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5 – GIORGIO BASSANI

GIORGIO BASSANI
VITA
Il suo nome è legato alla città di Ferrara. È nato a Bologna nel 1916 da una ricca famiglia ferrarese di origine ebraica. A Ferrara trascorre
gran parte della sua infanzia e della sua giovinezza e qui è legata anche la sua fama di scrittore. A causa della sua origine ebraica e
della sua dichiarata posizione antifascista subì un arresto durante il periodo del Regime fascista e venne scarcerato dopo l’8 settembre
del 1943. Dopo essere stato scarcerato si trasferisce a Roma e si unisce al movimento di Resistenza. Sempre qui tenta la via del cinema
e lo fa sia come attore che come sceneggiatore (occupazione concreta).

Dopo la Liberazione, Bassani si avvicina al Partito Socialista. Inizia a collaborare con diverse testate culturali e inizia anche ad insegnare.
Morto nel 2000, negli ultimi anni si è contraddistinto soprattutto per posizioni ecologiste (è stato anche Presidente di Italia Nostra).

OPERE
Ha esordito durante la guerra (nel ’40) con Una città di pianura e siccome in Italia sono state già emanate le Leggi Razziali non può
pubblicare con il suo nome e lo pubblica con lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Poi pubblica una serie di raccolte poetiche finché
negli anni ’50 comincia a lavorare su Il romanzo di Ferrara, costituito da 6 volumi che escono tra il 1956 e il 1972. Questi, possono
essere letti autonomamente, anche se in 3 di questi volumi ci sono dei personaggi ricorrenti e lo stesso protagonista (in periodi diversi
della sua vita).

1. CINQUE STORIE FERRARESI (DENTRO LE MURA) → uno dei pochi esempi di narrazione in terza persona. Ci sono dei
protagonisti che vengono raccontanti in terza persona e di conseguenza non è possibile assimilarli a Bassani, anche se proietta
su alcuni di loro dei tratti autobiografici.

2. GLI OCCHIALI D’ORO → un romanzo in cui fa la sua comparsa l’io narrante. Raccontato in prima persona da un narratore che
non ha un nome che però spesso viene assimilato all’autore (anche se c’è di fatto). Racconta il momento di passaggio da
prima a dopo le Leggi Razziali.

3. GIARDINO DEI FINZI-CONTINI → romanzo più famoso che è diventato un bestseller di cui esiste anche una versione
cinematografica girata da Vittorio De Sica, che scontentò Bassani perché decide di cambiare il finale del romanzo.
Troviamo lo stesso io narrante del secondo volume però si tratta di due momenti diversi della sua vita. Ha delle parti che sono
ambientante prima, nella giovinezza dello scrittore, e il nucleo centrale della narrazione è ambientato a seguito
dell’emanazione delle Leggi Razziali perché il Giardino dei Finzi-Contini diventa il luogo che ospita dei giovani ebrei che non
possono più giocare nel circolo di tennis cittadino.

4. DIETRO LA PORTA → romanzo di formazione. In questo caso Bassani fa un passo indietro: troviamo comunque lo stesso
protagonista ma tra i banchi di scuola. Per lo più è una storia adolescenziale.
Il secondo, terzo e quarto volume possono essere letti come se fossero un nucleo compatto perché di fatto abbiamo lo stresso
protagonista e delle comparse che ritornano.

5. L’AIRONE → ambientato non a Ferrara ma nelle valli lì intorno. Torna la terza persona: racconta le vicende di un personaggio.

6. L’ODORE DEL FIENO → unica opera che non ha un’organicità: sembrano una serie di scritti sparsi.

Si chiama Il romanzo di Ferrara perché l’ambientazione è prettamente la cittadina ferrarese e l’autore trasforma quest’ultima in una
sorta di microcosmo di tutte le contraddizioni dell’Italia fascista. Quello che gli preme raccontare è soprattutto l’adesione della
borghesia al Fascismo (non necessariamente esplicita), ad esempio nel modo in cui tutti si adeguarono alle Leggi Razziali. Inoltre,
anche il modo in cui chi aderì al Fascismo riuscì poi a riciclarsi nel secondo Dopoguerra: riuscì a far dimenticare in un certo senso le
proprie responsabilità e a reinserirsi come se niente fosse nella comunità cittadina.

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“CINQUE STORIE FERRARESI: UNA LAPIDE IN VIA MAZZINI”


In questo racconto risulta preponderante il “… rimpianto del piccolo borghese ebreo di non essere un piccolo borghese qualsiasi e il
suo sforzo terribile di sembrare tale” (Pasolini).

È la storia di un superstite dei campi di concentramento, Geo Jozt, che torna a Ferrara. La città sta affiggendo una lapide
commemorativa degli Ebrei morti nei campi di concentramento e vede su questa il proprio nome. Fa immediatamente presente
l’errore suscitando anche una certa reazione stizzita da parte del muratore (che ci ha lavorato tutta la mattina). Quello che stupisce
tutti i cittadini presenti è l’insolita grassezza del protagonista. Tutti iniziano a insinuare che non fosse stato davvero lì e iniziano ad
additarlo.

Torna a Ferrara ma non ha più nessuno perché tutti i parenti sono stati deportati e uccisi. Si ritrova quasi solo se non per un parente,
fedele sostenitore del Fascismo. Questa è la premessa per capire quali siano le sue difficoltà nel reinserirsi nuovamente.
Prova a riappropriarsi della sua casa ma è stata occupata dal Lampi e dal Comitato di Liberazione. Gli viene ritagliano uno spazio molto
marginale in questa casa sul granaio: si trova ad essere ospite a casa propria. Aveva un’attività familiare che è stata nel frattempo
dismessa.

Il racconto è incentrato sulla difficoltà del superstite a tornare ad una vita normale (che non riuscirà a fare). Prova a tornare alla
normalità ma subito gli viene impellente raccontare i fatti straordinari che gli sono capitati ma si trova di fronte a degli interlocutori
che sono del tutto disinteressati e sordi perché tutti vogliono ricominciare e nessuno ha più voglia di ascoltare quelle storie.

PARTE I
La voce narrante utilizza il discorso indiretto libero: si fa quasi sempre portavoce della comunità cittadina che assiste a questo ritorno
(pag. 87 “… enormemente, assurdamente grasso …”: restituisce lo stupore dei presenti).

Subito si fa strada una domanda che ritornerà spesso nel racconto: “… che cosa voleva, che cosa pretendeva …” (pag. 88). Il suo ritorno
è immediatamente percepito come un elemento di disturbo: non solo per la lapide, ma anche perché la città vuole dimenticare e il
protagonista diventa una sorta di testimone ambulante che vuole raccontare a tutti le proprie tragedie.
In tutta la parte ricorre lo stupore per la sua grassezza.

PARTE III
Si stabilisce nel granaio e il paradosso è che, sebbene si trovi a casa sua, viene percepito come una seccatura. Viene definito “l’ospite
della torre” perché non esce mai di casa e manifesta la sua presenza attraverso una luce perennemente accesa che inizia ad essere
percepita come una presenza inquietante. La presenza del lume costante sembra quasi un monito per gli altri: «Non dimenticate quello
che mi è capitato».

Emerge la volontà del protagonista di raccontare a tutti quello che gli è capitato (anche alla sua famiglia). Inizialmente la comunità
cittadina sembra essere disposta ad accogliere questo racconto, se non altro per cortesia, ma poi si stancano.

Un altro elemento che viene accolto con stupore è il fatto che l’unica persona con cui Josz sembra aver voglia di rilegare è il cognato
del padre, che è stato uno dei più fedeli seguaci del Fascismo.

PARTE IV
Contiene uno degli episodi che determina la seconda emarginazione del protagonista (dopo le Leggi Razziali).
Se è arrivato con il fisico grasso ora, secondo il senso comune, non ha neanche il fisico per fare il superstite perché anziché mettersi in
forze piano piano si svuota fino a diventare quasi un cadavere. Viene stabilito un rapporto quasi inversamente proporzionale tra lui e
la città (che sembra una persona). La città “ingrassa”, riacquista le sembianze che aveva prima della guerra e per di più ci sono anche
i primi segnali del boom economico, per cui il protagonista appare inadeguato sia prima che dopo il suo arrivo.

Incontra il Conte Scocca, uno dei Fascisti, e lo prende a schiaffi. Questo viene considerato incomprensibile per tutti gli altri: diventa
fonte di pettegolezzi per tutta Ferrara e iniziano a circolare diverse versioni dell’episodio e diverse spiegazioni considerando anche il
fatto che il protagonista ha un carattere abbastanza mite. Il conte viene definito “un’innocua macchietta” perché si potevano ancora
distinguere in lui gli aspetti tipici del Fascismo però in fondo era un personaggio folcloristico e quindi prenderlo a schiaffi non avrebbe
avuto senso. Si scopre anche che lui collaborò anche con la Polizia segreta fascista e quindi contribuì alle deportazioni: quindi può
essere considerato un responsabile della deportazione del protagonista e della sua famiglia.

