedute; cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta degli adolescente, cit., cit.
29
73
I genitori tendono a non educare all’autonomia e a incoraggiare una “cattiva” dipendenza. Hanno
bisogno di controllare, di sentirsi indispensabili ai figli, di creare in essi il bisogno della loro presenza.
È una logica di potere, fondata sui ricatti affettivi. Certamente, sono convinti di fare interventi
educativi, per il bene dei figli. In realtà, essi stessi hanno un problema di dipendenza dai figli e non
riescono a prenderne le distanze, a mettere dei confini; cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta
degli adolescente, cit., cit.
74
Gli adulti stabiliscono spesso, erroneamente, questa equazione: essere autonomi significa non avere
bisogno di nessuno, non amare, spezzare i legami affettivi. Oppure, in un’ottica moralistica, credono
che essere autonomi significhi fare quello che si vuole, non avere obblighi, rifiutare i propri doveri.
Per tale motivo, i genitori sono diffidenti di fronte alle manifestazioni di indipendenza dei ragazzi e
tendono a scoraggiarle; cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta degli adolescente, cit., cit.
75
Il senso di responsabilità, i legami affettivi, il rispetto degli altri e dei principi, che sono alla base di
ogni civile convivenza, non sono assolutamente in contraddizione con l’autonomia, anzi, vengono
rinforzati da quest’ultima; cfr. Guido Burbatti, Ivana Castoldi, Il pianeta degli adolescente, cit., cit.
76
Ciò significa che padri e madri non hanno a disposizione un principio di autorità già definito che li
renda autorevoli una volta per tutte nell’affrontare i passaggi delle loro relazioni con i figli; cfr. Lucio
Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 183-191
30
Gli uomini adulti che oggi si trovano a ricoprire il ruolo di padre avvertono e
sperimentano sulla loro pelle la crisi dell’autorità del padre. Il modello non arriva né
dalla società né dalla famiglia di origine, ma si apprende attraverso i valori femminili
e materni delle proprie compagne, o mogli, e ascoltando il proprio figlio77.
Il padre si è maternizzato, in quanto riconosce alla madre una maggiore competenza
nella gestione del mondo affettivo del figlio e nella soddisfazione dei suoi bisogni
profondi, e diventa un padre affettivo, empatico, cioè esperto nel sostenere la crescita
affettiva e relazionale del figlio, non solo più quella etica e normativa, in quanto è
più vicino emotivamente al figlio78.
Un altro modello di padre, ancora molto diffuso e tollerato dal nostro contesto
socioculturale, è quello di padre disertore. L’adolescenza del figlio non è di sua
competenza, perciò non è tenuto a interessarsene; ormai il figlio è grande e deve
accollarsi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori. Il padre disertore
non si sente affatto in colpa di esserlo, è in ottima fede – se non lo fosse non
diserterebbe, ma sarebbe un padre presente, inetto, depresso e in colpa, perciò
insidioso per la crescita del figlio – e diserta perché la moglie non gli ha mai
presentato il figlio, ma è stato invitato silenziosamente a diventare padre, oppure
perché ha una difficoltà personale e soggettiva ad assumersi i doveri della paternità,
in quanto non riesce a provare il piacere di essere padre79.
Altre due nuove figure di padre possono essere quelle di padre debole80 e di
padre geloso81.
77
Il nuovo padre diventa il difensore dei diritti del figlio a essere se stesso e di poter esprimere la
propria indole, seguendo i propri tempi interni di maturazione e acquisizione di competenze sociali. Il
suo obiettivo utopico è quello di intercettare la vera natura del proprio bambino per poterlo aiutare a
realizzarla pienamente; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 2000, pp. 17-71
78
In passato, i padri nascevano culturalmente, finendo per essere lo specchio dei valori della loro
epoca; assumendo anzi come loro preciso compito quello di trasmettere i valori ai figli; cfr. Gustavo
Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
79
Idem
80
Il padre debole ha una presenza intrigante, contraddittoria e vagamente seduttiva. È ampiamente
presente sulla scena relazionale ed educativa dei figli, si occupa delle vicende domestiche, commenta
gli eventi ed esprime opinioni: appare, quindi, interessato e accudente, ma in realtà non è così. Il suo
interesse non è educativo e la sua presenza non esprime capacità di accadimento. Il padre debole ha
bisogno dei figli, della loro approvazione, del consenso della loro madre, cerca di rendersi interessante
poiché non è in grado di affrontare il conflitto e restare emotivamente solo. L’origine della debolezza
va ricercata nella reazione ideologica alla forza esagerata del padre di un tempo e si manifesta con
l’abolizione del potere della moglie, madre, togliendole il sostegno necessario e scalzandole il
prestigio, l’attendibilità e l’amabilità. Il padre debole combatte contro la moglie, corteggiando e
corrompendo i figli per averli come inconsapevoli alleati nella battaglia anacronistica contro l’autorità
della madre. Una volta adolescenti, i figli mettono a nudo la debolezza del padre e costringono la
madre a ricoprire il ruolo vacante di padre nella speranza di salvare il salvabile; cfr. Gustavo
Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
31
81
Il padre geloso è un uomo che rimane uomo e basta, ma crede di essere padre in quanto esige che i
figli gli vogliano bene, lo rispettino e lo ammirino. L’origine della gelosia sta nel fatto che l’uomo
percepisce il ruolo genitoriale come la tomba della giovinezza, della prestanza, della libertà,
dell’avventura. Tra virilità e paternità, spesso, si stabilisce un conflitto, perché diventare padre implica
l’assunzione di un ruolo affettivo, il quale uccide la propria identità di genere. Pertanto, il padre
geloso recita la parte di padre, imparando le battute, le entrate e le uscite del padre convenzionale.
Quando poi il figlio diventa adolescente, il padre geloso finisce con il confessare, o direttamente o
attraverso qualche gesto, dimostrando che il figlio è figlio solo della madre, delle sue intollerabili
paure, insomma quanto sia diverso da lui e, quindi, disprezzabile. L’adolescenza è consumata a
combattere la gelosia del padre, talvolta, promuovendo progetti di vendetta che possono durare quanto
la vita stessa, poiché il padre costituisce un obiettivo identificatorio attorno al quale si strutturano
condotte sociali e sessuali superinvestite di affetti e di significati che garantiscono un profondo
sentimento di continuità del Sé; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
82
Nella giovinezza la questione fondamentale è l’inserimento del figlio all’interno di una relazione
affettiva profonda; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
83
L’eterosessualità non è più ritenuta essenziale e indiscutibile. Ancora, i genitori non ricoprono
necessariamente il ruolo di coniugi; cfr. Italo Carta, L’età inquieta, cit., pp. 71-91
84
Con l’allungamento della durata della vita e la riduzione delle nascite aumentano le famiglie
nucleari, soprattutto composte da una coppia di anziani, o da un anziano solo, rendendo evidente sia lo
squilibrio tra l’incremento della popolazione e l’aumento delle famiglie, sia la riduzione dell’ampiezza
delle famiglie; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il mulino,
2001, pp. 15-58
85
La nuclearizzazione comporta una riduzione delle famiglie estese e segnala una modifica nel ciclo
di vita familiare: le coppie di giovani iniziano la propria storia familiare da sole, per conto proprio; le
coppie di anziani la terminano da sole – gli uomini la terminano più spesso in coppia; cfr. Chiara
Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, cit., cit.
86
L’invecchiamento della popolazione produce una ripresa delle famiglie estese ricoabitanti, ovvero
due famiglie originariamente autonome si uniscono mettendo in moto processi di rinegoziazione dei
confini, spazi, ritmi del tempo, autorità – non più nella forma della coppia giovane che va a vivere con
i genitori, ma nella coppia di mezza età che accoglie un figlio adulto che ha terminato il proprio
matrimonio, o un genitore vedovo. L’instabilità coniugale – separazioni e divorzi – è un altro fattore
responsabile della diversificazione delle strutture familiari: famiglie nucleari diventano famiglie
32
89
Sorgono, così, nuovi problemi di confine tra famiglie; l’incertezza a nominare le nuove relazioni e a
definire lo spazio delle responsabilità e dei diritti reciproci indica la complessità delle dimensioni
coinvolte e segnala il lento processo di elaborazione sociale e culturale dei nuovi modelli relazionali
familiari; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, cit., cit.
90
Il riconoscimento anagrafico può avere delle conseguenze sul piano dell’accesso dei servizi alla
persona, del codice penale e del diritto assicurativo – non ha alcuna rilevanza in ambito di codice
civile, diritto ereditario e sistema pensionistico; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia
della famiglia, cit., cit.
91
Idem
92
In realtà, la famiglia nucleare non è effettivamente isolata e la parentela non perde totalmente di
importanza, semplicemente i rapporti acquisiscono un maggiore grado di libertà e di flessibilità. La
differenza non sta nel numero di parenti con cui la famiglia nucleare è in rapporto, ma sta nella
maggiore legittimità di scelta rispetto al “con chi” e “su quale piano” intrattenere rapporti e scambi;
cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, cit., pp. 59-84
34
93
L’amore romantico determina alcune conseguenze sulla struttura delle relazioni sociali e di
parentela: 1) la coppia può concentrarsi maggiormente sul proprio rapporto, fondato sulla parità e
sulla reciprocità a livello affettivo, ma esiste una subalternità di interessi e un’asimmetria di potere tra
i due sessi, in quanto solo l’uomo può affermarsi nel mondo del lavoro, mentre la donna è subordinata
al ruolo di moglie; 2) sposarsi per amore, cioè la scelta libera e autonoma del partner, fornisce il
codice legittimo e consensuale della separazione e l’autonomizzazione dai propri genitori, costituendo
un nuovo rito di passaggio all’età adulta; 3) l’amore è il rafforzamento della libertà concessa ai
giovani e agli adolescenti, fornendo il codice simbolico del conflitto tra generazioni rispetto al
mutamento sociale e dei rapporti di potere; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della
famiglia, cit., pp. 85-122
94
La morte di un figlio è ingiusta; un figlio è insostituibile. Siamo meno preparati alla morte fuori
dall’età anziana, perché consideriamo il figlio un progetto di vita per sé e per i genitori, realizzato solo
con la maturità e la vecchiaia. Pertanto la morte precoce appare come un’interruzione di un percorso e
non come un percorso concluso; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia,
cit., pp. 123-171
95
La ridefinizione di procreazione, da responsabilità a desiderio, crea due figure: sterili per scelta e
genitori ad ogni costo; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, cit., cit.
35
96
Idem
97
Ibidem
98
Nell’adolescenza la problematica principale riguarda la presentazione e la realizzazione sociale del
figlio, in particolare all’interno del gruppo amicale; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi
adolescenti, cit., cit.
99
La madre deve assumere la funzione di presentazione delle nuove dotazioni del corpo al figlio,
festeggiando l’evento biologico e accogliendo la trasformazione e le conseguenti emozioni
dell’adolescente, affinché apprenda il nuovo significato affettivo, simbolico e relazionale di tali
dotazioni; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
36
100
Eugenia Scabini, Raffaella Iafrate, Psicologia dei legami familiari, Bologna, Il Mulino, 2003, pp.
147-174
101
Idem
102
In Italia solo l’esistenza di conflitti o di repressioni porta a uscire di casa. Negli altri paesi, invece,
è il raggiungimento di una soglia d’età a motivare aspettative e richieste di autonomia, da parte dei
figli e dei genitori; cfr. Chiara Saraceno, Manuela Naldini, Sociologia della famiglia, cit., cit.
37
103
La famiglia affettiva vuole dei figli felici e tale fine viene perseguito abbassando il tasso di dolore
mentale che la coppia genitoriale pensa si possa somministrare al figlio a scopo educativo; cfr.
Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
104
Noia e tristezza sostituiscono rabbia e sentimento di colpa, ridefinendo l’adolescenza in termini
narcisistici e depressivi; cfr. Gustavo Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, cit., cit.
105
Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, Roma, Carocci Editore, 2003, pp. 17-71
38
106
Gli aspetti costitutivi del primo tratto sono il desiderio di liberarsi dagli oneri della responsabilità, il
desiderio di immediata gratificazione e l’individualismo possessivo svincolato da scopi e limiti; cfr.
Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
107
L’esito finale, che dipende dalle risorse di identificazione e di realizzazione, è un profondo
disorientamento, un bisogno di confini e di spazi personali, una deprivazione culturale; cfr. Franco
Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
39
108
Ciò comporta tre conseguenze: la perdita di attenzione per le conseguenze sul destino altrui; la
diffusione della percezione di inadeguatezza e/o insostenibilità del fallimento; la giustificazione di
reazioni sociali e istituzionali che enfatizzano la responsabilità individuale di chi sbaglia, o non è al
passo con i tempi; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
109
La deprivazione relativa emerge dall’importanza dei consumi, in quanto offrono piacere – il
consumatore è un raccoglitore di sensazioni, è un collezionista di piaceri –, e dai tempi di
soddisfazione – la produzione di beni, di servizi e di messaggi riproducono incessanti desideri senza
limiti e senza che il consumatore perda tempo nell’attesa tra formulazione del desiderio e la
soddisfazione di quest’ultimo; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
110
La condizione ideale dell’iperconsumo è la solitudine, percepita da molti giovani, ma nascosta
dietro l’apparente capacità di aggregazione, dovuta all’abitudine a sequenze di causa-effetto senza
tempi di attesa. Ciò comporta due conseguenze: l’impossibilità di accumulare relazioni; la
predisposizione al conflitto; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
40
tensione tra la natura corporea, con i suoi limiti – spazio e tempo – e la tecnologia
che permette di superarli. Inoltre, non tutti gli individui possono essere consumatori,
perché non tutti hanno i mezzi per avvicinarsi a ciò che si desidera.
Ai limiti naturali si aggiungono i limiti connessi alla collocazione sociale e
geografica e alle disuguaglianze di accesso alle risorse economiche, sociali e
culturali; pertanto, i processi di globalizzazione non hanno conseguenze univoche:
alcuni regalano libertà, altri accentuano la sofferenza e la privazione111.
5. Il rischio è percepito come scelta di esistere.
Il rischio diventa una forma di ricerca per uscire dalla routine, per trovare un
senso al vivere, per gridare a sé e agli altri la propria esistenze e il proprio malessere.
Il rischio non è solo un destino obbligato dalla società moderna, ma è una scelta, più
o meno consapevole, di assumere una condizione eccitante.
Il rischio si esprime nella forzatura dei limiti, imposti dalla quotidianità, all’interno
delle sfide volontariamente affrontate, per sentirsi e per apparire forti e diversi nei
consumi, nei riti e nelle modalità di comunicazione – come l’anoressia o il suicidio.
Gli individui costruiscono la propria identità attraverso il viaggio – inteso come
ricerca di assaporare sensazioni che diano senso all’esistere fuori dalla routine e dalle
incombenze quotidiane, come ricerca dell’imprevisto, della libertà, del mettersi in
gioco e dell’aprirsi a nuove possibilità – e la ricerca di avventura – lo spaesamento
totale garantisce emozioni profonde, rappresenta una prova spirituale, il cui valore
sta nella vertigine e nell’angoscia, derivanti dall’essere privi di tutte le protezioni del
mondo addomesticato.
La ricerca del rischio è la voglia di accesso alla mitologia, in quanto la sfida del
pericolo e della morte sono l’unico modo per dare senso e valore all’esistenza.
Gli adolescenti e i giovani hanno perso il senso dell’età di passaggio; sono venuti
meno i riti collettivi riconoscibili e riconosciuti che segnavano le tappe evolutive,
perciò ricercano il rischio per ricercare il senso della vita, per conoscersi e
differenziarsi. La prova di coraggio significa ricerca del brivido e tentativo di uscire
dalla noia e dalla monotonia della quotidianità per accedere alla visibilità, alla fama,
alla riconoscibilità e alla ribalta mediatica112.
111
L’annullamento tecnologico delle distanze spazio-temporali emancipa alcuni individui dai vincoli
territoriali, ma priva il territorio del suo significato e della sua capacità di attribuire identità; cfr.
Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
112
Anche i confini della ricerca sono definiti dal consumo, perché rende il rischio relativo, monetizza
eventuali danni, rende visibile il protagonista. Si può parlare di rischio “alla carta”, ovvero si sceglie
un’avventura al fine di ricercare luoghi e scenari di azione in cui attivare aspetti occulti o inattivi del
41
proprio carattere, poiché un atteggiamento prudenziale depriva l’individuo di accedere a una serie di
informazioni su se stesso e sulla propria personalità; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di
controllo, cit., cit.
113
L’atteggiamento culturale complessivo è di relativismo morale, ovvero i sistemi di significato sono
relativizzati in rapporto al presente con alla base una morale del compromesso che dà luogo ad
atteggiamenti permissivi nei confronti della trasgressione giustificata, poiché esprime soggettività,
particolarità individuale, soddisfazione personale e realizzazione dell’Io; cfr. Franco Prina, Devianza e
politiche di controllo, cit., cit.
42
114
La violenza diventa un forma di affermazione di un sé che si sente minacciato, o che la considera
normale strumento di regolazione dei conflitti – l’aggressività diventa la modalità più coerente di
relazione; cfr. Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
43
115
Tutti gli stranieri sperimentano modalità relazionali difficili e minacciose, poiché percepiscono
quotidianamente rifiuto e sopportazione. La condanna a una vita rischiosa amplifica la gravità delle
problematiche e della vulnerabilità. Gli stranieri creano problemi, non perché diversi, ma perché
cercano di essere uguali, spinti dalla ricerca di omologazione dei modelli di comportamento e di
consumo occidentali. I paesi occidentali considerano la manodopera degli stranieri indispensabile, in
quanto per guadagnare di più hanno bisogno di manodopera docile, altamente flessibile e disposta ad
accettare condizioni di sfruttamento. La condizione di clandestinità è funzionale all’economia
globalizzata, poiché garantisce la permanenza di soggetti deboli, ricattabili e con pretese limitate; cfr.
Franco Prina, Devianza e politiche di controllo, cit., cit.
116
Mentre nel welfare state il benessere individuale è strettamente dipendente da quello collettivo,
nell’era planetaria il benessere individuale diventa concorrenziale rispetto a quello collettivo, perché
per poter raggiungere una posizione sociale privilegiata, godere di vantaggi, differenziarsi, essere
visibili e avere successo il benessere collettivo deve essere trascurato; cfr. Marco Ingrosso, La
scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, in “Animazione Sociale”,
n. 3, marzo 2003, pp. 19-28
117
L’altro diventa concorrente (sfuggente), estraneo (non conosciuto), straniero (non appartenente),
mobile (non radicato), flessibile (non legato a modi di vita prefissati), diverso (habitat culturale non
condiviso); cfr. Marco Ingrosso, La scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e
promuoverlo, cit., cit.
44
118
Nonostante la maggior parte della popolazione sia abituata a eventi stressanti e rischiosi quotidiani,
si manifestano malesseri e patologie individuali di origine sociale, creando una nuova categoria di
persone, dette inadatte, cioè ritenute, o che si ritengono, incapaci di fronteggiare le modalità del
cambiamento poiché si sentono schiacciate dalle richieste pressanti della flessibilità,
dell’adeguamento e della velocizzazione della vita lavorativa e familiare; cfr. Marco Ingrosso, La
scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, cit., cit.
119
Individuazione significa crescita potenziale di autonomia e di riflessività, cioè crescita della
capacità e della potenzialità di far fronte alle difficoltà e agli imprevisti attraverso un’interrelazione
adattiva, ovvero mediante una trasformazione continua ma con mantenimento di un orientamento
definito e stabile. Anche i processi di integrazione mutano, perché molti dei contesti tradizionali di
inclusione e di appartenenza sono stati messi in crisi.; cfr. Marco Ingrosso, La scomparsa del
benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, cit., cit.
120
Avviene un deficit di integrazione insieme a un’integrazione incompiuta, ovvero nuovi rischi e
nuovi bisogni; cfr. Marco Ingrosso, La scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e
promuoverlo, cit., cit.
121
Fin dai primi anni delle scuole elementari, i giovani sono considerati “capitale umano” in
formazione, capaci di incamerare più informazioni possibili e di sviluppare abilità fondamentali per
diventare buoni utilizzatori e ricercatori fino a processare e produrre nuove informazioni. In seguito si
passa a una formazione ricorrente al fine di perseguire un autoaggiornamento permanente durante
tutto il corso di vita, in modo da mantenere gli individui in sintonia con le trasformazioni delle
tecnologie e delle loro ricadute applicative. Ma la formazione scolastica non è disponibile per tutti e
produce insufficienza cognitiva e insicurezza da obsolescenza formativa; cfr. Marco Ingrosso, La
scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, cit., cit.
45
122
La cultura di massa si moltiplica in vari canali, come quelli interattivi, producendo
un’omogeneizzazione differenziata, cioè una combinazione di individualizzazione e di esposizione
alle informazioni che utilizza tutti i canali da assediare il consumatore, causando anonimato, non
protagonismo, non successo, non attenzione e visibilità; cfr. Marco Ingrosso, La scomparsa del
benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, cit., cit.
