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Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

Prova Finale

Progettazione e prototipazione di un
elettroutensile cordless per la pulitura in
ambiente subacqueo

Relatore Candidato
Prof. Maurizio Muzzupappa Emanuele Spingola
Ing. Alessandro Gallo Matr. 163780

Anno Accademico 2018/2019


Indice
Introduzione 3

Capitolo 1
Archeologia subacquea e requisiti dell’elettroutensile 4
1.1 L’archeologia subacquea 4
1.2 Il restauro di materiali lapidei sommersi 5
1.3 Caratteristiche degli agenti incrostanti 7
1.4 Restauro: la fase di pulitura 9
1.4.1 Tecniche per la pulitura 10
1.4.2 Strumenti per la pulitura meccanica 10
1.4.3 Pulitura tramite spazzola 12
1.5 Spazzole subacquee 14
1.6 Analisi dei requisiti dell’elettroutensile 17

Capitolo 2
Caratteristiche e progettazione dell’elettroutensile
2.1 Spazzola
2.3 Progettazione
2.3.1 Sistemi di tenuta
2.3.2 Corpo principale
2.3.3 Corpo Batteria
2.3.4 Principio di funzionamento sgancio rapido
2.4 Simulazioni statiche dei componenti
2.4.1 Analisi statiche case motore
2.4.3 Analisi statiche tappo case batteria

Capitolo 3
Prototipazione dei componenti
3.1 Prototipo 1.0
3.1.1 Assemblaggio del prototipo
3.2 Prototipo 2.0
Bibliografia

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INTRODUZIONE

Il mare può essere considerato il più grande e ricco museo del mondo, essendo custodite al
suo interno opere che possono avere interesse storico, artistico e culturale che spesso vengono
recuperate e riportate alla luce ma, nel caso in cui questo non fosse possibile, esse danno vita
a parchi archeologici sommersi, dove la protezione e il restauro è ambito specifico
dell’archeologia subacquea.
L’archeologia subacquea, pur ispirata dalle medesime regole che operano sulla terraferma,
proprio a causa delle operazioni condotte direttamente sott’acqua, comporta particolari
difficolta, tali da rendere problematici gli interventi di studio, gestione, tutela e valorizzazione
del patrimonio sottomarino e, anche per questo, viene considerata una scienza autonoma.
A causa delle condizioni presenti nell’ambiente sottomarino, ogni attività svolta in esso
necessita di strumenti appositi, concepiti e costruiti specificatamente per un utilizzo
subacqueo.
Lo scopo di questo lavoro di tesi è la progettazione di uno strumento, adeguato alla pulitura ai
fini conservativi delle opere archeologiche presenti nell’ambiente sottomarino, che abbia
caratteristiche adeguate per poter adoperare e funzionare anche a profondità elevate. Nello
specifico, si fa riferimento ad un elettroutensile che abbia una spazzola rotante, così che possa
essere utilizzato per la rimozione di parti superficiali di materiale incoerente formatosi sui
manufatti. Durante la progettazione si è tenuto conto di vincoli come l’elevata pressione
idrostatica che agisce sulle pareti dell’utensile, delle caratteristiche dei materiali costruttivi,
dovendo operare in ambiente fortemente corrosivo e, infine, della necessità di indipendenza
da fonti di alimentazioni esterne, così da donare la piena libertà negli spostamenti
all’operatore.
Nel primo capitolo vengono trattate le generalità dell’archeologia subacquea e gli attuali
strumenti utilizzati per il restauro, in particolare, le tecniche di pulitura. Successivamente si
inquadra lo strumento all’interno de proprio ambito di utilizzo e dei possibili campi di
applicazione.
Nel capitolo successivo invece, vengono illustrate le fasi della progettazione, ed in fine i vari
test effettuati sui componenti dopo la prototipazione mediante stampa 3d.

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CAPITOLO 1

Archeologia subacquea e requisiti dell’elettroutensile

1.1 L’archeologia subacquea


Con il termine “archeologia subacquea” si intende una branca dell’archeologia la cui nascita e
sviluppo sono relativamente recenti, visto che i primi recuperi ed interventi di stampo
prettamente archeologico ebbero inizio solo verso gli anni Cinquanta e Sessanta [1]. Conta,
dunque, poco più di cinquant’anni di vita ed è un settore ancora in pieno così come gli
utensili adatti per questo tipo di disciplina. A causa delle sue specificità, l’archeologia
subacquea, richiede particolari tecniche di indagine finalizzate alla documentazione dello
stato di degrado ed all’individuazione di metodologie idonee alla conservazione ed al restauro
in situ dei manufatti archeologici sommersi, secondo i criteri normalmente applicati al
patrimonio monumentale esistente sulla terraferma.
A sua volta, questa disciplina si articola al proprio interno in una serie di discipline, differenti
in base al campo d’interesse, che sono rispettivamente: Archeologia marina, lacustre,
lagunare, fluviale, ipogeica e navale [13].
L’archeologia subacquea prevede un sistema organizzativo più complesso rispetto a quello
sulla terraferma, dato che il cantiere da organizzare in mare aperto si articola in due settori tra
loro interdipendenti:

 Uno in superficie: l’imbarcazione appoggio, che è di fondamentale importanza,


spesso veri e propri laboratori galleggianti, per la manutenzione delle attrezzature, il
primo trattamento dei reperti portati in superficie, per la raccolta e l’elaborazione dei
dati e funzionali anche alla sicurezza degli operatori
 Uno sott’acqua: dove troviamo l’area di scavo vera e propria [11].

Lo svolgimento dei lavori in mare rende obbligatoria la presenza sulla terraferma di una serie
di supporti logistici per la gestione contestuale dei dati, dei materiali archeologici e per il
corretto funzionamento delle attrezzature [5].
Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati in tale ambito, nella maggior parte dei casi
vengono adoperati dispositivi pneumatici che, dunque, necessitano di un collegamento fisico
degli utensili stessi dall’area delle operazioni sott’acqua all’imbarcazione presente in

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superficie. Questo non fa altro che trasformarsi in un vincolo per gli operatori, limitandone la
libertà di movimento.

Figura 1.1 – Esempio di un cantiere di scavo subacqueo.

1.2 Il restauro di materiali lapidei sommersi


Ogni materiale posto in un ambiente diverso rispetto a quello in cui è stato formato, tende a
raggiungere nuove condizioni di equilibrio attraverso cambiamenti delle sue caratteristiche
[10]. Possono avvenire tipologie di alterazioni di natura diversa e queste possono avere luogo
per fenomeni fisici, chimici o biologici.

 Fisici:
 Stress termico dovuto alla variazione ciclica della temperatura determina la
disgregazione granulometrica.
 Cristallizzazione salina che provoca l’esfoliazione e distaccamento delle croste.
 Chimica:
 Solubilizzazione con rimozione dei prodotti presenti nel manufatto.
 Assorbimento d’acqua nella struttura minerale.
 Biologica:
 Presenza di strati di colonie di microrganismi che si possono osservare

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macroscopicamente come batteri, alghe verdi, licheni, spugne, muschi e piante
superiori, generalmente attaccate al substrato del manufatto.
Quest’ultima è quella di maggior interesse ai fini della definizione delle caratteristiche
progettuali dell’elettroutensile.

Figura 1.2 – Esempio di alterazione biologica. Presenza di licheni, muschi e alghe sullo strato
superiore dei manufatti.

A differenza del restauro tradizionale effettuato sulla terraferma, è necessario cercare di


minimizzare i movimenti dei piccoli manufatti o dei manufatti che possono essere spostati
rispetto al luogo del ritrovamento, , per evitarne il danneggiamento [9]. Durante lo scavo,
infatti, i manufatti spesso solo in parte risultano sporgenti rispetto al terreno mentre la
restante parte è ancora sotterrata. La rimozione disattenta degli oggetti dal sito di ritrovamento
può compromette gravemente le condizioni dell’opera: è dunque necessario prestare
particolare attenzione alle modalità di scavo prima del recupero [10]. D’altra parte, non è
accettabile, nell’archeologia subacquea, estrarre oggetti dai sedimenti che li circondano per
una serie di ragioni: il rischio di rottura dell'oggetto; il rischio di danneggiamento di altri
oggetti vicini o attaccati a ciò che deve ancora essere esposto; il mancato riconoscimento del
contesto archeologico a cui esso è associato. Perciò, immediatamente successiva alla fase di
recupero vi è l’intervento conservativo che, nella maggior parte dei casi, deve essere
effettuato in loco [2].