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Le uniche versioni che forse rendono giustizia sono quella centrale e la terza, anche se quest’ultima, per come viene raccontata (dal
punto di vista della comunità cittadina), sembra comunque voler porre l’accento sull’assurdità del comportamento del protagonista
(da pag. 110):
1. La prima versione dice che il Conte Scocca era fermo all’angolo senza far nulla; Geo si avvicina e all’improvviso, preso da una
ferocia incomprensibile, comincia a schiaffeggiarlo. Il conte viene definito “povero conte”: totale assoluzione di questa figura.
2. La seconda versione è più responsabilizzante per il conte perché dice che il conte stesse cantando una canzone fascista; Geo
lo sente e quel punto gli dà gli schiaffi.
3. La terza versione dice che il Conte si era avvicinato a Geo e gli aveva chiesto dei suoi parenti. Geo evidentemente la ritiene
una provocazione insostenibile e gli dà due sberle.
Tutto questo viene raccontato come se il comportamento di Geo fosse assurdo e incomprensibile.

PARTE V
Decide di rindossare i panni con i quali era arrivato a Ferrara nell’agosto del ’45 e questo viene giudicato incomprensibile da parte
degli altri. Essendo dimagrito molto gli vanno molto larghi. Se inizialmente i suoi atteggiamenti vengono recepiti come segni di
eccentricità, ora comincia a spaventare gli altri.

Il protagonista voleva solo un pubblico che lo ascoltasse e che gli consentisse di superare, attraverso il suo racconto, la propria vicenda.
Passano 3 anni e la sua figura diventa via via più desolata e lacera e vengono nominati alcuni luoghi simbolo dell’Italia del boom
economico. Lui si presenta lì fuori e l’unico obiettivo è raccontare la sua storia, solo che nessuno voleva ascoltarlo.

Viene raccontato un altro episodio chiave: momento in cui decide di fare irruzione durante l’inaugurazione di una balera vestito da
deportato e inizia a mostrare le foto di tutti i suoi parenti morti (pag. 118). La voce narrante assume il punto di vista dei ferraresi che
vogliono dimenticare e quindi la definizione di questo luogo è “formidabile”, ma lo stesso luogo può turbare il protagonista in quanto
è stato collocato in un posto che doveva avere un valore memoriale dal momento che sono stati fucilati 5 componenti del Comitato
di Liberazione Nazionale Clandestino. Pertanto, anziché diventare un luogo di rilevanza storica, diventa una discoteca.

C’è un contrasto netto tra il personaggio completamente ancorato al suo passato e Ferrara, tutta tesa al benessere e che vuole
guardare oltre. C’è quasi un tentativo di Geo di tenere Ferrara ancorata a un passato scomodo (anche contraddittorio).

Alla fine di questa parte, anche i circoli cittadini iniziano a espellere Geo perché risulta insopportabile. Il protagonista decide di
abbandonare Ferrara. Vengono fatte una serie di ipotesi su dove possa essere andato; da una parte c’è una reazione sollevata (perché
si liberano di lui) e dall’altra mostra una scarsissima sensibilità nei confronti di quest’uomo.

PARTE VI
L’unica parte in cui viene restituito il punto di vista del protagonista (l’autore abbandona il discorso indiretto libero) e sembra staccata
da tutto il resto del racconto. Torna l’episodio del Conte Scocca e l’autore dice che non solo quella reazione fu comprensibile, ma
anche se ne avesse avuta una più feroce sarebbe stata comunque spiegabile sulla base degli eventi che hanno caratterizzato la sua
vita.

Prova a fare il piccolo borghese qualsiasi, non ci riesce, abbandona la partita e se ne va.

Ha una struttura narrativa che ricorda quella del Fu Mattia Pascal: un personaggio che abbandona il suo paese, prova a farsi di nuovo
una vita a Roma ma capisce che non è possibile se non è un’identità burocratica. Simula il suicidio e torna nel suo paese e vede che
non c’è più spazio per lui (osserva anche ironico la sua lapide). La differenza è che il protagonista ha quanto meno uno spazio narrabile,
nel senso che è lui a raccontare in prima persona i fatti che gli sono capitati. Può esorcizzare questa esperienza proprio attraverso il
racconto di ciò che gli è capitato. Riesce a ricavarsi un lavoro in biblioteca e racconta a tutti di come sia diventato il Fu Mattia Pascal.

La narrazione è in prima persona. In questo caso a Josz è negata perfino la possibilità di raccontare i traumi che ha vissuto, per cui è
una voce che viene silenziata da questa Ferrara che corre verso il boom economico.

C’è una poesia di Bassani che nomina la vicenda del protagonista. È una poesia successiva del 1974 che si chiama Epitaffio, poesia che
è dedicata agli ex fascistoni di Ferrara che sono riusciti a rimanere nelle proprie opposizioni di potere e a rimanere indisturbati in città
nonostante fossero così compromessi con il Regime; una delle accuse fu quella di lucrare quello che accadde nei campi di
concentramento. Unica poesia che si lascia andare anche a dei termini scurrili.

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Temi:
• Non deportazione in sé bensì la difficoltà dei superstiti di tornare alla normalità. Gli altri vogliono passare oltre ma non
attraverso un processo di rielaborazione di narrazione dei fatti, bensì attraverso un processo di oblio e rimozione, favorita
anche dal governo italiano (dopo la guerra ci fu un’amnistia di massa, a differenza di quanto avvenne in Germania dove ci fu
un lungo processo di rielaborazione e di esami dei fatti accaduti).

• L’adesione silenziosa da parte della stragrande maggioranza dei cittadini ferraresi. Non ci furono soltanto personaggi come
Scocca ma anche altri che non fecero nulla per opporsi. È una cosa che mostra anche nel Giardino dei Finzi-Contini.

• Mostrare come non sempre gli ebrei furono necessariamente antifascisti. Molti aderirono non sapendone le conseguenze.

Sul libro:
➢ L’autore mimetico si mimetizza nella voce corale dei personaggi (discorso indiretto libero).

➢ Stile dal punto di vista sintattico molto elaborato: periodi molto lunghi, parentesi, subordinate.

➢ Ferrara: sembra acquisire le caratteristiche di un paesino di montagna perché tutti si conoscono. Di questa piccola città lui fa
il simbolo dell’Italia intera che aderì silenziosamente al Fascismo. Parla di Ferrara concretamente citando la sua
toponomastica ma può rappresentare anche qualsiasi altra città nel Dopoguerra. Il fatto che cominci a scrivere di Ferrara
quando è già a Roma contribuisce a descrivere Ferrara con un certo tono nostalgico (non è questo il caso), come se
appartenesse a un’altra epoca. Ci sono anche delle personificazioni di Ferrara.

“CINQUE STORIE FERRARESI: UNA NOTTE DEL ‘43”


Racconto che chiude la raccolta. L’antefatto storico del racconto: l’eccidio del castello estense. Si tratta di un eccidio che avvenne il 15
novembre del 1943, da cui viene il titolo del racconto.
L’eccidio sarebbe un rastrellamento che avvenne da parte della neonata Repubblica sociale italiana a danno di 74-75 antifascisti che
vennero arrestati, e tra questi vennero individuati 11 oppositori al regime che furono fucilati di fronte al Castello estense.

Nel racconto è contenuto anche un altro fatto storico che non riguarda propriamente Ferrara ma tutta l’Italia, ossia la Marcia su Roma
(quindi 21 anni prima dell’eccidio, ottobre del 1922): atto prepotente con cui il Fascismo si prese ufficialmente il potere. Squadristi e
fascisti arrivarono da tutta Italia, compreso da Ferrara, marciarono su Roma e a quel punto il re decide di affidare a Mussolini l’incarico
di formare un nuovo governo.

Nel racconto questo fatto viene visto da una prospettiva ferrarese, quindi, si racconta la partenza in treno da parte di squadristi e
simpatizzanti ferraresi. Il fatto storico si incrocia con un fatto privato: protagonista è un farmacista, Pino Barilari, ormai paralizzato.
Andando con gli altri squadristi alla marcia su Roma hanno fatto tappa a vari bordelli e a uno di questi ha avuto il suo primo rapporto
sessuale dove ha contratto la sifilide che l’ha portato ad una progressiva paralisi. C’è una sorta di discorso simbolico sul fatto che
proprio andando alla Marcia su Roma abbia contratto questa malattia terribile (una sorta di assimilazione tra la marcia su Roma e la
sifilide, che fa capire l’opinione dell’autore riguardo al neonato governo fascista).

A differenza dell’altro racconto, prima viene citato l’antefatto storico del racconto e poi entra in scena il protagonista che è un
protagonista silente (come per l’altro racconto), nel senso che anche in questo caso il punto di vista narrativo è restituito attraverso il
discorso indiretto libero, quindi si tratta anche in questo caso del punto di vista della borghesia benpensante ferrarese. Nel caso di
Una lapide in via Mazzini siamo già alla conclusione della Guerra Mondiale mentre qui invece siamo ancora nel pieno della guerra
civile italiana per cui se nel primo caso il punto di vista della borghesia è restituito soprattutto nei termini dell’ambizione nel ritrovare
il benessere, in questo caso la borghesia ferrarese è ancora immersa nella propaganda fascista e, quindi, è ancora convintamente
fascista (se non espressamente per lo meno implicitamente).

