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UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA

FACOLTÀ DI DESIGN E ARTI


ARTI VISIVE E DELLO SPETTACOLO

SOUND ART A BERLINO COME RICERCA DELL’INSTALLAZIONE


SONORA IDEALE DOPO L’AVVENTO DELLA MUSICA ELETTRONICA

ROBERTA BUSECHIAN SUPERVISIORE: CORRELATORE:


MATR. 268562 ROBERTO FAVARO AGOSTINO DI SCIPIO
Sound art a Berlino come ricerca dell’installazione sonora ideale dopo
l’avvento della musica elettronica

III-IV Introduzione

Lo spazio della musica nella sua mutazione


tecnologica o “ambienti di esistenza della
musica”

1 1. Introduzione sulla tecnologizzazione della musica

2 2. Sviluppo della ricerca sonora negli studi europei di


musica elettronica

La factory tedesca

4 1. L’impatto fondamentale dello studio di Colonia sulla

manipolazione sonora
5 2. Stockhausen a Colonia
7 3. WDR, Stockhausen, Fluxus e la prima generazione di

sound artists

Sound art: l’arte delle installazioni sonore?

11 1. La dimensione modale dell’installazione

12 2. Dimensione multimodale

Lo Studio elettronico di Berlino: dallo studio alle


istituzioni per uno sviluppo della Klangkunst

13 1. Lo Studio Elettronico dell’Università Tecnica di Berlino

16 2. Compositori internazionali al Berliner


Künstlerprogramm DAAD

1980 “Für Augen und Ohren”, una mostra


storica

19 1. Una prefazione “concettuale”


20 2. “Objekte, Installationen, Performances”

I
Il festival “Inventionen” per la musica
elettroacustica

27 1. Il festival e la sua dislocazione negli spazi della


capitale
28 2. Villa Elisabeth ed “Ecosystemic Sound Installation in
Abandoned or Dismantled Rooms” di Agostino Di
Scipio

Gli spazi della Parochialkirche attraverso


l’intervento sonoro

31 1. L’attività e il progetto della Singuhr-sound gallery


32 2. Il festival “Suite in Parochial” e l’installazione “Atlantic
wave terminal” di Robert Henke
36 3. Le installazioni: immanenza estetica
37 4. Rolf Julius e “l’immaginazione indotta”

41 Intervista con Folkmar Hein

44 Intervista con Mario Mazzoli

46 Conclusione

48 Bibliografia

52 Sitografia

54 Appendice

II
Introduzione

! Trattare della relazione con ciò che noi chiamiamo suono è un’operazione assai
delicata e complessa come altrettanto problematica è l’indagine dello spazio comune al
senso (senso in quanto intendere, comprendere qualcosa) e al suono. Come dichiara Jean-
Luc Nancy nel suo “All’ascolto” il suono è fatto di rinvii, si propaga nello spazio in cui risuona
proprio mentre risuona dentro al soggetto. Secondo l’ascolto il soggetto si rinvia o invia in sé
stesso e a differenza della visione l’ascolto ha luogo contemporaneamente all’evento sonoro.
Mentre l’esperienza visiva non è classificabile come evento ma esiste già prima di essere
percepita dal soggetto, la presenza sonora arriva e comporta un attacco, ma è anche
onnipresente nel momento in cui si manifesta, la sua presenza è sempre un avanzamento,
non uno stato, un complesso di rinvii. Arriviamo dunque ad un punto fondamentale di ciò che
è la relazione del suono che vive dello spazio in cui si manifesta: il luogo sonoro. Il luogo
sonoro non è un luogo in cui il soggetto arriverebbe per farsi sentire ma è un luogo che
diventa il soggetto. La musica a questo punto si rivela come fatta per essere ascoltata ma è
in realtà già in sé stessa ascolto di sé. La sound art sembra vivere in questo spazio analitico
tra suono e musica nella sua esigenza di descrivere, analizzare, interrogare ciò che è il
significato contestualizzato dell’ascolto. Da un lato è necessario considerare all’interno
dell’analisi che verrà proposta in seguito una forte considerazione del suono in quanto
elemento pubblico, sociale e collettivo: con la sua capacità di moltiplicare ed espandere gli
spazi, il suono produce gli ascoltatori e molteplici “punti di vista” acustici. Da un lato può
essere illimitato proprio perché espande e contrae lo spazio accumulandosi in riverberi,
ricollocando lo spazio stesso, dall’altra può avere una forte connotazione site-specific. Da qui
prende forma una riflessione che prende in considerazione una doppia traiettoria, quella
della sound art sviluppatasi in forte relazione con lo sviluppo in ambito artistico delle pratiche
site-specific dagli anni ‘60, e quella musicale della musica elettronica che si inserisce
all’interno della sound art e ne conduce lo sviluppo verso una cura maggiore di ciò che è
l’installazione sonora in cui il suono parte da una ricerca analitica e specialistica,
professionale. Si è deciso di prendere in considerazione in questa trattazione i possibili passi
in avanti della musica elettronica che nel corso del periodo contemporaneo sembra soffrire di
mancanza di coraggio: la musica slegata dalla texture acustica della vita di tutti i giorni tra
sintetizzatori e beats può rifarsi di una vitalità nuova e una freschezza cambiata attraverso le
registrazioni colte dal mondo reale e successivamente trasformate in composizioni o
riproposizioni all’interno di brani che vengono classificati come sound art.
Sin dal primo capitolo della seguente trattazione ci si focalizzerà sullo sviluppo della musica
elettronica come ambito inerente i grandi cambiamenti spaziali introdotti dalla
tecnologizzazione della musica. Il suono manipolato sarà infatti il filo rosso della nostra

III
trattazione in quanto consentirà un breve excursus dalla musique concrète come utilizzo del
suono in quanto registrazione del mondo esterno fino alla musica elettroacustica degli studi
in Germania in cui il suono viene interamente creato all’interno dello spazio dello studio di
musica elettronica. Da questo punto in poi si aprirà la discussione sullo sviluppo e diffusione
della musica elettronica si nell’area geografica, politica e sociale della città di Berlino ma
anche in relazione a quelle che si presentano come diverse possibilità fornite dallo spazio
artistico. Attraversando una breve storia della diffusione della musica elettroacustica nello
spazio a partire da Karlheinz Stockhausen e le sue sperimentazioni sulla proiezione del
suono con il sistema surround, iniziate già presso lo studio WDR di Colonia negli anni ‘50, si
giunge attraverso una ricerca sempre più concentrata agli sfoghi in ambito artistico delle
pratiche musicali elettroniche come pratiche già esistenti da parte di molti artisti visivi. Lo
spazio berlinese per la sound art viene infine analizzato dapprima attraverso una breve storia
dello Studio elettronico di Berlino e in seguito attraverso una introduzione alle maggiori
istituzioni e manifestazioni che costituiscono in fulcro della collaborazione e dell’incontro tra
sperimentazioni musicali nello spazio delle installazioni sonore, analizzando le caratteristiche
del suono tenendo conto della sua relazione con la storia, la memoria, le relazioni sociali e le
strutture politiche e culturali.

IV
Lo spazio della musica nella sua mutazione tecnologica o “ambienti di esistenza della
musica”

1. Introduzione alla tecnologizzazione della musica

! È importante precisare sin dalle prime introduzioni sull’argomento che non si intende
ricostruire in questa parte iniziale una storia della musica del secondo Novecento, ma partire
da alcuni ambienti di ricerca germogliati nel periodo storico in cui la tecnologizzazione della
musica portò ad una svolta decisiva nell’utilizzo della tecnologia per la creazione di materiale
musicale e nell’idea di ambiente1 come spazio della musica. La possibilità di un’approfondita
analisi del sostrato elementare della musica, ovvero del suono in sé si presentò nella prassi
del “comporre il suono” (che si affianca a quella più normale di “comporre con i suoni”).
Anche l’attenzione che alcuni compositori come Varèse, Messiaen, Ernst Křenek – ma anche
compositori di musica strumentale del post-serialismo come Sciarrino, Helmut Lachenman,
Gérard Grisey – posero sulla timbrica nella composizione musicale, creò una sempre
maggiore consapevolezza dell’importanza dell’analisi della materia sonora e di conseguenza
del suono come elemento autonomo. È bene ricordare in questa sede l’interesse che
Varèse, Messiaen e Křenek rivolsero nei confronti delle attività dei centri di musica
elettronica; Varèse collaborò con Schaeffer di cui si parlerà a breve, Messiaen in seguito
lavorò al Groupe de Recherches Musicales 2, mentre Ernst Křenek fu attivo presso lo Studio
di Colonia nel 1955.

1 Mi riferisco in questo caso all’ambiente come passaggio in musica dall’utilizzo della tecnologia come
“strumento” alla concezione di “ambiente” per la musica come spazio di ricerca e produzione musicale. In seguito
si parlerà di “studii di musica elettronica” in Europa come centri di sviluppo della musica elettroacustica e della
sperimentazione nell’ambito della nuova musica. Per una maggiore comprensione della riflessione sulla
tecnologizzazione dell’esperienza musicale si vedano T.W. Adorno, Vers une musique informelle (in Quasi una
fantasia, Verso, 2011 Londra, pp. 269-322); Agostino Di Scipio, Tecnologia dell’esperienza musicale nel
Novecento, (Estratto dalla Rivista italiana di musicologia, vol. XXXV, 2000 - n. 1-2, pp. 211-245).

2 Per un approfondimento Pierre Schaeffer: L’Oeuvre Musicale, Paris: INAGRM & New York: Electronic Music
Foudation, 1998
1
2. Sviluppo della ricerca sonora negli studi europei di musica elettronica

! La centralità delle riflessioni sul timbro come elemento fondamentale della struttura
musicale e del suono come “materia prima da comporre” si ricollega agli inizi delle ricerche
dei fenomeni udibili come possibilità di registrare e riprodurre i suoni. Questa tendenza si
maturò già con l’uso del fonografo, ma che divenne una vera e propria sensibilità a partire
dai “documentari sonori” di Dziga Vertov (1916-17) che scaturirono dal suo “laboratorio
dell’udito” contraddistinto dalla forte volontà di documentare la “musicalità delle cose”. È
chiaro che il suono divenne sempre meno legato all’automatismo delle percezioni e che
come materiale autonomo al pari delle immagini portò con sé alcune problematiche da
risolvere legate alle tecniche di montaggio ed alla memorizzazione su supporti di
registrazione con l’utilizzo delle nuove tecnologie. Questi furono i punti decisivi per la ricerca
di Pierre Schaeffer, ricercatore e musicista che lavorò e si occupò sin dagli anni della
Seconda guerra mondiale delle possibilità di manipolazione su disco presso la radio. La sua
“arte radiofonica” che si sviluppò dal 1945 aprì all’Europa la strada dell’elettroacustica. Infatti
nel 1951 nacque a Parigi presso la RTF (radiodiffusione francese), in una collaborazione tra
Schaeffer e Pierre Henry, il Groupe de Musique Concrète che nel 1958 diventerà il GRM o
Groupe de Recherches Musicales diretto da François Bayle.
Si creò in tal modo un contesto specializzato per la ricerca sonora e la sperimentazione
musicale; o meglio la ricerca di Schaeffer sulla musique concrète, che ingloba appunto la
musica concreta perché basata sull’elaborazione su nastro di quei materiali tratti da musiche
precedenti o di suoni “vivi”, ebbe senza alcun dubbio delle importanti influenze sulla musica,
ma ancora più visibilmente introdusse, con lo sviluppo della musica elettroacustica, la
consapevolezza che ogni risultato musicale poteva essere il risultato di un processo
investigativo sulla tecnologia e sul suono. Anche per questo motivo si può concludere che il
GRM fu sia una scuola di pensiero e pratica musicale sia un laboratorio per lo sviluppo delle
ricerche acustiche. Riprendendo ancora una volta il discorso sulla ricerca che Schaeffer
portò avanti sin dal primo esempio di composizione di musique concrète - Études de Bruits, il
potenziale sonoro nella sua analisi non esiste nell’attimo immediato e reale ma nella sua
separazione dalla sua collocazione. Il termine “ascolto ridotto” – o reduced listening –
focalizza l’attenzione sulle qualità del suono in sé quali altezza o timbro indipendentemente
dalla sua fonte.
Il lavoro e lo studio dei compositori della musique concrète a Parigi si concentrò su una
manipolazione dei suoni recuperati dalla realtà esterna e nutrì un particolare interesse per la
percezione degli ascoltatori come possibilità di scoperta sia da parte del compositore nel
processo di composizione sia per gli ascoltatori stessi. Dopo questa affermazione, per
chiarire il fine del nostro approfondimento nell’ambito delle ricerche sulla musique concrète è
2
bene notare che il movimento di essa verso l’esperienza degli ascoltatori e verso il
potenziale elettronico dei suoni proposti porta naturalmente ad una soppressione del
contesto. Nel momento in cui un suono viene decontestualizzato, sia la sua fonte che la
presenza di uno spazio non sono più riconoscibili durante la sua riproposizione. Ciò per
esempio fu fortemente in contrasto con il pensiero di John Cage e di altri compositori ed
artisti nordamericani che diedero molta più importanza al suono, alla sua fonte e al contesto
in cui si crea. Anche in Germania ci fu un approccio ai procedimenti tecnologici
completamente diverso, contraddistinto dalla produzione e manipolazione diretta dei suoni
puri, non recuperati dal reale ma creati direttamente per mezzo dei dispositivi elettronici.
Trattandosi dunque di composizione elettronica i suoni venivano creati e pensati in una sfera
meccanica ed elettroacustica, creati in un’unica produzione nonché ripetibili in infinite
composizioni. È bene notare che l’ambiente di lavoro presso uno studio come quello di
Colonia mutò principalmente in relazione all’invenzione di nuovi strumenti per la
manipolazione, all’introduzione di nuove tecniche di scrittura e tecniche esecutive che
determinarono a loro volta il cambiamento di quello spazio lavorativo dei compositori che
diventò lo studio di musica elettronica.3
Ci si riferisce in questa sede ai numerosi studi di musica elettronica che presero piede a
partire dagli anni ‘50 in ambito europeo.4 Dopo le principali attività di Parigi (Groupe de
Recherches de Musique Concrète, poi Groupe de Recherches Musicales) e dello
Westdeutscher Rundfunk studio5 di Colonia, fondato ufficialmente nel 1952 da Herbert
Eimert6, vi fu l’istituzione dello Studio di Fonologia Musicale della RAI di Milano nel giugno
1955, grazie all’attività di Luciano Berio e Bruno Maderna, stimolati proprio dalle esperienze
di Parigi, Colonia e New York. Anche in Olanda (anche se per un breve periodo) l’arrivo della
Elektronische Musik di imprinting tedesco portò nel 1954 e nel 1955 come risultato alcuni
tentativi di aprire uno studio di produzione elettronica alla Netherlands Radio Union (NRU),
nella città di Hilversum, sotto la supervisione di Werner Meyer-Eppler (che fu con Herbert
Eimert una delle personalità più importanti dello studio di Colonia). L’attività dello studio però