123
Il deficit di organizzazione e l’eccesso di informazione producono stress, disorientamento e
isolamento; cfr. Marco Ingrosso, La scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e
promuoverlo, cit., cit.
124
Esistono due tipi di conflitti: la xenofilia, fondata su una visione policentrica e aperta, e la
xenofobia, basata su una visione etnocentrica e difensiva. Paradossalmente, la xenofilia è simile alla
xenofobia in quanto mossa anch’essa dall’avversione per l’altro. Nella xenofilia si attiva un’invidia
mimetica attraverso cui i residenti vogliono per sé l’attenzione che, immeritatamente, l’altro riceve
pur essendo appena arrivato ed estraneo, producendo frustrazione, risentimento e aggressività; cfr.
Marco Ingrosso, La scomparsa del benessere sociale. Riflessione per pensarlo e promuoverlo, cit., cit.
125
L’avvento dell’era tecnologica-scientifica non necessariamente demolisce e svuota di contenuto
quello che l’uomo ha costruito, ma mette a disposizione un patrimonio molto vasto di risorse che
possono essere utilizzate per far fruttare le potenzialità insite nella natura umana; cfr. Italo Carta,
L’età inquieta, cit., pp. 121-135
46
I nostri ragazzi sono informati su molti argomenti per esposizione alle fonti di
informazioni, ma possiamo facilmente verificare che il materiale informativo
aderisce solo in modo superficiale alle loro menti, non vi penetra in profondità. Tutti
gli inputs che riguardano i generi di consumo, dall’abbigliamento al divertimento,
devono essere al tempo stesso suggestivi ma non stabilmente penetranti proprio per
rispondere alla logica della produzione che si rinnova e ha bisogno di un consumo
continuo. La conseguenza di ciò è una vera e propria alienazione dei ragazzi nel
mondo degli oggetti in cui sono immersi. Tale alienazione è frutto della coesistenza
di due istanze contraddittorie: gli oggetti sono fortemente idealizzati grazie alla forte
carica suggestiva con cui vengono presentati e, nello stesso tempo, sono dequalificati
per la loro obsolescenza.
Il grande rischio che gli adolescenti corrono oggi consiste proprio nell’instaurare con
l’oggetto un rapporto caratterizzato dalla presenza contemporanea di meccanismi di
idealizzazione e di squalifica126.
Oggi vi è una scarsa adesione da parte degli adolescenti ai valori guida delle
generazioni precedenti, poiché molti adulti non sono affatto convinti, come lo erano
negli anni passati, della validità dei principi che seguono, senza per altro modificare
sostanzialmente la loro condotta e il loro stile di vita.
Nonostante la caduta dei valori normativi e morali, gli adolescenti hanno bisogno di
ideali e, contemporaneamente, di trasgressione in risposta all’esigenza di un segno
che certifichi che stanno per diventare dei soggetti ben individuati, indipendenti e
separati dal mondo familiare e dagli oggetti che lo popolano127.
Il rischio è di non riuscire a mantenere in equilibrio queste due forze contrastanti,
assumendo comportamenti devianti – come fumare una canna, “calarsi” una
pasticca, o tirare di coca128.
126
I nostri ragazzi vivono in un’epoca in cui è difficile che si stabilizzino delle identità ben definite,
mentre sono favorite le fluttuazioni rapide di interessi e di investimenti; cfr. Italo Carta, L’età
inquieta, cit., cit.
127
L’iniziazione alla droga, in realtà, è un rito ingannevole perché non segna alcun processo di
individuazione e di separazione, ma nel nostro mondo occidentale non vi sono altri riti iniziatici che,
con la forza del valore di un significato simbolico, conferiscano la sicurezza dell’acquisizione di un
nuovo statuto; cfr. Italo Carta, L’età inquieta, cit., cit.
128
Spesso gli adolescenti iniziano a drogarsi, usando droghe cosiddette nuove, e lo fanno in gruppo. Il
fumare lo spinello, ad esempio, è un atto che si iscrive nella cultura del gruppo e ne conferma
l’appartenenza. È difficile sottrarsi al rituale quando per un ragazzo l’appartenenza al gruppo è la
condizione necessaria per la sua sicurezza e il pericolo di essere escluso è intollerabile. In realtà,
l’iniziazione alla droga è un falso rito iniziatico, perché quello vero segna il passaggio da uno stato a
uno successivo che assume un significato nuovo a seconda del contesto sociale in cui avviene; cfr.
Italo Carta, L’età inquieta, cit., cit.
47
129
L’equazione tra tossicodipendente e giovane non è così evidente e innocente, ma è il risultato di un
processo sociale condizionato dal modo in cui il problema droga è stato socialmente costruito e
definito nelle società occidentali, dalla forma particolarmente riduttiva attraverso cui si è affermato e
stabilizzato il concetto di tossicodipendenza nelle scienze umane e dalla particolare posizione, in
senso sociale e simbolico, in cui i giovani si sono trovati e si sono posti in rapporto al problema della
droga che si andava socialmente affermando e al mercato della droga che si andava organizzando; cfr.
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, cit., pp. 215-221
130
Forse non si è mai data sufficientemente attenzione al fatto che nel percorso esistenziale gli
adolescenti passano da un primo rapporto con la salute, che è di esclusiva competenza e monitoraggio
dei genitori, a una relazione successiva nella quale diventano a loro volta monitori, senza però riuscire
a maturare un rapporto di scelta con la salute per se stessi, saltando proprio il periodo dell’adolescenza
che per definizione è il momento decisivo e denso di una significatività che condizionerà il resto
dell’esistenza; cfr. Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il
Duemila, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1986, pp. 65-95
131
Idem
48
132
La società degli adulti non solo non trasmette potenza ma annulla le condizioni stesse della
trasmissione della potenza, rimuovendo la categoria “persona” nei suoi rapporti con i bambini,
ancorandosi – per disperazione, incapacità, egoismo di potere o scarsa cultura – a una perpetuazione
dei ruoli che ne impedisce la naturale evoluzione; cfr. Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio
Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit., cit.
133
I giovani disorientati e in preda ad angoscia e smarrimento ricercano in mondi vitali sostitutivi e
surrogati della famiglia un appiglio per rispondere a una esigenza di sopravvivenza, qual è quella di
costruire un’identità personale. Dunque, l’acquisto di droga e il consumismo in generale permettono
di strutturare e salvaguardare tale identità; cfr. Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio
Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit., cit.
134
Maria Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, Roma, Carocci Faber, 2005, pp.173-185
49
135
http://www.iccalcinate.it/giornale.php?oper=documento&id=398
136
Ugo Fabietti, Francesco Remotti, Dizionario di Antropologia, Bologna, Zanichelli, 2001, pag. 237
137
Ronald Doron, Françoise Parot, Carlamaria Del Meglio, Nuovo Dizionario di Psicologia, Roma,
Borla, 2001, pag. 225 e pp. 777-778
138
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 85-114
50
139
Il rischio di diventare tossicodipendente è tanto maggiore quanto più precocemente il soggetto ha
iniziato e ha strutturato stili di consumo regolati; quanto più ha intrapreso dei comportamenti devianti
prima o durante il rapporto con la droga; quanto più è consistente il suo coinvolgimento nell’ambiente
del consumo e quanto meno è stimolato ad apprendere norme di autoregolazione; quanto più si
confronta con situazioni di disagio durature e difficilmente risolvibili e dispone di un repertorio
limitato o inadeguato di competenze sociali che gli consentano di affrontare diversamente i suoi
problemi; quanto più evidenzia disturbi di personalità strutturati; quanto più identifica la droga come il
mezzo più efficace per diminuire il disagio, sottovaluta i rischi connessi al consumo, sopravvaluta la
propria capacità di controllo, evidenzia atteggiamenti di sfida; quanto meno dispone di opportunità e
risorse sociali soddisfacenti; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., cit.
140
Piero Pajardi, Maria Blandini, Umberto Loi, Antonio Maci, Dizionario Giuridico, Milano, Pirola
Editore, 1990, pag. 864
141
http://www.simone.it/cgi-local/Dizionari/newdiz.cgi?voce,5,5640
51
È negli anni Settanta che si assiste a una svolta in ambito normativo rispetto a questo
nuovo fenomeno sociale, in quanto entra in vigore la legge del 22 dicembre 1975 n.
685 che distingue per la prima volta le sostanze stupefacenti in due categorie
(tabelle) – sostanze leggere e pesanti – differenziando, di conseguenza, le sanzioni
relative a esse. La legge consente solo la detenzione di una modica quantità di
sostanza per uso personale; solo se si eccede o si vende a terzi, si viene puniti. La
maggior parte dei tribunali ritiene che una modica quantità corrisponda a una
quantità di sostanza non superiore a tre giorni di fabbisogno personale, ma così non
si applicano che pochi interventi curativi e molti interventi sanzionatori con grosse
disparità di trattamento, fallendo nel tentativo di arginare il problema.
Per correggere il fenomeno viene riformulata una nuova legge, la legge del 26
giugno 1990 n. 162 che aggiorna, modifica e integra la legge precedente, tentando di
alleggerire la situazione carceraria con due soluzioni: l’affidamento in prova
speciale142 e la sospensione della pena per i tossicodipendenti che intendono avviare
dei programmi terapeutici.
Nello stesso anno viene approvato il decreto del Presidente della Repubblica del 9
ottobre 1990 n. 309, il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza.
Tale decreto si compone di 136 articoli, suddivisi in dodici titoli, organizzati in tre
principali settori: il primo si occupa delle sanzioni nei confronti degli spacciatori; il
secondo della informazione scolastica sulle gravi conseguenze dell’uso degli
stupefacenti; il terzo della cura e della riabilitazione psicofisica dei tossicodipendenti.
A seguito del decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1993 n. 171,
emanato in applicazione all’esito del referendum del 18 aprile 1993, si ha la
depenalizzazione delle ipotesi di uso personale e della detenzione per uso personale,
eliminando dunque il concetto di dose media giornaliera – senza l’aggancio a quella
142
L’affidamento in casi particolari si applica solo ai soggetti che hanno un residuo pena, o una pena
non superiore ai 4 anni in stato di alcool o di tossicodipendenza che intendano iniziare un programma
di recupero concordato con un ente pubblico o privato, documentato e idoneo. Il Tribunale di
Sorveglianza deve controllare che lo stato di salute non sia preordinato alla concessione
dell’affidamento. Quest’ultimo può essere concesso al massimo due volte e occorre allegare un
documento sullo stato di salute e sul programma terapeutico insieme all’istanza di affidamento in
prova ai servizi sociali. Il programma non prevede necessariamente il ricovero in una struttura
comunitaria, ma può essere attivato dal Ser.T. di competenza; art. 47 della legge del 26 luglio 1975 n.
354; artt. 91 e 94 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990 n. 309; art. 1 della
legge del 27 maggio 1998 n. 165
52
quantità, la cui determinazione era effettuata dal Ministero della Sanità, le Forze
dell’Ordine e i Magistrati non hanno più un criterio unico con cui determinare se le
sostanze sequestrate siano da considerare per uso personale o per spaccio.
Nel 2006 torna una dose soglia come indizio di reato penale; se si importa, esporta,
riceve, acquista o detiene una sostanza stupefacente per uso non esclusivamente
personale, la legge del 21 febbraio 2006 n. 49 applica pene comprese tra i 6 e i 20
anni di carcere. Per chi detiene un quantitativo inferiore per uso personale può essere
sottoposto a sanzioni amministrative – come la sospensione della patente di guida,
del porto d’armi, del passaporto e del permesso di soggiorno per motivi turistici – ma
non impone l’obbligo di penale in caso di possesso di un quantitativo superiore per
uso personale.
Le novità più rilevanti introdotte dalla nuova legge sono l’equiparazione tra enti
pubblici e associazioni private per il recupero dei tossicodipendenti, la certificazione
dello stato di tossicodipendenza non più riservata ai Ser.T. e l’annullamento della
distinzione di pericolosità tra droghe leggere e pesanti – dunque, l’obiettivo sembra
quello di colpire il consumo, anziché la dipendenza.
Il potere di attrazione che le droghe esercitano sulle persone è strettamente
collegato alle credenze e alle aspettative che esse hanno, a un momento dato, a
proposito dei loro possibili effetti. Ad esse si attribuisce la funzione di fornire
qualche tipo di risposta a bisogni e desideri personali che possono riguardare diversi
ambiti. Così una droga può essere assunta per modificare gli stati normali di
coscienza, per espandere i livelli di consapevolezza personale, che sperimentare
sensazioni intense e inusuali, per ricercare una dimensione altra da quella della
quotidianità. Può anche essere identificata come un mezzo che consente di
semplificare, migliorare e rendere più intense le relazioni con gli altri, favorendo
comportamenti più sciolti, disinibiti, socievoli o per facilitare sentimenti di fusione
nei confronti di un gruppo. Può rendere più soddisfacenti l’immagine di sé favorendo
sentimenti di maggiore efficacia e controllo personale, rafforzando l’autostima,
attenuando autovalutazioni negative o, addirittura, favorendo la definizione
dell’identità. Può inoltre simboleggiare il passaggio a una nuova fase di vita,
costituire una sfida, facilitare esperienze di similarità e di appartenenza, o
rappresentare un mezzo per fronteggiare disparate esperienze personali di disagio 143.
143
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., pp. 115-116
53
144
La facilità con cui la droga consente di soddisfare determinati bisogni o di raggiungere certi
obiettivi evita all’adolescente di affrontare le difficoltà che derivano dal provare e riprovare di fronte
ai problemi, dal riflettere e dall’interpretare le esperienze che compie. L’equilibrio che raggiunge non
è perciò legato a competenze personali elaborate nel processo di crescita ma è strettamente legato al
rapporto positivo che instaura con la sostanza; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle
tossicodipendenze, cit., pp. 7-12
145
L’uso prolungato di marijuana determina una sindrome motivazionale caratterizzata da apatia,
diminuito interesse per attività ed esperienze che implicano un certo sforzo, incertezza e scarsa
capacità progettuale; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., pp. 110-114
146
Idem
147
La marijuana permette di non affrontare le scelte e le sfide che normalmente si associano al
processo di crescita e ciò rende ancora più difficile superare quelle tipiche del periodo adulto; dunque,
l’uso della droga interferisce e ritarda i processi di sviluppo psicosociale tanto da determinare, nel
periodo adulto, sintomi di un’identità diffusa, caratterizzati da scarsa chiarezza sugli obiettivi da
54
perseguire e da scarsa progettualità; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit.,
cit.
148
Oggi, il mondo dei giovani è talmente disgregato, i legami di solidarietà collettiva talmente sciolti,
i gruppi di quelli che lottano ancora contro il sistema talmente smagriti e inefficaci, che i giovani sono
più facilmente raggiungibili dal mercato illegale della droga, sentendosi soli. La droga stessa è stata
uno dei fattori dell’arresto, della dispersione e della scomparsa dei movimenti di contestazione
giovanile, in quanto ha tradotto i conflitti generazionali, politici e sociali in problemi individuali che
legittimano interventi medici, psicologici e assistenziali; cfr. Gérard Lutte, Psicologia degli
adolescenti e dei giovani, cit., pp. 215-221
149
La tossicodipendenza non può essere vista solo come processo di vittimizzazione, di passivazione
ma è anche un processo di scelte, di comunicazione attiva, di organizzazione di esperienze e di
rapporti. È un modo di interagire con l’offerta del mercato, di sostenerla, di diffonderla. È anche un
modo di accettare e interiorizzare il controllo; cfr. Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei
giovani, cit., cit.
150
Marie Di Blasi, Sud-Ecstasy, Milano,FrancoAngeli, 2003, pp. 63-64
151
Alfio Maggiolini, Sballare per crescere?, Milano, FrancoAngeli, 2003, pag. 31
55
152
Vedere in Appendice: Allegato 1 “Rapporto 2002-2003 sulla condizione giovanile a Torino
dell’Osservatorio del Mondo Giovanile” (pp. 167-171); Allegato 2 “Rapporto 2006-2007 sulla
condizione giovanile a Torino dell’Osservatorio del Mondo Giovanile – L’età delle esplorazioni
necessarie” (pag. 172); Allegato 3 “Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle
tossicodipendenze in Italia nel 2006” (pp. 173-177)
153
Alla base della dipendenza da droghe vi è l’aspettativa mancata di una famiglia, di un mondo
vitale, ovvero la percezione di uno scambio ineguale tra individuo e società, sia in termini di
potenzialità e di risorse che l’individuo riversa o sarebbe in grado di riversare sulla società; sia in
termini di opportunità, di riconoscimenti e di valorizzazione che la società dovrebbe garantire o
restituire all’individuo attraverso un mondo vitale che opera una saldatura tra valori e fini individuali e
collettivi; cfr. Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il Duemila,
cit., cit.
154
La sostanza stupefacente dà piacere intenso; tale piacere si basa sulla ricerca nella droga da parte
dei giovani di funzioni del mondo vitale della famiglia. É un piacere fine a se stesso, non
compensativo né deviante, ma derivante dalla qualità dell’essere, il quale celebra e constata la sua
qualità di essere proprio attraverso il piacere fisico e psichico; cfr. Francesco Alberoni, Franco
Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit., cit.
56
155
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., pp. 85-114
57
156
Un esempio è il consumatore di marijuana, il quale diventa capace e desideroso di usare la
marijuana solo per il piacere e quando ne ha l’opportunità, percorrendo tre fasi fondamentali: 1)
imparare la tecnica; 2) imparare a percepirne gli effetti; 3) imparare a goderne gli effetti. L’imparare a
gustare la marijuana rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente affinché una persona
sviluppi un modello stabile di consumo di droga, poiché deve anche lottare con le potenti forze del
controllo sociale che fanno apparire questo atto inopportuno e/o immorale. È la perdita di efficacia dei
principali controlli – quali il controllo che agisce nel limitare il rifornimento e l’accesso alla droga; il
controllo attraverso la necessità di impedire che i non consumatori scoprono che uno è consumatore; il
controllo attraverso la definizione dell’atto come immorale – che costituisce una condizione essenziale
nella continuazione e nell’intensificazione del consumo di marijuana; cfr. Howard S. Becker,
Outsiders, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1987, pp. 43-67
157
Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit., cit.
158
È opinione condivisa di molti studiosi che la sperimentazione occasionale di sostanze psicoattive
costituisca un comportamento “normale” tra i giovani che hanno meno di 20 anni e che, a differenza
dell’uso regolare, essa non implica rischi elevati: farebbe parte invece di quelle attività e di quei
comportamenti di sperimentazione che l’adolescente intraprende per ricercare la propria autonomia e
la propria specificità in rapporto ai genitori ma anche ai coetanei; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia
delle tossicodipendenze, cit., pp. 47-84
159
La famiglia non è onnipotente, sono fondamentali le responsabilità del sistema sociale e delle
istituzioni, le quali offrono una scarsa qualità di dialogo e dei canali di integrazione. Alla crisi delle
identità personali corrisponde una crisi di identità sociale del sistema, in quanto alla caduta dei mondi
vitali corrisponde una caduta di qualità della funzione di filtro delle istituzioni tra comportamenti
personali e obiettivi generali dello sviluppo sociale. Non si tratta di una crisi di assestamento o
temporanea, ma vengono meno le necessarie basi di correlazione tra struttura dei bisogni e identità
sociale del sistema e ciò in funzione di una trasformazione antropologica dei bisogni alla base della
società; cfr. Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit.,
cit.
58
160
Corso di Formazione congiunta operatori NOT, SERT, Enti Locali, privato sociale, Nuove droghe,
Alessandria, luglio 2001, pp. 5-6
161
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., pp. 13-46
59
162
La sostanza passa attraverso le pareti gastriche e intestinali, giunge al circolo sanguigno e da qui
arriva al cervello. Proprio perché le cellule del tratto gastrointestinale costituiscono una barriera
strutturale che ritarda il processo, l’effetto prodotto è più debole, sia perché certe droghe sono
deattivate dagli acidi e dagli enzimi del tratto intestinale, sia perché giungono molto rapidamente al
fegato, dove sono metabolizzate in composti inattivi; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle
tossicodipendenze, cit., cit.
60
La variabilità degli effetti di una droga dipende anche dal sesso (le donne
reagiscono più intensamente a una stessa quantità di sostanza), dall’età (sia nelle fasi
dello sviluppo infantile sia nella senescenza gli effetti che una droga determina sono
più consistenti), dalla conformazione e dallo stato fisico (statura, peso e stato di
salute, oltre che momento della giornata in cui avviene l’assunzione),
dall’appartenenza etnica, dai fattori genetici dell’assuntore163.
L’uso di una sostanza psicoattiva non è mai un evento neutro per il
consumatore. Il tipo di personalità, lo stato psichico in cui si trova al momento
dell’assunzione (l’essere ad esempio in condizioni di ansia o di depressione può
accentuare esperienze di angoscia, di paura o allucinazioni), le conoscenze di cui
dispone a proposito della droga e dei suoi effetti, le sue aspettative ma anche la fase
di consumo in cui si trova sono tutti aspetti in grado di influenzare l’esperienza di un
individuo rispetto a una droga.
