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gorgheggi: è la pratica del riscaldamento della voce. Il riscaldamento vocale è una pratica preparatoria
del cantante molto simile a quella dell’atleta che riscalda i muscoli prima di iniziare la gara.
In realtà, quello che si vuole realizzare, non è rendere robusti i muscoli ma preparare, prima della
rappresentazione, il massimo coordinamento degli organi (respiratorio, laringeo e di risonanza)
coinvolti nell’emissione vocale, per permetterne il migliore armonioso rendimento nella maggiore
economia di gestione. E’, in altre parole, la verifica dell’equilibrio tra respirazione, pressione del fiato e
suono e, soprattutto, di una pronta capacità nel trovare le “posizioni giuste” del risuonatore che
permettano la miglior risposta spettrale (qualitativa e quantitativa), cioè il miglior risultato vocale, col
minor impegno muscolare generale e il minor trauma dei bordi delle corde vocali.
Dato che nel canto lirico la ricerca di tali coordinamenti è essenziale nel gestire correttamente il volume
e garantire una comoda udibilità della voce col minimo dispendio e la migliore resa artistica-vocale, ne
consegue che la pratica del riscaldamento può fare la differenza tra emissioni forzate ed ipercinetiche
ed emissioni corrette.
E’ infatti noto, anche ai cantanti di musica leggera, che iniziare la performance senza riscaldamento,
indurrebbe a cercare quell’equilibrio durante il corso stesso della prestazione, cosa che frequentemente,
a causa della ricerca di importanti volumi di voce, finisce per innescare soluzioni più dirette ma meno
ponderate, come l’atteggiamento della spinta muscolare ipercinetica laringea conosciuta come “canto di
fibra”.
In altri termini, cantare a freddo in un ambiente esecutivo come la sala di un teatro, induce a forzare la
voce, rischiando di generare affaticamento nel corso della rappresentazione ed emissioni esteticamente
non buone, nella ricerca di “farsi sentire”.
Il riscaldamento vocale, oltre ad evitare atteggiamenti forzati e “pulire” le corde da eventuali residui di
muco (come ad esempio dopo una flogosi catarrale delle vie aeree o nei soggetti allergici) svolge
comunque altre funzioni benefiche. Nel momento in cui il cantante sale sul pacoscenico, si espone al
surriscaldamento ambientale, in parte causato dai riflettori, alla presenza di polveri o inquinanti
meccanici (costumi, scene, polveri di palcoscenico), alla presenza di alti livelli di sonorità orchestrali
(con la necessità di superarli per essere udito in sala).
Per il problema ambientale il cantante in genere si avvale di idratanti orali specifici, beve acqua, respira
dal naso. Sicuramente il riscaldamento, mettendo in esercizio le corde vocali, favorisce l’uniformarsi
sulla loro superficie di un giusto grado di secrezione idrolipidica, allontanando gli eccessi di muco e
aumentando la lubrificazione dell’epitelio di rivestimento delle corde stesse.
Il nervosismo che precede la rappresentazione è induttore della riduzione della salivazione, superabile
tramite il controllo dello stato d’ansia, una abbondante idratazione delle mucose, la pratica di alcune
tecniche di rilassamento muscolare. Va anche posta attenzione ai cibi che aumentano la salivazione in
quanto possono provocare arsura e richiamo di liquidi nel comparto intestinale.
Dalle condizioni di alterata idratazione mucosa scaturiscono inoltre alcuni comportamenti traumatici
per le corde vocali come la necessità di schiarire la voce (a volte utilizzata come semicosciente
manovra scaramantica prefonatoria), o la necessità di tossire spesso per liberarsi dal muco in eccesso,
abitudini che generano attrito o urto tra le corde vocali.
Il problema dell’intensità orchestrale e dello spazio esecutivo rende necessario (ed è compito anche del
maestro di canto negli anni di formazione dell’allievo) raggiungere e mantenere un buon controllo
propriocettivo e percettivo della qualità vocale, cioè conoscere le proprie sensazioni vibratorie
muscolari e scheletriche interne in funzione del prodotto vocale ed aver imparato ad ascoltare il ritorno
acustico della propria voce. Nel campo della musica leggera, quest’ultimo è facilitato dall’uso di cuffie
e di visualizzatori elettronici di intensità.