3 Per approfondimenti: Agostino Di Scipio, Tecnologia dell’esperienza musicale nel Novecento, cit. pp. 211-245

4 Si veda in merito La nuova atlantide. Il continente della musica elettronica (a cura di Roberto Donati e Alvise
Vidolin, La Biennale di Venezia, 1986; catalogo della mostra omonima); Armando Gentilucci, Introduzione alla
musica elettronica, Feltrinelli, 1972 Milano; Peter Manning, Electronic and computer music, Clarendon Press,
1985 Oxford

5 La Nordwestdeutscher Rundfunk (NWDR) dal 1° gennaio 1955 diverrà il WDR, acronimo di Westdeutscher
Rundfunk. Sullo studio WDR di Colonia: Marietta Morawska-Büngler, Schwingende Elektronen. Eine
Dokumentation über das Studio für Elektronische Musik des Westdeutschen Rundfunks in Köln, 1951-1986,
P.J.Tonger Musikverlag, 1988 Köln

6 Eimert (1897-1972) fondatore e primo direttore dello Studio di Colonia, compositore e critico musicale, durante
una trasmissione nel 1951 in una conversazione con altri studiosi furono introdotti alcuni ascolti dei primi risultati
sonori realizzati sinteticamente da Werner Meyer-Eppler. A questi sperimentalismi si affiancarono presto quelli di
Stockhausen, Karel August Goeyvaerts e Gottfried Michael Koenig.
3
giunse alla sua conclusione nel 1956. Nel frattempo la Philips di Eindhoven decise di
realizzare all’interno delle sue strutture un laboratorio che mirò alla realizzazione di progetti
di musica elettronica. 7 In Polonia ad aprire l’era elettroacustica fu lo Studio radiofonico
sperimentale la cui attività fu avviata nel 1957 da Józef Patkowski. In Germania, e più
precisamente a Monaco, dopo la visita al laboratorio Siemens di Pierre Boulez, Herbert Brün,
Werner Egk, Karl Amadeus Hartmann, Ludwig Heck, Ernst Krenek, Henri Pousseur, Fred K.
Prieberg, Hermann Scherchen e i suoi discepoli, si decise di avviare lo studio Siemens di
Musica Elettronica che fu uno dei pochi centri privati di musica elettronica al pari di quello di
Eidhoven. Lo Studio per la Musica Sperimentale di Berlino (almeno così fu denominato
inizialmente), che iniziò la sua attività nel 1954, rappresentò anch’esso un’eccezione come
studio privato poiché inquadrato nel ramo delle scienze umane con un ruolo di assistenza
tecnica ai docenti dell’Università TU di Berlino. Prima di approfondire il ruolo fondamentale
dello studio di Berlino nella ricerca elettronica, ma soprattutto nella ricerca in merito alla
relazione tra arte e suono come terreno fertile per lo sviluppo della Klangkunst –
comunemente detta sound art – è necessario un ulteriore approfondimento sulle attività dello
studio WDR di Colonia.

La factory tedesca

1. L’impatto fondamentale dello studio di Colonia sulla manipolazione sonora

! Nato nel 1951, quello di Colonia fu storicamente il primo studio di musica elettronica,
nell’ambito dei programmi musicali notturni della NWDR (radio della Germania
nordoccidentale) condotti da Herbert Eimert. In una delle trasmissioni notturne intitolata “Il
mondo sonoro della musica elettronica” furono presentati al pubblico i risultati sonori prodotti
sinteticamente da Werner Meyer-Eppler, docente ordinario di Fonetica e di Scienza delle
Comunicazioni all’Università di Bonn. Presto fu convocato dalla direzione della radio per
iniziativa di Eimert un gruppo di lavoro che in seguito all’ascolto dei brani trasmessi decise di
fondare uno studio di musica elettronica. Anche le esuberanti lezioni estive del 1951 di
Robert Beyer e Meyer-Eppler a Darmstadt contribuirono ad alimentare l’eccitazione nei
confronti delle infinite possibilità creative date dalla nuova musica elettronica. Fondamentali
furono anche le lezioni di Eimert del 1951 presso lo studio di Colonia. Lui stesso avendo alle
spalle una lunga esperienza di musica dodecafonica non poté non introdurre nelle ricerche di

7 Massimo Scamarcio, Musica elettronica in Olanda, articolo estratto da “Le arti del suono”, 2008 - n.1, pp.47-58
4
musica elettronica una forte continuità con la musica di Anton Webern, confermata anche dai
suoi interventi ne “Was ist elektronische Musik”, inseriti nella rivista “Die Reihe”, dedicati a
chiarire cos’è la musica elettronica. Furono presenti alle suddette letture di Eimert
compositori quali Pierre Boulez, Karel Goeyvaerts e Karlheinz Stockhausen che in seguito
vennero invitati a lavorare allo studio. Stockhausen sin dall’apertura ufficiale dello studio
WDR del 1953 si dedicò minuziosamente agli esperimenti con i generatori di suono
elettronici. La possibilità data dall’ambiente di lavoro di Colonia ai compositori interessati alle
nuove possibilità di creazione del suono mise in evidenza l’importanza della ricerca sulla
dimensione timbrica del suono riprodotto artificialmente, presente anche in un ambito
parallelo a quello degli studi elettronici, ovvero quello della ricerca di nuove tecniche
esecutive, anche da parte dei musicisti e compositori che utilizzavano gli strumenti
tradizionali. Lo sviluppo della musica elettronica in Germania portò più tardi alla costituzione,
nel 1971, presso la fondazione Heinrich-Strobel di Friburgo, dello Studio Sperimentale
collegato alla Radio della Germania meridionale (SWF), guidato da Hans Peter Haller. Nello
stesso periodo venne avviata anche l’attività dello Folkwangschule di Essen. Molti autori
internazionali, tra questi Pierre Boulez, Stockhausen ed inoltre Luigi Nono che vi realizzò
molte delle sue composizioni con live electronics degli anni Ottanta, realizzarono importanti
lavori presso lo studio di Friburgo. Nello studio vennero infatti elaborate musiche che
adottavano la tecnica del live electronics e alcune tecniche che investigavano le possibilità di
spazializzazione e proiezione del suono. Tutte pratiche e modalità di lavoro che ingloberanno
in seguito molti sound artists nelle proprie ricerche, specialmente per quanto riguarda i live
electronics a partire da Brian Eno, Carsten Nicolai, Richard Chartier, Nicolas Collins e molti
altri.

2. Stockhausen a Colonia

! Le composizioni di Stockhausen, Studie I e Studie II, rispettivamente del 1953 e del


1954, furono le estensioni dirette della sua esperienza con il serialismo e degli studi a Parigi
con Oliver Messiaen.8 Furono contraddistinte da un assoluto controllo delle timbriche di ogni
suono individuale quando l’altezza, la dinamica ed il ritmo potevano essere controllati
attraverso le metodologie compositive tradizionali. I suoi esperimenti allo studio WDR
inglobavano spesso anche le nuove metodologie di trasmissione del suono agli ascoltatori.
Ci si riferisce in questo caso alla composizione Kontakte (1959-60), un pezzo per
percussioni, pianoforte e nastro con quattro altoparlanti rotanti. Gli altoparlanti, trasmettendo

8 Sound Art-New only in name, capitolo tratto da Florence Feiereisen e Alexandra Merley Hill, Germany in the
Loud Twentieth Century, Oxford University Press, 2012, pp.
5
ognuno la propria traccia audio furono posizionati formando un quadrato attorno agli
ascoltatori. Questa modalità di installazione del suono presentò al pubblico il suono per
come viene udito realmente. Inoltre il sistema surround impiegato da Stockhausen
introdusse gli ascoltatori in un ambiente acustico totale. Seguirono anche alcune
composizioni nelle quali vennero riproposte registrazioni concrete che si mescolavano a
suoni elettronici, come in Gesang der Jünglinge (1955-1956) e Hymnen (1966-1967).
Ci sembra importante introdurre, dati gli argomenti affrontati finora, gli sviluppi portati dal
primo incontro tra Stockhausen e John Cage nel 1954. Questo incontro introdusse il
compositore tedesco ai discorsi americani sulle nuove tipologie di composizione musicale.
Nello stesso periodo infatti Cage stava girando l’Europa promuovendo la sua musica
eseguita da David Tudor (dopo Tudor, uno dei più frequenti performer di Cage sarà
l’americano Max Neuhaus, pioniere della sound art e coniatore del termine “sound
installation”). In questo caso Cage non fu supportato solamente da Stockhausen ma anche
da Boulez (anche se in seguito il secondo si discostò dall’idea di casualità che Cage
introdusse nelle sue composizioni), entrambi di fatto furono i due giovani leader del
serialismo europeo. Stockhausen inoltre fu spesso associato alla musica spaziale. Sviluppò
infatti una serie di composizioni che soprannominò Raummusik o “musica nello spazio” come
Kontakte, che abbiamo menzionato precedentemente e che dialoga con la velocità dello
spostamento del suono da un altoparlante all’altro. Il decorso storico dimostrò che non fu il
primo ad occuparsi di tali tecniche ma ciò non toglie che abbia sempre sostenuto di aver
agito sin dall’inizio con il fine di capire la collocazione adatta degli strumenti nello spazio9,
distaccandosi da qualsiasi idea di spazializzazione automatica del suono10 . Anche per la
presentazione di Gesang der Jünglinge utilizzò una disposizione di cinque altoparlanti in
punti diversi dell’auditorio. Inoltre, soprattutto durante i suoi workshop a Darmstadt si occupò
di “walking and running music” 11, dove i musicisti e i cantanti avevano il compito di muoversi
nello spazio. Il movimento fu essenziale anche nel momento in cui a muoversi erano gli
ascoltatori, ciò secondo il compositore necessitava di una differenza sostanziale nella
composizione e intrinsecamente nella durata della performance. Un secondo punto
importante, caratteristico della musica prodotta attraverso il mezzo elettroacustico, fu
l’immaginario spazio-sonoro che essa va a creare e che diventa oggetto stesso di
composizione. Se si prende ancora una volta in analisi Gesang der Jünglinge iniziando con
una dichiarazione del compositore:

9 Lo studio sulla dislocazione spaziale degli elementi sonori fu anche parte di una ricerca sperimentale condotta
con l’istutuzione della Radio Orchestra di Colonia, in questo particolare caso sembra d’obbligo nominare la prima
mondiale con la direzione dello stesso Stockhausen, Bruno Maderna e Pierre Boulez del 24 Marzo 1958.

10 Jonathan Cott, Stockhausen: Conversations with the composer, Simon & Schuster, 1973 New York

11ibidem

6
“Ho cercato di organizzare la direzione e il movimento dei suoni nello spazio e di scoprire
una nuova dimensione per l’esperienza musicale. [...] Da quale parte, con quanti
altoparlanti nel contempo, se con un movimento rotatorio a sinistra o a destra, se con
movimento costante o in parte variabile, i suoni o i gruppi di suoni vengono irradiati nello
spazio: tutto ciò è determinante per la comprensione di questo lavoro.” 12

Si può considerare il movimento del suono nello spazio riprodotto da un gran numero di
altoparlanti come presupposto per far coincidere lo spazio immaginario con lo spazio
acustico reale. L’installazione sonora infatti si slega dal concetto di composizione musicale e
gli altoparlanti, come nel caso di Stockhausen, diventano strumenti che danno ai suoni
elettronici una posizione nello spazio reale. Lo spazio in questi casi è reale anche in assenza
degli ascoltatori.

1 Karlheinz Stockhausen, Gesang der Jünglinge, WDR (Colonia)1956

3. WDR, Stockhausen,Fluxus e la prima generazione di sound artists

L’ambiente sperimentale dello studio WDR e l’attività di Stockhausen crearono dunque le


basi per un ulteriore sviluppo in ambito tedesco dellla musica elettroacustica, ma non solo. Si
costruì infatti un terreno fertile per tipologie di sperimentazione diverse da quelle prettamente

12 K.H.Stockhausen, Texte, vol.1, Colonia, 1963, p.153


7
musicali. Si intende in questo caso l’apertura ad una vasta sperimentazione nell’ambito della
performance con strumenti e metodi alternativi che si sviluppò con l’avvento del movimento
artistico internazionale Fluxus, che mantenne le sue basi sia in Germania che a New York.
Il gruppo fu composto da membri tra i quali evidenziamo Joseph Beuys, George Brecht, John
Cage, Dick Higgins, Alison Knowles, George Maciunas, Nam Jume Paik, Yoko Ono, Wolf
Vostell, La Monte Young. Gli artisti, guidati da George Maciunas, abbracciarono una varietà
di attività a partire da concerti e festival “Flux”, performance musicali, eventi ed azioni
effimeri. Premettendo dunque che fu un movimento artistico sviluppatosi nei primi anni
Sessanta in parallelo, se non in contrapposizione alla Pop art e al Minimalismo negli Stati
Uniti e al Nouveau réalisme in Europa, Fluxus negava qualsiasi distinzione tra arte e vita e
una delle sue caratteristiche riconoscibili fu il suo internazionalismo. Data perciò la varietà
delle attività del gruppo, sarebbe troppo limitativo introdurre gli esperimenti sonori che ne
derivarono come direttamente collegati all’ambito della musica elettronica. Non è questo il
fine della sua inclusione nella nostra analisi. L’interesse del gruppo si manifestò si nei
confronti degli “eventi sonori” ma furono spesso legati alla consapevolezza di utilizzare delle
tattiche stranianti e scioccanti che seguivano i comportamenti legati alla semplicità e la
messa in ridicolo delle azioni stesse. Durante i primi anni Sessanta i “Fluxconcerti” ebbero
luogo in molte città tedesche quali Wiesbaden, Düsseldorf e Wuppertal e probabilmente
aprirono alla ricerca sonora in Germania una modalità di presentazione e di lavoro che si
distingueva fondalmentalmente da qualunque formalismo o ricerca legata alla musica
elettronica ufficiale proprio perché tali concerti furono molto più inerenti alla sfera artistica e
performativa. Ci si potrebbe invece soffermare per un attimo su alcuni nomi citati
precedentemente come parti del gruppo, partendo da Joseph Beuys, ex studente di violino e
violoncello, che spesso partecipò alle performance del collettivo. La sua Siberian Symphony
(1963) fu la sua prima performance a Düsseldorf, dopodiché collaborò spesso con il
compositore affiliato al gruppo Henning Christiansen, con cui creò alcune sculture musicali.
Beuys dal suo canto, sin dagli anni Cinquanta introdusse nella propria pratica artistica un
importante elemento per i futuri sviluppi delle installazioni sonore: il fatto di intendere il
concetto di scultura come possibilità di “muoversi dentro”, come concezione dello spazio
come parte integrante dell’opera quando le nuove idee di spazio espositivo stavano
inconsciamente aprendo molte possibilità alla futura arte delle installazioni sonore. Nam
June Paik collaborò con Beuys e Cage in alcune performance musicali: anch’esso con studi
musicali alle spalle lavorò anche presso lo studio WDR, mentre la sua più importante
esposizione con i televisori fu Exposition of Music – Electronic Television (Wuppertal, 1963).
Paik in questa occasione riempì la villa di Rolf Jährling di oggetti collegati al suono. C’erano
sculture sonore e piccole installazioni che indicavano inoltre il suo abbandono
dell’esecuzione musicale a favore dell’atto di esporre la musica come risultato dell’attività