Anche le caratteristiche del contesto in cui avviene l’assunzione, ovvero
l’ambiente fisico (la stanza, la strada, il locale notturno) e le sue caratteristiche in
termini di confortevolezza, o di ostilità, e l’ambiente sociale e le sue relazioni, sono
aspetti che possono influenzare le reazioni alla droga. L’esperienza con una sostanza
risulta tanto più soddisfacente quanto più avviene in un ambiente piacevole,
rilassante, sicuro; quanto più si tratta di un luogo familiare e conosciuto; quanto più
le persone presenti sono amiche e ritenute esperte; quanto più le circostanze non
impongono al soggetto di intraprendere delle attività o di affrontare compiti che
richiedono vigilanza, concentrazione, efficacia o di mostrarsi ad altri in condizioni di
sobrietà. Oltre a influenzare le reazioni alla droga, il contesto può facilitarne o
inibirne l’uso, può determinarne la quantità assunta e può generarne la tolleranza e la
dipendenza.
L’assunzione episodica della maggior parte delle droghe non produce di per
sé degli effetti dannosi, anzi il consumatore può ottenere una serie di effetti positivi,
quali il rilassamento, il miglioramento delle prestazioni intellettuali, fisiche e sociali.
Ciò nonostante, nessuna droga può essere considerata completamente sicura; i fattori
di rischio principali sono il dosaggio e la frequenza164.
163
Idem
164
I rischi a breve termine di un’assunzione eccessiva di droga possono essere il soffocamento per
accesso di vomito o l’overdose; i rischi a lungo termine hanno invece più a che fare con lo stile di vita
del consumatore e con i conseguenti problemi nelle relazioni con i famigliari e gli amici, nel trovare o
mantenere un lavoro, in rapporto alla salute e alla necessità di reperire i soldi, anche attraverso azioni
illegali; cfr. Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., cit.
61
165
Alfio Maggiolini, Sballare per crescere?, cit., pp. 18-19
166
Idem
62
167
Essi si raccolgono passando di casa in casa, si ritrovano in un certo posto, parlano, decidono e
migrano poi in altri luoghi che possono essere locali, case, disco-pubs; l’abbigliamento è
assolutamente condiviso, anche questo con poche varianti, e comunque concordate e accettare dal
gruppo, e le varianti in relazione alle caratteristiche delle migrazioni successive; cfr. Ugo Ferretti,
Luciana Santioli, “Nuove droghe” tra realtà e stereotipi, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp. 13-27
168
Idem
169
Marie Di Blasi, Sud-Ecstasy, cit., pp. 111-131
63
170
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., cit.
171
Ci sono differenze tra europei e americani: i secondi sono di età più avanzata e ciò influisce sulle
forme di consumo che è più casalingo, avviene tra amici in un ambiente tranquillo e riservato, in
piccole dosi allo scopo di sperimentarne l’effetto, mentre in Europa la regola è il dosaggio massiccio
con il solo scopo di sballare il più possibile; cfr. Maurizio De Vanna, Cinzia Vidoz, La cultura
dell’estremo: l’ecstasy, Roma, CIC Edizioni Internazionali, 2003, pp. 10-46
64
contenuti etici o politici. Per molti giovani diventa centrale il piacere, il bello, il
desiderio, la voglia di metamorfosi, di trasgressione. Quindi, si va a ballare per
cercare il massimo dell’appagamento del proprio piacere.
Trasgredire significa fare tutto quello che non si può fare nel tempo ordinario
e appropriarsi della notte sovvertendo il tempo, confondendo lo spazio, magari anche
alterando la propria coscienza con sostanze stupefacenti. Il tempo libero notturno
diventa un tempo liberato, una zona neutra, caratterizzata da un continuum temporale
giorno-notte-giorno nel quale si può dare spazio alla sperimentazione, fondamentale
negli adolescenti, ma determinante per tutti quei ragazzi messi ai margini del giorno,
in quanto si sentono spinti a collocarsi al di sopra della soglia della visibilità e del
riconoscimento sociale172.
Le nuove droghe sembrano “sane” perché senza aghi e dipendenza, per lo
meno fisica, sono veloci a “salire” perché gli effetti desiderati arrivano in fretta, non
fanno sentire la stanchezza, non vengono considerate droghe. Chi consuma le nuove
droghe si considera gente che vive al passo con i tempi, adeguata, integrata,
conforme alla società e al suo piccolo o grande gruppo di riferimento.
La crescente diffusione delle droghe di sintesi è legata a molteplici fattori.
Dal punto di vista del mercato illecito, la loro fabbricazione e commercializzazione
le rende competitive rispetto alle droghe tradizionali: i bassi costi di produzione e di
sintesi consentono margini di guadagno elevatissimi.
Agli occhi dei giovani consumatori esse si connotano con una immagine pulita di
sostanze interamente prodotte in laboratorio; l’assunzione risulta facilitata dal
formato (pasticche, bevande o fiale) che, a differenza della siringa, non lascia traccia
dell’avvenuta assunzione. Producono effetti prevedibili e di durata limitata nel
tempo, non danno dipendenza fisica e ciò convince i ragazzi a coltivare la
convinzione ottimistica che non facciano male173.
Nei contesti legati alle esperienze ricreative, le droghe hanno sempre più
sviluppato e stabilizzato la loro funzione di sostanza performativa, ovvero di
sostanze che vengono utilizzate per sentirsi più efficienti, prestanti, disinibiti,
mostrandosi sempre più aderenti agli imperativi sociali del successo, dell’iperattività
e dell’efficienza.
172
Ugo Ferretti, Luciana Santioli, “Nuove droghe” tra realtà e stereotipi, cit., pp. 28-39
173
Marie Di Blasi, Sud-Ecstasy, cit., pp. 19-42
65
Sulla base di queste premesse, quindi, appare evidente che l’aggettivo nuovo, che si
utilizza per descrivere le modalità di crescita e di individuazione degli adolescenti di
oggi, può essere legittimamente usato, non perché si tratti di qualcosa di nuovo in
assoluto, ma poiché evidenzia differenti modalità di rappresentazione, di
interpretazione, di relazione con sé, il mondo e gli eventi174.
I giovani consumatori dell’ecstasy si sentono profondamente diversi dagli
eroinomani:
- sono convinti di appartenere a un mondo del tutto diverso da quello degli
eroinomani;
- sentono di appartenere a una cultura diversa, una cultura buona, tranquilla e
spirituale, diversa dalle culture dell’alcool o dell’eroina;
- non vogliono avere nulla a che fare con siringhe e altro che abbia a che
vedere con il sangue; preferiscono una droga che faccia star bene e che non
ricordi malattie e morte (AIDS);
- hanno una grande capacità di autoregolazione, si assistono e si correggono a
vicenda, sfatando il mito che tutti i drogati siano individuati stupidi, egoisti
che non pensano ad altre persone e che non vogliono averne contatti;
- lo spacciatore di ecstasy è anche un consumatore, perciò non sono inseriti nel
mondo della criminalità, sono terrorizzati da ciò che non rientra nel loro stile
di vita;
- rifiutano ogni elaborazione teorica riguardante l’assunzione degli stupefacenti
e il trip (viaggio) non è un percorso di apprendimento, ma è solo alterazione
della coscienza, senza messaggi di protesta, senza lotte sociali per il cambiare
il mondo, anzi, la cultura dell’ecstasy è positiva verso i valori della cultura
dominante;
- considerano l’ecstasy una droga che risponde bene ai bisogni collettivi di
successo-iperattività-entusiasmo, pertanto non ci si limita a ricercare gli
effetti solo nei momenti di divertimento, ma l’esplorazione può riguardare
anche altri campi della vita umana175.
174
Le stesse abitudini che una parte dei giovani sta assumendo rispetto al tempo libero e a come
impiegarlo non sono uguali per tutti, poiché cambiano simultaneamente e spontaneamente nello
spazio e nel tempo, ma è difficile cogliere queste trasformazioni, in quanto contemporanee e in quanto
vengono attribuite alle nuove generazioni in generale, senza particolari distinzioni; cfr. Marie Di
Blasi, Sud-Ecstasy, cit., pp. 43-59
175
Maurizio De Vanna, Cinzia Vidoz, La cultura dell’estremo: l’ecstasy, cit., cit.
66
Dunque, le nuove droghe non incidono sulla normale vita sociale e lavorativa
dell’individuo, in quanto utilizzate solo nel tempo libero per la ricerca di estasi, di
stordimento e di sballo come unica alternativa a un’esistenza percepita come
deludente e senza via di uscita. Inoltre, favoriscono una straordinaria sensualità che
si configura attraverso una positiva condizione di vicinanza e di collegamento con
altre persone, caratterizzate da una maggiore tendenza alla comunicazione, che
diventa più diretta e coinvolgente, creando una relazione emotiva significativa,
aperta, senza paura e difesa, favorendo una più libera espressione e una maggiore
comprensione degli altri, sostenute dall’abbattimento dei confini tra sé e il mondo
esterno, dalla diminuzione dell’aggressività e dell’impulsività176.
L’ecstasy è comunque pericolosa; i produttori cercano di realizzare guadagni
sempre maggiori investendo meno risorse possibili a scapito della purezza e della
sicurezza dei prodotti. I fabbricanti sono scarsamente preparati, perciò è sufficiente
un errore di purificazione non corretta, oppure l’utilizzazione di reagenti tossici, o
radioattivi e cancerogeni, per arrivare a un prodotto altamente nocivo.
Un forte contributo alla pericolosità delle sostanze sintetiche deriva anche dalla
gestione del relativo mercato, in particolare dalla distanza tra il venditore e il
compratore (minore è la distanza migliore sarà la qualità, perché il primo risponde in
prima persona di ciò che spaccia) e il fattore polizia (se il mercato è tranquillo la
qualità sarà più alta, al contrario se gli interventi di controllo sono duri il mercato
diventerà teso e aumenterà l’offerta di sostanza a rischio perché saranno soprattutto
le bande criminali a muoversi sulla scena)177.
Gli effetti fisici maggiormente riportati risultano essere: tachicardia, aumento
della pressione arteriosa, aumento delle vigilanza, trisma (tensione dei muscoli
mandibolari e mascellari), bruxismo (digrignamento dei denti), sensazione di
secchezza delle fauci, ipertermia (aumento della temperatura corporea), diminuzione
dell’appetito e della sete, strozzatura dell’attività intestinale, aumento dell’attività
metabolica, potenziamento dell’attenzione, irrequietezza motoria, formicolio della
pelle, intensificazione della percezione tattile, dilatazione dei bronchi, aumento del
176
Idem
177
La realtà della produzione clandestina comporta il problematico rischio di ignorare la provenienza
e la composizione dell’ecstasy; cfr. Maurizio De Vanna, Cinzia Vidoz, La cultura dell’estremo:
l’ecstasy, cit., cit.
67
178
Idem
179
Vedere in Appendice Allegato 4 (pp. 178-183)
68
180
Il piacere va assecondato, non negato e questo va raccomandato, soprattutto, alle campagne
pubblicitarie che, con le loro minacce e le loro raccomandazioni retoriche mancano di efficacia
perché, trascurando la natura del desiderio e la qualità del piacere, trascurano gli incanti della vita. E
ognuno sa, che senza incanti, la vita non ha più voglia di vivere; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite
inquietante, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 65-71
181
Marcella Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, cit., pp. 115-142
69
182
Il termine nichilismo designa in senso generico l'atteggiamento volto a negare in modo definitivo e
radicale l'esistenza di qualsiasi valore in sé e l'esistenza di una qualsiasi verità oggettiva. Il nichilismo
è una concezione delle cose, in base alla quale la realtà sarebbe inesorabilmente destinata a declinare
nel nulla, ovvero, dal punto di vista etico, sarebbe indeterminabile o assente una finalità ultima che
orienti il corso delle cose e la vita dell'uomo. In Nietzsche la parola nichilismo designa l'essenza
della crisi che ha investito la civiltà europea moderna: il nichilismo è un evento che porta con sé
decadenza e spaesamento, tanto da costituire una sorta di malattia da cui il mondo moderno è affetto;
tale malattia condurrebbe alla disgregazione del soggetto morale, alla debilitazione della volontà e alla
perdita del fine ultimo dell'esistenza; cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Nichilismo
72
della loro segreta depressione come stato d’animo senza tempo, governato dal
nichilismo183.
Gli adolescenti sono “nuovi” poiché legati a nuovi valori: con la
commercializzazione spinta e l’esigenza forzata di successo tendono a perdere
l’anima. L’innovazione tecnologica porta alla fredda razionalità, alla velocità e alla
perfezione; è una tecnica priva di contenuti, in quanto sempre nuova e differente ma
priva di senso, di scopo, poiché svuotata dei valori di etica, politica, religione, natura,
storia. La rivoluzione linguistica regala un linguaggio moderno, semplice,
superficiale, veloce, senza limiti – basti pensare ai blog, ai siti web, come facebook, o
ai motori di ricerca, come google, i quali permettono di avere conoscenze infinite e
immediate, consentono di comunicare sempre e ovunque e di diffondere e di
arricchire il sapere continuamente. Il valore della spettacolarità diventa l’unico valore
intoccabile, poiché l’esperienza è l’unico modo per incontrare senso. Si sviluppa il
multitasking – letteralmente vuol dire eseguire più programmi contemporaneamente
– contro la noia e in risposta al bisogno di velocità; il movimento, senza fatica,
diventa un valore supremo in quanto si ha la necessità di fare più cose
contemporaneamente, ma con sufficienza perché non si ha bisogno di fare di meglio;
l’importante è fare184.
La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto
presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Ciò
significa che nell’adolescente non si verifica più quel passaggio naturale che va
dall’amore di sé all’amore verso gli altri e il mondo. Senza tale passaggio, si corre il
rischio di indurre un’educazione finalizzata alla sopravvivenza e a motivazioni
utilitaristiche, con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e
sociali. La mancanza di un futuro come promessa priva genitori e insegnanti
dell’autorità di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti si instaura un rapporto
contrattualistico e asimmetrico, in quanto l’adolescente deve essere contenuto. E
quando i sintomi del disagio si fanno evidenti, l’atteggiamento dei genitori e degli
insegnanti oscilla tra la coercizione dura – che può avere senso quando le promesse
183
Un po’ di musica nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un po’ di droga per anestetizzare il
dolore per provare una qualche emozione, tanta solitudine tipica dell’individualismo esasperato,
sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che non ci si salva se non da soli,
magari attaccandosi, nel deserto dei valori, al denaro, in quanto unico generatore simbolico di tutti i
valori; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, cit., pp. 11-14
184
Alessandro Baricco, I barbari, Roma, Fandango Libri, 2006
73
del futuro sono garantite – e la seduzione di tipo commerciale, costruita sulla cultura
consumistica185.
L’eccesso emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo possono
comportare quattro atteggiamenti negli adolescenti:
1. lo stordimento dell’apparato emotivo attraverso quelle pratiche rituali che
sono le notti in discoteca o i percorsi della droga186;
2. il disinteresse per tutto, messo in atto per assopire le emozioni attraverso i
percorsi della non partecipazione che portano all’indifferenza187;
3. il gesto violento per scaricare le emozioni e per ottenere un’overdose che
superi il livello di assuefazione come nella droga;
4. la genialità creativa, se il carico emotivo è corredato da buone autodiscipline,
ovvero strumenti di contenimento appresi solo se i genitori hanno passato
molto tempo con i figli.
I giovani oggi perdono la distinzione tra interiorità ed esteriorità, tra la parte
discreta, singolare, privata, intima e la sua esposizione e pubblicizzazione. Il pudore
difende l’intimità, e quindi la libertà, vigilando e decidendo sul grado di
disponibilità, di apertura e di chiusura, verso l’altro. L’intimità si coniuga con la
discrezione, in quanto nell’intimità occorre essere discreti e non svelare per intero il
proprio essere, affinché non si dissolva quel mistero che, se interamente svelato,
estingue non solo la fascinazione ma anche l’identità personale. Al contrario, la
società consumistica vuole la pubblicizzazione dell’intimo, poiché le merci sono
prese in considerazione solo se pubblicizzate. I giovani hanno senso di esistere solo
se si mettono in mostra, se pubblicizzano la loro immagine. Per esserci bisogna
185
I giovani devono esplorare la loro potenza, devono sperimentare i limiti della società, devono
affrontare tutte le situazioni tipiche dei riti di passaggio dell’adolescenza, tra cui uccidere
simbolicamente l’autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia dove, per
effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l’autorità non esiste più, i giovani finiscono con
l’esplorare la loro potenza con la polizia, scatenando nella scuola, nel quartiere, allo stadio, nella città,
nella società la violenza contenuta in famiglia; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, cit., pp.
25-30
186
I genitori promuovono un’educazione fisica e una intellettuale, ma non un’educazione emotiva, dei
sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Tutte queste cose l’adolescente se le
organizza da sé come può e soprattutto con gli strumenti che non ha. Gli adulti veicolano l’amore
attraverso le cose che in abbondanza acquistano per soddisfare i desideri dei giovani che vanno a
occupare il vuoto di comunicazione. All’interno della sovrabbondanza di stimoli esterni e nella
carenza di comunicazione emergono i primi segnali di indifferenza emotiva; cfr. Umberto Galimberti,
L’ospite inquietante, cit., pp. 43-64
187
L’emozione è essenzialmente relazione. I giovani di oggi sono soli e depressi, rabbiosi e ribelli,
nervosi e impulsivi, aggressivi e impreparati alla vita, perché privi degli strumenti emotivi
indispensabili , ovvero delle relazioni, per dare avvio a comportamenti di empatia, autocontrollo e
autoconsapevolezza, senza i quali non si è capaci di parlare, di ascoltare, di risolvere i conflitti, di
cooperare; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, cit., cit.
74
apparire. E chi non ha nulla da mettere in mostra, non ha una merce, un corpo, un
messaggio, pur di apparire e uscire dall’anonimato mette in mostra la propria
intimità, la propria anima – ne sono un esempio i reality show come il Grande
Fratello, l’Isola dei Famosi e altre trasmissioni188.
Dunque, le caratteristiche adolescenziali che possono agevolare l’uso di
sostanze stupefacenti sono:
- le modalità di pensiero onnipotente, tipiche della fase adolescenziale, poiché
portano a credere di poter controllare il rapporto con la droga, qualunque essa
sia, sottovalutando la possibilità che questa ha di condurre a un uso
problematico. I giovani assumono le sostanze soprattutto per aumentare il
divertimento nei contesti ludico-ricreativi, al fine di essere in maggior
sintonia con se stessi e con il prossimo, attraverso la caduta dei freni inibitori;
- la dimensione egocentrica, in quanto porta l’adolescente a vedere solo il suo
punto di vista. La conflittualità nasce quando si presenta qualche effetto
indesiderato, ma quest’ultimo deve essere vissuto dal ragazzo – se raccontato
perde di valore, proprio in virtù del pensiero concreto e della difficoltà a
credere al punto di vista altrui;
- la tendenza alla sperimentazione, tipica dell’adolescente, il quale può anche
solo provare una sostanza, poiché proibite e lontane dalle leggi familiari;
- il ragionamento ipotetito-deduttivo, quindi l’astrazione e la capacità di
simbolizzazione, in quanto essendo in fase di formazione e di sviluppo può
accadere che in un dato momento prevalga l’immediatezza dell’esperienza,
senza una valutazione delle conseguenze delle proprie azioni e una riflessione
su eventuali rischi;
- la tendenza all’agito, a concretizzare il conflitto, a oltrepassare il pensiero,
perché tipiche modalità difensive dell’adolescente, le quali possono avere
anche un valore fortemente comunicativo;
- il conflitto tra autonomia e dipendenza, proprio della crisi adolescenziale,
poiché caratterizzato dal passaggio tra la rinuncia alla protezione fornita
dall’adulto e il bisogno di sicurezza e di stabilità. I giovani tendono ad
188
È il giovane stesso che decide di consegnare la propria interiorità, la sua parte intima, rendendo
pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, poiché la sua vita è di proprietà comune; la società impone
una de-privatizzazione con l’ostensione della spudoratezze del sé, un’omologazione dell’intimo,
secondo la quale il pudore è sintomo di insincerità, di chiusura in se stessi, di repressioni, di inibizioni
mentre la spudoratezza è una virtù: la virtù della sincerità; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite
inquietante, cit., cit.
75
189
Giornata seminariale rivolta ai Vigili della città di Torino sulla prevenzione all’uso e all’abuso di
Nuove Droghe nella popolazione giovanile, dicembre 2005
190
I giovani possono oltrepassare il nichilismo progettando un futuro “nuovo”, ma devono essere
educati a se stessi, assolutamente a se stessi, al fine di conoscersi, amarsi, incuriosirsi di sé, trovare la
propria virtù e farla esplodere; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite inquietante cit., cit.
