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L’uomo dallo stecchino in bocca

L’ uomo dallo stecchino in bocca non è mai stato un perso-


naggio letterario. L’avverbio “mai” è qui utilizzato nella
sua espressione assolutamente letterale, senza la benché mini-
ma ambiguità, ossia, non vi si celano dietro altri significati, se
non quello che risulta, direttamente e necessariamente, dalla
giustapposizione dei tre segni convenzionali che lo compon-
gono: m+a+i. Il che significa che l’uomo dallo stecchino in
bocca non è mai stato ravvisato in nessun resoconto letterario,
mai scritto dall’uomo sin dai primordi né come protagonista,
né come personaggio secondario, accessorio od occasionale,
magari frutto di qualche distrazione da parte del narratore
o della malafede dell’autore (ipotesi molto più frequente di
quanto immaginino i lettori).
In sostanza, l’uomo dallo stecchino in bocca non è mai sta-
to contadino, eroe, né semplicemente testimone. Allo stesso
modo, non è mai servito da pretesto per un’eventuale resa dei
conti di alcun autore – fra la miriade che, per motivi diversi,
sono già entrati e usciti dalla scena letteraria universale – con
qualcuno che, nella cosiddetta vita reale, ha suscitato la rab-
biosa commiserazione di alcuni di loro.
La mia affermazione può sembrare esagerata se non temera-
ria. Pertanto, anche ammettendo che nessuno mi creda, mi az-
zardo a farla, poiché, fortunatamente, la buona letteratura è già
di per sé incredibile. Tralasciando ogni presunzione, la verità è
che, per giungere a tale conclusione e soprattutto per non esi-
tare nel formularla con tutta questa sfacciataggine, ho dovuto

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condurre un’ampia, profonda e completa ricerca, per non dire


ciclopica, indagando minuziosamente la lunga storia della let-
teratura mondiale, con tutte le sue miserie e le sue grandezze.
Tanto per essere precisi, mi sono tuffato nella ricca, prolissa
e ingiustamente sconosciuta letteratura orale dei popoli oggi
denominati “minori”, poiché ho sempre diffidato dell’idea se-
condo la quale la storia della letteratura universale comincia
con i Greci. Tra l’altro, non ho lasciato da parte la gloriosa
tradizione orale angolana, visto che, sebbene io aspiri anche
a interagire – diciamo così per non sollevare sospetti – con il
mercato globale, continuo a dare la meritata importanza al
luogo (e al tempo) a cui appartengo.
Nella mia ardua e lenta ricerca relativa alla probabile pre-
senza nella letteratura mondiale dell’uomo dallo stecchino in
bocca, ho conosciuto una gran quantità di individui strava-
ganti: da coloro che si considerano presuntuosamente capaci
di alterare la natura umana con poesie e canzoni infiammate
o prosaiche, fino ai disperati che ricercano l’unica parola re-
almente esistente, come cani che si mordono la coda, senza
dimenticare quelli che giurano e spergiurano, con aria serafica
e quasi beata, che la letteratura – sia quel che sia – è la loro
unica Patria.
Sono costretto a menzionare anche alcuni individui che, di
botto, senza che nessuno lo potesse prevedere, come spesso
accade relativamente ai grandi mutamenti umani, hanno co-
minciato a saltar fuori quasi spontaneamente, in ondate che si
susseguono apparentemente (ma solo apparentemente) sen-
za controllo; i quali hanno finito per ingrassare rovistando il
passato alla ricerca di cadaveri riciclabili di cui si alimentano
senza rimorsi, con la convinzione (o affermazione, direi, se
non volessi fare il generoso) che si tratti di un solo tipo di
letteratura capace di rispondere alle aspettative degli uomi-
ni e delle donne contemporanei, messi alle strette dalla man-

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canza di sentimento della post-modernità e, forse per questo,