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Le fasi principali dell’intervento conservativo sono:

 Pulitura: asportazione di sostanze estranee presenti sulla superficie di un manufatto, che


risultino nocive per la sua conservazione o ne ostacolino del tutto o in parte la leggibilità.
 Consolidamento: trattamento finalizzato a migliorare le caratteristiche di coesione tra i
componenti di un materiale, aumentandone la resistenza meccanica.
 Protezione: trattamento finalizzato ad allontanare nel tempo il verificarsi di fenomeni di
alterazione e degrado di tipo chimico-fisico sui materiali [8].

Figura 1.3 – Relitti di navi greche sul fondale della baia Bulala.

1.3 Caratteristiche degli agenti incrostanti


Le principali incrostazioni che vengono a formarsi sui relitti in acque marine o anche in acque
dolci sono caratterizzate da depositi costituiti da organismi viventi, animali e vegetali sia
unicellulari che pluricellulari o di altre sostanze non viventi, che compromettono la
funzionalità dell’oggetto incrostato. Questo fenomeno prende il nome di biofouling.
In particolare, il termine incrostazione marina, si riferisce alle incrostazioni che ricoprono la
superficie degli oggetti rimasti sommersi in ambiente acqueo e marino, come le carene delle
barche, i manufatti in pietra, metallo, legno nonché le strutture in calcestruzzo direttamente
bagnate dal mare [13].

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Possiamo distinguere il fenomeno del biofouling in due forme diverse:
 Il microfouling che consiste nella formazione del biofilm cioè una sottile pellicola
biologica costituita da microrganismi che danno vita a un complesso micro ecosistema,
composto da batteri, diatomee e cianobatteri.
Successivamente, sul biofilm può formarsi:
 Il macrofouling costituito dagli insediamenti di organismi superiori incrostanti. A
seconda degli organismi viventi si avrà:
 Hardfouling: formazione di mitili;
 Softfouling: formazione di spugne, anemoni e alghe.

Il solo microfouling è caratteristico delle acque dolci, mentre in ambiente marino si determina
più frequentemente anche la formazione del macrofouling [14].
Il biofilm è costituito prevalentemente da polisaccaridi e proteine. Questo materiale organico
si trova disciolto nell’acqua e deriva dalla decomposizione di organismi vegetali ed animali, Il
processo di formazione di questo primo involucro, che si realizza nel tempo di 1-3 giorni,
rappresenta un evento condizionante, in quanto nessun organismo o il particellato inorganico,
possono depositarsi prima che tale rivestimento sia completato.
Subito dopo avviene l’attaccamento di organismi unicellulari tra cui prevalgono inizialmente
batteri corti di forma bastoncellare, cui si aggiungono organismi unicellulari fotosintetici il cui
numero diviene progressivamente dominante. Il biofilm microbico che viene a formarsi in
questa fase è caratterizzato dalla produzione di secrezioni collose di natura
mucopolisaccarida. La crescita del biofilm microbico, anche grazie all’aumento dimensionale
degli organismi filamentosi, si realizza non solo come aumento di spessore, ma è
generalmente caratterizzata dalla formazioni di vere e proprie appendici filamentose che
agevolano la cattura e l’adesione di spore, microalghe, funghi e protozoi, oltre che di
particelle inorganiche. È a questo stadio che, solitamente, dopo circa una settimana
dall’immersione, inizia la colonizzazione da parte di organismi pluricellulari, sia produttori
primari che degradatori.
In fine avviene l’attecchimento e la crescita di organismi più complessi, tra cui
tipicamente macroalghe e numerosi invertebrati marini, crostacei con una fase larvale mobile
ed uno stadio adulto sessile, in grado di aderire al substrato grazie alla secrezione della
cosiddetta ghiandola del cemento [4].

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Questo fenomeno viene considerato un danno, in quanto pone seri problemi al settore
dell’ingegneria navale, poiché le navi sono tra le strutture maggiormente interessate da questa
problematica. Le incrostazioni sulle loro carene provocano infatti un aumento dell’attrito con
l’acqua rallentando la navigazione, riducendone la manovrabilità e aumentando i consumi di
carburante, oltre al pericolo di subire un danneggiamento meccanico [15].

Figura 1.4 – Deposito di bio-incostazioni su relitti marini.

1.4 Restauro: la fase di pulitura


La finalità di ogni operazione di pulitura, indipendentemente dal metodo prescelto, è quello di
asportare dalla superficie ogni tipo di deposito incoerente e di incrostazione, in particolar
modo tutti quelli che alterano l’estetica e la forma originale dell’opera e quelli che possono far
proseguire il deterioramento del materiale. La facilità o la difficoltà dell’asportazione ed il
ricorso a metodologie più o meno aggressive dipende strettamente dalla natura del deposito
stesso [3].
Questa fase è estremamente delicata poiché distruttiva perciò vi è la necessità di rispettare dei
criteri assolutamente indispensabili per evitare alterazioni dell’opera:
 Il processo deve essere ben controllabile in ogni sua fase, graduabile e selettivo;
 Non deve produrre materiali dannosi per la conservazione della pietra (es.: sali solubili);
 Non deve produrre modificazioni, quali microfratture o forti abrasioni sulla superficie
pulita, cosa che può portare ad accelerare il deterioramento per aumento della porosità
[8].

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1.4.1 Tecniche per la pulitura
In generale, prima di eseguire un qualunque trattamento di pulitura, è indispensabile
conoscere il substrato su cui si agisce, il suo stato di conservazione e il tipo di interazione
esistente con il materiale da rimuovere, per valutare il tipo e l’entità del danno prodotto dal
materiale depositato, e per scegliere, infine, il sistema più adatto oltre che il metodo con cui
applicarlo per ottenere i migliori risultati. A tale scopo, dovranno essere eseguite opportune
prove preliminari direttamente in situ, su porzioni del manufatto appositamente scelte, per
controllare e valutare il grado al quale la pulitura dovrà spingersi. In alternativa possono
essere effettuati dei prelievi di campioni ed analisi di laboratorio.
L'asportazione di sporco, depositi e incrostazioni, costituiti da materiali estranei alla
superficie lapidea del manufatto o anche prodotti di alterazione del materiale originale,
irreversibili e dannosi per la conservazione, può essere effettuata con metodi meccanici/fisici
o con metodi chimici. Di seguito sono elencate le metodologie di pulitura utilizzate:
 Pulitura meccanica:
 Con strumenti manuali
 Con strumenti elettrici
 Con strumenti dentistici
 La pulitura fisica:
 Con acqua atomizzata
 Con apparecchi a ultrasuoni
 Con apparecchi abrasivi
 Pulitura chimica:
 Applicazione di impacchi

1.4.2 Strumenti per la pulitura meccanica


La metodologia di pulitura di maggiore interesse dal punto di vista della progettazione dello
strumento è [6] la pulitura meccanica che può essere eseguita nei seguenti modi:
 Manualmente con:
 Pennelli e spugne: Permette l’asportazione dei depositi pulverulenti o non dalla
superficie dei manufatti, purché non troppo tenaci e aderenti, attraverso un’azione
blandamente abrasiva.

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 Bisturi, spatole e raschietti: utili per le incrostazioni più tenaci, richiedono un uso
attentamente calibrato a causa delle forti pressioni che è possibile esercitare.
 Spazzole: composte da fili o setole che incidono e rimuovono la materia depositata
sulla superficie. Essendo strumenti manuali, l’azione di pulitura dipende sia dal
materiale di cui sono costituite (si va dal nylon all’acciaio), sia dalla pressione
esercitata dall’operatore.
 Elettricamente con:
 Vibroincisori, martelletti, piccoli trapani con punte e accessori vari: permettono il
distacco delle incrostazioni grazie all’azione vibrante di una punta di forma e
dimensioni adatte alla specifica esigenza. Possono essere strumenti sia elettrici che ad
aria compressa.
 Frese e mole: in genere strumenti con alimentazione ad aria compressa, eliminano le
incrostazioni tramite un progressivo assottigliamento.
 Con strumenti dentistici:
 Trapano con mandrino e cordone flessibile, montando una vasta serie di utensili
(piccole frese o spazzole)
 Bisturi, ablatori, sonde, ecc.

Figura 1.5 – Momento della pulitura mediante l’uso di uno spazzolino.