8
degli spettatori. Paik dunque teorizzò già nel 1963 le principali proprietà del genere
installativo: la presenza di una musica determinata nello spazio, un concetto di tempo come
interazione tra fruitore, spazio e opera, la libertà dello spettatore, l’opera come sistema
generato dal compositore, dall’interazione del fruitore e dal gioco creato da entrambi.
Interessante fu anche l’approccio di Wolf Vostell che come artista ricercò nelle sue azioni e
performance il suono come ciò che rimane della forma. Infine La Monte Young rientra già in
quel gruppo di sound artists della prima generazione che emersero negli anni Sessanta e
primi anni Settanta che include Annea Lockwood, Bill Fontana, Maryanne Amacher, Bernard
Leitner e Max Neuhaus. Il percussionista Max Neuhaus nel 1963-64 collaborò con
Stockhausen nel suo primo tour americano con la reinterpretazione di Zyklus13 e si occupò
anche della reinterpretazione di Fontana Mix 14 di Cage. Negli anni 1967-68 presentò il suo
Drive-in Music (che in genere viene considerata la prima installazione sonora, soprattutto
perchè fu il primo ad introdurre la locuzione sound installation), e si occupò sin da allora dello
studio sull’organizzazione della dimensione spaziale dei suoni a discapito di quella
temporale. L’idea che partì da riflessioni puramente musicali da parte di Stockhausen su
un’esecuzione permanente, ovvero una riproduzione tramite altoparlanti nella quale non ci
fosse uno sviluppo musicale con un inizio, un’evoluzione ed una fine, ma le quali durate
temporali venissero decise dagli ascoltatori, si potrebbe ora collegare ad un opera di La
Monte Young che giunse ad un passaggio più espilicito verso la creazione di un’installazione
sonora. Lui stesso infatti utilizzò tale definizione per descrivere l’opera Dream House che
realizzò in collaborazione con Marian Zazeela utilizzando suoni elettronici puri e luci. Il
progetto doveva essere inizialmente molto più vicino alla performance poiché La Monte
Young intendeva inserire in un edificio circa 80 musicisti che suonassero ininterrottamente.
A questo proposito, avendo introdotto la definizione “installazione sonora” si crede che possa
essere molto utile per chiarire una distinzione tra musica ed installazione l’intervento di
Juliane Rebentisch nel suo saggio “Estetica dell’installazione sonora”, comparso nella rivista
“Le Arti del Suono”:
Nell’installazione sonora [Soundinstallation] per lo più manca una qualche costruzione musicale
da ricomporre all’ascolto [hörend mitzukomponieren] poiché non vi è né composizione né tanto
meno esecuzione, e neppure la riproduzione di un’eventuale esecuzione: c’è soltanto suono
nello spazio [sound in Raum]. Può non esserci né inizio né conclusione, e può non esserci né
dinamica né drammaturgia di svolgimento. Certo, le installazioni sonore si presentano
necessariamente come qualcosa nel tempo, in un tempo che esse però mettono in evidenza
riflessivamente attraverso la riduzione estrema del loro stesso accadere, come anche nelle
installazioni cinematografiche, attraverso una struttura temporale aperta, o meglio ancora
attraverso la libera permanenza all’interno dell’installazione [da parte di chi la visita]. Ma quel

13
Per precisazioni riguardo all’esecuzione: http://www.max-neuhaus.info/soundworks/vectors/performance/
zyklus’techniques

14 http://www.max-neuhaus.info/soundworks/vectors/performance/fontanamix-feed

9
che davvero accade è che nell’installazione sonora arrivano al culmine le tendenze
spazializzanti della musica, tendenze che portano verso la dimensione appunto spaziale degli
eventi acustici. Con ciò, l’installazione sonora aderisce proprio a quei criteri che Adorno
considerava appartenenti ad un’arte priva di spirito che scivola verso l’oggettualità, il pre-
artistico. Contro quelle tendenze, Adorno determinava la necessaria relazione della musica
rispetto allo spazio innanzitutto nel rapporto, presupposto dal suo statuto costitutivo dell’arte,
con ciò che è scritto nella notazione musicale, mentre evidentemente nell’installazione sonora si
tratta di qualcosa di diverso che cade in una zona ibrida fra arte visiva e musica: la relazione dei
fenomeni acustici con lo spazio.15

Parlando della sound art spesso si incontrerà una distinzione tra artisti visivi che lavorano
con il suono e musicisti che si avvicinano alle arti visive per mezzo della sound art, anche se
noi ci limiteremo all’approfondimento della sound art in relazione ai musicisti elettronici. La
sound art per esempio viene definita da Daniela Cascella nel suo libro (che è anche una
delle poche documentazioni bibliografiche sull’argomento in lingua italiana) come definizione
di quelle forme espressive in cui il suono è connaturato da una presenza visiva e soprattutto
spaziale, che danno luogo ad un’esperienza percettiva nella quale i due elementi non
possono essere separati. Questa affermazione potrebbe essere troppo sommaria all’interno
di un fenomeno complesso come quello delle installazioni sonore, ma riassume brevemente
una necessità fondamentale delle opere di sound art, quella di un riferimento o un approccio
visivo. Un terzo approccio nell’analisi critica di queste opere potrebbe definirsi dal nostro
punto di vista come uno sguardo analitico su una sound art fatta da musicisti che non si basi
sul supporto visivo ma su una ricerca fondamentalmente più legata alle analisi spaziali e
psicoacustiche, nonché ad una deviazione dal trattare il suono come “oggetto” della
composizione.16

2 Max Neuhaus, schizzo per Drive-in Music, 1967-68

15 Juliane Rebentisch, Estetica dell’installazione sonora, da “Le Arti del Suono”, 2009 - n.2, p.25

16 In merito alla relazione tra musica ed arte visiva: un pioniere della sound art come l’americano Alvin Luicer,
presentò Music for a Long Thin Wire del 1977 (per generatore elettronico e cavo metallico teso) prima in un
concerto e solo successivamente decise di farne un’installazione sonora.
10
Sound art: l’arte delle installazioni sonore?

1. La dimensione modale dell’installazione

! Come abbiamo detto in precedenza il termine “installazione sonora” fu coniata da


Max Neuhaus nel 1967. Il termine “installazione” viene discusso in modo interessante in un
breve saggio di Giacomo Albert, “Sound sculptures e sound installation” 17, in cui sin dalle
prime battute si esplicita il problema da noi affrontato sulla medialità del suono e sulla
modalità intrinseca nella definizione di installazione. La modalità viene discussa come
categoria che fa parte della maggior parte delle opere classificate come installazioni sonore.
Certo Neuhaus, abbandonando la composizione musicale strutturata e giungendo alla
liberazione del suono nello spazio, non poteva utilizzare definizione più appropriata di
“installazione”. Infatti il suono nel caso di Neuhaus veniva installato nello spazio o veniva
creato, portato alla luce dallo spazio naturale o chiuso che sia. Ciò che contraddistingue la
definizione di installazione sonora, secondo una definizione di Golo Föllmer in “Mitte im
Leben. Klanginstallation, Klangkunst, Alltagsklänge”18 , con lo sviluppo più mirato delle
installazioni sonore nei lavori prodotti da Maryanne Amacher, La Monte Young e Neuhaus
negli anni Settanta è evidente la totale dipendenza delle opere dal fruitore (con riferimento a
ciò che è stato detto a pag. 8 sull’attività di Paik). Al fruitore è richiesto di esplorare ed
esperire il sistema dell’installazione sonora nello stesso modo in cui egli opera nella vita di
tutti i giorni. Il punto focale dell’idea di installazione sonora (ma che non rappresenta la
condizione necessaria) parte anche dalla relazione con la multimedialità dell’opera.
Prendendo in considerazione musicisti come Sciarrino e Saariaho, il che esula dalle nostre
competenze all’interno di questa trattazione, è chiaro che molti non rinunciano alla
composizione musicale ed inseriscono il proprio lavoro nello spazio rispettando l’unità della
composizione. Il significato dell’installazione in quanto relazione dell’opera con il fruitore
viene a mancare anche quando si parla di sculture sonore in quanto oggetti in sé e meno
legati alla spazializzazione del suono e al movimento di esso. Questa osservazione ci riporta
alla memoria un’osservazione fatta dall’ex direttore dello Studio elettronico di Berlino durante
una conversazione di alcuni mesi fa. Il professor Hein fece un’interessante riflessione
sull’importanza della parola play, soprattutto nella traduzione italiana del tedesco Spiel, che
implica il movimento nelle installazioni sonore(si basti pensare al gioco dei bambini che
senza movimento non esisterebbe). Prima abbiamo parlato del gioco tra opera e fruitore e

17 Giacomo Albert, Sound sculptures e sound installations (saggio estratto da AAA - TAC (Acustical Arts and
Artifacts - Technology, Aesthetics, Communication), 2010 - n.7, pp.37-87)

18 Golo Föllmer, Mitte im Leben. Klanginstallation, Klangkunst, Alltagsklänge, Stepken, 1997


11
infatti, secondo il Professor Hein, nelle installazioni sonore il movimento è fondamentale
proprio perché spesso esse si basano sul movimento del suono attorno all’ascoltatore ma
anche sul movimento dell’ascoltatore nell’esperire e vivere il suono. Per quanto riguarda la
definizione di installazione come modalità di presentazione, precedentemente si parlò delle
attività di Fluxus e della loro multimedialità: nel dizionario curato da Martina Corgnati e
Francesco Poli19 si sostiene che sebbene il suono faccia parte delle attività del gruppo
nell’ambito degli happening, le loro opere non si possano definire installazioni. Ciò che
potrebbe essere rilevante per la nostra idea di installazione è l’importanza del luogo di
installazione come parte fondante dell’opera.
Bisogna perciò tener conto anche di un’altra definizione parallela di installazione che è site
specificity, che apre la questione della nascita della land art sonora senza voler però limitare
la sound art ad una categorizzazione. La site-specificity non è caratteristica di genere ma di
una corrente artistica ben specifica sviluppatasi all’inizio degli anni Settanta e perciò per
quanto riguarda i lavori sonori preferiremo parlare di space-specificity.

2. Dimensione multimodale

! La musicologa tedesca Helga De La Motte-Haber nei suoi scritti20 si interroga in


maniera approfondita sulle principali questioni teoriche legate alla sound art e
conseguentemente alle installazioni sonore. Non affronta però la questione della definizione
del genere se non per rilevarne la problematicità intrinseca, infatti con una serie di analisi
mette in risalto l’indeterminatezza dei confini tra concerto, installazione sonora o scultura
sonora. Durante la sua analisi tratta di numerose opere a cavallo tra diversi generi e
ricostruisce la nascita delle installazioni sonore dalle arti performative: lo sperimentalismo
che accompagnò le relazioni tra suono, installazione, spazio e musica si adattano a definire
un genere piuttosto che una forma d’arte come nel caso delle azioni di John Cage, quelle
dell’artista Allan Kaprow o della performance di Vito Acconci – Claim – del 1971, o ancora I’m
sitting in a room del 1969 di Alvin Lucier per voce e nastro magnetico. Una parte
fondamentale della relazione tra la performance ed il pubblico è la dinamica che si crea tra
fruitore ed opera, che non implica solo l’attenzione uditiva ma che coinvolge l’intera persona,
pone l’accento sulla sua posizione nello spazio e fa si che l’ambiente introduca i fruitori in
una dimensione cinestetica e multimodale. L’environmental art è un’altra categoria elaborata

19 Martina Corgnati, Francesco Poli, Dizionario dell’arte del Novecento. Movimenti, artisti, opere, tecniche e
luoghi, Bruno Mondadori, 2008 Milano, p.320

20 Helga De La Motte-Haber, Zwischen Performance und Installation, in Klangkunst. Tönende Objecte und
klingende Räume; Handbuch der Musik im 20. Jahrhundert, Laaber-Verlag, 1999, pp. 229-281
12
dalla teoria artistica che abbraccia un campo molto ampio perché basata sulla premessa che
l’opera d’arte debba invadere l’architettura nel suo totale ed essere concepita come spazio
completo. Non può rientrare nelle definizioni di sound art perché rappresenta anch’essa una
macrocategoria che porterebbe ad un’inutile sottocategorizzazione. Comunque sia, le
performance, gli happenings e gli events possono essere determinati da una coincidenza tra
opera e momento dell’esecuzione, in quella stretta relazione tra arte e vita condotta,
particolarmente nella poetica di Allan Kaprow. Nello specifico i suoi environment fornivano
degli elementi sonori che potrebbero avvicinarsi alla concezione di installazione sonora
sviluppatasi succesivamente. Kaprow non componeva musica, ma suoni che sarebbero poi
stati riprodotti da altoparlanti. Una coincidenza interessante presente nel lavoro di Kaprow tra
environment e happening potrebbe essere rilevata anche nel celebre happening di Max
Neuhaus For Listen: Field Trips Thru Found Sound Environments del 1966, preso a modello
dalle più recenti passeggiate sonore composte da Akio Suzuki, in cui gli uditori furono invitati
a seguire un preciso percorso nella città e ad ascoltare i suoni che incontravano. Il suono
resta comunque, in qualunque esempio di installazione sonora, in forte relazione con la
dimensione visiva ed è lo spazio che crea questo collegamento. Molto probabilmente, come
dichiara lo stesso Giacomo Albert nel suo saggio21 , la concezione del suono in
un’installazione deriva direttamente dall’architettura mediale e dalla struttura modale
dell’installazione stessa; per capire la struttura modale di un’installazione è necessario porre
l’attenzione sulla relazione che il fruitore instaura con ogni medium. È inoltre corretto
affermare che analizzare le dimensioni mediali e modali non basta per capire ed interpretare
un’installazione sonora nella quale la dimensione più importante che caratterizza il lavoro dei
singoli compositori è la concezione del tutto personale e soggettiva del suono.