191
Gli adolescenti e i giovani hanno bisogno di realizzare il loro segreto: l’espansività. Espansività
vuol dire pienezza, vuol dire potenza, vuol dire accelerazione della vita. La realtà non esaurisce tutto il
possibile, pertanto l’assenza non è mancanza ma è tensione esplorativa, dinamica, fantastica. La
passione per l’assenza è ricerca dell’utopia, al fine di creare nuove idee; è ricerca del viaggio, al fine
di scoprire nuovi oggetti, persone, luoghi, parole; è ricerca della sfida, al fine di mettersi alla prova,
fare nuovi tentativi; è ricerca di trasformazione, riappropriandosi di ciò che si è depositato
nell’infanzia e ricostruendo il nuovo corpo e la nuova mente, in seguito ai naturali cambiamenti
dell’adolescenza. Solo se si realizzano la pienezza espansiva e l’assenza che promuove la ricerca, i
giovani possono svelarsi a se stessi; cfr. Umberto Galimberti, L’ospite inquietante cit., cit.
76
2
____________________________________________________________________
Come raggiungerli?
La prevenzione dei servizi e le risorse della famiglia
192
Nella fase adolescenziale viene a mancare un importante supporto: l’accompagnamento. In passato
se ne occupavano i sacerdoti, o le organizzazioni cattoliche, o i compagni di lavoro, o i compagni
d’armi, o i superiori in grado; oggi, la funzione di accompagnamento non è più prevista. La vita dei
giovani non ha più come centrale l’esperienza religiosa, o lavorativa, o del servizio di leva; perdendo
77
2.1.1. La prevenzione
le figure che svolgevano una qualche forma di accompagnamento, si tende a demandare tale funzione
alla famiglia e al gruppo dei pari, con una progressiva sproporzione a favore di questo. Dunque,
l’accompagnamento è importante e va fatto e previsto nei luoghi di vita degli adolescenti, poiché molti
giovani hanno bisogno e, soprattutto, cercano punti di riferimento e di rapporto; cfr. Ugo Ferretti,
Luciana Santioli, “Nuove droghe” tra realtà e stereotipi, cit., pp. 19-27
193
Massimo Buscema, Prevenzione e dissuasione, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1986, pp. 28-42
194
Da tale definizione emergono due considerazioni: 1) il termine ha una forte connotazione negativa,
in quanto sottintende il riferimento a oggetti nemici; 2) l’atto di prevenire comporta sempre la capacità
e la possibilità di prevedere, di prefigurare qualcosa che non è ancora manifesto, interpretando segnali
premonitori e immaginando possibili scenari futuri; cfr. Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio
giovanile, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994, pp. 33-43
78
195
Maria Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, cit., pp. 461-467
196
In questa prospettiva è quasi completamente assente la preoccupazione educativa per l’aspetto
promozionale della prevenzione. La finalità prevalentemente difensiva privilegia l’interesse dei
minacciati e lascia in ombra il destino dei prevenuti. La prevenzione repressiva separa l’intervento
preventivo dalla finalità riadattiva e reintegrativa; dunque, non elimina o riduce le cause della
devianza e della diversità, ma alimenta la sfiducia verso la capacità di riscatto dell’emarginato; cfr.
Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e associazionismo
giovanile, Roma, Osservatorio della Gioventù Università Salesiana, 1990, pp. 193-198
197
La prevenzione promozionale pone scarsa attenzione circa le cause sociali e politiche della
marginalità e il territorio nel quale il marginale agisce. La separatezza tra intervento pubblico e privato
segna la divisione del lavoro sociale tra lo Stato che opera con strumenti di prevenzione repressiva e i
privati che operano più ideologicamente attraverso la prevenzione assistenziale. A prescindere da tali
criticità, l’educazione è considerata in se stessa un fattore di prevenzione, sia primaria sia secondaria,
poiché aperta a recepire istanze e valori. Educare in contesto preventivo non significa solo
condizionare, adattare, trasmettere ma anche proporre valori di fraternità, libertà, solidarietà; cfr.
Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e associazionismo
giovanile, cit., cit.
79
patologia in atto. Tale distinzione è assunta anche in campo sociale, focalizzando gli
interventi primari sull’informazione e dissuasione generalizzata; gli interventi
secondari sull’individuazione di comportamenti e soggetti a rischio; gli interventi
terziari sul reinserimento di soggetti marginali, dipendenti, devianti198.
La prevenzione primaria si rivolge a una popolazione non selezionata di
soggetti per i quali esiste un rischio generale di devianza, di marginalità e di
patologia sociale. Questo tipo di intervento presuppone una precedente conoscenza di
un dato contesto sociale, nel quale si sono individuate le cause di una probabile
situazione di rischio, cioè di fattori che possono facilitare l’interazione tra
predisposizioni del soggetto e comportamento deviante.
La prevenzione primaria si colloca sia a livello politico (la prevenzione primaria
coincide con l’insieme delle politiche che mirano a realizzare una più alta qualità
della vita: politica della famiglia, della casa, della scuola, della gioventù, della salute,
della cultura, del tempo libero), sia a livello culturale (la prevenzione primaria mira a
formare rappresentazioni collettive corrette dei problemi della devianza e della
marginalità, svelando le eventuali distorsioni e fornendo interpretazioni il più
obiettivo possibile)199.
L’educazione rappresenta un intervento di prevenzione primaria, perché tende
a favorire la capacità di autonomia di dare un senso alla propria vita, di progettarla,
di decidere, di agire coerentemente rispetto alle decisioni, che sono condizioni
essenziali per potersi confrontare in modo maturo con la realtà e per interpretarla
correttamente200.
La prevenzione secondaria si rivolge in modo specifico a soggetti che già
evidenziano sintomi di adesione non definitiva e non strutturata ai modelli di
comportamento deviante, o a situazioni di marginalità, anormalità, patologia.
198
Maria Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, cit., cit.
199
Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e associazionismo
giovanile, cit., pp. 205-211
200
Educare per prevenire esprime una doppia intenzione: anticipare le varie forme di marginalità,
potenzialmente emergenti della povertà materiale e morale, e allo stesso tempo potenziare la capacità
di autoliberazione, di consapevolezza e di riscatto dei più poveri. Dunque, prevenzione significa anche
anticipazione dei ritmi e dei processi di sviluppo del ragazzo, incoraggiamento ad abbandonare gli
squilibri già raggiunti per esplorare nuove possibilità, ed eventualmente correre i rischi calcolati nella
ricerca di altre esperienze e di altre prospettive. Tale prevenzione implica nell’educatore la capacità di
assumersi le responsabilità di indicare strade, di accompagnare lungo la realizzazione dei percorsi di
vita dei ragazzi, di garantire il rientro positivo in caso di fallimento. Per raggiungere ciò è necessario
riattivare nei genitori, negli insegnati, negli animatori una sensibilità pedagogica e una passione
pedagogica, capace di coerente e concreta progettualità, cammino ancora lungo da fare in ambito
politico e amministrativo; cfr. Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili,
Emarginazione e associazionismo giovanile, cit., cit.
80
Da una parte, la prevenzione secondaria si rivolge alla famiglia, al gruppo dei pari,
alla scuola, al quartiere al fine di individuare i fattori predisponenti e di cercare di
neutralizzarli, fino a ottenere se possibile un appoggio positivo per l’intervento
diretto sui giovani. Dall’altra, essa si concentra sui fattori predisponenti già in azione
nel soggetto, cercando di controbatterli e di neutralizzarli.
In questo contesto il fattore educativo si presenta come dimensione insostituibile
dell’intervento preventivo; la situazione ipotizzata è quella di un soggetto che
generalmente non presenta patologie individuali specifiche ma che denota le carenze
delle capacità che normalmente un giovane in quelle condizioni, o circostanze, è in
grado di esercitare (la capacità di ricomporre gli equilibri instabili prodotti dalle
contrastanti esigenze dei compiti di maturazione).
È in questa situazione di precarietà, in cui si riconosce un numero crescente di
giovani, che si sviluppa il disagio giovanile e si preannuncia la minaccia di
comportamenti più strutturati nel senso della patologia sociale201.
La prevenzione terziaria, invece, si rivolge a soggetti che già hanno
strutturato un comportamento socialmente inaccettabile, ovvero che hanno già
sperimentato la devianza, forse hanno già interiorizzato una o più forme di
stigmatizzazione e perciò hanno accettato o subìto una lenta trasformazione della
loro personalità, fino alla formazione di un’identità negativa.
Si tratta di una forma di prevenzione che presuppone la fiducia nella piena
rieducabilità, intesa come recuperabilità delle capacità personali, del soggetto
deviante mediante interventi specificamente terapeutici.
Più positivamente, la prevenzione terziaria implica il tentativo di destrutturazione
profonda del comportamento deviante, la ricostruzione totale del quadro
motivazionale del soggetto, la neutralizzazione degli effetti dello stigma, la
normalizzazione dei ritmi di vita, la proposta di valori alternativi202.
Prevenire a questo stadio significa rendere difficile l’aggravarsi della
situazione, impedire la morte del soggetto, neutralizzare l’eventualità di altri danni
fisici o psichici a lui e agli altri203.
201
La prevenzione secondaria non contiene, o blocca, o fissa un certo livello di marginalità, ma cerca
di destrutturare il comportamento deviante al fine di riorientarlo verso un cammino di maturazione
personale; cfr. Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e
associazionismo giovanile, cit., cit.
202
Idem
203
La politica di riduzione del danno sembra comportare un abbassamento del tiro, una
minimizzazione degli obiettivi, rispetto agli interventi sulla tossicodipendenza. Quasi un programma
di ripiego, una seconda scelta resa obbligatoria dall’insuccesso della lotta contro la droga. Ma tra gli
81
interventi di aiuto (riduzione del danno) e quelli di cambiamento (uscita dalla dipendenza) non c’è una
reale contrapposizione, o discontinuità: laddove fallisce un progetto di drug-free subentra
un’attenzione alla riduzione del danno. Si assiste a un’integrazione tra “to cure” (curare) e “to care”
(prendersi cura); dunque, la politica di riduzione del danno significa alzare il tiro degli interventi,
ampliare il campo delle opportunità e non, invece, ridurre la prospettiva. Gli obiettivi principali della
riduzione del danno sono la riduzione della mortalità (per overdose, per malattia, per incidenti
correlati all’abuso); la riduzione delle infezioni (soprattutto HIV; la riduzione della carcerazione per
reati connessi al bisogno di sostanze stupefacenti; la riduzione degli stati di emarginazione e di
isolamento. Tali obiettivi vengono realizzati mediante molteplici strumenti, spesso oggetto di
dibattito, poiché non sempre ritenuti idonei al conseguimento degli obiettivi, in quanto sospettati di
aumentare i tempi di scelta, nei confronti dei programmi terapeutici, e di cronicizzare il soggetto nella
situazione apparentemente meno dispendiosa. Gli strumenti sono la disponibilità e l’accessibilità di
presidi sanitari; gli interventi assistenziali; la legalizzazione delle droghe leggere; la prescrizione
medica per somministrazione controllata di eroina. La riduzione del danno non rappresenta una nuova
politica per le tossicodipendenze; semplicemente è un insieme di strumenti in più, riconducibili a una
maggiore attenzione, soprattutto sanitaria, ai rischi in cui le persone tossicodipendenti incorrono nel
periodo di uso e di abuso alle droghe; cfr. P.A. O’Hare, R. Newcombe, A. Matthews, E.C. Buning, E.
Drucker, La riduzione del danno, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994, pp. 265-278
204
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., cit.
82
Specifica del
Aspecifica
disadattamen-
del Specifica Specifica
Potenziale to scolastico,
disadatta- primaria Secondaria
lavorativo,
mento
sociale
Sviluppa i
Accompagna e Cambia i Individua le
fattori
supporta il fattori di cause dei Individua le
protettivi e
disagio condiziona- comportamenti cause della
contiene il
evolutivo degli mento devianti dei devianza
disagio dei
adolescenti negativo giovani
giovani
Interventi di Interventi di
Interventi di
Interventi educazione accompagna-
sostegno,
ricreativo- alla salute, mento,
Interventi di orientamento
culturali, di sensibilizza- sostegno,
integrazione mirato,
socializzazione, zione, counseling,
sociale sensibilizza-
orientamento e formazione orientamento
zione e
formazione sulle sostanze risocializza-
formazione
stupefacenti zione
205
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., cit.
206
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., pp. 45-54
84
208
La legge dell’8 novembre 2000 n. 328 è un importante conquista per il tutto settore sociale, perché
prima di allora, l’unico riferimento normativo risaliva al lontano 1890 con la Legge del 1890 n. 6962,
la legge Crispi, che riconosceva ai comuni una funzione di assistenza e di controllo civile. La nuova
legge-quadro avvia un processo di integrazione e di collaborazione tra i soggetti agenti in ambito
socio-assistenziale, riconoscendo il ruolo di aiuto e di sostegno del privato sociale, come le
associazioni di volontariato, le cooperative sociali, gli organismi non lucrativi di utilità sociale e le
associazioni di promozione sociale, in quanto fondamentali risorse nella definizione e nell’attuazione
di un progetto integrato, finalizzato alla risoluzione delle situazioni di bisogno o di difficoltà che le
persone incontrano nel corso della vita. L’art. 19 della Legge dell’8 novembre 2000 n. 328 definisce la
pianificazione degli interventi e dei servizi sociali in ambito locale, mediante un nuovo strumento: il
piano di zona, ovvero un piano regolatore dei servizi alla persona, uno strumento di pianificazione, in
cui convergono le decisioni dei comuni con quelle delle ASL, che ne specificano le attività sanitarie in
correlazione con le attività socio-assistenziali.
86
209
Solo quattro Regioni dispongono di un organo di coordinamento delle politiche giovanili: la
Campania, il Piemonte, la Valle d’Aosta e il Veneto. In tutte le altre la materia fa capo a diversi
assessori, il che comporta notevoli difficoltà per chi opera sul campo; cfr. Luigi Regoliosi, La
prevenzione del disagio giovanile, cit., cit.
210
Idem
211
Vedere in Appendice Allegato 5 (pp. 184-189)
87
212
Le operazioni della strategia preventiva appartengono sempre e comunque all’ambito della
comunicazione; negli anni Novanta la modalità comunicativa favorita era quella della dissuasione, il
cui scopo mirava al non “far volere” o al “voler non fare” al fine di dissuadere il giovane dal compiere
un’azione, di provocandogli un rifiuto verso l’azione stessa, di suscitare indifferenza verso l’azione
stessa. Per raggiungere tale scopo occorre manipolare, persuadere e dissuadere la dimensione del
dovere, del credere, del sapere e del volere stesso dei destinatari delle informazioni. Ma gli effetti del
processo comunicativo non sono minimamente prevedibili sulla base delle intenzioni dei giovani, né
sulla base delle loro credenze; gli effetti dipendono esclusivamente dal tipo di struttura dei linguaggi
che vengono utilizzati. L’universo della informazione degli anni Novanta si suddivide in testi sul
mondo della droga che comunicano esplicitamente di essere degli atti informativi per un determinato
destinatario (es. slogans, telegiornali, servizi speciali) e in testi che, pur passando tramite un mass
media, non comunicano di essere degli atti informativi, ma implicitamente diffondono dei messaggi
importanti (film, telefilm, romanzi, documentari narrativi); cfr. Massimo Buscema, Prevenzione e
dissuasione, cit., pp. 43-70
213
Duccio Demetrio, Ferdinando Montuschi, Augusto Palmonari, Franco Prina, Tiziano Vecchiato, La
prevenzione del lavoro sociale con gli adolescenti, Padova, Fondazione Emanuela Zancan, 1994, pp.
34-44
214
http://it.wikipedia.org/wiki/Educazione
88
215
Maria Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, cit., cit.
216
Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e associazionismo
giovanile, cit., pp. 249-252
89
di crescita che l’età dei figli pone in essere e rendano possibile lo svincolo da loro
come genitori217.
Nell’ottica di una prevenzione efficace, Jean-Claude Matysiak rimarca quanto
sarebbe rassicurante poter definire il profilo tipico della famiglia patologica o dei
rapporti familiari a rischio, ma tale profilo non esiste. Secondo Matysiak, da un lato
esistono genitori che faticano ad abituarsi all’idea che l’adolescente possa avere una
vita autonoma e, dunque, separarsi da loro. Vivono ogni crisi del proprio figlio come
un dramma personale, un fallimento; mentre sono proprio queste crisi che gli
permetteranno di accedere all’autonomia. I genitori tendono a considerare il proprio
figlio fragile e, in questo modo, sono incapaci di trasmettergli la necessaria fiducia di
sé, perché nel profondo non la provano neppure loro. Dall’altro, l’adolescente deve
affrontare una prova che vive come insormontabile: deve porre fine a una dipendenza
che non sopporta più. Ogni sua energia viene assorbita da questa lotta spossante:
elaborare il lutto del proprio stato di bambino e uscire dalla dipendenza dalla
famiglia. Uscire però dallo stato di bambino, identificarsi con il padre o con la
madre, prendere il suo posto sono fasi tanto delicate quanto necessarie per ogni
adolescente poiché attraverso una lenta evoluzione, disseminata di crisi successive,
diventerà autonomo. Nella ricognizione delle riflessioni effettuate da Jean-Claude
Matysiak emerge che scegliere di dipendere da una sostanza può essere un facile
compromesso per cercare di porre fine alla dipendenza dai genitori, ma così
l’adolescente sfugge ai rapporti ed evita l’identificazione con un adulto, non
provando le normali angosce ad esso legata218.
Quando i genitori, attraverso determinati sintomi e comportamenti oppure
attraverso la rivelazione di amici, si rendono conto che il proprio figlio è agganciato
dalla droga, non devono spaventarsi. La tossicodipendenza di un figlio è un
avvenimento sconvolgente, ma se si vuole aiutarlo occorre innanzitutto mantenere il
controllo delle proprie emozioni. Non è facile rendersi conto immediatamente che il
proprio figlio non è più padrone di sé e non può prendere decisioni razionali. Non è
facile capire subito che non può privarsi della droga da un’ora all’altra solo sulla
217
Il legame genitoriale non muta solamente nei rapporti con i figli, ma anche all’interno della coppia.
È questo il punto nodale: l’adolescenza è il detonatore che fa scoppiare conflitti, delusioni,
recriminazioni, disperazioni latenti; cfr. Maria Teresa Zattoni, Genitori nella tempesta, Cinisello
Balsamo, Edizioni San Paolo, 2005, pp. 17-43
218
Nonostante oggi dovrebbe essere più facile avere accesso a consigli o a un sostegno psicoterapico, i
genitori nascondono le difficoltà del figlio e vivono ogni problema come una messa in discussione, un
fallimento personale; cfr. Jean-Claude Matysiak, Come non cascarci, Torino, EGA Editore, 2003, pp.
115-138
90
base di argomenti logici. Il momento della scoperta è solo l’inizio di un lungo iter
che prevede, dopo appropriate cure mediche, anche altre forme di assistenza.
Piera Patti sostiene che sia da evitare la dichiarazione perentoria “tu non esci di
casa” perché questa sarebbe la prima mossa sbagliata. Dalle sue riflessioni emerge
che occorre parlare con calma al ragazzo e cercare di sapere da lui, se è possibile,
quali sono le reali condizioni della sua dipendenza e la portata del disagio che sta
vivendo. Ciò è estremamente difficile, perché purtroppo i tossicodipendenti mentono
sempre. Mentono non perché sono cattivi, ma perché la menzogna è frutto della loro
malattia. Difendono inconsciamente se stessi dal giudizio dei genitori e dalla
possibilità di continuare a drogarsi. Sono spaventati e cercano accettazione e pensano
di conquistarsela nascondendo almeno parzialmente la verità. Secondo Piera Patti
non ci si può fidare delle loro dichiarazioni e conviene verificarle, sia attraverso
un’indagine medica, sia con l’esame delle urine che fornisce un’indicazione precisa.
Se il giovane non accetta assolutamente il controllo, questo significa quasi sempre
che non è in grado di stare neppure un giorno senza droga. Conosciuto il tipo di
droga usato abitualmente e lo stato reale di intossicazione del ragazzo, i genitori
dovranno dirgli subito di essere pronti ad aiutarlo, chiarendo che ciò non vuol dire
accettare la sua tossicodipendenza, non significa accettare di convivere con la droga.
Nella ricognizione delle riflessioni effettuate da Piera Patti emerge quanto sia
importante, fin dall’inizio, impostare la lotta contro la droga assumendo
l’atteggiamento giusto. Al ragazzo occorrono parole buone, dimostrazioni di affetto
poiché deve rendersi conto subito che in casa sua non potrà mai drogarsi in pace. E al
dichiarato rifiuto dei genitori di accogliere la droga in casa deve seguire
risolutamente la proposta terapeutica, senza che essi cadano nella trappola del
dialogo e dei buoni propositi: la battaglia contro la droga non deve essere rimandata.
Ma attenzione: combattere la droga non vuol dire combattere il ragazzo219.