in avanzato stato di imbecillaggine. Così, nonostante il mio
profondo disgusto, ho comunque incontrato seguaci di anti-
chi templari, ricercatori di fasulli segreti esoterici e cacciatori
di ancestrali tribù, che tuttavia non hanno mai oltrepassato i
confini delle asettiche capitali in cui abitano e delle bibliote-
che dove passano i giorni, consumandosi a poco a poco fra le
pagine impolverate e rarefatte dei libri che rovistano, felici di
rimanere al sicuro dall’odio e dalla pericolosità che serpeggia-
no attualmente lungo le strade del pianeta. Ho provato a volte
a guardarli negli occhi: ho visto soltanto un luccichio fasullo,
forse il riflesso dei proiettori che li attraggono, neanche fosse-
ro tristi ed effimere farfalle.
Nonostante ciò, ho alimentato, contraddittoriamente e in-
genuamente, la speranza che quegli scopritori di misteriosi
passati impregnati di incanto, fossero capaci di trovare l’uo-
mo dallo stecchino in bocca. L’assenza di quest’ultimo da tutti
i resoconti letterari universali noti e ignoti poteva essere sol-
tanto, pensavo io, frutto di una grande e terribile cospirazione
storica, ordita da qualche setta segreta. Per questo, mi sono
convinto che essi, con il loro specifico know-how, faticosa-
mente sviluppato, generalizzato e naturalizzato da raffinate ed
efficaci strategie di marketing, sarebbero finalmente capaci di
scoprire e includere l’uomo dallo stecchino in bocca nei pro-
pri racconti fantastici sugli straordinari e inusuali mondi che
hanno la fortuna di conoscere. Invece, essi non hanno avuto
questo colpo d’ala, questa improvvisa illuminazione, questa
elementare sagacia, questo autentico uovo di Colombo lette-
rario, come avrei voluto, il che mi ha reso malinconico e ha
aumentato i miei dubbi, forse spropositati, riguardo alla sua
ferma e riconosciuta genialità.
Apparentemente, tali figure vivono in un universo paralle-
lo. In effetti, possono essere facilmente avvistati sulla coper-

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tina di una qualunque rivista, nei talk-show, o in eventi di be-


neficienza e vivono circondati da una serie di continui fuochi
d’artificio e rumori sordi e monocorde, suoni plastici prodotti
digitalmente, che, grazie alle meravigliose e ingenue tecnologie
attuali, sono trasmessi, riprodotti e salvati istantaneamente e
universalmente. Offuscate dallo splendore dell’umanità, spes-
sa e voluttuosa per definizione, nella quale sono avvolte, non
solo perderanno la capacità di vivere una vita in carne, ossa,
viscere, sangue, lacrime e risate, ma anche la loro perspicacia.
Così, perduti in questo labirinto fosforescente e rumoroso,
come potranno scorgere l’uomo dallo stecchino in bocca?
Ora mi ricordo che lo stecchino, al contrario di quanto
pensa l’opinione pubblica, è stato forse una scoperta recente.
È probabile che i Tuareg, i Maya primitivi, gli ultimi crociati
o i sacerdoti germanici, per esempio, ancora non fossero a co-
noscenza degli straordinari poteri di questo minuscolo e utile
oggetto, che molti disprezzano, il che è una delle maggiori
ingiustizie dell’umanità. Per mia assoluta incompetenza spe-
culativa, senza nascondere la mia angoscia, mi limito a chie-
dere a me stesso: come facevano a vedersi liberi dai fastidiosi
residui alimentari che in tutti i luoghi e in tutte le epoche si
ostinano a ficcarsi negli interstizi delle dentature umane?
A questo punto del racconto, tenendo in considerazione
ciò che ho scritto fin qui, devo ammettere la legittimità da
parte dei lettori di sospettare della mia imparzialità. Così, ri-
conosco che fra le varie possibilità che ho menzionato o, detto
con altre parole, nel multiplo fragore di voci che mi hanno
preceduto o che mi sono coeve, naturalmente ho le mie prefe-
renze. Non mi ripugna, infatti, confessare che nutro una certa
simpatia per coloro che, animati e mossi da magniloquenti
sogni, non esitano a esporli coraggiosamente, siano essi mes-
saggeri di una buona storia, piena di dettagli espliciti, siano
essi coloro che aspirano a una narrativa traslucida ed essen-

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ziale, che vale per i significanti che la costituiscono. Vero è


che, sia l’uno che l’altro, sono conosciuti per passare il tempo
a sgridarsi a vicenda, con tutta la furia possibile e immagina-
bile. È sempre stato così da quando la letteratura è letteratura
e deve continuare a essere così. Ma io, che sono un uomo
accondiscendente (o meglio eclettico), non rifiuto nessuna di
esse. Tuttavia, riguardo a quelli che si limitano a fare del pas-
sato un’eccitante ed estetizzante operazione di bricolage, sarò
sincero: non ne ho una grande considerazione.
Sia come sia, c’è un punto su cui tutti mi deludono: il fat-
to che nessuno di loro abbia introdotto nella storia letteraria
universale l’uomo dallo stecchino in bocca. Questa cosa mi
rende frustrato, ma soprattutto perplesso.
Pertanto, l’uomo dallo stecchino in bocca non ha finora
mai avuto alcun coinvolgimento letterario, di nessun tipo. In
più, egli non ha mai sperimentato in tutta la sua esistenza nes-
suna inquietudine letteraria. È sempre stato molto bene senza
letteratura. Apparentemente, l’esistenza dell’uomo dallo stec-
chino in bocca non ha trama. È una vita senza tragedie, ma
anche senza allegria o straordinari successi. Un luogo comune
lo definisce lapidariamente: l’uomo dallo stecchino in bocca
è felice. Sicuramente questo spiega la tranquillità con la qua-
le egli circola liberamente in mezzo all’umanità, altezzoso e
senza alcun senso di colpa, visibile o appena percettibile da
piccoli tic inevitabili.
Spesso, il suo atteggiamento arriva a trasformarsi in arro-
ganza. Questa è l’unica spiegazione possibile di un fatto incre-
scioso ma comprovato dalla mia lunga osservazione multidi-
sciplinare postmoderna e, soprattutto, postcoloniale: l’uomo
dallo stecchino in bocca non dà alcuna importanza alla faccia
disgustata che gli rivolgiamo quando ce lo troviamo di fron-
te con quell’arnese spregevole penzolante dalle labbra, sia al
centro della bocca, come un trofeo pornografico, sia in uno