Lo Studio elettronico di Berlino: dallo studio alle istituzioni per uno sviluppo della
Klangkunst

1. Lo Studio Elettronico dell’Università Tecnica di Berlino22

“(...)In verità è molto semplice, soprattutto considerando che interpretare musica elettroacustica
significa: dare la giusta rappresentazione del suono nello spazio. Lo spazio è la cosa più
importante. Ed è sempre diverso. Peraltro vi sono spazi nuovi, quello delle installazione sonore,

21 G. Albert, Sound sculptures e sound installations, cit. p.63

22 Per una breve introduzione in lingua inglese sulla storia dello studio:
http://www.ak.tu-berlin.de/Geschichte/Intro_eng.html
13
appunto, quello di opere che esplorano nuovi media. Spesso si tratta anche di spazi
immaginari.”23

Lo Studio Elettronico dell’Università Tecnica di Berlino, nato privatamente come Studio per la
Musica Sperimentale alla fine della Seconda Guerra Mondiale, fu inquadrato sin dall’inizio
nel ramo delle scienze umane dell’Università TU di Berlino. Iniziò ad operare nel 1954 con il
compito di preparare le registrazioni su nastro per il corso di musicologia dell’Università. Alla
fine degli anni Cinquanta alcuni collaboratori dello studio costruirono alcune apparecchiature,
incluso un banco di missaggio. Ci furono sin dal 1954 alcune produzioni musicali spesso
legate alle conferenze organizzate dal direttore dello Studio, Fritz Winckel. Winckel si
specializzò anche nella ricerca sulla voce e sul canto, aveva infatti realizzato una collezione
di segnali sonori di varie sale da concerto del mondo, chiamate “risposte all’impulso”. Inoltre
Winckel organizzò spesso alcune conferenze sul tema musica e tecnologia all’interno delle
quali fu probabile la realizzazione del primo concerto di musica elettronica. Dopo alcuni anni
vi fu la possibilità di installare uno studio vero e proprio con apparecchiature professionali, e
nel 1968 dopo lo spostamento in una nuova sede avvenne il salto decisivo. A partire dal
1961 fu possibile avviare un vero e proprio archivio per la musica sperimentale e dal 1964 al
1970 si creò il Arbeitskreis für elektronische Musik (gruppo di lavoro per la musica
sperimentale). Il primo progetto di realizzazione di idee tecniche fu quello che Stockhausen
volle portare all’Expo di Osaka nel 1970, Musik für Osaka, pensato come un lavoro spaziale
per quattro canali. Venne costruita in quell’occasione una sala sferica dall’acustica
particolare24 e furono apportate alcune soluzioni ai problemi relativi al movimento del suono
nello spazio e all’acustica spaziale a cui si interessarono sia il direttore di allora dello studio,
Boris Blacher, sia altri compositori. L’anno 1970 fu anche un anno instabile per il campo della
musica sperimentale in tutta la Germania: lo Studio Siemens di Monaco chiuse i battenti ma,
in compenso, l’interesse verso la musica elettroacustica sollevato dall’Expo di Osaka rese
possibile l’avviamento degli studi di Friburgo e di Essen (a cui si accennò precedentemente).
Nel 1974 Folkmar Hein venne chiamato allo studio come tecnico del suono e da allora iniziò
ad elaborare una nuova base di lavoro. Nel 1975 Folkmar Hein e Frank Michael Beyer,
professore di composizione alla Hochschule der Künste25 , fondarono il gruppo
Klangwerkstatt, un’officina del suono alla quale collaborarono anche dei membri della stessa
TU. Lo scopo iniziale fu quello di divulgare materiale di documentazione e insegnare
soprattutto la storia della musica elettronica. In seguito ad un invito nel 1957 da parte della

23 John Palmer, Intervista con Folkmar Hein; Lo Studio Elettronico dell’Università Tecnica di Berlino (articolo
estratto da “Le arti del suono”, 2008 - n.1, p.76); il testo integrale da cui è stata tratta l’intervista è stato pubblicato
inizialmente in Mitteilungen, 41, Pfau Verlag, 2001

24 Si tratta di un auditorium sferico che fu demolito alla fine dell’Expo con enorme delusione da parte dei
collaboratori dello studio.

25 Oggi UdK, Universität der Künste Berlin.


14
HdK dagli Stati Uniti arrivò Herbert Brün, professore a Urbana-Champaign, Illinois, iniziò un
periodo di vivaci ed attente discussioni tra gli studenti della TU e della HdK, ma vi furono
anche studenti esterni e musicologi interessati a seguirle. Lo Studio Elettronico diventò il
centro di queste attività e continuò ad esserlo anche nel 1979 in occasione dell’arrivo, come
professore ospite della HdK, del direttore dello Studio Sperimentale di Varsavia, Józef
Patkowski. Ben presto lo studio allacciò dei contatti con studenti e compositori provenienti
dall’estero e si instaurò allora un forte rapporto con un’istituzione fondamentale in ambito
berlinese che ospitava artisti da tutto il mondo a Berlino, ovvero il DAAD (Deutsche
Akademische Austauschdienst; Servizio Tedesco di Scambi Accademici). A partire dagli anni
‘80, nel periodo in cui lo Studio Elettronico avviò la collaborazione con il DAAD, vi furono
alcuni concerti negli spazi della TU e presso altri spazi della città. Nell’anno 1980 si tenne a
Berlino anche la prima esposizione interamente dedicata alla sound art intitolata Für Augen
und Ohren (“Per gli occhi e per le orecchie”), di cui andremo a discutere ampiamente nel
prossimo capitolo.
Tornando alla collaborazione dello studio con il DAAD, un’altra tappa importante (di cui sarà
il caso parlare in seguito) soprattutto per quanto riguarda la divulgazione della sound art, fu
l’avvio del festival Inventionen. Il festival si occupò per la maggiore di musica contemporanea
e soprattutto di musica elettroacustica, performance e di installazioni sonore. Più tardi lo
Studio elettronico avviò ulteriori collaborazioni con le istituzioni culturali berlinesi. Dopo il
rimaneggiamento dello studio nel 1996, il sodalizio tra lo studio e la HdK si consolidò
maggiormente con la garanzia tecnica e di assistenza da parte dello studio per gli studenti di
composizione, mentre la HdK si fece carico degli insegnamenti, anche per quanto riguarda le
installazioni sonore. Dal 2000 prese l’avvio un professorato per la computer music. In un
intervista di John Palmer a Folkmar Hein comparsa nella traduzione italiana nella rivista “Le
arti del suono” 26 vi è una conclusione molto importante da parte dell’ex direttore nei confronti
degli obbiettivi dell’attività dello Studio:
“(...)Sono contento che l’Università ci autorizzi a far lavorare da noi compositori tedeschi e stranieri, e
che lo Studio sia divenuto pertanto un luogo dove si incontrano spiriti inventivi di tutto il mondo: per
me è infatti del tutto opportuno che, in un contesto tecnico come il nostro, si possa essere a contatto
diretto con l’arte. Insegnare l’interpretazione elettroacustica significa trasmettere agli studenti il proprio
mestiere, e ciò va fatto a contatto con veri artisti, con le loro reali esigenze (...).” 27

26 John Palmer, Intervista con Folkmar Hein, cit., pp.69-78

27 John Palmer, Intervista con Folkmar Hein, cit., p.77.


15
2. Compositori internazionali al Berliner Künstlerprogramm DAAD

! Il programma di residenza per artisti internazionali a Berlino fu inizialmente il


programma per artisti in residenza finanziato dalla Ford Foundation di New York, a partire dal
1962. Nel 1963 la Fondazione trasferì la gestione del programma al DAAD sotto la prima
direzione di Peter Nestler. Solo nel gennaio del 1966 il DAAD prese la totale gestione del
programma dopo che il Senato berlinese decise di sovvenzionare il Berliner
Künstlerprogramm. Il nome ufficiale diventò perciò DAAD Berliner Künstlerprogramm.28 Da
allora importanti ospiti internazionali fecero parte delle attività del DAAD, a partire dall’artista
Ed Kienholz (1966), alla visita di musicisti del calibro di György Ligeti (1969/70), György
Kurtág (1971), John Cage e Morton Feldman (1972). Senza alcuna ombra di dubbio
l’apertura nel 1978 della daadgalerie nella Kurfürstenstrasse rappresentò un punto di
riferimento importante nel panorama artistico berlinese e lo diventò ancora di più in tempi
recenti quando nel 2005 la galleria si spostò in una location storica nei pressi del
“Checkpoint Charlie” a Zimmerstrasse. Uno dei primi artisti ad esporre nella nuova sede fu
l’artista albanese Anri Sala. Il DAAD ad oggi si occupa di arti visive, musica29, letteratura e
film. Per quanto riguarda la musica, a partire dagli anni Ottanta ci furono sviluppi molto
interessanti per il nostro ambito di analisi nei confronti dei compositori rappresentanti le
nuove tendenze della musica elettroacustica e della performance art quali Luigi Nono, Bill
Fontana o Gordon Monahan, e performer come Shelley Hirsch e Fatima Miranda. Il
compositore americano Bill Fontana, noto soprattutto per il suo uso dell’ambiente umano o
naturale come fonte della sua produzione musicale, nel suo lavoro, prendendo in
considerazione la sua fama di pioniere della sound art, segue una linea guida che è quella
del creare punti di ascolto simultanei per la trasmissione dei dati acustici in tempo reale in
una zona di ascolto comune che è il sito della scultura. Dal 1976 infatti ha chiamato queste
opere sculture sonore. La sua arte del ricollocare i suoni è fondamentale nella comprensione
di ciò che è il divario principale all’interno della sound art perché esso rappresenta molto
bene la posizione del compositore che sta a metà tra la musica contemporanea, l’arte
contemporanea ed ha a che fare con alcuni lati della scienza e della filosofia.30 Interessante
la relazione con l’ambiente naturale che attrae anche Gordon Monahan, pianista e
compositore di musica sperimentale che creò opere sonore usufruendo della forza degli
elementi naturali e degli ambienti, una delle sue installazioni infatti è costituita da lunghe

28 Le informazioni sono disponibili nella versione inglese del sito del DAAD: http://www.berliner-
kuenstlerprogramm.de/en/profil_ge.html

29 http://www.berliner-kuenstlerprogramm.de/en/profil_mu.html

30Bill
Viola, The Sound of One Line Scanning, in Sound by Artists, a cura di Dan Lender e Micah Lexier, Art
Metropole and Walter Philips Gallery, 1990, p.41, (tdr.)
16
corde attivate dal vento (Long Aeolian Piano, 1984-88). Il Berliner Künstlerprogramm
introdusse al pubblico i nuovi compositori ospiti attraverso una presentazione del
compositore o un concerto di presentazione presso la daadgalerie. Proprio per le difficoltà di
inserimento spesso riscontrate dai lavori sperimentali nell’ambito concertistico berlinese, nel
1982 fu fondato il festival Inventionen (precedentemente nominato all’interno della
presentazione dello Studio di Berlino) di cui si parlerà in seguito. Spesso i compositori e gli
artisti attivi nell’ambito della performance art vennero e vengono a contatto con la città
attraverso il Künstlerprogramm o durante il festival stesso, diffondendo i loro interessi verso
la percezione di nuove possibilità acustiche e sonore. Ad esempio nel 1989 Fast Forward,
compositore e direttore d’orchestra, diede luogo, presso l’Hamburger Bahnhof, ad
un’esecuzione in collaborazione con video artisti e operai invitati a trivellare il suolo con
martelli pneumatici. Nel 1995 Christian Marclay, un altro personaggio tra i sound artists degli
anni Ottanta, durante il suo periodo di residenza a Berlino creò il Berlin Mix, una
performance con 165 tra musicisti e cantanti. Più recentemente il suo interesse si è
indirizzato in ambito visivo, soprattutto per quanto riguarda la continuità con i suoi primi
Recycled Records (1980-86), serie di collages di vinili spezzati e ricomposti che utilizzava
nelle esecuzioni musicali. Recentemente ha ampliato i suoi interessi verso la video arte; il
suo video Guitar Drag (2000) è l’esempio di come il lavoro con il suono diventi un’elemento
parallelo alla ricerca visiva: una chitarra elettrica collegata ad un amplificatore è fissata sul
retro di un pickup e viene trascinata lungo il paesaggio texano. L’opera riprende si l’azione di
Nam June Paik nella quale trascinava dietro di sé un violino legato con una corda, ma mette
in gioco anche le relazioni tra la sound art e le opere ambientali. Un altro artista nonché
performer come David Moss, durante il suo soggiorno a Berlino nel 1992 riunì nella palestra
a Schöneberg musicisti, danzatori ed atleti che svolsero i loro compiti di performer nelle
docce, negli spogliatoi e nella sala principale e diedero così luogo a Physical Acts. Nel 2001
la compositrice e performer americana Ellen Fullman creò uno strumento a corda lungo 32
metri, Long String Instrument, suonandolo con altri 4 musicisti nella Singuhr-Sound Gallery.
La Singuhr-Sound Gallery rappresenta un’importante sede espositiva di un progetto per una
galleria interamente dedicata alla sound art che ha coagulato i più significativi adepti alla
sound art in ambito internazionale di cui l’attività verrà analizzata nel capitolo dedicato agli
spazi espositivi a Berlino (p. 31). Il progetto della Singuhr-Sound Gallery in Parochial e la
documentazione di tutte le installazioni realizzate negli spazi della Parochialkirche (chiesa
adibita a galleria per le installazioni sonore) sono documentate all’interno di una
pubblicazione in tedesco/inglese (“1996 bis/to 2006 Singuhr-hœrgalerie in Parochial, sound
art in Berlin”) curata da Carsten Seiffarth e Markus Steffens, che rappresenta inoltre
un’ottima fonte di ricerca sugli artisti, musicisti e compositori che vi esposero. Torniamo ora
ancora una volta al Künstlerprogramm per una breve constatazione. Per gli ospiti che

17
3 Fast Forward, Trommelfeuer im Hamburger
Bahnhof, 1989

4 Christian Marclay, Berlin Mix, 1993

18
parteciparono al programma in alcuni casi l’esperienza a Berlino fu molto significativa e
spesso portò alla decisione di prolungare il soggiorno in Germania scegliendo Berlino come
base permanente per le loro attività. Parliamo di alcuni casi come per l’estone Arvo Pärt,
l’azerbaijano Frangis Ali-Sade, gli americani Ed Osborn e David Moss, i canadesi Robin
Minard e Gordon Monahan, l’austriaco Sam Auinger, l’inglese Richard Barrett e l’italiano
Mario Bertoncini.