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1.4.3 Pulitura tramite spazzola
Questo metodo di pulitura si basa sull’azione meccanica, graffiante o abrasiva di fili, setole e
fibre le cui estremità rimuovono la materia presente sulla superficie da pulire.
Le spazzole utilizzabili sono di varia natura, dagli spazzolini in nylon, particolarmente
indicati nel trattamento delle superfici irregolari con depositi coerenti, alle spazzole in acciaio.
Il tipo di spazzola varia in funzione della sostanza da eliminare e del manufatto su cui si
interviene. In particolare, setole in filo di acciaio sono utili per l'assottigliamento di depositi
calcarci, concrezioni e disomogeneità superficiali.
Le spazzole più dure, del tipo a fili metallici, permettono di svolgere un’azione più energica e
più rapida ma meno controllabile. Si corre infatti il rischio di arrivare a incidere e graffiare il
substrato. Il diverso grado di pulitura dipende, pertanto, oltre che dalle caratteristiche della
spazzola, dalla forza impressa con la mano dall’operatore, dalla sua perizia e dallo stato di
consistenza del supporto e di ciò che si vuole rimuovere. Le spazzole sono utilizzate anche
per integrare altri tipi di pulitura, sia meccanica sia chimica, soprattutto in presenza di depositi
coerenti.
I principali tipi di spazzola sono:

 Spazzole di setole: sono adatte a eliminare strati polverulenti, la loro azione abrasiva
poco incisiva, le rende adatte alle superfici delicate.
 Spazzole di filo d’acciaio: sono utilizzate per assottigliare depositi calcarei, concrezioni,
disomogeneità superficiali.
 Spazzole di filo di ottone: Sono adatte per l’ottone e devono essere a fili molto sottili.

Figura 1.6 – Rispettivamente, una spazzola di filo di acciaio, di ottone e di setole di nylon.

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 Strumenti meccanici: tra gli strumenti di pulitura utilizzati nel restauro classico
possiamo trovare, oltre gli strumenti manuali, gli strumenti elettrici. Vengono utilizzate
spazzole rotanti, montate su un flessibile collegato a un motore dotato di riduttore che
consenta un’adeguata velocità di rotazione. Questo metodo consente un notevole
risparmio di tempo, a condizione che gli strumenti siano usati su superfici in condizioni
di conservazione e con caratteristiche tali da permetterne l’utilizzo. Anche le spazzole
meccaniche vanno usate uniformemente su tutta la superficie, esercitando una lieve
pressione. Il gran numero di accessori che possono essere montati ne permette uno spettro
di azione piuttosto ampio.

Figura 1.7 – Spazzole rotanti in filo di acciaio da montare su elettroutensili.

1.5 Spazzole subacquee


Gli utensili attualmente disponibili sul mercato destinati ad un utilizzo subacqueo sono
caratterizzati da alimentazione pneumatica e, dunque, richiedono necessariamente una fonte
di alimentazione di aria compressa. Di conseguenza questa condizione implica la necessità di
collegamento con l’imbarcazione in superficie. Gli stessi utensili vengono impiegati, oltre che
nell’archeologia subacquea, anche nel lavoro di pulizia per la rimozione del fouling presente
sulle carene e sul fondo delle imbarcazioni, sia di piccole che di grandi dimensioni. La
Stanley è una delle aziende leader nel settore della produzione di attrezzature subacquee, con
una vasta offerta di differenti utensili quasi trapani, carotatori, smerigliatrici angolari e trapani
demolitori. Il modello di riferimento è lo Stanley GR29, una smerigliatrice ad angolo retto che

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può essere utilizzata in applicazioni subacquee per smerigliare e pulire, con la possibilità di
poterla utilizzare con una varietà di mole, spazzole e accessori. È un utensile non troppo
ingombrante, considerata la sua dimensione di 28 cm di lunghezza e 26 cm di larghezza, ma
con un peso di circa 7 kg. La pressione di lavoro varia da 70 bar fino a 140 bar, mentre con
una portata di aria di 12 gpm è in grado di raggiungere i 3200 RPM di velocità di rotazione. Il
modello presenta un classico mandrino filettato da 5/8”, per il montaggio manuale dei vari
accessori [17].

Figura 1.8 – Utensile pneumatico Stanley GR29.

Altra azienda americana produttrice di strumenti subacquei è la “CS Unitec” . Essa dispone di
una produzione diversificata di smerigliatrici idrauliche, proponendo sul mercato 4 modelli
differenti, sia orizzontali che angolari. Si va dallo smeriglio più compatto, nonché molto
simile sia in dimensioni che in prestazioni allo Stanley GR29 precedentemente citato, con un
peso di 6 kg e un numero di giri massimo di 3600 RPM, a quello più ingombrante avente un
peso di circa 8 kg e velocità massima di 7000 RPM. Essi sono finalizzati all’utilizzo su
piattaforme di sartiame, per condurre scavi archeologici sottomarini o eseguire operazioni di
salvataggio in acque profonde [18].

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Figura 1.9 – Modelli di smerigliatori differenti proposti dalla CS Unitec.

Tra le aziende minori produttrici di utensili subacquei troviamo la SMP Ltd impegnata nella
produzione di apparecchiature per immersioni commerciali e camere iperbariche. La
peculiarità del loro smeriglio subacqueo MC111 è l’essere molto compatto, facile da
trasportare, molto maneggevole e facilmente utilizzabile in angoli e nicchie grazie alle sue
dimensioni ridotte. Caratterizzato da una lunghezza di 30 cm, larghezza di 18 cm e un peso di
5 kg, è appositamente progettato per la pulizia di scafi, eliche e propulsori di piccole
imbarcazioni, ma può essere utilizzato anche come smerigliatrice per eseguire piccole
lavorazioni [19].

Figura 1.10 – Utensile pneumatico MC 111.

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Figura 1.11 – Utensile in opera.

Oltre all’offerta di gli smerigliatrici subacquee, sul mercato sono presenti vari produttori di
spazzole, utilizzate prettamente per la pulizia del Bio-fouling di scafi e imbarcazioni. Queste
possono presentare dimensioni molto contenute, nel caso dei modelli per utilizzo manuale,
fino ad arrivare ai kart-brush, strumenti con ingombri sensibilmente maggiori. Questi sono, in
effetti, versioni più grandi degli strumenti portatili ma generalmente sono costituiti da più di
una spazzola di pulizia, così da poter aumentare l’efficienza di lavorazione. Sono inoltre
semoventi: il sub fornisce la direzione, il controllo della velocità e della forza di pulizia
applicata alla superficie dello scafo, mentre lo strumento è spinto dalle eliche o
dall'aspirazione creata dal flusso di acqua che lo attraversa. Anch’essi sono alimentati
idraulicamente, tramite il sistema idraulico della nave di supporto o tramite il pompaggio
dell’acqua di mare e, così come per gli strumenti specifici per l’ambito archeologico, possono
essere dotati di vari tipi di spazzole: in silicone, polipropilene, nylon o acciaio, lame di taglio
o cuscinetti abrasivi [12].

Figura 1.12 – Kart-brush in opera.

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1.5 Analisi dei requisiti dell’elettroutensile
Dall’analisi delle caratteristiche degli strumenti per la pulizia mediante spazzola abrasiva,
attualmente disponibili sul mercato, è stato possibile valutarne quali fossero i punti di forza e
ed i limiti, così da trarne beneficio ai fini progettuali dell’elettroutensile, potendo stabilire i
principali requisiti che lo dovranno caratterizzare.
L’elettroutensile è stato concepito e progettato principalmente ai fini di pulitura di opere
archeologiche presenti in luoghi sommersi, ambienti in cui uno strumento ad azionamento
elettrico potrebbe facilitare e rendere più rapidi gli interventi di restauro.
D’altra parte, l’ambito di utilizzo dello strumento non è relegato alla sola archeologia
subacquea, poiché il dispositivo può essere allo stesso modo utilizzato in ambiti differenti che
richiedano ugualmente un’azione di pulitura superficiale.
I principali requisiti che ha richiesto la progettazione sono stati:
 Impermeabilità - Garantire una tenuta a stagna per evitare infiltrazioni di acqua al suo
interno.
 Inossidabilità - Materiali resistenti alla corrosione, essendo l’utilizzo in ambiente
fortemente corrosivo come l’acqua marina.
 Immersione profonda - Raggiungere profondità subacquee molto elevate, fino al
raggiungimento di 100m sotto la superficie.
 Dimensioni ridotte - Garantire la massima utilizzabilità e comfort sia nel trasporto che
durante le fasi di utilizzo.
 Peso contenuto - Materiali leggeri ma allo stesso tempo resistenti.
 Alimentazione indipendente - Renderlo indipendente da fonti esterne, come
alimentazioni, supporti o collegamenti con la superficie, così da rendere indipendente
l’operatore, garantendo la massima movibilità senza limitare gli spostamenti.
 Utilizzabilità prolungata - Poterlo utilizzare per un tempo prolungato durante
l’immersione senza avere necessità di ritornare in superficie.