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dei suoi ridicoli angoli, come un vestigio storico provocatorio


e, per questo, ancora da classificare.
Ad aggravare la situazione, l’uomo dallo stecchino in boc-
ca è dappertutto. Spunta quando e dove meno te lo aspetti, in
qualunque momento, circostanza e scena. Allo stesso modo,
è postclassista. Così, può essere avvistato tanto fra i misera-
bili ed emarginati del mondo, quanto fra i ricchi e sedicenti
signori del pianeta. Si aggiunga il fatto che l’uso di questo
minuscolo artefatto non può non provocare un certo stupore
sia nei primi che nei secondi. Nonostante confidi nell’imma-
ginazione dei lettori, ne spiegherò il perché.
Come è risaputo, i poveracci e gli emarginati sono, quasi
per definizione, cabobos (se andate al glossario, scoprirete che
si tratta di un termine angolano, di origine kimbundu, che
significa “sdentato”). Quindi, senza perdere altro tempo, la
domanda è: come fa lo stecchino a non cadere? Non volendo
credere ai miracoli, mi sono subito chiesto se non si tratti di
una deviazione dalla teoria della relatività.
Quanto ai ricchi e ai presunti signori del pianeta – i quali,
per principio, hanno l’obbligo di possedere delle dentature
complete, se non artificiali – lo stupore è dovuto, in generale, a
una contraddizione semiotica che può risultare offensiva. Non
mi riferisco soltanto agli ambienti che normalmente frequenta-
no, i quali, in teoria, non si adattano alle conversazioni che su-
perano una determinata quantità di decibel, alle risate eccessi-
ve e, ovviamente, alla libera circolazione di stecchini ostentati,
in buono o precario equilibrio, da una serie di bocche reputate
eleganti. La contraddizione semiotica alla quale mi riferisco è
realmente radicale, nel senso etimologico del termine. Giusto
per fare qualche esempio, in realtà lo stecchino non sempre
coincide con lo sguardo intelligente, col sorriso condiscenden-
te o col profumo voluttuoso, per non menzionare la marca del-
la camicia o della cravatta dei rispettivi proprietari.

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In sostanza, non c’è niente di più grottesco dell’imbatter-


si in un escravadientes (ci sarà in qualche lingua che non sia
il castigliano, perlomeno come l’ho intesa io, con profonda
e dolce meraviglia un pomeriggio qualsiasi a Montevideo,
un’altra parola che denunci subito la tortuosa funzione che
ci si aspetta umanamente da uno stecchino?) penzolante dalla
bocca di uno di questi esseri infatuati, incravattati e profumati
che pensano di trasudare potere con la loro presenza delibe-
ratamente ostensiva.
Tutto questo insieme di ragioni, più o meno vaghe, rende
l’uomo dallo stecchino in bocca un po’ intimidatorio. Deve
essere per questo che, a tutt’oggi, egli non è mai entrato nel-
la letteratura mondiale. È che, a ben vedere, l’uomo dallo
stecchino in bocca è una figura la cui multipla e inaspettata
presenza si impone su di noi in modo tale che non sappiamo
come prenderlo. Qualora, per puro caso, ci imbattessimo in
lui, saremmo paralizzati da un terribile imbarazzo. Improv-
visamente, concetti, resoconti, storie, generi, classificazioni,
categorie ed etichette cesserebbero di avere alcun significato.
Per questo, è impossibile cercare di descriverlo, categorizzar-
lo o classificarlo.
In realtà, chiunque sia l’uomo dallo stecchino in bocca, se
figura in carne o ossa o creazione virtuale, un emarginato o un
signore dell’universo, sdentato o provvisto di una dentatura
completa, anche lui merita un luogo nel Pantheon della lette-
ratura universale. Per questa ragione ho deciso di raccontare
questa storia, o qualsiasi altra classificazione venga attribuita
al mio racconto, allo scopo di riscattare l’uomo dallo stecchi-
no in bocca dal limbo nel quale è rimasto fino a questo mo-
mento.
Adesso, giustizia è fatta.

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