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PARTE I
Viene citata la notte del ’43 e l’espediente che Bassani utilizza in questo racconto è fingere che un turista stia passando di lì (perché il
castello estense è un punto di riferimento turistico della città) e ad un certo punto si imbatte nella targa commemorativa che ricorda
questo evento storico. Le vittime dell’eccidio vengono definite come “… le prime vittime della guerra civile italiana”. Per guerra civile
italiana si intende il biennio ’43-’45 in cui, caduto Mussolini, l’Italia si spaccò in due: da una parte c’era a Salò la Repubblica sociale
italiana e dall’altra la Resistenza sostenuta dagli Alleati (truppe anglo-americane).

Entra in scena Pino Barilari che è il titolare della farmacia attigua al muretto dove avvenne l’eccidio. Viene subito raffigurato nella
posizione in cui si vedrà per tutto il racconto, ossia accostato alla finestra che osserva la vita cittadina che nel frattempo avviene al di
fuori della farmacia (ha la casa sopra la farmacia).

PARTE II
Presentazione più esaustiva del protagonista (pag. 181-183). È un personaggio che oltre ad essere silente (non vediamo mai il suo
punto di vista) e statico, anche nella vita cittadina è una persona piuttosto schiva (della sua vita si possono dire solo cose generiche):
figlio di un farmacista che dopo la morte gli lascia in eredità l’attività che suscita uno stupore generale perché evidentemente non è
un ragazzo che gode di particolare stima e considerazione nel tessuto urbano e ha una vita così schiva che non è stato registrato
neanche il dato che stesse frequentando l’università. Sposato con una donna, Anna Repetto, quello che suscita sconcerto è il fatto che
nonostante lui sia schivo e per nulla intraprendente riesca a sposare questa donna che ha molti uomini che le girano intorno.

La donna viene definita con termini un po’ meno celebrativi in quanto si sospetta abbia sposato Pino per convenienza, in quanto,
possedendo una farmacia, godeva di una buona posizione economica. La donna ha la fama di una ragazza spregiudicata e quindi
nessuno aveva previsto che avesse potuto prendersela uno come Pino Barilari. Capiremo più avanti che il rapporto tra i due non è
molto passionale, in primis perché lui è paralizzato e poi perché si capisce che il rapporto che li lega è più che altro materno: assistiamo
a varie scene in cui la donna mette a letto Pino come se fosse un figlio e poi esce di casa.

Viene nominata anche la malattia che aveva paralizzato il protagonista (pag. 184) e viene restituito il pettegolezzo dei cittadini (pag.
185).
A fine capitolo viene nominato il viaggio verso la Marcia su Roma (pag. 189): il fatto privato diventa un pretesto per parlare del fatto
storico che fa da sfondo. C’è una minuziosa descrizione su come già l’arrivo del protagonista avesse suscitato l’ilarità dei presenti
perché era arrivato in ritardo e aveva dovuto quasi inseguire il treno in corsa saltandoci sopra. Aveva 17 anni e Sciagura (soprannome
di uno dei Fascistoni di Ferrara) lo costringe ad avere il suo primo rapporto sessuale (sotto lo sguardo divertito di Sciagura che la vede
come un’opera di virilità necessaria per compiere la Marcia su Roma) con una prostituta e quindi può essere considerato la causa
diretta della sua malattia. In un momento di virilità esibita e cameratesca (uno dei tratti tipici del Fascismo) anche in questo il
protagonista viene connotato in termini quasi infantili perché perfino le prostitute se lo coccolano come se fosse un bambino. Questo
personaggio, quindi, è attraversato per tutta la sua vita da una certa dose di impotenza.

PARTE III
Entra in scena il fatto centrale del racconto: la notte del ’43. Viene spiegato come avvenne il rastrellamento: partì un ordine centrale
dalla Repubblica sociale italiana e poi iniziarono ad andare di casa in casa per arrestare i 74 antifascisti. È una notte che tiene sveglia
tutta la città, che è in allarme perché risuonavano colpi di arma da fuoco. Tuttavia, dopo risulta preponderante il punto di vista
narrativo: Bassani vuole restituire la silenziosa adesione al Fascismo dell’intera città. Viene accennato anche un luogo comune rispetto
al Fascismo di quegli anni (soprattutto a partire dalla promulgazione delle Leggi Razziali) ossia il fatto che i provvedimenti più feroci
del Fascismo furono perseguiti soltanto per compiacere l’alleato tedesco. Si continua citando altri fatti di quei giorni.

Bassani vuole mettere a fuoco, in questo caso, la cosiddetta “zona grigia”: una definizione che si deve soprattutto a Primo Levi che
tratta in uno dei suoi scritti più tardi, I sommersi e i salvati. La zona grigia, secondo Primo Levi, definisce la classe ibrida dei prigionieri
funzionari (coloro che nei campi di concentramento, pur essendo prigionieri, collaborarono con i nazisti e diventarono, sia per
sopravvivenza sia per una serie di meccanismi psicologici, collaborazionisti allo sterminio, sapendo che sarebbero finiti a loro volta
nelle camere a gas). Oggi il termine ha un’eccezione più ampia perché si utilizza per definire tutta la schiera di persone che con il
silenzio o con semplicemente ruoli impiegativi, collaborarono agli orrori del primo ‘900 con la giustificazione più tipica di dire “mi
limitavo al mio lavoro” (es. Banalità del male di Hannah Arendt).

Nel corso di questo capitolo viene anche detto (un ulteriore modo per allontanare il problema) che stava già circolando la voce che
nessun ferrarese stesse partecipando all’eccidio e che quindi fosse stato un ordine esterno e i fascisti arrivati venivano da fuori, ma
scopriamo nel corso del racconto che uno dei responsabili è proprio Sciagura, per cui c’è un valore simbolico per la malattia del
protagonista: Sciagura è sia responsabile della sifilide di Pino sia del fatto storico che fa da sfondo all’intero racconto (si scopre alla
fine del capitolo).

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PARTE IV
Il primo pensiero che corre nelle teste dei Ferraresi è alla finestra sopra la Farmacia di Pino Barilari perché sanno che da lì lui poteva
vedere tutto quello che capitava e in quella notte avrebbe potuto osservare l’eccidio.

Per descrivere l’ambiente (della stanza di Barilari) l’autore deve immaginare di penetrarci con l’occhio del Ferrarese generico che
evidentemente non l’aveva mai vista. Qui pertanto oscilla anche l’attendibilità del narratore perché non si capisce se quello che viene
raccontato sia effettivamente attendibile o sia solo una supposizione, una ricostruzione a posteriori. Viene ricostruita anche la
dinamica della notte, di conseguenza prima abbiamo la narrazione esterna in cui viene raccontato quello che avvenne quella notte
fuori, l’eccidio, e poi la narrazione interna, quello che avvenne presumibilmente all’interno della casa del protagonista. Tutto quello
che viene descritto che sembra molto realistico ci viene restituito da uno sforzo di immaginazione da parte della città.

Immaginano che il trambusto che c’è all’esterno e che è a ridosso della casa di Barilari abbia svegliato il protagonista e che di
conseguenza si sia spinto verso la finestra per vedere cosa stesse accadendo. Quindi danno per certo che lui abbia assistito alla scena.
L’autore usa tre puntini di sospensione (pag. 203) quasi non intenda fare una ricostruzione completa del fatto, pertanto attraverso
una quasi mutilazione del periodo lascia in questo caso alla nostra di immaginazione.

Torna lo stato d’animo del precedente racconto: quello di dimenticare dopo il fatto accaduto. Questa notte tremenda che aveva fatto
il giro della Penisola, considerata il primo fatto grave del periodo della guerra civile, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale tutta
la città viene sospinta dal clima ottimista che c’è dopo la Liberazione e i primi albori del boom economico; di conseguenza il fatto
comincia ad essere trascurato dalla memoria cittadina e nazionale.

C’è un inserto in cui Bassani è l’autore vero e proprio (pag. 203).


A dispetto di quello trovato prima in cui si diceva che nessun Ferrarese aveva partecipato all’eccidio, in questo caso viene specificato
che nessun’altra città dell’Italia settentrionale aveva dato come Ferrara così numerosi aderenti.

Il resto del capitolo è occupato dal processo che inizia dopo la Seconda Guerra Mondiale dove vengono chiamati a processo i presunti
responsabili dell’eccidio quando ormai la memoria cittadina si sta affievolendo: si crea un doppio binario tra la giustizia che fa il suo
corso e i fatti che stanno circolando a Ferrara che ormai sono quasi dimenticati. Viene chiamato a processo Sciagura, come presunto
colpevole, e Barilari, come presunto testimone (tutti immaginano abbia visto ciò che è accaduto). Tensione in tutta l’aula, la moglie lo
guardava con uno sguardo ansioso e Barilari dice che dormiva e il tutto si conclude con una sorta di sguardo d’intesa con Sciagura. Si
può immaginare che si tratti di una sorta di silenzio omertoso (non parla perché non vuole avere problemi con lui).