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CAPITOLO 2

Progettazione dell’elettroutensile

Una volta stabiliti i requisiti e definite le principali caratteristiche della spazzola, ha avuto
inizio la fase progettuale vera e propria. Questa fase ha tenuto conto non solo dei requisiti
individuati in precedenza ma anche di fattori, quali la corretta progettazione dei sistemi di
tenuta ed vincoli tecnologici della macchine utensili, indispensabili al corretto funzionamento
del dispositivo ed alla produzione dei suoi componenti.
Il layout dell’elettroutensile riprende quello di una smerigliatrice angolare tradizionale, fattore
che garantisce un’adeguata ergonomia e praticità di utilizzo. Alloggiato all’interno del case
principale, il dispositivo è dotato di un motore brushless 1050Kv a 4 poli da 800 W, coppia
massima di … Nm e velocità massima a vuoto di 1500 RPM nella configurazione per la
pulitura e 6000 per quella di taglio. La compattezza di tale tipologia di motore, rispetto ai
tradizionali propulsori brushed, offre la possibilità di ridurre sensibilmente le dimensioni
dell’intero dispositivo.
Grazie al case cilindrico in alluminio anodizzato, robusto e resistente alla corrosione
dell’acqua marina, l’elettroutensile può operare agevolmente sino a profondità di 100 metri
sotto il livello del mare. Il trattamento elettrochimico di anodizzazione, infatti, fa sì che sulla
superficie del materiale venga a formarsi uno strato protettivo di ossido di alluminio, che lo
protegge da attacchi corrosivi.
In aggiunta, il materiale scelto per la costruzione dei case consente un peso contenuto del
dispositivo.
Uno dei punti di maggior forza dell’elettroutensile è, d’altra parte, l’indipendenza da fonti di
alimentazione esterne, essendo dotato di una batteria agli ioni di litio, , montata all’interno di
un case in alluminio, da 18 V, 5 Ah, che garantisce … ore di utilizzo. Oggetto di particolare
studio è stato il sistema di sgancio rapido della batteria che, grazie a particolari connettori,
garantisce la sostituzione della stessa direttamente in acqua. Tutto ciò si traduce in diversi
benefici per l’operatore quali la praticità e libertà di movimento, non essendo vincolato da
cavi o tubi a fonti di alimentazione esterne e la facilità di trasporto sia sulla terraferma che in
ambiente sottomarino.
Altro punto di forza è inoltre la possibilità di cambio utensile in maniera rapida e semplice,
grazie ad un innesto che, non richiedendo l’uso di chiavi o altri strumenti, riduce

18
ulteriormente i tempi morti durante le operazioni, caratteristica molto importante
nell'ambiente subacqueo.

Figura 2.1 – Esploso.

2.1 Sistemi di Tenuta


Tra i requisiti fondamentali per il funzionamento dell’elettroutensile vi era la tenuta stagna
delle superfici di accoppiamento tra i vari componenti. Nel caso di giunzioni statiche, ovvero
dove non è presente moto relativo tra le parti a contatto, è stato possibile utilizzare i
tradizionali O-ring, così da annullare ogni possibile infiltrazione di acqua.
Gli O-ring (OR) sono anelli di materiale elastomerico (comunemente detto gomma), a sezione
circolare usati come guarnizione meccanica o sigillo. Sono progettati per essere inseriti in
appositi alloggiamenti ed essere compressi durante l'assemblaggio di due o più parti, creando
così una guarnizione di tenuta [13]. Grazie alla sua semplice forma geometrica, l’O-ring è la
soluzione più valida ed economica per un gran numero di problemi di tenuta, sia statica che
dinamica. Lo sviluppo avuto dagli elastomeri sintetici e dai polimeri speciali assicura a questa
guarnizione un’efficacia di tenuta praticamente con tutti i fluidi, anche in presenza di
pressione. Possono funzionare sia radialmente che assialmente ed hanno il vantaggio di essere
facili da istallare, disponibili in varie sezioni e lunghezze oltre che economici.

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Figura 2.2 – Tipologie di posizionamento dell’o-ring nel proprio alloggio.

Il loro funzionamento è dovuto al materiale di cui sono formati, che si comporta come un
liquido con alta viscosità così che l’applicazione di una pressione si trasmette praticamente
con la medesima forza in tutte le direzioni all’interno della sezione (legge idrostatica
elementare di B. Pascal). Per garantire una tenuta stagna, un OR deve essere compresso
radialmente, deve cioè avere una interferenza con le superfici in cui è istallato. In particolare,
per effetto della compressione radiale, l’OR reagisce con una forza “z“ (figura 2.3) in
corrispondenza delle zone di contatto “L” con le superfici, alle quali si aggiunge quella
esercitata dal fluido in pressione. Ne risulta una forza globale “Z” che aumenta con il crescere
della pressione “P” del fluido.
Le forze “z” e “Z” e la larghezza “L” delle zone di contatto sono funzioni del diametro “T”
della sezione, della durezza dell’elastomero, della compressione iniziale (funzione dalla
differenza T-D) e della differenza di pressione (P1- P2) [18].

Figura 2.3 – Distribuzione delle forze dell’o-ring all’interno della sede in fase di lavoro.

La compressione minima della sezione dipende dal tipo di applicazione mentre la


compressione massima è limitata dalla longevità dell’OR: una elevata compressione aumenta

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infatti la deformazione permanente della sezione. Indipendentemente dall’aumento della
deformazione permanente, una eccessiva compressione dell’OR in impieghi dinamici dà
luogo ad un elevato attrito e, conseguentemente, ad una maggior abrasione nonché ad un
aumento della temperatura che diminuiscono la vita della tenuta.
È possibile poter donare una vita più lunga all’OR progettando adeguatamente le sedi in cui
alloggerà: in fase di lavoro subirà meno stress adattandosi più dolcemente alle pareti della
sede la cui finitura, inoltre, diminuisce ulteriormente l’usura e prolunga la durata dell’OR
[16]. D’altra parte, se per ragioni di economicità, si vuole rinunciare ad una finitura molto
accurata delle superfici di tenuta, devono essere impiegati OR di minore durezza e deve essere
aumentata la compressione.

Figura 2.4 – Geometria ideale della sede di alloggio dell’OR. La finitura delle superfici riportata è
valida per OR con elevata durezza.
Nelle giunture dinamiche, invece, i classici OR non sono performanti e possono essere
applicati solo nel caso in cui si abbia una velocità relativa non superiore a 0,3 m/s, poiché,
nella fase di rotazione, date le forze d’attrito agenti sullo stesso, si avrebbe una veloce usura e
un deterioramento precoce della guarnizione.
Per ovviare a questa problematica si fa uso di tenute meccaniche costituite da due anelli
striscianti mantenuti in contatto assiale da due forze combinate: una meccanica, generata dalla
presenza di molla/e o da un soffietto metallico, l’altra idraulica, generata dalla pressione del
fluido di processo. Uno degli anelli è definito rotante e ruota solidale con l’albero; l’altro
stazionario è vincolato alla parte fissa della macchina. Per realizzare la tenuta tra anello
rotante e albero e tra anello stazionario e cassa tenuta, sono previste tenute secondarie,
costituite generalmente da O-ring.

21
Per ridurre l’attrito esistente tra gli anelli striscianti è indispensabile prevederne una
lubrificazione. Le facce di strisciamento di una tenuta meccanica sono generalmente
lubrificate dallo stesso fluido di processo o, nel caso di tenute doppie, da un liquido ausiliario.
La stabilità del film liquido determina la maggiore o minore usura degli anelli e quindi la
durata della tenuta [20].

Figura 2.5 – Schema di funzionamento di una tenuta meccanica.

Questa tipologia di tenuta è stata applicata al mandrino della spazzola utilizzando, nello
specifico, il modello Type 2100, prodotto dalla John Crane, adatto a garantire la tenuta stagna
tra l’asse, da 16 mm di diametro, della spazzola ed il relativo case di supporto. Il modello
scelto è una tenuta meccanica a soffietto elastico a molla singola. La scelta è dovuta alle sue
principali caratteristiche che sposano a pieno le esigenze progettuali del dispositivo: può
essere utilizzata in un range di temperatura che va da -40 ° C a 150 ° C, una pressione fino a
20 bar e una velocità limite di 15 m/s [21].

22
Figura 2.6 –Tenuta meccanica John Crane Type 2100.

2.2 Corpo Principale


Il corpo principale della spazzola si compone di 3 case che supportano la meccanica e
garantiscono la tenuta del volume interno.
Il case del motore è un elemento dal layout assialsimmetrico la cui funzione primaria è quella
di alloggiare il motore elettrico, vincolato al case di supporto dell’alberino di trasmissione,
con la relativa scheda di controllo. La sezione, cilindrica in corrispondenza del motore, è
mantenuta a stretto contatto con quest’ultimo, per favorirne la dissipazione del calore verso
l’esterno. Anteriormente la forma è atta ad interfacciarsi con il case di supporto all’alberino.
Tra i due case è presente un O-ring e gli stessi sono connessi tramite viti M4.

Figura 2.7 – Case del motore.

