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In Veneto, nel paese dei Pfas, il veleno

invisibile delle acque


- Nicola Pozzato, 17.01.2019

Reportage. La Miteni di Trissino è accusata di aver sversato per anni nei propri scarichi industriali
una sostanza dannosa per l’uomo e per l’ecosistema

Arriviamo a Trissino alle 10.30 di una domenica autunnale. L’aria è umida e il cielo è velato da una
grigia foschia. Propriamente non è montagna, ma lo è in apparenza, con le colline coperte di bosco e
i paesi arroccati sulle alture, là dove la pianura si increspa a formare tanti sparpagliati rilievi. In alto
il paese, con il campanile a dominare i tetti delle case, intorno campi bagnati e rossore di foglie. La
Miteni sta lì, alle pendici di un colle, circondata da un fossato e da un muro di siepe: da fuori si
scorgono cisterne e grovigli di tubature che si arrampicano in alto e si attorcigliano in basso; si
sente un rumore costante, come quello di un frigorifero in funzione, o di una lavatrice. Da alcuni
anni lo stabilimento chimico è accusato di aver provocato un’enorme disastro ambientale:
l’inquinamento delle acque di un’area vastissima del Veneto, dalla provincia di Vicenza a quelle di
Padova e Verona, coinvolgendo 70 comuni e quasi 300.000 persone. Li chiamano Pfas, e sono
ovunque: nei vestiti in pelle, nelle pentole antiaderenti, persino nei cartoni della pizza. I Pfas
tendono ad accumularsi nell’ambiente e nell’organismo e per questo risultano estremamente
pericolosi. La Miteni sarebbe responsabile di aver sversato per anni nei propri scarichi industriali
tali sostanze perfluoroalchimiche, dannose per l’uomo e per l’ecosistema. Ma quello dei Pfas è un
inquinamento nuovo, invisibile e subdolo, un veleno limpido, inevidente e incolore. Scorre sotto la
trasparenza delle acque, nei riflessi violacei del vino, si annida nei frutti e nelle carni, nelle spighe e
nelle radici, s’insinua nell’organismo, silente, discreto. Inoltre gli studi epidemiologici in materia
sono ancora molto limitati e la valutazione degli effetti sull’uomo si muove ancora nello spettro delle
probabilità. Sembra tuttavia, da quanto riportano gli studi americani condotti in seguito al disastro
della Dupont (disastro per altro simile a quello veneto), che l’inquinamento da Pfas sia correlato
all’insorgere di patologie e tumori. Del resto i dati Istat sulla mortalità nell’area veneta coinvolta
dalla contaminazione evidenziano alcune anomalie anche molto significative. Ma di questo
parleremo in seguito, dopo aver ripercorso dall’origine la vicenda della Miteni così come emerge
dalla relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta.

LA MITENI, ALLORA RIMAR, sorge nel 1964 come centro di ricerca Marzotto per lo sviluppo di
sostanze idrorepellenti da utilizzare nella produzione tessile. Già nella seconda metà degli anni 70,
tuttavia, la Rimar si rende responsabile della contaminazione dei territori circostanti ma le sostanze
riconosciute come inquinanti non sono i Pfas, bensì i benzotrifluoruri. Intervengono i Vigili del Fuoco
e persino l’esercito americano. Nel 1988 poi avviene il cambio di proprietà. Lo stabilimento viene
acquisito dalla giapponese Mitsubishi e da Enichem che lo trasformano in MitEni. Nel 2009 l’azienda
passa a International Chimical Investors S.E., società con sede in Lussemburgo che fa parte di un
gruppo industriale (Icig) con più di 6000 dipendenti in tutto il mondo.

MA ANDIAMO AL 2011, al momento in cui, a seguito di un’indagine del Cnr, cominciano ad