PARTE V
Incomprensibilmente il matrimonio si rompe. Pino riacquista la sua posizione abituale appostato alla finestra anche se viene detto che
era diventato aggressivo e ironico (si intuisce una sorta di metamorfosi in questo personaggio che prima era semplicemente
inoffensivo) e Anna lascia l’appartamento del marito e va a vivere da sola. Anche in questo caso emerge il punto di vista della borghesia
puritana che insinua che la donna si prostituisse (la questione viene lasciata ambigua perché non c’è un narratore onnisciente).

Alla fine del capitolo si torna indietro alla notte del ’43 che ha segnato anche le sorti di Pino Barilari. Anna mette a letto il marito, esce
di casa pensando di stare fuori un’ora ma quello che succede per strada le impedisce di tornare in tempo e rimane fuori fino alle 4. In
questo caso la voce narrante abbandona il punto di vista precedente e restituisce il punto di vista di Anna. L’unico punto di vista a
mancare è quello di Pino fino alla fine.

Sappiamo che c’è uno sguardo tra Anna fuori in strada e Pino alla finestra (ora ne abbiamo la certezza). Questo incrina i rapporti
matrimoniali perché Anna sa che Pino sa, anche se non ne parlano. Rientra in casa e Pino si fa trovare a letto quindi lei vive con il
dubbio perenne se effettivamente lo sguardo tra i due c’è stato effettivamente o meno. Questo evidentemente crea un clima
irrespirabile in casa perché diventa un matrimonio fondato sull’omertà. Il protagonista inizia a trascorrere le giornate fissando dal
cannocchiale, che presagisce un probabile impazzimento di Pino. La moglie quindi lascia la casa del marito non perché si stata scoperta
nel suo tradimento ma perché anche con lei il marito decide di non parlare.

Non viene risolto il dubbio per cui non parla.

Stile reticente perché nel finale non vengono precisati i particolari e non vengono chiariti. Tipico delle opere di Bassani: anche nel
Giardino dei Finzi-Contini nel finale viene detto in maniera frettolosa che i Finzi-Contini verranno tutti deportati nei campi di
concentramento ma viene detto in maniera flash, concisa. Pertanto, il motivo per cui a Bassani non piace il film di De Sica è perché
quest’ultimo decide di raccontare nella parte finale, in maniera melodrammatica, la deportazione e stravolge un aspetto tipico
bassaniano che è la reticenza e il pudore narrativo, perché le parti potenzialmente patetiche, intrise di pathos, non ci vengono

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raccontate. Anche in questo caso l’inevitabile sofferenza del protagonista che in un unico colpo si trova davanti 11 morti e il tradimento
della moglie non vengono in alcun modo restituiti nel racconto.

Il fatto storico nella parte finale c’è stato raccontato da 3 prospettive diverse, o meglio, due sono state raccontate un’altra è stata
lasciata intuire:
1. PUNTO DI VISTA CITTADINO → il vero e proprio esterno. I ferraresi che assistono terrorizzati all’arrivo dei militi fascisti e poi
viene descritto quello che avviene

2. PUNTO DI VISTA DELLA FINESTRA → quello che viene immaginata di Pino Barilari (zona d’ombra del racconto)

3. PUNTO DI VISTA DI ANNA → arriva di fronte la propria casa e si trova di fronte i cadaveri. L’eccidio quindi è già avvenuto.

In tutte e tre le versioni non si tratta di una cronaca dettagliata perché anche in quel caso il racconto storico si fonda sulla reticenza,
sul detto e non detto (es. intendiamo la responsabilità di Sciagura ma non ne abbiamo la conferma). Anche la Storia viene comunque
descritta e filtrata attraverso l’intero stile del racconto. Da qui si rifà la prospettiva di scorcio e non di petto: molti narratori dell’epoca
decisero di raccontare la Storia in questo modo perché per molti il fatto di essere stati protagonisti di eventi storici così eccezionali
finiva con caricare sulle loro spalle una responsabilità troppo grande, per cui per riuscire a smorzare questa responsabilità uno degli
espedienti poteva essere quello di affrontare il fatto non di petto ma di scorcio (Calvino).

Bassani è protagonista indiretto dell’evento storico ma è un fatto che è penetrato profondamente nella memoria cittadina non solo
ferrarese ma anche dell’Italia intera.

ALTRI RACCONTI
È una prospettiva che si trova anche negli altri racconti:
❖ LIDA MANTOVANI → ha per protagonista Lida Mantovani e un giovane ebreo benestante che la seduce, la lascia incinta e si
defila. Lo sfondo storico qui è labile e impercettibile, non c’è di fatto un fatto storico a fare da perno della vicenda se non la
volontà di restituire la vita della ricca borghesia ferrarese prima dell’emanazione delle Leggi Razziali. Lo vediamo attraverso
la descrizione delle giornate di questo giovane che seduce la protagonista.

❖ LA PASSEGGIATA PRIMA DI SERA → è raccontata la deportazione di un medico ebreo e viene restituita attraverso una
parentesi: l’autore utilizza una parentesi per dirci che il destino di quell’uomo sarebbe stata la deportazione.

❖ GLI ULTIMI ANNI DI CLELIA TROTTI → personaggio in vista negli ambienti socialisti dell’epoca. Viene raccontato il momento
del suo funerale attraverso il punto di vista di uno dei partecipanti, che sarebbe un giovanissimo socialista il quale però in un
certo senso viene descritto come il simbolo dell’Italia del secondo Dopoguerra che vuole lasciarsi alle spalle tutto il passato
sofferente della prima metà del secolo. Funerale molto retorico in cui vengono fatti dei discorsi molto articolati. La visione
del giovane è distratta da 2 giovani in vespa che si salutano ed iniziano ad amoreggiar, quindi mentre tutti in maniera pomposa
fanno discorsi retorici di altissima politica, lui inizia ad osservare la cosiddetta “gioventù indifferente” e desidera poter essere
come loro. Il fatto che abbiano la vespa è anche un modo per restituire lo spacco che c’è tra il clima politico del primo ‘900 e
la rinata Repubblica italiana ormai proiettata verso il boom economico, e vorrebbe solo cullarsi in questo benessere e lasciarsi
alle spalle tutto senza adoperarsi per una vera e propria rielaborazione per il passato recente. È un tema fondamentale per
Bassani: la memoria e il suo valore nel secondo Dopoguerra. È il compito che sente pressante come narratore: far in modo
che la memoria cittadina di Ferrara non si affievolisca del tutto e che questi fatti non scivolino nell’oblio.

Nelle denominazioni dei racconti di Bassani c’è sempre una sorta di un’immagine chiusa: Dentro le mura (una sorta di barriera), I
Giardini dei Finzi-Contini (altro luogo chiuso che risulta appartato e segretissimo), Gli occhiali d’oro (oggetto che nasconde qualcosa),
Dietro la porta (un’altra barriera).

Le barriere costituiscono una delle tematiche portanti della produzione bassaniana anche in virtù del fatto che in quanto ebreo ha
sperimentato le barriere invisibili delle Leggi Razziali.

Altra immagine che ricorre è il bordello (topos della letteratura, dato concreto della realtà sociale del tempo).

Una notte del ’43 ha causato all’autore anche un’accusa di maschilismo per come lui descrive Anna Repetto e anche l’immagine che
ne dà dei casini, ma il tutto nasce da un grande equivoco che è quello di assimilare il punto di vista dell’autore Bassani con quello del
discorso indiretto libero che troviamo all’interno.

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5 – GIORGIO BASSANI

“GLI OCCHIALI D’ORO”


Si tratta di un romanzo che può essere definito o breve o un racconto lungo. È un romanzo del 1958 che ha come sfondo storico le
Leggi Razziali ed è stato scritto 20 anni dopo la promulgazione delle stesse. È un ulteriore segnale che indica che Bassani non è uno
scrittore emotivo e patetico nel senso di passionale perché aspetta 20 anni per scrivere dell’esperienza forse più drammatica della sua
gioventù (ossia la discriminazione razziale che diventa legge nel 1938).

Il romanzo ha per protagonista un medico veneziano trapiantato a Ferrara, dove riesce quasi subito a ingraziarsi il favore della media
e dell’alta borghesia e ad avere una carriera folgorante grazie anche ad un ambulatorio privato che viene descritto in termini
celebrativi. Il medico è celibe e subito questo dato scatena i pettegolezzi della borghesia ferrarese che si domanda perché l’uomo non
voglia adornare la propria rispettabilità con un degno matrimonio. Ad un certo punto si fa strada il sospetto, che diventerà certezza,
che sia omosessuale. Il destino di solitudine a cui va incontro Fatigati si incontra con la solitudine che viene imposta al protagonista
attraverso le Leggi Razziali.

In questo romanzo fa capolino l’io narrante in cui il narratore inizia a dire “io”. Troviamo un giovane narratore che spesso viene
liquidato come Giorgio (anche se non è correttissimo assimilarlo sempre allo scrittore) perché ha dei tratti biografici con Giorgio
Bassani: l’origine ebraica e il fatto di essere un giovane studente di Lettere che fa il pendolare da Ferrara a Bologna.