Se l’adolescente vede negli occhi degli adulti solo la paura legata alle sue
manifestazioni devianti, può essere messo in grave difficoltà. Se l’adulto non riesce a
valorizzare gli aspetti positivi ancora presenti, o esistenti dietro quei comportamenti,
219
Dieci consigli da non dimenticare: 1) continuare ad amare il figlio drogato; 2) non umiliarlo; 3) non
lasciarsi trasportare dalla pietà; 4) non cedere ai suoi ricatti per tacitare i propri sensi di colpa; 5) non
dargli mai denaro per la droga; 6) se accetta la cura non criminalizzare una sua eventuale ricaduta; 7)
non lasciarsi mai coinvolgere in discussione paradossali e in scenate; 8) ribadire con fermezza la
propria incontrollabile decisione di non voler convivere con la droga; 9) offrire aiuto solo se diretto
alla guarigione; 10) di fronte al rifiuto reciso di accettare un programma terapeutico, negare la
protezione della casa; cfr. Piera Patti, La droga no, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pp. 43-
77
91
220
Marisa Malagoli Togliatti, Ritagrazia Ardone, Adolescenti e genitori, Roma, La Nuova Italia
Scientifica, 1993, pp. 111-132
221
I cambiamenti socio-culturali conseguenti alla ricostruzione post-bellica e al boom economico
spostano progressivamente l’interesse sulla funzione di riproduzione sociale, ovvero sui temi della
sessualità, della coppia, della genitorialità consapevole, dello sviluppo e della stabilizzazione della
personalità dei minori, del ruolo della famiglia nella soluzione dei problemi che affliggono la società.
Si gettano così le basi per il riconoscimento della famiglia come potenziale fonte di problemi e come
risorsa. In particolare viene valorizzato il contributo della famiglia alla creazione di benessere in
qualità di risorsa educativa e di risorsa comunitaria (tipica della cooperazione, dell’associazionismo,
del mutuo-aiuto, delle reti delle prossimità); cfr. Studi interdisciplinari sulla famiglia, Famiglie in
difficoltà tra rischio e risorse, Milano, Vita e Pensiero Pubblicazioni dell’Università Cattolica, 1992,
pp. 257-271
92
222
Anna Cugno, Il sistema integrato di protezione e promozione sociale, Università degli Studi di
Torino, Anno Accademico 2004-2005
93
223
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., pp. 45-54
94
maggiori della società nei riguardi di crescita e di sviluppo della personalità dei
giovani per garantire il futuro della società224.
La prima legge che coinvolge la scuola nel problema delle tossicodipendenze
è la legge del 22 dicembre 1975 n. 685, che istituisce dei Comitati Provinciali e avvia
corsi di formazione per docenti, genitori e studenti. Gli stessi Nuovi Programmi della
Scuola Media Inferiore (1979) prevedono l’introduzione dell’educazione sanitaria; e
la Circolare Ministeriale del 1° agosto 1981 n. 242 indica la necessità di una
cooperazione tra scuola e organizzazione sanitarie, per quanto riguarda l’educazione
alla salute. L’asse si sposta gradualmente da un’informazione tesa a prevenire la
malattia o la devianza, a una educazione tesa a responsabilizzare i giovani alla salute
individuale e collettiva. Non è un salto da poco: da una logica medicalistica si passa
a una logica sociale. Da una parte la scuola si apre al territorio; dall’altra coopera con
istituzioni limitrofe per l’attuazione di obiettivi comuni; dall’altra ancora si fa carico
dell’obiettivo di educare i giovani a “essere”, agendo preventivamente in difesa della
loro salute e della salute sociale225.
Una scuola orientata alla prevenzione è anzitutto una scuola che riflette sulla
propria realtà complessiva e sulla qualità del proprio servizio educativo, affinché
essa possa divenire uno spazio di apprendimenti e di relazioni realmente significativi
per quanti (studenti e docenti) fanno dell’essere nella scuola un ambito quotidiano di
esperienza che occupa un posto di rilievo nel proprio mondo vitale. A tale riguardo
viene oggi ribadito che la scuola fa prevenzione a un livello generale, ma certamente
non meno incisivo, perché da un lato si occupa di come il ragazzo sta a scuola, di
come e quali sono i rapporti interpersonali con adulti e coetanei, di come sente e vive
quelle esperienze di attività e di impegno che nella scuola si svolgono; dall’altro
riesce a promuovere l’apprendimento, attraverso lo sviluppo delle capacità
dell’apprendere. Si può affermare che quanto più la scuola impone la qualità del
proprio intervento secondo quei fini formativi che le sono peculiari, tanto più fa
prevenzione nei riguardi dei comportamenti devianti e di personalità a rischio226.
La scuola si fonda sull’instaurazione di un dialogo reale a partire dalla
negoziazione di un contratto tra studenti e docenti che deve definire la posta in gioco,
i ruoli e le regole. Il contratto comunicativo implicito che lo studente interiorizza
224
Lorenzo Tartarotti, Droga e prevenzione primaria, Milano, Giuffrè Editore, 1986, pp. 105-127
225
Guido Contessa, Prevenzione primaria delle tossicodipendenze, Rozzano (MI), Clup, 1989, pag. 32
226
Lorenzo Tartarotti, Droga e prevenzione primaria, cit., cit.
95
quando entra nel mondo della scuola si riassume attorno ad alcuni principi molto
semplici: la posta in gioco è l’apprendimento di un sapere, i ruoli distinguono chi
detiene il sapere (il docente) da chi deve apprenderlo (lo studente), le regole
attribuiscono al docente la facoltà di valutare (attraverso prove scritte e orali) il
livello di apprendimento dello studente, e conseguentemente di promuoverlo o
bocciarlo. Tale contratto comunicativo rivela tutta la sua inadeguatezza di fronte a
materie “non-materie” come l’educazione civica, l’insegnamento della religione,
l’educazione alla salute e la prevenzione, cioè a quegli impegni formativi che non si
rivolgono nell’apprendimento di un sapere, ma che pretendono di incidere sulle
convinzioni e sui comportamenti individuali del giovane. Dunque, la posta in gioco
non è più l’istruzione in una disciplina, ma i problemi che sottostanno al proprio stile
di vita; non ha più senso la distinzione così netta tra chi sa e chi non sa, ma bisogna
distinguere tra diversi livelli di esperienza personale; non è più possibile dare voti,
promuovere o bocciare, perché il semplice sospetto di un atteggiamento valutativo
pregiudicherebbe in partenza qualsiasi comunicazione che investa la sfera personale
e intima del ragazzo227.
Dai servizi di primo livello (scuola) che svolgono un ruolo di intervento
diretto – di carattere formativo o esplicitamente preventivo – nei confronti
dell’utenza giovanile, passiamo ora a quelli di secondo, ovvero i servizi pubblici
(Ser.T. e unità di strada).
La base legislativa nazionale che definisce le funzioni dei servizi pubblici è il
Decreto Ministeriale n. 444 del 1990. Ai Ser.T. sono demandate le attività di
prevenzione, riabilitazione e reinserimento relative alle tossicodipendenze e alle
patologie correlate.
I Ser.T. operano in collaborazione con altri settori della sanità e con le
organizzazione del privato sociale. Svolgono inoltre attività di consulenza nei
confronti di enti pubblici e privati. Garantiscono un accesso diretto dell’utente e
propongono un approccio multidisciplinare ad orientamento integrato teso al
superamento dei problemi di cui il paziente è portatore al fine di supportare in modo
personalizzato la migliore qualità della vita possibile.
227
Lo sviluppo di iniziative diverse e alternative rispetto alle attività didattiche consente di aggirare
l’ostacolo del contratto comunicativo, dando vita a spazi protetti, dove è possibile relazionarsi e
comunicare sulla base di nuove regole, più adeguate ai temi in questione, senza però toccare l’assetto
generale del sistema scolastico; cfr. Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., pp.
109-126
96
228
Il termine counseling (o anche counselling secondo l'inglese britannico) indica un'attività
professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente promuovendone
atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. Si occupa di problemi non specifici
(prendere decisioni, miglioramento delle relazioni interpersonali) e contestualmente circoscritti
(famiglia, lavoro, scuola). L’attività di counseling svolta da un counselor, persona professionalmente
in grado di aiutare un interlocutore in problematiche personali, private e talvolta emotivamente
significative. In base al bagaglio di abilità possedute, le competenze proprie all'attività di counseling
possono essere presenti nell'attività di diverse figure professionali quali psicologi, medici, assistenti e
operatori sociali, educatori professionali. Essa è finalizzata a “consentire ad un individuo una visione
realistica di sé e dell'ambiente sociale in cui si trova ad operare, in modo da poter meglio affrontare
le scelte relative alla professione, al matrimonio, alla gestione dei rapporti interpersonali, con la
riduzione al minimo della conflittualità dovuta a fattori soggettivi”, ed è inoltre “un’attività di
competenza relazionale che utilizza mezzi comunicazionali per agevolare l'autoconoscenza di se stessi
attraverso la consapevolezza e lo sviluppo ottimale delle risorse personali per migliorare il proprio
stile di vita in maniera più soddisfacente e creativo”; cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Counseling
229
Teresa Albano, Lolita Gulimanoska, In-dipendenza: un percorso verso l’autonomia, cit., pp. 261-
275
97
230
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., pp. 43-106
98
231
Massimo Buscema, Prevenzione e dissuasione, cit. pp. 34-42
232
Quaderni di Animazione sociale, Il lavoro di strada, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1995, pp. 62-
128
99
233
Idem
100
234
Ibidem
101
alcune superfici murarie ad interventi artistici che partano dalle attività del
Writing e che si sviluppino in opportunità di espressione più allargata. Il
progetto MurArte nasce dall’esigenza di affrontare due diverse tematiche
urbane: da una parte, l’esigenza di agire nel riconoscere alcune realtà
artistico-giovanili spesso sconosciute e clandestine ma che nascondono una
forte potenzialità di espressione e creatività; dall’altra, la necessità di attivare
nuove iniziative a basso costo per combattere il degrado fisico di alcune parti
della nostra città migliorandone la percezione;
9. Pagella Non Solo Rock è un progetto del Settore Politiche Giovanili del
Comune di Torino rivolto a gruppi di giovani al di sotto dei 23 anni composti
per almeno il 50% da studenti e/o studentesse delle scuole superiori di Torino
e provincia, che propongono brani propri appartenenti a qualsiasi genere
musicale;
10. Est-Adò propone ai giovani tra i 14 e i 18 anni che trascorrono in città una
parte o l'intero periodo estivo, un programma di iniziative, tutte gratuite. Le
aree per attività polivalenti, centri estivi allestiti presso ogni circoscrizione,
offrono la possibilità di fare sport, teatro, giochi e musica;
11. Scambi Giovanili Internazionali offrono ai giovani tra 13 e 30 anni
(residenti in Torino e Regione Piemonte) l'opportunità di partecipare, con un
costo contenuto, a soggiorni di 8-15 giorni in compagnia di coetanei, con la
guida di animatori-accompagnatori designati dalla Città di Torino;
12. Servizio Civile Nazionale Volontario si rivolge a i giovani tra i 18 e i 28
anni interessati a dedicare dodici mesi della propria vita a se stessi e agli altri,
formandosi, acquisendo conoscenze ed esperienze e maturando una propria
coscienza civica. Il tutto attraverso l'agire concreto all'interno di progetti di
solidarietà, cooperazione e assistenza;
13. Teenforma sono delle schede internet realizzate da un gruppo di ventenni in
Servizio Civile presso il Centro InformaGiovani su temi che spaziano dalle
opportunità per i giovani presenti in città alle modalità di approccio alle
nuove tecnologie,
opportunità per i giovani presenti in città alle modalità di approccio alle
nuove tecnologie, ad un uso consapevole delle risorse energetiche nella
quotidianità.
104
235
Ministero dell’Interno Direzione Generale dei Servizi Civili, Emarginazione e associazionismo
giovanile, cit., pp. 218-235
105
la Lotta alle Droghe (D. PR. 309/1990) e vede attualmente l’impegno di una équipe
multidisciplinare in grado di offrire le seguente prestazioni:
- percorsi di osservazione e di consulenza diagnostica e proposte di terapia per
chi ha usato e/o abusato di sostanze di sintesi;
- consulenze informative e/o formative ad adulti e operatori sociosanitari che
incontrano o lavorano con giovani consumatori e non;
- attività di prevenzione nelle scuole del territorio dell’ASL TO1 (ex ASL 1).
I destinatari a cui si rivolge il progetto sono i giovani consumatori e non, gli
operatori impegnati nei servizi sociali e sanitari del pubblico e del privato sociale, gli
insegnanti, gli adulti e i genitori.
La popolazione sul territorio dell’ASL TO1 (ex ASL 1) nella fascia d’età 15-30 anni
è stimata in 36.069 soggetti (dati dell’Ufficio Statistica di Torino al 28 febbraio
2005). Essa rappresenta la popolazione di riferimento del progetto “O.N.D.A. 1”, nei
confronti della quale il Ser.T. dell’ASL TO1 (ex ASL 1) intende proporsi come
punto di riferimento sanitario per i problemi connessi all’uso e all’abuso delle nuove
droghe. La finalità principale è quella di avvicinarsi al fenomeno dell’uso e
dell’abuso delle sostanze psicotrope, al fine di comprenderlo maggiormente e,
successivamente, offrire un luogo nel quale riuscire a sostenere questo tipo di
popolazione. Dunque, l’obiettivo è raccogliere quella quota di problema che può
essere agganciata da un servizio per le dipendenze e poi dare consulenza ai genitori,
lavorare su questo fenomeno in modo ampio senza predefinire i problemi a priori.
Il progetto prevede tre fasi distinte su un arco temporale inizialmente
triennale: una prima fase di costituzione dell’équipe e di insediamento del servizio,
una seconda fase di pubblicizzazione e di costruzione della rete di relazioni per
l’intercettazione dei consumatori, una terza di avviamento e di consolidamento
dell’attività clinica.
La prima fase prevede:
- la costituzione di una équipe multiprofessionale (composta da medici,
psicologi, educatori e assistenti sociali) e interdistrettuale (composta da
operatori dipendenti dei quattro Ser.T. dell’ex ASL 1, accanto a consulenti a
contratto);
- il consolidamento e l’attivazione di collaborazioni con enti e agenzie
coinvolte nell’osservazione e nel rilevamento del fenomeno (Pronto Soccorso
Ospedalieri, Scuole Medie Superiori, medici di Medicina Generale,
106
Il progetto “Esta siEsta si”, realizzato dal Ser.T. dell’ASL TO2 (ex ASL 3),
prende avvio nel gennaio del 2001 e si conclude nel novembre del 2002, poiché il
territorio delle circoscrizioni 4 e 5 è povero di locali notturni rivolti agli adolescenti e
ai giovani, ma la presenza dello stadio Delle Alpi risulta essere un grosso
catalizzatore. Pertanto, nell’autunno del 2003 prende avvio il progetto “Tutta la
curva!” con l’obiettivo di:
- conoscere il fenomeno del policonsumo nel contesto dello stadio di calcio,
attraverso una ricerca-mappatura all’interno dello stesso, con l’obiettivo di
individuare i gruppi, le modalità di comportamento e le strategie di azione e
di consumo;
- fare informazione mirata ad hoc, esplicitare la presenza del progetto
attraverso la pubblicizzazione di materiale che spieghi la ragione degli
interventi nel contesto dello stadio;
- individuare e agganciare i soggetti significativi all’interno delle tifoserie,
disposti a confrontarsi con il progetto, al fine di acquisire informazioni e
contenuti per poter essere moltiplicatori, in un secondo momento, di
informazioni nei propri contesti/gruppi di appartenenza e attori protagonisti
delle iniziative promosse dal progetto.
110
capacità e competenze, valorizzarle e farle diventare strumenti per far fronte alle
situazioni di rischio e di incertezza, rafforzando le proprie scelte.
L’esperienza del lavoro di strada ha fatto nascere e sviluppare una nuova idea
durante l’ultimo anno: la creazione di un luogo in cui i ragazzi del quartiere (Vallette
e limitrofi), di ritorno dalle discoteche, potessero rilassarsi ed essere accolti. La scelta
del luogo è motivata sia dall’esigenza di radicarsi ulteriormente nel territorio, sia
dall’evidente constatazione che i ragazzi vivono prevalentemente nei dintorni.
L’allestimento è stato realizzato in un salone arredato con tappeti e pouf, tende
oscuranti per rendere il posto il più accogliente possibile, generi di conforto
(caramelle, tisane, succhi di frutta, biscotti, acqua, integratori, frutta), candele, luci
soffuse, materiale informativo sulle sostanze e sul sesso sicuro, preservativi,
postazione musicale.
Tale esperienza è durata solo tre mesi, poiché, non essendoci locali notturni in zona, i
ragazzi arrivavano quando ormai era terminato l’effetto positivo o negativo delle
sostanze assunte e, spesso, coloro che frequentavano tale spazio, non erano
consumatori ed erano fuori età (dunque non erano nemmeno interessati
all’argomento droghe, ma cercavano semplicemente un luogo di incontro e di
informazione). Si è così realizzato un centro diurno rivolto a ragazzi più giovani, di
età compresa tra i 14 e i 18 anni, nel quale si sono svolte attività di tipo educativo-
ricreazionale e giochi in grado di offrire informazioni sulle sostanze e sulla sfera
sessuale e affettiva.
236
Duccio Demetrio, Ferdinando Montuschi, Augusto Palmonari, Franco Prina, Tiziano Vecchiato, La
prevenzione nel lavoro sociale con gli adolescenti, cit., pp. 34-44
115
237
Vedere in Appendice Allegato 6 (pp. 190-199)
116
Dai grafici n. 3.1.a e 3.1.b emerge che i giovani ricevono le prime informazioni sulla
droga dai mass media (25%, nello specifico 21% televisione, radio e 4% libri,
giornali per i ragazzi tra i 15 e i 18 anni, contro il 38% dei giovani tra i 19 e i 25
anni, suddiviso in 33% televisione, radio e 5% libri, giornali), poi all’interno del
gruppo dei pari (33% per i ragazzi dai 15 ai 18 anni e 23% per quelli dai 19 ai 25
120
anni), al penultimo posto troviamo la famiglia (22% per gli intervistati tra i 15 e i 18
anni e 19% per quelli tra i 19 e i 25 anni) e, infine, la scuola (20% per i ragazzi dai
15 ai 18 anni e 19% per quelli dai 19 ai 25 anni).
Interessante è la differente percentuale relativa ai mass media e agli amici; con il
crescere dell’età i ragazzi tendono a ricercare le informazioni e ad apprendere le
notizie da fonti più specifiche e formali allontanandosi dal gruppo dei pari.
Per quanto concerne il ruolo della famiglia, tali grafici smentiscono la mia ipotesi di
partenza, poiché risulta non essere vero che i genitori non parlino ai figli di droga.
Dal grafico n. 3.2. (presente in appendice) si evince che i ragazzi, le femmine in
particolare, ricevono importanti informazioni proprio all’interno del contesto
familiare. Ciò sta a indicare che il dialogo tra genitori e figli è decisamente
aumentato e, forse, migliorato.
Interessante è l’assenza di altre fonti di informazioni, come centri di aggregazione
giovanile, oratorio e così via.
121
I grafici n. 4.1.a e 4.1.b mostrano che le droghe più conosciute sono le solite: cocaina
(16% tra i ragazzi dai 15 ai 18 anni e 17% tra quelli dai 19 ai 25 anni), eroina (12%
per i giovani tra i 15 e i 18 anni e 15% per quelli tra i 19 e i 25 anni), marijuana (16%
tra i ragazzi dai 15 ai 18 anni e 14% tra quelli dai 19 ai 25 anni) e hashish (13%). Per
quanto concerne le nuove droghe, la più conosciuta è l’ecstasy (11% per i giovani dai
15 ai 18 anni e 9% per quelli dai 19 ai 25 anni); stranamente poco rilevante la
percentuale delle anfetamine (6%) e di altre droghe sintetiche.
Osservando il dettaglio offerto dal grafico n. 4.2. (presente in appendice), è
interessante notare che a seconda delle diverse età le sostanze maggiormente
conosciute sono differenti: tra i 15 e 18 anni prevale la conoscenza del crack, del
popper e dell’oppio; mentre tra i 18 e i 25 anni è superiore la conoscenza del lsd, dei
funghi allucinogeni e della morfina.
122
16%, seguita dal crack con il 12%. Eroina ed ecstasy sono riconosciute di pari
gravità (9%), mentre tra le droghe più pesanti troviamo le anfetamine (8%) e i funghi
allucinogeni (5%).
Per gli adolescenti, dunque, la cocaina non comporta delle conseguenze
particolarmente gravi sul proprio corpo. Ritengo che il dato sia abbastanza
allarmante, poiché i ragazzi intervistati sono tutti a conoscenza degli effetti e dei
rischi che le diverse sostanze producono, ma ugualmente non percepiscono su di loro
tali conseguenze e, soprattutto, la gravità ad esse collegate.
Invece, su 150 ragazzi intervistati, tra i 19 e i 25 anni, il 25% sostiene che la
marijuana sia la droga più leggera, segue l’ecstasy con il 16%, poi la cocaina con il
14% e l’hashish compare solo al quarto posto con il 13%, poco lontana dalle
anfetamine, dato che la percentuale è del 12%. Tra le droghe più pesanti troviamo il
crack (8%), i funghi allucinogeni (7%) e, all’ultimo posto, l’eroina (5%).
Il grafico n. 5.2 (presente in appendice) evidenzia esplicitamente la confusione
presente nei ragazzi, in particolare tra i 19 e 25 anni, poiché mettono tra i primi posti
l’ecstasy e la cocaina; mentre i giovani tra i 15 e 18 anni sembrano avere maggiore
conoscenza e chiarezza rispetto alla differente pericolosità delle sostanze, forse
perché più informati in merito, o con più esperienza di uso e di consumo delle stesse.
