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NEUROSCIENZE,
PSICOLOGIA E SENSO COMUNE
remo bodei
1
Cfr. E. Boncinelli in Mi ritorno in mente. Il corpo, le emozioni, la coscienza, Mi-
lano, Longanesi, 2010; Id., La vita della nostra mente. Roma-Bari: Laterza, 2011.
2
T.H. Huxley, Lessons in Elementary Psychology, cit. in M. Di Francesco, La co-
scienza, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 40.
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l’area cerebrale deputata alla volontà si attiva alcuni millesimi di se-
condo prima che sia stato esplicitamente formulato il pensiero co-
sciente della decisione. Sembra così confermata l’esistenza di un de-
terminismo psichico, per cui i nostri atti dipendono sì dalla nostra
volontà, ma questa, a sua volta, è determinata da una catena di cause
di cui noi non abbiamo coscienza. Bisogna perciò distinguere tra la
consapevolezza delle azioni che compiamo e l’ignoranza delle cause
che ci spingono a compierle: noi siamo bensì liberi di fare ciò che vo-
gliamo, ma non possiamo volere ciò che vogliamo, perché non siamo
in grado di conoscere le cause delle nostre azioni.
È evidente che tale constatazione rende problematica l’idea di
un’assoluta autonomia della realtà psichica rispetto al cervello e
al corpo, ma non inficia né quella di differenti livelli descrittivi,
né, in fondo, quella di una persona che assume decisioni di cui si
fa carico. Perché, poi, il soggetto conoscente o la persona morale
non dovrebbero avere un corpo e un cervello che collaborano
all’elaborazione delle sue percezioni, dei suoi concetti, delle sue
emozioni e delle sue delle sue decisioni? Perché non dovrebbero
essere embodied? Del resto, ciò non entrerebbe in contraddizione
neppure con certe fedi religiose: peculiare del cristianesimo è, ad
esempio, il dogma della resurrezione della carne, l’attenzione rivolta
al «corpo glorioso» in contrasto con il regno delle ombre incorporee
al quale sono condannati i morti in altre religioni.
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dubitabilmente proprio. Per converso, senza il corpo reale dell’indivi-
duo determinato e irripetibile nell’hic et nunc, senza i vissuti diretta-
mente attribuibili a «questo singolo», senza la «coscienza fenomenica»
con i suoi aspetti soggettivi e qualitativi (i qualia, appunto), ogni ri-
specchiamento virtuale risulterebbe impensabile. L’identità personale
appare, dunque, sia in maniera riflessa, come una fra tante nel tempo
e nello spazio della società e del mondo, sia in maniera immediata,
nel tempo reale e nello spazio corporeo del singolo, in un rapporto
di unità-opposizione che permette a ciascuno di fare il punto sulla
rotta della sua vita (mediante meccanismi a feed-back, scambi simbo-
lici e aggiustamenti complementari di prospettiva, grammaticalmente
espressi con «io», «tu», «noi», «loro», «qui», «altrove», «dentro»,
«fuori», «ora», «poi» e simili).
Il cervello è la cosa più complessa che si conosca nell’universo. Ha
circa 86 miliardi di neuroni e 85 miliardi di cellule non neuronali. Dei
neuroni 68 miliardi nel cervelletto e solo 17 miliardi nella corteccia
cerebrale, sede delle più alte funzioni cognitive (ma lì maggiore ar-
borizzazione dei neuroni), che in generale – spiega il neurofisiologo
Lamberto Maffei Maffei – raggiungono il loro massimo sviluppo tra
il secondo e il terzo anno di vita. Tuttavia, nel crescere di ogni per-
sona, il cervello, dotato di incommensurabile plasticità, perde il suo
carattere semplicemente naturale e si individualizza. All’inizio neuroni
sono guidati da fattori biochimici, poi dall’ambiente e dalla cultura (è
allora difficile distinguere tra ciò che è naturale e ciò che è culturale).
Proprio per questo, occorre trovare le modalità di interfaccia e le
forme di eventuale traducibilità dei fenomeni, senza azzerare le di-
stanze tra i livelli descrittivi e senza dimenticare quali sono le inten-
zioni e gli obiettivi che muovono le ricerche. Forse allora si vedrà che
il valore della persona non viene intaccato dal suo essere anche corpo,
cervello, rete neuronale. Al contrario, la meravigliosa complessità
della miriade di processi che generano e sostengono la sua consape-
volezza e i suoi comportamenti (e il fatto stesso che gli sforzi con-
giunti di molti uomini siano riusciti a conoscerli) aggiungerà ad essa
una maggiore dignità.
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serva giustamente come queste tendenze, sia in campo filosofico che
psicologico, abbiano incontrato il loro «limite principale nella dif-
ficoltà di collocare anche il pensiero umano nell’ambito del mondo
fisico-naturale» e nella radicata convinzione che non esista se non la
realtà materiale. L’emergentismo rappresenta una versione aggiornata
di queste posizioni ed è legato all’idea di autorganizzazione o di au-
topoiesi dei sistemi complessi a partire dagli studi pioneristici di Von
Bertlanffy.
Attraverso l’esame di una ricchissima bibliografia, gli autori sugge-
riscono come uscire dall’alternativa, ormai diventata un campo di bat-
taglia in cui tutte le strategie e le tattiche sono state sperimentate e si
è giunti a una fase di stanchezza nel dibattito sul mind-body problem,
con riproposizioni di un dualismo cartesiano o di un monismo di tipo
spinoziano.
«Particolarmente interessante mi pare l’ipotesi di partire dalla neu-
roscienza culturale, nella prospettiva di “una costante costituzione re-
ciproca o coevoluzione” di cervello e cultura, nel senso che “le pra-
tiche culturali si adattano ai vincoli neurali e il cervello si adatta alla
pratica culturale”» (Ambady e Bharucha, 2009, p. 342). Notevole è
anche la sezione 4.1 relativa agli studi sulla deprivazione nei primi
anni di vita, che ha sin dalla fine del Settecento le sue premesse nelle
osservazioni di Itard sul ragazzo selvaggio dell’Aveyron. Altrettanto
condivisibili mi appaiono le considerazioni sul rapporto tra la cono-
scenza comune e quella scientifica (sviluppate altrove anche da Fran-
cesca Emiliani) e le conclusioni dell’intero articolo di Emiliani e Maz-
zara, ossia che ci si trova «di fronte ad una sorta di paradosso della
naturalità: per poter vivere nel mondo sociale, ordinario, della vita di
ogni giorno dobbiamo acquisire nei suoi confronti un «atteggiamento
naturale», dotarlo di «un’evidenza naturale». La naturalità del mondo
sociale è una caratteristica necessaria, ineludibile e soprattutto tacita-
mente data: è il terreno fondante l’esperienza comune e, proprio per
questo, è per lo più non rilevabile».
Nel complesso il saggio di Emiliani e Mazzara costituisce non solo
una rassegna della letteratura sull’argomento, ma apporta una pre-
gevole messe di contributi al chiarimento e alla risoluzione dei pro-
blemi, qui trattati con acume ed equilibrio.
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