Nella stessa zona il case presenta 3 sedi predisposte ad ospitare elementi elettronici per il
controllo o il monitoraggio del dispositivo. In particolare, una di queste ospita il sensore ad
effetto Hall collegato al tasto traslante, dotato di magnete, che avvia la spazzola. Questo

23
sensore viene istallato su di un tappo dotato di un o-ring radiale Per il corretto funzionamento
del sensore, la cui funzione è quella di rilevare la presenza e l’intensità del campo magnetico,
occorre che l’interfaccia tra sensore e magnete sia di materiale non metallico. Le altre 2 sedi
invece sono state praticate per eventuali sensori futuri, che potranno essere un led di stato e un
tasto per il cambio della velocità di rotazione.
Il lato posteriore del case viene connesso al corpo batteria mediante viti M3.

1 – Case Motore | 2 – Motore | 3 – Supporto sensore Hall | 4 – Tasto Attivazione | 5 – Elettronica di controllo

Figura 2.8 – Vista esplosa componenti interni case motore.

Per ragioni connesse sia alla produzione della parte sia all’assemblaggio e manutenzione dei
componenti interni, la struttura di supporto dell’albero di trasmissione è formata da due
elementi distinti.

Figura 2.9 – Vista esplosa dei case che compongono il corpo principale.

24
In particolare, un primo elemento è destinato ad interfacciarsi con il case motore, tramite una
superficie che ospita l’O-ring per la tenuta stagna. Lo stesso elemento supporta la piastra su
cui è fissato il gruppo motore-riduttore e reca, suo interno, la sede del cuscinetto radiale a
rullini che supporta l’alberino di trasmissione che prende il moto dal pignone in uscita dal
riduttore. Pignone ed alberino hanno assi ortogonali tra loro e realizzano, grazie ad una ruota
calettata sull’alberino stesso, un rapporto di riduzione di 1:3.7. Tre fori filettati sfasati di 90°
presenti sulla superficie esterna del case permettono l’utilizzo di una seconda impugnatura
laterale.

1 – Alberino condotto | 2 – Sede tenuta meccanica | 3 – Sede cuscinetto a sfere | 4 – Pignone condotto
5 – Alberino motrice | 6 – Sede cuscinetto a rullini | 7 – Tasto di blocco | 8 – Pignone motrice
Figura 2.10 – Sezione mostrante il gruppo di riduzione.

25
Figura 2.11 – Sezione mostrante il gruppo di riduzione completo di cuscinetti, tenuta meccanica
e O-ring.
All’estremità esterna dell’alberino di trasmissione viene montato il sistema di sgancio rapido
degli utensili. L’elemento principale del sistema è un manicotto che può scorrere sull’alberino
e su di un inserto avvitato su quest’ultimo. Nelle operazioni di lavoro, la rotazione del
manicotto, mantenuto in posizione da una molla, è bloccata dalla presenza di una coppia di
denti che scorrono in una scanalatura presente sull’inserto. La geometria della zona frontale
del manicotto blocca alla rotazione della flangia di cui è dotata la spazzola il cui scorrimento
assiale è invece bloccato dalle alette dell’inserto avvitato sull’alberino. Facendo scorrere il
manicotto all’indietro, lungo il proprio asse, e successivamente bloccandolo in tale posizione
tramite una breve rotazione in senso antiorario, si permette alla flangia della spazzola di
scorrere assialmente e, così, di poter essere estratta dal sistema di blocco rapido. Inserita la
nuova spazzola, basterà ruotare il manicotto in senso orario così da sbloccarlo e farlo tornare
in posizione di blocco. Questo sistema elimina la necessità di utilizzo di chiavi per svitare o
avvitare manualmente l’eventuale utensile sul mandrino.

26
Figura 2.12 – Esploso sistema di sgancio rapido utensili.

Figura 2.13 – Rispettivamente, sistema di sgancio rapido in sezione completa e parziale, in posizione
libera, in posizione di blocco.

Per utilizzare il sistema di sgancio rapido, nonché per avvitare l’inserto filettato sull’alberino,
è necessario impedire la rotazione di quest’ultimo. A tale scopo, un tasto a molla, presente sul
retro del case, ingrana nei fori presenti sulla corona dentata calettata all’alberino tramite una
linguetta.
Il secondo cuscinetto radiale a sfere, necessario a supportare l’alberino, è alloggiato nella
piastra frontale accoppiata al case precedente tramite viti M4 e dotata anch’essa di un O-ring
radiale per la tenuta stagna. Questo componente inoltre è provvisto della sede per la tenuta
statica della guarnizione meccanica montata sull’alberino.
La sequenza di assemblaggio del blocco di trasmissione prevede:

 Inserimento della tenuta statica della guarnizione meccanica e del cuscinetto radiale nelle
apposite sedi all’interno della piastra frontale;
 Inserimento della tenuta dinamica della guarnizione meccanica sull’alberino di
trasmissione.

27
 Montaggio dell’alberino di trasmissione nella piastra.
 Calettamento della corona dentata sull’alberino tramite relativa linguetta e blocco
dell’assieme tramite anello Seeger.
 Inserimento del cuscinetto a rullini e del tasto di blocco, tramite molla ed anello Seeger,
nelle relative sede presente nel case della trasmissione.
 Montaggio della piastra sul case della trasmissione.

Figura 2.14 – Esploso del sistema di trasmissione.

2.3 Corpo batteria


La presenza della batteria è l’elemento che distingue il dispositivo dall’attuale offerta di
mercato nel settore utensili adatti alla pulitura in ambiente subacqueo, caratterizzati da un
funzionamento idraulico oppure pneumatico. Le batteria agli ioni di Litio, che nella
configurazione attuale è composta da 10 celle da 2,5 Ah ognuna, per una capacità
complessiva di 5 Ah a 18 V, che sono ospitate in una case di alluminio la cui tenuta stagna è
garantita da un O-ring radiale presente sul tappo vincolato al case da 6 viti M3. Il connettore
subacqueo della MacArtney, citato nei paragrafi precedenti, viene fissato sul case mediante un
dado da 1/2". Il volume intorno a questo elemento è stato dimensionato tenendo conto degli
spazi di manovra, presenti nei manuali [22], necessari alle chiavi utili al serraggio del dado
del connettore, posizionato all’interno del case.

28
Figura 2.15 – Spazi minimi di manovra delle chiavi [22].

Figura 2.16 – Tabella per gli spazi minimi di manovra delle chiavi e verifica sul case batteria.

29
1 – Connettore | 2 – Pacco batteria e relativa scheda elettronica

Figura 2.17 – Case batteria e la relativa sezione.

Un particolare e accurato studio è stato dedicato alla progettazione dello sgancio rapido della
batteria, elemento innovativo che permette di inserire e rimuovere il pacco batteria molto
velocemente impiegando l’uso di una sola mano durante la fase di inserimento. Il meccanismo
riprende la geometria cilindrica del corpo principale, in modo tale da interfacciarsi e integrarsi
al su quest’ultimo come se fosse un corpo unico, mantenendo medesimo stile e design.
Il sistema è formato da 4 componenti principali:

 Interfaccia corpo principale: parte fissa, vincolata sul corpo principale della spazzola,
ospitante il connettore elettrico maschio.
 Manicotto: parte mobile che scorre sull’interfaccia del corpo principale che manovra il
sistema di bloccaggio/sbloccaggio del pacco batteria.
 Anello di blocco: parte mobile posta all’interno dell’interfaccia del corpo principale.
 Interfaccia batteria: parte che si inserisce nell’interfaccia del corpo principale. Ospita il
connettore elettrico femmina avvitato al case batteria.

30
Altri componenti impiegati nel sistema di sgancio e necessari al funzionamento dello stesso
sono stati reperiti da catalogo successivamente ad un opportuno dimensionamento. Il sistema
prevede l’utilizzo di:

 3 sfere in acciaio di un diametro di 7 mm;


 6 molle di compressione aventi ognuna un diametro del filo di 0.63 mm, lunghezza a
riposo di 25,5 mm, lunghezza minima a compressione di 8,9 mm, diametro medio di 6,3
mm e una costante elastica di 0,63 N/mm;
 1 Anello seeger esterno per albero da 50 mm di diametro.

Tutti questi componenti sono stati scelti in acciaio inox, essendo elementi a diretto contatto
con l’acqua.

1 – Interfaccia corpo principale | 2 – Sfere | 3 – Molle Anello di blocco | 4 – Anello di blocco


5 – Molle manicotto | 6 – Manicotto | 7 – Seeger | 8 – Connettore maschio | 9 – Interfaccia batteria
10 – Connettore femmina
Figura 2.18 – Esploso sistema di sgancio rapido batteria.