124
I grafici n. 7.a e 7.b mostrano l’opinione dei ragazzi rispetto alle iniziative di
prevenzione finora offerte dalla città di Torino (nello specifico, andando presso tre
126
istituti presenti sul territorio di appartenenza del Ser.T. dell’ASL TO1, ex ASL 2, del
Distretto 1 evidenzia la percezione prodotta dal progetto di prevenzione
“Recreational Drugs”).
Tali grafici si riferiscono a un quesito molto articolato, poiché comprende dieci
sottodomande a scelta multipla, al fine di osservare il risultato delle iniziative di
prevenzione attuate finora dalle ASL cittadine (se le informazioni date suscitino
confusione o chiarezza, se incentivino la cura di sé o la curiosità a provare), di
conoscere i destinatari degli interventi (se siano coinvolti anche i genitori e gli adulti
in generale) e di esaminare i contenuti dei messaggi (se siano presentati anche i
servizi specialistici e altri centri di aggregazione giovanile) e le modalità di
trasmissione degli stessi (se coinvolgano i giovani a una partecipazione attiva, ad
esempio elaborando un progetto, e se offrano ai giovani uno spazio di ascolto e di
riflessione).
Dai grafici n. 7.a e 7.b emergono che:
a. gli interventi di prevenzione hanno fornito informazioni sui diversi tipi di
droghe, sugli effetti e sui rischi che producono (con una lieve incertezza da
parte dei giovani tra i 19 e i 25 anni, in quanto poco più della metà degli
intervistati ritiene che gli interventi di prevenzione non abbiano fornito
informazioni soddisfacenti in materia di sostanze stupefacenti);
b. le informazioni offerte non hanno suscitato confusione e paura;
c. i dati appresi hanno stimolato maggiore attenzione per la tutela della propria
salute;
d. le informazioni offerte hanno incentivato la curiosità e la voglia di provare;
e. le notizie fornite non hanno ridotto l’uso e il consumo di droga tra i giovani;
f. le iniziative di prevenzione hanno presentato l’esistenza di servizi in cui
trovare ascolto;
g. gli interventi di prevenzione non hanno presentano l’esistenza di centri di
aggregazione giovanile e per il tempo libero;
h. i progetti di prevenzione non hanno coinvolto i genitori e gli adulti in
generale;
i. le iniziative di prevenzione non hanno coinvolto i partecipanti a elaborare
insieme un progetto di prevenzione;
l. gli interventi di prevenzione hanno offerto uno spazio di riflessione e di
confronto con degli esperti (con una lieve incertezza da parte dei giovani tra i
127
19 e i 25 anni, in quanto poco più della metà degli intervistati ritiene che gli
interventi di prevenzione non abbiano offerto uno spazio di riflessione e di
confronto adeguato).
Dunque, per i ragazzi le informazioni offerte non sono soddisfacenti, anzi assumono
una valenza negativa (dato che incentivano la curiosità e la voglia di provare e non
riducono l’uso di droga) poiché riguardano sempre le solite vecchie tematiche
(elenco di sostanze, presentazione dei rischi a livello fisiologico, ecc…) e non
trattano nuovi e più interessanti argomenti, come la presenza di centri di
aggregazioni giovanile, presenti su tutto il territorio cittadino (ad esempio nel
territorio di appartenenza del Ser.T. dell’ASL TO1, ex ASL 2, del Distretto 1 sono
presenti molteplici centri di aggregazione giovanile e per il tempo libero, ma nessuno
dei ragazzi intervistai ha citato i centri di aggregazione giovanile CentroDentro e
Isola che non c’è, il centro ragazzi Lilliput, lo sportello di ascolto e consulenza
psicologica per genitori Parliamone, presso le scuole elementari, e lo sportello Lucy
presso le scuole medie inferiori, ecc…).
Presso i centri di aggregazione giovanile si può trovare uno spazio in cui incontrarsi,
condividere attività ludico-ricreative e, ove richiesto, essere accolti e ascoltati da
professionisti ed esperti in materia di dipendenza patologica, i quali non offrono
sostegno e informazioni solo in ambito di droga.
Interessante è la risposta positiva, dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni, all’ultima domanda,
relativa alla riflessione e al confronto suscitato dagli interventi di prevenzione,
poiché dimostra che gli incontri svolti presso le scuole, diventando finalmente
interattivi, permettono ai ragazzi sia di fare domande sia di riflettere e confrontarsi
con adulti esterni al contesto scolastico e, quindi, meno coinvolti nella sfera di vita
personale, intima e privata.
238
Teresa Albano, Lolita Gulimanoska, In-dipendenza: un percorso verso l’autonomia, cit., cit.
239
Idem
129
focalizzando l’attenzione sulle risorse e sulle competenze che già possiede, ma che
occorre rinforzare e arricchire.
Non è sufficiente informare e formare gli adolescenti e i giovani sul tema
dell’uso e dell’abuso delle nuove droghe; fondamentale è il coinvolgimento della
famiglia e degli adulti, che con essi maggiormente vi si relazionano, poiché sono loro
per primi che devono accompagnare e guidare i ragazzi nella costruzione della
propria identità e nello sviluppo della propria autonomia, al fine di offrire loro i
mezzi e gli strumenti per affrontare le situazioni problematiche e traumatiche, che
naturalmente si presentano lungo il corso della vita.
Famiglie e adulti non sono preparati a sostenere ogni evento critico; occorre il
supporto di professionisti mediante un intervento integrato, fondato sulla sinergia e
sulla cooperazione di tutte le agenzie di socializzazione e di formazione – famiglia,
scuola e servizi competenti in materia di dipendenza patologica – poiché i
cambiamenti sociali e culturali che investono le nuove famiglie e le trasformazioni
antropologico-culturali e relazionali e le modificazioni socio-economiche che
caratterizzano la società contemporanea, sottolineano la complessità e la difficoltà di
tutti gli attori coinvolti nell’educazione e nella formazione dei nuovi giovani.
Tale complessità e difficoltà è alimentata dalla non conoscenza dei servizi
specialistici competenti; sia adulti che giovani non conoscono né il Ser.T. né altre
realtà in ambito di dipendenza patologica e ciò vanifica, se non addirittura impedisce,
il lavoro di aggancio dei servizi nei confronti degli adolescenti, consumatori e non,
dei loro famigliari e di tutti gli adulti che sono a contatto con il mondo giovanile.
L’accesso al Ser.T. avviene soprattutto in casi di policonsumo dei giovani, quindi in
casi particolarmente gravi, o su richiesta dei genitori più vulnerabili, o su
segnalazione da parte dell’Autorità Giudiziaria. Spontaneamente non si presenta
alcun ragazzo, anche perché la stigmatizzazione è troppo forte: chi va al Ser.T. è un
drogato! Inoltre, le famiglie continuano a gestire in casa queste problematiche,
perché viste come fallimento e non conoscono le attività realmente svolte dal
servizio pubblico; l’immagine prevalente è che al Ser.T. ci si vada solo per
disintossicare.
La mia proposta di prevenzione è semplice: occorre arrivare ai ragazzi in
modo più credibile e più vicino al loro mondo. Non sono utili campagne
allarmistiche, né spiegazioni troppo scientifiche ed elaborate. Il modo migliore per
raggiungere i giovani è quello di comunicare per immagini, utilizzando il loro
131
linguaggio all’interno dei loro contesti di appartenenza. Credo sia utile mostrare loro
racconti ed esperienze di vita direttamente da coetanei consumatori, poiché utilizzano
termini e concetti di facile e immediata comprensione, suscitando maggiore
condivisione e riconoscimento, in quanto loro pari.
È necessario concentrarsi sugli effetti e sui rischi che le sostanze comportano
(e non sulle tipologie di droghe, perché i giovani le conoscono perfettamente) ma tali
concetti devono essere spiegati con termini chiari e semplici, senza spaventare e
senza alludere che al primo tentativo di consumo le conseguenze siano irrecuperabili,
perché questo susciterebbe solo la curiosità dei ragazzi, se non addirittura una sfida
per dimostrare che non è così.
È fondamentale non allontanarsi dai giovani. Per fare questo, diventano inutili
gli interventi in cui vengono offerte molteplici informazioni, accompagnate da una
serie di dati, in quanto restano fini a se stesse, non arrivano ai ragazzi. È necessario
che partecipino attivamente agli incontri di prevenzione: devono poter fare domande;
devono poter rielaborare immediatamente le informazioni ricevute; devono far propri
i nuovi concetti acquisiti; devono contestualizzare e personalizzare la questione
droga. Non è facile comprendere che dietro ogni azione vi sia sempre una
conseguenza sul nostro corpo, anche perché i risultati non sono immediati, perciò
occorre accompagnare i ragazzi nella costruzione di una percezione temporale, lungo
la quale ogni attività svolta deve essere riconosciuta, attribuita del giusto significato e
immagazzinata per considerazioni futuri.
Interessante è anche valutare l’eventualità di non indirizzare tutti gli
interventi di prevenzione ai giovani, che ormai sono fin troppo informati (anche
perché stimolati continuamente dai mass media e poiché sono più a contatto con la
realtà della droga). É necessario formare e informare anche i genitori e gli adulti in
generale. La famiglia, gli insegnanti, gli adulti che lavorano con i ragazzi hanno
scarsa conoscenza del mondo della droga e, spesso, non sanno come reagire di fronte
agli adolescenti consumatori e/o non conoscono la gestione della problematica. Ciò
che emerge sono la paura e la scarsa comprensione della questione, a causa
dell’insufficienza di informazioni e, soprattutto, di risorse a loro disposizione. Uno
dei compiti fondamentali del Ser.T. è proprio quello di formare, sostenere e
accompagnare gli adulti nello sviluppo delle proprie capacità genitoriali, al fine di
guidarli nelle relazioni con i ragazzi, naturalmente in costante evoluzione.
132
Credo che la cosa più importante sia comprendere che il messaggio degli
interventi di prevenzione non deve essere esclusivamente “non usare droga”, poiché
si sa che il proibizionismo, oltre a produrre l’effetto opposto, non chiarisce il
fenomeno droga ma, al contrario, crea confusione e falsi miti. Il concetto deve essere
“chi consuma deve conoscere cosa usa” e per conoscere intendo non solo la tipologia
di sostanza ma anche le conseguenze che il suo consumo può comportare.
A tal proposito, trovo interessante le risposte date dagli adolescenti e dai giovani alle
domande su quale messaggio sia più utile suggerire per prevenire l’uso delle droghe
e per ridurne il consumo e come lo promuoverebbero; se conoscono l’esistenza dei
servizi specialistici ed eventuali suggerimenti o precisazioni.
Vediamo nel dettaglio le risposte:
133
Nei grafici n. 8.1.a e 8.1.b emergono i messaggi più importanti e condivisi dai
giovani. Fondamentale è l’enfasi sulla necessità di essere sempre se stessi (21% per i
ragazzi tra i 15 e i 18 anni e 28% per quelli tra i 19 e i 25 anni) e sulla pericolosità
delle sostanze, poiché i ragazzi sottolineano che a lungo termine fanno male (51%
per i giovani dai 15 ai 18 anni e 59% per quelli dai 19 ai 25 anni). Mentre i giovani
dai 15 ai 18 anni sostengono che per prevenire l’uso e il consumo delle nuove droghe
sia importante non provare (20 %), i ragazzi dai 19 ai 25 anni non negano l’uso
occasionale delle sole droghe leggere, o il fatto di provarle, perché ciò non
compromette la loro salute e lo stile di vita (su 150 intervistati solo il 5% propone
come messaggio preventivo quello di non drogarsi).
134
I grafici n. 8.2.a e 8.2.b mostrano che non tutti i ragazzi sono interessati a diffondere
tali messaggi, poiché il 52% dei giovani tra i 15 e i 18 anni e il 63% di quelli tra i 19
e i 25 anni ritiengono che non sia utile. Rilevante è la diversa percentuale rispetto
all’età; mentre per i ragazzi più grandi non è con la prevenzione che si riduce l’uso e
il consumo delle sostanze, gli adolescenti sembrano più propensi alla diffusione del
messaggio, o forse sono semplicemente più confusi a riguardo.
Nei grafici n. 8.3.a e 8.3.b si evincono le modalità con cui i giovani intendono
promuovere i loro messaggi; i mezzi preferiti sono i mass media (45% per i ragazzi
dai 15 ai 18 anni e 35% per quelli dai 19 ai 25 anni) e i cartelloni pubblicitari
135
presenti nelle strade (29% per i giovani tra i 15 e i 18 anni e 19% per quelli tra i 19 e
i 25 anni) con il ricorrente paragone al periodo elettorale, per quanto riguarda la
specifica modalità secondo la quale allestire tali cartelloni in tutto il territorio
cittadino. Interessanti sono anche le proposte di organizzare delle manifestazioni (9%
per i ragazzi dai 15 ai 18 anni e 8% per quelli dai 19 ai 25 anni), come concerti,
spettacoli teatrali, in particolare coinvolgendo personaggi di successo e portando la
testimonianza dell’esperienza diretta (soprattutto per i giovani dai 19 ai 25 anni,
poiché è l’8% di loro a proporre tale modalità di comunicazione, a differenza del
ridotto 2% dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni) anche con immagini forti, se non
addirittura traumatizzanti (i ragazzi riportano l’esempio delle compagne contro
l’assunzione di alcool, le quali mostrano filmati shoccanti di incidenti stradali
mortali). Un’altra proposta rilevante è la trasmissione di messaggi informativi e
preventivi mediante sms sul cellulare e e-mail sul computer, poiché ritenuti mezzi di
comunicazione più immediati e semplici (4% dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni e il 10%
di quelli tra i 19 e i 25 anni). Alcuni ripropongono incontri formativi presso le scuole
medie inferiori e superiori (soprattutto i giovani dai 19 ai 25 anni, con il 14%, poiché
i ragazzi dai 15 ai 18 anni, con il 4%, stanno ancora andando a scuola e, pertanto,
hanno ancora occasione di partecipare a interventi di formazione, durante i quali
soddisfare le loro richieste di informazione). Altri propongono la creazione di spazi
ad hoc all’interno delle discoteche (4% dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni e 6% di quelli
tra i 19 e i 25 anni), con la presenza di esperti in grado di dare informazioni e,
eventualmente, di intervenire, soprattutto in ambito sanitario.
136
Nei grafici n. 9.1.a e 9.1.b emergono chiaramente che i ragazzi non conoscono
l’esistenza di servizi specialistici (il 66% dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni risponde non
lo so, così come il 65% di quelli tra i 19 e i 25 anni); esiste una grossa carenza di
informazione a riguardo.
Su 300 ragazzi intervistati solo il 28% conosce dei servizi competenti in materia di
droga. Ciò conferma la mia ipotesi di partenza, secondo la quale i giovani hanno
scarsa conoscenza dei servizi competenti in materia di dipendenza patologica.
Il grafico n. 9.2. , presente in appendice, mostra il dettaglio delle risposte.
137
Tra i servizi conosciuti quelli ritenuti competenti, come emerge dai grafici n. 10.1.a e
10.1.b, sono le comunità terapeutiche (49% per i ragazzi dai 15 ai 18 anni e 52% per
quelli dai 19 ai 25 anni), i Ser.T. (11% per i giovani tra i 15 e i 18 anni e 46% per
quelli tra i 19 e i 25 anni) e, in generale, centri di ascolto e assistenza (27% dei
ragazzi dai 15 ai 18 anni dà questa risposta, molto generica a mio parere).
Inoltre, gli adolescenti tra i 15 e i 18 anni riconoscono come servizi competenti in
materia di droga il consultorio, i Servizi sociali e lo psicologo; ciò sta a indicare la
grande carenza di informazioni in ambito di servizi specialistici e l’ampia confusione
a riguardo.
Interessante è la differente percentuale relativa alla risposta “Ser.T./ASL”, poiché
sono soprattutto i giovani tra i 19 e i 25 anni a conoscere i servizi specialistici in
ambito di dipendenza patologica. Infine, tra le comunità terapeutiche più citate
troviamo, soprattutto, quelle storiche private, come quelle di San Patrignano, di Don
Gallo e di Don Ciotti.
138
Dal grafico n. 10.2.a si evince che i giovani dai 15 ai 18 anni conoscono alcuni
servizi specialistici principalmente grazie alla partecipazione presso gli incontri di
prevenzione offerti dalla scuola (46%), successivamente per motivi personali (31%),
nello specifico perché hanno un amico, o un parente o un famigliare con problemi di
droga e, infine, hanno acquisito informazioni in merito ai servizi mediante i mezzi di
comunicazione di massa più diffusi (19%), quali le riviste e la televisione.
Alcuni ragazzi precisano di avere ottenute delle notizie dal medico di famiglia e
presso l’ambiente dell’oratorio (in particolare sono venuti a conoscenza delle
comunità terapeutiche private).
139
Dal grafico n. 10.2.b emerge, invece, che i ragazzi dai 19 ai 25 anni conoscono i
servizi competenti in ambito di dipendenza patologica in primo luogo mediante le
esperienze di vita personale (61%), e integrano le informazioni apprese attraverso i
mass media (39%), in particolare mediante la lettura di riviste e libri (24%).
Interessanti, infine, sono i suggerimenti e i commenti finali che emergono dai grafici
n. 11.a e 11.b. Alcuni ragazzi tra i 15 e i 18 anni precisano che il fumo, inteso come
140
uso di hashish e di cannabis, faccia bene (25%); altri vogliono pene più severe e più
visibili sia per gli spacciatori sia per i consumatori (17%); alcuni ritengono che la
prevenzione non serva perché ognuno è libero di gestire la propria vita (17%); altri
perorano la causa della legalizzazione delle droghe leggere (13%), poiché
eliminerebbero l’illegalità, lo spaccio, l’abuso e ne regolarizzerebbe l’uso in quanto
previsto in luoghi ad hoc; alcuni precisano che non ci sia differenza tra droghe
leggere e pesanti 8%), ma percepiscono che si hanno troppe informazioni (4%), che
viviamo in un paese cinico e ipocrita (4%) e che ognuno è libero di gestire la propria
vita. Da tali suggerimenti si può comprendere il motivo per cui non tutti i ragazzi
(precisamente il 56% sul totale degli intervistati, ovvero 300 ragazzi) ritengono che
la prevenzione non sia utile per ridurre l’uso e il consumo delle sostanze.
Rilevante è la precisazione che le droghe leggere non facciano male e che sia
necessario legalizzarle affinchè la riduzione del loro consumo sia reale.
Inoltre, i ragazzi sentono l’esigenza di punire maggiormente sia gli spacciatori sia i
consumatori; lo spaccio e l’acquisto delle sostanze sono ritenuti condivisibilemente
azioni illegali. Ciò motiva ulteriormente la necessità di legalizzare le droghe leggere,
in quanto potrebbero essere vendute a norma di legge e consumate in luoghi protetti,
visibili e, quindi, sicuri.
Dal grafico 11.b emergono i suggerimenti dei giovani dai 19 ai 25 anni: questi ultimi
sentono che i ragazzi si stanno perdendo e, pertanto, percepiscono il bisogno di fare
qualcosa (14%), ad esempio come legalizzare le droghe leggere (14%); prevedere
degli esperti e professionisti all’interno dei locali notturni, discoteche e del tempo
libero e all’interno della scuola (14%); organizzare dei corsi di formazione e
informazione per i genitori, e gli adulti in generale (4%). Come i ragazzi dai 15 ai 18
anni, così anche i giovani dai 19 ai 25 anni vogliono sanzioni più severe sia per gli
spacciatori che per i consumatori (9%) e sottolineano che le droghe leggere, con un
uso occasionale, non fanno male (9%). Ritengono che i giovani sono troppo
informati (14%) ma tali dati non sono realistici, perché troppo allarmanti e distanti
dalla percezione giovanile. Non è vero che dall’uso delle droghe leggere si debba
necessariamente passare al consumo di quelle pesanti e, soprattutto, di debba
diventare “tossicodipendenti”. In particolare, i giovani consumatori di hashish e di
marijuana non si riconoscono in quanto tali, poiché sono pienamente inseriti
all’interno del contesto sociale, scolastico, lavorativo e relazionale e sono in grado di
141
____________________________________________________________________
Conclusioni
focalizzando l’attenzione sulle risorse e sulle competenze che già possiede, ma che
occorre rinforzare e arricchire.
Non è sufficiente informare e formare gli adolescenti e i giovani sul tema
dell’uso e dell’abuso delle nuove droghe; fondamentale è il coinvolgimento della
famiglia e degli adulti, che con essi maggiormente vi si relazionano, poiché sono loro
per primi che devono accompagnare e guidare i ragazzi nella costruzione della
propria identità e nello sviluppo della propria autonomia, al fine di offrire loro i
mezzi e gli strumenti per affrontare le situazioni problematiche e traumatiche, che
naturalmente si presentano lungo il corso della vita.