Uno dei temi portanti del romanzo è la solitudine: un destino a cui vanno incontro sia il Dottor Fatigati sia il giovane ebreo.

CAPITOLO 1
Il primo capitolo si può riassumere come la storia dell’ascesa del Dottor Fatigati presso la ricca borghesia ferrarese: come fosse arrivato
da Venezia a Ferrara e come fosse riuscito a entrare nelle grazie della borghesia benestante e benpensante.

L’incipit è in prolessi: vengono anticipati dei fatti che poi verranno sviluppati nel finale del romanzo (sappiamo che il protagonista farà
una brutta fine). Anche in questo caso si utilizza il discorso indiretto libero: trascrizione della percezione del protagonista da parte
della borghesia ferrarese.

Subito dopo si manifesta l’io narrante. La vicenda comincia nel ’19 anche se l’ambientazione storica sarà in anni successivi, tra il prima
e il dopo l’emanazione delle Leggi Razziali. Si tratta di una narrazione della memoria (tema centrale in Bassani) che si presenta come
non infallibile (una memoria potenzialmente fallace).

Inizia uno spaccato, in termini storiografici, di quello che è il Biennio Rosso (’19-’20, alla vigilia dell’instaurazione del Fascismo), periodo
di agitazioni sindacali e politiche che vennero influenzate da quello che successe in Russia nel 1917 (il rovesciamento dello zar e
l’instaurazione di un governo marxista e stalinista). L’io narrante dice che al ritorno dalla prima Guerra Mondiale ci fu un vuoto nelle
professioni liberali e non ci un immediato reinserimento da parte di chi prima occupava quelle professioni, pertanto il dottor Fatigati
riuscì a inserirsi senza fatica nel tessuto di queste professioni lasciate in qualche modo vacanti. Viene evocato il ’25 in cui il Fascismo
diviene una dittatura.

Successivamente il protagonista viene descritto in termini più personali: è orfano e la sorella è morta, ma prima di essere oggetto di
una discriminazione è già un uomo di fatto solo. Vengono evocati gli “occhiali d’oro” che sono l’elemento del personaggio che dà anche
titolo al romanzo e con cui diventa immediatamente riconoscibile da parte dei suoi pazienti, e viene messo in luce un altro aspetto
caratteriale: il fatto di apparire rassicurante. Dopo viene descritto in termini più minuziosi il suo ambulatorio e quelle che sono le
attrattive dello stesso: il fatto che questo personaggio riesca perfettamente a scalzare gli altri ambulatori cittadini e a diventare il più
prestigioso laringoiatra di Ferrara; per tale descrizione l’io narrante utilizza il discorso indiretto libero (riferisce le opinioni preminenti
dei ferraresi rispetto al perché questo ambulatorio possa piacere tanto).

Alla fine del capitolo il protagonista viene descritto anche come un uomo abbastanza colto e dai variegati interessi culturali
(considerata altra attrattiva dell’ambulatorio perché mentre faceva le visite poteva anche in qualche modo intrattenere i pazienti
attraverso una serie di riflessioni sulla letteratura per esempio). In questo momento non c’è nulla che faccia pensare che Fatigati possa
essere oggetto di una successiva caduta in disgrazia nella comunità ferrarese.

CAPITOLO 2
Cominciano a emergere gli elementi di stranezza. È un capitolo dedicato ai pettegolezzi del suo mancato matrimonio. Bassani all’inizio
del capitolo vuole restituire il bigottismo di provincia (morbosità di sapere non solo quale sia l’immagine pubblica di un cittadino ma
anche come conduca la vita privata).

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5 – GIORGIO BASSANI
Inizia una ricostruzione che il narratore fa utilizzando anche i pettegolezzi che emergono nella società ferrarese (es. il fatto che
comprasse il “Corriere della Sera” è un fatto che contribuisce alla sua rispettabilità perché è il quotidiano che fin da subito si configura
come quello della borghesia e che sarà oggetto di una massiccia fascistizzazione e controllo da parte del regime fascista perché quello
è il pubblico a cui si vuole rivolgere Mussolini). Vengono ricostruiti i suoi movimenti alla fine del lavoro.

L’elemento di stranezza che viene rilevato è quello che fa nei cinema cittadini: le persone distinte a Ferrara in quegli anni stanno in
galleria mentre lui preferisce mescolarsi alla “teppa popolare” e stare in platea. Inizialmente questo dato viene recepito come il segnale
di uno spirito bohémien. C’è una curiosità insistente e ossessiva circa la vita privata del dottore tanto da diventare oggetto di
discussione anche a cena nelle famiglie o la sera prima di andare a letto.

Fatigati ha tutti gli elementi per essere completamente integrato non solo nella borghesia ma anche nell’aristocrazia ferrarese: è ricco,
laureato e ha anche la tessera del Fascio (ulteriore elemento di omologazione in quegli anni), conferitagli quasi come una medaglia al
valore. Quindi l’ultimo elemento che mancherebbe per coronare questa immagine di perfetto borghese è una bella moglie.

Viene evocato un certo Dottor Corcos, uno dei protagonisti di “Cinque storie ferraresi: la passeggiata prima di sera”). È un medico di
origine ebraica che ha una relazione con un’infermiera e ad un certo punto si sposa con lei. Il dottore poi verrà deportato. Il fatto che
ricorra un personaggio di un’opera precedente è segno del fatto che questo “Il romanzo di Ferrara” fosse concepito come un’opera
unica in cui Bassani voleva restituire la complessità della città ferrarese per farne un simbolo di tutta l’Italia dell’epoca.

I puntini di sospensione fanno presagire una parola omessa o un gesto che non viene descritto: torna la reticenza in merito allo stile
di Bassani (autore estremamente pulito) per cui anche se la frase fosse stata seguita da un termine non proprio lusinghiero nei
confronti di Fatigati, qui non è viene restituito.

CAPITOLO 3
Capitolo dedicato ai pettegolezzi sull’omosessualità di Fatigati: ad un certo punto questo dato viene dato per conclamato. Per
descrivere la condizione del dottor Fatigati, il narratore parla di argomenti indecorosi e di inversione sessuale per cui si capisce che il
narratore in questo punto del romanzo non si esclude dal perbenismo della città ferrarese. La solidarietà nei confronti di questo
personaggio la sviluppa successivamente, quando anche lui si trova discriminato.

Viene spiegato perché nonostante questo dato, Fatigati non perda completamente l’approvazione e il sostegno da parte della
borghesia ferrarese. Si parla di “irregolarità vergognosa”: espressione che non denota un’opinione positiva nei gusti sessuali di Fatigati
però in fondo la cosa è tollerata perché Fatigati la nasconde (anche in questo si riconosce lo stile sobrio e rassicurante del protagonista
che veniva messo in luce nel primo capitolo).

Viene evocata la storia del “Dottor Jekyll e Mr. Hyde” per chiunque ha due vite: se Fatigati ne ha un’altra non fa nulla di male fin
quando non la esprime pubblicamente. Gli si perdona anche il fatto di avere quasi una passione per i bassifondi. I precisi confini di
decenza che lui tenta di preservare continuano ad assicurargli la stima di Ferrara. Viene fatta anche una supposizione sul perché lui si
sedesse nella platea del cinema (che avesse un debole per i militari).

Alla fine del capitolo partono una serie di illazioni sui nomi di possibili amanti che ha avuto il protagonista.
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I primi 3 capitoli sono abbastanza compatti perché sono tutti dedicati alla caratterizzazione sia del personaggio sia del tessuto storico
(anni ’30) e sociale (Ferrara curiosa e morbosa nel voler sapere i fatti di tutti e nel voler ricostruire le vicende private di tutti i suoi
cittadini) che ci infonde il personaggio.

CAPITOLO 4
Ci viene chiarito in che modo la vicenda di Fatigati si incroci con quella del personaggio. È il primo capitolo in cui il narratore si presenta.
Siamo nel 1936 (due anni prima dell’emanazione delle Leggi Razziali) e l’io narrante è un giovane studente di Lettere che fa il pendolare
da Ferrara a Bologna. Viene evocato uno dei luoghi comuni più persistenti del Fascismo cioè la puntualità dei treni.

Descrive la sua giornata tipica nel suo viaggio nel treno con la compagnia di una ragazza, Bianca (anch’ella studentessa), un amico,
Nino, e un giovane piuttosto spregiudicato e sprezzante che si chiama Eraldo Deliliers (studente piuttosto svogliato di Scienze
politiche). Ad un certo punto durante questi viaggi in treno compare anche la figura del Dottor Fatigati, che va a Bologna due volte a
settimana per prendere la libera docenza, quindi il treno è il punto di contatto tra il narratore e il dottore. Inizialmente il dottore
viaggia in seconda classe mentre gli altri in terza. Quando cominciano a vedere che il dottore sale sul treno, chi non lo conosce
(soprattutto Bianca) si domanda chi sia quest’uomo (unici termini offensivi da parte di Eraldo). Capiamo che ormai tutta Ferrara
conosce l’inclinazione del protagonista e la giudica più o meno in questi termini.