Le procedure di riscaldamento messe in atto dai cantanti sono molto varie, ma sono tutte riconducibili a
variazioni su pochi temi basilari, una specie di rodaggio dell’estensione in rapporto alla flessibilità dei
registri, e sono riassumibili in cinque gruppi di esercizi, che ora analizzeremo, e che hanno anche un
importante risvolto psicologico in termini di allerta e concentrazione.
Il riscaldamento effettuato con il trillo linguale o labiale, i “muti” (vocalizzi a labbra chiuse), l’utilizzo
di emissioni nasalizzate, i vocalizzi con arrotondamento e protrusione moderata delle labbra, condotti
su glissati, scale o arpeggi, e su tutta l’estensione vocale, inducono un adeguamento della funzione
respiratoria in termini di rapidità di sostegno respiratorio, riducono le forze esercitate direttamente e
medialmente sulle corde vocali, portano le corde a vibrare solo sul loro bordo libero in una sorta di
registro medio che permette di verificare le “posizioni” senza “stringere la gola” e senza dar subito
“volume” in registro pieno, e tonificano in lunghezza le corde stesse.
Glissati tra due ottave di estensione, su vocali anteriori come la /i/ e la /u/, inizialmente solo
discendenti, poi anche ascendenti, prima con netta transizione tra voce “di petto” e falsetto, poi
uniformando i registri con una emissione definita “mista”, permettono un allungamento delle corde
vocali, indirizzato al principio allo stiramento del legamento vocale poi a tutto il muscolo. Tale
procedura provvede al separato esercizio nell’attività dei due tensori delle corde, facendone saggiare il
prodotto vocale della loro funzione prima separatamente (voce piena e falsetto), nell’ambito tonale loro
più fisiologico, ed infine attuando la loro unione nell’emissione “mista”. Si evitano così difficoltà di
realizzo di note di passaggio di registro. La manovra tende anche a polarizzare la prima formante sulla
frequenza fondamentale aumentando l’udibilità vocale a favore di quello che i maestri definirebbero la
“punta” del suono.
Esercizi a lingua protrusa in scale e sequenze vocaliche alternate /a-i/ , sono utili per creare coscienza
nell’indipendenza tra le strutture fonatorie e quelle articolatorie, rilassare lingua e mandibola,
concentrarsi nel mantenere una posizione laringea verticale stabile durante l’articolazione. Così anche
tutti i vocalizzi che utilizzano sillabe inizianti per consonanti, specie /l/, /v/, /m/, /n/, cari a molti
maestri di canto, allenano e facilitano l’abitudine a mantenere il suono in “posizione”
indipendentemente dalla consonante che precede o segue.
I filati, o “messe di voce”, effettuati con cavità buccale non troppo aperta e con vocali prima anteriori e
poi posteriori, pongono con calcolata gradualità in vibrazione la massa delle corde vocali; aiutano il
cantante a bilanciare la tensione del muscolo con quella del legamento vocale; fanno esercitare la
regolazione del crescendo e del decrescendo nel corso dell’emissione, ove i volumi polmonari sono
ovviamente via via decrescenti; fanno infine lavorare tutti i muscoli intrinseci della laringe in rapporto
coordinato con i mutamenti della pressione respiratoria durante l’emissione vocale.
Gli staccati in arpeggio realizzano la possibilità di iniziare la performance con voce pulita e pronta,
stabilendo un modo dominante (registro pieno) di vibrazione delle corde vocali, a voce piena, ed
allenano i muscoli abduttori ed adduttori, cioè quelli che determinano l’apertura delle corde (posizione
respiratoria) e quelli che ne determinano la chiusura per l’atto fonatorio, simultaneamente ai muscoli
tensori durante i cambi di altezza tonale.
Attacchi di sotto, tecniche di sbadiglio o di abbassamento laringeo estremo, inducono la stabilità della
posizione laringea bassa e garantiscono la massima ampiezza del primo tratto dei risuonatori,
agevolando l’abilità nel mantenere corposo il timbro, rinforzando le frequenze armoniche
corrispondenti alla “formante del cantante”. Con queste procedure viene esercitata quella che i maestri
definiscono la “canna” della voce, in emissioni di registro pieno.