1980 “Für Augen und Ohren”, una mostra storica

1. Una prefazione “concettuale”

Dopo l’inizio della collaborazione tra due importanti istituzioni berlinesi come lo studio
elettronico e il DAAD che ospitava artisti da tutto il mondo a Berlino con una vivace attività di
scambi artistici internazionali e dopo che anche l’università TU di Berlino fu sede di concerti
nonché di eventi legati alla sperimentazione artistica e musicale berlinese, ci fu
l’organizzazione nel 1980 da parte dell’Akademie der Kunste e del Berliner Festspiele GmbH
in collaborazione con il Berliner Künstelprogramm DAAD e del Musikinstrumenten-Museum
des Istituts für Musikforschung Preussischer Kulturbesitz, della prima esposizione legata
“all’arte del suono” a Berlino con un titolo abbastanza esplicativo, ovvero Für Augen und
Ohren31 . La tematica dell’evento affrontava la musica e la linea che intercorre tra la musica
ed arte visiva in un ciclo di mostre e concerti. Vi fu una particolare attenzione agli aspetti
visivi, strumentali e materiali della musica, alla sua meccanicizzazione ed automaticizzazione
(dal Roccocò allo spazio acustico nell’arte visiva contemporanea). Avendo avuto la
possibilità di consultare il catalogo della mostra fu interessante constatare che sin dall’inizio
del catalogo stesso, ancor prima del titolo, ci si imbatte in uno breve scritto di Terry Riley,
noto “guru” del minimalismo musicale americano:

“the performer takes any object(s) such as a piece of paper cardboard plastic etc and
places it on his ear(s) he then produces the sound by rubbing scratching tapping or tearing it or
simply dragging it across his ear he also may just hold it there it may be olayed in counterpoint
with any other piece or sound source if the performer wears a hearing aid it would be best to
make the sounds close to the microphone (of the hearing aid) the duration of te performance is
up to the performer children performing earpiece should be warned not to stick their fingers too
into their ears as they may seriously damage the inner ear” 32

31 Si è consultato, per tutta la documentazione riportata in seguito, il catalogo dell’omonima mostra a cura di
René Block, Lorenz Dombois, Nele Hertling, Barbara Volkmann, Für Augen und Ohren von der Spieluhr zum
akustischen Environment, Akademie der Künste, 1980 Berlino

32 ibidem
19
Riley in questa partitura che consiste nelle indicazioni sopracitate pubblicata in An anthology,
esplorò assieme a La Monte Young le possibilità della musica concettuale seguendo
l’esempio di Cage e Fluxus con Ear Piece. Partendo dalle attività di Young all’interno di
Fluxus si possono ricollegare ad esse molti degli interessi dell’artista nei confronti dell’arte
concettuale rilevando nelle ambizioni del gruppo quella di diminuire la distanza tra arte e vita.
Negli anni a partire dal 1960, trovandosi a New York organizzò e creò una moltitudine di
eventi legati alla sfera artistica nelle prime esperienze con Fluxus e in aggiunta elaborò il suo
lavoro editoriale An Anthology. Le sue analisi presupponevano perciò un’attenzione alle
possibilità percettive del suono per portare ad una musica come puro concetto, come
un’immagine uditiva che deve essere completata dall’ascoltatore. Queste premesse si
traslarono poi in un interesse nella giusta intonazione e nelle durate prolungate che si
riscontrarono in Trio for Strings (1957), composto da toni prolungati e silenzi. Lo stesso Terry
Riley, con cui condivideva una forte attrazione verso il minimalismo, disse riguardo la
composizione, che si trattava dell’unica composizione strettamente seriale che conosceva,
dominata da una sospensione di intervalli che portava al di là di una situazione statica di
ascolto. Tornando alla citazione riportata, Riley intendeva quel momento storico come un’era
di musica pericolosa, e la sua partitura, che in questo caso testimoniava la sua
preoccupazione e il suo comportamento nei confronti dei giovani e indifesi esecutori, venne
adattata (secondo la spiegazione da parte dell’autore) per far si che non si consumasse
nessuna ingiustizia. Si crede inoltre che rappresenti un interessante collegamento alle
esecuzioni, installazioni e performances che si svolsero durante l’evento “Für Augen und
Ohren”, per il breve riferimento all’arte concettuale e in secondo piano al minimalismo.

2. “Objekte, Installationen, Performances”

Nelle note del musicista e compositore di musica elettronica Konrad Schnitzer per la sua
Kluster Music (1970) sono riscontrabili specifici collegamenti tra il suono e la sua relazione
con lo spazio:
PARTITUR
GEIGE____________RADIO

RAUMINSTALLATION ENVIRONMENT

AKUSTISCH VISUELLER KONTAKT

INTERMEDIALE VERBINDUNG

KLANG
NATUR___________ELECTRO

AKTION PERFORMANCE AKTIVITÄT

GRUPPENBEZIEHUNG

INTUITIV
20
Gli artisti di cui venne presentata un’opera furono molteplici33 a partire da personalità di
rilievo nell’ambito delle arti visive quali Man Ray, Robert Rauschenberg, Dennis Oppenheim,
Jean Tinguely, Richard Hamilton, Joseph Beuys, Allan Kaprow, Robert Morris, Bruce
Nauman e musicisti e compositori spesso con un forte legame con l’arte visiva quali Luigi
Russolo, Erik Satie, John Cage, Nam June Paik. Come abbiamo anticipato nel titolo del
paragrafo, si trattava di opere che facevano parte di tre categorie principali: oggetti,
performance ed installazioni. Lo Studio di Friburgo (Experimentalstudio Heinrich Strobel)
presentò le ricerche legate alla trasformazione del suono tramite modulatori elettronici,
mentre molti degli artisti fecero parte del programma del DAAD, come i compositori Earle
Brown, Dick Higgins, Joe Jones, il compositore di musica elettronica Daniel Lentz, lo scultore
ed artista visivo Stephan von Huene, l’artista e musicista Milan Knizak, l’artista Jannis
Kounellis, l’artista ed architetto Piotr Kowalski. Il lavoro di Bruce Nauman 6 Day Week-6
Sound Problems (1968) fu molto interessante dal punto di vista della relazione tra arte
concettuale, performance ed introduzione dell’elemento sonoro e musicale nello spazio
galleristico:
“1. Montag-in der Galerie umherlaufen, 2.Dienstag-in der Galerie zwei Bälle springen lassen,
3. Mittwoch-in der Galerie Violine Spielen, 4. Donnerstag-das Umherlaufen und die springenden
Bälle, 5. Freitag- das Umherlaufen und das Violinspiel, 6. Sonnabend-das Violinspiel und die
springenden Bälle.”34

Si è deciso dunque di menzionare “Für Augen und Ohren” per la sua importanza nel contesto
berlinese quando solo due anni dopo, all’interno della collaborazione dello Studio elettronico
di Berlino con il Berliner Künstlerprogramms DAAD, co-ospitato dall’Akademie der Kunste
nel 1984, vi fu la prima edizione del festival Inventionen.

33 William Anastasi, Laurie Anderson, Ay-o, Bernard und Francois Baschet, Connie Beckley, Harry Bertoia,
Joseph Beuys, Claus Böhmler, George Brecht, KP Brehmer, Jolyon Brettingham Smith/ Eberhard Blum, Earle
Brown, John Cage, Giuseppe Chiari, Albrecht D., Hansjoachim Dietrich, Richard Dunlap, Jean Dupuy,
Experimentalstudio der Heinrich- Strobel-Stiftung, Bill Fontana, Jana Haimsohn, Richard Hamilton, Juan Hidalgo,
Dick Higgins, Stephan von Huene, Joe Jones, Julius, Mauricio Kagel, Allan Kaprow, Milan Knizak, Alison
Knowles, Takehisa Kosugi, Jannis Kounellis, Piotr Kowalski, Christina Kubisch, Shingeko Kubota, Bernhard
Leotner, Daniel Lentz, Walter Marchetti, Tom Marioni, Robert Morris, Bruce Nauman, Phill Niblock, Dennis
Oppenheim, Hans Otte, Nam June Paik, Harry Partch, Liz Phillips, Fabrizio Plessi/ Christina Kubisch, Robert
Rauschenberg, Man Ray, Luigi Russolo, Sarkis, Erik Satie, Daniel Schmidt, Dieter Schnebel, Konrad Schnitzler,
Keith Sonnier, Laurie Spiegel, Takis, Jean Tinguely, David Tudor/John Driscoll/Philip Edelstein/Ralph Jones/Martin
Kalve/Bill Viola, Yoshimasa Wada, Robert Watts/ David Behrman/Bob Diamond

34 Block, Dombois, Hertling, Volkmann (a cura di), Für Augen und Ohren, cit. p.231
21
5 Albrecht D., Gedankensplitter zur Installation
Endless music goes Zen, 1980

6 Joe Jones, The Music Store, 1973

22
7 Jannis Kounellis, No Title, Palazzo Taverna Roma,1972

23
8 Christina Kubisch, Moving Music, 1978

9 Bernhard Leitner, Ton Liege, 1976

24
10 Daniel Lentz, King Speech Song 1972

11 Walter Marchetti, J’aimerais jouer avec un


piano qui aurait une grosse queque, 1977

25
12 Phil Niblock, Scores - Partiture, 1977

26
Il festival “Inventionen” per la musica elettroacustica

1. Il festival e la sua dislocazione negli spazi della capitale

! Il festival pose sin dall’inizio una forte enfasi sulla musica elettroacustica, le
performance multimediali, le installazioni sonore e le esposizioni interdisciplinari (arte visiva
e musica).35 Il festival fu accompagnato da workshop e conferenze, contributi scientifici e
documentazioni. Ogni festival ebbe un tema specifico o fu dedicato ad un compositore.
L’obiettivo del festival fu prima di tutto apporre le nuove tendenze e alcune prime mondiali ai i
classici della New Music con composizioni mai eseguite o eseguite raramente a Berlino.
Dirigendoci verso gli anni più recenti, che saranno anche oggetto delle analisi a cui
giungeremo a breve sulla sound art negli spazi berlinesi, l’edizione del 2000 del festival in
una collaborazione tra la TU, il programma del DAAD e la Singuhr-Hœrgalerie in Parochial
pose una forte enfasi sull’esecuzione del Prometeo di Luigi Nono dell’ “Ensemble Modern
Orchestra” con la partecipazione dell’Experimental Studio di Friburgo nella Berlin
Philharmonic Hall. Il programma fu implementato dalla sound art con ospiti quali Ed Osborn
con l’installazione sonora Recoll, José Antonio Orts, Tom Johnson, Wolfgang Mitterer e
alcuni concerti “acusmatici” del BEAST (Birmingham ElectroAcoustic Sound Theatre) nella
Parochialkirche. Nel 2002 Inventionen celebrò il suo ventesimo anniversario con la
presentazione di numerose installazioni sonore, per esempio quella dell’artista Gordon
Monahan, When it rains nella daadgalerie e quella del musicista e sound artist Robin Minard
nella piscina municipale in Oderberger Straße. Nell’edizione del 2004 in una collaborazione
tra il Berliner Künstlerprogramm del DAAD, l’università TU, la Singuhr-Hoergalerie in
Parochial, ci fu anche la partecipazione della Sophiensæle e della Evangelische
Kirchengemeinde Sophien, chiesa che divenne anch’essa sito di installazioni sonore.
Gli spazi che iniziarono ad ospitare le installazioni sonore di artisti internazionali furono in
continuo aumento da allora, noi ne prenderemo in considerazione alcuni relazionandoli alle
opere esposte e all’inclinazione di molti artisti nel comporre nello spazio le condizioni per
l’emergere di relazioni ed eventi sonori, esaminando inoltre le dinamiche nell’utilizzo del
suono in una prospettiva elettronica.

35 Una documentazione di tutte le edizioni del festival è presente sulla pagina web:
http://www.inventionen.de/geschichte.html#Anchor-Geschichtlicher-49575
27
2. Villa Elisabeth ed “Ecosystemic Sound Installation in Abandoned or Dismantled Rooms” di
Agostino Di Scipio

! Agostino Di Scipio, musicista e compositore di musica elettronica da molti anni ha


avviato una ricerca personale sui metodi di sintetizzazione e processo dei suoni non
convenzionali spesso ispirati a fenomeni quali rumori e turbolenze. In anni recenti si è
concentrato sul fenomeno di feedback in un loop "uomo-macchina-ambiente" (ad esempio il
lavoro di live-electronics Audible Ecosystemics e con una serie installazioni sonore site-
specific e room-dependent). Il suo approccio indipendente e senza compromessi verso la
tecnologia e la composizione ha dato luogo ad interessanti installazioni nelle quali il suono
non viene trattato da oggetto risolto e conservato, ma come evento che porta con sé i segni
del contesto o della fonte da cui nasce. Il suo lavoro sulla spazializzazione del suono si basa
sul principio di non emulare uno spazio che non c’è ma occuparsi di ciò che è presente in
un’iterazione assoluta con lo spazio. I suoi ecosistemi udibili infatti si basano sulla ricerca del
giusto rapporto con lo spazio dato. L’installazione che elaborò sotto la commissione del
DAAD, per Inventionen del 2008, in Villa Elisabeth a Berlino, si presenta nella
documentazione riportata dallo stesso Di Scipio (una partitura che accompagna tutti i suoi
lavori con il suono) come un’installazione di durata indeterminata regolata autonomamente in
relazione ai processi sonori avviati dall’acustica delle stanze. La prima stanza è intesa come
serbatoio di energia dal quale il materiale sonoro grezzo viene raccolto attraverso svariati
microfoni posizionati in modo da cogliere anche il rumore esterno e dislocandolo (ciò accade
trasformando il rumore di fondo in suoni a basse frequenze che fanno tremare i materiali
della stanza), dopodiché il materiale grezzo viene trasformato attraverso un processo da
parte di un computer ed inviato ad un sistema di altoparlanti presente nella seconda stanza.
Alcuni segnali sonori non percepiti dall’orecchio umano vengono riciclati e riproposti nella
stanza iniziale.
Il suono nel caso dell’installazione di Di Scipio implica dettagliate conoscenze del contesto
ambientale ed allo stesso tempo viene elaborato nella sua gestione e trasformazione
attraverso un computer. Ciò di cui si tratta in questo caso è dell’identità udibile di un sistema
dinamico di relazioni in cui si giunge al comporre le condizioni adatte per la trasmissione
sonora mentre si mette a rischio la sua identità aprendo il suono all’alterità. Vi è nel caso di
Di Scipio una forte responsabilizzazione precedente dell’esecutore che, come
nell’installazione sopracitata, una volta predisposte le condizioni non può intervenire
direttamente su ciò su cui agisce. Il suo esempio potrebbe rappresentare e testimoniare lo
sviluppo di un’arte dell’installazione che proviene direttamente dalle conoscenze ed
inclinazioni degli esecutori e compositori di musica elettronica.