emergere le prime avvisaglie di un inquinamento esteso e inimmaginabile. Nel 2011 il Cnr sta
conducendo un’indagine per conto del Ministero dell’Ambiente, con l’obiettivo di rilevare la
presenza di Pfas nei bacini idrici italiani. «Ci eravamo posti il problema di individuare le fabbriche,
le unità produttive che più utilizzavano queste sostanze, al fine di verificare in loco la pressione
dovuta per via di queste fabbriche», afferma Stefano Polesello, ricercatore del Cnr partecipe alle
attività di monitoraggio. Il Cnr così entra alla Miteni, campiona gli scarichi dei depuratori e tutti i
corpi idrici circostanti e scopre che lo stabilimento di Trissino è una sorgente di queste sostanze,
poiché le produce. I dati vengono consegnati al ministero che chiede al Cnr di valutare il rischio di
esposizione umana. Tra il 2012 e il 2013 l’acqua potabile al rubinetto delle zone a rischio viene
campionata e analizzata, ne risultano valori anomali che il Cnr riferisce ancora al ministero. Nella
primavera del 2013 i dati vengono comunicati alla regione Veneto che convoca l’Arpav e la incarica
di effettuare il monitoraggio: l’Arpav ripete tutti i campionamenti alle fontanelle e ai depuratori, fino
a determinare che l’inquinamento non è circoscritto alle acque superficiali ma riguarda soprattutto
l’acqua di falda, quella prelevata nei pozzi privati, quella usata per irrigare gli orti, per far crescere i
pomodori e le viti. Interessanti sono soprattutto i rilevamenti condotti dall’Arpav sugli scarichi dei
depuratori della zona: si è constatato infatti che il 97% dei Pfas scaricati nel canale Fratta-Gorzone
dal collettore Arica derivano dagli scarichi industriali della Miteni.

INTANTO SI PROCEDE CON UNO SCREENING dei valori di Pfas nel sangue della popolazione
interessata. Tra luglio 2015 e aprile 2016 viene condotto uno studio esplorativo di biomonitoraggio
per valutare le concentrazioni di Pfas nel sangue di un campione di persone residenti in aree a
rischio. Lo studio rileva concentrazioni di Pfoa (pericoloso Pfas a catena lunga) significativamente
elevate. Per dare un po’ di dati: illustri scienziati sostengono che il Pfoa nell’acqua non dovrebbe
superare 1ng per litro e che i valori nel sangue dovrebbero essere 0,1ng per millilitro. Sono questi
valori molto bassi che dovrebbero garantire la (quasi) totale sicurezza, come scrive il dottor
Vincenzo Cordiano, ematologo da anni impegnato contro i Pfas. I limiti imposti dalla regione Veneto,
tuttavia, sono sensibilmente più alti, e pongono i 90 nanogrammi per litro come quantità massima di
Pfoa e Pfos nell’acqua. Ora, alcuni bambini nel territorio interessato presentano valori di Pfoa nel
sangue 35 volte superiori ai limiti mentre gli operai della Miteni, da quanto risulta dalla
documentazione rinvenuta presso l’azienda, hanno valori di Pfoa nel sangue pari a 90 mila
nanogrammi per litro, un valore spaventoso, più di mille volte superiore alla soglia massima
consentita. La questione dei limiti, del resto, ha conquistato recentemente le pagine di cronaca dopo
che il Parlamento Europeo ha bocciato la proposta Pfas zero presentata dalla Lega ponendo invece
come limiti i 100 nanogrammi per litro per ciascuna sostanza a catena lunga (come Pfoa e Pfos), ben
al di sopra dei limiti deliberati dalla Regione Veneto.

COME RIPORTA ULSS8 BERICA, i Pfas sono assorbiti rapidamente in seguito ad ingestione ed
inalazione ed entrati nel sangue tendono ad accumularsi nel plasma e vengono eliminati molto
lentamente. Il tempo di dimezzamento, vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si
riducano a metà (se non si è più esposti) è in media di 5,4 anni per il Pfas e di 3,8 anni per il Pfoa.
Sembra, come abbiamo anticipato, che l’esposizione ai Pfas sia correlata all’insorgere di diverse
patologie a livello dei reni, delle gonadi, della tiroide. Il Bollettino della commissione parlamentare
di inchiesta, datato 8 febbraio 2017, cita inoltre la relazione del prof. Farinola secondo cui
l’esposizione ai Pfas potrebbe indurre disfunzioni polmonari e determinare la deformazione
morfologica degli spermatozoi, oltre ad avere effetti psicosomatici sui bambini (lo studio suggerisce
un’associazione tra Pfas e impulsività). Il Bollettino riporta inoltre che «nei comuni contaminati da
Pfas si registrano eccessi statisticamente significativi per la mortalità generale (9-10% in più), per le
malattie cerebrovascolari (da 18% a 22% in più), per l’infarto miocardico acuto (da 11% a 14% in
più). Nelle sole donne, inoltre, si sono rilevati eccessi anche per il diabete, con un 32 per cento in
più, e per la malattia di Alzheimer». Sono dati da non sottovalutare dal momento che la letteratura
scientifica suggerisce una possibile correlazione tra queste patologie e l’esposizione a Pfas.

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