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5 – GIORGIO BASSANI
Sempre alla fine del capitolo viene anticipato quale sarà il destino di Bianca. Bassani rappresenta la sua generazione, quindi, come
perduta perché è la generazione che si è formata ed è cresciuta con il Fascismo e poi ha vissuto il dramma della Seconda Guerra
Mondiale che a Bianca porterà via il marito. Pertanto, un altro tema presente ne “Il romanzo di Ferrara” è il dramma di una
generazione perduta: di una generazione che, anche se poi riuscirà nel secondo dopoguerra a costruirsi una carriera e una famiglia,
porta addosso però quella cicatrice indelebile degli orrori del primo Novecento.

CAPITOLO 5
Fatigati viaggia pressoché da solo e si utilizza il termine “segregato in seconda classe” o “recluso” che sembra quasi un’anticipazione
di quello che gli succederà dopo: subire una segregazione invisibile (non c’è veramente una prigionia) da parte di Ferrara quando lui
esibirà la propria omosessualità.

Viene evocato quello che succedeva agli oppositori politici in questo periodo prima di finire nei campi di concentramento: il fatto di
subire il confino (l’essere strappati dalle proprie case, dalla propria città e essere mandati in località remote dell’Italia).

Ad un certo punto Fatigati decide di saltare in terza classe e chiede al capotreno di poter passare dall’altra parte e qui inizia a mescolarsi
al gruppo del narratore e dei suoi amici. Anche qui la memoria del protagonista non viene presentata come infallibile. Sono passati
vent’anni e quindi non può avere i ricordi nitidi che aveva all’indomani dell’accaduto. Diventa un’abitudine il fatto che il dottore faccia
il viaggio in treno con questi ragazzi.

CAPITOLO 6
Viene specificato il motivo del viaggio. Nel rapporto che lui ha con questi ragazzi lo vediamo in un ruolo estremamente passivo (si
limitava a sedersi lì e ad ascoltare le loro conversazioni) e contemplativo (che appare in tutto il romanzo anche quando per esempio
esibirà una relazione omosessuale).

Tutti sanno della sua omosessualità ma lui forse ancora non ha il senso della misura di quanto sia trapelata la cosa nella coscienza
della città. In questa fase nessuno però lascia trapelare la consapevolezza della notizia. Anche in questo caso il narratore utilizza dei
termini che lo comprendono in quel perbenismo ferrarese che vive l’omosessualità come un vizio e un peccato.

La prima rottura in questo fragile equilibrio tra il gruppo e il dottore (che loro sanno e non dicono e il dottore che non sa se sanno) la
troviamo già consumata in questo capitolo. Mentre parla della sua giovinezza a Venezia e della sua esperienza universitaria a Padova,
evoca un episodio che riguarda una famiglia padovana e ad un certo punto Deliliers palesa in maniera piuttosto evidente, per la prima
volta, la certezza da parte di Ferrara della sua omosessualità. Alla fine del capitolo c’è uno sforzo del narratore di immedesimarsi nella
sofferenza del protagonista.

CAPITOLO 7
I termini con cui viene descritto non sono quelli di un uomo d’azione: ha una caratterizzazione passiva, si accontenta di stare lì nel
treno e di godere della compagnia dei ragazzi senza fare e dire nulla. Viene detto che quando scendono a Bologna generalmente le
loro strade si dividono quindi non è neanche assillante nel volerli seguire nei loro spostamenti.

Un ulteriore crepa/rottura della sua rispettabilità sociale è che tutti iniziano a mancargli di rispetto senza che ci sia una ragione
apparente. Ad un certo punto cerca di abbandonare questo ruolo silenzioso che si è cucito addosso per provare a intervenire nelle
discussioni con i ragazzi e gli esiti sono disastrosi (es. qualunque cosa dica Nino gli dà contro). Nei discorsi viene evocata la Guerra
Civile spagnola che fu sanguinosissima e molto lunga, e fu l’ultimo terreno di scontro in cui si giocarono le sorti dell’Europa: fu una
guerra che vide su entrambi i fronti l’arruolamento in tutta Europa. A sostengo di Franco partirono sia i legionari italiani sia tedeschi.
Con la vittoria di Franco si capì che i totalitarismi non erano soltanto una questione italiana e tedesca ma in un certo senso potevano
coinvolgere tutta l’Europa un tempo liberale.

Viene tirato in ballo di nuovo il Corriere della Sera nella sua componente più fedele alla dottrina fascista perché sosteneva le imprese
di Francisco Franco. È come se all’epoca non venissero contemplate delle opinioni diverse da quelle che il dottore stava esprimendo
(di fatto la propaganda era cosi penetrante che era quasi impensabile che qualcuno potesse avere un’opinione diversa di quello del
dottor Fatigati e cioè di essere contenti della vittoria dei franchisti.). Capiamo che le reazioni di Nino nascono per il semplice gusto di
contraddire il dottor Fatigati, più che essere animata da vere motivazioni politiche.

Successivamente si parla di Eraldo Deliliers, fino a questo momento più in ombra rispetto agli altri ragazzi. Viene presentato perché
poi svolgerà un ruolo fondamentale nella caduta in disgrazia del dottor Fatigati. È un giovane originario ligure che si è trasferito poi a
Ferrara (la madre era di Ferrara), il padre era morto nella Prima Guerra Mondiale ed è un campione di box. È un bel ragazzo che si è

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5 – GIORGIO BASSANI
conquistato la nomea di “sciupafemmine” e secondo i pettegolezzi ha portato al suicidio una sua coetanea perché l’ha piantata da un
giorno e l’altro. È un ragazzo di spicco nella gioventù ferrarese e sebbene non sia descritto come uno spiantato, ha dei tratti in comune
con il prototipo del “ragazzo di vita” di Pasolini: c’è una certa spregiudicatezza di fondo e la volontà di arrivare a guadagnare attraverso
soldi facili.

Nel dialogo tra Fatigati ed Eraldo sembra quasi che ogni volta che il medico viene insultato dai giovani abbia una sorta di
compiacimento interno perché solo il fatto che gli venga data una certa attenzione lo fa sentire in qualche modo parte di questo
gruppo. L’episodio più spiacevole che coinvolge questo gruppo di ragazzi e il dottor Fatigati avviene una mattina in cui Nino e Bianca
non ci sono: ci sono soltanto il narratore, Eraldo e il dottor Fatigati. Il narratore ha mal di gola e quindi il medico si offre di guardagli le
tonsille ed Eraldo successivamente gli chiede di visitargli le parti intime. C’è un gusto quasi sadico nell’infierire sul medico.

Alla fine del capitolo troviamo Deliliers in compagnia del dottore: una mattina d’estate un gruppo di sportivi sta girando per una
gelateria bolognese e c’è anche Eraldo che sta mangiando un gelato e Fatigati che lo osserva, quasi come un padre premuroso che ha
pagato evidentemente il gelato a tutti e aspetta che finiscano. La scelta lessicale non è un caso: c’è un lessico ambiguo e piuttosto
malizioso quando viene descritto ad esempio il passo del gelato. È il primo momento in cui vediamo emergere pubblicamente
l’omosessualità di Fatigati, che non sta facendo nulla di particolarmente scandaloso ma il patto tacito in cui si fondava il suo rapporto
con Ferrara era il fatto che lui non facesse emergere pubblicamente l’omosessualità e qui comincia a forzare e a rompere i suoi limiti
di decenza. Anche in questo caso il ruolo dell’uomo è passivo perché mentre gli altri mangiano il gelato lui resta lì ad assistere senza
fare nulla.

Con questo episodio si conclude il racconto dei viaggi in treno di Fatigati e dei suoi amici e il motivo che li ha fatti incontrare.

CAPITOLO 8
L’ambientazione si sposta da Ferrara alla costa adriatica. È iniziata l’estate pertanto la maggior parte dei ferraresi di sposta in vacanza.
È questo il capitolo in cui comincia la caduta fragorosa del dottor Fatigati perché si presenta a Riccione in compagnia di Eraldo ed è
completamente chiaro a tutti quale sia la natura dei loro rapporti che definiscono “amicizia scandalosa”. La macchina è l’elemento
concreto del rapporto di interesse che lega Eraldo al dottor Fatigati: è stato probabilmente un acquisto del dottor Fatigati per
compiacere Eraldo. Anche in questo caso il dottore appare passivo: l’unico ruolo attivo che ha è quello economico.

Le ragioni per le quali Fatigati ha deciso di esibire così sfrontatamente questa relazione non sono chiarite nel corso del romanzo perché
il narratore non è onnisciente (è l’io narrante che guarda le cose dall’esterno). La psicologia del dottore non è necessariamente così
limpida e lineare: è un personaggio dalla psicologia abbastanza contorta.

La maggior parte delle volte Fatigati si trova in spiaggia da solo perché Eraldo prende la macchina e va a farsi i suoi giri finché un giorno
dai suoi giri non torna più, ruba la macchina e i soldi e sparisce. A questo punto la reputazione di Fatigati è completamente
compromessa e non c’è più possibilità di riscattarsi nell’opinione pubblica ferrarese che lo condanna immediatamente, nonostante sia
chiaro il fatto che lui sia sfruttato dall’altro.