28
13 Sensore piezoceramico posizionato sul vetro
di una delle finestre dello spazio
(Immagine per gentile concessione
di Agostino Di Scipio)

14 Brüel & Kjær 4375 - Microfono/Accelerometro


posizionato sul vetro di una delle finestre
(Immagine per gentile concessione di Agostino Di Scipio)

29
15 Area di produzione con il primo subwoofer (D&B Audiotechnik),
microfono di condensazione(Behringer omnidirectional), primo
altoparlante (Genelec); sulla finestra uno dei due microfoni
(Immagine per gentile concessione di Agostino Di Scipio)

16 L’entrata della seconda stanza con uno dei quattro piccoli


altoparlanti (processo di consumo) e un microfono
condensatore in alto
(Immagine per gentile concessione di Agostino Di Scipio)
30
Gli spazi della Parochialkirche attraverso l’intervento sonoro

1. L’attività e il progetto della Singuhr-sound gallery

! A partire dal 1991 un gruppo di artisti e professionisti attivi nel settore culturale iniziò
a mobilitarsi per la realizzazione del progetto Kunst in Parochial che includeva una serie di
concerti ed esposizioni. Nel 1992 venne fondata una società no-profit per la promozione
artistica nella Parochialkirche. La prima installazione fu eseguita in collaborazione con
Freunde guter musik (amici della buona musica) e fu di Robin Minard: Stationen - akustische
installation (stazioni - un’installazione acustica), la quale occupava gli spazi della guglia e del
campanile. Seguì Writing through the essays di John Cage e Generative music di Brian Eno
che nel 1996 furono parte del British ambient festival. Nel 1994 la società berlinese per la
“nuova musica” - Berliner Gesellschaft für Neue Musik organizzò una serie di concerti nella
Parochialkirche includendo lavori di Alvin Lucier e James Tenney. Nel 1996, durante il festival
Musik und Licht, l’artista berlinese attivo nell’ambito della sound art, Jutta Ravenna, installò
Daten-Klangfenster ovvero una “finestra di dati audio”. Dal 1996, come fu detto in
precedenza, il festival Inventionen fu organizzato in collaborazione con la Singuhr-sound
gallery. L’evento più importante nella fase iniziale del progetto fu il festival Sonambiente
organizzato dalla Akademie der Kunste nel 1996. Dopo alcune performance sonore di Paul
Fuchs, Laetitia Sonami e Mark Trayle, Matt Heckert realizzò un’installazione sonora nella
navata della chiesa mentre un’installazione di Gordon Monahan fu presentata nella guglia.
Gli spazi della chiesa protestante furono perciò un forte catalizzatore per le sperimentazioni
sonore che indagarono le proprietà spaziali della Singuhr-sound gallery che ospitò sino al
2006 più di 50 esposizioni individuali, tre progetti negli spazi pubblici e tre festival a partire
dal 1996.
L’idea di una galleria per la sound art a Berlino si presentò sin dal 1980 con la galleria
Gianozzo, con l’associazione artistica di Rolf Langebartel che presentò le prospettive
fondamentali sulla sound art in più di 30 esposizioni, con la galleria di René Block Edition
Block e la Gelbe Musik di Ursula Block. Quest’ultime due presentarono molti sound artist che
furono prevalentemente artisti Fluxus.
La Singuhr-sound gallery fu inaugurata il 30 maggio da un’installazione di Erwin Stache,
musicista con base a Lipsia, con il titolo Klangkästen (scatole sonore). A questo ambiente di
oggetti sonori si aggiunsero le installazioni di Roswitha Von Den Driesch, Jens-Uwe Dyffort e
Klaus Lebkücher, Kupferdracht mit Lautsprechern (“filo di rame con altoparlanti”). La galleria
fu una base per le ricerche spaziali e fisico-acustiche nelle opere di Alvin Lucier, Felix Hess e
Gordon Monahan. Con una derivazione da test sperimentali, i fenomeni sonori diventarono il

31
materiale più significativo per le attività che coincidevano da un lato con l’arte space-specific
e dall’altro con le performance di musica elettoacustica di musicisti e sound artists adatte agli
spazi. Ciò che dirige il nostro interesse verso le attività della galleria come centro di relazioni
tra musica elettronica e sound art furono i festival a partire da Resonanzen del 1999, che si
concentrava sul lavoro di Alvin Lucier e i suoi studenti, il festival del 2001 Format 5 -
Signaturen Elektronischer Klangkunst (firme della sound art elettronica) e Suite in Parochial
che fu un breve festival nel quale musicisti elettronici e sound artists collaborarono insieme
nella realizzazione di performance concertuali.
È inevitabile pensare al suono come inscindibile dalla sua creazione nello spazio, infatti ciò
che potrebbe essere preso in considerazione come il filo rosso delle realizzazioni di
installazioni sonore nello spazio, e comunque del lavoro con il suono all’interno
dell’architettura, è la qualità del suono di informare l’ascoltatore della conformazione dello
spazio. Noi abbiamo considerato l’arte di installare il suono nello spazio dal punto di vista del
suo sviluppo musicale, ma nel momento in cui trattiamo lo spazio della Parochialkirche come
quello di una galleria non possiamo non accorgerci delle sue connotazioni di riferimento allo
spazio delle arti visive. Infatti l’arte presentata in uno spazio fisico reale manifesta una forte
attrazione gravitazionale. Spazi con delle forti specificità e connotazioni sono da sempre il
punto di riferimento per qualunque forma d’arte, ma per le installazioni sonore c’è anche una
variante di questa constatazione. Nel momento in cui lo spazio è sospeso nel suono può
portare all’esplorazione di nuove dimensioni, perciò gli spazi a contatto con le installazioni
sonore possono diventare altro in relazione alla situazione, all’evento sonoro. Si crede che
sia proprio questa la peculiarità e l’interesse che sfocia dalla forte ricerca sonora ed acustica
condotta dagli artisti e musicisti negli spazi della Singuhr-sound gallery.

2. Il festival “Suite in Parochial” e l’installazione “Atlantic wave terminal” di Robert Henke

! Nel 2004 negli spazi della galleria si svolse un breve festival di tre settimane che
ebbe come obiettivo principale un’analisi delle forme di produzione elettronica e della
presentazione del suono con i suoi princìpi spaziali. La suite, in termini di storia della musica,
è una sequenza di brani musicali contenuti, mentre in architettura si riferisce a spazi collegati
ad una sequenza di stanze con funzioni differenti. Il festival perciò affrontava il termine da
entrambi lati: quello musicale e quello architettonico, così da trasformare la Parochialkirche
in uno spazio sperimentale in cui gli artisti lavorarono sul crocevia tra musica e spazio. Il
primo modulo del festival fu costituito da una installazione dell’artista tedesco, con base a
Berlino, Robert Henke, che si occupa prevalentemente di computer music e che presentò

32
Atlantic wave terminals (Installation for zero, one or two players in two locations) in una
versione performativa ed installativa. Si tratta infatti di una installazione sonora e di uno
strumento allo stesso tempo, che pone le sue origini nel progetto di Henke, Atlantic waves
project, al quale si dedicò sin dal 2002, pensato per l’improvvisazione simultanea di musicisti
tramite la rete con lo stesso software interattivo. Il progetto fu ampliato da una componente
installativa per la sua espansione nello spazio della Parochialkirche: i computer furono
collocati in due spazi opposti, nella guglia (con la sua grande sala con le finestre) e nel
campanile (con la sua architettura a cella). L’installazione ci interessa proprio perché
presenta in modo ottimale ciò che si intende parlando di installazioni space-specific in cui c’è
un totale adattamento alle qualità dello spazio, e in questo caso un’iterazione tra software e
materiale elettronico sonoro. Nel campanile il suono fu diffuso attraverso otto altoparlanti
posizionati in diversi punti dello spazio, mentre l’interfaccia grafica del software fu resa
visibile da un monitor posizionato centralmente nell’ambiente. Nella guglia il suono fu
trasmesso indirettamente in modalità stereo attraverso quattro altoparlanti fissati sul soffitto,
mentre l’interfaccia grafica fu proiettata su quattro grandi schermi lungo tutta la lunghezza
della stanza. Entrambe le postazioni proiettavano gli stessi suoni progettati ad hoc per gli
spazi così che il risultato fu quello dello stesso materiale utilizzato in due spazi dislocati e
completamente diversi nella conformazione e nell’acustica. L’installazione inoltre si spostava
in una situazione di standby quando non veniva utilizzata da nessun esecutore.
Il secondo modulo del festival fu di carattere completamente diverso: fu connotato da una
natura più documentativa. Vi fu la realizzazione da parte del musicista Frank Gertich dello
spazio d’ascolto temporaneo Soirée électronique, uno spazio in cui fu possibile ascoltare
ogni sera brani di musica elettroacustica contemporanea. Vi fu dunque una sorta di raccolta
di brani elettroacustici che si riferivano a diverse tematiche quali lo spazio, la modulazione, il
rumore e in generale le tendenze in questo ambito musicale sviluppate negli ultimi
quarant’anni. Il terzo modulo del festival si occupò delle tendenze estetiche dell’arte acustica:
nell’arco di sette giorni di concerti e performance di 14 artisti internazionali venne posta una
particolare attenzione sulla collaborazione tra sound artists e musicisti elettronici/compositori,
mentre due video-artisti in un dialogo con gli artisti e i musicisti proiettavano su degli schermi
gli elementi visivi delle performance. Il risultato del festival fu molto proficuo, soprattutto per
gli artisti e i musicisti che ebbero l’opportunità di confrontarsi direttamente in spazi comuni
confrontando le proprie conoscenze ed inclinazioni, avviando in alcuni casi delle
collaborazioni. Ciò infatti non è presente o non è possibile nelle attività istituzionalizzate che
apportano spesso notevoli restrizioni di genere.

33
17 Robert Henke, Atlantic wave terminals, 2004

18 Dirk Schwibbert, Zwölf gläser (Twelve


glasses), 1997

34
19 Carsten Nicolai, Kosmos-Turn-Bausatz.Noto,
1998

20 Christina Kubisch, Dreiunddreissig Felder


(Thirty-three fields), 2002

35
3. Le installazioni: immanenza estetica

! Il compositore di musica elettronica e sound artist Dirk Schwibbert creò nel 1997,
negli spazi del campanile della Parochialkirche, l’installazione Zwölf gläser (Twelve glasses),
che rappresenta sicuramente un intervento importante a livello spaziale anche se
visivamente delicato perché costituito da pannelli di vetro posti sotto ogni arcata dello spazio.
Schwibbert volle lavorare sia sulle trasformazioni delle trasparenze del vetro date dai
cambiamenti di luce sia sulle vibrazioni indotte da dei trasduttori che applicò ai vetri. I
trasduttori fecero oscillare la superficie dei vetri come se si trattasse di membrane di
altoparlanti. Il rumore bianco che si creava nello spazio gli attribuiva delle dinamiche
specifiche. Un intervento questo che diede la possibilità all’artista di dare luogo ad un ibrido
tra ciò che è la componente sonora che in questo caso passa quasi in secondo piano alla
componente visiva, delicata ma fondamentale. Carsten Nicolai, artista tedesco spesso noto
con lo pseudonimo Alva Noto realizzò nel 1998 Kosmos-Turn-Bausatz.Noto: un tavolo con
quattro giradischi integrati. Nicolai generò il materiale sonoro e le strutture compositive dagli
impulsi e segnali colti dalle tecnologie di comunicazione digitali come telefoni, fax, stampanti
e modem. I suoni furono colti dal loro ambiente originario e decontestualizzati, sintetizzati e
modulati. Ed è qui che entra in gioco la questione delle modalità di trattare il suono, che
come nella poetica di Di Scipio è un evento e non un oggetto che deve riflettere una prassi
compositiva. Il visitatore nel caso di Nicolai poteva ascoltare le registrazioni e sperimentare
con esse combinandole e deformandole, mentre al contempo un altoparlante diffondeva i
risultati sonori al di fuori dello spazio del campanile. Nei due esempi di installazione qui
riportati è evidente un’attrazione verso il dialogo con il fruitore ma non vi è probabilmente una
particolare attenzione all’elaborazione e composizione dell’informazione sonora.
Passiamo ora al punto della nostra riflessione sullo spazio estetico delle installazioni
parlando dell’installazione sonora di Christina Kubisch Dreiunddreissig Felder (Thirty-three
fields) del 2002, locata sempre negli spazi della Parochialkirche. Christina, artista e musicista
con studi di musica elettronica alle spalle, inserisce spesso nelle sue installazioni sonore
integrazioni tra componenti visivi ed acustici. Il suo lavoro si presentò allora su tre livelli: negli
spazi del campanile installò alcuni altoparlanti bianchi in contrasto con l’oscurità nella stanza
in una intermittenza tra suoni puliti e lunghi silenzi: la stanza così risuonava attraverso i
ritardi, il trascorrere del tempo e la memoria sonora del carillon rotto del campanile.
Nell’ambiente si diffondeva tra i visitatori una serenità ed una concentrazione che
trascendeva le condizioni architettoniche. Negli spazi della chiesa vi furono altri due
interventi dell’artista ove si concentrò sul bilanciamento del contesto storico e la presenza
attuale dello spazio, ad esempio i ritratti mancanti dei pastori della chiesa furono sostituiti da
altoparlanti da cui venivano trasmesse le biografie sonore che ripetevano le iscrizioni delle

36
placche di riferimento ai quadri mancanti. Le voci monotone che presentavano le iscrizioni
delle placche risuonavano nello spazio, riferendosi quasi ad una preghiera collettiva.
Christina, a partire dal 1980, dopo aver compiuto i suoi studi musicali decise di occuparsi di
installazioni e sculture sonore. Fu inizialmente promossa e supportata dallo studio elettronico
della TU in quanto musicista attiva nell’ambito della sound art, anche se lei stessa non volle
mai connotarsi nell’ambito artistico o compositivo ma preferì continuare la sua attività
musicale collezionando suoni, processandoli, unendoli ed immaginando il loro effetto
postumo all’interno degli spazi. Il suo approccio con il suono potrebbe essere paragonato a
quello di Stockhausen per l’importanza del controllo della timbrica e della composizione.
Christina si spostò però ancora dall’eredità di Stockhausen, ponendo una maggiore
attenzione sulle modalità con le quali il suono (e in alcuni casi la luce) si comporta in una
determinata configurazione spaziale e sul modo in cui il suono può costruire o implementare
un interno, una struttura architettonica o un ambiente.