Famiglie e adulti non sono preparati a sostenere ogni evento critico; occorre il
supporto di professionisti mediante un intervento integrato, fondato sulla sinergia e
sulla cooperazione di tutte le agenzie di socializzazione e di formazione – famiglia,
scuola e servizi competenti in materia di dipendenza patologica – poiché i
cambiamenti sociali e culturali che investono le nuove famiglie e le trasformazioni
antropologico-culturali e relazionali e le modificazioni socio-economiche che
caratterizzano la società contemporanea, sottolineano la complessità e la difficoltà di
tutti gli attori coinvolti nell’educazione e nella formazione dei nuovi giovani.
Tale complessità e difficoltà è alimentata dalla non conoscenza dei servizi
specialistici competenti; sia adulti che giovani non conoscono né il Ser.T. né altre
realtà in ambito di dipendenza patologica e ciò vanifica, se non addirittura impedisce,
il lavoro di aggancio dei servizi nei confronti degli adolescenti, consumatori e non,
dei loro famigliari e di tutti gli adulti che sono a contatto con il mondo giovanile.
L’accesso al Ser.T. avviene soprattutto in casi di policonsumo dei giovani, quindi in
casi particolarmente gravi, o su richiesta dei genitori più vulnerabili, o su
segnalazione da parte dell’Autorità Giudiziaria. Spontaneamente non si presenta
alcun ragazzo, anche perché la stigmatizzazione è troppo forte: chi va al Ser.T. è un
drogato! Inoltre, le famiglie continuano a gestire in casa queste problematiche,
perché viste come fallimento e non conoscono le attività realmente svolte dal
servizio pubblico; l’immagine prevalente è che al Ser.T. ci si vada solo per
disintossicare.
La mia proposta di prevenzione è semplice: occorre arrivare ai ragazzi in
modo più credibile e più vicino al loro mondo. Non sono utili campagne
allarmistiche, né spiegazioni troppo scientifiche ed elaborate. Il modo migliore per
raggiungere i giovani è quello di comunicare per immagini, utilizzando il loro
147
linguaggio all’interno dei loro contesti di appartenenza. Credo sia utile mostrare loro
racconti ed esperienze di vita direttamente da coetanei consumatori, poiché utilizzano
termini e concetti di facile e immediata comprensione, suscitando maggiore
condivisione e riconoscimento, in quanto loro pari.
È necessario concentrarsi sugli effetti e sui rischi che le sostanze comportano
(e non sulle tipologie di droghe, perché i giovani le conoscono perfettamente) ma tali
concetti devono essere spiegati con termini chiari e semplici, senza spaventare e
senza alludere che al primo tentativo di consumo le conseguenze siano irrecuperabili,
perché questo susciterebbe solo la curiosità dei ragazzi, se non addirittura una sfida
per dimostrare che non è così.
È fondamentale non allontanarsi dai giovani. Per fare questo, diventano inutili
gli interventi in cui vengono offerte molteplici informazioni, accompagnate da una
serie di dati, in quanto restano fini a se stesse, non arrivano ai ragazzi. È necessario
che partecipino attivamente agli incontri di prevenzione: devono poter fare domande;
devono poter rielaborare immediatamente le informazioni ricevute; devono far propri
i nuovi concetti acquisiti; devono contestualizzare e personalizzare la questione
droga. Non è facile comprendere che dietro ogni azione vi sia sempre una
conseguenza sul nostro corpo, anche perché i risultati non sono immediati, perciò
occorre accompagnare i ragazzi nella costruzione di una percezione temporale, lungo
la quale ogni attività svolta deve essere riconosciuta, attribuita del giusto significato e
immagazzinata per considerazioni futuri.
Credo che la cosa più importante sia comprendere che il messaggio degli
interventi di prevenzione non deve essere esclusivamente “non usare droga”, poiché
si sa che il proibizionismo, oltre a produrre l’effetto opposto, non chiarisce il
fenomeno droga ma, al contrario, crea confusione e falsi miti. Il concetto deve essere
“chi consuma deve conoscere cosa usa” e per conoscere intendo non solo la tipologia
di sostanza ma anche le conseguenze che il suo consumo può comportare.
È, quella dei giovani, in conclusione, una risorsa che non conosciamo, che
abbiamo lasciato nel parcheggio e che rischiamo di dimenticare e vanificare per
sempre. Sarebbe il momento di cambiare atteggiamento, come società degli adulti,
sui giovani; di imparare a fare veramente gli adulti e cioè a conoscerli e a utilizzarli
proprio per quello che valgono come giovani.
Su una cosa ci sono pochi dubbi, ed è la constatazione che i giovani sanno
stare meglio degli adulti nella complessità, e questo è più che sufficiente per
148
legittimarli come risorse dell’intera struttura sociale di cui oggi non possiamo
assolutamente fare a meno.
Oggi le risorse dei giovani vanno al di là del consumismo e della cultura
dell’informatica. Si dice che i giovani non sono formati, però sono enormemente
informati e non hanno bisogno di manifestare in maniera costante una sintesi globale
e integrata di questa enorme informazione che accumulano giorno per giorno. Come
una rispettabile banca dati, i giovani incorporano le informazioni e le lasciano in
memoria, tirandole fuori solo al momento opportuno, per orientarsi meglio nella
complessità sociale e senza sprecare risorse, nel tentativo di offrire esternamente
un’immagine di sé perfettamente definita e riassuntiva delle informazioni ricevute.
Per fare un esempio, i giovani non si preoccupano di difendere a denti stretti,
in ognuna delle occasioni di confronto, una loro ferrea ideologia o convinzione, né si
battono ricercando argomenti per affermare un loro valore o un loro principio; però,
al momento in cui percepiscono un messaggio, una richiesta o una possibilità
operativa, ad esempio in favore della pace nel mondo, scattano al segnale e scendono
tutti in piazza compatti a manifestare. Tirano fuori dalla loro banca dati quel valore
integro e ben focalizzato della pace e lo adeguano alla situazione specifica,
dimostrando una capacità di mobilitazione attiva e coerente che molti degli adulti,
ferratissimi sull’ideologia e irremovibili sui valori, difficilmente sanno mettere in
atto.
Il disagio giovanile, per molti anni teorizzato sulla base di una identità
indefinita e transitoria degli adolescenti, oggi si ribalta in centralità della cultura
giovanile: in un modello di società basato sulla complessità sociale, che richiede una
struttura della personalità individuale di tipo flessibile, non rigidamente vincolata a
norme e valori irremovibili, ma al contrario disposta e preparata al cambiamento
rapido, alla rimessa in questione permanente, all’utilizzazione sequenziale degli
stimoli sempre nuovi e diversi, che la complessità sociale è in grado di produrre240.
Una volta compreso e accettato il dato che il rischio rappresenta un compito
evolutivo per l’adolescente, appare evidente che la fase di crescita non è avulsa dalla
rete sociale e familiare di riferimento. Affinché i progetti di prevenzione abbiano
successo, si auspica che siano il risultato di un lavoro integrato, fondato sulla sinergia
240
Francesco Alberoni, Franco Remotti, Claudio Calvaruso, I giovani verso il Duemila, cit., pp. 92-95
149
241
Lucio Pinkus, Tossicodipendenza e intervento educativo, cit., pp. 50-54
150
242
Luigi Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, cit., pp. 87-106
151
____________________________________________________________________
Bibliografia
Lidia Agostini, Federica Protti, Claudio Baraldi, Paolo Ugolini, Discoteche: tempi e
spazi stupefacenti? Una ricerca e un progetto nella provincia di Forlì-Cesena,
Sestante n. 11, Osservatorio Dipendenze Patologiche AUSL Cesena e AUSL Forlì,
2000
S. Cifiello, “Modi e significati d’uso fra i giovani delle sostanze nocive: droga e
alcol”, Salute e Prevenzione, La Rassegna Italiana delle Tossicodipendenze,
n.37/2004 (pag. 112 – 125), FrancoAngeli
Convegno organizzato dall’ASL 3 di Torino, “In sostanza. Nuovi servizi per nuove
droghe”, 16 maggio 2003
153
Corso di Formazione congiunta operatori NOT, SERT, Enti Locali, privato sociale,
Nuove droghe, Alessandria, luglio 2001
Maria Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, Roma, Carocci Faber, 2005
Ugo Ferretti, Luciana Santioli, “Nuove droghe” tra realtà e stereotipi, Milano,
FrancoAngeli, 2003
Giornata seminariale rivolta ai Vigili della città di Torino sulla prevenzione all’uso e
all’abuso di Nuove Droghe nella popolazione giovanile, dicembre 2005
155
Gérard Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Bologna, Il Mulino, 1987
Piero Pajardi, Maria Blandini, Umberto Loi, Antonio Maci, Dizionario Giuridico,
Milano, Pirola Editore, 1990
Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Relazione annuale al Parlamento sullo stato
delle tossicodipendenze in Italia nel 2006”
R. Quarta, Ass. Crescere – Lecce, “Indagine tra gli studenti di una scuola di Lecce
sull’uso di sostanze psicotrope”, Salute e Prevenzione, La Rassegna Italiana delle
Tossicodipendenze, n.14/1995 (pag. 17 – 19), Dite Edizioni Scientifiche
158
M. Ruocco, B. Gualco, F. Angelici, “Il fenomeno della devianza giovanile nelle città
di Genova, Firenze e Bergamo. Un’analisi preliminare”, Rassegna Italiana di
Criminologia, vol.14/n.2/2003 fascicolo 2 (pag. 369 – 385), Giuffrè Editore, Milano
Maria Teresa Zattoni, Genitori nella tempesta, Cinisello Balsamo, Edizioni San
Paolo, 2005
____________________________________________________________________
Sitografia
http://centrostudi.gruppoabele.org/
http://it.wikipedia.org/wiki/Counseling
http://it.wikipedia.org/wiki/Educazione
http://it.wikipedia.org/wiki/Identit%C3%A0_(scienze_sociali)
http://it.wikipedia.org/wiki/Nichilismo
http://www.ecn.org/hemp/Leggi-decreti/index.htm
http://www.iccalcinate.it/giornale.php?oper=documento&id=398
http://www.insiemesenza.org/index.htm
http://www.simone.it/cgi-local/Dizionari/newdiz.cgi?voce,5,5640
http://utenti.lycos.it/urbanoreviglio/newpage23.html
161
____________________________________________________________________
Filmografia
Apocalypse Now
(Usa,1979) Regia di Francis Ford Coppola
Interpreti: Martin Sheen, Marlon Brando
Odissea di un capitano dei servizi segreti americani in Vietnam, mandato in missione
ad eliminare un ufficiale impazzito. Viaggio all'inferno in cui tutte le droghe
disponibili aiutano a trovare il coraggio per uccidere e per morire.
Aprile
(Italia 1998) Regia di Nanni Moretti
Interpreti: Nanni Moretti, Silvia Nono, Pietro Moretti, Silvio Orlando.
In una delle prime scene del film Moretti ci racconta: "Il giorno della vittoria di
Berlusconi alle elezioni, ho fumato, per la prima volta in vita mia, una canna."
Bird
(Usa,1988) Regia di Clint Eastwood
Interpreti: Forrest Whitaker, Diane Venora
Biografia del leggendario Charlie Parker, sassofonista trasgressivo ed eroinomane
incallito. Una corsa senza respiro fino all'autodistruzione.
162
Breakfast Club
(Usa, 1985) Regia di John Hughes
Interpreti: Emilio Estevez, Paul Gleason
Cinque studenti molto diversi tra loro costretti a trascorrere il sabato a scuola per
svolgere un tema controllati da un insegnante molto simile ad un aguzzino. Dopo il
conflitto tra i caratteri, uno spinello scioglie le tensioni e cominciano a parlarsi. Si
uniranno contro il nemico comune.
Cocaina
(Usa, 1988) Regia di Harold Becker
Interpreti: James Wood, Sean Young, John Capelos
Stressato uomo d'affari si dà alla cocaina per sopportare le fatiche della professione:
finisce all'inferno e in bancarotta, trascinando con sé anche la bella moglie.
Drugstore Cowboy
(Usa,1989) Regia di Gus Van Sant jr.
Interpreti: Matt Dillon, Kelly Lynch
Due coppie di tossicodipendenti si specializzano nel rapinare farmacie fino alla
redenzione del capobanda. Gran spreco di pillole di tutte le qualità e partecipazione
straordinaria di William Burroughs, guru della Beat Generation e di tutti gli
sperimentatori di sostanze alteranti.
163
Easy rider
(Usa,1969) Regia di Dennis Hopper
Interpreti: Peter Fonda, Dennis Hopper, Jack Nicholson
Due hippy attraversano gli Usa in motocicletta e vanno a sbattere contro l'odio per i
diversi. Manifesto dell'utopia libertaria degli anni '60. Da antologia l'iniziazione agli
spinelli di Jack Nicholson. Colonna sonora da collezione con Dylan, Hendrix, Byrds.
Il grande Lebowski
(USA 1998) Regia di Joel Coen
Interpreti: Jeff Bridges, John Goodman, Steve Buscemi, John Turturro
Protagonista del film è Drugo, tardo-freak amante del bowling, dei Revival e delle
canne. Il nostro eroe si improvvisa detective "alla Marlowe" in una intricata vicenda
tra ricconi debosciati, pornografi, nichilisti e pittrici vaginali!
Il pasto nudo
(Usa, 1991) Regia di David Cronenberg
Interpreti: Peter Weller, Judy Davis
Uno scrittore ossessionato da terribili allucinazioni popolate da scarafaggi giganti
uccide la moglie e si rifugia in Marocco, dove si immagina coinvolto in un
misterioso complotto ordito da agenti provenienti da un altro pianeta. Dalla vita e
dall'omonimo romanzo di William Burroughs.
L'erba di Grace
(Canada 1998) Regia di Anthony Harrison.
Interpreti: Anthony Harrison, Dmitry Chepovetsky, C. Ernst Harth, Ellie Harvie
Grace, una dolce signora di mezza età rimasta vedova, scopre che il defunto marito le
ha lasciato una montagna di debiti, che se lei non sarà in grado di pagare la
lasceranno senza casa. Per una donna che non ha mai lavorato, sembra impossibile
trovare una soluzione. Ma questa finalmente arriva quando il suo giardiniere le
propone di trasformare il suo bel giardino pieno di orchidee in coltivazione di
marijuana. La vera avventura inizia quando Grace da elegante e raffinata signora.
164
Pulp fiction
(1994) Regia di Quentin Tarantino
Interpreti:John Travolta, Uma Thurman
Tre storie di criminali fuori di testa s'intrecciano stravolgendo tutti i canoni della
narrazione cinematografica. Travolta è un killer affascinato dai coffee shop di
Amsterdam, mentre Uma Thurman sfiora la morte per overdose. Puro delirio.
Quadrophenia
(Gran Bretagna, 1979) Regia di Franc Roddam
Interpreti: Phil Daniels, Leslie Aash, Philip Davis, Sting
Ispirata dal long playng degli Who, la storia di un fattorino inglese che, negli anni
Sessanta, si realizza solo drogandosi e partecipando alle furibonde risse tra rocker.
165
Scarface
(Usa,1983) Regia di Brian De Palma
Interpreti: Al Pacino, Michelle Pfeiffer
Esule cubano diventa superboss del narcotraffico a Miami, ma soldi e coca danno
alla testa. Allucinante massacro finale tra fiumi di sangue e montagne di polvere
bianca. Parabola sul potere e la morte con perfetta descrizione del delirio da
onnipotenza prodotto dalla cocaina.
Taking off
(Usa, 1971) Regia di Milos Forman
Interpreti: Lynn Carlin, Buck Henry, Georgia Engel, Tony Harvey, Vincent
Schiavelli
Genitori alla ricerca di figli scappati da casa, provano, sotto la guida di un esperto,
gli effetti della marijuana.
Teatro di guerra
(Italia 1998) Regia di Mario Martone
Interpreti: Iaia Forte, Anna Bonaiuto, Andrea Renzi
Nel film, che narra la vicenda di una compagnia teatrale napoletana all'epoca della
guerra nella ex-Jugoslavia, si vedono girare un sacco di canne. "Perchè le canne
fanno parte della vita normale delle persone, " dice il regista, "e danno anche l'idea
del bisogno di ottundimento, di evasione, senza cui non si reggerebbe la tensione".
The Doors
(Usa, 1991) Regia di Oliver Stone
Interpreti: Val Kilmer, Meg Ryan
Storia di Jim Morrison, profeta della psichedelia e della trasgressione, poeta e
rockstar, mito inossidabile che attraversa il tempo e le generazioni. Sull'impossibilità
di essere normali.
166
Traffic
(USA 2001) - Regia di Steve Soderbergh
Interpreti: Michael Douglas, Catherine Zeta-Jones, Benicio Del Toro
Si tratta di una coraggiosa denuncia dell'ipocrisia della Guerra alla Droga. Il film, che
ha vinto ben 4 Oscar (Steve Soderbergh per la Regia, Benicio Del Toro come Miglior
Attore non protagonista, Stephen Gaghan per la Migliore Sceneggiatura non
originale e Stephen Mirrione per il Montaggio), ha ispirato Stop the war, una
campagna di sensibilizzazione promossa dal Lindesmith Center.
Trainspotting
(Gran Bretagna, 1996) Regia di Danny Boyle
Ewan McGregor, Robert Carlyle, Ewen Brenner
Edimburgo: l'eroinomane Mark e i suoi amici, il mite Spud e lo sbruffone Sick Boy
passano il tempo a far finta di cercare un lavoro e di disintossicarsi. "Provate a
immaginare l'orgasmo più bello della vostra vita, moltiplicatelo per mille e capirete
cosa vuol dire farsi di eroina."
Twin Town
(Gran Bretagna 1997) Regia di Kevin Allen
Interpreti: Llyr Evans, Rhys Ifans, Huw Ceredig, William Thomas
La cittadina di Swansea, nel Galles, è terreno predatorio di Bryan, un personaggio
coinvolto in un giro di droga. Ma tutto cambia quando un operaio, Fatty, cade da una
scala lavorando per lui. Il boss si rifiuta di risarcirlo e i due figli del malcapitato, i
gemelli Julian e Jeremy, abbandonano i loro abituali furtarelli d'auto e decidono di
vendicarsi con sottile perfidia, combinandone di tutti i colori (e concedendosi di tanto
in tanto delle proverbiali fumate di bongo). Nel finale i gemelli, avuta ragione dei
cattivi, coronano un loro antico sogno partendo in barca per il Marocco.
167
____________________________________________________________________
Appendice
tale percentuale scende al 14,6%. Diversa è la situazione per le classi d’età più
giovani. In questo caso, infatti, a Torino si registra una minore incidenza dei giovani
al di sotto dei 30 anni rispetto al numero totale dei casi seguiti nel 2002 dai Ser.T..
Infatti, i pazienti con meno di 30 anni nel capoluogo di regione sono il 26,2% del
totale, mentre nel resto del Piemonte la percentuale arriva al 33% circa.
La minore presenza delle classi d’età più giovani all’interno dei Ser.T. di
Torino è confermata anche dalle percentuali relative ai nuovi utenti. Nel capoluogo,
infatti, sono il 49% i nuovi utenti del 2002 con meno di 30 anni, mentre nel resto
della regione questa percentuale arriva al 58%. Occorre però sottolineare che
all’interno del territorio cittadino si riscontrano alcune differenze rispetto alla
presenza di utenti nei diversi Ser.T.. Dei 10 servizi torinesi, due raccolgono da soli
ben un terzo di tutta l’utenza cittadina: si tratta del Ser.T. di corso Lombardia, che
nel 2002 contava 896 pazienti e quello di via Ghedini con 729 utenti.
Secondo i dati forniti dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle
tossicodipendenze in Italia, emerge che nel 2002 la stragrande maggioranza dei
pazienti in trattamento presso i Ser.T. piemontesi evidenziava un abuso dell’eroina
come sostanza primaria con una percentuale superiore all’87% sul totale dei casi
trattati. Pur restando la netta maggioranza del totale degli utenti dei Ser.T., i
tossicodipendenti da eroina risultano percentualmente in costante calo. Infatti, nel
1999 la loro percentuale era di oltre cinque punti superiore (92,5%) segno di un
progressivo e costante cambiamento delle sostanze d’abuso primario. Il numero degli
utenti di Ser.T. che registrano la cocaina come sostanza primaria è passato dai 360
del 1999 ai 638 del 2002 (5% del totale); in aumento anche la cannabis (da 477 utenti
del 1999 a 535 del 2002).
Se si prende in esame, invece, la sostanza secondaria di abuso degli utenti dei
Ser.T. piemontesi si nota che la cocaina è al primo posto (2.281 casi) davanti ai
cannabinoidi (2.215) e rappresenta il 33% del totale dei casi nei quali è diagnosticato
anche un abuso di una seconda sostanza. L’incremento dell’abuso di cocaina è una
tendenza riconoscibile anche a livello nazionale dove risulta addirittura più
accentuata: in Italia, sempre secondo i dati del Ministero della Salute, nel 1999 gli
utenti dei Ser.T. che rivelavano la cocaina come sostanza primaria di abuso erano il
4,4% del totale, percentuale che nel 2002 è passata al 6,8%. In questo senso la
regione che ha registrato l’incremento più significativo è stata la Lombardia, dove
169
oltre il 12% dei pazienti dei servizi presenta la cocaina come sostanza primaria
d’abuso.