Ci sono anche le prime avvisaglie del clima italiano che sta cambiando nei confronti degli ebrei: sta cominciano una campagna
denigratoria. Ogni fatto di cronica nera che riguarda l’Italia dell’epoca viene additato ad un ebreo, per cui inizia a farsi strada nel
protagonista/narratore la coscienza della propria diversità ed è in questo momento che comincia a solidarizzare una forma di empatia
nei confronti del dottore.

È anche un capitolo in cui viene chiarita la composizione familiare del protagonista. Capitolo ricco sia di eventi narrativi sia di eventi
storici. Si apre con l’inizio della villeggiatura dell’io narrante con la sua famiglia a Riccione (meta di villeggiatura di gran parte della
borghesia ferrarese). Quando arriva a Riccione la prima notizia che lo accoglie è quella del Dottor Fatigati ed Eraldo. I due arrivano a
Riccione con una macchina nuova, simbolo del loro legame. Assistiamo ad un ruolo passivo da parte del medico che ha quasi sempre
una posa statica e appare come un personaggio inerme che subisce il corso degli eventi.

Il protagonista racconta la vita “amorosa dei due”. Fatigati molte volte arrivava da solo in spiaggia, rimanendo due ore così a guardare
il mare: altro indizio che ne fa un personaggio completamente contemplativo. Quando arriva Eraldo tutti gli occhi sono su di lui.
Nonostante sia evidente quali siano i rapporti tra i due (qual è lo sfruttatore e lo sfruttato), Deliliers, anche in virtù del suo aspetto,
gode dell’indulgenza della borghesia benpensante ferrarese; le malelingue non risparmiano commenti sprezzanti nei confronti del
dottore. In questo caso il discorso indiretto libero è incarnato da un solo personaggio, la signora Lavezzoli (moglie di un noto avvocato
ferrarese) per cui d’ora in avanti la Ferrara più bigotta si esprime attraverso questo personaggio. La donna inizia a chiamare questa
coppia gli “sposini”.

La famiglia del protagonista viene raggiunta dal padre (che non sa nulla di quello che sta succedendo) che vede il medico e lo va a
salutare. Fatigati è anche sorpreso perché nessuno lo aveva calcolato fino a quel momento. Il capitolo si conclude con un dialogo in

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5 – GIORGIO BASSANI
sospeso tra il padre del protagonista e il Dottor Fatigati, che viene invitato a salutare il resto della famiglia. Fatigati inoltre è in allarme
perché teme da un momento all’altro l’arrivo di Eraldo in spiaggia.

CAPITOLO 9
Fatigati si avvicina all’ombrellone della famiglia del protagonista/narratore che è vicino a quello della famiglia Lavezzoli. Per un attimo
il medico ha l’illusione di poter far parte ancora della borghesia ferrarese ma capirà subito dopo che si tratta di una riammissione
impossibile, perché durante una conversazione apparentemente cordiale che ha con la famiglia Lavezzoli e la famiglia del protagonista,
subito gli viene tirata una frecciatina dalla Signora Lavezzoli.

In questo capitolo si assiste anche al bagno di Mussolini a Riccione (la moglie nel 1934 aveva acquistato una villa lì). In quei tempi il
duce si esibiva in veri e propri bagni pubblici dove attirava la folla di bagnanti.

La descrizione del padre del protagonista corrisponde a gran parte quella degli ebrei in Italia. Si tratta di una comunità perfettamente
integrata in Italia, tanto che molti ebrei dissero “scoprii di essere ebreo nel ’38”; molti di loro avevano partecipato allo sforzo bellico
della Prima Guerra Mondiale (il padre del protagonista ritornò dal fronte nel ’19) e molti presero la tessera del Fascio quindi ci fu
un’adesione in parte convinta e in parte opportunistica al Fascismo.

La signora Lavezzoli incarna la borghesia che anche di fronte alle comprensibili preoccupazioni dei suoi vicini di ombrellone prosegue
imperterrita a lusingare il duce; pertanto, dimostra l’adesione convinta e completamente acritica della borghesia al regime. Si parla
del Manifesto Croce: manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce che fu una risposta al Manifesto di
intellettuali fascisti promossi da Giovanni Gentile (che sarà Ministro dell’Istruzione). Il padre del protagonista cerca una sponda nel
marito della signora Lavezzoli perché sarebbe stato firmatario del manifesto ma il signore tace. Anche chi inizialmente fu critico nei
confronti del Fascismo negli anni ’30 ha cambiato completamente rotta e l’avvocato Lavezzoli incarna quel tipo di revisionismo.

Subito dopo la signora Lavezzoli fa riferimento a un fatto storico: assassinio del cancelliere storico Dollfuss che avvenne nel ’34 (era
amico intimo di Mussolini). Lei lo nomina dicendo che quando a Mussolini venne data la notizia della morte del suo amico cancelliere
austriaco, lui si mise a piangere: riporta questo fatto come ulteriore prova dell’umanità del Duce. Inoltre, questo fatto rischiò di causare
un incidente diplomatico tra l’Italia e la Germania perché Dollfuss fu ucciso da un gruppo di filonazisti e presumibilmente il mandante
fu Hitler che, vedendo la reazione dell’Italia, si smarcò completamente e prese le distanze.

Successivamente si torna alla “storia”. Si vedono la differenza di reazioni tra la famiglia del protagonista e quella di Lavezzoli: la famiglia
del protagonista capisce che una sorte non dissimile da quella del dottore potrebbe colpirli proprio perché si cominciano a respirare
in Italia i primi venti antisemiti, pertanto il barlume di empatia che vediamo anche nel padre del protagonista non lo troviamo neanche
in misura minima da parte della signora Lavezzoli, che inizia subito a percepire i segni della sua irreversibile disfatta.

CAPITOLO 10
All’inizio del capitolo abbiamo due scene che fanno capire in che senso il destino del protagonista possa essere assimilato a quello di
Fatigati: troviamo il protagonista da solo in spiaggia che guarda il mare, quasi a presagire quello che sarà poi il destino di solitudine
che gli toccherà a Ferrara, e il dottore poco distante che sta seduto su una delle panchine esterne all’albergo. A questo punto il
protagonista si avvicina a Fatigati, dove con lui inizia una serie di dialoghi. Fatigati è in ansia perché Deliliers è quasi scomparso.

Poco più avanti troviamo la famiglia del protagonista e quella dei Lavezzoli all’hotel a chiacchierare. Essendo ebrei, una celebrazione
della Germania di Hitler significava un atto di accusa nei loro confronti perché in Germania i provvedimenti antisemiti erano già stati
emanati. Inoltre, nella conversazione viene anche menzionato Padre Gemelli, religioso milanese conosciuto per aver fondato
l’Università Cattolica del Sacro Cuore e anche per le sue posizioni antisemite: verso la fine degli anni ’30 scrive un articolo sulla civiltà
cattolica che sosteneva che se da 2000 anni gli ebrei sono perseguitati deve esserci una ragione divina: c’è un disegno divino e pertanto
l’essere umano non si può opporre a questo disegno. Questo è un modo per giustificare e legittimare le persecuzioni razziali che stanno
avvenendo in Germania.

Il protagonista si sgancia da questa compagnia (che era diventata sempre più sgradevole) e gli si avvicina Deliliers, che gli chiede se
vuole fare un giro con lui l’indomani per andare da delle ragazze. Nel finale del capitolo vediamo che ormai la denominazione “sposini”
è penetrata in tutti i ferraresi che risiedono nell’albergo.

CAPITOLO 11

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5 – GIORGIO BASSANI
Per un attimo il protagonista valuta la possibilità di fare questa gita con Deliliers ma poi inizia a fare una serie di valutazioni che lo
convincono a rimanere in albergo. Il protagonista sembra essere uno dei pochi a capire in maniera nitida chi è la vittima e chi il carnefice
nel rapporto tra i due.

Ancora una volta si crea un’occasione ricorrente di incontro tra il protagonista e il dottore, perché questi li raggiunge il pomeriggio al
campo da tennis, ma come sempre è un semplice spettatore. Alla fine del capitolo si ha la rappresentazione del dottore sempre più
tragica e questa rappresentazione è filtrata dallo sguardo del protagonista.

CAPITOLO 12
Si consuma la rottura definitiva tra il dottore ed Eraldo. Il protagonista arriva in spiaggia e sente parlare la signora Lavezzoli dello
scandalo della sera precedente. A quel punto la signora decide anche di non mandare i figli al campo da tennis perché sono occasioni
di incontro con il dottore, che ormai è schivato da tutti. Il protagonista va al campo da tennis e apprende dal dottore quello che è
successo la sera prima. Fatigati era stato preso a pugni da Eraldo in una discussione e continua il racconto dicendo che tornando in
albergo si trova la stanza svaligiata con un biglietto di Eraldo. Da questo momento in poi Eraldo scompare dopo aver rubato al dottore
tutti i suoi beni.