4. Rolf Julius e “l’immaginazione indotta”

! Rolf Julius presentò nella ampia navata della Parochilakirche il suo intervento Musik,
weiter entfernt (Music, further away) accentuando le caratteristiche dello spazio
trasformandolo in uno strumento. In alto, sopra la navata, sul tetto e nelle cupole installò
degli altopoarlanti: due piccoli altoparlanti nello spazio centrale, quattro altoparlanti nelle
quattro cupole e due altoparlanti con il telaio nelle cupole ai lati. I visitatori che si trovavano
sotto le cupole, nella navata, percepivano la musica di Julius come se uscisse dai muri e
invadesse lo spazio della navata attraverso un delicato tappeto sonoro. La sua seconda
installazione nella torre del campanile Musik für den blich nach unten (Musik for the view
downwards) focalizzò l’attenzione sulle fonti sonore come oggetti che trascendono
virtualmente lo spazio. Sul pavimento dello spazio diviso in tre parti installò tre gruppi ognuno
di di due lastre in metallo e vetro poste sugli altoparlanti. Le lastre nere e rosse erano
appoggiate sugli altoparlanti, mentre i suoni riprodotti oscillavano tra ripetizioni più marcate,
connotati da un solo riferimento visivo, quello delle lastre a terra. Le forme a terra infatti si
interponevano nell’ascolto avviando nella fruizione dei visitatori un’intermittenza tra udito e
vista. Ancora una volta, come fu tipico del lavoro di Julius36, forme, colori e musica
risultarono strettamente collegati.
Julius nacque e visse a Berlino: studiò arti visive e dal 1974 al 1979 si occupò di fotografia e
realizzò esperimenti di musica contemporanea in relazione ai suoi oggetti visivi. Dal 1979
iniziò ad integrare nell’ambito della sua produzione artistica i suoni e i rumori. Dal 1980

36 Rolf Julius morì il 21 gennaio 2011 a Berlino


37
realizzò eventi musicali, oggetti sonori, opere space-specific, disegni, registrazioni sonore
con elementi elettroacustici e performances.
I lavori di Julius, come abbiamo notato nelle sue installazioni nella Parochialkirche, spesso
contraddicono il naturale riconoscimento di qualità percettive e del modo di percezione. Si
basti pensare agli aggettivi con cui lui stesso descrisse la propria musica definita come
“ruvida”, “arrugginita” o “rotonda”. Gli eventi acustici vennero percepiti da lui come qualità
visive o tattili. Il suo approccio sinestetico apre sicuramente un parallelo con quella che è la
sound art di cui abbiamo parlato fino ad ora, lui stesso non volle essere categorizzato come
sound artist ma preferì le parole “musicista” o “compositore”. Julius mirò soprattutto a
stimolare e creare combinazioni di aree percettive differenti. Una modalità di intervento simile
a quello sopra descritto per la Parochialkirche fu il suo Musik für einen fast leeren Raum
(“musica per uno spazio quasi vuoto”) nell’atrio della Hambuger Banhof di Berlino. La volta
dell’atrio si presentò vuota se non per i quattro gruppi di altoparlanti posizionati sul
pavimento come per formare un quadrato, mentre una lastra di vetro sulla quale vi erano dei
mucchietti circolari di pigmento nero e rosso fu posizionata sopra ogni gruppo di altoparlanti.
La musica veniva amplificata in modo molto leggero e sostenuto, con un cinguettio di fondo
ed in primo piano alcuni suoni brevi e gravi tra i quali intercorreva un intervallo tra i dieci e i
trenta secondi. Il risultato fu quello di una familiarità da parte dei fruitori tramite i rumori di
sfondo con l’evento acustico, invitandoli ad ascoltare, mentre i suoni in primo piano essendo
intervallati da momenti di silenzio non catturavano l’attenzione dei visitatori perché meno
ricollegabili ad una composizione musicale. Lo spettatore allora veniva catturato dalle forme
e i colori delle lastre a terra, perciò vi fu quasi un completamento intermodale dello spazio
nel momento in cui l’esperienza temporale (sonora) e spaziale (visiva) si fondevano. I fruitori
venivano condotti verso l’esperienza visiva dalle pause musicali, infatti Julius si ricollegò
direttamente alla fruizione tipica dell’arte visiva dove le strutture temporali e spaziali sono
sospese e lasciano il fruitore libero di muoversi. Julius si spinse ancora oltre, verso le
possibilità sonore del visivo. Nel suo Piano Concerto del 1998 unì in blocchi ordinati su un
muro in varie file delle macchie realizzate fotografando alcuni pigmenti sparsi su lastre di
vetro in modo circolare. Anche se le macchie agli occhi del fruitore apparvero
monocromatiche in realtà furono contornate da un rosso o un nero caratteristico e vennero
percepite come dure o soffici, al pari dei suoni. Così Julius riuscì a produrre l’esperienza
astratta di un suono assente. Ciò che ci sembra molto interessante in conclusione è riportare
la considerazione fatta da Shönberg in una lettera a Kandinsky:

“Attraverso gli occhi noi percepiamo solo elementi concreti. L’orecchio, invece, ha migliori
possibilità. Ma se l’artista riesce a realizzare attraverso i ritmi e i valori sonori il suo più intimo
desiderio, ossia quello di esprimere soltanto processi interiori, immagini interiori, allora l’oggetto

38
della pittura cessa di essere una semplice riproduzione di ciò che vedono quello di esprimere gli
occhi”37

21 Rolf Julius, Musik für den blich nach


unten (Musik for the view downwards) e
Musik, weiter entfernt; (Music, further
away), 1999

37a cura di J. Hahl - Koch, Anton Schönberg e W. Kandinsky, Musica e pittura. Lettere, testi, documenti; tr. it. di
M. Torre, Einaudi, Torino, 1988, p.9.
39
22 Rolf Julius - Piano piece n.4, 2007
(foto cortesia di E/STATIC (Parma e Torino)
e degli eredi dell'artista

40
Intervista con Folkmar Hein

Dopo un incontro con Folkmar Hein a Berlino, si è deciso di riportare delle brevi
constatazioni di Hein colte da una corrispondenza via email a partire dall’aprile 2012 in forma
di intervista. Per una maggiore restituzione delle espressioni in inglese e del modo in cui i
dati sono stati forniti si è deciso di non tradurre l’intervista in italiano.

R: I'm thinking about Christina Kubisch’s work, in particular about her installation in Singhur-
sound gallery. Her approach is interesting because she work in an integration with visual and
acoustic element as both with the same importance. These kind of works can be adaptive in
art galleries or in space-specific ambients as Parochialkirche is. There's a possibility to think
about a sound art made all with sound without a visual imprinting or we came in another
context, that of electroacustic music and experimental music?

F: I think, that this word soundart has another meaning as tape music or electronic music
etc. And the special meaning of this word is that visual/optical    contens join acoustical
contens. For me "sound art" without visuals are not congruent; the reason for that is
versatile: we do not have a "concert" situation and also no concert-hall (instead of that we
have free spaces, often open-air-situations; we have typically rooms normally NOT used by
concerts like Foyers, garage corridors,   etc.; sound artists are interested more to spaces
what sculpturers / painters are using).

Your last sentence is absolutely right!

R: Yes, I'm according with your opinion about spaces used by sound artists and I would like
to ask you what is your opinion about gallery space used for sound art. Referring to the
spaces for working with electronic music in Berlin there's a strong connection to festivals as
Inventionen and the discovering of new spaces as churches, or locations as Villa Elisabeth
for sound art experimentation. May you tell me more about this connotation of sound art in
Berlin because it seems that is something strictly connected to the music development in the
city.

F: It depends, how the artist are connected to their "friends" and sponsors: are they more
visual arts / artists or more acoustic arts / artists.
One rule seem to appear: the classical part of our musicbuisiness has the home in concert
halls and theater halls; only step by step they open their spaces like foyers, the stage,
special rooms not used by musicians (sound artist do not like the concert halls itself!): so we
see at Maerzmusik a lot of such activity; the reason for this is that this organizations have
41
huge budgets!!! When you have huge budget every artist is interested to take part although
they hate the space! Bad Spaces / locations are accepted when the fee is high enough!!!
Please do not forget this!

In Berlin we have the gallery Mazzoli, the only one  with a clear business; the rooms / space
is not suitable for soundart!
Some museums start to build special spaces for soundart, the ZKM Karlsuhe, a little bit
Hamburger Bahnhof (they have some works by Rolf Julius), there some other galleries with
soundarts in Germany: Düsseldorf, Köln, Chemnitz etc., they want to sell the objects!

Only a short comment to ZKM: at the moment they have a big exhibition named
SOUNDART – Klang als Medium der Kunst. I was there, they have a huge budget! The
exhibition is large and wonderful – but we see the well known problems of disturbings
everybody against everybody, it is too large!! If you have the possibility to go there, please
use your chance!

Here in Berlin we have some organizers with a clear concept for soundart: that was former
Inventionen, but now it is mainly singuhr-hörgalerie (Carsten Seiffarth); Carsten and
Inventionen have cooperated; we used the churches (Parochialkirche, Sophienkirche) and
special locations like old out-of-repair-buildings like Stadtbad Oderberger Straße,
Staatsbank, co-spaces Sophiensäle etc.; at the moment they use mainly the both
Wasserspeicher Prenzlauer Berg and the Galerei Mainblau.
When this buildings was repaired this spaces were lost, because of the high rent or because
other firms or institutions settle in.

Another question is the connection between sound artists and institutions / colleges /
Universities etc.: this is given by there approach to contemporary art; this depends to several
persons working there; if you have interested people there, automatically rise connections
and cooperation; this is independent to the institution!! Thats normal in our whole history, art
depends on persons ,not to institutions. Therefore a large open town (the space) like Berlin
contains a lot of such people; the whole town is a variable entity of soundart and sponsor of
activities in soundarts.

R: When we had met in Berlin you had tell me about some important development of art and
sound art works financed by political institutions, may I ask you if you can develop a small
reflection about this relation between West and East part of Berlin in the art scene (sound
art)?

42
F: In East-Berlin and East-Germany there was no well known activity in sound art ; also
activities in elec. music was rar and small activity rised 3 years before the Wende 1989.
West-Berlin  has attract a lot of international artists and some public institutions have
supported private persons / artists and institutions like the Berliner Künstlerprogramm des
daad, Künstlerhaus Bethanien, Akademie der Künste, Hamburger Bahnhof, broadcast
stations RIAS and SFB (Bachauer at RIAS / Metamusikfestival; Klanggalerie of the SFB by
Manfed Mixner). Some Galries and local art museums was also active: Haus am Waldsee,
daadgalerie, Haus am Kleistpark, gelbe Musik (Schaperstraße). etc
Some Festivals took place: after the Metamusikfestival the top-exhibition "Für Augen und
Ohren" 1980, sometimes the Berliner Festspiele, der Neue Berliner Kunstverein, Akademie
der Künste hit Sonambiente 1996 (?), and all the time our festival Inventionen (TU Berlin &
DAAD).
All this activities took the budget from the state (Bund / Land / Stadt / Bezirk). I think, that this
situation is the basis of german cultural politics: not private but responsible is the state / the
people in whole.

43
Intervista con Mario Mazzoli

Il dialogo con il gallerista Mario Mazzoli riportato in seguito è stato condotto nei mesi di
giugno e luglio 2012 per via email. Si è voluto dare luogo a questa serie di brevi domande e
risposte per un interesse particolare sull’attività della galleria locata nel centro di Berlino che
viene riconosciuta come unica galleria che presenta unicamente opere di artisti attivi
nell’ambito della sound art sia in ambito berlinese che internazionale. L’approccio di Mario
Mazzoli è significante anche per la sua decisione di esporre sia opere con un forte apporto
visivo sia lavori strettamente musicali, inoltre come chiarirà lui stesso, questa decisione
segue la direzione in cui si dirige la scena berlinese contemporanea, fortemente connotata
dallo sviluppo musicale dei decenni precedenti.

R: Dal 2009 la Galleria Mario Mazzoli ha un ruolo di rilievo nell'esposizione di opere che
hanno a che fare con l'elemento sonoro. Spesso queste opere sono strettamente legate
all'elemento visivo, ma la sua Galleria si occupa anche di opere nelle quali l'elemento visivo
non è presente. Da dove deriva questa scelta e come tratta questa tipologia di lavori
puramente sonori?

M: La scelta deriva dalla mia passione per la ricerca musicale e sonora. Io sono musicista di
formazione, compositore e musicologo, quindi in un certo senso i lavori puramente sonori
sono quelli che mi interessano di più. O almeno rappresentano un punto di partenza, ciň che
mi è più familiare, attraverso cui sono arrivato a scoprire le contaminazioni con il visivo.
Tratto le opere sonore nello stesso modo delle altre, è semplicemente un modo diverso di
esprimersi. Penso che ogni forma di espressione abbia origine nello stesso modo, per
questo non approvo la separazione delle arti e non credo abbia senso trattarle in modo
differente. Per quanto riguarda il mercato, naturalmente, la questione è diverse. Le opere
puramente sonore praticamente non hanno mercato. E' meglio esserne consapevoli se si
vuole far funzionare una galleria da un punto di vista commerciale.

R: La divisione tra installazione sonora ovvero musica e multimedia si crea anche nel
momento in cui le opere vengono proposte al mercato?