I connettori subacquei risultano interamente annegati nella geometria, così da essere protetti
da eventuali urti durante le operazioni di cambio batteria. Tali connettori presentano 3 pin
sfasati di 120° ed un pin di allineamento che ne garantisce il corretto collegamento. Per tale
motivo, è necessario allineare i due connettori prima del serraggio dei relativi dadi. Poiché il
connettore maschio, presente nell’inserto col corpo principale, è vincolato alla rotazione dalla
presenza di una cava che ne blocca il dado, l’allineamento si esegue serrando lo stesso
nell’inserto col corpo principale, inserendo il connettore femmina nel case batteria, ancora
non provvisto di elemento di interfaccia, ed assemblando la batteria nell’inserto, ruotando in
posizione opportuna il connettore femmina e serrandone il dado. Al fine di non sollecitare
eccessivamente il pin di allineamento del connettore, è stato previsto un sistema di guida che,

31
durante l’operazione di montaggio del case batteria, guida quest’ultima in posizione corretta.
Il sistema è formato da una vite M3 avvitata nell’interfaccia batteria che, al momento del
montaggio del pacco batteria, entra in un’apposita guida ricavata sull’interfaccia col corpo
principale.
Sia l’interfaccia col corpo principale che quella con il case batteria sono dotate di fori di
passaggio dell’acqua, ciò previene la compressione del fluido durante le fasi di montaggio
della batteria o di azionamento del manicotto del sistema di sgancio.
Proprio l’elemento di interfaccia batteria, assialsimmetrico e, dunque, ottenibile per tornitura,
consente di variare forma e dimensioni del pacco batteria modificando solo la geometria del
case. È stata aggiunta poi una cover sul lato superiore dell’interfaccia del copro principale al
fine di unificare il design al resto della spazzola, fissandola con 2 viti M3.

Figura 2.19 – Sistema di scancio rapido.

32
Figura 2.20 – Sistema di sgancio rapido assemblato alla spazzola.

2.3.1 Principio di funzionamento sgancio rapido


Il meccanismo permette di estrarre la batteria agendo su di un manicotto scorrevole mentre,
durante l’inserimento della stessa, è sufficiente introdurre l’interfaccia con il case batteria
all’interno dell’interfaccia col corpo principale, così che il meccanismo blocchi
automaticamente l’innesto.
Il funzionamento del sistema è basato sullo spostamento radiale delle 3 sfere alloggiate in
apposite sedi nell’interfaccia del corpo principale. La forma delle sedi serve ad evitare la
fuoriuscita delle sfere internamente ed, allo stesso tempo, a dare la possibilità, alle sfere
stesse, di sporgere dalle sedi così da bloccare in posizione l’interfaccia della batteria,
inserendosi nell’apposita cava presente sulla stessa.
Lo scorrimento radiale delle sfere è vincolato sia dalla posizione del manicotto che da quella
dell’anello di blocco: quando la batteria è inserita, il manicotto mantiene le sfere in posizione
tale da innestare la cava dell’interfaccia batteria; viceversa, qualora la batteria sia stata
rimossa, l’anello di sblocco mantiene le sfere lontane dall’asse.
Il blocco di fine corsa del manicotto è realizzato tramite un anello Seeger presente
sull’interfaccia col corpo principale.
Si hanno 2 momenti principali di funzionamento:

 Estrazione batteria
Per estrarre la batteria è necessario far scorrere assialmente il manicotto, verso il corpo
della spazzola, e contemporaneamente, rimuovere il case batteria.
Lo scorrimento del manicotto consente, infatti, alle sfere di potersi allontanare
radialmente dall’asse dell’interfaccia col corpo principale e, dunque, di svincolare la cava
presente nell’interfaccia con la batteria. La rimozione di quest’ultima fa sì che l’anello di
blocco, grazie alla spinta di 3 molle, possa avanzare sino ad incontrare le sfere che ne
arrestano la corsa assiale.
L’anello, in questa posizione, si oppone alla spinta radiale delle sfere, causata dalle 3
molle agenti sul manicotto che, dunque, rimane nella posizione originaria. Sarà allora
possibile inserire nuovamente la batteria senza agire sul manicotto.

33
Figura 2.21 – Funzionamento durante l’estrazione della batteria.

 Inserimento della batteria


L’inserimento della batteria fa sì che la relativa interfaccia scorra all’interno
dell’interfaccia del corpo principale sino ad incontrare l’anello di blocco. Questo verrà
allora spinto indietro comprimendo le 3 molle, finché la cava dell’interfaccia batteria
incontrerà le sfere, permettendo a queste ultime di spostarsi radialmente verso l’asse,
sotto la spinta del manicotto, sbloccando il movimento assiale dello stesso, condotto in
posizione di blocco dalle relative molle.

Figura 2.22 – Funzionamento durante l’inserimento della batteria.

34
Figura 2.23 – Spazzola Tech4sea.

35
2.4 Simulazioni statiche dei componenti
Per poter valutare la resistenza dei principali componenti che compongono la spazzola, è stato
ritenuto opportuno condurre delle simulazioni statiche sugli stessi. Tali simulazioni sono state
effettuate utilizzando il pacchetto Simulation di Solidworks. I pacchetto consente di creare
una mesh a partire dalla geometria del pezzo, nonché di definirne tipologia e dimensioni degli
elementi che la compongono. Consente inoltre di impostare carichi, i vincoli, il materiali
utilizzato, e, nel caso di assiemi, la tipologia di connessione tra più componenti. Grazie a
questo strumento è stato possibile ottimizzare la forma e la dimensione dei principali
componenti, garantendone la resistenza in condizioni di utilizzo nelle quali gli stessi saranno
soggetti sia alle sollecitazioni provenienti dall’azione dell’operatore, sia alla pressione
idrostatica dell’acqua.

2.4.1 Analisi statiche case motore


La geometria cilindrica del case del motore lo rende adatto a sopportare sia carichi idrostatici
che sollecitazioni flessionali e torsionali. Al fine di ridurne il più possibile lo spessore e,
dunque, la massa di questo componente, sono state condotte diverse analisi statiche finalizzate
alla valutazione della resistenza meccanica in condizioni di utilizzo. Nello specifico, si è
testata la resistenza del componente alla pressione idrostatica dell’acqua. Dopo aver definito
la mesh, è stato creato il carico agente sul componente attraverso la definizione di una
pressione pari a 20 bar agente sulla superficie cilindrica esterna. L’esito della simulazione ha
evidenziato una tensione massima equivalente di un ordine di grandezza inferiore rispetto a
quella di snervamento del materiale, nonché uno spostamento risultante nell’ordine del
millesimo di millimetro.

36
Figura 2.24 – Simulazione della deformazione statica sul case del motore.
Il case motore è stato oggetto di un’ulteriore analisi statica, necessaria a valutarne il
comportamento quando sottoposto all’azione di spinta dell’operatore. Quest’ultimo, infatti,
può generare un momento flettente sullo strumento attraverso l’impugnatura laterale.La
simulazione è stata lanciata dopo aver vincolato il corpo motore sulla superficie posteriore ed
aver creato un carico remoto, distante 150 mm dall’asse del case ed agente su un asse
parallelo allo stesso, il cui valore è stato posto pari a quello utilizzato durante i test della
EPTA (European Power Tool Association), ovvero 120 N [23].
E’ stato dunque possibile calcolare il valore della tensione massima equivalente, inferiore alla
tensione di snervamento del materiale di ben due ordini di grandezza, nonché l’entità degli
spostamenti, nell’ordine del centesimo di millimetro.
Alla luce dei risultati ottenuti non è stato necessario dover apportare modifiche, mantenendo
invariata forma e spessore al case.

37
Figura 2.25 – Tensioni e spostamenti risultanti dalla simulazione..

2.4.2 Simulazioni statiche tappo case batteria


Essendo caratterizzato da un’ampia superficie piana e da spessori molto ridotti, il componente
maggiormente sollecitato alla pressione idrostatica è il tappo del case della batteria. E’ stato
perciò necessario sottoporre il componente ad una serie di analisi statiche al fine di
ottimizzarne lo spessore in relazione alla resistenza offerta ad una pressione idrostatica di 20
bar.
I risultati delle simulazioni condotte sul primo modello di tappo, caratterizzato da uno
spessore di 3 mm, hanno evidenziato deformazioni eccessive delle superfici piane. Ciò
avrebbe inficiato la tenuta stagna dell’O-ring del case batteria e, dunque, rappresentato un
pericolo per la sicurezza dell’operatore. Per poter ovviare a questa problematica sono state
create alcune nervature sul lato interno del tappo che hanno consentito, come verificato da una
successiva simulazione, di ridurre di un ordine di grandezza gli spostamenti.

Figura 2.26 – Simulazione della deformazione sul tappo, prima e dopo l’aggiunta di nervature.

