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L’ITALIA GIOLITTIANA

PRIMA DI GIOLITTI
L’ottocento si era chiuso all’insegna della crisi economica e del disastro sociale. Le masse erano ancora
escluse dal voto e i lavoratori erano spesso vittime di soprusi e prepotenze. Il malcontento suscitò
manifestazioni di piazza che spaventarono la borghesia di un tentativo di rivoluzione.

Dopo Francesco Crispi, il capo del governo divenne Antonio di Rudinì, assunse una posizione reazionaria;
nel maggio 1898 il generale Bava Beccaris ordinò all’esercito di sparare sulla folla, che scese in piazza a
Milano per protestare contro il rincaro del pane. Il generale ricevette un’alta onorificenza del re Umberto I
di Savoia. A quel punto si fece più decisa l’opposizione politica al governo. Nel 1892 era nato il Partito
socialista italiano con leader Andrea Costa, Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Questo partito era diviso in
due correnti: i riformisti che volevano migliorare la vita dei lavoratori tramite la democrazia, le elezioni ed
il voto, e i massimalisti che miravano alla rivoluzione. Turati condusse la sua politica riformista, evitando di
intraprendere la strada rivoluzionaria, Non esitò ad avviare un confronto con il governo e Giolitti (il capo)
così il partito divenne un moderno partito di massa.

INIZIA L’ETA’ GIOLITTIANA


Molto attivi e violenti erano gli anarchici, che nel 1900 uccisero il re Umberto I di Savoia per vendicare i
morti di Milano. Il gesto di Bresci gettò l’Italia sull’orlo della guerra civile, scongiurata da Vittorio
Emanuele III che chiamò a presiedere il nuovo governo Zanardelli che stemperò le tensioni. Tra i ministri,
Zanardelli, chiamò anche Giolitti che nel 1903 divenne capo del governo, fino al 1914 (ETA’ GIOLITTIANA).

Prima di diventare presidente del Consiglio, Giolitti era stato coinvolto nello scandalo della Banca Romana
e fu attaccato con grande asprezza. A quei tempi, i governi liberali dovevano raccogliere le maggioranze
necessarie in Parlamento, perciò Giolitti fu accusato di CLIENTISMO e di essere TRASFORMISTA.

Nonostante le critiche, Giolitti seppe realizzare importanti riforme sociali, non ebbe timore di dialogare
con i socialisti e fece rientrare i cattolici nella vita politica dell’Italia unita.

Tra i caratteri principali dell’età giolittiana, vi è il “decollo” dell’industria italiana rafforzatesi specialmente
nel “triangolo industriale” (Milano-Torino-Genova). Grazie ai nuovo impianti idroelettrici, potevano
svilupparsi le industrie chimiche, agro-alimentari, meccaniche e automobilistiche. Per agevolare l’industria,
Giolitti NAZIONALIZZO’ le ferrovie, nacquero le ferrovie dello Stato.

Nel Sud, fu costruito il complesso industriale di Bagnoli e l’acquedotto pugliese. Il sud rimase
economicamente arretrato poiché meridionali non investivano il denaro per migliorare i loro vasti terreni.
L’Italia era però ben lontana dal livello di sviluppo dei Paesi più progrediti. Lo dimostra l’emigrazione che
spostò circa 13M di persone a trovare fortuna all’estero, in particolare nelle Americhe e nei Paesi ricchi
Europei.

LE RIFORME SOCIALI DI GIOLITTI


L’età giolittiana fu segnata anche da importanti riforme sociali: Giolitti accettò le associazioni dei lavori,
come la CGL (1906), una “rete” di sindacati attivi soprattutto nelle fabbriche. Lo sciopero è stato
legittimato dal codice penale italiano solo nel 1899; prima di Giolitti il movimento operaio non poteva
opporsi alla borghesia industriale, né al governo. Giolitti evitò di utilizzare la forza per impedire gli scioperi
e per difendere gli interessi degli imprenditori: i suoi governi erano neutrali utilizzando trattative per
trovare un accordo. Nel 1904 entrarono in vigore leggi sul lavoro, donne, ragazzi, per sostenere
l’invalidità, la vecchiaia dei lavoratori e si dedicò particolarmente alle scuole. La riforma elettorale del
1912, allargò il diritto di voto a tutti i cittadini maschi. Il grande merito storico di Giolitti è stato quello di
allargare la partecipazione alle masse popolari. Il movimento dei lavoratori potò crescere e maturare in
senso democratico, anche grazie le assecondazioni di Turati. L’allargamento del suffragio generò il rischio
che il corpo elettorale desse la vittoria ai socialisti. Come contromisura, Giolitti cercò un accordo con i
cattolici. A quell’epoca era in vigore il divieto per i cattolici. A quell’epoca era in vigore il divieto per i
cattolici di partecipare alla vita politica dell’Italia unita, divieto già stato superato dai deputati cattolici eletti
tra le file del Partito liberale. Nel 1913 fu fondata l’Unione elettorale cattolica, presieduta da Gentiloni
che stipulò un accordo con Giolitti, in base al quale gli elettori cattolici s’impegnavano a sostenere i
candidati liberali contrari a misure anticlericali e alle leggi ostili alla Chiesa. Giolitti riuscì a ottenere una
larga maggioranza di deputati. Nel 1919, i cattolici fondarono il movimento politico chiamato Partito
Popolare.

LA GUERRA DI LIBIA E LA FINE DEL GIOLITTISMO


L’Italia, stimolata dalla propaganda nazionalista, incitava il governo a un atto di forza e alla conquista di
nuovi territori. L’Italia era una “nazione proletaria”, la sua ricchezza sta nella popolazione: infatti si era
registrato un BOOM DEMOGRAFICO e la conquista coloniale poteva aiutare a dirigere altrove l’eccedenza
di abitanti.

Giolitti considerò l’idea di conquistare la Libia, soggetta all’impero-ottomano. La guerra fu molto difficile
(1911-1912) perché i libici opposero una strenua resistenza, ma comunque riuscirono ad occupare l’area
costiera assieme a Rodi ed altre isole greche. Il trattato di pace firmato nel 1912 a Losanna assegnava il
possesso della Libia al Regno d’Italia, zona povera e sabbiosa. La guerra coloniale lasciò negative
conseguenze sulla politica interna: durante il Congresso di Reggio Emilia, i massimalisti costrinsero Turati
alle dimissioni, e nelle elezioni del 1913, la maggioranza dei seggi erano ostili al riformismo giolittiano,
quindi la guida passò ad Antonio Salandra. I nazionalisti divennero più aggressivi e si scontrano con i
socialisti, massimalisti e anarchici. Seguirono violenti moti di piazza che spaventarono l’opinione pubblica
e indussero il governo a muovere l’esercito contro le manifestazioni. Finì così la stagione del giolittismo.

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