M: In un certo senso si. Alcune opere, proposte come musica fuori dalla galleria, diventano
"installazione sonora" e quindi arte (nel senso di opera che rientra nel mondo/mercato
dell'arte) nel momento in cui entrano in galleria. Ho provato a vendere musica in galleria, ma
ho notato che la cosa crea confusione.

44
R: Quali sono i limiti dello spazio di una galleria come la vostra nel lavorare con opere
strettamente sonore, che perciò necessitano di accorgimenti specifici come per l'acustica?

M: Differenti lavori sonori non possono convivere, per questo sono difficili da presentare in
spazi aperti, e tanto più rumorosi come quello di una fiera. Per quanto riguarda la galleria,
abbiamo tentato di ovviare al problema scegliendo uno spazio fatto di tante stanze separate,
e aumentando l'isolamento acustico tra una stanza e l'altra.

R: Berlino rappresenta un centro molto vivace per le sperimentazioni musicali ma soprattutto


per quanto riguarda gli eventi e gli spazi che si adattano alla presentazione di opere di sound
art. Sin dagli anni 70' nella città si svilupparono centri quali lo studio elettronico della TU di
Berlino, che ha fortemente promosso lo sviluppo delle installazioni sonore tramite festival
quali "Inventionen" e avviato sodalizi come quello con il programma di residenza per artisti
del DAAD. Crede che si possa ipotizzare uno sviluppo della sound art a Berlino, realizzata
da artisti prevalentemente tedeschi fortemente collegata alle ricerche in ambito elettronico ed
elettroacustico?

M: Uno sviluppo della sound art a Berlino realizzata, come lei stessa afferma, da artisti
prevalentemente tedeschi e fortemente collegata alle ricerche in ambito elettronico ed
elettroacustico è in atto da diversi anni. Artisti come Hans Peter Kuhn, Christina Kubisch,
Rolf Julius o Helga de la Motte, ne sono i testimoni, contribuendo con le loro opere ad
approfondire questo collegamento anche a livello teorico-intellettuale. In fondo, questa
sinergia tra musica d´avanguardia e installazioni sonore é uno dei motivi per cui  la galleria è
stata aperta a Berlino. Artisti con cui abbiamo collaborato (Martin Daske, Agostino di Scipio,
Michael J Schumacher o Boris Hegenbart), hanno lavorato anche presso la TU ed operano
sia come musicisti che in ambito installativo. A livello di mercato la situazione é un pochino
diversa: chi si occupa di sound art viene definito un artista, mentre chi si occupa di musica
viene definito un musicista. Diventa quasi una questione di scelte personali, chi si vuole
definire uno o l’altro, a seconda del principale campo di azione.

45
Conclusione

! Si è deciso sin dall’inizio di portare questa discussione attraverso un decorso storico


che possa fungere da base per molteplici riflessioni sulle influenze delle personalità che
hanno introdotto con il loro approccio una dinamica altra all’interno delle sperimentazioni
elettroniche a partire dagli anni Sessanta. Si è presa in considerazione una linea di lavoro
passando attraverso la commistione tra musica e performance ad una dimensione
fondamentale di quella che potrebbe essere definita la materia prima della sound art, la
“proiezione sonora”, come la definì Edgar Varèse. La proiezione sonora è infatti quella
sensazione che il suono ci stia lasciando senza speranza di essere riflesso all’indietro, una
sensazione che potrebbe essere colta nella nostra analisi sin dall’introduzione degli ambienti
di ricerca quali gli studi di musica elettronica. Man mano che la ricerca sulle forme di
installazioni sonore all’interno dell’ambito berlinese si dirigeva verso i singoli artisti, come
l’italiano Agostino Di Scipio che con i suoi “ecosistemi udibili” apre una parentesi su quella
che è un’analisi sonora dello spazio in cui la proiezione sonora stessa è la materia prima
della ricerca inerente l’arte delle sue installazioni sonore. Si svela in tal modo uno spazio per
la considerazione delle installazioni sonore come più di semplici risposte ad un riferimento
visivo, ma come risposte di musicisti a necessità spaziali ed acustiche. Abbiamo parlato
infatti di spazi adatti alle opere di sound art contestualizzate e che si nutrono del rapporto
con il pubblico che visita gli spazi in cui vengono proposte. Si potrebbe giungere ora ad una
prima considerazione sul movimento che crea un’installazione sonora quale quella di
Carsten Nicolai nella Parochialkirche dove il pubblico è allo stesso tempo fautore ed
ascoltatore di un’installazione che viene diffusa nello spazio in quanto suono modificato dal
vivo dagli spettatori. Un esempio questo di come un lavoro possa sfociare in un evento
performativo laddove i limiti dell’installazione sono meno netti e dove il suono viene
riproposto in quanto input del movimento in uno spazio. Nel secondo esempio, nella
proposta di un’installazione che deriva da un’esperienza musicale elettronica è inevitabile
rivelare lo spazio di vita dell’installazione stessa partendo dal presupposto che si tratta nella
maggior parte dei casi di un approccio site specific, in cui il suono non è mai puro; nello
spazio artistico infatti la musicalità inevitabilmente si mischia al rumore. Dunque sembra
fondamentale la presa di coscienza che attualmente nessuna installazione sonora dialoga
direttamente con il suo lato musicale nella modalità con cui propone il suono e fa da tramite
tra lo spazio e i suoi fruitori. Il dialogo con Folkmar Hein coglie questa sfumatura nel migliore
dei modi nel momento in cui lui stesso dichiara che secondo la sua opinione la sound art ha
un altro significato dalla musica elettronica e dalle registrazioni su nastro: il significato
fondamentale intrinseco nella parola è che i contenuti visivi si fondono con gli elementi
acustici. Secondo Hein la sound art senza i contenuti visivi non ha alcun senso. Vorremmo

46
aggiungere a questo proposito che non ha attualmente senso all’interno del mercato artistico
che non coincide esclusivamente con l’ambito galleristico. Si è giunti così ad un discorso
sulle installazioni realizzate dal musicista Rolf Julius che evitò sempre una categorizzazione
del suo lavoro all’interno della sound art ma che esplorò lo spazio della percezione e delle
influenze del visivo sull’ascolto nonché sulle percezioni acustiche attraverso le costruzioni
ottiche. Il suo fu un esempio della scelta di un musicista che introdusse nella propria
sperimentazione un riferimento visivo, quasi psicologico-percettivo che svelò alcuni lati
delicati e difficili da raggiungere per molte installazioni sonore contemporanee. Julius entrò
infatti nello spazio del non detto, della percezione diretta, della familiarità con la materia che
è il punto d’incontro più vicino all’ambito musicale.
Una conclusione netta di questa trattazione ci sembra poco probabile anche perché sin
dall’inizio il presupposto fu quello di un’apertura ad una possibilità, quella di esplorare le
accumulazioni di una musica elettronica a Berlino in ambito artistico nel quale possa trovare
terreno fertile per lo sviluppo e l’innovazione. Lo spazio berlinese attualmente (negli ultimi 10
anni) sembra offrire notevoli opportunità sia dal punto di vista istituzionale che culturale per
un maggiore coinvolgimento di musicisti all’interno di spazi nuovi per la sound art, mentre lo
sviluppo di una sfera interamente dedicata all’installazione sonora “ideale” secondo una
ricerca musicale elettronica ed elettroacustica rimane ancora in uno stato embrionale, poco
chiara in ambito della sound art e forse ancora troppo sommaria, estetizzante, ancora
affascinata dalla spettacolarizzazione e fondamentalmente da valutare in merito alla
preparazione e disponibilità delle strutture pronte ad accoglierla.

47
Bibliografia generale

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51
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http://www.ears.dmu.ac.uk
http://www.danielacascella.com
http://www.michaeljschumacher.com

Singhur - Sound Gallery:


http://www.singuhr.de

Galleria Mario Mazzoli, Berlino:


http:// www.galeriemazzoli.com

Media Art Net:


http://www.medienkunstnetz.de/mediaartnet/

See This Sound:


http://www.see-this-sound.at

Locus Sonus:
http://locusonus.org/index_en.php

- musica elettroacustica in Germania:


http://www.degem.de

-Sito del programma del DAAD:


http://www.berliner-kuenstlerprogramm.de/en/index_en.php

- studio TU di Berlino:
http://www2.ak.tu-berlin.de/Geschichte/index.html

http://www.ak.tu-berlin.de/Geschichte/Intro_eng.html

- sito del festival Inventionen di Berlino:

http://www.inventionen.de

http://www.inventionen.de/geschichte.html#Anchor-Geschichtlicher-49575

http://www.inventionen.de/1998/index.html

http://www.inventionen.de/2002/Inventionen-2002.html

http://www.inventionen.de/2002/html/texts/home.html?lang=en

52
- Golo Föllmer, Audio Art, 1999 disponibile sul sito:
http://www.medienkunstnetz.de

- Per precisazioni riguardo all’esecuzione di Zyklus e Fontana Mix di Max Neuhaus:


http://www.max-neuhaus.info/soundworks/vectors/performance/zyklus’techniques
http://www.max-neuhaus.info/soundworks/vectors/performance/fontanamix-feed

- Christina Kubisch
http://www.christinakubisch.de

- Robin Minard
http://www.robinminard.com

53
Appendice

7 immagine 1: Karlheinz Stockhausen, Gesang der


Jünglinge, WDR (Colonia)1956

10 immagine 2: Max Neuhaus, schizzo per Drive-in Music,

1967-68

18 immagine 3: Fast Forward, Trommelfeuer im Hamburger

Bahnhof, 1989

18 immagine 4: Christian Marclay, Berlin Mix, 1993

22 immagine 5: Albrecht D., Gedankensplitter zur Installation


Endless music goes Zen, 1980
22 immagine 6: Joe Jones, The Music Store, 1973

23 immagine 7: Jannis Kounellis, No Title, Palazzo Taverna


Roma,1972

24 immagine 8: Christina Kubisch, Moving Music, 1978

24 immagine 9: Bernhard Leitner, Ton Liege, 1976

25 immagine 10: Daniel Lentz, King Speech Song 1972

25 immagine 11: Walter Marchetti, J’aimerais jouer avec un


piano qui aurait une grosse queque, 1977

26 immagine 12: Phil Niblock, Scores-Partiture, 1977

29 immagine 13: Sensore piezoceramico posizionato sul


vetro di una delle finestre dello spazio

29 immagine 14: Brüel & Kjær 4375 - Microfono/


Accelerometro piezoelettrico posizionato
sul vetro di una delle finestre

30 immagine 15: Area di produzione con il primo subwoofer


(D&B Audiotechnik),microfono di
condensazione(Behringer omnidirectional),

54
primo altoparlante (Genelec); sulla finestra
uno dei due microfoni

30 immagine 16: L’entrata della seconda stanza con uno dei


quattro piccoli altoparlanti (processo di
consumo) e un microfono condensatore in
alto

34 immagine 17: Robert Henke, Atlantic wave terminals,


2004

34 immagine 18: Dirk Schwibbert, Zwölf gläser (Twelve


glasses), 1997

35 immagine 19: Carsten Nicolai, Kosmos-Turn-


Bausatz.Noto, 1998

35 immagine 20: Christina Kubisch, Dreiunddreissig Felder


(Thirty-three fields), 2002

39 immagine 21: Rolf Julius, Musik für den blich nach unten
(Musik for the view downwards) e Musik,
weiter entfernt (Music, further away), 1999

40 immagine 22: Rolf Julius - Piano piece n.4, 2007

55
Contributi esterni

Si ringraziano per la collaborazione Christine Anderson, Agostino Di Scipio, Roberto Favaro, Helga De
La Motte Haber, Folkmar Hein, Mario Mazzoli, Volker Straebel, gli artisti Marc Behrens, Olivia Block e
Seth Cluett.

56
Sound art a Berlino come ricerca dell’installazione sonora ideale dopo l’avvento della musica
elettronica

Busechian Roberta

n. matricola: 268562

Docente supervisore: Roberto Favaro

Correlatore: Agostino Di Scipio

L’ambito berlinese fu uno dei punti di riferimento per la sperimentazione musicale elettronica a partire dai
primi anni Sessanta. Lo sviluppo degli Studi di musica elettronica in Germania fu una risposta alle nuove
possibilità di lavoro con la materia sonora dopo la tecnologizzazione della musica. Nella seguente trattazione
si vedrà come la musica elettronica a Berlino e le istituzioni che la promossero abbiano aperto la strada a
molte libertà nel lavoro con il suono nello spazio. Da qui la Klangkunst o sound art, di cui il significato
fondamentale intrinseco nella parola è che i contenuti visivi si fondono con gli elementi acustici, verrà trattata
in quanto pratica che in ambito berlinese ha dato la possibilità ad un importante numero di compositori e
musicisti elettronici di lavorare con il suono direttamente nello spazio espositivo e negli spazi della capitale
adibiti a spazi per le installazioni sonore. Si tratterà inoltre delle influenze che la sound art ha avuto su
compositori e musicisti attraverso una strettissima relazione anche politica tra istituzioni artistiche e musicali
trattando degli eventi da esse promossi e delle opere proposte dagli stessi artisti, ciò sarà possibile anche
grazie ai contributi di alcune personalità operanti nel settore organizzativo e direttivo. Dall’estetica delle
installazioni sonore in quanto presentazione delle modalità di espressione e relazione del suono con lo
spazio si passerà dunque ad investigare le possibilità e gli estremi di una sound art puramente “sonora”,
“ideale” in quanto ibrido tra arte e sfera musicale, valutandone il suo possibile sviluppo e le ipotetiche
strutture disposte e pronte ad accoglierla.

The city of Berlin was one of the landmarks in the experimental electronic music since the Early Sixties.
The development of Studies in the field of electronic music in Germany was a response to new ways of
working with the acoustic material after the technologized sound in music. In the following discussion we will
see how the electronic music in Berlin and the institutions that have promoted it, have opened a way to a lot
of working possibilities with sound in space. From there Klangkunst or sound art, whose fundamental
meaning is that the visual element is combined with acoustic, will be treated as a practice in Berlin which had
given the opportunity to a significant number of composers and electronic musicians to work directly with the
sound in exhibition space and public areas of the capital used as spaces for sound installations. There will
be also a discussion about the influence of sound art on composers and musicians through a close political
relationship between artistic and music institutions which also promotes events and treating proposed works
by artists with the contribution of some personalities coming from the organization and direction area. From
the aesthetics of sound installations as the mode of expression and presentation of the relation of sound with
the space we will investigate the possibilities and the extremes of a sound art only in "sound" which might be
"ideal" as a hybrid between art and musical field, considering possible development and hypothetical
structures arranged and ready to accept it.

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