Nel finale del capitolo Fatigati aggiunge che vuole tornare a Ferrara perché rimanere lì vuol dire perpetrare questa umiliazione ormai
irrisolvibile. Da questo momento il dottore sparisce dalla scena estiva.

CAPITOLO 13
Riguarda più da vicino la vicenda storica e politica del protagonista perché comincia la violenta campagna denigratoria sui giornali che
precede la promulgazione delle Leggi Razziali promulgate nel settembre del ’38 da Mussolini in piazza a Trieste (scelta perché
storicamente città di frontiera e città con la più consistente comunità ebraica). Prima di diventare un dato giuridico, le Leggi erano
state anticipate dal Manifesto della Razza, redatto da un gruppo di pseudoscienziati con l’obiettivo di sottolineare come la razza italica
discenda direttamente dalla razza romana e non sia quindi una razza meticcia: quindi, tutte le razze considerate meticce, compresa
quella ebraica, non possono essere contemplate in questa razza italica. Le Leggi Razziali furono una violenza insostenibile per gli ebrei
perché costituivano una comunità perfettamente integrata, soprattutto dopo lo Statuto Albertino che aveva abolito i ghetti; pertanto,
si erano trovati ad avere a che fare con 60 anni di libertà senza ghetti mentre dopo il ’38 si troveranno ad avere a che fare con dei
ghetti giuridici che andranno a condizionare nel profondo la loro vita quotidiana:
− Divieto di poter svolgere il servizio militare
− Viene introdotto il divieto di proprietà,
− Divieto di avere dei collaboratori definiti “ariani”, non potevano avere dei domestici cattolici
− Non potevano ricoprire incarichi pubblici e frequentare la scuola italiana. Le classi che erano miste si trovarono con una serie
di banchi vuoti. Tuttavia, queste scuole speciali rappresentarono una fortuna perché i professori universitari ebrei si videro
declassati e costretti ad insegnare alle scuole elementari e superiori, pertanto, le scuole speciali ebraiche si trovarono con
insegnanti eccellenti e quindi furono i soli a godere di un’istruzione libera e non condizionata dall’ideologia e dalla propaganda
fascista.

Tutta questa legislazione venne varata in Parlamento in una decina di minuti. Inoltre, Mussolini non varò queste leggi per compiacere
Hitler perché la componente razzista era già presente nel Fascismo dei primi albori. Inoltre, la legislazione razziale in Italia fu così
efficace che Hitler, ammirato, mandò degli emissari tedeschi per studiarla, soprattutto l’aspetto che riguardava l’espellere gli ebrei
dalle scuole pubbliche (aspetto che in Germania non era stato teorizzato in termini così espliciti).

Dopo aver lasciato Riccione, il protagonista, rientrando a Ferrara, si rende conto che il clima è cambiato, soprattutto nei confronti della
comunità ebraica. Si respira un clima di disperazione. Questo determina nel protagonista una sorta di ricerca delle proprie radici (ci fu
una radicalizzazione dell’identità ebraica che prima non c’era. Appena arriva in città prende la bici e va verso il cimitero israelitico.
Parla di un atroce senso di esclusione che aveva dominato nei giorni precedenti, ma che sembra allentarsi in questa visita al cimitero,
ma un attimo dopo si riaccende con l’incontro con Nino. Inizia a chiacchierare con l’amico e inizia a provare sia con l’amico sia nei
confronti della città un senso di estraneità totale. Inizia una conversazione tra Nino e il protagonista: dalla conversazione apprendiamo
qual è stata la destinazione della fuga di Deliliers (Parigi); dalle parole di Nino capiamo qual è l’opinione dell’intera città rispetto alla
relazione tra il dottore e Deliliers (“ignobile”). Nino dice di aver ricevuto una lettera da Eraldo spedita da Parigi ed è una lettera piena
di insulti per quelli che un tempo erano tutti i suoi amici e l’insulto a cui pensa subito il protagonista è quello sulla sua “razza”.

CAPITOLO 14
Il dialogo continua tra i due: sono fuori dalla messa della domenica. Si fa insistente tutto il lessico ascrivibile al senso di estraneità che
prova il protagonista nei confronti della propria città e del proprio tessuto sociale. Mentre attendono l’uscita delle persone dalla

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5 – GIORGIO BASSANI
messa, c’è un giornalaio che inizia a strillare i titoli dei giornali tra i quali si parla di provvedimenti contro gli ebrei. Il protagonista evoca
l’immagine vecchia del ghetto ferrarese e immagina in un certo senso un ritorno imminente da parte della sua comunità. Tuttavia, alla
vigilia della Leggi Razziali nessuno, tranne il protagonista, si rende conto della portata di quello che sta per avvenire, nonostante a
Ferrara ci sarà una delle forme di antisemitismo più feroci (ci sarà l’assalto alla sinagoga e l’aggressione feroce di un rabbino). Pertanto,
l’esempio di Ferrara dimostra come nel giro di pochissimo viene trasformata dalla propaganda fascista.

Nino successivamente menziona una serie di personaggi che costituiscono proprio l’affresco umano de “Il romanzo di Ferrara”: è un
brano che ha sia uno scopo storico (l’adesione degli ebrei ferraresi al Fascismo e al patriottismo italiano) sia uno scopo narrativo
(creare una circolarità nel romanzo di Ferrara e dimostrare come i personaggi siano ricorrenti nominati a vario titolo nell’intera opera).
Nomina per esempio Jeremia Tabet (parente di Josz), Elia Corcos (protagonista della “Passeggiata prima di sera”, nominato anche
quando si ipotizzava che il dottor Fatigati potesse avere delle relazioni con le sue infermiere), Bruno Lattes (protagonista de Gli ultimi
anni di Clelia Trotti”.

A quel punto Nino chiede un consiglio al protagonista: accettare o meno la proposta di assumere la carica di Addetto alla Cultura. Il
protagonista, con obiettività, dice che dovrebbe accettare ma è il momento in cui si consuma la rottura tra il protagonista e quelli che
erano un tempo i suoi vecchi amici.

CAPITOLO 15
Ricompare Fatigati. A questo punto della narrazione i destini dei due sembrano ormai legati: destini di solitudine e di emarginazione.
Il protagonista ritrova Fatigati in una serata piena di nebbia alle prese con una cagna che lo sta pedinando e fanno una passeggiata di
qualche minuto (sono gli unici ad essere in giro a quell’ora).

Scopriamo il destino di Fatigati nel suo rientro a Ferrara: ritratto di un uomo ormai distrutto con una carriera compromessa (esonerato
dall’ospedale e anche il suo ambulatorio viene evitato). Inizia un dialogo tra Fatigati e il protagonista. C’è un intreccio ormai dichiarato
e palese tra il destino e la solitudine di Fatigati e del protagonista. Viene evocato anche l’atavico odio degli ebrei nei confronti dei non
ebrei che sono potenzialmente i suoi aguzzini e carnefici.

Alla fine, il protagonista entra in casa, si salutano e si promettono di chiamarsi nei giorni successivi.

CAPITOLO 16-17
Racconta la breve telefonata tra i due che si danno anche appuntamento per vedersi: tuttavia poi ci viene detto che quel giorno piove
a dirotto per cui l’appuntamento salta. Il protagonista va al cinema e decide di prendere il biglietto nella platea (una delle abitudini
del dottore). Prova a contattarlo ripetutamente ma il medico non risponde.

CAPITOLO 18
Si scopre qual è stato il destino del dottore Fatigati. Il capitolo si apre con un dialogo tra il padre del protagonista e il resto della
famiglia. Il padre entra riferendo un dialogo con Jeremia Tabet che l’ha rassicurato completamente rispetto al destino degli ebrei in
Italia dicendo che quello che sta avvenendo è dovuto soprattutto a ragioni di politica estera (rafforzare il rapporto con la Germania e
dimostrare al resto d’Europa che l’Italia è fedele alla Germania ma l’odio contro gli israeliti si limiterà alla campagna diffamatoria).

Chi legge sa bene quale sarà il corso storico e quindi giudica ingenue le parole del padre mentre il protagonista non riesce proprio a
condividere le gioie familiari rispetto a queste notizie. Per il protagonista l’espulsione e la solitudine si sono già consumate: trova
umiliante, dopo quello che è avvenuto, l’idea dell’essere riammesso nel tessuto sociale come se niente fosse.

Si mette a leggere il giornale e si imbatte nella notizia riguardante il suicidio del dottore (il giornalismo Fascista era contrario alla
cronica nera perché si riteneva desse un’immagine troppo negativa e dispregiativa dell’Italia, pertanto viene definita una “disgrazia”).
Il suicidio del dottor Fatigati viene restituito nel modo più asettico e neutro possibile: attraverso il titolo del giornale e restituito con
una frase ancora più secca da parte del protagonista.

Vediamo come le vicende siano intrecciate fino alla fine.

Assonanze con “Una vita” di Svevo, la quale morte del protagonista viene restituita con una lettera commerciale priva di ogni
sentimentalismo, come per lo stile dell’autore.

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