38
CAPITOLO 3

Prototipazione dei componenti

Dopo aver completato la fase di progettazione attraverso la definizione dei modelli CAD si è
passati alla prototipazione rapida, cioè alla produzione del modello solido utile all’esecuzione
di test di funzionamento per la verifica di eventuali difetti costruttivi o funzionali presenti.
La prototipazione rapida è l’insieme di tecniche ad uso industriale volte alla realizzazione di
un prototipo in tempi brevi e costi ridotti, a partire da una definizione matematica
tridimensionale dell'oggetto, ottenuta tramite i software di modellazione 3D.

3.1 La prototipazione rapida


La prototipazione rapida (RP) si differenzia dalle tecniche tradizionali di lavorazioni
meccaniche, perché mentre queste ultime operano per asportazione di materiale, come nel
caso della fresatrice, le tecniche RP operano su una base concettuale inversa, ossia per
addizione di materiale, con la possibilità di ottenere forme anche molto complesse,
impossibili da realizzare con le lavorazioni tradizionali. A differenza delle tecnologie
sottrattive, la tecnologia della stampa 3D presenta alcuni notevoli vantaggi: queste macchine
sono generalmente più veloci e più semplici da usare rispetto a quelle che sfruttano tecnologie
per la produzione sottrattiva. Offrono inoltre la possibilità di stampare e assemblare parti
composte da diversi materiali con diverse proprietà fisiche e meccaniche in un singolo
processo di costruzione. La stampa 3d si basa sulla considerazione che ogni oggetto è
costituito da tante sezioni di spessore infinitesimo. Il prototipo viene così realizzato sezione
dopo sezione, trasformando il problema da tridimensionale in bidimensionale: gli oggetti sono
ottenuti con progressiva aggiunta di materia [25]. Per questo motivo, la tecnologia RP è anche
definita quale tecnica di produzione per strati o per piani (layer manufacturing).
Le fasi di ciclo della prototipazione rapida si compongono di:
 Generazione del CAD 3D
La fase iniziale prevede la generazione di un modello 3D tramite modellazione solida
mediante software dedicato per tale utilizzo.
 Conversione del modello CAD in STL
Con il temine STL (Standard Triangulation Language) viene indicato il formato grafico
standard utilizzato nelle tecnologie RP. Consiste in una rappresentazione semplificata

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delle superfici interne ed esterne del pezzo tramite elementi triangolari che per
definizione sono piani. Quindi, dopo aver convertito il file da CAD 3D a STL, è possibile
inviarlo alla macchina per iniziare la fase preliminare di stampa.
 Orientamento per la generazione di supporti
Prima di partire con la stampa vera e propria bisogna stabilire il posizionamento del
pezzo, poiché il suo orientamento è strettamente connesso alla qualità finale, al tempo di
stampa ed alla quantità di materiale impiegato per la realizzazione. Qualora siano presenti
sporgenze, le strutture di supporto hanno il compito di sostenere gli strati durante la fase
di stampa. Pertanto un'accurata scelta dell'orientamento è importante sia per la finitura
superficiale, sia per ridurre i tempi di lavoro della macchina. Questa fase, d’altronde, non
è necessaria per ogni tipo di stampa, ma dipende solo dalla tecnologia impiegata.
 Esecuzione di slicing
E’ ultima fase preliminare ed è comune a tutte le tecnologie. Consiste nell’intersezione
del modello completo di supporti con una serie di piani la cui normale è parallela alla
direzione di costruzione, per ottenere le singole sezioni che distano di ∆s variabile tra
0.05 e 0.5mm. Quindi, questa operazione determina la risoluzione del modello lungo
l’asse z. La risoluzione scelta genera un errore, noto come staircase (effetto a scalino),
dovuto alla costruzione di sezioni di spessore finito che determinano la rugosità
superficiale del pezzo più o meno accentuata.
 Stampa delle sezioni
Nella fase di stampa viene generato l’oggetto attraverso la deposizione progressiva e
sovrapposta di materiale, strato per strato. Essa può durare diverse ore in funzione delle
dimensioni dell'oggetto e dei parametri di lavorazione scelti.
 Rimozione di supporti
Una volta completata la stampa è necessario rimuovere l'oggetto stampato dalla macchina
e liberarlo dal supporto o dal materiale in eccesso.
 Pulizia e finitura
Dopo la rimozione dei supporti si possono operare ulteriori finiture. Queste possono
essere semplici, nel caso in cui si tratti di rimuovere dal prototipo le polveri in eccesso, o
leggermente più complicate, in base alle tecnologie di stampa utilizzate: per alcune è
necessario ricorrere a un'idropulitrice per rimuove il liquido di supporto. In altri casi si

40
può procedere a un miglioramento delle superfici ricorrendo all'impiego di carta abrasiva
o verniciatura [24].

3.1.1 Metodi di stampa 3D


Esistono diverse tecnologie per la stampa 3D: alcuni metodi usano materiali che vengono
sinterizzati o fusi strato dopo strato, mentre altri depongono materiali liquidi che vengono fatti
solidificare con tecnologie diverse. Nel caso dei sistemi di laminazione, inoltre, strati sottili di
materiale vengono tagliati secondo la forma voluta ed uniti insieme. Ogni metodo ha vantaggi
e limiti in relazione a fattori quali la velocità di stampa del prototipo, il costo del prototipo
stampato, il costo della stampante 3D e la scelta dei materiali.
Tra i principali metodi utilizzati nella stampa 3d possiamo trovare:

 Stampa ad estrusione di materiale: denominata commercialmente come FDM (Fused


Deposition Modeling) o FFF (Fabbricazione a Fusione di Filamento), è la tecnologia di
stampa 3D maggiormente diffusa, in cui la composizione dell'oggetto avviene tramite un
ugello per la deposizione ordinata di materiale polimerico fuso, solitamente fornito in
bobine di filo. L'ugello è riscaldato per poter fondere il materiale e può essere spostato su
tre assi da un meccanismo di controllo numerico, comandato direttamente da un software
CAM. Come materia prima viene utilizzato un filamento termoplastico con un basso
punto di fusione che, srotolato dalla bobina, è condotto all’ugello di estrusione dove il
materiale fuso viene depositato in filamenti molto sottili, uno strato sull’altro, fino a
formare il modello completo. Al termine della produzione si renderà,
eventualmente,necessario asportare i supporti generati. Possono essere impiegati vari
polimeri tra cui acrilonitrile butadiene stirene (ABS), policarbonato (PC), acido
polilattico (PLA), polietilene ad alta densità (HDPE), polisolfone (PPSU) e polistirene
ad alto impatto (HIPS).

Figura 3.1 – Sistema di stampa FDM o FFF.

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Figura 3.2 – Esempio di stampante FDM o FFF.

 Stampa per sinterizzazione delle polveri: l’SLS (Selective Laser Sintering), SLM –
(Selective Laser Melting) o DMLS – (Direct Metal Laser Sintering) è un processo in cui
particelle microscopiche di materiale sono esposte ad un laser di elevata potenza che le
fonde insieme per formare il modello solido. La polvere viene inizialmente rilasciata su
una piattaforma, per creare uno strato di circa 0,1 mm di spessore, per poi essere colpita
dal laser che la fonde in uno strato compatto. Le polveri non sinterizzate sul piano
costituiscono il supporto per gli strati successivi, fino alla realizzazione dell’oggetto
completo: tra i vantaggi di tale sistema vi è proprio la mancanza di strutture di supporto.
Al termine della lavorazione l’oggetto viene rimosso e separato dalle polveri non
sinterizzate che, in parte o totalmente, possono essere riutilizzate.
a tecnologia di stampa a sinterizzaione può essere utilizzata sia per la realizzazione di
prototipi estetici, con elevati livelli di finitura, sia per produrre oggetti funzionali, intempi
molto rapidi. La particolare tecnologia della sinterizzazione consente l’utilizzo di diversi
materiali, solitamente miscelati al nylon, con i quali si ottengono oggetti con diverse
caratteristiche di robustezza, elasticità e resistenza alle temperature.

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Figura 3.3 – Sistema di stampa SLS o SLM.