Per quanto attiene alla durata delle pratiche di riscaldamento il tempo mediamente sufficiente per un
buon riscaldamento dovrebbe aggirarsi intorno al quarto d’ora/mezz’ora, anche se non è raro trovare
cantanti che vocalizzano anche per ben oltre un’ora o altri che in cinque minuti si sentono già pronti.
Sicuramente una vocalità più drammatica, o che comunque fa ricorso in maniera preponderante a
“tecniche di affondo”, come anche vocalità sovracute o molto leggere che devono lavorare su ambiti
tonali a prevalente proiezione “sulla punta”, sentono necessario un maggior tempo di “riscaldamento”.
Se pensiamo che il tempo fonatorio totale di un personaggio come Madama Butterfly è
complessivamente di circa 32 minuti e quello di Rodolfo in Boheme di circa 16, possiamo renderci
conto di quanto sia molto elevato, in relazione, il tempo necessario a far sì che il cantante entri in scena
“a voce calda”.
Se dell’importanza del riscaldamento vocale sono consci quasi tutti gli artisti, pochi conoscono invece
le necessità del cosiddetto “raffreddamento” vocale dopo l’esecuzione. Al termine di una recita il
cantante si trova improvvisamente esposto ad una concomitanza di fattori nocivi per il suo organo
vocale: la tensione generale decade e nei corridoi c’è un elevato rumore ambientale, il che costringe a
parlare ad una certa intensità vocale in un momento in cui sulla corda è presente vasodilatazione legata
alla prestazione. Su tale sorta di “surriscaldamento”, nell’improvviso passare dal canto alla voce
parlata, quindi su frequenze piuttosto gravi della propria estensione, il cantante realizza una fonazione
non più proiettata sui risuonatori, e che quindi, nelle necessità di aumento di volume a causa del
rumore, lo può facilmente portare a “forzare”. Ecco perché quando la voce dopo il canto rimane “alta”
e proiettata, almeno per qualche minuto, anche se su frequenze fondamentali più elevate rispetto a
quelle comuni del parlato del soggetto, si ha garanzia di non incorrere in affaticamento cordale. Al
contrario, la pratica di un parlato -come direbbero i maestri- “spoggiato” determina l’instaurarsi di
atteggiamenti vocali ipercinetici ogni volta che si voglia aumentare l’intensità della voce,
particolarmente deleterio dopo il surmenage vocale effettuato con la prestazione canora. Nella pratica
del raffreddamento è allora utile mantenere, dopo la recita, il parlato colloquiale alto e proiettato, un po’
come nel classico luogo comune del cantante un po’ fanatico che parla “impostato”. Tanto più quando è
necessario parlare in ambienti rumorosi come la strada o il ristorante dove l’autocontrollo acustico
vocale viene ad essere indebolito. Gli esercizi specifici del “raffreddamento” variano da esercizi di
“nasalizzazione”, masticazione delle vocali per rilassare lingua, mandibola e collo, parlare “in
maschera”, fare sbadigli e sospiri sonori con glissati discendenti.
Oltre al rumore ambientale il “ritorno al parlato” deve fare i conti con la successiva cena, occasioni
sociali, interviste, ecc., condizioni che provocano un sovraccarico del sistema fonatorio, con
impossibilità di risoluzione veloce della vasodilatazione fisiologica. Questa viene anche aggravata dalla
permanenza in ambienti dove si fuma, e dall’utilizzo di alcoolici e superalcoolici, che provocano inoltre
un aumento dell’acidità gastrica favorendo il reflusso gastroesofageo, patologia molto temuta dai
cantanti perché altamente corrosiva per le mucose laringee e opacizzante la voce stessa.
Il reflusso gastroesofageo è una condizione abbastanza frequente nei cantanti in quanto l’intenso lavoro
pressorio diaframmatico induce nel tempo uno sfiancamento del cardias (la valvola che separa lo
stomaco dall’esofago) permettendo la risalita del succo gastrico fin verso la laringe. Coricarsi subito
dopo il pasto, come purtroppo spesso avviene dopo la recita, rallenta il transito gastrico e aumenta la
possibilità di reflusso.
Consumare bevande troppo calde dopo l’uso prolungato della voce, ma anche in corso di lievi
infiammazioni delle vie aeree superiori, è un’altra azione non consona alle necessità del
“raffreddamento”, in quanto aumenta la vascolarizzazione locale, con potenziamento di eventuali
fenomeni di infiammazione.