Se, invece, si osservano i dati relativi alle sostanze anfetaminiche e
all’ecstasy, si può notare che in Piemonte, tra sostanze primarie e secondarie
d’abuso, sono solo 351 i casi in carico ai Ser.T. per quanto riguarda il 2002. Un dato
che pare assolutamente inferiore a quella che potrebbe essere la dimensione del
fenomeno e non solo la percezione comune. Infatti, se si prende in esame il dato sui
sequestri di sostanze stupefacenti in Piemonte, si può notare che nel 2002 le Forze
dell’Ordine hanno sequestrato ben 205.000 dosi di sostanze anfetaminiche sul
territorio regionale. Anche dando per acquisito che non tutti gli stupefacenti
sequestrati fossero destinati al mercato piemontese, risulta enorme il divario con il
numero delle persone in carico ai Ser.T.. La distanza tra il dato relativo ai sequestri e
quello relativo sulle persone seguite dai Ser.T. è un’ulteriore conferma delle
difficoltà di incontro tra l’approccio terapeutico fornito dai Ser.T. e i consumatori
problematici di sostanze quali la cocaina e l’ecstasy, legate per lo più a stili di
consumo od obiettivi di prestazioni.
Parlare di consumo delle nuove droghe in termini quantitativi, in rapporto alla
realtà torinese, è un’impresa difficile. Non possono, infatti, essere d’aiuto i dati che
provengono dai Ser.T.: solo una piccolissima parte di questo tipo di consumatori si
rivolge a tali strutture sanitarie. Nel corso degli ultimi anni sono state realizzate
alcune ricerche che hanno provato a studiare il fenomeno.
Da uno studio condotto a Torino (1997) si è evidenziato che la proporzione di
utenti che si è rivolta al Ser.T. per problemi correlati all’ecstasy è basso con valori
inferiori all’1%. Nel 2000 il 2% dei soggetti risultava avere dichiarato l’uso di
ecstasy per uso primario e secondario. Questo dato potrebbe essere dovuto non alla
bassa prevalenza di consumatori, ma viceversa alla scarsa capacità di attrazione dei
Ser.T. nei confronti di questi soggetti o a un ridotto di intervento. Un aspetto
ugualmente poco conosciuto di questo fenomeno sono gli effetti sulla salute, in
particolare i rischi a breve e lungo termine.
Nel 1998 è stata condotta un’indagine trasversale ad hoc tra i diciottenni
piemontesi (3.027 soggetti) che si sono recati alla visita di leva presso il Distretto
Militare di Torino. Complessivamente il 36,9% dei soggetti dichiara di aver fatto uso
di una qualsiasi sostanza stupefacente almeno una volta nella propria vita. Il
consumo di ecstasy a livello regionale (4,9%) si attesta su valori simili a quelli di
170
altri paesi europei: in Olanda nel 1992 veniva riportata una frequenza del 6,9% tra
studenti diciottenni di sesso maschile e del 2,3% tra le donne della stessa età, mentre
in Spagna, secondo un’indagine condotta su un campione di 10.000 ragazzi, la
prevalenza del consumo di ecstasy era del 5% tra i giovani di età 19-25 anni,
assumendo, inoltre, valori più elevati nelle grandi città. Diffuso è nel nostro
campione l’uso di hashish-marijuana: il 33,9% dichiara di aver fatto uso, senza
alcuna particolarità di distribuzione geografica. Alcune lievi differenze si riscontrano
nella dichiarazione dell’uso di LSD e di popper che sono meno diffusi a Torino e
nella sua provincia e nell’uso di cocaina, che viene consumata di più nella città di
Torino.
Il consumo di ecstasy è frequentemente associato a quello di altre sostanze:
hashish-marijuana (92,6%), popper (67,1%), LSD (56,4%), cocaina (57%), eroina
(11,4%), e di rado se ne fa un uso esclusivo (7,4%). La frequenza d’uso abituale di
ecstasy è più marcata nella città di Torino rispetto alla propria provincia e, in
generale, rispetto al resto della regione, mentre un andamento esattamente inverso si
rileva per quanto riguarda la dichiarazione di essersi sentito male dopo l’assunzione
della sostanza: il ricorso al medico si riscontra solo in soggetti residenti in province
diverse da Torino (4,1% dei consumatori di ecstasy) e assume un valore del 1,3% se
si considera l’intera regione.
I consumatori di ecstasy o di eroina sono più frequentemente lavoratori o
disoccupati e i loro genitori presentano un basso o assente titolo di studio, mentre
caratteristiche opposte si osservano tra i consumatori di hashish e di marijuana. Sulla
scorta di queste caratteristiche si sarebbe portati a pensare che gli attuali consumatori
di ecstasy potrebbero rappresentare un gruppo a rischio per il successivo consumo di
eroina.
Altre indicazioni interessanti provengono dal lavoro svolto nell’ambito del
progetto “Esta si Esta si”, condotto dall’ASL TO2 (ex ASL 3) in collaborazione con
le cooperative Stranaidea e CeQ sul territorio delle circoscrizioni 4 e 5 di Torino e
conclusosi nel gennaio del 2003. Si tratta del frutto delle osservazioni e del materiale
raccolto nel corso di interviste e incontri che l’èquipe del progetto ha condotto su
quel territorio con gruppi informali di ragazzi o all’interno di alcune delle scuole
superiori dei due quartieri. In sintesi le conclusioni più interessanti riguardano:
- il gap di informazioni che esiste tra il mondo adulto e quello dei ragazzi
rispetto a queste nuove sostanze, una mancanza di informazioni corrette
171
da parte dei genitori e insegnanti che rischia di creare distanze sempre più
marcate e artificiose;
- alcuni dati sull’uso della cannabis, in quanto dato quotidiano, ordinario,
uno strumento ricreativo percepito come poco rischioso e
immediatamente fruibile;
- alcune informazioni sull’uso di ecstasy che appare quasi nullo all’interno
della scuola e che fuori da tale contesto è tutt’altro che trascurabile e
marginale;
- il fascino esercitato sui ragazzi dalla cocaina, a cui fa da contraltare un
rifiuto generale per l’eroina.
Inoltre, la pubblicazione che riporta i risultati dell’intero progetto riporta
come su una classe di tipo di 20 allievi, circa 7-8 utilizzano cannabinoidi
durante le ore di lezione nei corridoi, nei bagni e nei cortili.
Il tema centrale che emerge è la correlazione tra consumo di sostanze e
dimensione del piacere. Un dato in genere trascurato se non addirittura
misconosciuto dagli adulti è che, invece, secondo l’esperienza di “Esta si Esta
si”, è necessario prendere in attenta considerazione per una corretta
comprensione di questo fenomeno.
172
Femmine
ASL 0-14 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40+ Tot.
1 0 6 13 35 51 69 79 253
2 0 0 5 15 29 26 37 112
3 0 1 5 15 25 53 49 148
4 0 1 9 22 36 40 66 174
Totale 0 8 32 87 141 188 231 687
Totale
ASL 0-14 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40+ Tot.
1 11 74 53 129 271 332 564 1.434
2 0 3 31 46 127 184 322 713
3 0 4 29 84 215 316 395 1.044
4 0 6 40 106 201 254 394 1.001
Totale 11 87 153 365 814 1.086 1.675 4.192
Per ciò che riguarda l’uso di sostanze psicoattive, tra il 2001 ed il 2005 si
rileva un aumento nella popolazione generale dei consumi di cannabis (hanno fatto
uso della sostanza almeno una volta nella vita il 22% degli intervistati nel 2001 ed il
32% nel 2005): l’incremento si riferisce non solo al consumo nella vita, ma anche
negli ultimi 12 mesi e 30 giorni. Le informazioni rilevate fanno inscrivere l’aumento
dell’uso di eroina e cocaina nell’area del consumo sporadico/occasionale; il consumo
frequente effettuato negli ultimi 30 giorni resta invece sostanzialmente stabile nel
caso dell’eroina mentre subisce un lieve incremento per la cocaina. Le regioni che
fanno registrare le più alte prevalenze di consumatori (una o più volte negli ultimi 12
mesi) sono il Lazio per i cannabinoidi (10,6%), la Lombardia per la cocaina (4,7%) e
la Liguria per l’eroina (0,7%).
Fra il 2001 ed il 2005 si registra una generale diminuzione del numero di
persone che hanno fatto uso di bevande alcoliche; tale dato risulta riscontrabile
soprattutto tra i maschi nel passaggio dal 2003 al 2005 (hanno fatto uso di bevande
alcoliche almeno una volta negli ultimi 12 mesi l’89% e 86% degli intervistati
rispettivamente negli anni 2003 e 2005).
Tale riduzione non mette però in discussione il crescere, spesso riportato da più fonti,
di nuovi modelli di consumo, in particolare nella popolazione giovanile,
maggiormente problematici rispetto ai rischi a breve e medio termine. Sembrano
essersi modificate in modo significativo le abitudini relative al consumo di tabacco;
la percentuale del campione intervistato (con età compresa tra i 15 ed i 44 anni) che
nel 2001 riferiva di aver fatto uso di almeno una sigaretta negli ultimi dodici mesi era
del 36,3%, nel 2003 scende al 32%, prevalenza mantenuta anche nel 2005. L’analisi
effettuata in base al genere degli intervistati, evidenzia un aumento significativo delle
femmine fumatrici (+6,4%) ed una diminuzione dei maschi (-6,6%). L’associazione
fra utilizzo di sostanze legali ed illegali evidenzia un decremento dal 2001 ad oggi.
Contrariamente a ciò che si osserva per il consumo concomitante di sostanze
psicoattive legali e non, dal 2001 in poi aumentano le persone che consumano più
sostanze illegali (poli-utilizzatori); la quota passa dal 14% al 17%.
In questo quadro resta però molto alto (87%) il dato relativo alla percentuale degli
utilizzati di cannabis che non associano altre droghe illegali.
174
dal 65% al 55% e dal 29% all’11%; stabile, su valori inferiori al 10%, la percentuale
media di principio attivo (THC) presente nei cannabinoidi sequestrati con valori che
non superano in nessun campione sequestrato il 20%.
In merito alle segnalazioni per possesso di sostanze stupefacenti, nel 2006
l’attività delle Prefetture ha riguardato 35.645 soggetti segnalati ex art. 75 DPR
309/90, per la maggior parte di sesso maschile (94%), con un’età media di circa 26
anni e mai segnalati in anni precedenti (76%). La sostanza maggiormente intercettata
è stata la cannabis (75%), seguita dalla cocaina (15%) e dagli oppiacei (8%). Dal
2002, a fronte di una diminuzione della percentuale di soggetti segnalati per possesso
di cannabinoidi, si è registrato un incremento di quella dei segnalati per cocaina (dal
9% nel 2002 al 15% nel 2006) e una stabilità per l’eroina (8%). Il numero totale dei
colloqui svolti davanti al Prefetto è pari a 26.841, le sanzioni amministrative sono
state complessivamente 7.146 (il 75% successivamente al colloquio, 25% per
mancata presentazione al colloquio stesso), 5.816 soggetti sono stati inviati ai Ser.T.
e per 5.709 è stato archiviato il procedimento amministrativo per conclusione del
programma terapeutico. È aumentato il numero di sanzioni emesse nei confronti dei
nuovi soggetti segnalati negli ultimi quattro anni, in particolar modo per effetto delle
sanzioni emesse dopo l’effettuazione del colloquio.
Per quanto attiene alle denunce effettuate per crimini commessi in violazione
della normativa sugli stupefacenti, queste sono state 32.807 (10% per reati di
associazione finalizzata alla produzione, traffico e vendita di stupefacenti, 90% per
reati di produzione, traffico e vendita di sostanze psicotrope). I soggetti entrati, nel
2006, negli istituti penitenziari italiani per reati in violazione della normativa sugli
stupefacenti sono 25.399 adulti e 219 minori, corrispondenti a oltre ¼ dei circa
91.000 ingressi annui totali. Di questi ingressi per violazione del DPR 309/90, circa
il 60% ha riguardato soggetti censiti come tossicodipendenti.
Circa il 27% del totale degli ingressi negli istituti penitenziari è rappresentato da
consumatori di droghe; quasi i 2/3 (61%) degli incarcerati nel 2006 per violazione
delle previsioni penali del DPR 309/90 sono costituiti da soggetti neocarcerati.
I soggetti che hanno usufruito di misure alternative in base a quanto previsto dall’art.
94 del DPR 309/90 sono rimasti sostanzialmente stabili come numero assoluto tra il
2001 ed il 2006, oscillando intorno a 3.000 unità circa all’anno. Circa il 29% dei
tossicodipendenti affidati ha commesso reati in violazione della normativa sugli
stupefacenti.
178
243
Alfio Maggiolini, Sballare per crescere?, cit., pp. 128-140
179
droghe per eccellenza del gruppo delle “designer drug”. Tali derivati si discostano
per l’evidenza di proprietà psichedeliche e per gli effetti neurotossici. La principale
droga di questo gruppo di sostanze entactogene (che favoriscono l’empatia e la
socializzazione) è l’ecstasy: altre molecole sono MDEA (“eve”), MDA (“love drug”)
e MBDB (“TNT”). Viene comunemente definita ecstasy l’MDMA, un derivato
sintetico dell’anfetamina, generalmente venduto sotto forma di pastiglie; l’MDMA
agisce soprattutto sulla serotonina, una sostanza presente nel cervello, che interviene
sull’umore, sul sonno e sull’appetito. L’effetto collaterale più pericoloso dell’ecstasy
è l’ipertermia maligna, cioè un grave aumento della temperatura corporea che può
portare alla morte. L’attività fisica e la permanenza in ambienti surriscaldati come le
discoteche possono sovrapporsi agli effetti farmacologici della sostanza
(disidratazione da forte sudorazione, diminuito apporto di liquidi per mancata
percezione della sete e alterazione del normale meccanismo di controllo della
temperatura). Questa sostanza può, inoltre, attivare patologie cardiache latenti,
ipertensione o asma, con effetti di estrema gravità. Un effetto collaterale grave
determinato dall’uso di ecstasy è l’azione tossica sul fegato, che può causare
un’insufficienza epatica, anche mortale. A causa delle sensazioni di sicurezza indotta
dall’ecstasy, spesso i consumatori possono compiere azioni rischiose, ad esempio
incorrono in incidenti stradali legati all’alta velocità, a causa della minore capacità di
valutare il pericolo, oppure hanno rapporti sessuali non protetti con sconosciuti.
L’aspetto più allarmante dell’uso di ecstasy è la supposta neurotossicità sui circuiti
serotoninici delle cellule del sistema nervoso centrale. Questi circuiti sarebbero
coinvolti nella regolazione del tono dell’umore e del comportamento alimentare,
oltre che di aspetti cognitivi (attenzione e memoria) e del controllo dell’impulsività.
Danni irreversibili sono documentati sperimentalmente, quali l’insorgenza di psicosi
paranoidee, depressione, attacchi di paura, modificazioni del comportamento
alimentare e deficit cognitivi.
Psichedelici: gli allucinogeni o psichedelici sono un gruppo di sostanze
psicoattive che agiscono sul sistema nervoso centrale, causando scardinamento del
pensiero, stravolgimento dell’Io, cambiamenti emotivi e alterazioni delle percezioni.
La droga principale di questo gruppo è l’LSD. L’uso è per via orale (compresse,
micro punte, o francobolli imbevuti di una soluzione alcolica di LSD). L’LSD è un
derivato dell’acido lisergico, prodotto naturale di un fungo parassita della segale.
Viene smerciato come liquido o polvere. Una dose di liquido di LSD sufficiente a
181
Prevenzione a scuola
(22,2%) e dal sud ed isole (21,5%). I progetti risultano inseriti nel POF (Piano di
Offerta Formativa) della scuola nel 94,3% dei casi.
I progetti censiti affrontano tematiche ed ambiti problematici multipli, relativi al
consumo ed al consumo problematico di sostanze psicoattive legali ed illegali e di
sostanze dopanti (52,7%), problemi sociali e benessere personale (50,7%), sessualità
e malattie sessualmente trasmissibili (51,8%), salute mentale e limitazione dei rischi
(49,4%).
Riguardano problematiche legate ad uno o più sottogruppi di popolazione nel 43,9%
dei casi. I sottogruppi considerati sono caratterizzati o da problematiche di tipo
cognitivo-comportamentale (35,9%) o di ambito sociale (39,9%). Gli obiettivi
prioritari dei progetti sono riconducibili, per il 79,5% allo sviluppo delle abilità
individuali.
Le figure professionali principalmente coinvolte nella realizzazione del progetto sono
gli insegnanti stessi (55%), psicologi (23%), medici o infermieri (12%), assistenti
sociali o educatori (10%).
Le modalità operative utilizzate per gli incontri sono corsi interattivi (50,6%), lavoro
di gruppo (42,5%), lezioni frontali (41,8%), ricerche individuali (24,9%) e seminari
(9,3%).
Il 48,2% dei progetti ha una durata maggiore ai tre mesi ed è articolato in uno o più
moduli ed il 39,2% si estende su più anni scolastici; i progetti sono già stati realizzati
nel passato nel 74,7% dei casi e, per il 98,2% ne è prevista una nuova realizzazione
nel futuro. Per quanto riguarda la frequenza degli incontri nell’anno il 49,4% ha una
frequenza maggiore di 5 incontri. Il 22,4% dei progetti è in collaborazione con più
scuole o istituti e coinvolge classi di scuole medie inferiori nel 5,8% dei casi. I
progetti sono indirizzati solo agli studenti del biennio nel 31,7% dei casi.
Nel 47,3% dei progetti è prevista una valutazione sia dei risultati che di processo
(completa), nel 39,8% o dei risultati o di processo (parziale) e solo nel 12,9% di
questi non viene prevista alcuna di valutazione.
Gli indicatori segnalati riguardano il grado di partecipazione alle attività da parte dei
vari attori (64,4%), la coerenza dei contenuti e le competenze acquisite (55,4%), la
capacità di relazione unitamente alla percezione del sé ed all’autostima (35,2%). I
metodi e strumenti di raccolta dei dati sono i questionari (48,5%), il monitoraggio
periodico in itinere e/o ex post (30,1%), le griglie di osservazione (16,6%), i registri
di classe/attività (11,2%), le interviste (9,3%) ed i diari-studente (1,8%).
188
Prevenzione in famiglia
Età.……….
sesso M F
professione studente lavoratore in cerca di occupazione
famiglia
amici
scuola
televisione, radio
libri, giornali
oratorio
altro (specificare)…………………………………………………
191
1. 7. 13.
2. 8. 14.
3. 9. 15.
4. 10. 16.
5. 11. 17.
6. 12. 18.
famiglia
amici
insegnante
medico di base
prete
altro (specificare)………………………………………………
8. Quale messaggio ritieni sia più utile suggerire, per prevenire l’uso delle
droghe e per ridurne il consumo? E come “lanceresti” questo messaggio?
Messaggio: ____________________________________________
Lo “lancerei”: __________________________________________
sì no non lo so
Servizi: _______________________________________________
7. Valuta la prevenzione
a b c d e f g h i l
15/16 F sì 20 3 20 6 4 18 15 11 14 19
Prof no 3 20 3 17 19 5 8 12 9 4
17/18 F sì 52 3 4 1 6 2 5 4 4
Prof no 2 5 4 3 6 1 5 2 3 3
15/16
sì 10 1 9 5 1 9 3 5 6 11
M
Prof no 2 11 3 7 11 3 9 7 6 1
17/18
sì 6 2 6 3 7 4 6 5 8
M
Prof no 2 6 2 5 8 1 4 2 3
15/16 F sì 17 5 13 6 3 17 8 11 7 13
Liceo no 12 4 11 14 9 6 10 4
17/18 F sì 9 2 12 1 3 13 4 8 5 11
Liceo no 7 14 4 15 13 3 12 8 11 5
15/17
sì 10 3 9 3 2 13 4 5 6 10
M
Liceo no 7 14 8 14 15 4 13 12 11 7
15/16 F sì 4 2 4 1 1 4 1 4 1 5
Tecnico no 3 5 3 6 6 3 6 3 6 2
17/18 F sì 15 5 10 6 1 14 7 8 8 11
Tecnico no 4 14 9 13 18 5 12 11 11 8
15/16
sì 11 6 11 10 2 9 7 6 5 9
M
Tecnico no 6 11 6 7 15 8 10 11 12 8
17/18
sì 5 2 4 2 1 6 1 2 5 5
M
Tecnico no 1 4 2 4 5 5 4 1 1
18/21 F sì 12 12 15 12 2 17 8 12 13 19
Locale no 18 18 15 18 28 13 22 18 17 11
22/25 F sì 22 16 20 13 3 23 5 14 14 18
Locale no 14 20 16 23 33 13 31 22 22 18
18/21
sì 13 9 17 12 4 16 7 11 14 14
M
Locale no 15 19 11 16 24 12 21 17 14 14
22/25
sì 24 23 29 19 7 28 10 9 15 19
M
Locale no 32 33 27 37 49 28 46 47 41 37
197
198
199