 Stampa per fotopolimerizzazione: SLA (Stereo Lithography Apparatu) DLP (Digital


Light Processing) è stata la prima forma di prototipazione rapida, nata dall’idea di Chuck
Hull, fondatore di 3D Systems, nel 1986.
Un laser, grazie ad un processo di fotopolimerizzazione, solidifica una resina liquida,
composta da polimeri epossidici, versata in una vasca all’interno della macchina, nei
punti previsti dal modello 3D. Dopo aver rimosso la resina in eccesso, il piatto di stampa
si abbassa per consentire la creazione di una nuova sezione, fino ad ultimazione del
processo. Successivamente, il prodotto così ottenuto viene inserito in un forno a luce
ultravioletta per terminare il processo di polimerizzazione. La stereolitografia garantisce
risultati molto precisi e con ottime finiture superficiali ma con proprietà meccaniche
dei materiali inferiori rispetto agli altri processi. Macchinari e materie prime
utilizzati sono parecchio costosi ma la impareggiabile qualità superficiale ottenibile e
la possibilità di realizzare anche oggetti di grandi dimensioni le consente di essere
ancora una delle tecnologie più utilizzate soprattutto per realizzare matrici per stampi
al silicone [25].
La tecnologia DLP e quella SLA sono molto simili, ma la prima utilizza, per la
polimerizzazione di una resina liquida contenuta in una vasca, una luce di proiettori LED
o LCD. Questo processo si completa procedendo per strati dal basso, con un
innalzamento del piatto di poche decine di micron. Il processo viene reiterato sino al
completamento del modello. Il materiale liquido in eccesso è poi drenato dalla vasca,
lasciando il modello solido.

43
A differenza delle macchine stereolitografiche, le stampanti 3D che utilizzano la DLP,
possono essere molto più economiche ma, d’altra parte, non raggiungono ancora gli
elevati standard di precisione e qualità della SLA.

Figura 3.4 – Sistema di stampa SLA o DLP.

3.2 Prototipo 1.0


Il primo prototipo è stato ottenuto ricorrendo, per la produzione di alcuni componenti, all’uso
della stampante 3D presente nel laboratorio del dipartimento, altre parti invece, sono state
fabbricate direttamente in alluminio, con macchine utensili per fresatura e tornitura.
Nello specifico, i principali componenti oggetto di stampa sono stati gli elementi che
compongono il sistema di sgancio rapido della batteria e il sistema di gancio dell’utensile. La
produzione di prototipi in materiali polimerico, per i componenti del sistema di sgancio
batteria, è stata necessaria alla luce delle numerose parti mobili che lo compongono, il cui
corretto accoppiamento è fondamentale al buon funzionamento del meccanismo. Al contrario,
i componenti destinati al solo supporto della meccanica, quali il corpo principale e i vai case
che lo compongono, sono stati ricavati per asportazione di truciolo mediante fresatura e
tornitura. Per la realizzazione del sistema di aggancio rapido degli utensili si è scelto, inoltre,
di utilizzare la stampa 3D per metalli.

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Figura 3.5 – Corpo principale realizzato per fresatura.

I prototipi sono stati ottenuti mediante la stampante Eos Formiga P 110 a tecnologia a
sinterizzazione selettiva tramite Laser, metodo precedentemente descritto, avente un volume
di stampa dalle dimensioni di 200 mm x 250 mm x 330 mm, velocità di stampa di 20 mm/h ed
uno spessore minimo del layer di 0,06 mm.

Figura 3.6 – Formiga P 110.

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Sono state utilizzate delle polveri di nylon, PA 2200, per la produzione delle parti del sistema
che compone lo sgancio rapido della batteria, mentre sono state impiegate polveri di acciaio
inox per la produzione dello sgancio rapido degli utensili. La differenza di impiego di
materiale è dovuta alla funzione che svolgono i due componenti poiché il sistema di sgancio
degli utensili, essendo un componente strutturale direttamente connesso all’alberino che
trasmette il moto all’utensile, subirà sollecitazioni tali da richiedere, già in fase prototipale,
l’utilizzo di un materiale con adeguata resistenza meccanica.

Figura 3.7 – Sgancio utensile prototipato con polveri di acciaio inox.

Definite le parti da prototipare, si è passati alla preparazione del file di lavoro da inviare alla
stampante. In questa fase , a partire dal modello CAD, viene creato il file in formato STL
necessario all’elaborazione del processo da parte del software di stampa. Quest’ultimo
consente di gestire il volume di lavoro ottimizzando la disposizione dei vari componenti,
nonché il loro orientamento, al fine di ottenere risultato di stampa ottimale sia dal punto di
vista della precisione dimensionale e geometrica, sia dal punto di vista della finitura
superficiale. Viste le dimensioni contenute dei componenti, è stato inoltre possibile inserire
nello stesso volume di stampa altri elementi appartenenti ad un altro utensile, riducendo il
tempo totale di produzione, risultato in circa 9 ore per il solo processo di stampa.

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Figura 3.8 – Software per la gestione del volume di stampa.

Terminata la fase di stampa e permesso un adeguato raffredamento al materiale, i componenti


sono stati rimossi dal blocco di polvere eliminando il materiale non sinterizzato che sarà poi
setacciato e riutilizzato. In questa fase si è fatto uso di spazzole ed aspitatori.

Figura 3.9 – Rimozione delle polveri superficiali mediate l’utilizzo di spazzole.

L’utilizzo di una sabbiatrice, macchina utensile con cui viene eroso lo strato superficiale del
materiale sottoposto al trattamento, tramite l’abrasione di un getto di sabbia ed aria ha
consentito, in ultimo, di rimuovere dalla superficie dei componenti gli strati di polvere ancora
presenti.

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Figura 3.10 – Componenti dello sgancio rapido dopo la finitura.

Figura 3.11 – Prototipo sgancio rapido assemblato.

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Terminata la fase di finitura superficiale, si è passati al controllo delle dimensioni dei
componenti finiti, per la valutazione degli scostamenti rispetto alle dimensioni di progetto. In
particolare, sono statie verificate le dimensioni del sistema di sgancio rapido della batteria,
caratterizzato dalla presenza di superfici di scorrimento le cui tolleranze dimensionali e
geometriche avrebbero potuto pregiudicare il funzionamento del meccanismo.

Figura 3.12 – Misure nominali di progetto.

Figura 3.13 – Misure rilevate sul prototipo.

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3.2.1 Assemblaggio pacco batteria
Una volta completata la fase di prototipazione, è stato possibile assemblare le varie parti che
compongono lo sgancio rapido della batteria, al fine di testarne il funzionamento.
La sequenza di assemblaggio prevede:

 Fissaggio del connettore maschio all’interfaccia del corpo principale mediante dado;
 inserimento delle molle interne all’interfaccia con successivo inserimento dell’anello;
 inserimento delle sfere nelle apposite sedi;
 posizionamento delle molle e inserimento del manicotto;
 bloccaggio del manicotto mediante anello seeger;
 fissaggio dell’interfaccia alla batteria;
 serraggio della vite guida sull’interfaccia della batteria;
 fissaggio del connettore femmina al corpo batteria con annesso allineamento al
connettore maschio.

Nei test riguardanti il funzionamento del meccanismo sono state riscontrate alcune
problematiche che, vista l’importanza del componente, ne hanno richiesto una parziale
riprogettazione.
In particolare, le tolleranze di lavorazione ottenute hanno generato un gioco eccessivo
dell’accoppiamento tra anello di blocco e superficie interna dell’interfaccia corpo principale.
Questo, unito allo spessore ridotto dell’anello, ha portato a difficoltà nello scorrimento assiale
dello stesso causato dal disallineamento con l’asse dell’interfaccia.

Figura 3.14 – Errore di disallineamento dell’anello di blocco.

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Inoltre, durante la fase di innesto del pacco batteria, le molle dell’anello hanno subito una
deformazione del proprio asse, non essendo sufficientemente supportate durante la
compressione generata dall’arretramento dell’anello di blocco e, dunque, portando ad una
rotazione di quest’ultimo. Allo stesso modo, è stato riscontrato un cattivo scorrimento, sempre
durante la compressione, delle molle di precarico del manicotto, all’interno delle relative
sedi.

3.3 Prototipo 2.0


Dalle problematiche riscontrate dai test di funzionamento è stato opportuno compiere una
riprogettazione parziale delle parti ai fini correttivi, affinché si potesse avere il completo
funzionamento del sistema.
Per poter ovviare alla problematica dovuta al disassamento delle molle in fase di
compressione, una possibile soluzione è stata individuata nella progettazione di due nuovi
anelli, dotati di alberini di supporto per le stesse, inseriti rispettivamente all’interno del
manicotto ed all’interno dell’interfaccia col corpo principale.
[IMMAGINE ANELLI CON ALBERINI]

Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’anello di blocco, è stato inspessito così da facilitarne
l’allineamento con l’asse di scorrimento. Lo spessore è stato sfruttato inoltre per la
realizzazione di 3 cave in cui si inseriscono gli alberini di supporto delle molle.

Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’anello di blocco, è stato inspessito così da facilitarne
l’allineamento con l’asse di scorrimento. Lo spessore è stato sfruttato inoltre per la
realizzazione di 3 cave in cui si inseriscono gli alberini di supporto delle molle.
[IMMAGINE NUOVO ANELLO]

L’analoga soluzione, adottata per le molle del manicotto, necessita della presenza di 3 fori
passanti ricavati sullo spallamento dell’interfaccia col corpo principale.
[IMMAGINE]

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